Durano

Così lunare e saettante, con sopracciglia che solo lui riesce ad accomodare in forma d’accento circonflesso, la mimica svolazzante, la dizione che picchietta le sillabe senza mai cedere al birignao. Giustino Durano rappresenta una presenza costante e significativa, quasi mai protagonista assoluto, ma sempre in ruoli di `carattere’ disegnati con acuta intelligenza e sensibile partecipazione. Esordisce nel 1944 in uno spettacolo d’arte varia per le Forze Armate a Bari; accanto all’artigliere D., Cesare Polacco, Gino Latilla, Nino Lembo (sarebbe diventato una gloria dell’avanspettacolo; ritiratosi dalle scene, fu e fornitore di gioielli falsi per film e commedie…). Regista, il maggiore Anton Giulio Majano. Primo spettacolo, Follie di Broadway con Lucio Ardenzi (cantante, non ancora impresario), Rosalia Maggio e un cantante che interpretava “Ciriciribin” e voleva essere annunciato prima con il cognome e poi con il nome, chiamandosi Littorio Sciarpa. Seguono spettacoli `d’arte varia’ (1947) a Bari, accanto a Peppino De Filippo e Nico Pepe, in avanspettacolo al Puccini di Milano (nel 1951) con Febo Conti e i cantanti Luciano Bonfiglioli e Corrado Lojacono. L’anno successivo, sarà in Cocoricò di Falconi-Frattini-Spiller, accanto a Dario Fo (nel cast anche Alberto Rabagliati, Franco Sportelli, la soubrette Vickie Henderson). Il sodalizio con Fo, e poi con Franco Parenti, avrebbe dato nelle due stagioni successive (1953-55) risultati `storici’, con Il dito nell’occhio e Sani da legare , due riviste da camera rappresentate al Piccolo Teatro di Milano e poi, in tournée, che (con il coevo Carnet de notes dei Gobbi, Caprioli-Bonucci-Salce e poi al posto di Salce, Franca Valeri) rivoluzionarono il teatro `leggero’ e comico, affidandosi a un copione ricco di geniale inventiva.

Nel 1956 Durano gioca la carta del solista, con due spettacoli: Il carattere cubitale e, alle Maschere di Milano, regista Carlo Silva, Cartastraccia ; in compagnia, Franca Gandolfi. Archiviato il cabaret teatrale (con un’appendice nel 1958 al Nuovo Romano di Torino, con Sssssssst!: canzoni demenziali come “Aveva un taxi nero – che andava col metano – e con la riga verde allo chassis”, avventure surreali di Pedro Cadrega, e altre trovate in anticipo sui tempi), D. passa nella rivista tradizionale, accanto a Wanda Osiris, in trio con Bramieri e Vianello in Okay fortuna di Puntoni-Terzoli; nella stessa formazione la stagione successiva in I fuoriserie . Nel 1958 è con Macario e Marisa Del Frate in Chiamate Arturo 777 , poi torna al capocomicato con Le parabole a spirale , Senza sipario , un recital alla Ribalta di Bologna, nelle stagioni 1958-59. E con Incondizionatamente condizionato (1973-74). Dal 1960 (con una pausa di riflessione che va dal 1974 al 1987) passa al teatro di prosa, con registi importanti. Segue Giorgio Strehler nella formazione del gruppo Teatro e Azione a Prato (dove tuttora D. risiede) partecipando a Il mostro lusitano di Weiss e Nel fondo di Gor’kij. Affronta ruoli importanti in Shakespeare, Pirandello (un memorabile Sampognetta in Questa sera si recita a soggetto accanto ad Alida Valli, 1995), Goldoni, Molière, Copi. Canta e recita al Piccolo Teatro di Milano in Ma cos’è questa crisi? con Milva e Franco Sportelli (1965). Affronta ruoli di rilievo in molte operette: La vedova allegra di Lehár con Edda Vincenzi a Palermo (1970); Il paese dei campanelli di Lombardo e Ranzato con Paola Borboni (Palermo 1972); Madama di Tebe di Lombardo con Ave Ninchi e Carlo Campanini, (Palermo 1973).

Nel tempo libero da impegni teatrali, radiofonici e televisivi (fu pioniere con Dario Fo nel 1953, negli studi di Torino, di trasmissioni per ragazzi), in particolare dal 1946 al ’66, si è esibito come cantante-fantasista «al night, in locali notturni, al dancing, in pasticceria, al caffè-concerto, in birreria, in Casinò, in grand hotel», come ricorda egli stesso. All’hotel Continental di Milano, 1949, con Maria Caniglia e Carlo Tagliabue; all’Odeon giardino d’inverno, Milano 1950, canta con il Duo Capinere e presenta il quartetto jazz di Duke Ellington; al Lirico di Milano in La sei giorni della canzone con Rabagliati, Lojacono, Narciso Parigi, Jenny Luna, Oscar Carboni; alla Bussola di Viareggio, con l’orchestra di Bruno Martino, affianca Mina, Alighiero Noschese e le spogliarelliste Rita Renoir e Dodo d’Hamburg. Nel suo curriculum, anche una stagione sotto il chapiteau, con il Circo Togni (1953), nella pantomima Pierrot lunaire . Nel 1951, a Modena, il baritono D. si esibisce in arie verdiane e, da solo, interpreta il duetto tra Rigoletto e Sparafucile. Nell’estate 1998 è stato il vecchio Anselmo nel Barbiere di Siviglia di Rossini all’Opera di Roma. Per la sua interpretazione nel film La vita è bella di Benigni gli è stato assegnato il Nastro d’argento 1998. Il 19 febbraio 1985 viene pubblicata la notizia della improvvisa dipartita del noto attore; il giornale radio ne traccia un affettuoso ritratto, interrotto dalla viva voce dell’interessato che precisa trattarsi della scomparsa di un cugino omonimo e cita la battuta di un altro vivo dato per morto, Mark Twain: «La notizia della mia morte è certamente prematura».

Lecoq

Giovanissimo Jacques Lecoq si interessa di atletica e nuoto, tanto da diventare a vent’anni istruttore di educazione fisica. Quello stesso interesse lo porterà a studiare fisioterapia per la rieducazione delle persone paralizzate. A Grenoble nel 1945 entra nella Compagnie des Comédiens diretta da Jean Dasté, cominciando a lavorare sull’uso della maschera e l’improvvisazione collettiva, un genere di gestualità lasciata all’interpretazione dello stato emotivo dell’attore. Considerando l’esperienza acquisita con lo sport, sarà lui a occuparsi della preparazione fisica degli attori, in questo modo formulando un primo prontuario di ricerca sul mimo e la possibile relazione col teatro. Il mimo dunque è interpretato come una tecnica di preparazione all’attore. Recuperando ciò che l’antropologo Jousse chiamava mimismo del gesto, Lecoq riconosce nel gesto e nella parola un livello di fusione necessaria, quel `gesto di fondo’ che indica una condizione naturale dell’uomo, e quindi dell’attore. Negli anni (dal 1945 al ’47) trascorsi a Grenoble, Lecoq partecipa all’allestimento di L’exode, di Sept couleurs e di uno spettacolo tratto da un dramma nô che Jean Dasté rielaborò da un libero adattamento di Suzanne Bing, Ce que murmure Sumida , per cui il giovane regista curerà la parte coreografica. L’anno successivo Lecoq, tornato a Parigi, diventa insegnante di `espressione corporea’ alla scuola Education par le jeu dramatique, che annovera tra i fondatori anche Barrault. Arriva infine in Italia nel 1950, a Padova, dove prepara le coreografie dello spettacolo Le lombarde di G. Testori con la regia di De Bosio; ma il periodo trascorso nella città veneta si ricorda anche per il primo debutto di una sua ideazione pantomimica dal titolo Porto di mare. Sempre a Padova seguiranno una serie di collaborazioni per le quali Lecoq sperimenterà alcune figure sceniche ispirate alla pantomima e al mimo dal carattere `burlesque’. L’interesse per la costruzione di micro-partiture fisiche dell’attore porta L. al Piccolo Teatro di Milano soltanto un anno dopo l’incontro con De Bosio. Qui lavora alle coreografie di due regie di Strehler, Elettra di Sofocle e L’amante militare di Goldoni. Altri appuntamenti importanti con la scena italiana sono Allez hop!, una regia di Lecoq per Luciano Berio (Venezia 1959), e la cura di movimenti scenici di alcune opere classiche al teatro greco di Siracusa, dal 1961 al ’66, anno in cui abbandona il teatro per dedicarsi all’insegnamento (nel 1977 nasce il Laboratoire d’etude du mouvement della sua scuola).

Trionfo

Dopo gli studi di ingegneria (durante i quali era già impegnato come musicista e pittore) Aldo Trionfo si dedicò al teatro partecipando come mimo e attore a due spettacoli di A. Fersen: La Regina di Saba (1945) e Lea Lebowitz (1946). Nel 1947 cominciò come attore, scenografo e aiuto regista il suo sodalizio (che durò fino alla fine della stagione 1952-53) con il Carrozzone di F. Piccoli, recitando soprattutto parti di caratterista in testi classici ( Un curioso accidente , 1947; La dodicesima notte di Shakespeare, 1948; Medea di Euripide, 1951; Le furberie di Scapino di Molière, 1951; Zio Vania di Cechov, 1952), in lavori di repertorio di Molnár e Giacosa e in novità come I soldati conquistatori di Joppolo (1949).

Per alcuni anni si diede al cinema collaborando alla sceneggiatura di La signora senza camelie di Antonioni (1953) e come aiuto regista di De Santis in Un marito per Anna Zaccheo (1953) e di Visconti in Senso (1954), e fu direttore artistico della Casa cinematografica Esedra. Nel 1957, a Genova, fonda la Borsa di Arlecchino, caffè-teatro in cui venivano proposti per la prima volta al pubblico italiano testi della rinascente avanguardia europea, da Ionesco (La lezione, 1957; La cantatrice calva, 1958; Jacques ou La soumission, 1958; Vittime del dovere, 1958; La ragazza da marito, 1960) a Tardieu (Solo loro lo sanno, Il linguaggio delle famiglie, Un gesto per un altro e Il signor Dieci, 1960), da Obaldia (Un coniglio molto caldo, 1958) a Beckett (Finale di partita, 1959), da Adamov (Les retrouvailles, 1958) a Genet (Alta sorveglianza, 1960), nonché ‘riviste’ poetiche e musicali dello stesso Trionfo.

Le sue prime regie professionali sono del 1963 per lo Stabile di Trieste con Storia di Vasco di Schéhadé e Tamburi nella notte di Brecht con la Stabile di Bologna. Seguono Dialoghi con Leucò da Pavese e Vinzenz o L’amica degli uomini importanti di Musil nel 1964; la novità Andiamo a guardare Sonia di Silvestri e Verucci e il Prometeo incatenato di Eschilo nel 1965. Dal 1972 al 1976 diresse lo Stabile di Torino, dove consolidò il sodalizio con lo scenografo e costumista Emanuele Luzzati. Nella scelta dei testi e degli autori ha mostrato particolare interesse per il teatro inglese del Cinque-Seicento, per lo Shakespeare di Tito Andronico e di Re Giovanni e l’anonimo Arden di Feversham fino a scandagliare il grottesco in Faust-Marlowe-Burlesque (1976) con Carmelo Bene e Franco Branciaroli.

Memorabili restano le regie di Peer Gynt (1972) e Il piccolo Eyolf di Ibsen (1968), Elettra (1974) e Edipo a Colono di Sofocle, Le baccanti di Euripide, Puntila e il servo Matti di Brecht (1970), Carnevale romano di Hubay (1981), I corvi di Becque (1980), la trilogia dannunziana La città morta , Francesca da Rimini e La nave (1988), fino alla collaborazione con il Teatro della Tosse di Genova dell’ultima Però peccato, era una gran puttana di J. Ford (1989). Dal 1980 al 1986 ha diretto l’Accademia d’arte drammatica `Silvio D’Amico’.

Cobelli

Personaggio eclettico e bouleversantGiancarlo Cobelli attraversa gli ultimi cinquant’anni dello spettacolo italiano affiancando all’esperienza teatrale quella televisiva e segnalandosi al pubblico e alla critica per il suo gusto graffiante e parodistico, sovrapponendo la smorfia al sorriso disincantato e talvolta grottesco. Formatosi dal punto di vista artistico alla scuola del Piccolo Teatro di Milano, a partire dal 1952, secondo l’insegnamento di Strehler e Decroux rispettivamente per la recitazione e per il mimo, ancora studente lascia un segno significativo in La pazza di Chaillot di Giraudoux, nel Revisore di Gogol’ e in Il dito nell’occhio (1953), allestito dalla compagnia Parenti-Fo-Durano. Nel 1957 il suo nervoso talento è protagonista dell’Histoire du soldat di Stravinskij, messo in scena per la regia di Strehler alla Piccola Scala. Pressoché contemporaneo è il debutto televisivo, con la partecipazione a numerosi programmi della tv dei ragazzi, che, con la creazione del personaggio di Pippotto, garantisce al carattere funambolesco dell’attore grande popolarità.

La gestualità beffarda dell’artista, cifra espressiva di una fisicità amplificata dai toni spesso irriverenti, esplode tuttavia nel 1959 in Cabaret ’59, presentato al teatro Gerolamo di Milano. Lo spettacolo, del quale Giancarlo Cobelli è unico interprete, preparato in collaborazione con Giancarlo Fusco, sancisce il debutto ufficiale dell’attore, che espone se stesso in un ‘recital anti-recital’, in cui la vigorosa inventiva comica, senza mai cadere nello stereotipo, evoca esplicitamente la lezione dello `Chat noir’. Il successo dello spettacolo è replicato nel dicembre dello stesso anno in Cabaret 1960 : la forma del cabaret diviene spazio privilegiato per annullare il diaframma fra sperimentazione e spettacolo, campo di battaglia nel quale il regista riesce a far esplodere le tensioni maudites della sua arte. La versatilità dell’artista è sottolineata a metà degli anni ’60 dal continuo passaggio dalla scena alla regia e alla scrittura, e dalla sovrapposizione di generi e forme: dal cabaret Cabaret n. 3 di C., Fusco, Arbasino e Mauri (1963) alla commedia musicale: Un cannone per Mariù di G. Fusco e F. Carpi (1961) e soprattutto La caserma delle fate (1964) di cui, oltre a essere protagonista e regista, fu anche autore in collaborazione con Badessi. La fine degli anni ’60 e gli anni ’70 sono dominati dalla regia attraverso la quale Giancarlo Cobelli, in un continuo processo di costruzione e decostruzione rompendo ogni possibile struttura narrativa, svolge da uno spettacolo all’altro quella che per lui è l’utopia del teatro: Gli uccelli di Aristofane (1968), Woyzec k di Büchner (1969), Antonio e Cleopatra di Shakespeare (nelle due versioni del 1972 e 1974), La pazza di Chaillot di Giraudoux (1972), La figlia di I orio di D’Annunzio (1973), L’impresario delle Smirne di Goldoni (1974), L’Aminta di Tasso, nell’elaborazione dello stesso C. e di Giancarlo Palermo (1974), e il collage Soprannaturale, potere, violenza, erotismo in Shakespeare (1975) rappresentano le tappe più significative di tale itinerario.

Bruciato ogni naturalismo, il mimo Woyzeck urla nell’agonia del corpo la fine di ogni apparenza e nota patetica, così come i personaggi shakespeariani, transitando da un testo all’altro in un’unica messa in scena, sanciscono la perenne e incontrollabile transitorietà del tempo: demistificante «pessimismo che sfocia nell’utopia» (Groppali). I classici reinventati attraverso citazioni spesso contaminate offrono così la possibilità di una ‘ribellione travestita’ al mero estetismo dell’ufficialità. Un percorso quello di Giancarlo Cobelli proseguito su registri analoghi nel corso degli anni successivi, sino ad arrivare a Un patriota per me di J. Osborne (Roma, Teatro dell’Angelo 1991), mai rappresentato in Italia e ulteriore segno della spinta trasgressiva sottesa alla linea registica e drammaturgica dell’artista. Nello stesso anno realizza Il dialogo nella palude di M. Yourcenar e, per i due spettacoli, ottiene il premio Ubu per la migliore regia 1991. Fra gli spettacoli successivi da ricordare almeno l’aspro, spoglio, feroce Troilo e Cressida di Shakespeare e per la Scala, Iphigénie en Tauride di Gluck (1992), L’angelo di fuoco di Prokof’ev (1994, ripreso nel 1999) e Il Turco in Italia di Rossini (1997).

Giancarlo Cobelli si spegne il 16 marzo 2012, all’età di 82 anni. 

Corti

Angelo Corti si avvicinò al teatro da amatore, facendo il macchinista al Teatro Donizetti di Bergamo quando arrivava una compagnia. Abbandonò il suo mestiere di rappresentante e si iscrisse alla scuola di mimo del Piccolo Teatro di Milano (dove dal 1957 diventerà assistente di M. Flach). Qui ebbe come maestro E. Decroux e conobbe Cino Tortorella, ideatore e interprete della serie di trasmissioni per ragazzi Il mago Zurlì (1955-56) in cui C. interpretava il pupazzo di gomma Pippetto. Il primo spettacolo come interprete fu Recital di mimo (1956), con la regia di M. Flach. Nel 1957 entrò al Piccolo Teatro come ‘servo di scena’ che non parla nell’ Arlecchino servitore di due padroni con la regia di Strehler e seguì le numerose tournée all’estero.

Nel 1961 è interprete in Schweyk nella seconda guerra mondiale di Brecht (regia di Strehler) e Storia di Pablo di Sergio Velitti, da C. Pavese (regia di V. Puecher). Nel 1967 debutta come doppio di Soleri nell’ Arlecchino, ruolo che sosterrà in numerose riprese fino al 1979. Nel 1984 ricopre la parte di Truffaldino in Les Esprits di Camus, da un canovaccio della Commedia dell’Arte. Ha insegnato dal 1969 al 1992, in alternanza con M. Flach, educazione del corpo, mimo e commedia dell’arte presso l’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’; dal 1978 al 1985, mimo presso la scuola di Renato Greco; dal 1983 al 1986 presso il Centro sperimentale di cinematografia. È stato uno dei protagonisti del rinnovamento nella pratica della pedagogia teatrale.

Lebreton

La biografia artistica di Yves Lebreton lo vede allievo e poi collaboratore di Decroux (dal 1964 al ’68), per fondare nel 1969 a Holstebro l’atelier Studio 2, all’interno del Teatro laboratorio interscandinavo per l’arte dell’attore di E. Barba. Si dedica allo studio degli insegnamenti di Decroux, spostando il proprio interesse verso il carattere del mimo tragico astratto; di questo periodo sono gli spettacoli I quattro elementi e Ostinazione . Nel 1971 Lebreton si mette alla prova nelle riprese del film dedicato al metodo di Decroux (Il mimo corporale), prodotto dall’Odin Teatret e diretto da Torgeir Wethal. Con il canadese Gilles Maheu nel 1973 lavorerà a Possessione seguendo le indicazioni del mimo corporeo di Decroux, ma subito inizierà la carriera di artista solitario, rivolgendosi al comico e alla comunicazione diretta con lo spettatore. Nascono spettacoli che avranno molta fortuna di pubblico per lungo tempo, in cui il gesto media la propria portata simbolica con un plot narrativo che ha al centro la figura di Monsieur Ballon (Eh? O le avventure del Sig. Ballon, del 1973; Boh! O le disavventure del Sig. Ballon, del 1981). Nel 1976, dopo la parentesi danese, si sposta a Parigi dove fonda la compagnia Théâtre de l’Arbre, diventata nel 1981 L’Albero: Centro internazionale di formazione, ricerca e creazione teatrale, con sede in Italia. Benché il suo interesse continui a ripercorrere soluzioni sceniche che uniscono tecnica del gesto e comicità ( Flash è del ’91), la ricerca di Lebreton ha avvicinato immaginari surrealisti (Droit de regard , del ’78; La cage, del ’79), fino a convertire le impennate del comico in storie tragiche dallo sfondo moralistico, come in S.O.S. del 1986.

San Francisco Mime Troupe

A cavallo tra gli anni ’60 e ’70 il nome di questo gruppo è sinonimo, negli Usa, di teatro politico. Teatro di guerriglia è anzi il termine che il fondatore del San Francisco Mime Troupe, Ronnie G. Davis, conia nel 1966 per l’attività della formazione. In realtà è il mimo classico a interessare dapprima Ronnie G. Davis, allievo a Parigi di Etienne Decroux e ballerino nella compagnia di José Limon. La componente mimico-gestuale è alla base del lavoro del gruppo, che si forma fin dal 1959 all’interno del San Francisco Actors Workshop. A partire dal 1963 il S. acquista una dimensione autonoma, anche per lo spiccato interesse che esso rivolge alle tecniche della Commedia dell’Arte. Gli happenings all’aperto nei parchi cittadini e il lavoro sulla commedia classica (Ruzante, Molière, Goldoni) non bastano più a soddisfare il bisogno di improvvisazione che il collettivo esprime e che viene utilizzato sia come processo creativo per i nuovi lavori, sia come tecnica di richiamo per il pubblico, durante gli spettacoli, realizzati prevalentemente all’aperto. Nel 1965 Davies viene arrestato, per aver rappresentato Il candelaio di Bruno nel Golden Gate Park nonostante l’autorità municipale avesse revocato l’autorizzazione per l’eccessiva `volgarità’ dello spettacolo. Anche la CIA e FBI cominciano a interessarsi al San Francisco Mime Troupe, che intanto si avvia verso una rapida politicizzazione. Una discussione sul Vietnam e sul pacifismo accompagna L’eccezione e la regola di Brecht (1965), temi ripresi anche nell’ Amante militare da Goldoni del 1967.

Un articolo di Davis apparso nel 1966 sulla “Tulane Drama Review” e intitolato Il teatro di guerriglia diventa quasi un manifesto, mentre le tecniche spettacolari (clownerie, travestimenti, umorismo slapstick, bande musicali, maschere) tendono al coinvolgimento del pubblico e il lavoro si inquadra politicamente nelle azioni della nuova sinistra americana, occasione anche per una sorta di aggressivo sodalizio con il Black Panther Party. Centerman parla delle torture fisiche e morali inflitte a un prigioniero di guerra, Search and Seizure denuncia la durezza della legge federale sugli stupefacenti. Il 1970 segna un momento decisivo nella crescita di questo teatro d’opposizione. Il lavoro di preparazione per The Congress of the White Washers (l’incompiuta Turandot di Brecht) genera una spaccatura fra i membri S. Davies si dimette (fonderà il gruppo di controinformazione Praxis) mentre il gruppo si trasforma in un collettivo che sceglie di volta in volta i temi più scottanti fra quelli denunciati dall’opposizione radicale: diritti civili e conflitto razziale, sfruttamento industriale e collusioni economico-governative rappresentano materiali di lavoro per The Dragon Lady’s Revenge (1971), Frozen Wages (1972), False promises – Nos engañaron (1976). La crisi della sinistra americana e il contemporaneo avvento dell’epoca del performer chiudono negli anni ’80 la parabola del gruppo.

mimo

Il mimo è una partitura del gesto che attraverso tecniche espressive costruisce una postura fisica e allusiva dell’attore, una figura che può fare a meno della parola perché si serve esclusivamente del corpo per comunicare, suggerendone il senso. Nel teatro greco-romano stava a indicare una composizione di natura istrionica e buffonesca non ancora autonoma dal teatro drammatico, trasformato nel XVIII secolo in genere popolare che si arricchiva di vere e proprie azioni mute tratte dal grande patrimonio pantomimico della commedia dell’arte. I mezzi non verbali dell’attore, piuttosto la mimica facciale, gli atteggiamenti e altre efficaci trovate verosimili si riassumono in una prima classificazione e separazione tra azioni mute e pantomima negli scritti di Diderot (1758), mentre è il trattatista Antonio Morrocchesi nel 1832 con le Lezioni di declamazione e d’arte teatrale a rilevare l’importanza della scena muta ma solo come ‘controscena’ all’azione dell’attore. Che il gesto e la pantomima fossero fondamentali al linguaggio teatrale, considerando il corpo un messaggero di significati più complessi (vedi L’art mimique, suivi d’un traîté de la pantomime et du ballet , Charles Aubert, 1902), bisognava attendere prima gli studi dei movimenti corporei di François Delsarte (1811-1871), e successivamente le influenze di quelle esperienze che si collegano al teatro giapponese, al cabaret di Karl Valentin o ai clown. Se Delsarte affermava che «per ogni sentimento esiste un gesto e uno svolgimento», la marionetta di Gordon Craig, e prima ancora di Kleist, sposta l’accento del corpo su una gestualità prevalentemente dinamica e scultorea decisamente influenzata dalle avanguardie artistiche del primo Novecento, e tra queste lo studio sull’improvvisazione pantomimica di Mejerchol’d definitivamente conclusosi nel riportare la biomeccanica a pratica laboratoriale. Il mimo è ancora configurato come forma teatrale non autonoma dal regista del Vieux-Colombier Jacques Copeau, benché egli affermi che possa esistere almeno teoricamente una specificità mimica nell’espressività dell’attore.

Sarà un allievo di Copeau, Decroux, a rivoluzionare quegli esercizi del corpo propedeutici alla preparazione dell’attore, sviluppandone le potenzialità corporee in quanto conoscenza e consapevolezza di sé, delle proprie energie drammatiche e spirituali, elevandole a segno d’arte. Quello che per Decroux è una pedagogia che va ben oltre lo spettacolo e che ha per fine il `mimo corporeo’ (1931), sulla stessa scia Jacques Lecoq ricercherà una propria maschera e in un secondo tempo si dedicherà all’insegnamento, altri continueranno a intendere il mimo nella direzione di elemento accessorio al teatro (Barrault) o di intensità emotiva didascalica e bozzettistica (Marcel Marceau). Mantenendo fede ai principi di autonomia artistica del mimo rispetto al teatro, Eugenio Ravo continua la lezione di Decroux, del quale è stato studente e in un secondo tempo assistente, analizzando l’espressione del corpo in un contesto di narratività partenopea, che recupera quella matrice della commedia dell’arte decisamente istrionica.

Marceau

Allievo di Charles Dullin e successivamente di Etienne Decroux, Marcel Marceau è da considerare il rinnovatore della pantomima di stile. La sua prima apparizione risale al 1947 nella pantomima Baptiste , con la compagnia Barrault-Renault. Poco dopo ha fondato una sua compagnia facendosi apprezzare in Mort avant l’aube , lavoro d’ispirazione kafkiana. La fama tuttavia doveva raggiungerla con la creazione del personaggio di Bip. Figura lunare, Bip, protagonista di brevi brani, alcuni rimasti nell’immaginario popolare (il cacciatore di farfalle, il fabbricante di maschere), ha portato sulla scena i riflessi della vita quotidiana. Fortemente segnato dall’insegnamento di Decroux e dalla straordinaria performance di Barrault nel film Les enfants du paradis , M. ha tentato di dare nel nostro tempo alla pantomima un senso e un potere che in Occidente non ha mai conosciuto. Genio solitario, ha portato i suoi spettacoli in lunghe tournée in tutto il mondo: hanno fatto storia, tra gli altri, Il mantello (1951) e Un Pierrot di Montmartre (1952). Nella sua avventura artistica non ha avuto che compagni di passaggio.

Enghibarov

Fra i migliori artisti circensi attivi in Urss nel dopoguerra, Enghibarov Leonid Georgevic nel 1959 si diploma in clownerie alla Scuola del circo di Mosca. Comincia a lavorare nel collettivo dell’Armenia, dove nel 1972 gli viene conferito il titolo di Artista del popolo. E. è uno dei primi clown moderni, che inserisce nelle proprie esibizioni fondamenti di mimo accanto a pure tecniche circensi. Per questo motivo la sua maschera è essenziale: trucco leggerissimo e costume semplice (salopette nera con una `bretella’ sempre slacciata). Dà grande importanza all’espressione facciale e al movimento del corpo, che padroneggia con utilizzo assai scarno dell’attrezzeria tradizionale del clown. La sua estetica comica viene definita ‘umana’: il suo personaggio si adatta alle circostanze mostrandosi di volta in volta triste o allegro, vigliacco o coraggioso, in una visione poetica del mondo a lui contemporaneo delle repubbliche dell’ex Urss. Valido acrobata e giocoliere, inserisce anche queste tecniche di base nel proprio repertorio di clownerie, che è vario e originale e che esegue anche in numerose tournée all’estero. Si distingue come attore teatrale di pantomima in I capricci di un clown . Interpreta vari cortometraggi comici. È autore di numerosi saggi sulla clownerie.

Wague

Professore al Conservatorio, dal 1893 Georges Wague ottiene una certa fama interpretando il ruolo di Pierrot. Nel primo decennio del Novecento si dedica al mimodramma, riscuotendo un buon successo sui palcoscenici dei music-hall e avendo come partner interpreti importanti fra le quali Colette (La Chair, 1907), Caroline Otéro (La nuit de Noël), Polaire (Zubiri). Figura significativa nell’ambito del mimo, Wague è fra gli autori del passaggio dalla pantomima ottocentesca, ancora legata a stereotipi e all’esagerazione delle espressioni corporee e facciali, al mimo moderno, caratterizzato da semplicità, gestualità sintetica, modalità espressive non convenzionali.