Lisi, Virna

La vita e la carriera di Virna Lisi, l’attrice italiana che rifiutò Hollywood per tornare in Italia.

Virna Lisi, nome d’arte di Virna Pieralisi, è stata un’attrice italiana. Nella sua carriera ha collezionato sei Nastri d’argento, quattro David di Donatello, il premio come migliore interpretazione femminile a Cannes e il titolo di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Una carriera costellata di successi che l’hanno condotta fino al tempio del cinema, a Hollywood, per poi prendere la decisione di tornare in Italia.

Virna Lisi biografia: i precoci passi nel mondo del cinema e della pubblicità

Virna Lisi trascorre l’infanzia a Jesi, in provincia di Ancona, fino a quando il padre commerciante non decide di trasferirsi con tutta la famiglia a Roma. A 17 anni inizia la sua carriera nel cinema grazie a un famoso amico di famiglia che la nota per il portamento e la bellezza. Recita in diversi film commerciali per poi lavorare prima coprotagonista con Marisa Allasio e poi con Alberto Sordi.

Ma è con la pubblicità che raggiunge la popolarità nazionale, nel 1957, a 21 anni, dove in Carosello presenta un dentifricio il cui slogan è ancora conosciuto, e ai tempi un vero tormentone nazionale: “con quella bocca può dire ciò che vuole”.

Virna Lisi, un’antidiva a Hollywood

È il 1957 e l’attrice sempre più apprezzata, recita in diversi sceneggiati per la Rai: Orgoglio e PregiuzioOttocento e in alcuni film in costume molto in voga ai tempi dove si fa notare per il portamento elegante. Viene notata anche da Giorgio Strehler che la vuole al Piccolo di Milano nei Giacobini. Lavora a teatro anche per Michelangelo Antonioni.

Nonostante sia sempre stata un’antidiva, riservata e schiva, la sua immagine diventa sempre più conosciuta. Lisi è un’attrice che buca lo schermo come poche, ma è anche professionale e di talento. Nel 1964 è al fianco di Alain Delon nel Tulipano nero di Christian Jaque.

Viene quindi chiamata ad Hollywood dove lavora per diversi anni. Recita in Come uccidere vostra moglie, U 112 – assalto al Queen Mary, Due assi nella manica. Ma la attrice non ama il cliché che lo star system americano vuole darle e sceglie di rinunciare a ruoli importanti.

Il ritorno in Italia

Lisi torna quindi in Europa dove riprende a lavorare in importanti produzioni italiane e straniere. Nel 1989 vince il Nastro d’Argento con il film di Luigi Comencini Buon Natale, Buon anno; successo che ripete nel ruolo di Caterina De’ Medici nella Regina Margot di Patrice Chèreau, che le regala la Palma d’Oro a Cannes. Nel 1996 recita nel film Va dove ti porta il cuore, mentre nel 2002 è diretta da Cristina Comencini in Il più bel giorno della mia vita. Nel 2009 ha ricevuto il David di Donatello alla carriera.

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Lucignani

Diplomatosi in regia all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’ nel 1948, Luciano Lucignani assunse la direzione del primo Teatro stabile di Firenze nel 1949, che inaugurò con la prima edizione italiana di Peccato che sia una sgualdrina di J. Ford (con F. Mammi, R. Grassilli e G. Albertazzi al suo debutto). Successivamente affiancò all’attività di regista quella di critico e studioso. Dal 1946 al ’56 fu critico del “l’Unità” di Roma. Fra gli altri suoi spettacoli si ricordano: Madre Coraggio e i suoi figli (1952, primo allestimento italiano di un testo di Brecht), La mandragola di Machiavelli (1953), Kean di Dumas nella riduzione di Sartre (1955, in collaborazione con V. Gassman), Orestiade di Eschilo nella versione di Pasolini al Teatro greco di Siracusa (interprete Gassman), Girotondo di Schnitzler e Un amore a Roma di E. Patti (1959), Elettra e Clitennestra di F. Mannino. Per il cinema ha diretto quattro film: L’amore difficile (1962), Le piacevoli notti (1966), L’alibi (in cui apparve anche come attore) e Una su tredici (1968 e 1970). Molto attivo alla Rai (come conduttore di rubriche radiofoniche e collaboratore dei programmi culturali della tv), ha insegnato recitazione al Centro sperimentale di cinematografia e, dal 1998, all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’.

Lerici

Roberto Lerici esordisce come autore negli anni ’60, all’interno della nuova avanguardia teatrale italiana, legandosi in particolare al nome di Carmelo Bene (La storia di Sawney Bean, 1964) e di Carlo Quartucci con Il lavoro teatrale (Venezia, Biennale 1969), Il gioco dei quattro cantoni (1966) e Majakovskij e compagni alla rivoluzione d’Ottobre (1967). Il decennio successivo è segnato dall’intenso lavoro con Antonio Salines e da opere come L’educazione parlamentare (1972) e Pranzo di famiglia (1973); mentre nel 1976 torna, con Romeo e Giulietta, alla collaborazione con Carmelo Bene. Quindi l’incontro con Aldo Trionfo, regista a lui congeniale per attitudini stilistiche e scelte culturali, che allestisce con la compagnia Teatro di Roma la sua commedia L’usuraio e la sposa bambina (1981). Negli anni Ottanta Lerici, che cura anche diversi adattamenti di opere di autori stranieri come Calderón, F. Wedekind, E. Labiche e N. Simon, approda al teatro brillante, realizzando un felice sodalizio artistico con l’attore G. Proietti, per il quale scrive A me gli occhi please, Come mi piace (1983) e Leggero leggero , pur non abbandonando, nel contempo, attraverso la rinnovata collaborazione con Quartucci, la via della ricerca: sono di questo periodo infatti i testi Didone (1982), Uscite (1982) e Funerale (Kassel 1982). L’ultimo anno, infine, è caratterizzato dal suo lavoro per Lucia Poli Vuoto di scena, da Cyrano de Bergerac per Salines, dall’adattamento di Appartamento al Plaza di N. Simon per G. Tedeschi e dalla stesura, a quattro mani con G. Nanni, di Alberto Moravia : a ulteriore conferma di una scrittura che, dallo sperimentalismo degli inizi al repertorio brillante e poi ancora alla ricerca, si qualifica a tutti gli effetti per la notevole versatilità.

Laing

Dopo gli studi con Margaret Craske e Marie Lambert a Londra e Olga Préobrajenska a Parigi, Hugh Laing ha fatto parte dal 1932 del Ballet Club londinese (poi diventato Ballet Rambert). Ha creato numerosi ruoli in balletti di Ashton, Howard e De Valois e soprattutto di Antony Tudor, fra i quali Jardin aux lilas (1936), Dark Elegies (1937) e, per il London Ballet (diretto dallo stesso Tudor), Judgment of Paris e Gala Performance (1938). Nel 1939 ha accompagnato Tudor negli Usa dove si è stabilito, entrando nel 1940 nel Ballet Theatre (oggi American Ballet Theatre). Lì ha danzato i balletti classici e di Fokine, Massine e De Mille, e ha creato nuovi ruoli per Tudor, fra i quali Romeo nel suo Romeo e Giulietta su musica di Delius (1943). Trasferitosi al New York City Ballet nel 1950, ha creato fra l’altro il ruolo centrale del Poeta in Illuminations di Ashton. In seguito si è dedicato alla fotografia.

Lander

Formatosi alla scuola del balletto Reale Danese con Hans Beck, Christian Christiansen e Gustav Uhlendorff, nel 1923 Harald Lander è entrato nell’omonima compagnia come danzatore di carattere. Di quello stesso Corpo di Ballo è stato direttore dal 1930 al 1950, periodo durante il quale ha intrapreso il fondamentale recupero dell’opera e dello stile del coreografo ottocentesco August Bournonville. Contemporaneamente ha contribuito a rinsaldare il repertorio con sue creazioni, tra le quali si ricordano La sirenetta (1936), The Denmark Ballet (1939) e soprattutto il virtuosistico Etudes (1948), autentico pezzo di bravura per l’intero corpo di ballo, destinato in seguito a venir rappresentato da molte compagnie internazionali, tra le quali quella della Scala. Lasciata la Danimarca a causa di un disaccordo con la direzione del Balletto Reale Danese, ha assunto la direzione della scuola di Ballo dell’Opéra di Parigi nel 1956-57 e dal 1959 al 1963; negli stessi anni ha continuato il suo lavoro di riproduttore di balletti di Bournonville e di coreografo, collaborando con l’Opéra di Parigi ( Concerto aux étoiles , musica di Bartók, 1956) e il London Festival Ballet (Vita eterna , musica di Dvorák, 1958). Rientrato a Copenaghen, nel 1962, ha creato le coreografie di Les victoires de l’amour di Lully e ha continuato l’attività fino alla sua scomparsa. Personalità centrale nella storia del balletto danese del ‘900, ha contribuito in maniera determinante al rilancio internazionale della sua tradizione didattica e coreutica, anche grazie al festival del Balletto reale danese da lui fondato nel 1950.

Liska

Formatosi al conservatorio e scuola di Ballo del Teatro nazionale di Praga, Ivan Liska dopo un primo ingaggio nell’omonima compagnia, dal 1969 al 1974 fa parte del Balletto della Deutsche Oper am Rhein e dal 1974 al 1977 della Bayerische Staatsoper di Monaco, interpretandovi i maggiori ruoli del repertorio classico ( La bella addormentata ) e neoclassico ( Apollo ). Entrato nel 1977 nel Balletto di Amburgo come primo ballerino, ne diventa ben presto uno dei protagonisti di maggior spicco grazie alla virile bellezza, ma soprattutto per la magnetica personalità teatrale e l’interessante versatilità interpretativa, evidenziata da numerosi personaggi creati per lui da John Neumeier (Orlando in Mozart e Temi da `Come vi piace’ , 1985, Peer Gynt , 1989, Mozart in Fenster zu Mozart 1991, Odyssée 1995). Interprete di tutto il repertorio della compagnia anseatica, è noto al pubblico internazionale anche per la sua interpretazione del Triadische Ballet di Oskar Schlemmer coreografato da Gerhard Bohner; ha danzato inoltre come étoile ospite in Europa a fianco di Natalia Makarova. Lasciato il Balletto di Amburgo nel 1997, nel 1998 è stato nominato direttore della compagnia della Bayerische Staatsoper di Monaco.

Lupi

Capostipite della famiglia Lupi è Luigi (Ferrara 1768 – Torino 1844): garzone di drogheria, si unisce al burattinaio Francesco Jacoponi, suo concittadino, e insieme verso il 1818 si trasferiscono a Torino dove, nel 1823, divengono marionettisti e operano al Teatro di San Martiniano fino al 1883, avendo come maschera Arlecchino. La ricostruzione della genealogia della famiglia è difficile, sia perché la stessa famiglia ha memorie incerte, sia perché tutti i primogeniti si chiamano Luigi e i secondogeniti Enrico. Il secondogenito di Luigi I, Enrico, abbandona la maschera di Arlecchino per adottare quella, piemontese, di Gianduia. È Enrico a lasciare il Teatro di San Martiniano per passare, nel 1884, al Teatro d’Angennes. Inizia il periodo di grande successo della famiglia Lupi, guidata da Luigi III (figlio di Luigi II)e Luigi IV (figlio di Enrico); i loro spettacoli divengono una delle attrazioni teatrali di Torino, con largo eco sulla stampa. Con la seconda guerra mondiale i Lupi perdono la loro sede al Teatro d’Angennes (divenuto nel frattempo Teatro Gianduia) e sono costretti ad un periodo di inattività o attività saltuaria, utilizzando un semi-interrato di via Roma. Una ripresa d’attività abbastanza regolare si ha con la concessione della sede, non felicissima, di via Santa Teresa, nella quale è stata anche allestita una mostra permanente dei materiali storici della compagnia. Fino al 1981 la Compagnia Lupi è stata diretta da Luigi V. A lui sono succeduti il figlio Luigi VII e il nipote Luigi VIII. Il patrimonio di materiali teatrali (marionette, costumi, attrezzeria, scene, copioni) della famiglia Lupi è certamente uno dei più ricchi e importanti d’Europa.

Loewe

Suo padre era l’attore cantante Edmund Loewe, primo interprete dell’operetta La vedova allegra di Léhar. Dopo aver studiato, giovanissimo, pianoforte con Ferruccio Busoni e con Eugene D’Albert e composizione con Reznicek a Berlino, dove vince il premio Hollander, nel 1924 Frederick Loewe segue il padre negli Usa. Nonostante un’ottima presentazione nell’ambiente musicale di New York (l’anno del suo arrivo tiene un concerto come pianista alla Town Hall), per i successivi dieci anni è costretto ad abbandonare la musica e ad abbracciare una professione lontana dagli interessi dell’arte. Intanto però comincia a scrivere canzoni che, a partire dal 1935, riesce a vendere con un certo successo. Si dedica allora alla composizione di canzoni e di partiture per spettacoli musicali. La sua prima commedia musicale si intitola Great Lady (1938, Majestic Theatre: i suoi lavori debuttano tutti a New York), testo di Earle Crooker, regia di Windust Bretaigne, coreografia di Balanchine. Scritta nello stile dell’operetta viennese, non ha un gran successo. Decisivo è l’incontro con il librettista e paroliere Alan Jay Lerner, tipico newyorkese: si stabilisce un’alleanza di lavoro assai proficua che non si scioglierà più. Il primo musical nato dalla loro collaborazione è The Patsy (1942); il secondo il più fortunato What’s Up (1943), che al National Theatre viene rappresentato per otto settimane, regia e coreografia di Balanchine. Il lavoro seguente (The Day Before Spring , 1945) resiste sei mesi, nello stesso teatro, con la regia di John C. Wilson, interpreti John Archer e Estelle Loring.

La grande affermazione arriva però con Brigadoon (1947), il primo musical che vince il Drama Critic Award per la miglior commedia dell’anno. La vicenda, fantastica, riguarda un villaggio del XVIII secolo che per un’antica magia emerge dalle Highlands scozzesi un giorno a ogni nuovo secolo ed è scoperto da due turisti americani. La musica richiama vecchie ballate scozzesi ma accoglie anche suoni sofisticati di Broadway: tra le canzoni più note sono “Almost Like Being In Love” e “Down on McConnachy Square”. Rappresentata al Ziegfeld Theatre con la regia di Robert Lewis e la coreografia di Agnes De Mille, la commedia teatrale è un trionfo e ha 581 repliche. In seguito divenne anche un film. Del 1951 Paint Your Wagon, un musical-western, rappresentato al Shubert Theatre con la regia di Daniel Mann, coreografia di Agnes De Mille. Il più fortunato prodotto della collaborazione Loewe-Lerner è del 1956, My Fair Lady. Ambiziosamente, la commedia si basa su Pygmalione di G.B. Shaw, e anche se Shaw rifiuta il permesso di farne un musical, il produttore inglese Gabriel Pascal, che detiene i diritti per una versione filmica, è ben determinato nel suo intento e dopo vari tentativi con altri autori si assicura la collaborazione di Loewe e di Lerner, i quali mandano in porto l’operazione dopo la morte di Pascal, avvenuta nel 1954. La vicenda segue fedelmente il copione shawiano nel portare in scena la rozza fioraia Eliza Doolittle che, sotto la guida del professore di fonetica Higgins, diventa una gran dama e frequenta i salotti dell’aristocrazia londinese. Libretto e musica fanno centro: particolarmente notevoli, sul piano romantico, i numeri “I Could Have Danced All Night” e “Without You”, e su quello umoristico “Just You Wait, `Enry ‘Iggings”, “With a Little Bit of Luck”, “Why Can’t The English Teach Their Children How to Speak?”, e soprattutto l’indiavolato terzetto “The Rain in Spain”. Rappresentato al Mark Hellinger Theatre con la regia di Moss Hart, le coreografie di Hanya Holm, i costumi di Cecil Beaton e l’interpretazione della debuttante ventiquattrenne Julie Andrews, più Rex Harrison e Stanley Holloway, My Fair Lady fa il giro del mondo, stabilendo un record di durata non ancora superato. Anche di questo musical fu ricavato il film, interpretato da Audrey Hepburn e Rex Harrison per la regia di Cukor (1967).

L’ultimo musical di Loewe (sempre in collaborazione con Lerner, che successivamente si rivolgerà ad altri musicisti) è Camelot (1960), tratto dal romanzo epico The Once and Future King di T.H. White, imperniato sulla gloriosa reggia di Camelot distrutta per l’infedeltà di Guenevere, moglie di re Artù, innamorata di sir Lancillotto. Al Majestic Theatre ha 873 repliche: il regista è Moss Hart, protagonisti Richard Burton, Julie Andrews, Roddy McDowell. Colpito da un attacco di cuore durante il lavoro compiuto per la rappresentazione di Camelot , Loewe si ritira a vita privata. Torna a lavorare con Lerner per un film del 1973 diretto da Stanley Donen, Il piccolo principe (The Little Prince), da Saint-Exupéry. Per il cinema L. aveva già lavorato in diverse occasioni, sia con interventi originali, come per una canzone scritta per il film Athena (La figlia di Nettuno, di R. Thorpe), “Baby, Its’ Cold Outside”, Oscar 1949 per la migliore canzone, e con la partitura completa di Gigi (idem, 1958, di V. Minnelli); sia curando la trasposizione su pellicola di suoi musical teatrali. Da notare che Gigi diventa una commedia musicale per le scene a seguito del successo del film, invertendo l’ordine canonico, ossia il processo di derivazione di un film dalla ribalta. Nel 1964, in Germania, si gira sulla vita del nostro musicista il film Melodien von Frederick Loewe , regia di H. Liesendahl. Tre sono i lavori teatrali che da soli hanno assicurato a Loewe la fama, Brigadoon, My Fair Lady e Camelot : in essi questo compositore ha avuto modo di dispiegare il dono felice della melodia, la piacevolezza e l’orecchiabilità dei motivi, il senso del romanzesco.

laboratorio,

Il laboratorio è luogo e condizione concreta di ricerca teatrale legata alla formazione etico-pedagogica dell’attore e alla esplorazione dell’identità espressiva di un gruppo in situazioni non necessariamente produttive. Storicamente l’idea del laboratorio nasce con la fondazione degli Studi del Teatro d’Arte di Mosca di Stanislavskij, dove lavorano tra gli altri Vachtangov e Mejerchol’d. Presente anche nel progetto di rinnovamento teatrale tentato da Copeau al Vieux-Colombier, e in particolare con la fondazione di una comunità teatrale in Borgogna, il l. si configura nel pensiero di questi grandi maestri del Novecento come la condizione necessaria alla rifondazione etico-antropologica del teatro, attraverso una messa a nudo e una ridefinizione del lavoro dell’uomo-attore. Nell’opera teatrale e parateatrale di Grotowski il laboratorio radicalizza la sua identità di luogo separato, quasi rituale, dove il performer è messo nelle condizioni di compiere un processo di autorivelazione totale, oltre la maschera delle consuetudini sociali o interpretative. Nel lavoro sul training dell’Odin Teatret e in quello più complessivo dentro all’Ista, Barba sviluppa l’istanza laboratoriale di Grotowski ed elabora una concezione del teatro stesso in termini di laboratorio di gruppo, dove l’autodisciplina e l’autoformazione permanente divengono specifiche componeneti della ricerca teatrale. Luogo insieme separato e aperto, dove è possibile compiere un incontro con se stessi e nello stesso tempo istituire relazioni con l’altro (uomini, ambiente, cultura, tradizioni, ecc.), il workshop costituisce anche l’orizzonte metodologico e teorico della `animazione’ e dei processi di formazione di natura espressiva, festiva, sociale che si riferiscono al teatro come strumento e modello di elaborazione dell’esperienza. Dentro al laboratorio il teatro incontra la scuola, il carcere, il disagio fisico e psichico, individuale e sociale, permettendo, nella sua dimensione protetta e ludica, ai soggetti coinvolti di dare forma concreta e simbolica alla propria esperienza. Interno dapprima alla storia dei gruppi teatrali e dei Centri di ricerca teatrale, oggi il laboratorio teatrale è considerato elemento strutturale non solo della ricerca e della pedagogia teatrale, ma modello di intervento formativo per ogni approccio che privilegia la dimensione del corpo, della relazione e del linguaggio simbolico.

Lagorio

Narratrice di talento e di successo ( La spiaggia del lupo , 1977; Tosca dei gatti , 1983; Il silenzio , 1993; Il bastardo , 1996), studiosa e critica ( Fenoglio , 1970; Il decalogo di Kieslowski , 1992), si è dedicata anche al teatro, con testi che affrontano casi paradigmatici di rapporti esistenziali e conflittuali: Raccontami quella di Flic (Torino 1984), Senza copione (Lugano 1989), Dolce Susanna (Washington 1992) e Dinner a Bergamo (Bergamo 1994). Le sue commedie e i radiodrammi sono stati in parte raccolti in Freddo al cuore (1989).

Laganà

La fortuna di Roberto Laganà inizia al teatro delle Muse di Catania, dove conosce i registi G. Di Martino (Il mostro di G. De Chiara, 1978), R. Bernardi (Annata ricca, massaru cuntentu di N. Martoglio, 1978) e L. Puggelli (Dal tuo al mio di G. Verga, 1977). Quest’ultimo diventa una delle figure più significative della sua carriera, grazie ad alcuni allestimenti di rilievo (I carabinieri di B. Joppolo, Catania, 1979 I Malavoglia di G. Verga, 1982; Il gallo di T. Kezich da V. Brancati, scene di P. Bregni, Catania, 1989; La lunga vita di Marianna Ucrìa di D. Maraini, Catania, 1991), di cui i più recenti La nuova colonia (Catania, 1992, con un palcoscenico occupato soltanto da un fondale di vele issato a fatica dagli attori in abiti di oggi, e Questa sera si recita a soggetto (Catania, 1993) confermano la predilezione dei due artisti per la lettura astratta dei testi pirandelliani. Con G. Di Martino, lo scenografo lavora a Si cunta e s’arricunta di G. Di Martino (Catania, 1979) e La bella addormentata di Rosso di San Secondo (Catania, 1991), mentre con R. Bernardi a Il malandrino (Catania, 1991), L’aria del continente di N. Martoglio (Catania, 1993), `U riffanti di N. Martoglio (Catania, 1994) e, tra i più recenti, a Quannu c’è sciroccu di R. Bernardi da Molière (Catania, 1996).

Lievi

Artisti raffinati e sensibili, aperti ai confronti interculturali, dopo aver raccolto riconoscimenti soprattutto in Germania, Austria e Svizzera, sono stati scoperti anche in Italia. Cesare Lievi, dal 1996, è direttore artistico del Centro Teatrale Bresciano. La loro idea di teatro trova radice in Germania e nei paesi di lingua tedesca. Per i Lievi mettere in scena uno spettacolo significa entrare in sintonia con l’autore, capirne profondamente il linguaggio, cercare tramite la sua traduzione scenica di farne fiorire le potenzialità espressive. Compito degli attori è rendere vivo il testo, facendolo proprio per consentire sulla scena la ‘resurrezione’; una vitalità scenica sostenuta e consolidata dalle splendide scenografie di Daniele Lievi che cercava vita nella parola, trasformava in immagini evocative i sentimenti sottesi a essa. La mobilità dei fondali, i colori, i meccanismi più articolati e in generale tutti gli arredi scenici creati dall’artista scomparso erano in grado di trasporre liricamente i drammi e le gioie, i sogni e le utopie vissuti dai personaggi. La carriera teatrale dei Lievi ha avuto inizio nei primi anni ’80 nei locali di un’antica caserma, alle spalle del loro paese natio. Mitologie personali, brani di autobiografia, ma anche citazioni di classici caratterizzavano l’originale poetica di Cesare e Daniele.

Nel 1979 la coppia fonda insieme al costumista Mario Braghieri il Teatro dell’Acqua per il quale realizzano lavori di grande interesse, che culminano con l’allestimento di Paesaggio con Barbablù di Lievi Tieck, giunto nel 1984 alla ribalta internazionale. Con questo spettacolo si definisce la contraddizione vitale che sta all’origine del teatro dei due fratelli: l’iterazione del gesto omicida di Barbablù – tra amore e morte – che uccide tutte le sue sette mogli, rievoca il senso stesso della rappresentazione teatrale che si ripete e si consuma ineludibilmente ogni sera. Invitati in Germania, i Lievi nell’anno successivo hanno realizzato per la Hochschule di Francoforte la messinscena di Le miniere di Falun di Hofmannsthal (che porteranno anche in Italia a Udine per un’unica tappa, 1985): è stato questo l’inizio di una memorabile avventura nei paesi di lingua tedesca, con regie commissionate fra gli altri dalla Schaubühne di Berlino e dal Burgtheater di Vienna. Tra gli spettacoli di maggior successo si ricordano Il ritorno a casa di Cristina di Hofmannsthal (1987), Sonata di fantasmi di Strindberg (1988), Il nuovo inquilino di Ionesco (1988), Kaulmthchen von Heilbronn di Kleist (1988), Enrico IV di Pirandello (1989), Fratelli d’estate di Cesare Lievi (1992), oltre a numerose regie di opere liriche. La presenza dei Lievi sui palcoscenici italiani nella seconda metà degli anni ’80 è circoscritta ai due spettacoli del progetto Goethe di Brescia, Torquato Tasso (1986) e Clavigo (1988) e a La morte di Empedocle di Hölderlin (Gibellina 1987). Attingendo alla classicità del romanticismo tedesco, i tre spettacoli ruotavano attorno al tema dell’individuo e in particolare dell’intellettuale nei suoi rapporti con il potere. Ma il fascino e la novità di questi spettacoli non sono stati sufficienti a radicare in patria il lavoro dei Lievi.

Dopo una brevissima esperienza di nomina di direttore allo Stabile bresciano, Cesare è tornato ad operare in Italia nel 1991 alla Scala con Parsifal di Wagner, nel 1992 con la ripresa di Paesaggio con Barbablù (Mittelfest a Cividale del Friuli) e con il suo Varietà, un monologo (Teatro dell’Acqua). Culmine di questa fase di un’originale ricerca drammaturgica e registica, sospesa tra tradizione e teatro visivo, è stata la realizzazione per il Centro servizi spettacoli di Udine di Tra gli infiniti punti di un segmento (1995), allestimento ambientato in una stanza chiusa e animata nella quale attori-attrezzisti rendono viva la narrazione, muovono fondali, spostano sipari, cantano lieder di Schubert e gridano parole di dolore sulla incomprensione di ogni rapporto umano. Immagini di grande intensità emotiva che pervadono i personaggi ma che si estendono anche alle morbide linee delle scenografie, ai colori, alle silhouette che danno vita al paesaggio. Il grande successo di questo suo testo ha costituito le premesse per una completa affermazione di Lievi nelle nostre scene segnate l’anno seguente dalla regia di Donna Rosita nubile di García Lorca (1996) e dall’assunzione della direzione del Centro teatrale bresciano per cui ha curato l’allestimento del suo Festa d’anime , di Schifo di Robert Schneider. A nove anni dall’allestimento di Basilea Lievi cura la traduzione in italiano e una nuova messinscena di Caterina di Heilbronn di Kleist (con le stesse scene del fratello ormai non più al suo fianco), fiaba romantica che il regista racconta con un’altra fiaba, in cui i sentimenti danno scacco alla ragione. Ultime regie sono Nina o sia La pazza per amore di Paisiello (1998) per l’Opera di Zurigo e Manon di Massenet per l’Opera di Berlino (1998).

Lupo

Lupo Alberto ebbe i suoi esordi tatrali nel 1946 al Centro sperimentale `L. Pirandello’ di Genova, allora importante vivaio di attori e registi, dove rimase fino al 1952. Notato da Giorgio Strehler, fu scritturato al Piccolo Teatro, dove, per una breve ma intensa stagione, dal 1952 al 1953, partecipò a Elisabetta d’Inghilterra di Bruckner, a Elettra di Sofocle, a Il revisore di Gogol, a L’ingranaggio di Sartre, a Sacrilegio massimo di Stefano Landi Pirandello, a Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello. Nel 1953-54 è con Gino Cervi (Cyrano di Bergerac regia di Rouleau); nella stagione 1954-55 è uno dei protagonisti di Corte marziale per l’ammutinamento dei Caine , regia di Luigi Squarzina. E, nel 1955, Anton Giulio Majano lo vuole in televisione per il ruolo del giovane professore di Piccole donne : è l’inizio di uno strepitoso successo, soprattutto tra il pubblico femminile, affascinato dalla sua voce profonda e suadente. Interpretò una ventina di teleromanzi (tra i più noti: Capitan Fracassa , Padri e figli , Il vicario di Wakefield , Le due orfanelle , Una tragedia americana , I Giacobini ), fino al popolarissimo sceneggiato La cittadella (1964), grazie al quale, nella parte del dottor Manson, divenne uno dei simboli della tv romantica. Si propose anche nelle vesti di garbato presentatore in spettacoli leggeri, come Teatro 10 (1971), dove interpretò con Mina la famosissima “Parole parole”.

Lattanzi

Tina Lattanzi inizia a recitare nel 1923 con la compagnia di T. Pavlova, grazie all’aiuto di V. De Sica. Successivamente lavora per diverse compagnie, tra cui quella di Ruggeri e la Za Bum di Mattoli, affermandosi soprattutto nei ruoli di `seconda donna’. Nel 1936 recita in Carità mondana di G. Antona. Traversi e ne Il dolce aloe di J. Mallory con la compagnia del Teatro di Milano diretta da R. Calò. Dopo l’incontro con il regista Guido Brignone abbandona l’attività teatrale, dedicandosi quasi esclusivamente al doppiaggio cinematografico. Tra il 1930 e il 1960 la sua voce dà vita, in Italia, ai grandi miti del cinema hollywoodiano: Greta Garbo, Marlene Dietrich, Rita Hayworth, Joan Crawford. Sua è anche la voce di Anna Magnani al suo primo ruolo cinematografico. Negli anni ’70 ritorna, sporadicamente, sulle scene teatrali: sotto la guida di Aldo Trionfo interpreta Nerone è morto ? di M. Hubay (1974), Lady Edoardo di F. Cuomo (1978) e nel 1981 riveste la parte della Regina madre in Becket e il suo re di J. Anouilh. Da ricordare anche la sua attività cinematografica, dove interpretò soprattutto ruoli di donne aristocratiche ( Rubacuori, Passaporto rosso, Teresa Confalonieri ).

Lombardi

A Firenze Sandro Lombardi studia e si laurea in storia dell’arte nel 1977. È allievo di P. Schumann, R. Wilson, E. Barba e Grotowski. La sua carriera teatrale, dopo questo periodo di formazione, si identifica con quella del Carrozzone, da lui fondato nel 1972 con Marion D’Amburgo e Federico Tiezzi (in seguito prenderà il nome di Magazzini criminali, poi di Compagnia teatrale i Magazzini). Dal 1972 al 1987 partecipa a Morte di Francesco , La donna stanca incontra il sole , Punto di rottura , Crollo nervoso , Sulla strada , Genet a Tangeri , Ritratto dell’attore da giovane , Vita immaginaria di Paolo Uccello , Artaud , Come è . Interpreta inoltre testi di Achternbusch, Luzi , Pasolini. Lavora con musicisti e pittori contemporanei ed è autore di numerosi contributi sul teatro apparsi in cataloghi d’arte e riviste specializzate. Nel 1989 con Hamletmaschine di Müller ottiene il primo premio Ubu come miglior attore (il secondo, per l’interpretazione di Edipus , e il terzo, per Cleopatràs , entrambi di G. Testori, gli vengono assegnati rispettivamente nel ’94 e nel ’97). Ha impersonato Dante nelle tre cantiche messe in scena dalla sua compagnia in collaborazione con E. Sanguineti, M. Luzi e G. Giudici. È stato il padre e Spinoza in Porcile di Pasolini, Pontormo in Felicità turbate scritto da Luzi nel 1995, Matamoro nell’ Illusion comique di Corneille (regia di G. Cobelli). Dal 1997 in poi, oltre a Nella giungla delle città di Brecht, ha recitato il Cantico delle creature (alla Scala) e, sempre per la regia di Tiezzi, è stato impegnato nell’ Assoluto naturale di G. Parise.

Lunt

Alfred Lunt sposò nel 1922 l’attrice inglese Lynn Fontanne (1887-1983) che fu sua compagna di vita e di scena per quasi quarant’anni (si separarono solo nel 1928 per interpretare due novità di O’Neill, lui Marco Millions e lei Strano interludio ). Insieme trionfarono per alcuni decenni sui palcoscenici di Broadway e di Londra in commedie scritte su misura per loro da eccellenti artigiani come N. Coward, S.N. Behrman e R. Sherwood, ma anche in opere più impegnative come La bisbetica domata di Shakespeare, Anfitrione 38 di Giraudoux e La visita della vecchia signora di Dürrenmatt, nel 1958, con la regia di P. Brook, ultimo loro successo. Erano apprezzati per il perfetto senso del ritmo, la straordinaria compatibilità e la capacità di essere irresistibilmente scintillanti nella commedia e sottilmente inquietanti nel dramma, anche se avevano affrontato solo di rado opere e personaggi degni del loro talento.

Landolfi

Solitario, colto, dandy, Tommaso Landolfi è uno degli autori più raffinati del secondo Novecento italiano. La sua narrativa, in cui il gioco e la mistificazione convivono con una tragica visione esistenziale, svaria dal simbolismo al realismo magico, dal romanticismo artefatto allo psicologismo gratuito, lasciando trasparire dietro la raggelante intelligenza una coinvolgente passionalità: Dialogo dei massimi sistemi (1937), Il mare delle blatte e altre storie (1939), Cancroregina (1950), Racconto impossibile (1966) e altri. La sua produzione teatrale non è paragonabile a quella narrativa. Suo primo testo drammatico – scritto nel 1956 – è il fortemente biografico Landolfo VI di Benevento. Nel 1961 viene trasmesso l’originale televisivo Cagliostro , mentre nel 1969, al Teatro Arlecchino di Roma, viene rappresentato Faust ’67 (opera vincitrice del premio Pirandello nel 1968), per la regia di S. Sequi. L. è anche stato autore di alcuni atti unici radiofonici, tra cui ricordiamo La farfalla strappata, La tempesta , Il dente di cera, trasmessi nel 1970, e Teatrino , andato in onda l’anno successivo.

Lang

Jack Lang è da molti anni al centro della vita culturale e istituzionale francese. Studente e poi professore di diritto, è entrato ben presto nelle file del Partito socialista francese, per il quale ha ricoperto numerose cariche elettive e istituzionali. Soprattutto legato alla figura del presidente F. Mitterrand, Lang è stato a più riprese Ministro della cultura (1981-86, 1988-91) e dell’educazione (1991-93). Attualmente presiede la commissione Affari esteri dell’Assemblea nazionale. Accanto alla carriera politica e a quella accademica, Lang ha sempre mantenuto viva la sua passione per il teatro, con un impegno attivo nell’organizzazione e direzione di festival ed enti teatrali, in Francia e all’estero. Ideatore e direttore del Festival International du Théâtre di Nancy (1963-1977), direttore del Théâtre National de Chaillot (1972-1974), dal gennaio 1997 al luglio 1998 ha diretto il Piccolo Teatro di Milano.

Lichine

Nato Lichtenstein, David Lichine è emigrato dalla Russia ed ha studiato con Ljubov’ Egorova e Bronislava Nijinska; ha danzato nelle compagnie di Ida Rubinstein e di Anna Pavlova prima di entrare a far parte dei Ballets Russes de Monte-Carlo, dove ha danzato dal 1932 al 1945 in coreografie di Balanchine (Le bourgeois gentilhomme) e di Massine (J eux d’enfants, Le Beau Danube, Choreartium ). Ha incominciato a coreografare nel 1933, e fra i suoi titoli ( Francesca da Rimini, Il figliol prodigo ) è certamente Graduation Ball (1940) quello più conosciuto. Sposato con Tatjana Rjabušinskaja, ha fatto parte del Ballet Théâtre, continuando a coreografare per il balletto del Teatro Colón di Buenos Aires, per Broadway e altre compagnie, e insegnando a Los Angeles.

Lombardo Radice

Giovanni Lombardo Radice è direttore artistico della Cooperativa per Attori e del Teatro della Cometa di Roma. Dopo aver lavorato, tra gli altri, con registi come Aldo Trionfo e Giancarlo Cobelli, in veste di regista ha messo in scena opere di Shakespeare, Marivaux, Lorca, Strindberg, Scarpetta, per poi concentrarsi, soprattutto negli anni Novanta, sulla drammaturgia contemporanea inglese e americana, presentando in Italia autori come Ayckbourn, Gurney, Griffin, Kevenson, Durang, Keatley.

Luzi

Tra i massimi esponenti della poesia del Novecento (Il giusto della vita, Su fondamenti invisibili, Al fuoco della controversia), saggista finissimo (L’inferno e il Limbo, Vicissitudine e forma), più volte candidato al premio Nobel per la letteratura, Mario Luzi ha scritto il suo primo testo teatrale nel 1947 ( Pietra oscura, rappresentato solo nel 1998) al quale sono seguiti, molto più tardi, nel 1971 il poemetto drammatico Ipazia , Rosales (1983) e Hystrio (1987). È stato ispiratore del Progetto Divina Commedia, teso alla messa in scena delle tre cantiche del poema da parte dei Magazzini (nel 1992 curò l’adattamento del Purgatorio ). Nel 1995 al Maggio musicale fiorentino ha debuttato Felicità turbate , testo nel quale L. ha ricostruito la figura del pittore Jacopo Carucci detto il Pontormo. Notevoli le sue traduzioni teatrali: Andromaca di Racine, Riccardo III di Shakespeare.

Le Gallienne

Eccellente interprete di Ibsen, Cechov, Shakespeare e Schiller, si impose nella storia della scena statunitense soprattutto per i due tentativi di dar vita a New York a un teatro di repertorio, nel quale presentare opere artisticamente valide con una compagnia stabile e a prezzi popolari. Il primo, il Civic Repertory Theatre, in attività dal 1926 al 1933, fu vittima della crisi economica; il secondo, l’American Repertory Theatre, fondato nel 1946, durò meno di due stagioni. Per il Civic L.G. aveva scritto e interpretato un adattamento di Alice nel paese delle meraviglie .

Lubovitch

Formatosi presso la Juilliard School con Sokolow e Graham, entra a far parte dell’Harkness Ballet (1967-69). Costumista e tecnico luci per Falco e Ailey, fonda un suo gruppo nel 1969, creando brani di stile schiettamente moderno come Whirligogs (1970), Some of the Reactions of Some of the People Some of the Time upon Hearing the Reports of the Coming of the Messiah (1971), Considering the Lilies (1972), Three Essays (1974), Marimba (1977), North Star (1978), Cavalcade (1981), Fandango (1990). Coreografo eclettico e di spiccata musicalità, lavora anche a Broadway ( Scarpette rosse , Il re ed io ) e per il pattinaggio sul ghiaccio ( The Planets ).

Latour

Diplomata all’Accademia nazionale di danza, dove studia con Kurt Jooss, Boris Kniaseff e Mila Cirul, dal 1972 al 1981 progetta opere interdisciplinari con il Gruppo Altro, composto da artisti di varie discipline. Fonda nel 1986 la compagnia Altroteatro e si concentra sull’analisi del movimento, che concilia al costante riferimento alle avanguardie storiche e alla contaminazione artistica in opere come Frilli Troupe (1986), Anihccam (1989), Marmo asiatico (1993), Ultramarine 1995.

Lavaudant

Il sodalizio di una vita con lo scenografo e costumista Jean-Pierre Vergier risale al primo successo di Georges Lavaudant al Théâtre du Rio di Grenoble con il Lorenzaccio di De Musset (1973). Lo spettacolo sarà ripreso due anni dopo dalla compagnia del Théâtre Partisan, che Lavaudant aveva fondato, sempre a Grenoble, cinque anni prima. Dal 1976 al 1986, con Gabriel Monnet, Lavaudant dirige il Centre dramatique national des Alpes (Cdna); poi, con Roger Planchon, è responsabile del Théâtre national populaire di Villeurbanne (Tnp); nel 1996 sostituisce Lluís Pasqual alla direzione del Théâtre de l’Odéon. In un’intervista a “Le Monde” nel 1976 Lavaudant afferma: «L’arte non è più rivoluzionaria. C’è sempre il piacere di riprodurre le belle cose già fatte, con in più l’umorismo e la coscienza storica». I primi allestimenti di Lavaudant saranno infatti costituiti da collage di testi, da stratificazioni di frammenti o da monologhi dilatati. Frutto di questa concezione `situazionista’ del teatro è, per esempio, l’allestimento di Palazzo mentale di Pierre Bourgade (1976, ripreso nel 1986). Successivamente, l’interesse per la costruzione testuale lascia spazio alla centralità della recitazione, che Lavaudant vuole istintiva, ‘infra-razionale’. In questa chiave vengono messi in scena i classici, Brecht (Baal), Pirandello (I giganti della montagna), Shakespeare (Riccardo III), Genet, Racine, Büchner; ma anche testi dello stesso Lavaudant (Les Tueurs, L’ItalieLes cannibales, Veracruz, Les Iris, Terra Incognita, La dernière nuit, la serie Lumières – in collaborazione con J.-C. Bailly e M. Deutsch -, Amour, politique et cha-cha-cha, Six fois deux, Bienvenue, Triptyque) e opere di numerosi contemporanei, in particolare Jean-Christophe Bailly (Les Céphéides, 1983; Le Régent 1987; Pandora 1992; Reflets 1997), Le Clézio (Pawana, 199, Odéon) e Denis Roche. Nel 1995, a Strasburgo (Opéra du Rhin), Lavaudant ha curato la regia di Prova d’orchestra , da Fellini, su libretto e musica di Giorgio Battistelli.

Loukos

Approdato in Francia negli anni ’60, dopo essere stato allievo di Franchett Yorgos Loukosi ha iniziato la sua carriera presso il Théâtre du Silence di B. Léfebre. Successivamente ha danzato con Neumeier all’Opéra di Zurigo e ha avuto esperienze al Metropolitan di New York. Passato a Marsiglia accanto a R. Petit, è stato per vari anni al fianco del celebre coreografo soprattutto in veste di assistente e di riproduttore di balletti. In possesso di ottime doti di organizzatore, dal 1984 è stato chiamato a dirigere il Balletto dell’Opera di Lione e dal 1991 anche il festival internazionale di danza di Cannes.

Lega Italiana Improvvisazione Teatrale

La Litt (Lega Italiana Improvvisazione Teatrale) nasce a Firenze nel 1988 (fondata da Francesco Burroni, Fiamma Negri, Daniela Morozzi e Bruno Cortini); nel 1990 debutta in Italia a Firenze con il primo Campionato nazionale di Match d’improvvisazione teatrale, riscuotendo ampio successo. Attualmente la Litt è presente con i propri corsi di teatro a Roma, Firenze, Bologna, Torino, Varese, dove ogni anno vengono organizzati campionati professionisti e amatoriali. Dal maggio del 1990 a oggi la Litt ha partecipato ai mondiali di Bruxelles (1990), Montreal (1992), a tournée in Belgio, Svizzera, Francia e agli Internazionali di Ginevra e Parigi. L’idea del Match d’improvvisazione teatrale è venuta a R. Gravel e Y. Leduc, nel 1977, entrambi attori canadesi e appassionati di hockey su ghiaccio, che tentarono di fondere lo sport con l’arte teatrale. Il match contrappone due squadre di attori che, all’interno di un parterre, si sfidano improvvisando su temi segreti estratti a sorte o suggeriti, nel corso della partita, dal pubblico. Il pubblico ha un ruolo fondamentale poiché vota e stabilisce chi vince ogni round. La Litt negli ultimi anni ha allargato le sue possibilità e i suoi ambiti: nel 1998, oltre ai campionati professionisti a Roma, ha prodotto lo spettacolo Zocca, Zocca, Zocca di D. Morozzi e G. Musso e un’improvvisazione ispirata all’ Antologia di Spoon River per la regia di F. Rossi.

Lopez

Sorella minore della Argentinita, Pilar Lopez debutta in un suo spettacolo a soli sette anni, entrando in breve tempo nella Gran compagnia di balli spagnoli da quella fondata con Federico García Lorca e partecipando a tutte le produzioni. Alla morte dell’Argentinita, fonda il Ballet Espanol (1946) del quale è prima ballerina accanto a José Greco e Manuela Vargas e con questo produce accanto ai tradizionali spettacoli di baile numerosi balletti tra i quali Il cappello a tre punte (1949), Concerto de Aranjuez , musica di Joaquín Rodrigo 1953), Preludes et images , musica di Claude Debussy. Formatasi alla scuola colta e moderna dell’Argentinita, è stata interprete di grande raffinatezza stilistica e nobiltà gestuale e preziosa innovatrice della danza spagnola che con lei ha assunto una maggiore teatralità e consistenza coreografica. Fondamentale anche la sua opera didattica: ha formato molte personalità della danza spagnola come Antonio Gades, José Greco e Mario Maya.

Lecoq

Giovanissimo Jacques Lecoq si interessa di atletica e nuoto, tanto da diventare a vent’anni istruttore di educazione fisica. Quello stesso interesse lo porterà a studiare fisioterapia per la rieducazione delle persone paralizzate. A Grenoble nel 1945 entra nella Compagnie des Comédiens diretta da Jean Dasté, cominciando a lavorare sull’uso della maschera e l’improvvisazione collettiva, un genere di gestualità lasciata all’interpretazione dello stato emotivo dell’attore. Considerando l’esperienza acquisita con lo sport, sarà lui a occuparsi della preparazione fisica degli attori, in questo modo formulando un primo prontuario di ricerca sul mimo e la possibile relazione col teatro. Il mimo dunque è interpretato come una tecnica di preparazione all’attore. Recuperando ciò che l’antropologo Jousse chiamava mimismo del gesto, Lecoq riconosce nel gesto e nella parola un livello di fusione necessaria, quel `gesto di fondo’ che indica una condizione naturale dell’uomo, e quindi dell’attore. Negli anni (dal 1945 al ’47) trascorsi a Grenoble, Lecoq partecipa all’allestimento di L’exode, di Sept couleurs e di uno spettacolo tratto da un dramma nô che Jean Dasté rielaborò da un libero adattamento di Suzanne Bing, Ce que murmure Sumida , per cui il giovane regista curerà la parte coreografica. L’anno successivo Lecoq, tornato a Parigi, diventa insegnante di `espressione corporea’ alla scuola Education par le jeu dramatique, che annovera tra i fondatori anche Barrault. Arriva infine in Italia nel 1950, a Padova, dove prepara le coreografie dello spettacolo Le lombarde di G. Testori con la regia di De Bosio; ma il periodo trascorso nella città veneta si ricorda anche per il primo debutto di una sua ideazione pantomimica dal titolo Porto di mare. Sempre a Padova seguiranno una serie di collaborazioni per le quali Lecoq sperimenterà alcune figure sceniche ispirate alla pantomima e al mimo dal carattere `burlesque’. L’interesse per la costruzione di micro-partiture fisiche dell’attore porta L. al Piccolo Teatro di Milano soltanto un anno dopo l’incontro con De Bosio. Qui lavora alle coreografie di due regie di Strehler, Elettra di Sofocle e L’amante militare di Goldoni. Altri appuntamenti importanti con la scena italiana sono Allez hop!, una regia di Lecoq per Luciano Berio (Venezia 1959), e la cura di movimenti scenici di alcune opere classiche al teatro greco di Siracusa, dal 1961 al ’66, anno in cui abbandona il teatro per dedicarsi all’insegnamento (nel 1977 nasce il Laboratoire d’etude du mouvement della sua scuola).

Lassalle

Inizialmente studente del conservatorio, Jacques Lassalle fonda nel 1967 lo Studio-Théâtre Vitry, dove si occupa della rivisitazione di alcuni classici ancora poco conosciuti in Francia (Goldoni con Le baruffe chiozzotte , Bilora e Il parlamento di Ruzante) e, parallelamente, della diffusione dell’opera di autori contemporanei come Kundera, Vinaver, Anna Seghers, Henkel. Dopo qualche anno si dedica in prima persona alla scrittura per il teatro – che egli designa con l’espressione «teatro al presente e non del quotidiano» – con Jonathan des années trente , Un couple pour l’été , Le soleil entre les arbres , Un dimanche indécis dans la vie d’Anna , Avis de recherche. Parallelamente L. porta avanti l’attività di docente all’università Sorbonne-Paris III (fino al 1971) e al Conservatorio nazionale delle arti drammatiche (1969-’71). Gli anni tra il 1981 e il 1983 sono particolarmente fertili: realizza, per la Comédie-Française, La locandiera di Goldoni e I villeggianti di Gor’kij e, per l’Opéra di Parigi, Lohengrin di Wagner e Lear di Aribert Reimann. Nel 1983 gli viene inoltre affidata la carica di direttore del Teatro nazionale di Strasburgo (Tns) e della Scuola delle arti drammatiche. Al Tns realizza, tra le altre opere, un memorabile Tartuffe con Dépardieu e Périer. Nel suo repertorio Goldoni continua ad avere un’importanza fondamentale, accanto a Marivaux, Lessing, Ibsen e Molière. Tra i suoi collaboratori più assidui, gli attori Hubert Gignoux, Maurice Garrel e Emmanuelle Riva, Vinaver per la scrittura, Kokkos e Sire per la scenografia e i costumi. Nel 1990 viene nominato amministratore generale della Comédie-Française. Ultimato il suo incarico, torna alla libera professione di regista.

Luttazzi

Mentre studia giurisprudenza all’università della città natale, Lelio Luttazzi comincia a comporre canzoni, partecipa a spettacoli studenteschi e suona il pianoforte per Radio Trieste. Dopo la fine della guerra 1940-45 si trasferisce a Milano, dove collabora col cantante Teddy Reno per la sua produzione discografica. Appassionato di jazz, assimila la lezione americana infondendovi lo spirito italiano nella composizione di canzoni. Le principali sono: “Muleta mia” (per Teddy Reno), “Il giovanotto matto” (per Ernesto Bonino), “Quando una ragazza a New Orleans” (per Jula De Palma), “Una zebra a pois” (per Mina), e poi “Calypso Goal”, “Cogoleta”, “Michèlle”, “Sabrina”, “Lullaby”, “Promesse di marinaio”, “Troppo tardi”, “Il male oscuro”, “Legata ad uno scoglio”, “Il favoloso Gershwin” e altre. Cura intanto per la radio alcuni programmi musicali come “Hit Parade” e “Motivo in maschera”; partecipa, in diversi ruoli, a trasmissioni televisive di musica e varietà come “Ieri e oggi”, “Studio Uno”, “Questo nostro cinema”, “Sentimentale”, “Il paroliere”, “Musica insieme”, “Teatro Dieci”, “Il signore di mezza età”. È presente anche in diversi Caroselli. Per il teatro musicale fornisce alcuni motivi, insieme ad altri, a Ciao fantasma (1952), rivista di Scarnicci e Tarabusi, con Ugo Tognazzi e Elena Giusti; poi è autore in proprio, negli anni ’50, delle musiche delle seguenti riviste (tutte di Scarnicci e Tarabusi, salvo indicazioni contrarie): Barbanera… bel tempo si spera (con Ugo Tognazzi e Elena Giusti, 1953); Tutte donne meno io (con Macario e Carla Del Poggio: comprende una canzone di grande successo, “Souvenir d’Italie”, 1953); Passo doppio (con Ugo Tognazzi e Dorian Gray, 1954); Campione senza valore (con Ugo Tognazzi e Hélène Rémy, 1955); Gli italiani sono fatti così (di Marchesi, Metz e Verde, con Billi e Riva, 1956); Uno scandalo per Lili (con Ugo Tognazzi e Lauretta Masiero, 1957); Il diplomatico (con Carlo Dapporto e Elena Giusti, 1958); Io e la margherita (di e con Walter Chiari, 1959).

Una canzone composta da Luttazzi per il Quartetto Cetra, “Vecchia America”, è compresa nella rivista Gran baldoria (1951) di Garinei & Giovannini. Intanto si occupa della composizione di colonne sonore per il cinema, quasi sempre per commedie. Senza contare le trasposizioni sullo schermo di programmi radiofonici (come “Motivo in maschera”, 1955, di Stefano Canzio: L. vi partecipa anche come collaboratore al soggetto e interprete) e le pellicole che prendono spunto da sue canzoni (come Souvenir d’Italie , 1956, di Antonio Pietrangeli, e Promesse di marinaio , 1958, di Turi Vasile), tra i film per i quali L. cura le musiche occorre citare: Totò lascia o raddoppia? di Camillo Mastrocinque (1956), Totò, Peppino e la malafemmina ancora di Mastrocinque (1956), Agguato a Tangeri di Riccardo Freda (1957), Classe di ferro di Turi Vasile (1957), Ragazza in blue-jeans di Domenico Paolella (1957), Adorabili e bugiarde di Nunzio Malasomma (1958), Venezia, la luna e tu di Dino Risi (1958), Le bellissime gambe di Sabrina di Mastrocinque (1958), Guardia, ladro e cameriera di Steno (1958), Il nemico di mia moglie di Gianni Puccini (1959), Psicanalista per signora di Jean Boyer (1959), Risate di gioia di M. Monicelli (1960), Peccati d’estate di Giorgio Bianchi (1962), La presidentessa di Luciano Salce (1977). In alcuni altri film L. figura come interprete, tra i quali la commedia di costume L’ombrellone di Dino Risi (1965) e il film drammatico L’avventura di M. Antonioni (è lo snob cavalier servente della proprietaria dello yacht che porta i personaggi della vicenda alle isole Eolie, 1959). Inquieto e insoddisfatto, incappato – agli inizi degli anni ’70 – in disavventure giudiziarie, Luttazzi è autore anche di alcuni libri, di racconti e di soggetti. Lo si può definire musicista autodidatta, elegante e di buona vena, attento ai risultati dello swing americano (i suoi modelli appaiono Gershwin come autore e Sinatra come esecutore) ma perfettamente inserito nel melodismo all’italiana.

Lay

Ubaldo Lay debutta in teatro nel 1946 nella rivista Niente abbasso, solo evviva con Cimara, Proclemer, Bonucci e Caprioli, entrando poi nella compagnia Merlini-Scelzo. Nel 1947 recita con la Compagnia di prosa di radio Roma dove rimane per otto anni, interpretando duemila spettacoli di prosa con la sua voce inconfondibile, diventando assai popolare. Approda in televisione partecipando allo sceneggiato L’alfiere (1957). Dopo una breve attività cinematografica torna al piccolo schermo in Giallo club. Invito al poliziesco (1959), un programma del genere americano a metà tra il quiz e lo sceneggiato giallo, nei panni del Tenente Sheridan, sempre avvolto nel suo impermeabile bianco, il personaggio che lo renderà famoso al punto da essere scambiato nella realtà per un poliziotto vero, e quindi invitato a sciogliere dei piccoli gialli. Interpreta questo ruolo fino al 1972, nella serie La donna di picche. La sua ultima apparizione in televisione risale al 1984, come tenente in pensione nella miniserie Indagine sui sentimenti.

Lo Monaco

Dopo gli studi all’Accademia d’arte drammatica ‘S. D’Amico’, Sebastiano Lo Monaco debutta nel 1979 con La lupa di Verga (regia di E.M. Salerno); nel 1980 è con Salvo Randone in Edipo . Con lo Stabile di Torino lavora a fianco di Adriana Asti in Come tu mi vuoi , di Annamaria Guarnieri in Antonio e Cleopatra , ed è Diafoirus nel Malato immaginario per la regia di Missiroli. Nel 1989 inizia l’attività di primattore e impresario; realizza Hystrio di Luzi con Paola Borboni (regia di Bitonti). Dal 1990 al ’98 è protagonista di Tartufo (regia di Guicciardini), Così è (se vi pare) e Il berretto a sonagli (regia di Bolognini), Questa sera si recita a soggetto e Sei personaggi in cerca d’autore (regia di Patroni Griffi). Nel cinema ha debuttato con Festa di laurea di Pupi Avati (1985); quindi è tra gli interpreti di La romana (regia di Patroni Griffi), Dove siete? Io sono qui (regia di L. Cavani). Un personale successo ha riscosso in tv con La piovra 9 e con Un prete tra noi .

Lessing

Nata in Iran, Doris Lessing si trasferì definitivamente a Londra dal 1929. Accanto alla produzione di romanzi di successo (Il taccuino d’oro, 1962; La città dalle quattro porte, 1968), ha scritto anche per il teatro: Mr Dollinger (1958), A ciascuno il suo deserto (Each his own Wilderness, 1958), Istruzioni per una discesa all’inferno (Briefing for a descent to Hell, 1971), Memorie di un sopravvissuto (Memories of a survivor, 1974) e Racconti (Stories). Nel 1960 ha fondato con Wesker e la Delaney il Centre 42, organo per la diffusione della cultura tra le classi subalterne, che diressero fino al 1971. Nel 1994 L. Nattino ha messo in scena Maudie e Jane tratto dal Diario di Jane Somers (Santarcangelo 1994) interpretato da Judith Malina e Lorenza Zambon.

Lechner

Esordì a più di quarant’anni al Salone Margherita, scoperto da Castellacci e Pingitore. La sua maschera di `romano de Roma’, greve e pronta ad accentuare tutte le ambiguità boccaccesce delle situazioni, è passata dalla compagnia del Bagaglino al cinema in una serie di `B movie’ in cui figurava il personaggio di Bombolo, suo alter-ego.

Lodovici

Carlo Lodovici fu uno dei principali esponenti del teatro veneto, che dimostrò di preferire a quello in italiano. Debuttò come attore nella compagnia di C. Baseggio, dove restò dal 1927 al 1936, frequentando soprattutto il repertorio goldoniano. Successivamente recitò con la compagnia del Teatro di Venezia e con S. Tofano. Nel dopoguerra esordì nella regia e riscosse notevoli consensi con gli spettacoli diretti per il festival di Venezia. Come autore vanno ricordate le sue commedie E Giuditta aprì gli occhi! (1949) e Gente alla finestra (1952).

Lanterna Magika

Sorto in seguito all’interesse suscitato all’Esposizione universale di Bruxelles dallo spettacolo di Alfréd Radok, Lanterna Magika (1958), il teatro Lanterna Magika divenne col tempo uno dei punti di riferimento della scena sperimentale ceca. Animatori e fondatori furono lo stesso Radok e Josef Svoboda, che si proponevano di approfondire le proprie ricerche nel campo della contaminazione linguistica fra teatro e mezzi di riproduzione visiva. Nel 1959 Radok divenne direttore artistico del teatro, annesso al Teatro nazionale (Národní divadlo) come sezione sperimentale. Tuttavia nel 1960 Radok venne rimosso dall’incarico e la sala venne destinata alla proiezione di film della cinematografia di stato ceca. Solo nel 1966, reintegrato alla direzione, il regista poté realizzare parte del suo programma drammatico, mettendo in scena due spettacoli: Variace , programma composito di Radok e Jircircí Srnec e L’éveil des sources, una cantata di Bohuslav Martinù. Dal 1967 L.M. attraversò una nuova crisi, dovuta in parte a problemi economici, in parte a una stagnazione dell’impulso creativo (Radok lasciò il Paese nel 1968). Nel 1973 il teatro venne nuovamente riammesso alle sovvenzioni statali e trovò nuova vita sotto la direzione di Josef Svoboda ed Evald Schorm, collaboratore fisso per tutti gli anni. Accanto al programma drammatico, Svoboda poté proseguire la sperimentazione con l’uso delle moderne acquisizioni della tecnologia video, e il teatro poté avere una programmazione abbastanza regolare; fra Il circo magico (1977) e La regina delle nevi (1979) di J. Svoboda e E. Schorm, La prova notturna (1981) di Antonín Mása, Odissea (1987) di E. Schorm e Jaroslav Kucera. Dal 1992 il teatro, che conserva la direzione di Svoboda, è nuovamente indipendente. Fra le ultime produzioni da lui curate una versione de Il flauto magico di Mozart (1992), la ripresa di Odissea (1993) e Casanova (1995) di Juraj Jakubisko.

Leone

Bruno Leone scopre il teatro napoletano della ‘guarattella’ incontrando, in un seminario a Milano, l’ultimo rappresentante di quella tradizione, Nunzio Zambello. Decide di dedicarsi alla `guarattella’ anche per salvare una pratica teatrale popolare di grande tradizione e ormai sul punto di scomparire. Si unisce a Zambello e da lui apprende il mestiere. Dal 1978 opera in proprio, presentando sia spettacoli tradizionali dal repertorio di Zambello che spettacoli su nuovi testi, ma sempre fedeli ai moduli propri della `guarattella’. Come Zambello, dà voce a Pulcinella con la `pivetta’, come già, in passato, non soltanto i burattinai ma anche gli attori napoletani che impersonavano Pulcinella.

Lionello

Nel 1953 Alberto Lionello recita nella compagnia Elle diretta da Marcello Giorda all’Excelsior di Milano Tre topi grigi di A. Christie con Fanny Marchiò, regista C. Fino. È poi nella compagnia Adani-Cimara-Volonghi (La sensale di matrimoni di T. Wilder e Come si dovrebbero amare le donne di C. G. Viola, 1956). L’affermazione arriva, sulla scia del grandissimo successo della Tv (Canzonissima, condotta con Lauretta Masiero e Aroldo Tieri, 1960-61) al Teatro stabile di Genova, dove dal 1962 al ’66, sotto la guida di L. Squarzina si offre in una serie di interpretazioni di altissimo livello che vanno dal Sartre del Diavolo e il buon Dio a Goldoni dei Due gemelli veneziani ai Pirandello notevolissimi di Ciascuno a suo modo (Diego Cinci) e Non si sa come (Romeo Daddi), a Shaw di Uomo e superuomo , al protagonista della Coscienza di Zeno di Svevo: Con lui ci sono la Morlacchi, De Daninos, la Mannoni, la Villi, Camillo Milli: un ensemble di prim’ordine che segna indelebilmente l’attività dello Stabile genovese, il periodo felice del lavoro registico di Squarzina. Nel 1969-70 è in coppia con Carla Gravina nel dramma quotidiano di Joe Egg (una figlia spastica ridotta a un vegetale) nella commedia di P. Nichols, diretta da M. Missiroli, dove il disfacimento del rapporto coniugale di una coppia nella quale l’irrompere della tragedia mostra crudamente l’inutilità di un rapporto che si regge su fondamenta inesistenti prosegue l’indagine avviata sulla cellula americana da Albee con Chi ha paura di Virginia Woolf?. Per alcune stagioni fa compagnia con Valeria Valeri (L’anitra all’arancia di W.D.Home, 1973 replicata ancora con Fioretta Mari) poi ottiene un altro grande successo con Ciao, Rudy al posto di Mastroianni nella riedizione dello spettacolo di Garinei e Giovannini e con Il piacere dell’onestà di Pirandello, regista Puggelli: e Il giuoco delle parti , regista Marcucci; insieme a lui la nuova compagna, l’affascinante e intelligente Erika Blanc. Dal Pirandello, replicato più stagioni passa a Divorziamo! del vecchio Sardou e a Shylock del Mercante di Venezia scespiriano (1990). È una delle ultime fatiche, rincorso dal male che lo distrugge qualche anno dopo. In tv bisogna ricordare almeno il suo ritratto di Puccini. Sua figlia Gea è attrice: nella stagione 1988-89 in La signorina Giulia con la regia di E. Siciliano per lo stabile della Calabria; nel 1995 è in Tre donne alte di Albee con M. Malfatti e la regia di Squarzina. Nel 1996, per il Teatro Segreto di R. Cappuccio, è interprete di Nel tempo di un tango al festival di Benevento; quindi seguono, nella stessa compagnia, le riprese di Shakespeare re di Napoli e Desideri mortali.

Luisillo

Luisillo studia danza classica e spagnola, debuttando con la compagnia di Carmen Amaya nel 1948. L’anno seguente crea il suo primo gruppo con la ballerina Teresa, con la quale collabora fino al 1954; dal 1956 si esibisce sulle scene internazionali con il suo Teatro di Danza Spagnolo. Raffinato interprete del baile , come coreografo predilige i toni fortemente drammatici e teatrali, come attestano molti suoi lavori tra i quali Luna de sangre (1952), El ciego (1955), La espera ( 1959).

Lopez

Formatasi alla scuola di Alicia e Ferdinando Alonso e perfezionatasi con Stanley Williams alla School of American Ballet, nel 1974 entra nel New York City Ballet, diventandone prima ballerina nel 1984. Dotata di tecnica solida e brillante e di una luminosa presenza scenica si mette in evidenza nel repertorio di Balanchine ( Allegro Brillante ) e in creazioni appositamente fatte per lei da W. Forsythe ( Behind the China Dogs 1991), P. Martins, R. La Fosse.

Lanonima Imperial

Fondata a Barcellona nel 1986 dal coreografo Juan Carlos García (Bilbao 1958) e inizialmente composta solo da uomini, Lanonima Imperial si impone con Eppur si muove (1987) e Castor i. Pol.lux (1988), presentati in festival internazionali. In seguito presenta spettacoli come Kairos (1990, Théâtre contemporain de la danse di Parigi), Afanya’t a poc a poc (1991, Holland Dance Festival), Eco de silenci (1993, Concorso internazionale di Tel Aviv), Landschaft mit Schatten (1996, Komische TanzTheater di Berlino), Identificación de un paisaje (1997, Opera di Zagabria), nei quali definisce un raffinato stile di teatrodanza, dove il movimento assume un valore nettamente drammatico.

Le Moli

Alla fine degli anni ’70 Walter Le Moli è la mente pensante e organizzativa della Compagnia del Collettivo, di cui ha promosso la crescita facendola divenire, con il teatro di Parma, il primo «organismo con finalità pubblica e responsabilità privata» del panorama italiano. Dal 1990 è direttore artistico del Teatro stabile di Parma, dal 1996 è presidente del Comitato di coordinamento delle attività teatrali di prosa dell’Agis nazionale, componente del Consiglio nazionale dello spettacolo e consigliere della Biennale di Venezia in rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei ministri. Oltre al suo ruolo istituzionale, ha curato numerose regie per la compagnia del Collettivo-Teatro Due: da L’assicurazione di Weiss (1985) a Lulu di Wedekind (1987), da Tartufo (1988) a Il gabbiano (1989), da Max Gericke di Karge (1990-91, di cui ha curato anche la traduzione) a I sequestrati di Altona di Sartre (1992 e 1994), fino a Güst di Achternbusch (1995) e Giovanna d’Arco (allo Stabile di Torino, 1998).

Lander

Pihl Petersen; Copenaghen 1931 – Salt Lake City 1985), ballerina danese. Formatasi alla scuola del Balletto Reale Danese, entra nella omonima compagnia nel 1948 per essere nominata solista nel 1950. Nello stesso anno si sposta con Harald Lander a Parigi e qui si perfeziona con Olga Préobrajenska, proseguendo la sua attività di ballerina con varie formazioni internazionali tra cui il London Festival Ballet (1954-59) e l’American Ballet Theatre dove ha danzato dal 1961 al ’71, anno in cui è ritornata come solista e insegnante al Balletto Reale Danese. Ritiratasi dalle scene si è dedicata all’insegnamento e ha affiancato il secondo marito, il ballerino Bruce Marks, nella direzione del Ballet West, per il quale ha ricostruito un balletto perduto di August Bournonville, Abdallah (1985).

Legnanesi,

I Legnanesi sono una compagnia storica di attori ‘en travesti’, che solo nell’ultima passerella si presentavano in abiti maschili, nacque nell’oratorio di Legnanello nel 1946, come piccolo gruppo di teatro dilettante. Già da allora i primi attori della compagnia sono Felice Musazzi, Tony Barlocco, Renato Lombardi (la mostruosa Chetta), che però si esibivano anche in abiti maschili. Il debutto ufficiale avviene con E un dì nacque Legnanello , nel 1949, nel teatro dell’oratorio del Redentore di Legnano. Accolta subito da grande successo popolare, la compagnia si trasforma in una specie di Stabile legnanese, in grado di fare piccole ma capillari tournée in Lombardia. Il primo titolo in cui si battezzano le storiche figure di Teresa e Mabilia, madre e figlia in continua ripicca, vere protagoniste di questa Commedia dell’Arte lombarda, è Sém nasù per patì (Siamo nati per soffrire), cui seguirono molte altre riviste d’ingenua spettacolarità. La prima trasferta importante è nel 1955, al Villoresi di Monza, ma la consacrazione avviene con Va là batel… al Teatro Odeon di Milano, nel ’58, per volontà del suo gestore Enrico Papa. È subito un trionfo di ilarità, sia popolare sia snobistica: in platea Wanda Osiris segue e applaude le gesta e le imitazioni di Tony Barlocco, soubrette della compagnia che indosserà via via i più sfarzosi costumi, come nella parodia della vecchia rivista. Da allora fu ogni anno un record di applausi e di incassi, i Legnanesi divennero un fatto di costume teatrale, chiamando in sala un pubblico nuovo e diverso, non affine al tradizionale spettatore milanese.

La compagnia, che recitava sempre e soltanto testi della sua `prima donna’ Felice Musazzi, ex metalmeccanico della Franco Tosi, era composta di operai che, senza montarsi la testa, di giorno lavoravano in fabbrica e la sera partivano in pullman per Milano, tornando a casa a ora tarda, a fine spettacolo. Il gruppo, eccentrico ed eccezionale nel panorama del nostro teatro, raccoglieva, – trattando, con verace vena di osservazione i problemi quotidiani della povera gente nei cortili – la tradizione del teatro popolare, accostabile per qualcuno alla Commedia dell’Arte e al Ruzante. Tra i difensori storici dei Legnanesi è da citare Alberto Arbasino che, in un articolo dei primi anni ’60, paragonò lo stile di Musazzi a quello brechtiano, citando il cabaret pop di Karl Valentin e consacrando un tipo di rivoluzione nel messaggio diretto e irresistibile offerto alla platea. I testi delle riviste erano quasi sempre canovacci per mettere in risalto le condizioni di vita della povera gente della provincia lombarda, quasi una deformazione grottesca di Bertolazzi. Una delle componenti del successo fu anche, negli anni ’70, l’estremo lusso degli allestimenti, il momento canoro di Ciro, la parodia sempre più fastosa, anche negli atteggiamenti, della soubrette Barlocco che si esibiva in attese passerelle al finale del primo tempo: ma nel fondo resisteva la satira socialista ancien régime , e anche qualche battibecco `anti-meridionale’ fatto però col cuore in mano. Se l’Odeon divenne, nel corso degli anni, il teatro dei Legnanesi, dove la compagnia recitava a sala esaurita per cinque o sei mesi, gli spiritosissimi travestiti andarono anche al Manzoni, al Nuovo, al Lirico, al Massimo, sempre richiamando un fedelissimo pubblico che si riconosceva nelle situazioni `minimaliste’ e nei dettagli di costume, oltre che nel classico e storpiato gioco di parole, eredità del vecchio varietà, che la Teresa sublimò in alcune battute leggendarie, col dialetto usato come arma da scasso per la risata totale.

Tra i molti titoli, dal 1958 in poi: Teresa e Mabilia show in famiglia (irresistibile famiglia Colombo), Telalà la luna, Teresa di notte, Teresa degli spiriti , Zucc e melun la so stagiun, Chi vusa pu sé la vacca l’è sua, I pover Christ superstar, Regna la rogna, I lenzoeu d’ier e d’incoeu, Il cortile dei miracoli, Famm, fum e frecc, B… come `buleta’ , Oh vita, oh vita straca, E la buleta la va la va e l’ultimo Lasciate che i pendolari vengano a me, che debutta nel 1983 e poi viene ripreso nel 1985. Tra le tournée fuori Lombardia, una serie di poco fortunate recite al Sistina di Roma, dove accorsero però spettatori doc come Luchino Visconti e altri ammiratori dell’ambiente; e una tappa a Parigi, rappresentanti del teatro popolare italiano. Amati molto anche da Fellini, i Legnanesi ebbero poca affinità col cinema, ospitati solo dal regista Caprioli nel salotto folk di Splendori e miserie di madame Royale con Ugo Tognazzi travestito. Dopo la morte dei due capostipiti, Tony Barlocco nel 1986 e Felice Musazzi nel 1989, i Legnanesi si riorganizzarono sotto la direzione di Alvaro Testa e Dante Barlocco, allestendo allo Smeraldo altri spettacoli sulla stessa linea popolar-dialettale, cambiando i nomi ma non i caratteri, e partendo con un omaggio alla loro storia teatrale, Legnanesi story . Tra i `nuovi’ protagonisti sono da citare Lino Mario (la peccaminosa Eleonora), Angelo Mortarino (la saggia zia Maria) e Rino Mareschi (Rina, inedita zitella di taglia extra large). I migliori spettacoli del gruppo sono stati editati anche in videocassetta e Legnano ha dedicato ai suoi eroi molti onori e un ricco volume.

Lawrence

Mentre come narratore si è imposto come uno dei massimi del secolo (Figli e amanti, 1913; Donne innamorate, 1920; L’amante di Lady Chatterley , 1928), il teatro di David Herbert Lawrence ha dovuto attendere più di sessant’anni per essere rappresentato. Solo La vedovanza della signora Holroyd (Lady Holroyd’s Widowhood) fu portato sulle scene della Stage Society nel 1928. Nel 1965 il Royal Court Theatre iniziò a rappresentare la sua opera, con preferenza per i drammi sociali: Il venerdì sera del minatore (The Miner’s Friday Night, 1906), La nuora (The Daughter-in-Law, 1912), La giostra (The Merry-Go-Round, 1912) e Il rischio (The Risk, 1912). Si tratta di drammi incentrati sulla condizione dei minatori a contatto con la società industriale. Da ricordare anche due frammenti, Altitudine (The Altitude, 1912) e L’inondazione di Noha (The Flooding of Noha, 1925), e alcuni drammi di ambientazione borghese: La battaglia di Barbara (Barbara’s Battle), L’uomo sposato (The Husband) e il biblico David (1927).

Levi

Attratto dall’uso espressivo della luce e dello spazio, Guido Levi nei primi anni ’70 si avvicina all’ambiente teatrale partecipando ai lavori di Dario Fo. Tra il 1974 e il 1980 è con Missiroli al Teatro Stabile di Torino, dove realizza tra gli altri Zio Vanja di Cechov (1974-75), Verso Damasco di Strindberg (1975-76), I giganti della montagna (1975-76), La villeggiatura di Goldoni (1977-78). Intanto conosce Pier’Alli, con il quale collabora a diversi allestimenti: L’elisir d’amore di Donizetti (1982), Trittico di Schönberg (1983), La caduta di casa Usher di Debussy (1986), la Tetralogia di Wagner (1987-1992). Lavora con Cobelli, W. Herzog, Y. Kokkos, J. Miller e, dal 1995, inizia a collaborare con Ronconi ( Sturm und Drang di Klinger, Fierrabras di Schubert, 1995; Orfeo di Monteverdi, Cenerentola di Rossini, 1998). Nel 1998 partecipa all’allestimento della Turandot nella Città Proibita di Pechino con la regia di Zhang Yimou.

Lunacarskij

Fin dalla giovinezza vicino alle correnti progressiste e ai gruppi rivoluzionari bolscevichi, Anatolij Vasil’evic Lunacarskij vive fino al 1917 in esilio in Occidente, dove, oltre a svolgere attività politica, perfeziona la formazione culturale a contatto con i più significativi fenomeni artistici europei, si occupa di critica teatrale e di filosofia. Comincia la sua attività di drammaturgo con Il barbiere del re (1906). Terminato il periodo di clandestinità con la Rivoluzione d’ottobre, diventa subito uno dei maggiori esponenti della politica culturale bolscevica. Amico personale di Lenin, come Commissario per l’Istruzione (1917-1929) sostiene le più coraggiose iniziative in campo teatrale, i nuovi autori come Majakovskij, i registi d’avanguardia come Mejerchol’d e Vachtangov, prende decisioni fondamentali per l’assetto amministrativo del teatro, come la nazionalizzazione dei teatri, le sovvenzioni. Sollecita la partecipazione dei principali rappresentanti di simbolismo e futurismo agli organi del nuovo governo: difende dagli attacchi del pubblico impreparato e perplesso gli spettacoli d’avanguardia, partecipa personalmente a incontri e dibattiti, protegge il Teatro d’Arte, incapace di rinnovare il proprio repertorio negli anni immediatamente postrivoluzionari. Riprende, a partire dal 1918, l’attività di drammaturgo, con una serie di lavori soprattutto storici, con grande pathos rivoluzionario ( Faust e la Città , 1918; Oliver Cromwell , 1920; Vasilisa Premudraja , 1920; Tomaso Campanella , 1921; Don Chisciotte liberato , 1922; La bomba , 1923).

Lefèbre

Dopo aver studiato danza a L’Avana con Alicia Alonso, Jorge Lefèbre si è trasferito a New York per perfezionarsi con Matt Mattox e Luigi. Scritturato dalla compagnia di Catherine Dunham, è poi passato al Ballet du XXème siècle. Qui si è distinto in molti lavori di Béjart (Sagra della primavera, Nona sinfonia, ecc.) e ha creato Actus tragicus (1969), in cui ha adombrato la figura di Cristo. Nel 1980 è diventato direttore del Ballet de Wallonie, compagnia per la quale ha creato numerose coreografie, molte delle quali con una tematica religiosa; come ad esempio Nisi Dominus, Messa da Requiem (musica di Verdi) e David Come Home (1984), balletto dove la storia biblica di Davide e Betsabea viene declinata entro un contenitore fantascientifico. Si ricordano ancora (oltre a originali versioni di Carmina Burana, La sagra della primavera, Carmen) Excalibur, Propositions, Degas, Double croche, Triptyque (su musica di Verdi, Donizetti e Mascagni), Chante de la terre e un felice Frankenstein (1987), nonché Madame Butterfly (1990).

Liberovici

Fondamentalmente autodidatta, Sergio Liberovici svolge un’intensa attività per il Teatro stabile di Torino componendo, tra il 1957 e il 1977, oltre sessanta musiche di scena (Riccardo II e Come vi piace di Shakespeare, Il passatore di Massimo Dursi). Nel 1958 fonda il movimento del Cantacronache, inaugurando un modo diverso di cantare la realtà. Si rivolge poi al teatro musicale con le opere La panchina , su libretto di I. Calvino (1956), La fidanzata del fiume (1957), Patapan novanta, ovvero l’Italia inventata col morto che parla (1959). Nel 1967 L. è tra i promotori del movimento Convegno del nuovo teatro a Ivrea. Il percorso artistico di L. è sempre volto a un impegno politico nell’arte e quindi a una canzone popolare socialmente impegnata. In seguito si orienta verso la didattica musicale e il teatro per bambini con gli spettacoli Fogli d’album (1982), Il grande chiasso (1983), La carta e l’inchiostro (1984), Per filo e per segno , tratto da Gramsci (1985). La sua ultima opera, incompiuta, è Mùlzel, o delle macchinazioni.