Stuttgart Ballet

Una delle più prestigiose compagnie di balletto del mondo, lo Stuttgart Ballet nella sua organizzazione attuale nasce dal nucleo di ballerini del Ballet del Württemberg State Theatre diretto da Nicholas Beriozoff dal 1958 al 1960 e ampliato dal coreografo John Cranko, che nel 1961 ne ha assunto la direzione. Sotto la guida di quest’ultimo subisce una radicale trasformazione sia nella qualità artistica dei ballerini – tra i quali brillano le nuove personalità di Marçia Haydèe, Richard Cragun, Egon Madsen, Birgit Keil, Heinz Clauss – che nel repertorio, completamente rinnovato grazie a nuovi allestimenti dei maggiori classici dell’Ottocento (Il lago dei cigni, Giselle), alla creazione di nuovi lavori a serata diventati ben presto dei `classici’ del balletto d’azione novecentesco, come Romeo e Giulietta, Onegin, La Bisbetica Domata, e a opere di altri autori neoclassici, quali Kenneth MacMillan (Las Hermanas; Song of the Earth) e George Balanchine (Allegro Brillante, La Valse, Apollo, Agon).

A questi dal 1970 si affiancano i laboratori coreografici della Noverre Society e la Scuola di Ballo. Alla morte di Cranko (1973), dopo una breve direzione di Glen Tetley (1974-76), è nominata direttrice artistica della compagnia la Haydèe. Nei venti anni della sua direzione la ballerina garantisce una continuità all’indirizzo artistico impresso da Cranko, del quale mantiene intatto il repertorio, insieme proseguendo nella individuazione di nuovi talenti coreografici, tra i quali William Forsythe, Uwe Scholz e Renato Zanella; propone inoltre nuovi balletti di John Neumeier (La dama delle camelie, Un tram chiamato desiderio, Medea), Maurice Béjart (Leda e il Cigno, Le sedie, Il flauto magico), Hans Van Manen (5 Tangos), cui si affiancano le sue discusse riletture di La bella addormentata e Giselle . Al suo ritiro, le è subentrato nel 1996 Reid Anderson, che prosegue sulle linee artistiche originarie della compagnia, consolidandone da un lato la base accademica con la reintroduzione delle versioni originali di alcuni titoli dell’Ottocento e Novecento storico, dall’altro proponendo nuovi autori di linguaggio neoclassico (Mauro Bigonzetti, Gerard Grand maître, David Bintley), pur mantendo centrale l’opera di Cranko, al quale ha dedicato anche un vero e proprio festival monografico (1997).

Sperani

Esperia Sperani debutta giovanissima con Irma Gramatica e in seguito è con Ermete Novelli, da cui ha i primi rudimenti. Inizia a lavorare con Alfredo Sainati, e divenne al suo fianco – al posto di Bella Starace Sainati – la prim’attrice del Granguignol, una sorta di teatro dell’orrore importato dalla Francia. Ha fatto parte e diretto diverse compagnie con attori come Carini e Marcacci. Nel primo dopoguerra con Ettore Paladini fa parte della compagnia del Teatro del Popolo, prima esperienza di decentramento (la sede era in via Campo Lodigiano), dove si recitava un repertorio di autori collaudati italiani (da Giacosa a Nicodemi, a Ferrari ai drammi francesi dell’Ottocento. Dal 1924 è al primo Teatro del Convegno con Enzo Ferrieri interpretando autori contemporanei ( All’uscita diretto da Pirandello, Esuli di Joyce). È tra le prime interpreti agli studi dell’Eiar, poi Radio Milano, apprezzata interprete di celebri sketch in lombardo. Partecipa ad alcuni spettacoli del Piccolo Teatro, (1947-48): rilevante è la sua interpretazione della Sgricia nella prima edizione de I giganti della montagna . Ha insegnato recitazione all’Accademia dei Filodrammatici dal 1954 al 1974 allevando molti attori delle ultime generazioni.

Schroeter

Werner Schroeter si forma come autore cinematografico e, a partire dal 1968, gira diversi film, in molti dei quali emerge una cultura musicale elaborata con ironia e una predilizione per la lirica. Esordisce nella regia allo Schauspielhaus di Amburgo nel 1972, con Emilia Galotti, opera caratterizzata da un’estrema stilizzazione, tanto che egli stesso la definisce «una coreografia di piccoli gesti». In seguito cura messe in scena allo Schauspielhaus di Bochum, diretto da Peter Zadek, tra cui Salomé di Wilde (1973), con Christine Kaufmann; Lucrezia Borgia di Hugo (1974) con Magdalena Montezuma; La signorina Julie di Strindberg (1977) con Ingrid Caven. A Francoforte, nel 1982 dirige Questa sera si recita a soggetto di Pirandello. Lavora molto anche allo Schauspielhaus di Düsseldorf dove, nel 1990, fa scandalo una sua messa in scena di Re Lear . Cura la regia di numerose opere liriche. Tra i suoi ultimi lavori, una versione teatrale del film Monsieur Verdoux di Chaplin (1997) al Berliner Ensemble.

Santin

Studia danza a Venezia con Christian Ferrier e all’Accademia Chaptal di Parigi. Dopo aver lavorato nel Corpo di ballo dell’Arena di Verona, alla Fenice di Venezia e nella compagnia di Renato Greco, nel 1986 entra nel Balletto di Toscana. Danzatore atletico e virile si mette in evidenza tra l’altro in lavori di Massimo Moricone ( Nuit en huit , 1988), Virgilio Sieni ( Pulcinella , 1990 ) , Mauro Bigonzetti ( Mediterranea , 1993), Angelin Preljocaj ( Liqueurs de Chair , 1996). Nel 1994 Fabrizio Monteverde crea su di lui il ruolo principale di Otello.

Stein

Figura di primissimo piano nella storia delle avanguardie artistiche novecentesche, e nota soprattutto come narratrice, poetessa e saggista, fu anche autrice di testi sperimentali che, benché definiti `plays’, non erano palesemente destinati alle scene (della lunghezza di due o tre pagine, divisi in scene non numerate, senza i nomi dei protagonisti); vi giunse solo Yes Is For a Very Young Man , scritto nel 1944-45 e di struttura più tradizionale, sulla resistenza in Francia. Da ricordare i due libretti per le opere di Virgil Thomson, Four Saints in Three Acts (1934) e The Mother of Us All (1947).

Scelzo

Proveniente dall’ambiente artistico, la madre era attrice e il padre trovarobe, Filippo Scelzo ha la sua prima scrittura con G. Tumiati (1917). Dopo la parentesi bellica, Scelzo riscuote un buon successo interpretando Costantino nel Gabbiano (1924) di Cechov sotto la regia di V. Talli e, nel 1927, entra nella Compagnia Dannunziana, dove recita in Francesca da Rimini e nella Fiaccola sotto il moggio . Dal 1928 al 1930 fa parte della compagnia di Sem Benelli e in seguito lavora in Campo di maggio (1931) di G. Forzano con Cele Abba. Dopo aver collaborato con la Gramatica e con Kiki Palmer, con cui fece ditta nel 1936, S. lavora nella Figlia di Iorio (1939) regia di Forzano, Adelchi (1940, regia di Simoni), La bella addormentata (1941) di Rosso di San Secondo e Cenerentola (1942) di Bontempelli, con L. Adani. Nel periodo dal 1943 al 1946 è in compagnia con la Merlini e, nel 1947, insieme a A. Proclemer recita in Come le foglie . In seguito, recita e dirige Anfitrione 38 (1948) di Girardoux, Questa sera si recita a soggetto (1949) di Pirandello, al Teatro delle Arti e Il cigno (1950) di Molnar, in compagnia con Paul e Porelli. Dal 1951 al 1958 lavora con P. Borboni, V. Gassman, C. Ninchi e V. Gioi. Nel 1959 è al Teatro Stabile di Torino e l’anno dopo allo Stabile di Genova. Tra i lavori dove ha potuto meglio mostrare il suo rigore attoriale e le sue acute sfumature ironiche ricordiamo: Giulio Cesare (1949) di Shakespeare, Caterina da Siena (1953) di Lodovici e Giuda (1956) di Pagnol allestito nello splendido scenario di Portovenere.

 

Silva

Umorista di talento, in grado di raccontare con risvolti ilari anche drammi personali. In Vengo dalla Siberia , (1973), Carlo Silva descrisse l’amputazione della sua gamba sinistra congelata, a ventuno anni, sul fronte russo, chiedendosi: «Chissà dove mi hanno sepolto. Adesso non sono più tutto vivo». La vita, anche in taluni frangenti, non può essere solo tragedia. Silva inclinava per il sorriso e scrisse e allestì le prime riviste in campo di concentramento, dove rimase prigioniero per tre anni. Autore di numerosi e apprezzati volumi: Come fare la guerra con amore e Come fare lo sciopero con amore, illustrati da Raymond Peynet, Diario milanese, I quarantanove racconti non di Hemingway e altri ancora. Più di mille copioni per la radio, più di centocinquanta testi per la tv svizzera, aveva esordito come attore alla radio con Dina Galli. Come autore di riviste per la radio e per la scena, fu in coppia prima con Attilio Carosso e poi con Italo Terzoli.

Nella stagione 1950-51 scrive Stop… mi uccido alle 20.90 con Terzoli, per Mario Carotenuto e Tina De Mola; la stagione successiva, sempre con Terzoli, eleva a ruolo di primattore Chiari con Sogno di un Walter; Campanini ‘spalla’ e Dorian Gray soubrette, e abbondavano le parodie di film famosi; per la prima volta ci fu il lungo assolo in passerella del comico prima del finale. Un successo tira l’altro: nella stagione 1952-53, con Terzoli, Faele e Ferretti, scrive il suo copione più riuscito: Davanti a loro tre Nava tutta Roma, rivista che venne definita ‘pazza’ per il suo spirito innovatore e dissacratore: con le tre scatenatissime sorelle Diana, Lisetta e Pinuccia che sfogavano la loro vena clownesca, attorniate da cinque giovani e promettenti comici: Bramieri, Cajafa, Conti, Pelitti e Pisu. L’anno successivo, ancora Nava con Tre per tre Nava, e sempre ragguardevole la scoperta di nuovi talenti comici: Nino Manfredi, Paolo Ferrari e Gianni Bonagura. Tra i quadri più applauditi, una spassosa dissacrazione del libro Cuore di De Amicis, largamente ricopiata in seguito da altri.

Nella stagione 1954-55 gran ritorno con Walter Chiari, per il quale, con Terzoli, scrive I saltimbanchi dai toni cabarettistici: spettacolo senza passerella, una serie di scenette spiritose, poesie e monologhi, `alla maniera di Gassman’, i luoghi comuni nel salotto snob e altre divagazioni umoristiche. Da sottolineare il solito `contorno’ di giovani talenti: Aroldo Tieri, Franco Scandurra, Enzo Turco, Liliana Tellini, Antonella Steni. Nel 1964 scrive con Carlo Maria Pensa El Tecoppa, una sapida rievocazione del personaggio di Ferravilla per Piero Mazzarella: nel 1953 al Puccini di Milano, andò in scena, di S.-Terzoli, Il piccolo naviglio con Bramieri-Conti-Cajafa-Tommei e un `numero’ (l’ubriaco che torna a casa e non riesce a infilarsi nel letto) interpretato dal grande comico `muto’ Buster Keaton. Nel 1955, ecco S.P.Q.M. , cioè Sono Portentosi Questi Milanesi, con Gino Bramieri, Raffaele Pisu e Lisetta Nava.

Negli anni ’70, Silva scrive per la radio e per la tv, collabora dal 1966 al 1972 a La domenica sportiva su Raiuno. Passerà dall’altra parte della barricata tenendo la critica televisiva su “Il Giorno” e fu il primo ad accorgersi dell’importanza di una chiaccherata a tarda sera condotta da Maurizio Costanzo in quello che ancora non si definiva talk show. Fondò e diresse, nel 1976, un mensile d’umorismo, “I quaderni del Sale”, con collaboratori come Campanile, Zavattini, Marchesi, Luca Goldoni. Il “Sale”, con altra direzione, divenne poi il “Male”. Silva se ne allontanò, ubbidendo a una sua equazione-massima: l’umorismo sta alla satira come il fioretto sta alla sciabola.

Santella

Dopo aver seguito da vicino, sul finire degli anni ’60, le esperienze di Grotowski e del Living, Maria Luisa Abbate Santella fonda con il fratello Mario la compagnia Teatro Alfred Jarry. Tra le principali creazioni sceniche e drammaturgiche si ricordano: Faust da Marlowe, Peccato che fosse una sgualdrina, Medea di Portamedina, Storia di Dora, La gnoccolara, Delirio a due di Ionesco. Nel 1976 partecipa come attrice non protagonista al film Brutti, sporchi e cattivi di Ettore Scola; sarà poi in Oggetti smarriti (1980) di Giuseppe Bertolucci, Don Chisciotte (1984) di Maurizio Scaparro e Maccheroni (1985) ancora di Scola. Nel 1985 è tra i fondatori del gruppo Marcido Marcidoris. Per la televisione, diretta soprattutto da Ugo Gregoretti, lavora in molte produzioni, tra le quali si ricorda “Ma cos’é quest’amore” di P. Festa Campanile. Insieme al compagno Michele Gentile guadagna la cittadinanza australiana per meriti artistici e si distingue per l’attenzione rivolta alla cultura aborigena che sarà materia del libro La terra parallela/Teoria del sogno.

Steni

Antonella Steni esordisce bambina sul palcoscenico di rivista e si afferma successivamente come una delle più dotate e versatili interpreti del teatro leggero con lo spettacolo di varietà I saltimbanchi (1954) diretto da F. Zeffirelli. Il successo è confermato dalla rivista da camera Tre e simpatia (1957) dove è al fianco di Raffaele Pisu e Franca Rame. La notorietà le arriva dalle esibizioni televisive degli anni ’60 in coppia con Elio Pandolfi, col quale aveva cominciato a lavorare alla radio e con cui aveva fatto rapide comparse nella tv dei primordi in I cinque sensi sono sei (1954); insieme sono anche in teatro in Scanzonatissimo (1963) e in Che brutta époque (1969). Sul grande schermo esordisce giovanissima in Scipione l’Africano (1937) per poi interpretare, in ruoli da caratterista, commedie rivistaiole come Rascel fifì (1956) o comunque minori come Obiettivo ragazze (1963) e Il ragazzo che sorride (1969). Dalla metà degli anni ’70 dirige una propria compagnia di commedie leggere. Sul teleschermo continua a comparire in veste di ospite in trasmissioni come Maurizio Costanzo Show e Ci vediamo in tv.

Satta Flores

Stefano Satta Flores debutta sulle ribalte universitarie e si diploma al Centro sperimentale di cinematografia di Roma (1960). Il suo primo ruolo cinematografico è nei I basilischi (1963) di L.Wertmuller, nella parte di un personaggio un po’ amaro di un desolato vitellone del Sud, che gli vale il consenso della critica. Ritorna al teatro e prende parte ad alcuni spettacoli importanti del Piccolo Teatro, fra il ’66 e il ’68: Enrico V di Shakespeare e Il fattaccio di giugno di Sbragia, Vita immaginaria dello spazzino Augusto G. di A. Gatti, con la regia di V.Puecher. Aderisce in pieno alle nuove proposte di teatro politico anche all’interno del Piccolo, che lascerà per far parte di una cooperativa teatrale I compagni di scena, con Cristiano Censi e Isabella Del Bianco, seguaci della politica del decentramento che portava alla ricerca di un pubblico diverso, quello delle associazioni affiliate all’Arci e delle Casa del Popolo. Degno di nota di questo periodo un allestimento fuori dei canoni brechtiani della Madre di Brecht da Go’kij. Torna al cinema in tra gli altri, C’eravamo tanto amati – e La terrazza . di Scola. Torna al teatro nel 1979-80 anche nelle vesti di autore con Dai, proviamo diretto da Gregoretti, Premio Flaiano 1980, Grandiosa svendita di fine stagione – radiografia della delusione di un gruppo di ex-sessantottini , Una donna normale , e Per il resto tutto bene , sui bilanci esistenziali della sua generazione, un po’ autobiografici. Personaggio dalla ricca personalità e dal notevole talento, anche brillante, non sempre è riuscito ad esprimerlo appieno forse per questa sua carriera dispersa in molti settori.

Schumann

Peter Schumann studiò scultura a Hannover e nella prima giovinezza, affascinato dagli aspetti artigianali dell’arte, creò non soltanto sculture, ma silografie, maschere d’argilla ricoperte di gesso, incisioni su linoleum, disegni a carboncino ecc. Contemporaneamente studiava a fondo i grandi espressionisti e costruiva le prime marionette di fil di ferro rivestite di cartapesta, rifacendosi alle tradizioni del teatro popolare. Poi nel 1959 fondò a Monaco un Gruppo della nuova danza con il quale presentò uno spettacolo che lasciò sconcertati gli astanti. E nel 1961 un concerto di John Cage al quale ebbe modo di assistere lo indusse a partire per New York, dove entrò subito in rapporto con Cunningham e con altri esponenti dell’avanguardia americana. Pochi mesi dopo presentò con il gruppo degli Uranian Alchemy Players il suo primo spettacolo, Totentanz, che rielaborava autonomamente un famoso tema medioevale. Tutte queste esperienze e questi apporti culturali, insieme a un nuovo interesse per le grandi questioni politiche e sociali – erano gli anni della guerra nel Vietnam – confluirono quello stesso anno nella fondazione del Bread and Puppet Theatre, con il quale si identifica da allora la sua biografia. Nel 1974 si trasferì in una fattoria del Vermont e sciolse nominalmente il gruppo, pur tornando a riunirlo per particolari progetti.

Scarpitta

Dopo aver rinunciato alla carriera diplomatica, Carmen Scarpitta studia all’Accademia d’arte drammatica di Roma e debutta, nel 1960, nell’Adelchi di Manzoni e nel Marziano a Roma di Flaiano, entrambi diretti da V. Gassman. Interprete versatile e di notevole eleganza, alterna ruoli drammatici e brillanti e esperienze di teatro tradizionale e sperimentale. Dopo un soggiorno a Parigi alla scuola di Etienne Decroux lavora con il Living Theatre e fonda poco dopo `The A.C.T.’, un gruppo formato da ballerini, attori e musicisti. Lavora, alla fine degli anni ’60, con C. Bene al Teatro di Trastevere. È diretta da B. Besson, con F. Parenti nel Don Giovanni di Molière, a Palermo (1964). Recita nella compagnia Morelli-Stoppa, con G. Cervi, in Bouvard e Pecuchet di T. Kezich da Flaubert, diretti da Squarzina allo Stabile di Genova (1968) e al Piccolo Teatro, con la regia di P. Chéreau in Splendore e morte di Joaquín Murieta di Pablo Neruda (1970). Prende parte a Ciao Rudy di Garinei e Giovannini, con M. Mastroianni e ad altri numerosi musical. È diretta da Strehler in L’anima buona di Sezuan (1981). Ha interpretato anche vari film: Casanova di F. Fellini, In nome del papa re di L. Magni e in Al di là del bene e del male di L. Cavani.

Solari

Inizia al teatro municipale di Lima, ma nel 1977 si trasferisce in Italia, a Milano, dove frequenta la Civica Scuola d’arte drammatica. Si diploma nell’80 firmando un saggio di regìa con Carlo Cecchi, Nozze . Nell’81 fonda la compagnia Te-Atro, e insegna alla Civica. Nell’85 partecipa come attore nel ruolo di Calibano a La tempesta di Shakespeare, regia di Cecchi. Nell’88 firma Le visioni di Mortimer , primo di una serie di spettacoli di successo di Paolo Rossi. Con l’attore milanese lavora negli anni seguenti: La commedia da due lire (1990), C’è quel che c’è (1992), Operaccia romantica (1993), Pop e rebelot (1994), Jubilaüm (1995), Il circo di Paolo Rossi e Rabelais (1996). Nel 1997 mette in scena Giù al Nord con Antonio Albanese e nel 1998 è regista della riduzione teatrale di Brancaleone con Massimo Venturiello.

Shammah

Dopo un’esperienza di assistente al Piccolo Teatro di Giorgio Strehler e Paolo Grassi negli anni ’60, nel 1972 Andrée Ruth Shammah fonda e dirige a Milano, insieme a Franco Parenti, il Salone Pier Lombardo, di cui dal 1989 è responsabile unica. Intorno a questo spazio, concepito come spazio polivalente, coinvolge una serie di intellettuali tra i quali principalmente lo scrittore G.Testori che resterà un punto di riferimento della sua carriera, firmando l’allestimento della ‘Trilogia’ (Ambleto nel ’73, Macbetto nel ’74, Edipus nel ’77) e più avanti L’Arialda e I Promessi Sposi alla prova. Sue quasi tutte le regie firmate nel Salone Pier Lombardo (oggi Teatro Franco Parenti), all’inizio per un attore come Franco Parenti: Georges Dandin, Gran can can, Willibalhd e Oloferne, Il gigante nano, Il misantropo, La doppia incostanza, Il maggiore Barbara, Il bosco di notte. In anni più recenti e subito dopo la morte di Franco Parenti ha lavorato soprattutto su grandi temi come il mito, il genere epico, la favola con spettacoli come Peter Pan , cavalieri di re Arthur, Ondine, La vita è il sogno, La ricerca del Graal. Tra le sue più recenti regie La tempesta dal testo di Emilio Tadini, Re Lear di Shakespeare, Eracle di Euripide a Vicenza. Ha firmato anche due regie liriche entrambe alla Scala: Varieté di Kagel e L’elisir d’amore di Donizetti.

Simonetta

Protagonista nella Milano degli anni ’60 del cabaret intelligente, Umberto Simonetta scrisse per Giorgio Gaber canzoni d’ambiente meneghino, da “La ballata del Cerutti” a “Trani a gogò”, a “Le nostre serate”. Ha scritto esilaranti commedie sotto forma di monologo: Arriva la rivoluzione e non ho niente da mettermi (1973), Mi riunisco in assemblea , C’era un sacco di gente, soprattutto giovani (1979), interpretati da Livia Cerini, e, per Maurizio Micheli, Mi voleva Strehler , parossistiche e angosciose riflessioni di un attore in attesa di provino. Nei suoi romanzi, ha descritto un sapido ritratto della Milano notturna ed emarginata: Lo sbarbato (1961), Tirar mattina (1963), titolo diventato poi una locuzione d’uso corrente, e una gioventù problematica e allo sbando, Il giovane normale (1967), Virgo (1973), I viaggiatori della sera (1978) anche trasposto in film. Sui difficili, spesso tempestosi, rapporti tra impresari e interpreti da una parte e autori di teatro dall’altra, ha scritto Il turpe squisito (edito da Camunia).

Simonetta, in coppia con Guglielmo Zucconi. firma nella stagione 1954-55 il copione della rivista Casanova in casa Nava per le tre sorelle Pinuccia, Diana e Lisetta Nava, le `reginette dello sberleffo’: spettacolo giudicato `moderno e anticonformista’, pieno di trovate, con un personaggio, il clown Scaramacai per Lisetta Nava, destinato poi a grande popolarità televisiva. Nella stagione successiva, i due firmano Il resto mancia con Gino Bramieri, Lisetta Nava ed Elio Crovetto (al teatro Olimpia di Milano); rivista che `diverte senza volgarità’, si scrisse. Nella stagione 1958-59 mettono in scena Io, l’ipotenusa per Tino Scotti, il funambolico `cavaliere’ meneghino, Beniamino Maggio, napoletano che riesce anche a scherzare sulla sua gamba rigida ballandovi su, e Tonini Nava, quarta delle tre famose sorelle; coreografie di Gino Landi. Nella stagione 1960-61, S. scrive da solo per Lucio Flauto al Nuovo di Milano la rivista Piazza pulita . Negli anni seguenti, tramontato il varietà e sorto il cabaret, Simonetta continua a scrivere copioni per la radio e la tv.

Nel 1978, Simonetta prende la direzione del Teatro Milanese, passato dal Gerolamo ad uno spazio più grande. Simonetta mantiene nei suoi intenti il clima umoristico delle passate stagioni, ma con un occhio attento ai mutamenti della società sotto il punto di vista linguistico e culturale. Suo proposito infatti è quello di rappresentare un repertorio comico satirico di un certo interesse attuale, recitato in una nuova lingua italiana creata dalla fusione di dialetti regionali diversi e dalla contaminazione di termini stranieri. Gli spettacoli presentati nelle nuove programmazioni sono principalmente scritti e diretti da lui: Mi voleva Strehler (1978); C’era un sacco di gente soprattutto giovani (1979); Italiani si muore (1979); L’Adalgisa da Gadda (1980); Il figlio sorridente (1981); Caro Tognoli (1982).

Schilling

Formatosi alla danza libera con Dore Hoyer e Mary Wigman e al balletto con Olga Ilyina, dopo aver danzato nei Corpi di ballo di Lipsia (1946-52) e Weimar (1953-6), dal 1956 al 1964 dirige il Balletto della Staatsoper di Dresda e dal 1966 al 1994 il Balletto della Komischen Oper di Berlino. In quegli stessi anni si afferma come il più interessante coreografo dell’allora Germania Orientale grazie all’originale vena coreografica, in cui la danza classica, la ausdruckstanz e le tecniche moderne si fondono in lavori teatrali incentrati sull’analisi dei sentimenti umani quali Abraxas (1966), Undine (1970), Schwarze Vogel (1975), Romeo e Giulietta e Le Affinità elettive (1983).

Senica

Studia danza classica, contemporanea e butoh a Roma e nel 1985 è tra i fondatori della compagnia Vera Stasi, con la quale collabora ai primi spettacoli; in seguito inizia un’attività individuale con Canto (1987) e Crisantemi (1988). Collabora poi con i coreografi Rossella Fiumi ed Enzo Cosimi, continuando la sua ricerca coreografica in Cenere (1991), Luce elettrica mixata con la luna (1992), Locomotivo (1994) e Il giardino inesistente (1997).

Sosta Palmizi

Nata nel 1984 dagli ex danzatori del Teatro e Danza La Fenice di Carolyn Carlson – Michele Abbondanza, Francesca Bertolli, Roberto Castello, Roberto Cocconi, Raffaella Giordano e Giorgio Rossi – si impone all’attenzione della critica con il suo primo lavoro collettivo Il Cortile su musica di Arturo Annecchino (Premio UBU 1985), cui fa seguito Tufo (1987). Contemporaneamente propone lavori individuali: nel 1986 i soli Porto franco di Francesca Bertolli e Puer cum puellula di Michele Abbondanza, seguiti nel 1987 da Ssst… di Raffaella Giordano e Dai colli di Giorgio Rossi e nel 1988 da Morgana di Roberto Cocconi e La danza della rabbia di Roberto Castello. Ultima opera collettiva, Perduti una notte di Castello-Giordano-Rossi (1989) segna la conclusione della prima fase creativa della compagnia. Scioltasi la formazione originaria, Sosta Palmizi diventa, nel 1990, Centro di produzione coreografica e nel 1994 Associazione culturale sotto la cui sigla agiscono Raffaella Giordano e Giorgio Rossi.

Schaufuss

Figlio dei ballerini Frank S. e Mona Vangsaae, Peter Schaufuss studia alla Scuola del Balletto reale danese e nel 1965 entra nell’omonima compagnia, danzandovi tutto il repertorio di Bournonville. Dal 1967 inizia la sua carriera internazionale esibendosi come primo ballerino con compagnie quali il National Ballet of Canada e il London Festival Ballet, e dal 1974 al 1977 viene ingaggiato dal New York City Ballet dove partecipa ad alcune creazioni di Balanchine (The Steadfast Tin Soldier, 1975). In seguito prosegue la sua carriera di étoile ospite, danzando con molte formazioni, tra le quali l’Aterballetto (dove consolida il sodalizio con Elisabetta Terabust) e interpretando creazioni di autori come Roland Petit (Il fantasma dell’Opera, Opera di Parigi 1978) e Kenneth MacMillan (Verdi Variations, Aterballetto 1979; Orpheus, Royal Ballet 1980).

Considerato uno dei più importanti ballerini classici della sua generazione per l’assoluta padronanza tecnica e la nobile e virile presenza scenica, superbo esponente dello stile di Bournonville si dedica con successo alla riproduzione di suoi titoli, da Napoli (National Ballet of Canada, 1981; San Carlo di Napoli 1988); a A Folk Tale (Opera di Berlino, 1992), Bournonville (Aterballetto, 1982) e soprattutto La Sylphide (London Festival Ballet, 1979), presentata in seguito da molti corpi di ballo internazionali, tra i quali gli italiani MaggioDanza (1983), Opera di Roma (1988), Balletto della Scala (1998). Dal 1984 al 1990 pur continuando a danzare, dirige il London Festival Ballet, ribattezzato English National Ballet; dal 1991 al 1994 è a capo del Deutsche Oper Ballet di Berlino e dal 1994 al 1996 del Royal Danish Ballet, per il quale coreografa una controversa versione rock di Amleto (1996); successivamente fonda il Peter Schaufuss Ballet (1997) per il quale firma una sua versione della trilogia ciaikovskiana. È stato inoltre protagonista del documentario televisivo della Bbc “Dancer” (1982).

Schleef

Compiuti gli studi a Berlino est, Einar Schleef debutta nel 1972 con una sua scenografia per Don Gil dalle calze verdi di Tirso de Molina alla Volksbühne, ottenendo un immediato successo e il premio della Critica. Tra il 1972 e il 1975 fa sensazione la sua collaborazione con il regista B.K. Tragelenn, con il quale dirige, oltre a realizzare le scenografie, opere come Risveglio di primavera di Wedekind e La signorina Julie di Strindberg . Nel 1975 mette in scena al Kindertheater di Dresda Il pescatore e sua moglie , tratta da Grimm. In seguito lavora ancora a Berlino alla Komische Oper, alla Staatsoper e al Deutsches Theater. Dopo il 1976 si trasferisce a Berlino ovest e si dedica alla scrittura; tra i suoi testi più noti è Gertrud, mostruoso monologo di una madre del 1980.

Nel 1986 mette in scena a Francoforte una sconvolgente Mütter, tratta da Euripide e Eschilo e, due anni dopo la commedia Die Schauspieler. Nel 1987, a Spoleto, presenta Die Nacht, da Mozart. Altre sue messe in scena a Francoforte, sempre oggetto di animate discussioni, sono: Prima dell’alba di Hauptmann, nel 1987 e il Faust di Goethe nel 1990. Un vero scandalo solleva il modo in cui, nel 1993 al Berliner Ensemble, realizza Wessis in Weimar di R. Hochhuth, il quale da tale realizzazione prende pubblicamente le distanze. È stato rilevato come i lavori di S. possano essere visti come ritratto autobiografico in cui si riflette l’esperienza storica contemporanea della Germania.

Stori

Formatosi come burattinaio con Otello Sarzi nel 1976, Bruno Stori è tra i fondatori del Teatro delle Briciole con cui collabora ancora stabilmente; attore per la Compagnia del Collettivo, oggi Stabile di Parma, è anche fondatore del Teatro Lenz Rifrazioni sempre di Parma (1985). Attore di grande e forte sensibilità, ha scritto e spesso diretto alcuni degli spettacoli più belli del teatro-ragazzi italiano soprattutto per le Briciole: Nemo (1979), Il topo e suo figlio (1982), Il grande racconto (1990), Un bacio ancor… un bacio ancor… un altro bacio (1992), Con la bambola in tasca (1994), ma anche per altri gruppi Romanzo d’infanzia (1997) per la compagnia Abbondanza Bertoni, Gioco al massacro (1997) per il Teatro Città Murata di Como.

scuola,

L’importanza di un rapporto fra teatro e scuola è riconosciuta dalla fine del Cinquecento, nella Ratio studiorum dei Gesuiti, e trova nell’Ottocento uno spazio rilevante nella pedagogia dei collegi salesiani di don Giovanni Bosco. All’inizio del Novecento gli allestimenti delle grandi compagnie storiche di teatro delle marionette, come i Colla, non sono specificamente mirati allo spettatore bambino, ma a un pubblico popolare: basti pensare a spettacoli come il Gran ballo Excelsior , celebrazione positivista del progresso della tecnica, o all’ Aida . Sergio Tofano, nel suo articolo “Recitare per bambini” (1937), è fra i primi a interrogarsi sulla specificità di un teatro rivolto a un pubblico in età scolare. Nel 1955 il termine `drammatizzazione’ entra nei programmi didattici per la scuola primaria, dove si suggerisce inoltre «che l’alunno partecipi attivamente a spettacoli di burattini».

Ma è dalla fine degli anni ’60 che il doppio legame fra scuola e teatro si fa più esplicito, con spettacoli per bambini che nascono spesso da laboratori teatrali realizzati con gli scolari e gli studenti, principalmente nella scuola dell’obbligo. Sono gli anni dell’animazione che, con il decentramento e la nascita delle prime giunte di sinistra, si inserisce in una politica culturale attenta alla partecipazione dei cittadini e ai luoghi del vivere: le piazze, le fabbriche, le scuole. A Torino, che costituisce il crogiolo di questo movimento, sono da citare fra i pionieri Gian Renzo Morteo, Giuliano Scabia, Franco Passatore, Loredana Perissinotto, Remo Rostagno, Sergio Liberovici. Negli anni ’70 in quasi tutte le grandi città nascono compagnie caratterizzate da tale impronta: a Torino Assemblea Teatro, Stilema, il Teatro dell’Angolo; a Milano il Teatro del Sole; a Roma il Gruppo del Sole e Ruota Libera; a Parma Le Briciole. All’interno di questa medesima temperie culturale, nel 1976 il Movimento di cooperazione educativa diffonde con successo la formula `a scuola con il corpo’. Col Progetto giovani per la prevenzione del disagio giovanile, rilanciato dal ministero della pubblica istruzione nel 1989, il laboratorio teatrale, forte delle sue valenze di progettualità, ritualità, socializzazione, esplorazione di registri non verbali, introspezione, si impone anche nelle scuole superiori, assumendo e consolidando modalità estetiche ed espressive autonome che, al pari di altre forme di teatro nel sociale, consentono di situare alcune esperienze significative su un terreno contiguo a quello della ricerca e della sperimentazione.

Il 6 settembre 1995, auspici Maurizio Scaparro e il pedagogista Luciano Corradini, viene firmato dal ministero della pubblica istruzione, dal dipartimento dello spettacolo e dall’Eti un protocollo d’intesa relativo all’educazione al teatro che, concepita sia come fruizione sia come pratica attiva, viene riconosciuta quale «componente importante nella formazione dei giovani». Il 12 giugno 1997 un secondo protocollo (detto Veltroni-Berlinguer), siglato dal dipartimento dello spettacolo, dal ministero della pubblica istruzione e da quello dell’università e della ricerca scientifica, estende il riconoscimento a tutte le discipline dello spettacolo. A seguito di tali documenti nascono le prime iniziative organiche di formazione, afferenti al teatro della scuola, rivolte a operatori scolastici e teatrali.

Scardi

Diplomata all’Accademia nazionale di danza si perfeziona alla Folkwang Schüle di Essen. Qui dal 1990 al 1994 partecipa a spettacoli di Pina Bausch, Jean Cebron, Susanne Linke, Joachim Schlommer e ai laboratori coreografici del centro. Nel 1994 forma con la danzatrice Caterina Inesi (Roma 1967) la compagnia Travirovesce, per cui ha creato tra l’altro Cielito lindo (1996), G.E.D.CO.C.S. (1996), Se domani sto come oggi (1997).

Speziani

Diplomato alla Scuola d’arte drammatica `P. Grassi’ di Milano, Massimiliano Speziani debutta nel 1988 in Antonio e Cleopatra, diretto da Giancarlo Cobelli. Nel 1990 è nel gruppo ronconiano degli Ultimi giorni dell’umanità e segue Massimo Castri nel Progetto Euripide (Elettra, Oreste). Castri lo sceglie anche per il ruolo di Clarino in La vita è sogno. Per questa interpretazione Speziani riceve il premio Coppola-Prati. Ancora con Castri è Arlecchino nel Gioco dell’amore e del caso di Marivaux (1993). La divertita maschera comica dei precedenti personaggi lascia il posto a un lavoro di più aggressiva caratterizzazione, quando assieme ad Alfonso Santagata si impegna nelle riletture shakespeariane di King Lear (con Leo de Berardinis), Terra sventrata, Polveri. Un premio Ubu va alla sua particolare interpretazione in Petito Strenge (1996), dove è accanto a Giuseppe Battiston, col quale scrive e interpreta anche Entrambi.

Süskind

Figlio di un giornalista, dopo gli studi di storia in Francia, si dedica alle sceneggiature per la televisione in collaborazione con Helmuth Dietl. È noto a livello internazionale per il romanzo Il profumo ; con l’opera Il contrabbasso , scritta in forma di monologo, riscuote un grande successo anche in campo teatrale.

Storti

Dal 1985, anno di nascita dello storico Comedians di Gabriele Salvatores per il Teatro dell’Elfo, la carriera di Alberto Storti si divide tra teatro e tv. In teatro, oltre ad alcuni lavori drammatici, partecipa con Paolo Rossi a Le visioni di Mortimer e L’opera da due lire. In tv è nel cast di Su la testa! con Paolo Rossi (1992), in cui interpreta un improbabile orchestrale pugliese, e Cielito lindo con Claudio Bisio (1993), dove Storti è il nordico-leghista Alfio Muschio, il nero bergamasco che ama Bossi e conquista le piazze italiane all’urlo di «Drogati, comunisti!». Dopo il tour con i musicomici ‘C’è quel che c’è’, l’artista conferma la sua popolarità con il suo passaggio a Mai dire gol (1995-96) dove affianca al `leghista di colore’, suo cavallo di battaglia, un altro personaggio, il Conte Uguccione, un nobile fiorentino playboy dal linguaggio decisamente triviale, rielaborazione di un personaggio nato nello spettacolo Café Procope diretto da Salvatores, e la azzeccata parodia di uno scrittore pulp. Nel 1997-98 è tra i protagonisti di Scatafascio.

serraglio

Il serraglio nasce nelle fiere e diventa indipendente a cavallo tra del secolo, con compagnie di proporzioni considerevoli che presentano anche esibizioni di domatori. I più celebri sono La Golue (la cui facciata fu dipinta da Lautrec) e, scesi anche in Italia, Nouma Hawa e Alfred Schneider (con i suoi cento leoni). Il più celebre s. italiano del dopoguerra è il Mannucci. Il serraglio è oggi estinto o rimane solo come appendice dei circhi itineranti. Esistono invece ancora i `rettilari’ o i `serragli acquatici’ (con squali o piovre).

Santanelli

Laureato in giurisprudenza, Manlio Santanelli ha lavorato presso la Rai di Napoli fino al 1980, anno in cui è andata in scena la sua prima commedia, Uscita di emergenza (che l’anno seguente ha vinto il premio Idi e il premio dell’Associazione nazionale dei critici italiani). È sicuramente uno degli autori emergenti della drammaturgia napoletana del ‘dopo Eduardo’. La sua attività prosegue con L’isola di Sancho (selezione premio Idi 1983); Le sofferenze d’amore , libretto tratto da un romanzo di Vittorio Imbriani (successivamente la commedia è stata rielaborata per la radio, vincendo il premio speciale della giuria al Premio Italia 1985); Regina madre (selezione premio Idi 1985), allestita nel 1988-89 a Parigi, dove Ionesco la giudica la migliore commedia in francese degli ultimi anni; Elogio della paura, antologia di monologhi. Nel 1987 presenta tre nuovi debutti: Il fuoco divampa con furore, Pulcinella (rielaborazione drammaturgica di un canovaccio di Roberto Rossellini), Bellavita Carolina. Del 1988 è L’aberrazione delle stelle fisse, del 1989 Camera con racconti affittasi (presentato al Festival di Spoleto), 1799 (spettacolo eroicomico sulla Repubblica Partenopea), La donna del banco dei pegni e Vita natural durante; seguono Disturbi di memoria (1990), Tanto per animare la serata, Ritratti di donne (1991), Un eccesso di zelo, Il naso di famiglia (1993), Il baciamano (1994), Il seno in affitto (1995), Babà di nonna sua (1997).

striptease

Lo striptease è un genere di spettacolo in cui gli interpreti (da soli o in gruppo) eseguono numeri di danza o di mimica durante i quali si spogliano, togliendosi ad uno ad uno quasi tutti (o anche tutti) gli indumenti che indossano, con il preciso. La definizione, passata nel linguaggio internazionale, deriva dall’anglosassone to strip (svestirsi) e to tease (stuzzicare), da cui l’inglese stripteaser e il francese stripteaseuse. Un tempo appannaggio esclusivo di artiste femminili che si esibivano per un pubblico di uomini, in anni recenti si è aperto un florido mercato anche a uomini che si spogliano per una platea di donne. Lo spettacolo si sviluppa nel rapporto tra il desiderio voyeuristico degli spettatori e la spinta esibizionista degli interpreti, tra il desiderio di vedere il corpo nudo sul palcoscenico del teatro o sulla pedana del night-club e la capacità di portare al massimo l’eccitazione, fino al momento in cui far cadere l’ultimo velo.

Quando gli interpreti si presentano al pubblico indossano solitamente un elaborato costume di scena, realizzato in funzione del soggetto preso a pretesto per giustificare lo spettacolo, poi con studiata lentezza e atteggiamenti provocatori si spogliano di accessori, ornamenti, vestiti e infine della biancheria intima. È quasi una costante la colonna sonora, che può servire da semplice accompagnamento o anche da base su cui articolare la coreografia. Nel classico spogliarello degli anni ’50 e ’60 erano previste anche rare parti cantate o parlate dalla stripteaseuse, mentre nel caso di spogliarelli di gruppo le ragazze si accompagnavano spesso con esibizioni canore eseguite in coro. Il momento clou dello striptease contemporaneo consiste invece in un’interazione diretta tra interprete e pubblico, il quale può allungare le mani a toccare i corpi quando siano stati liberati dagli abiti. L’interprete femminile inoltre chiama uno o più spettatori ad agire per un breve tempo sul palco, spogliandoli parzialmente (la camicia e al massimo i pantaloni) e stimolandoli a compiere insieme azioni erotiche che non arrivano mai al vero atto sessuale.

Gli stripper maschili invece spingono le spettatrici a infilare banconote nei propri perizomi, permettendo loro di arrivare a sfiorare il sesso che rimane coperto. Storicamente lo s. ha origini antiche; l’esempio più famoso è quello della biblica danza dei sette veli di Salomè, ma anche i nudi di Frine o di Lady Godiva sono altrettanto celebri. Taluni storici indicano il 1889 come data del primo vero striptease, realizzato da Blanche Cavelli al café-chantant parigino `Le Divan Japonais’ sull’aria della canzone “Le Coucher d’Yvette”: la ragazza si spogliava accanto al letto, di fronte alla fotografia dell’amato appena richiamato alle armi. Altri studiosi invece vedono la teatralizzazione della canzone napoletana settecentesca “La cammesella” quale primo esempio di spogliarello concepito in funzione di una pubblica esibizione (di certo venne utilizzata in tal modo durante le `serate nere’ o `nerissime’ del caffè concerto negli anni della Belle Epoque).

Partendo dall’Europa, la fortuna dello striptease si accresce negli Stati Uniti, dove diventa il momento di maggior interesse e l’irrinunciabile numero d’attrazione nei teatri di ‘burlesque’, toccando il vertice della popolarità nel periodo tra le due guerre mondiali. Gipsy Rose Lee è la massima diva americana dell’epoca, in grado di condire le sue esibizioni con battute garbate ma taglienti e con spiritosi motti da intellettuale, tanto da meritare l’epiteto di `regina dello s.’. In Inghilterra negli anni del conflitto mondiale arriva alla gloria Phillis Dixey, per i suoi atteggiamenti ricercati di timida ingenua negli spettacoli al Whitehall di Londra; ma a lei e alle sue colleghe il Public Morality Council pone ben presto limiti precisi e regole molto restrittive, relegando per legge lo striptease nei night-club privati e in forme assai morigerate.

Con gli americani in Europa, durante e dopo la guerra, lo striptease conosce una rinnovata vitalità anche nel Vecchio Continente, soprattutto in Germania e Francia, dove nel 1957 si possono contare ben ventiquattro locali in cui vengono pubblicamente annunciati e presentati spettacoli di striptease. Verso la fine degli anni ’50 si diffonde, a partire da Parigi, la moda degli spogliarelli dei travestiti, e in locali come quello di Madame Artur è possibile assistere alle esibizioni di personaggi dall’identità ambigua come Coccinelle, tra i primi uomini a cambiare sesso. Negli stessi anni film-documentari come Europa di notte (1959) rendono famosi nella provinciale Italia i locali di nudo francesi, come le Folies Bergère di Michel Gyarmathy e il Crazy Horse di Alain Bernardin, con vedette parigine come Liliane Montevecchi e Rita Renoir.

Il Crazy Horse in particolare si consacra come tempio dello s.: apre i battenti il 19 maggio 1951 e fin dall’inizio spoglia in scena le più belle ragazze, a cominciare da Miss Fortunia (1952) che si esibisce nel numero `della pulce’ creato da Max Revolt, per arrivare al duo Rita Renoir-Rita Cadillac (1953), e ancora via via, Dodo d’Amburgo (1956), la bionda Carolina von Sirowetz (1958), Victoria Nankin nel primo esperimento di grafica luminosa proiettata sulla pelle nuda (1960), Prima Simphony (1970) celebre per il suo spogliarello sulle note di “Svestitemi” della Gréco, fino alla star italiana Rosa Fumetto (1976). Il marchio di fabbrica del Crazy Horse, che lo rende famoso nel mondo, è semplice: scoprire il corpo delle ragazze per vestirle con raggi di luce colorata. Lo s. è fiorente anche in continenti extraeuropei, particolarmente in Centro e Sudamerica e in paesi asiatici come il Giappone e Hong-Kong.

In Italia si diffonde nei night-club degli ultimi anni ’50, ma mai in versione integrale e sotto attento controllo delle forze dell’ordine. Grande scandalo suscita lo spogliarello di Aiké Nana al Rugantino di Roma (1958) nell’ambiente della felliniana Dolce vita, scandalo solo di poco superiore dal clamore suscitato a Milano qualche anno dopo, quando il Teatro alle Maschere viene convertito da sacrario della prosa a tempio dello s., con spettacoli `esotici’ come il numero della `vedova nera’ interpretato da Dodo d’Amburgo. Fuori dai locali specializzati lo s. trova una breve fortuna nell’ultimo periodo dell’avanspettacolo degli anni ’60, quando capocomici in crisi di pubblico tentano la carta del nudo per attirare spettatori in sala.

Dopo una crisi di un decennio in cui sopravvive vivacchiando solo nei night-club (nel frattempo però il nudo integrale è diventato legale a partire dal 1972), lo s. conosce una rinascita in parallelo alla diffusione del Cinema hard-core, che crea nuove star da ammirare non solo sullo schermo ma anche in esibizioni dal vivo. Riccardo Schicchi già nei primi anni ’80 crea dive come Cicciolina e Moana Pozzi in locali come Il Teatrino di Milano. Questo spazio è ancora oggi in piena attività e le star che attualmente vi si esibiscono con maggior successo sono Eva Orlowsky, la Venere Bianca, Milly D’Abbraccio, Maurizia Paradiso, Selen, Luana Borgia, Blondie. L’unica realtà italiana che oggi possa essere messa a confronto con il Teatrino per massiccia affluenza di pubblico è il cinema-teatro Volturno di Roma, uno spazio capiente, di centinaia e centinaia di posti, in cui si programmano ogni giorno due o tre fasce di spettacoli (una voce che circola a Roma dice che si può assistere qui allo s. dell’attrice Tina Aumont, la quale saltuariamente vi si esibisce sotto nome d’arte).

La popolarità che lo s. gode attualmente presso il pubblico italiano è attestata dalle migliaia e migliaia di spettatori (specialmente di sesso maschile) che vengono attirati dalle cosiddette fiere del sesso, grandi kermesse fiorite nei palasport di tutta la Penisola a partire dal 1991 (la prima manifestazione del genere, “Erotica”, si tenne alla fiera di Bologna), kermesse in cui gli s. si susseguono sul palco per ore e ore senza interruzione. Sulla scia dell’affermazione del femminismo anche un pubblico femminile ha preteso e ottenuto spettacoli di spogliarello di aitanti giovanotti che si tolgono i vestiti in spettacoli riservati esclusivamente alle donne. Alla fine degli anni ’70 nascono negli Usa i primi club di strip ‘only for women‘, e tra questi il più importante diventa il Chippendales che in breve si impone e apre nuove sedi in varie città, da New York a Chicago a Los Angeles, diventando una vera e propria azienda con relativa pubblicazione di riviste, merchandising, tournée all’estero (a Milano, alla discoteca Rolling Stones, 1992).

A imitazione di tale fenomeno americano, ma senza un analogo transoceanico successo, sono oggi attivi in Italia vari gruppi di stripper maschili per platee femminili (e talora gay), il più organizzato dei quali è quello degli Angeli Bianchi. Il personaggio più famoso in questo specifico ambiente è Ghibli, spogliarellista per donne ma anche personaggio televisivo e cinematografico. Particolari forme di derivazione dallo s. sono da considerarsi il `vestirello’, un’esibizione in cui l’interprete inizia il numero svestito e ad uno ad uno con movimenti eccitanti indossa tutti i vestiti, e la `lap dance’, una sorta di intrattenimento personalizzato di una ragazza che si esibisce danzando nuda sul tavolino dei clienti di bar esclusivi.

Silvan

Celebre negli anni ’60 nei maggiori cabaret del mondo con un numero di `manipolazione classica’, S. si è imposto dagli anni ’70 al pubblico televisivo italiano eccellendo, con un vastissimo repertorio, in tutti i campi dell’illusionismo. È stato decorato con le massime onoreficenze mondiali del settore e la sua popolarità è stata determinante per lo sviluppo dell’arte magica italiana, motivando parecchie vocazioni.

Schifano

Prolifico e controverso, sviluppa sul finire degli anni ’50 una pittura influenzata dal `materialismo informale’, che più tardi lo porterà a diventare uno dei massimi esponenti della pop art, movimento che annovera Andy Warhol, Richard Hamilton e Roy Lichtenstein tra i suoi principali esponenti, e che fa uso principalmente di immagini popolari e di patrimonio comune (cinema, prodotti da supermercato, fumetti ecc.). Il suo rapporto con la pittura murale si intensifica sul finire degli anni ’70, quando realizza le scene e i costumi per Erwartung , rappresentato da Giancarlo Nanni a Firenze nel 1978.

Savelli

Dopo gli studi universitari a Firenze con Ludovico Zorzi, nel 1974 Angelo Savelli entra nella cooperativa Il Granteatro di Carlo Cecchi, partecipando alla realizzazione di Woyzeck di Büchner, A’ morte dinto o’ lietto `e Don Felice di Petito e La cimice di Majakovskij. In seguito è assistente alla regia di E. Marcucci in 23 svenimenti di Cechov. Nel 1976 firma la sua prima regia, l’operina di Mozart Bastien und Bastienne. Nello stesso anno fonda la compagnia Pupi e Fresedde, della quale è tuttora direttore artistico e per la quale fino a oggi ha messo in scena oltre trenta spettacoli (la metà anche in veste d’autore). Tra i più importanti: La terra del rimorso (1977), I balli di Sfessania (1978), Il convitato di pietra, ovvero Don Giovanni e il suo servo Pulcinella (1981), Plauto in farsa (1985), Figaro o le disavventure di un barbiere napoletano (1989), Carmela e Paolino varietà sopraffino (1990; ancora in scena), Cafè Champagne (1991) e Gianburrasca, un monello in casa Stoppani (1993). Il suo lavoro sulla drammaturgia contemporanea si esplicita attraverso i testi di Cerami (L’amore delle tre melarance, 1984), Müller (Quartetto, 1987), Santanelli (Le tre verità di Cesira, 1990) e Ruccello (Mamma, 1995).

San Francisco Mime Troupe

A cavallo tra gli anni ’60 e ’70 il nome di questo gruppo è sinonimo, negli Usa, di teatro politico. Teatro di guerriglia è anzi il termine che il fondatore del San Francisco Mime Troupe, Ronnie G. Davis, conia nel 1966 per l’attività della formazione. In realtà è il mimo classico a interessare dapprima Ronnie G. Davis, allievo a Parigi di Etienne Decroux e ballerino nella compagnia di José Limon. La componente mimico-gestuale è alla base del lavoro del gruppo, che si forma fin dal 1959 all’interno del San Francisco Actors Workshop. A partire dal 1963 il S. acquista una dimensione autonoma, anche per lo spiccato interesse che esso rivolge alle tecniche della Commedia dell’Arte. Gli happenings all’aperto nei parchi cittadini e il lavoro sulla commedia classica (Ruzante, Molière, Goldoni) non bastano più a soddisfare il bisogno di improvvisazione che il collettivo esprime e che viene utilizzato sia come processo creativo per i nuovi lavori, sia come tecnica di richiamo per il pubblico, durante gli spettacoli, realizzati prevalentemente all’aperto. Nel 1965 Davies viene arrestato, per aver rappresentato Il candelaio di Bruno nel Golden Gate Park nonostante l’autorità municipale avesse revocato l’autorizzazione per l’eccessiva `volgarità’ dello spettacolo. Anche la CIA e FBI cominciano a interessarsi al San Francisco Mime Troupe, che intanto si avvia verso una rapida politicizzazione. Una discussione sul Vietnam e sul pacifismo accompagna L’eccezione e la regola di Brecht (1965), temi ripresi anche nell’ Amante militare da Goldoni del 1967.

Un articolo di Davis apparso nel 1966 sulla “Tulane Drama Review” e intitolato Il teatro di guerriglia diventa quasi un manifesto, mentre le tecniche spettacolari (clownerie, travestimenti, umorismo slapstick, bande musicali, maschere) tendono al coinvolgimento del pubblico e il lavoro si inquadra politicamente nelle azioni della nuova sinistra americana, occasione anche per una sorta di aggressivo sodalizio con il Black Panther Party. Centerman parla delle torture fisiche e morali inflitte a un prigioniero di guerra, Search and Seizure denuncia la durezza della legge federale sugli stupefacenti. Il 1970 segna un momento decisivo nella crescita di questo teatro d’opposizione. Il lavoro di preparazione per The Congress of the White Washers (l’incompiuta Turandot di Brecht) genera una spaccatura fra i membri S. Davies si dimette (fonderà il gruppo di controinformazione Praxis) mentre il gruppo si trasforma in un collettivo che sceglie di volta in volta i temi più scottanti fra quelli denunciati dall’opposizione radicale: diritti civili e conflitto razziale, sfruttamento industriale e collusioni economico-governative rappresentano materiali di lavoro per The Dragon Lady’s Revenge (1971), Frozen Wages (1972), False promises – Nos engañaron (1976). La crisi della sinistra americana e il contemporaneo avvento dell’epoca del performer chiudono negli anni ’80 la parabola del gruppo.

Svevo

L’interesse e il lavoro per il teatro sono stati costanti nel corso della vita di Italo Svevo. Un’attenzione testimoniata non solo dalla creazione di tredici testi – non tutti arrivati a noi in versione definitiva – ma anche da una fitta serie di varianti, appunti, annotazioni critiche su opere altrui, vissute da spettatore o da lettore. Un’attenzione e un amore peraltro poveri di soddisfazioni: una sola delle sue opere, Terzetto spezzato, venne portata sulle scene nel 1927 da Anton Giulio Bragaglia che, frettolosamente, cercava un atto unico col quale completare la serata; tutte le altre opere teatrali rimasero inedite durante la vita del loro autore. È stato notato (fra tutti da Odoardo Bertani) quanto grave sia risultato per la drammaturgia italiana il silenzio che gravò su S., almeno sino alla fine degli anni ’60. Gli allestimenti che da questa data cominciarono a giungere con regolarità (estendendosi anche alla drammatizzazione delle maggiori opere di narrativa) non colmano comunque lo iato.

Il teatro di Svevo è il testimone della crisi delle coscienze a cavallo tra i due secoli. Il vuoto interiore, la fiacchezza esistenziale, il deserto del sentimento sono resi attraverso la creazione di una teoria di anti-eroi, personaggi svuotati di progettualità, inclini a seguire torbidamente la superficie delle cose fino a quando un evento non programmato spezza la routine. Il quadro di riferimento delle commedie di Svevo, il circuito in cui egli fa agire i suoi personaggi, è quello della borghesia mercantile triestina, incapace di memoria, rispettosa delle forme e visceralmente ancorata alla legge del denaro. In particolare, il luogo dove meglio giungono a maturazione le contraddizioni di un’esistenza vuota di sensi è la coppia, colta sempre nel suo inevitabile deflagrare sotto i colpi di adulteri vissuti (o immaginati) con il piglio di chi cerca un’avventura per `consistere’, anche a costo di perseguire la strada obbligata dell’inganno. Le ire di Giuliano, Una commedia inedita ma, soprattutto, Terzetto spezzato, L’avventura di Maria, La verità, Un marito e Con la penna d’oro (riproposta col titolo Le cugine da M. De Francovich nel 1970) fanno tutte perno su questo tema, rappresentandolo con una capacità di penetrazione psicologica via via crescente.

A parte questa, l’opera forse più riuscita di Svevo, La rigenerazione, ruotante attorno al vecchio Giovanni che, insieme al Federico Arcetri di Un marito , è uno dei pochi personaggi teatrali sveviani capaci di gettare lo sguardo al di sotto della superficie, scrutandosi davvero dentro. Giovanni, convinto dal nipote (studente in medicina) a sottoporsi a un’operazione per tornare giovane, e poi disposto a fingere con se stesso anche per dimostrare di non aver buttato via il denaro, dà infatti un senso alla vita accettandola per quello che è, con tutti i suoi pesi e le sue insoddisfazioni.

Scarpati

Giulio Scarpati inizia con la Cooperativa Gruppo Teatro G dal 1977 al 1980. Lavora poi con A. Trionfo ne Il candelaio di Giordano Bruno (1981). Segue una breve trasferta milanese, in cui interpreta al Piccolo Teatro Il trionfo dell’amore di Marivaux, con la regia di Antoine Vitez (1985) e Le donne de casa soa di Goldoni al Pier Lombardo con la compagnia Franco Parenti, regia di G. De Bosio (1986). Attor giovane di bella presenza e di bell’impegno, si afferma come attore privilegiato della drammaturgia contemporanea. Si segnala infatti nel 1988 in Orfani, regia di Ennio Coltorti, realizzato per la Contemporanea ’83 di Sergio Fantoni, interpretazione che gli vale il Biglietto d’oro a Taormina. Nel 1991 si aggiudica anche il premio Thiene come interprete di Prima del silenzio di G. Patroni Griffi, regia di A. Terlizzi. Tra le altre sue interpretazioni ricordiamo Gocce d’acqua di P.F. Poggi, regia di N. Venturini, che viene premiato ad Astiteatro come miglior spettacolo. Nel 1994 è nel cast scelto da M. Castri per l’ Ifigenia in Tauride di Euripide, realizzata per lo Stabile dell’Umbria. Nel 1996 è con M. Scaparro nel Lorenzaccio di De Musset. Nel 1998 interpreta L’idiota da Dostoevskij.

Saunders

James Saunders si è cimentato nel dramma radiofonico e televisivo, in esperimenti ispirati al teatro dell’assurdo e nel dramma politico, dimostrando una notevole capacità di portare in scena problematiche attuali e di stabilire un rapporto vivo col pubblico. Nel 1959 allestisce Ahimè povero Fred (Alas, Poor Fred) e L’arca (The Ark), sulla vita di Noè. Seguono La prossima volta ti chiamerò (Next Time I’ll Sing To You, 1962), sull’impossibilità di conoscere e quindi di ricreare la verità in forma drammatica, l’atto unico I vicini (The Neighbours) e Il profumo dei fiori (The Scent of Flowers, 1964). La ragazza italiana (The Italian Girl, 1967) è una riduzione dell’omonimo romanzo di Iris Murdoch eseguita con la stessa autrice. Le ultime opere sono Le traversie di Sancho Panza (The travails of S.P., 1969), da Cervantes, Giochi (Games, 1971), Dopo Liverpool (After Liverpool, 1971) e Corpi (Bodies, 1976), La canzone dell’uccello (The Birdsong, 1979) e Nulla da dichiarare (Nothing to Declare, 1982).

Sarrasani

Fondato negli anni ’10 da Hans Stosch (1873-1934), il circo S. è considerato il più sfarzoso di quelli tra le due guerre. Chiamato `il marajà’, per il suo abbigliamento orientale, Stosch sviluppa al massimo il senso coloniale di esotismo tipico dell’epoca, riunendo tribù dei cinque continenti ed animali esotici. Nel 1912 Stosch costruisce a Dresda un fiabesco circo stabile S. capace di cinquemila posti (poi demolito durante la guerra). Negli anni ’30 il circo S. compì tournée in Sudamerica. Mantenuta dagli eredi di Stosch, l’insegna S. è ancora oggi popolare in Germania, ma con un circo più modesto.

Soleri

Inizia a recitare in una compagnia studentesca, mentre si dedica agli studi universitari di matematica e fisica; in seguito all’interpretazione di Comus nell’opera omonima di Milton, decide di iscriversi all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’. Nel 1957 recita al Piccolo Teatro di Milano ne La favola del figlio cambiato di Pirandello presentato da O. Costa. Nel 1959 interpreta Uomini e topi di J. Steinbeck per il Teatro del Convegno, diretto da E. Ferrieri e, nello stesso anno, viene chiamato al Piccolo per recitare nel modesto ruolo del cameriere in Arlecchino servitore di due padroni diretto da Strehler, con Moretti protagonista. L’anno seguente, in occasione di una tournée in America, viene scelto come sostituto di Moretti nel ruolo di Arlecchino, sostenendo (come da contratto) una recita alla settimana. Nel 1961 muore Moretti, e S. ne raccoglie l’eredità: dal 1963 a oggi interpreta il personaggio instancabilmente, studiando a fondo ogni suo aspetto umano ed espressivo. Della celebre maschera l’attore evidenzia soprattutto l’aspetto felino, giocando sull’elemento acrobatico, molto presente nell’Arlecchino del ‘600 e ‘700; ne studia approfonditamente la voce, lavorando con la maschera e osservandosi allo specchio. Al Piccolo Teatro interpreta, naturalmente, anche altri ruoli, partecipando a diversi spettacoli: L’anitra selvatica di Ibsen (1963), Vita di Galilei di Brecht (1963), Visita alla prova dell’Isola purpurea di Bulgakov (1969), Splendore e morte di Joaquín Murieta di Neruda (1970), La Passione con la regia di K. Dejmek (1972), La tempesta di Shakespeare (1984), Il trionfo dell’amore di Marivaux (1986). Si dedica anche alla regia, debuttando nel 1972 con Il corvo di C. Gozzi; lo stesso anno scrive e mette in scena Arlecchino, l’amore e la fame . Quindi, dopo alcune regie liriche ( Don Pasquale di Donizetti, La finta giardiniera di Mozart), ha allestito Arlecchino e gli altri , scritto insieme a L. Lunari (1981), e La locandiera, ovvero la guerra dei sessi di Cuppone e Carrara (1988).

Studio Azzurro

Nel 1982 nasce a Milano Studio Azzurro, un’iniziativa di sperimentazione artistica e produzione video avviata dall’incontro delle diverse competenze di Fabio Cirifino (Milano, 1945) per la fotografia, Paolo Rosa (Rimini, 1949) per le arti visive e il cinema, Leonardo Sangiorgi (Parma 1949) per la grafica e l’animazione. Il nuotatore del 1984 è tra le prime videoambientazioni prodotte dallo Studio dove il fruitore si trova coinvolto in un luogo appositamente ricostruito. Nella metà degli anni ’80 S. A. si avvicina anche al teatro di cui ricordiamo in particolare l’opera-video messa in scena in collaborazione con G. Barberio Corsetti La camera astratta, commissionata per l’inaugurazione di Documenta VIII-Kassel. Successivamente la ricerca dello Studio si estende al teatro musicale, realizzando tra l’altro Il combattimento di Ettore e Achille, e poi alla sperimentazione di telecamere agli infrarossi e ai raggi x in videoambientazioni come Il giardino delle cose . Nel 1993 la Fondazione Mudima ospita una retrospettiva di Studio Azzurro dal titolo Videoambienti 1982-199″ che viene poi iterata in diversi musei internazionali. Contemporaneamente lo Studio Azzurro porta avanti un percorso cinematografico, realizzando sia iniziative a sostegno del cinema indipendente sia alcuni film diretti da Paolo Rosa come L’osservatorio nucleare del Sig. Nanof (1985). Dal 1995 Studio Azzurro si interessa all’interattività e al multimediale realizzando una serie di `ambienti sensibili’ tra cui l’installazione Tavoli (1995), Coro (1995) e The Cenci (1997). Studio Azzurro ha realizzato diversi programmi video e televisivi in Italia e all’estero; è intervenuto con scritti e riflessioni teoriche; ha svolto attività in campo formativo e didattico con workshop e seminari, tra cui “Pensare l’arte” nel 1997 con Jacques Derrida e Carlo Sini.

Stelarc

Fermamente convinto dell’obsolescenza del corpo nell’era post-industriale, Stelarc attua una tra le più originali esperienze estetiche alternative di ibridazione uomo-macchina, organico-inorganico, biologico-artificiale, interfacciando il proprio corpo con protesi robotizzate e il computer. Tra il 1976 e il 1988 si collocano le ventisette performance The Body Suspensions , di privazione ed esasperazione sensoriale, in cui Stelarc – senza l’assunzione di droghe ma attraverso la meditazione, come nella cerimonia indiana O-Kee-Pa (analogamente all’altro performer Fakir Musafar) – si fa appendere sia con imbragature sia con ganci e uncini conficcati nella pelle in spazi urbani (Copenaghen, New York) e in gallerie d’arte (Tokiwa Gallery e Tamura Gallery di Tokyo, Accademia d’arte di Monaco). Negli anni seguenti S. tiene numerose conferenze, in cui teorizza e applica l’idea di amplificazione elettronica del corpo.

The Third Hand (1981-1984) è una mano artificiale fissata al suo braccio destro, capace di movimento indipendente e attivata dai segnali Emg dei muscoli addominali e della gamba; essa è dotata di un sistema di feedback tattile per un rudimentale `senso del tatto’. Il braccio sinistro è comandato a distanza da elettrodi, posizionati sui muscoli flessori e sul bicipite. Il corpo dell’artista si muove in una coreografia di luci e suoni molto suggestiva (‘Lasereyes’). Del 1991-1993 è il Virtual Arm Project, con un braccio virtuale trasformato in manipolatore universale generato al computer; tramite dei datagloves muniti di sensori flessori e direzionali è possibile la clonazione di un secondo braccio e altre interessanti funzioni. Nel 1993 Stelarc realizza (assieme al chirurgo inglese Charles Akle) The Stomach Sculptures : un endoscopio a fibre ottiche e una sonda – con una capsula di cinque centimetri per cinque millimetri in titanio, acciaio e oro – vengono inserite nel suo stomaco (ingerenza del meccanico e dell’artificiale all’interno dell’organismo umano).

Fractal Flesh (1995) è una performance telematica e interattiva, con spettatori collegati via Internet che fanno muovere il corpo di Stelarc tramite appositi comandi. Ha scritto: «Il corpo post-umano diventa l’ospite di nanotecnologie che tendono a liberarlo dalla fatica dell’invecchiamento, che lo migliorano nella sua funzionalità. Il corpo post-umano si estende a una entità robotica, si connette con la realtà virtuale e si rapporta a una intelligenza esterna, artificiale; quindi si potenzia… Non è il regno del cyborg, ma il luogo dove intelligenze autonome si moltiplicano».

Stramm

Laureatosi in filosofia a Halle (1909), visse tra Brema e Berlino, lavorando come impiegato alle poste. Esponente dell’avanguardia letteraria, fu tra le voci più originali e ardite dell’espressionismo, di cui anticipò le esperienze più radicali. Tra il 1913 e il 1914 scrisse una serie di drammi `del grido’, caratterizzati da un’estrema violenza verbale: Sancta Susanna , musicato successivamente da Hindemith; Gli sterili (Die Unfruchtbaren); Forze (Kr&aulm;fte) , dove l’intreccio è ridotto a uno schema e il linguaggio a parole staccate, senza nessi sintattici né interpunzioni. La sua opera drammatica rimane soprattutto come documento di un’ispirazione nuova.

Saporta

L’approccio al mondo della danza di Karine Saporta avviene in maniera molto tradizionale mentre segue corsi universitari di filosofia e di sociologia. Nei primi anni ’70, effettua un soggiorno negli Usa e inizia a coreografare. Le sue prime opere originali risalgono al 1974 (Kokakola). La compagnia ‘le Corps graphique’ che essa anima appartiene a quelle giovani troupe che aprono nuove piste alla danza. Fino al 1982, anno della creazione di una compagnia che porta il suo nome, firma ben diciotto lavori, molti dei quali, come Judith (1978), esplorano temi che saranno in seguito sviluppati. Anche se la sua reputazione è buona, è tuttavia con Èclats d’infante (Maison de la danse di Lione, 1982) che avviene la sua rivelazione e la riconferma l’anno successivo con Hipnoticus circus. Presentato ad Avignone, è del 1985 Les larmes en porcelaine.

Dal 1988 lavora al Centre choréographique di Caen dove dispone di solida base logistica che le permette di percorrere un cammino caratterizzato da spettacoli sempre più ambiziosi e teatrali; anche complessi e sontuosi, raffinati e ricchi di movimento che molto spesso si traducono in grandiose avventure oniriche (la critica parlerà di `opéras du regard’). Al traguardo degli anni ’90, le tappe della sua evoluzione passano attraverso lavori quali Une passion con Yano Hydeushi (danzato nei celebri saloni dell’Hotel Maurice), Un bal dans un coloir de fer, La fiancée aux yeux de bois, fino alla collaborazione con il cineasta Peter Greeneway per il film Prospero’s Book ; e ancora La chiave d’Elvire, La princesse de Milan e l’immaginoso Les trattories de Leila. Molto attenta al mondo delle immagini (S. è eccellente fotografa), ha realizzato vari film, tra i quali Le cirque da Georges Seurat (1986), La Brûlure (1987) e L’adorateur adoré (1991).

Spessivtseva

Terminato l’Istituto coreografico di Pietroburgo, Ol’ga Aleksandrovna Spessivtseva ha danzato dal 1913 al 1924 con il Teatro Marijnskij (successivamente Teatro d’opera e balletto di Leningrado), dove si è perfezionata alla scuola di A. Joganson. Prima ballerina dal 1918 ha interpretato i principali ruoli del repertorio classico. Danzatrice di grande bellezza, con il suo modo di ballare interiorizzato ha dato alle sue interpretazioni una irripetibile particolarità. La sua danza si è distinta per la precisione lirica delle pose, per la perfezione delle linee; in ogni ruolo ha saputo introdurre una nota dolente, un rimpianto sul trascorrere del tempo e il passare della bellezza. Il suo talento tragico l’ha resa particolarmente adatta al ruolo di Giselle costruito su contrasti e dissonanze espressive che l’hanno allontanata dall’interpretazione in quegli stessi anni della Karsavina o della Pavlova.

Lo stesso spirito tragico e liberty ha saputo introdurre nei ruoli tradizionali del repertorio: BajaderaEsmeralda, La bella addormentata, Il lago dei cigni, La figlia del faraone, Il corsaro, Don Chisciotte (nel ruolo di Amore). Nel 1916 ha preso parte agli spettacoli dei Ballets Russes di Diaghilev Le spectre de la rose dove ha interpretato con Nijinskij e Les Sylphides . Nel 1921 è Aurora nella ricostruzione de La bella addormentata di Diaghilev a Londra. Dal 1924 al 1931 ha danzato all’Opéra di Parigi e ha continuato a collaborare con Diaghilev (La chatte nel 1927). Dal 1932 al 1937 è in tournée con diverse compagnie. Nel 1937 ha incominciato a manifestarsi la malattia che l’ha costretta al ricovero in una clinica fino al 1967, quando si è stabilita nei pressi di New York.

Schall

Dopo gli studi presso lo Schauspielstudio di Magdeburgo, dal 1948 al 1951 Ekkehard Schall è scritturato dal Teatro di Francoforte. Nel 1952 inizia a lavorare al Berliner Ensemble dove gli vengono affidati ruoli sempre più importanti e ne diviene uno dei primi attori. Dal 1977 sino all’inizio degli anni ’90 vi lavora anche come vice intendente. Tra i ruoli più importanti da lui interpretati vanno ricordati il protagonista in La resistibile ascesa di Arturo Ui (la prima è del 1959); Rigault in I giorni della Comune di Brecht (1962); protagonista nel Woyzeck di Büchner (1970); Herakles nell’ Omphale di Hacks con la regia di Ruth Berghaus (1972); Iwagin in Zement di Gladkow e Heiner Müller (1973). Tra i suoi maggiori successi si ricorda l’interpretazione di Papa Urbano VIII in Vita di Galilei di Brecht (1971): la critica rilevò come, per mezzo dell’esplosiva, espressionista arte interpretativa di Schall, figure pur diversamente delineate da Brecht come quella di Hitler e quella di Papa Urbano, rivelavano un’inquietante affinità. Nel 1974 debutta come regista con La vita di Edoardo II d’Inghilterra di Marlowe e Brecht. Schall ha recitato anche in diversi film e produzioni televisive. È stato insignito di diversi premi tra i quali il premio Nazionale della RDT. nel 1962 e nel 1979. Si ritira dall’Akademie der Künste di Berlino nel 1991. È sposato con la figlia di Brecht, Barbara.

Smorfia, La

Massimo Troisi, Enzo Purcaro (di lì a poco avrebbe assunto il cognome d’arte Decaro) e Lello Arena: tre amici che facevano cabaret in un piccolo spazio di San Giorgio a Cremano, una cittadina-dormitorio alle porte di Napoli. Poi, armati di qualche articolo assai elogiativo che avevano ottenuto sulla stampa locale, un bel giorno trovarono il coraggio di presentarsi dinanzi a Marcello Casco, patron del locale romano La Chanson, che del cabaret costituiva uno dei templi indiscutibili. Scritturato in prova per una settimana, il trio – che s’era chiamato L.S. in onore del leggendario manuale che fornisce ai napoletani i numero per giocare al lotto – rimase a La Chanson addirittura per tre mesi, riscuotendo un successo via via più strepitoso. Un successo che ben presto dilagò su scala nazionale, grazie al regista Enzo Trapani e alla sua fortunata trasmissione televisiva Non stop , dedicata, per l’appunto, ai giovani talenti della comicità. La consacrazione in patria avvenne la sera del 27 novembre 1977, sul minuscolo palcoscenico del Sancarluccio. Non ci volle molto per capire che il loro – s’intitolava Così è (se vi piace) – non era il solito spettacolo di cabaret, quello, fatto di battutine qualunquistiche e soporifere, a cui ci avevano da gran tempo abituato i cultori del genere, a Napoli in particolare. Si trattava, invece, di un meticoloso processo – venato di una rabbia tanto più gelida quanto meno appariva esibita – che vedeva sul banco degli imputati le parole, quelle che imprigionano nella demagogia delle definizioni di comodo (e perciò condannano all’immutabilità) i dati reali delle condizioni di vita delle classi subalterne. Esemplare, al riguardo, si rivelava il celebre sketch in cui la moglie di un pescatore, vestita come la Madonna (la interpretava Troisi), non riusciva a raccontare la storia del marito, che andava alla ricerca inutile di un lavoro meno rischioso e più redditizio, perché veniva di continuo interrotta dall’ingresso nella sua casa dell’arcangelo Gabriele e di cherubini e re magi vari. E si scopriva, alla fine, che essi avevano sbagliato casa, scambiando il pescatore per il Falegname. Ebbene, ciò che colpiva era l’aggettivo `umile’ che, immancabilmente e ossessivamente, la moglie del pescatore accoppiava alla sua casa: giacché – nei giornali, alla radio e in televisione – la casa di un pescatore è, appunto per definizione, `umile’: tanto `umile’ che, naturalmente, resta un’`umile casa di pescatore’. E basti quest’esempio, allora, a dire che L.S. faceva, più che cabaret, teatro tout court, e a un livello come raramente capita di riscontrare. E si trattava, per giunta, di un teatro che batteva in breccia tutti gli stereotipi della `napoletanità’. Massimo Troisi, Enzo Decaro e Lello Arena sciolsero il gruppo quando erano al culmine della popolarità: per non diventare a loro volta, lo dichiararono esplicitamente, un semplice stereotipo di consumo.

Sanda

Dominique Sanda esordisce al cinema in Così bella, così dolce di R. Bresson (1969), per poi raggiungere la notorietà, lavorando in Italia in Il giardino dei Finzi Contini di V. De Sica (1970) e Il conformista di B. Bertolucci (1972). A teatro ha lavorato in Madame Klein di N. Wright, per la regia di B. Jacques, Le relazioni pericolose (1994) di C. Hampton, da Laclos, per la regia di M. Monicelli. Recita da protagonista nella `mise en espace’ Carte blanche à Dominique Sanda , scritta per lei da Michel De Maulne e in Oedipus rex di Stravinskij, allestito da Bob Wilson. Recentemente, sempre con Wilson, ha recitato in Donna del mare (1998) di S. Sontag da Ibsen, accanto a P. Leroy.

Simenon

L’unico momento teatrale della fertilissima carriera di Georges Simenon è l’adattamento di La neve era sporca (La neige était sale), allestito a Parigi nel 1950 con l’interpretazione di Daniel Gélin e Lucienne Bogaert. La riduzione del romanzo (pubblicato nel 1948) – ambientato durante la guerra in una imprecisata città occupata dal nemico, protagonista un giovane che discende tutti i gradini dell’abiezione – era stata effettuata dall’autore con la collaborazione di Frédéric Dard e la successiva supervisione (che suscitò l’ira di Simenon) di Raymond Rouleau. Il successo di pubblico fu notevole, ma l’episodio non ebbe seguito: a detta di Simenon la differenza tra teatro e narrativa è la stessa che separa la pittura dalla scultura. E lui affermò di sentirsi esclusivamente narratore.

Scala

Coltivando la sua vocazione per lo spettacolo, Delia Scala si iscrisse a otto anni alla scuola di danza della Scala di Milano, dove si era trasferita con la famiglia. Il primo tempo della sua carriera, col volto di ragazzina acqua e sapone che contrastava con il prototipo della maggiorata di allora, appartiene al cinema. Partecipò a moltissimi film d’epoca, da Anni difficili del 1947, di L. Zampa, che ebbe il merito di scoprirla, a I teddy boys della canzone del 1960: in mezzo ci sono titoli come Napoli milionaria, Come scopersi l’America con Macario, Bellezze in bicicletta con la Pampanini, con un esempio drammatico in Roma ore undici e un giallo in Grisb. Ma naturalmente la sua affermazione appartiene al teatro, quando, apparendo una sera del settembre del 1954 al Lirico di Milano, in Giove in doppiopetto e trionfando subito accanto a Dapporto, rivoluzionò l’immagine classica della soubrette dal fastoso guardaroba e dal rimmel in camerino.

Furono Garinei e Giovannini a lanciarla dopo un’accanita gara sulla paga con Paone, in quel fortunato spettacolo ispirato a Plauto, il primo che vantava una vera trama, pur ancora in mix con la rivista (vedi il personaggio di Agostino, presente nel secondo tempo) e si replicò per due anni. Nello spettacolo la ragazzina era una giovane sposina (“Ho il cuore in Paradiso”) sedotta niente meno che da Giove. La Scala, show girl e non più soubrette, alle doti di attrice, aggiungeva la preparazione atletica come ballerina, che le permetteva exploit acrobatici come nel “Mambo dei grappoli” (sempre in Giove in doppiopetto), in cui saltava su un tamburo-tinozza elastico decorato con grappoli d’uva per decine di volte consecutive, provocando l’entusiasmo del pubblico. La maliziosa, moderna, la simpatica Scala avrà una carriera breve, per sua volontà (non sopportava più, dopo un attacco di appendicite, la fatica e la disciplina delle tournée), ma intensa e redditizia. Pochi titoli dunque, tutti di casa Garinei e Giovannini, che sono rimasti nella storia della rivista e del musical.

Si va da Buonanotte Bettina (1956) con Walter Chiari con cui formò un’indovinata coppia giovane per satireggiare i best seller scandalistici alla Sagan al musical liberty L’adorabile Giulio (1957), con l’edipico ‘padre’ teatrale Dapporto, nel consolidato ruolo dell’attore viveur, e Teddy Reno (che, non a caso, le dedicava l’orecchiabile refrain di Kramer Simpatica). Nel 1958 in Un trapezio per Lisistrata, uno degli spettacoli più riusciti e originali della `ditta’, coreografato da Donald Saddler, vestito da Coltellacci, l’attrice fa la volitiva, combattiva, moglie che sciopera e fa scioperare contro i mariti, saltellando sulla popolare colonna sonora di Kramer, che comprende Donna e Raggio di sole, che resteranno best seller del Quartetto Cetra.

Dopo una storica edizione di “Canzonissima” nel 1960 a fianco di Panelli e Manfredi, la Scala affronta nel 1964 un musical coniugale da camera, con soli due protagonisti che cambiano identità e parentela, intorno al balletto che interviene solo se evocato: lei e Rascel, impegnati in una schermaglia di marito e moglie a zig zag nel tempo. Ma prima la coraggiosa Scala – che ha avuto, nel corso del tempo, tempestose, tragiche, sfortunate, vicissitudini sentimentali e anche di salute – era stata nel 1960 la star di uno show monografico a lei dedicato, Delia Scala Show , allestito, per uno di quei fortunati casi del teatro, con la complicità del trio comico Ucci-Garinei-Sposito. Seguì lo storico kolossal Rinaldo in campo, con le camice rosse garibaldine, celebrazione risorgimentale ad alto tasso spettacolare, un musical scritto come una commedia drammatica, il primo con un personaggio che muore in scena.

E per la prima volta è assente la passerella, con gran delusione dei fans che, per il finale, occupavano per tradizione, festosamente, i corridoi del teatro arrivando alle prime file dai posti in piedi del fondo. L’ultimo spettacolo della soubrette fu, nel 1964, un musical di fama e gradimento internazionale, My Fair Lady, allestito dalla produzione di Lars Schmidt con Remigio Paone e tratto dalla commedia di Shaw Pigmalione. In contemporanea con il trionfo del film di Cukor interpretato da Audrey Hepburn e Rex Harrison, il My Fair Lady italiano non ha nulla da invidiare alle celebrate edizioni straniere: fu uno spettacolo elegante, di grande stile, amatissimo, provvisto di una colonna sonora che tutti canticchiano; e in cui Delia Scala dimostrava come e quanto aveva raffinato le sue doti, accanto a un gruppo di magistrali attori di prosa come Gianrico Tedeschi (Higgins), Mario Carotenuto, la doppiatrice del birignao suadente Tina Lattanzi. Oltre alla sua esemplare carriera teatrale (da cui si ritirò a soli trentacinque anni), l’attrice vanta un curriculum televisivo intenso, che comprende una rivista a schema coniugale con Nino Taranto (“Lui e lei” nel 1956 di Marchesi e Metz), “Signore e signora” con Buzzanca, il serial di “Casa Cecilia” seguito da un altro impegno di tipo familiare sulle reti Fininvest, “Io e la mamma” con Scotti e altre partecipazioni che l’hanno sempre confermata come uno dei volti più cari al pubblico.

Siciliano

Nelle due stagioni 1966-68, con Moravia e Dacia Maraini, Enzo Siciliano dà vita a Roma alla Compagnia del Porcospino, con l’intento di rinnovare il nostro teatro, polemicamente dichiarato morente. In quegli anni S. scrive tre atti unici, Tazza, Tempesta e La mamma com’è. L’obiettivo è realizzare «un teatro affidato interamente alla parola; un teatro di idee, un teatro dibattito, che tenti di ricondurre il pubblico all’attenzione per la realtà, fuori da ogni condizionamento sociale cui siamo spinti dai mass-media». Rosa (pazza e disperata) – allestito da R. Guicciardini nella stagione 1979-80, pièce incentrata sul tema della parola – diventerà un romanzo proprio per le difficoltà che ne condizionano la messinscena. Scritto su commissione è invece Vita e morte di Cola di Rienzo (Arezzo 1973; regia di Alessandro Giupponi), in cui Siciliano indaga l’animo di Cola, sondandone soprattutto la smania di grandezza e la paura della morte. Negli anni successivi la sua attività di scrittura si mantiene intensa; tra le opere più significative citiamo La vittima (1984), Tournée (1984), La parola tagliata in bocca (1985), Concerto per Medea (1985), Jacopone (1986), Singoli (1988), Ciano, cella 27 (1993), Accidia (1993), Un olmo dalle foglie troppo chiare (1993), Scuola romana (1994), Dio ne scampi (adattamento da Dio ne scampi dagli Orsenigo di U. Imbriani, allestito a Roma con la regia di L. Ronconi nel 1995) La morte di Galeazzo Ciano (1998). Oltre che autore, Siciliano è stato ed è impegnato come regista e, negli anni ’80, ha diretto il Teatro stabile di Catania.

Schlöndorff

Studente di scienze politiche a Parigi, inizia a occuparsi soprattutto di cinema entrando in contatto con gli ambienti della Nouvelle Vague. Nel 1962 è assistente di Sascha Pitöeff al Théâtre de Paris in una messa in scena de I fanatici di Musil, quindi lavora principalmente come regista cinematografico. Nel 1974 a Francoforte si cimenta nella scena lirica con la regia della Katja Kabanowa di Janácek e più tardi, nel 1984, con quella della Bohème di Puccini, sempre a Francoforte. Nel 1988 al Kammerspiel di Monaco mette in scena una versione teatrale del romanzo di Heinrich Böll Donne davanti a un paesaggio fluviale con la scenografia della pittrice americana Jennifer Bartlett. Dal 1992 dirige gli studi cinematografici di Babelsberg presso Postdam.