Woody Allen

Woody Allen è un regista, attore e sceneggiatore, tra le personalità artistiche più influenti del panorama cinematografico contemporaneo.

Woody Allen è un registaattoresceneggiatore e scrittore di origine ebraica, vincitore di quattro premi Oscar e del Leone d’oro alla carriera. Tra le personalità artistiche più influenti del panorama cinematografico contemporaneo, si è fatto le ossa come autore televisivo, scrivendo sketch che interpretava nei club newyorkesi e commedie per Broadway. Ma non è certo in questo campo che ha espresso al meglio il suo talento. Allen porta sul grande schermo il suo amore per New York, la musica jazz, la letteratura, la psicanalisi, la magia e l’illusione, dando vita a personaggi comicamente sfortunati e pieni di nevrosi.

Woody Allen biografia: le origini tra cabaret e scrittura

Woody Allen nasce col nome di Allan Stewart Königsberg il 1º dicembre 1935 nel quartiere del Bronx (New York), da una famiglia ebrea. Racimola i primi guadagni vendendo i suoi sketch a noti comici televisivi ed esibendosi nei club newyorchesi come stand-up comedian, alternando esibizioni comiche e musicali. All’età di diciassette anni, sceglie lo pseudonimo Woody Allen, in onore del celebre clarinettista jazz Woody Herman, ed è in questi anni che inizia la sua carriera come autore televisivo.

Prima di tentare la strada del cinema, ottiene un grande successo a Broadway con le sue commedie Don’t Drink the WaterPlay It Again, Sam. Accolte con indifferenza dalla critica, vengono gradite dagli spettatori e successivamente tradotte in film (Come ti dirotto il jet e Provaci ancora, Sam). Nel 1964 riceve dal produttore Charles Feldman l’incarico di scrivere la sceneggiatura di Ciao Pussycat, al quale partecipa anche come attore. Dal teatro al cinema il passo è breve. Decide quindi di sedere dalla parte opposta della macchina da presa, girando i film Amore e guerraIo e Annie Manhattan.

Woody Allen migliori film: la consacrazione con Io e Annie e Manhattan

I maggiori successi di Allen arrivano nel decennio che inizia nel 1977, data di uscita di Io e Annie. Il film racconta dell’amore tra due intellettuali che nasce, tentenna, sbanda e si conclude per le strade della Grande Mela. Protagonisti, lo stesso regista e Diane Keaton che, proprio in quel periodo, stava mettendo fine alla loro storia d’amore nella vita reale. Questa malinconica commedia sentimentale è l’opera che definisce appieno il suo stile e il suo più grande successo commerciale. La pellicola si aggiudica quattro premi Oscar (miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura originale e miglior attrice protagonista a Diane Keaton) e un Golden Globe.

Woody Allen e Diane Keaton in Io e Annie
Woody Allen e Diane Keaton in Io e Annie


La produzione di Allen entra in una fase nuova: i toni passano dal comico all’umoristico, l’ironia pervade ogni dialogo; fanno la loro comparsa problemi di coppia, nevrosi, psicanalisi, temi esistenziali, riflessioni filosofiche. E, soprattutto, Diane Keaton. Insomma, i tòpoi alleniani per eccellenza. Appartiene a questa fase anche Manhattan, suo capolavoro assoluto. Considerata la sua opera magna, è una grandissima manifestazione d’amore verso New York, la sua città natale, in un misto di romanticismo, nostalgia e sogno. Come protagonista l’immancabile vita sentimentale di un protagonista divorziato e in cerca del senso della vita, in un percorso pieno di monologhi, riflessioni e sottile umorismo.

Woody Allen e Mariel Hemingway in Manhattan
Woody Allen e Mariel Hemingway in Manhattan

L’inarrestabile vena creativa degli anni Ottanta

Gli anni Ottanta vengono inaugurati da Stardust Memories, film dalla forte componente autobiografica, ispirato al cinema europeo e in particolare a Federico Fellini e Ingmar Bergman. L’anno successivo Allen scrive e dirige Zelig, finto reportage su un uomo camaleontico che trasforma anima e corpo secondo chi si ritrova vicino. Sono gli anni d’oro, in cui Allen crea alcune delle sue opere migliori: Broadway Danny Rose, La rosa purpurea del Cairo, Hannah e le sue sorelle e, soprattutto, Crimini e misfatti, vetta assoluta all’interno del suo percorso drammatico.

Da Midnight in Paris all’ultimo film di Woody Allen: la crisi, i boicottaggi e la ribalta

Gli anni Duemila coincidono con una fase di crisi. Il ritorno alla ribalta, quando tutti ormai lo consideravano un regista sulla via del tramonto, avviene grazie a due film: Match Point, con Jonathan Rhys-Meyers e Scarlett Johansson, e Midnight in Paris. La trasferta francese è un successo al botteghino e permette all’autore di conquistare un Golden Globe per la miglior sceneggiatura originale e il suo quarto Oscar. 

Nel 2019 esce Un giorno di pioggia a New York realizzato con grandi difficoltà a causa delle pesanti controversie che il regista ha subito per delle accuse di abuso sessuale risalenti al 1992. L’anno successivo, Woody Allen porta al cinema Rifkin’s Festival. Nel film il regista si sofferma su uno dei suoi temi più caratteristici: il rispecchiarsi della vita nell’arte e dell’arte nella vita. Non è difficile, infatti, intravedere dietro Mort Rifkin, ex professore e fanatico di cinema sposato, il Woody Allen del tempo, emarginato dalla critica cinematografica e travolto dalle vicende giudiziarie.

Dopo tre anni, Allen torna ancora una volta al cinema con il suo primo film in francese, Un colpo di fortuna – Coup de Chance, presentato in anteprima fuori concorso all’80esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

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Orson Welles

Ingmar Bergman

Anthony Philip Hopkins


Antonio

Ruiz Soler; Siviglia 1921 – 1996), ballerino spagnolo. Studia con Realito e a soli sei anni debutta a Liegi con la cugina Rosario (Florencia Perez Padilla) sotto la sigla di Los Chavalillos Sevillanos , inaugurando una celebrata partnership di fama internazionale, destinata a durare venticinque anni. In seguito fonda la sua compagnia, con la quale si dedica anche all’allestimento di grandi produzioni, tra cui spiccano i balletti su musica di Manuel De Falla El amor brujo e El sombrero de tres picos . Considerato il più famoso e affascinante ballerino spagnolo della sua generazione, è stato il primo `riformatore’ del flamenco, al quale ha cercato di restituire la purezza nelle linee e nei gesti. Memorabile in questo il suo zapateado , esempio di squisita perfezione ritmica e stilistica.

Amati

Amati Olga tudia con Cia Fornaroli, Vittorina Mazzucchelli e Vera Volkova alla Scuola del Teatro alla Scala, entrando a far parte del suo Corpo di ballo e divenendone prima ballerina nel 1942. Valorizzata da A. Milloss che per lei crea numerosi ruoli (La dama dalle camelie , 1945; Coppélia , 1946; Le Creature di Prometeo ,1952) grazie alla sua tecnica fortissima e al suo stile diventa una delle interpreti favorite anche di G. Balanchine (Balletto Imperiale , 1952; Le Palais de Cristal, 1955), M. Wallmann (La giara , 1949) e L. Massine (Quattro Stagioni , 1950). Lasciata la Scala nel 1956, è prima ballerina ospite del Teatro Comunale di Firenze sempre per creazioni di Milloss (Vienna si diverte , 1957). Dal 1961 fino alla morte è stata maestra alla Scuola di ballo del Teatro dell’Opera di Roma.

Alfonsi

Dopo aver esordito in campo filodrammatico è entrata nella compagnia di A. G. Bragaglia dove ha debuttato (1950) in Anna Christie di O’Neill. È stata poi accanto a E. Zareschi, S. Randone, L. Cimara e altri importanti attori dell’immediato dopoguerra. Portata per temperamento ai ruoli drammatici, ha interpretato sia i classici greci (Sofocle, Euripide) sia latini (Seneca), affrontando nel contempo con la sua forte personalità autori contemporanei (Betti fra gli altri); ha avuto una breve esperienza anche al Piccolo Teatro di Milano (Arlecchino servitore di due padroni ) e allo Stabile di Genova, dove è stata Delia Morello in Ciascuno a suo modo di Pirandello (1961) accanto a Turi Ferro e Alberto Lionello, regista L. Squarzina. Dotata di grande fascino e di un volto alquanto espressivo, grandi occhi e zigomi marcati, Lydia Alfonsi ha raggiunto la vera fama soltanto attraverso il mezzo televisivo, come protagonista di alcuni popolari sceneggiati: in particolare ne La pisana (1961) dal romanzo di Nievo, nel ruolo di Bianca Trao nei Malavoglia da Verga (1962) e in Luisa Sanfelice (1966). Dopo la non breve parentesi televisiva fu protagonista sulla scena di Il lutto si addice ad Elettra di O’Neill (1972). Nel 1975 ha formato una sua compagnia intitolata a Eleonora Duse, durata solo qualche stagione. Più rare le sue apparizioni cinematografiche (La legge di J. Dassin, 1959 e La vita è bella di R. Benigni, 1998).

Aguglia

Di gran temperamento, Mimì Aguglia si contese con Marianella Bragaglia il titolo di `Duse siciliana’. Pur avendo debuttato da bambina, a soli quindici anni entusiasmò il pubblico del Teatro Machiavelli di Catania, come canzonettista. Il vero debutto avvenne, quattro anni dopo, a fianco di Giacinta Pezzana, con un testo di Dumas figlio: Signor Alfonso. Successivamente fu prima attrice della Compagnia dialettale siciliana Nino Martoglio, con cui interpretò, al Teatro Biondo di Palermo, Malia di Capuana, a fianco di Giovanni Grasso e Angelo Musco. Quindi fu Santuzza in Cavalleria rusticana e Mila in ‘A figghia di Joriu, versione in siciliano di Giuseppe Antonio Borgese del testo di D’Annunzio. Dopo le divergenze tra Martoglio e Grasso, fondò con quest’ultimo la Compagnia Grasso-Aguglia, con cui iniziò lunghe tournée all’estero. Staccatasi da Grasso, recitò negli Usa, ma i grandi successi li ottenne in Messico. Fu conosciuta anche a Londra e a Parigi. A Hollywood interpretò parecchie figure femminili di origine italiana e siciliana.

Anni

Anna Anni si forma all’Accademia di belle arti di Firenze, compagna di corso di D. Donati e P. Tosi con cui lavorerà anche nel cinema. Dal 1954 instaura una fertile collaborazione con il regista F. Zeffirelli; tra le numerose produzioni ricordiamo: La favola di Orfeo di Casella (Settimane musicali senesi 1959), Alcina di H&aulm;ndel (Venezia, La Fenice 1960), Cavalleria rusticana di Mascagni (Scala 1981) e Turandot di Puccini (Scala 1983), Maria Stuarda di Schiller (Firenze 1983), Carmen di Bizet (Arena di Verona 1995). Lavora con importanti registi come M. Bolognini e S. Sequi, per produzioni al Covent Garden di Londra, al Maggio musicale fiorentino, per la Fondazione Gulbenkian, a Lisbona. Particolarmente felice è la sua collaborazione per i costumi dei balletti allestiti dalla coppia Fracci-Menegatti, tra cui Le baiser de la fée di Stravinskij (Scala 1975), Don Chisciotte di Minkus (Firenze 1984). Abile disegnatrice, riflette nei suoi bozzetti di costume la sensibilità verso gli accostamenti cromatici. La conoscenza del taglio storico, abbinata a una minuziosa ricerca del particolare, rendono i suoi costumi emblemi di preziose evocazioni storiche.

Antona-Traversi

Giannino Antona-Traversi fu assertore pugnace, come il fratello Camillo, del naturalismo teatrale. Le sue molte commedie furono soprattutto specchio di denuncia satirica di certa frivola società italiana a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. Ricche di indagine psicologica, anche se non indenni dalla prova del tempo, sono tra esse rimarchevoli come documenti di costume: Il braccialetto, L’amica, I giorni più belli, La civetta, La madre, Il battistrada.

Apollinaire

Personaggio chiave della Belle Epoque, Apollinaire Guillaume fu tra gli animatori del rinnovamento estetico che coivolse tutti gli ambiti dell’arte nel primo ventennio del Novecento. Sperimentatore di linguaggi, contribuì al superamento dell’eredità del simbolismo in poesia e all’avvento della modernità intesa come concetto formale e come forza rivoluzionaria, provocatoriamente sperimentale. Vicino agli ambienti del dadaismo, amico di Picasso – con cui condivise gli anni del Bateau Lavoir – di Léger, Maria Laurencin, Picabia, Braque, Derain, Apollinaire Guillaume visse intensamente la fase delle avanguardie artistiche e letterarie. La commistione dei linguaggi visivo e verbale pare trovare perfetta esemplificazione nel suo teatro. Di fatto la tentazione per un teatro comico e simbolico ha fatto parte di tutta la sua carriera, e dunque frammenti dialogici si alternano alle poesie e testi in prosa consentendogli di far convergere le diverse istanze espressive della sua personalità composita. In collaborazione con André Salmon, Apollinaire scrive nel 1906 due opere La Temperature e Le Marchand d’anchois, un libretto di operetta.

Di tutt’altra importanza rispetto a questi tentativi iniziali, Les mamelles de Tirésias , dramma surrealista in due atti e un prologo, messo in scena con grande scandalo nel 1917. Esempio di ‘spettacolo-provocazione’, il testo racconta con estrema forza, anche visiva, una lettura aristofanesca e stralunata di un provvedimento governativo coevo, quello della `natalisation’, vera e propria campagna bellica per l’incremento della natalità. L’altra opera di Apollinaire esplicitamente destinata al teatro è Couleur du temps , messa in scena a Parigi dopo la morte in guerra dell’autore (1918): associa il gusto per l’esaltazione della tecnologia (il volo, il fascino doloroso del conflitto) che fu proprio dell’autore negli ultimi anni della sua attività con l’impiego di marionette, quale supporto drammaturgico funzionale al sovrapporsi di frammenti lirici su grandi luoghi comuni come l’amore, la guerra, il futuro, la vita e la morte, ulteriore segno dell’eclettismo di Apollinaire, del suo debito verso il teatro dada, ma anche della sua straordinaria plurivocità d’espressione.

Alberti

Diplomato alla Scuola d’arte drammatica del Piccolo Teatro di Milano (1981), ha collezionato molte esperienze teatrali, lavorando con la Cooperativa teatrale di Franco Parenti e nella stagione 1983-84 con il teatro di Porta Romana. È nella stagione 1985-86 che l’attore approderà al successo con Comedians di Griffiths, lo spettacolo del Teatro dell’Elfo che ha lanciato anche Paolo Rossi, Claudio Bisio e Silvio Orlando. Nel 1986-87 recita in Eldorado e in Café Procope (1989) sempre con il teatro dell’Elfo e con la regia di Salvatores. Con la compagnia Rossi-Vasini-Riondino invece interpreta Una commedia da due lire (1990-91), mentre, nel 1993 partecipa all’allestimento de La signora Papillon , un testo scritto e diretto da Stefano Benni. Tra le numerose apparizioni cinematografiche: Mediterraneo di Salvatores (Oscar 1992) e Gli insospettabili – per la regia di Enzo Monteleone.

Albertazzi

Giorgio Albertazzi debutta a Firenze fra partite di pallone e primi amori ne Il candeliere di De Musset al Teatro della Meridiana con Bianca Toccafondi, regista F. Enriquez; interpreta Fessenio nella Calandria di Bibbiena, ed è Soranzo in Peccato che sia una sgualdrina di Ford, diretto da L. Lucignani, sempre a Firenze, dove L. Visconti – che prepara Troilo e Cressida di Shakespeare a Boboli – lo vede e lo scrittura per il ruolo di Alessandro, paggio di Cressida (Rina Morelli), in una famosa edizione (1949) che allineava, oltre Gassman, De Lullo, Stoppa, Ricci, Tofano, Elena Zareschi e Memo Benassi. È sempre Visconti a procurargli la scrittura nella compagnia del Teatro Nazionale diretta da G. Salvini (1950-52), dove recita in Detective story di Kingsley, La signora non è da bruciare di Fry, Peer Gynt di Ibsen ed è il protagonista del Faustino di Dino Terra.

Il successo arriva con Il seduttore di Fabbri nella tournée americana della Ricci-Magni-Proclemer-Albertazzi-Buazzelli. Con la compagnia, dalla quale si stacca per dar vita nel ’56 alla ditta Proclemer-Albertazzi, interpreta anche il Matto nel Re Lear e il regista ne La ragazza di campagna di Odets. Fra i tanti successi della ventennale ditta, dove ha modo di imporre la sua recitazione moderna e graffiante, ispirata e medianica creando con la Proclemer una delle coppie più seguite dal pubblico e dalla critica: una memorabile Figlia di Iorio di D’Annunzio e L’uovo di Marceau (1957), Requiem per una monaca di Faulkner-Camus e Spettri di Ibsen (1958), I sequestrati di Altona di Sartre (1960), Amleto , diretto prima da Franck Hauser poi da Zeffirelli (1963), Dopo la caduta di Miller (1967), La fastidiosa (1965) e Pietà di novembre di Brusati (1967); dirige Come tu mi vuoi (1967) di Pirandello e il suo discusso Pilato sempre (1971); per una stagione la compagnia si era associata allo Stabile di Genova (Maria Stuarda di Schiller, con la Brignone nel ruolo di Elisabetta) dove, staccatosi dalla Proclemer, sarà protagonista del Fu Mattia Pascal da Pirandello ridotto da Kezich (1974); da qui derivano le grandi interpretazioni fra vita e teatro quali Riccardo III , Re Nicolò di Wedekind, Enrico IV di Pirandello (1982, regia di Calenda), Le memorie di Adriano dal romanzo della Yourcenar, regia di Scaparro (ripreso per più stagioni), La lezione di Ionesco, a Spoleto, regia di Marcucci, e l’ultimo Giacomo Casanova comédien filosofo, libertino, viaggiatore, avventuriero di voce, fantasie, divertimenti e angosce diretto da Scaparro all’Olimpico di Vicenza (1997). Fra i pionieri della tv, seduce il primo pubblico televisivo con Delitto e castigo, Romeo e Giulietta, I capricci di Marianna di De Musset, Come le foglie di Giacosa, Liliom di Molnár e l’indimenticabile Idiota da Dostoevskij, diretto da G. Vaccari. Lettore di fascino e di carisma, spazia dalla novella (Palazzeschi, Mann, Cecov, Maupassant, Pirandello) all’ Inferno di Dante. In cinema da un giovanile Lorenzaccio di Poggioli passa a L’anno scorso a Marienbad di Resnais e al suo Gradiva.

Andreev

Dopo un brillante esordio come narratore, Andreev Leonid Nikolaevic si impone subito come uno dei più originali drammaturghi di area simbolista con Verso le stelle (1905) e Savva (1906), Ma il vero trionfo lo ottiene con Vita dell’uomo (1907), suggestivo, inquietante itinerario di un’esistenza, denso di simboli e di visioni, messo in scena contemporaneamente da Mejerchol’d al Teatro della Komissarzevskaja a Pietroburgo e da Stanislavskij al Teatro d’Arte di Mosca. Sempre al Teatro d’Arte vengono messi in scena alcuni dei successivi lavori: Anatema (1909), Ekaterina Ivanovna (1912), Il pensiero (1914). In altri teatri vengono accolti con favore I giorni della nostra vita (1908), Anfissa (1910), Il professor Storicyn (1912), L’uomo che prende gli schiaffi (1915). Pur allontanandosi, dopo il 1910, dalle inflessioni fortemente simboliste dei primi lavori, rimane nella drammaturgia (così come nella prosa) andreeviana una connotazione grottesca ed esasperata che ben risponde all’atmosfera tesa del primo ventennio del Novecento. Grande successo e popolarità il teatro di Andreev Leonid Nikolaevic ha avuto in Italia nel periodo tra le due guerre: molti suoi lavori, soprattutto quelli in cui si indulge agli effetti scenici, divennero cavalli di battaglia dei nostri mattatori, da Zacconi alla Pavlova, dalle sorelle Gramatica a Ruggeri.

Ashcroft

Dopo aver interpretato con notevole successo Ibsen in Norvegia, nel 1935 recita con J. Gielgud in Romeo e Giulietta , all’Old Vic, acquistando fama internazionale. Negli anni ’60 le viene conferito il premio Evening Standard per la sua interpretazione di Margaret in La guerra delle due Rose . Stringe una lunga amicizia con Pinter che coinvolge nell’impegno politico. Nel 1968 H. Pinter la sceglie per interpretare la sua Beth in Landscape , sostituendola per la prima volta alla moglie V. Merchant. Nel 1977 è Winnie in Giorni felici di Beckett, nella produzione di P. Hall al National Theatre, e nel 1981 recita in Voci di famiglia (Family Voices) di H. Pinter. Tra gli altri autori di cui è stata felice interprete, vanno ricordati Albee, Wilde, Sheridan e Shakespeare.

Amodio

Diplomatasi alla Scuola del Teatro alla Scala, nel 1987 entra all’Aterballetto, del quale danza l’intero repertorio classico e contemporaneo diventandone ben presto elemento di spicco. Su Cristina Amodio il padre Amedeo Amodio crea il personaggio di Olimpia nella sua versione di Coppélia (1991) e il ruolo di Titania nel suo Sogno di una notte di mezza estate (1993). Lascia la compagnia nel 1997.

Acosta

Formatosi alla Scuola del balletto di Cuba dove si diploma nel 1991, già dal 1989 si esibisce come solista con la Compagnia del Teatro Nuovo di Torino, a fianco di Luciana Savignano e Gheorghe Iancu; in seguito è ingaggiato come primo ballerino dall’English National Ballet (1991-92) e dal Balletto di Cuba (1992-93) e qui interpreta tutti i ruoli del repertorio accademico virtuosistico (Don Chisciotte, Le Corsaire, Diana e Atteone), nei quali ha modo di sfoggiare la sua tecnica da virtuoso e la sua coinvolgente verve interpretativa. Dal 1993 primo ballerino dell’Houston Ballet (La fanciulla di neve di Ben Stevenson, 1998), si esibisce in numerosi gala e spettacoli internazionali.

Ambrosini

Sostenuto da un raffinato e rigoroso senso estetico, ha curato numerose regie teatrali e d’opera collaborando con alcuni fra i principali teatri italiani e stranieri (Regio di Torino, Comunale di Bologna, Regio di Parma, Liceu di Barcellona). Autore con forte vocazione politico-ideologica, è passato dall’impegno politico-sociologico degli anni ’70 al teatro epico brechtiano di derivazione realistico-critica; nei suoi testi, così come nell’impostazione registica degli spettacoli, ritornano i temi salienti della sua formazione. Allievo di Cesare Molinari all’università di Parma, dopo la laurea in storia del teatro si dedica al progetto di riqualificazione della città e fonda nel 1969 la Compagnia del Collettivo di Parma, per cui realizza testi e produzioni ( La grande paura -Torino 1921 ; Il re è nudo , 1973). Nel 1974 collabora con Mario Missiroli all’allestimento del Tartufo di Molière allo Stabile di Roma e l’anno successivo, chiamato dallo stesso Missiroli – divenuto direttore artistico dello Stabile di Torino – inizia una feconda collaborazione con l’ente come regista e drammaturgo: nel tentativo di rifondare il rapporto tra la città di Torino e le sue istituzioni s’inseriscono gli spettacoli realizzati dai giovani detenuti del carcere minorile `F. Aporti’ ( Uccellacci e uccellini da Pasolini, 1979), l’animazione del Laboratorio teatrale di Chieri ( Timone d’Atene , 1975; Sogno di una notte di mezza estate , 1978) e la creazione del Teatro Studio (prima assoluta di La chiave a stella di Primo Levi, 1986; Marat/Sade di Weiss, 1986). Nel 1980 organizza e coordina a Cuneo il convegno internazionale di studi pirandelliani e l’anno successivo quello sulla drammaturgia contemporanea, che riunisce a Stresa per tre giorni i più importanti drammaturghi e critici da ogni Paese europeo. In questi anni inizia anche un’intensa attività nella regia d’opera; tra le produzioni più significative, Elegie für junge Liebende di Henze (1978), Parsifal di Wagner (1978), Attila di Verdi (1983), Semiramide di Rossini (1985), Tosca di Puccini (1994). Nel 1982 fonda insieme a Stella Leonetti la cooperativa `Nuove parole’: gestirà a Milano il teatro Piccola Commenda, per il quale A. mette in scena numerosi lavori ( Quartett di Müller, 1983; Cinzano di Petrusvskaja, 1989; Durante la festa di Pinter, 1993). Particolare successo ha uno degli ultimi spettacoli prodotti con la Piccola Commenda, La cantatrice calva di Ionesco: la conversazione `bislacca’ dei signori Smith, in questo caso, assume i toni dello smascheramento delle convenzioni del linguaggio e dei comportamenti quotidiani e, nell’ambientazione iperrealista voluta da A. – un salotto borghese in mezzo al pubblico – i protagonisti assoluti non sono i fatti narrati, bensì l’irriverenza e i fraintendimenti della parola. Sempre attento al `teatro delle idee’, con radici nel sociale e nel territorio, A. propone nel 1996 Molly Sweeney , un testo di B. Friel ancora sconosciuto in Italia e La domanda d’impiego di Robert Vinaver, autore noto in Francia per il suo impegno morale e civile nel periodo della contestazione giovanile.

Ashton

Suoi maestri sono stati L. Massine e M. Rambert, esempi assoluti di professionalità e di gusto; l’esordio, in qualità di coreografo, avveniva nel 1926 con A tragedy of fashion (musica di E. Goossens) realizzato per una rivista di Hammersmith. Due anni dopo Frederick Ashton era nella compagnia di I. Rubinstein e appariva alla Scala. Tornò poi al Ballet Rambert, creando anche per il Ballet Club e la Camargo society vari lavori. Assunse un ruolo di rilievo nella creazione delle coreografie al Vic-Wells Ballet (1935) restandovi in tutte le sue successive trasformazioni (Sadler’s Wells Ballet e Royal Ballet), direttore associato nel 1952 e direttore dal 1963 al 1970. In attività esterna fu ospite come coreografo dei Ballets Russes De Monte-Carlo, dei Ballets de Paris di R. Petit, del London Festival Ballet, del New York City Ballet, del Balletto Reale Danese e della compagnia di Ballo del Teatro alla Scala di Milano. Ha contribuito alla parte coreografica dei film I racconti di Hoffmann (con Massine, 1950) e I Racconti di Beatrix Potter (1971). Uno dei meriti principali e dei riconoscimenti attribuibili ad A. è l’aver condotto il balletto inglese moderno verso la più vasta fama nel mondo. Molti dei suoi principali balletti sono stati richiesti da diverse compagnie internazionali e oggi si trovano in quei repertori (in particolare La fille mal gardée ). Il repertorio di Ashton è vario, sfaccettato, tradotto in un variegato, elegante classicismo dai toni ora lirici ora drammatici, sempre scorrevole, fluido, misurato, mai dimentico della raffinata educazione alle scuole di musicisti e pittori del suo nobile entourage londinese. Basterà ricordare la collaborazione appassionata con la scenografa S. Fedorovitc ( Symphonic Variations , musica di C. Franck, 1946) e con il compositore e direttore d’orchestra Constant Lambert.

Altro merito innegabile di Ashton è l’aver individuato in Margot Fonteyn la preziosa stoffa della qualità di danzatrice e artista, al punto di creare per lei e su di lei alcuni dei balletti più riusciti del suo repertorio ( Ondine , musica di Henze, 1958; Marguerite et Armand , musica di Liszt-Searle, 1963). Straordinariamente feconda e ricca di nuovi fermenti la collaborazione tra questi due eccezionali artisti, nel cui lavoro s’immise, inaspettatamente e felicemente, la prorompente, giovanile personalità di Rudolf Nureyev. Ad Ashton giovò moltissimo il periodo londinese dei Ballets Russes di Diaghilev, negli anni ’20. A contatto con Diaghilev, con i ballerini della famosa compagnia, con gli artisti (pittori, musicisti, coreografi), Ashton si arricchì gradualmente riuscendo a creare alcune delle composizioni più raffinate e sensibili della coreografia ballettistica senza trascurare una sua qualità particolare: il dono dell’ironia sottile. Fra questi piccoli o grandi capolavori sono da ricordare: Façade (musica di William Walton, 1931), gioiello di finissimo humour; Apparitions (musica di Liszt-Lambert, 1936); Les patineurs (musica di Meyerbee-Lambert, 1937); Cinderella (musica di Prokof’ev, 1948); Romeo and Juliet (musica di Prokof’ev, 1955); La Valse (musica di Ravel, 1958); Ondine (musica di Henze, 1958); La fille mal gardée (musica di Hérold-Lanchbery, 1960); Les deux pigeons (musica di Messager, 1961); The Dream (musica di Mendelssohn-Lanchbery, 1964); Monotones (musica di Satie, 1965 e ’66); Enigma Variations (musica di Elgar, 1968); A Month in the Country (musica di Chopin-Lanchbery, 1976); Rhapsody (musica di Rachmaninov, 1980). Numerose le coreografie per opere liriche, fra le quali Morte a Venezia di Britten, 1973.

Antonio

Dopo gli studi, debutta nel 1963 con il Nuevo Teatro de la Danza del Messico; in seguito si perfeziona alla scuola dell’American Ballet Theatre. Eclettico e versatile, danza con formazioni di diverso stile, il Joffrey Ballet, l’Alwin Ailey Dance Company e le compagnie di Glen Tetley, Anna Sokolow e Pearl Lang, fino a partecipare alla fondazione della Louis Falco Dance Company (1967), della quale è stato co-direttore e danzatore principale, capace di esaltare il linguaggio del coreografo con il suo stile morbido, guizzante e sensuale. Scioltasi la compagnia, ha lavorato fino alla morte come maestro e riproduttore.

Azzopardi

Studia danza moderna con Lilian Hermel e teatro sperimentale con Jérôme Savary e alla London Contemporary Dance School, danzando nel 1975 nell’omonimo gruppo. Nel 1976 è insegnante ospite dell’Opera di Zurigo, dal 1977 al ’79 è maestra al Mudra di Bruxelles. Dal 1980 in Spagna, collabora con Cesc Gelabert, con il quale nel 1986 fonda l’omonima compagnia e partecipa a varie produzioni come coreografa, interprete e costumista.

Antoine

Considerato da tutti il padre della regia moderna, Antoine André nasce da una famiglia operaia, e si arrangia presto a fare qualsiasi lavoro, da impiegato presso la società del gas a commesso di libreria. Il magistero di questo regista, praticamente autodidatta – ha iniziato facendo l’attore in compagnie amatoriali – mai a senso unico e destinato a lasciare una traccia indelebile nella storia della scena mondiale, si rivela al Théâtre Libre (1887-1897) con la rappresentazione di quattro atti unici, il 30 marzo 1897 (Mademoiselle Pomme di Duranty, La cocarde di Vidal, Un préfet di Byl, Jacques Damour di Hennique); si rafforza al Théâtre Antoine (1897-1906) dove non si perita di confrontarsi con il teatro di boulevard e culmina all’Odéon dove, come direttore (1906-1914), mette in scena testi classici. È indubbio, tuttavia, che il suo periodo più fecondo sia quello legato al Théâtre Libre in cui getta le basi della rivoluzione naturalistica in palcoscenico. Il giovane ex impiegato del gas che debutta sulla scena del privatissimo Cercle Gaulois per sfuggire alle occhiute maglie della censura, infatti, è il primo non solo ad applicare in teatro quel bisogno di verità oggettiva che Emile Zola teorizzava per il romanzo e per la drammaturgia ne Il naturalismo a teatro, ma anche a teorizzare in un saggio rimasto famoso (Conversazione sulla regia , 1903) la ‘quarta parete’ che trasforma gli spettatori in voyeurs occhieggianti dal buco della serratura quanto avviene sulla scena. Il palcoscenico dunque è un luogo chiuso delimitato da tre pareti costituite dalle quinte e da una quarta parete immaginaria, `convenzionale’, che divide gli spettatori dagli attori costretti a recitare «come se non ci fosse il pubblico».

Antoine André rimane folgorato per la prima volta da questa rivelazione e dalla sua importanza, quando, a Bruxelles, nel 1888, si trova di fronte alla compagnia tedesca dei Meininger (la stessa destinata a lasciare un’impressione incancellabile in Stanislavskij) e al suo modo di recitare, magari girando le spalle agli spettatori e usando il palcoscenico in tutta la sua profondità. Da qui nasce per Antoine non solo l’esigenza di una scenografia che riproduca fedelmente la realtà, ma anche di una recitazione che richieda all’attore una completa immedesimazione nel personaggio da rappresentare. «Gli applausi del pubblico mi hanno risvegliato dalla trance nella quale ero caduto» scriverà nei suoi ricordi. Il nuovo teatro, destinato a fare piazza pulita dei testi di Sardou, di Dumas figlio e in generale della cosiddetta pièce bien fait trova alimento nelle riduzioni teatrali dei grandi romanzi naturalisti, in grandi autori come Ibsen e Strindberg, ma anche in drammaturghi mediocri come Jean Jullien e Ferdinand Icres. Dopo la fine dell’esperienza del Théâtre Libre è all’Odéon che A. lascia una traccia più forte, che nasce dalla sua saggezza di regista eclettico: perché misurandosi con i grandi classici come Molière, Corneille, Racine e, soprattutto, Shakespeare e con testi la cui struttura non può reggere la (quarta parete) e dunque la recitazione naturalistica, non vi resta ancorato. Il suo eclettismo, che va di pari passo con un’intelligente curiosità, è attestato anche dal suo lavoro di critico, oltre che dalla sua attività di regista cinematografico. Le storie del cinema, infatti, ricordano che è stato proprio lui a comprendere per primo l’esigenza di girare in esterni: un cinema realistico, in grado di cogliere anche nella verità dell’ambientazione, il senso della vita.

Airaudo

È stata per molti anni una delle interpreti più preziose e una delle più interessanti `donne forti’ del Wuppertaler Tanztheater di Pina Bausch. Danzatrice di grande temperamento, drammatica e di rigorosa tecnica, si è imposta in vari lavori della celebre coreografa; in particolare in Walzer e in Café Müller dove è apparsa come un doppio della stessa Bausch, riflettendo specularmente i movimenti. Nel 1983 ha lasciato momentaneamente il complesso tedesco per lavorare con la Carlson. Scioltasi poi la compagnia veneziana di quest’ultima si è dedicata all’insegnamento a Essen e si è rivolta anche alla coreografia.

Attori e Tecnici

La Cooperativa Attori e Tecnici inizialmente agisce sotto l’egida della Cooperativa Teatro della Convenzione di Firenze, e produce il primo allestimento Notte con ospiti di Peter Weiss. Una visione privata, al teatro Politecnico di Roma, assicura recensioni e successo, tanto da consentire la creazione della Cooperativa Attori & Tecnici nel giugno 1977. Oltre a Corsini e alla Toniolo entrarono nel gruppo Anna Lisa Di Nola, Stefano Altieri, Sandro De Paoli, Renato Scarpa. La Cooperativa si connota subito per l’attenzione data all’attore, `responsabile’ sia nelle scelte artistiche che economiche e gestionali. Il gruppo si indirizza verso un repertorio comico e brillante, con allestimenti e riletture di classici diretti dallo stesso Corsini: Intrighi d’amore , di Torquato Tasso, nella rielaborazione di Corsini e Luciano Lucignani, scene e costumi di Lele Luzzati (1977); La Furiosa del Della Porta (1979); il poema in versi La Pulcella d’Orleans di Voltaire (1980); fino al grande successo di Rumori fuori scena di Michael Frayn, continuamente in cartellone dal 1983 al 1997. Stabilita la propria sede al Teatro Vittoria di Roma, la C. A. e T. si segnala ancora con Spettattori di Frayn (1986) e Amleto in salsa piccante di Aldo Nicolaj (1991), Black Comedy di Peter Schaffer (1997), I newyorkesi da Allen, Mamet, May (1998).

Arias

Non ancora ventenne lascia il suo paese in cerca di fortuna teatrale. A Parigi realizza il suo primo spettacolo, Dracula (1966), e fonda il Groupe Tse (1968). Recupera così quanto ha lasciato oltreoceano: l’ingenuità chiassosa della rivista, l’energia e la spettacolarità del music-hall. Pubblico e critica francesi scoprono allora l’originalità del suo teatro: erudizione, sofisticazione, seduzione sono le componenti di Histoire du Théâtre , Comédie policière , Goddess , in cui si afferma uno degli attori con cui lavorerà più spesso, Facundo Bo. Nel 1970 con Eva Peron di Copi, Alfredo Rodriguez Arias conquista un pubblico di ammiratori che lo seguiranno in 24 Heures , in Luxe e nelle Pene d’amore di una gatta inglese , da Henry James, commedia musicale del 1976 rappresentata trecento volte al Théâtre de Montparnasse (ma anche a Spoleto). Sperimenta quindi una drammaturgia a largo raggio (da Goldoni ai contemporanei), il più delle volte riletta attraverso i moduli della rivista: scene parlate, danzate, cantate, che ruotano attorno a una vedette e a un comico, sempre in equilibrio fra richiamo sessuale, fantasia, magia. «Un maquillage ben fatto – dichiara a quell’epoca – vale come dieci pagine di Shakespeare». Dal 1985 al 1990 è direttore del Centro Drammatico di Aubervilliers, dove allestisce Shakespeare, Marivaux, Maeterlinck, senza però dimenticare i fragori del teatro boulevardier e le pièce dell’amato connazionale Copi (Cachafaz , Loretta Strong). Mortadela , memoria di un’infanzia italo-argentina abbagliata dalle luci del music-hall, riceve nel 1992 il premio Molière come miglior spettacolo musicale. Nel 1993, ottenuto l’incarico di realizzare una nuova rivista per la riapertura delle Foliès-Bérgère, prepara Fous de Foliès . In Italia mette in scena il goldoniano Ventaglio. Nini , del 1995, con Marilù Marini, è un omaggio alla caratterista argentina Nini Marshall, e lo consacra finalmente anche presso il pubblico del suo Paese, che egli ricompensa inventando e interpretando un Faust argentino (1995). In ciò lo aiuta l’esperienza accumulata anche nell’operetta (una Vedova allegra a Spoleto e allo Châtelet di Parigi), nel teatro musicale (decine di allestimenti, tra cui I racconti di Hoffmann di Jacques Offenbach alla Scala nel 1995), nel cinema (il suo primo lungometraggio, Fuegos , era già del 1986) e nella fiction televisiva (Bella Vista , da Colette, è del 1991).

Amadori

Considerato il fondatore dello stile italiano nel corso della carriera si esibisce esclusivamente con la troupe di famiglia composta dalle sorelle Gilda e Ginevra, e dal padre Goffredo, catcher. Nel 1935 Amadori Genesio è il primo trapezista europeo a girare il triplo salto mortale. È anche l’unico al mondo a girare il doppio salto mortale con una sola mano alla sbarra, esercizio che lo porta alla morte.

Aulenti

Architetto e scenografo di fama e prestigio internazionale, accanto alla sua occupazione primaria di architetto, Gae Aulenti svolge un’attività di scenografa iniziata con solidale intesa insieme a L. Ronconi, nel 1974, a Napoli, firmando scene e costumi di Le astuzie femminili di Cimarosa e uno spassoso Barbiere di Siviglia di Rossini ambientato nella Spagna franchista, all’Odéon di Parigi. E il sodalizio con Ronconi continuerà al laboratorio di progettazione di Prato, prima con L’anitra selvatica di Ibsen e Calderón di Pasolini, nel 1978, entrambi al Teatro Metastasio; poi con La torre di Hofmannstahl al Fabbricone; cui faranno seguito Le baccanti di Euripide; per questi tre ultimi allestimenti riceve nello stesso anno il premio Ubu. Nel 1977, sempre col suo regista e amico, aveva curato la scenografia di Wozzeck di A. Berg per la Scala, uno spettacolo che ha fatto epoca per l’intelligenza dell’ideazione, ma anche per la rumorosità della pedana su cui scorrevano le quindici scene del dramma. Ancora per la Scala e ancora con Ronconi l’A. firma: Donnerstag aus Licht e Samstag aus Licht di K. Stockhausen, rispettivamente nel 1981 e nel 1984; La fiaba dello Zar Saltan di Rimskij-Korsakov (inscenato però al Lirico), nel 1988; Elektra di R. Strauss, nel 1994. Nell’ambito del festival rossiniano di Pesaro, A. mette in scena, anche come regista, La donna del lago , nel 1981 e, con Ronconi, Ricciardo e Zoraide nel 1990; ma è soprattutto con Viaggio a Reims del 1984 (e riproposto alla Scala nel 1985) che l’A. firma un allestimento di acuta penetrazione storica e di smagliante bellezza, con un Ronconi che rinnova qui le invenzioni fantastiche de L’Orlando furioso . Nel 1978 il duo allestisce insieme Passaggio e l’anno dopo Opera, entrambe di L. Berio per l’Opera di Lione; e, nel 1995 ritorna al teatro con Ronconi per il Re Lear scespiriano messo in scena all’Argentina di Roma. Precedentemente (1984) al San Carlo di Napoli, con la regia di Costa-Gravas, Il mondo della luna di Haydn con il suo utopismo settecentesco non offre all’artista che qualche soluzione brillante, non all’altezza comunque delle altre realizzazioni. Razionali e geometricamente composti, intellettuali e raffinati, i progetti scenici dell’A. si adattano sempre alle esigenze di ricreare uno spazio mitico, così da recuperare in modi insoliti la qualità sostanziale di un testo, servendosi liberamente sia dei luoghi tradizionali dello spettacolo che di altri più alternativi, come strade o fabbriche.

agit-prop

L’agit-prop  (teatro di agitazione) è una forma di spettacolo teatrale che si propone di trattare temi politici in maniera diretta e immediata, con linguaggio semplice ed efficace, facendo partecipare il pubblico e spesso cionvolgendolo nell’azione drammatica. Storicamente per agit-prop si intende quella serie di manifestazioni, largamente diffuse durante il periodo della rivoluzione in Urss, in cui artisti dell’avanguardia politica e militanti di base, davano vita a spettacoli brevi, con tesi precise e politicamente determinate, su argomenti tratti dall’esigenza rivoluzionaria. Azioni teatrali all’aperto furono i giornali viventi, i montaggi letterari, i documenti sceneggiati. Ma agit-prop furono anche i grandi spettacoli di massa (ad esempio La presa del Palazzo d’inverno del 1920, diretto da Evreinov). Majakovskij e Mejerchol’d sono tra le personalità di rilievo che operarono in questo campo. Introdotto a Berlino da E. Piscator nel 1929, l’agit-prop esercitò grande influenza sul teatro politico europeo.

 

 

Arbore

Eccellente clarinettista nella Napoli del dixieland del dopoguerra, Renzo Arbore ha esordito come presentatore di programmi televisivi e radiofonici di notevole successo. Due le direttrici: la musica e l’umorismo che, partite in direzioni separate, si sono poi ricongiunte sua carriera nel corso della carira. Bandiera gialla e Speciale per voi furono la dimostrazione di come si potessero disegnare format a carattere musicale realmente al passo coi tempi e di quanto fosse necessaria la competenza specifica del conduttore. Ma il grande successo arrivò nel 1970 con Alto gradimento , programma radiofonico rivoluzionario in cui, insieme a G. Boncompagni, M. Marenco e G. Bracardi, A. inventò un teatrino demenziale che lo rese beniamino di milioni di ascoltatori. Eccelso talent scout, Renzo Arbore è stato – grazie soprattutto a tre fortunatissime trasmissioni tv: la goliardica Altra domenica , che si opponeva al conformismo parrocchiale di Domenica in , e i fenomeni di costume Quelli della notte e Indietro tutta – il responsabile del successo di almeno due generazioni di comici-fantasisti, tra i quali R. Benigni, a cui furono fatti vestire gli improbabilissimi (ma, con il senno di poi, forse non troppo) panni di critico cinematografico, A. Luotto, N. Frassica, M. Laurito. Non teatrante in senso stretto, ma sicuramente capocomico di razza e maestro improvvisatore, A. è stato in grado – in particolare nella trasmissione Quelli della notte , uno dei simboli degli anni ’80 italiani – di costruire personaggi e situazioni ex nihilo e imporre tormentoni a presa rapida di gran peso sulla fraseologia dell’italiano medio, il tutto all’insegna di una goliardia mai volgare. Sui palcoscenici di mezzo mondo con la sua Orchestra italiana, è dal 1996 direttore artistico di Rai International.

Astaire

La più lunga e la più straordinaria carriera di ballerino della storia: un’attività durata sessantacinque anni tra palcoscenico e cinema con inalterabile popolarità, assoluta eccellenza e corrispondente prestigio. Sigmund Freud sosteneva che essere il figlio preferito forniva a un uomo una sicurezza straordinaria. Non abbiamo mai saputo se fosse Fred Astaire o la sorella Adele, il figlio preferito di Frau Austerlitz, ma è documentato che la madre curò, dall’inizio, quella che in principio era la carriera di una delle tante coppie di fratelli nel mondo del music-hall (tanto per fare un esempio, i Cansino, padre e zia della futura Rita Hayworth). Dice la leggenda (ma forse è vera) che A. abbia cominciato a praticare il ballo seguendo le lezioni della sorella maggiore, ma non è una leggenda che fin dall’infanzia fosse in grado di affrontare praticamente qualunque passo di danza gli venisse proposto. Dotato di una complessione particolarmente agile, leggero ma anche molto forte, sviluppò col tempo il gusto della sfida, di cercare sempre nuovi passi e nuove combinazioni nel meraviglioso, ma un po’ frusto, mondo del tip-tap e di quelli che venivano definiti `balli di sala’. Questa ricerca, unita a una disciplina che in genere si definisce teutonica, somiglia a quella del bambino Mozart ai suoi inizi di musicista. Un po’ meno precoce di lui, A. debutta a Broadway, in coppia con la sorella Adele, nel novembre 1917 in Over the Top : Fred e Adele, gli Astaires, diventano i favoriti del pubblico newyorkese e continuano una carriera in crescendo. The Passing Show of 1918 è un bel successo; Apple Blossoms (1919) ha otto mesi di repliche. Seguono The Love Letter (1921), For Goodness Sake (1922), The Bunch and Judy (1922). Nel 1923, For Goodness Sake , ribattezzato Stop Flirting , trionfa a Londra e fa più di un anno di repliche. E finalmente, nel 1924, complice il produttore amico Alex A. Arons, si realizza il progetto di una commedia musicale scritta apposta per i due Astaire dai due Gershwin, Ira per le parole e George per la musica: Lady Be Good! , che ottiene un meritato trionfo con trecentotrenta repliche a New York e trecentoventisei a Londra nel 1926. Funny Face , nel ’27, con gli stessi autori e il medesimo produttore, ripete il successo degli Astaires: duecentocinquanta rappresentazoni a Broadway e duecentosessantatre a Londra, l’anno seguente.

Nel 1930, suprema consacrazione nel mondo del varietà anglofono, gli Astaires partecipano alla rivista di Ziegfeld di quell’anno, Smiles . Nel 1931 The Band Wagon, di Howard Schwartz e Howard Dietz, è di nuovo un grande successo a Broadway, ma sarà anche l’ultima volta che la magica coppia Astaires si riunisce su un palcoscenico: l’anno seguente Adele sposerà in Inghilterra Lord Charles Cavendish e non tornerà mai più sulle scene. Sempre nel ’32 A. tenta la sorte con un’altra partner: una splendida bionda di nome Claire Luce; con parole e musica di un Cole Porter entusiasta, ecco Gay Divorce che è un successo a sua volta (duecentoquarantotto repliche a New York, centotto a Londra nel ’33). In realtà, a parte questo spettacolo, e l’aver coreografato pochissimi numeri musicali altrui (Noël Coward e Gertrude Lawrence in London Calling! , Marilyn Miller in Sunny , Ginger Rogers e Allen Kearns in Girl Crazy), tutta la carriera teatrale di A. si è svolta in coppia con la sorella Adele e, purtroppo, ne restano pochissimi documenti visivi, mentre la lontananza nel tempo fa sì che sempre meno testimoni restino in grado di riferirne. La carriera cinematografica di A. comincia sotto cattivi auspici, con la pessima Joan Crawford di Dancing Lady (1933), continua con un piccolo film chiamato Flying Down to Rio (sempre 1933) nel quale avviene il magico incontro con Ginger Rogers, ed eccolo partito per un’altra celebre partnership: dopo quel primo, la coppia Astaire-Rogers compare in altri otto film tra il 1934 e il ’39, e ancora una volta, dieci anni dopo, in I Barkleys di Broadway . Per fortuna Ginger Rogers aveva delle ambizioni di attrice drammatica, e la collaborazione si interruppe una prima volta e poi una seconda. Per fortuna, in quanto A. incontrerà così altre partner, alcune mirabili come Cyd Charisse o Eleanor Powell, ma anche una splendida Rita Hayworth e, purtroppo una sola volta, Judy Garland. Da segnalare alcuni anni magici nella carriera del ballerino tra il 1952 e il ’57 (ovvero quando aveva da 53 a 58 anni!) con i film The Belle of New York , The Band Wagon , Daddy Longlegs, Funny Face e Silk Stockings . Diversi film come attore (non cantante né ballerino), alcune serie radiofoniche negli anni ’30, infinite apparizioni in tv che comprendono i memorabili An Evening with Fred Astaire (1958) e il pluripremiato Astaire Time (1960). Ha fondato e diretto per un certo numero di anni una catena di scuole di ballo (balli di sala) in tutti gli Usa e ha registrato, fra il 1923 e il 1971, centinaia di dischi (ora quasi tutti riproposti in cd) e quasi tutte le più belle canzoni dei grandi compositori Usa.

Aymé

Nel 1932 scrive per il teatro Luciana e il macellaio (Lucienne et le boucher), che a lungo è considerata irrappresentabile. Solo nel 1948 il testo è messo in scena al Vieux-Colombier, dove riscuote un discreto successo. Da questo momento A. si dedica quasi esclusivamente al teatro. Nel 1950 scrive Clérambard , dal nome del protagonista, un gentiluomo di campagna avaro e brutale, che in seguito all’incontro con San Francesco si converte alla carità e all’umiltà. A questo seguono altri lavori fondamentali: Vogue la galère (1951) e La testa degli altri (La tête des autres, 1951), una satira feroce della giustizia, che attira le proteste della magistratura francese. Un condannato a morte, riuscito a evadere, scopre che l’amante del magistrato che lo ha condannato è la donna che avrebbe potuto scagionarlo. Nel 1952 con Gli uccelli di luna (Les oiseaux de lune) attacca i regimi dittatoriali, che degradano gli uomini fino a trasformarli in uccelli. A. riesce a conciliare il suo feroce umorismo sulla realtà contemporanea con le atmosfere irreali delle fiabe. Solo nei lavori migliori, però, il passaggio dal registro comico a quello lirico risulta armonico. Un viaggio negli Usa gli suggerisce due pièces La mosca blu (La mouche bleue; 1957) e Louisiane (1961), in cui critica lo stile di vita nord-americano. Adatta per le scene francesi alcuni testi di Arthur Miller: Il crogiolo (1954) e Uno sguardo dal ponte (1958). Ultima sua commedia è La Convention Belzébir (1967) solo qualche mese prima della sua improvvisa scomparsa.

Abbott

Già allievo di G.P. Baker all’università di Harvard, debuttò sulle scene nel 1913 ( The Misleading Lady ) e, fino al 1989, anno del suo ritiro definitivo, partecipò a oltre 130 spettacoli, molti dei quali di successo, guadagnandosi l’appellativo di Mister Broadway: Daddies (1918), Zander the Great e The White Desert (1923), Processional (1925) dove suscitò scalpore il suo ruolo di fuorilegge che scappa dal carcere dentro una bara. Fecero epoca melodrammi come Broadway (con P. Dunning, 1926), farse come Tre uomini su un cavallo (Three Men on a Horse, con J.C. Holm, 1935), oltre a molti vivacissimi musical (di cui fu spesso anche librettista) per compositori quali Richard Rodgers, Leonard Bernstein e Frank Loesser ecc., soprattutto fra gli anni ’30 e ’50: On Your Toes , 1936; The Boys from Syracuse , 1938, considerato il suo capolavoro; Pal Joey , 1940 (di cui in Italia è nota la versione cinematografica con F. Sinatra, R. Hayworth e K. Novak); Look Ma’, I’m Dancing , 1948; Call me Madam , 1950; The Pajame Game , 1954, con le coreografie dell’esordiente Bob Fosse. Come regista teatrale ha allestito decine di spettacoli, tra cui: Chicago (1926), The Great Magoo (1932), il patriottico John Brown (1934). Di molti ne è stato anche il produttore. Per la Paramount ha diretto anche film, all’inizio del sonoro: Le vie del cielo e La piovra (1929), The Sea God (1930). Nel 1963 pubblicò un’autobiografia, Mr. Abbott . Caratterizzavano le sue regie una perfetta efficienza tecnica e uno straordinario senso del ritmo, applicati a testi propri (scritti spesso in collaborazione con altri) o a copioni altrui da lui rivisti e adattati alle esigenze del teatro commerciale.

Adamov

Fin dal 1924, ha scelto di vivere ed operare in Francia. Fortemente influenzato da Artaud, Strindberg, Kafka e dall’espressionismo tedesco – cui bisogna sommare la profonda fascinazione esercitata dalle teorie di Freud – A. dà vita nel 1946 a La confessione (L’aveu), vera e propria rivelazione dell’angoscia dell’autore di fronte al vuoto esistenziale, che si concretizza in un processo di progressiva distruzione del linguaggio. Dal 1947 al 1953, A. scrive sei pièce, messe in scena da giovani registi come Jean Vilar, Jean-Marie Serreau o Roger Planchon: inoltre, nel 1960 entra a far parte del Partito comunista e cerca perciò di far convergere il bisogno di «liberarsi del proprio male» con gli obiettivi drammaturgici enunciati da Bertolt Brecht. Da La Parodie (1947) a L’invasion (1950), da La grande et petite manoeuvre (1950) al Professeur Taranne del 1953, i suoi testi paiono allontanarsi da uno psicologismo tradizionale e dal teatro metafisico per cercare di trasformare – secondo le sue stesse parole – «un sogno o un sentimento personali in una fatalità inflitta all’umantità». Questo anche il tema di Ping-pong (1954), opera in cui il destino umano è esemplificato dal caso di due inventori di un biliardo elettrico che, perduti nel nonsense dell’esistenza, si ritrovano a finire i propri giorni modificando continuamente le regole del gioco da loro stessi inventato. Opera fortemente legata al teatro dell’assurdo, Ping-pong traduce l’attenzione dell’autore per il linguaggio in quanto indicatore del disagio psichico e, soprattutto, quale segnale incontrovertibile della mancanza di senso in cui l’uomo appare immerso.

Aub

Di origine franco-tedesca, Max Aub si trasferì adolescente in Spagna. Impegnato in attività culturali a favore della Repubblica durante la guerra civile, nel corso della quale scrisse pezzi di teatro politico e collaborò con André Malraux alla realizzazione del film L’espoir o Sierra de Teruel . Esiliato in Francia al termine del conflitto, si stabilì successivamente in Messico. Autore prolifico ma assai poco rappresentato, mosse i primi passi nell’ambito del teatro d’avanguardia degli anni ’20 e ’30, per passare poi a drammi sociali di ampio respiro e dalla struttura spesso complessa, che affrontano le grandi tematiche suscitate dalla guerra europea: la persecuzione degli ebrei in San Juan , 1942 (andato in scena in Spagna solo nel 1998); l’occupazione della Francia in Morire per aver chiuso gli occhi (Morir por cerrar los ojos, 1944); la guerra fredda in No , 1949; la vita di rifugiati ed esiliati in vari testi. In tutti è presente anche una continua ricerca formale. San Juan e alcuni testi in un atto sono stati tradotti in italiano.

avanspettacolo

Le sale che ospitavano quel genere di spettacoli furono indotte – tramite incentivi fiscali – a privilegiare la programmazione cinematografica, contestualmente la produzione di film (autarchicamente ribattezzati `filmi’) fu economicamente favorita purché le pellicole realizzate e saltassero l’italianità, l’eroismo dei militari italiani e la supremazia dell’ideologia fascista. Tuttavia, mai nulla fu fatto per affondare direttamente il varietà, che restava pur sempre lo svago più popolare del Paese. Sicché gli artisti di varietà da un lato concentrarono i loro sforzi economici per allestire spettacoli in tutto e per tutto concorrenziali nei confronti del cinematografo (è il caso della rivista) e dall’altro accettarono il compromesso di vedere ampliato all’interno delle proprie rappresentazioni lo spazio destinato alle proiezioni. Fino a limitarsi a precedere, con un’ora circa di spettacolo, il film che veniva presentato, a tutti gli effetti, quale vera attrazione della serata. Così nacque l’a. A. di nome e di fatto: ancora una volta, come nel caso del `caffè concerto’, del varietà e della commedia musicale, l’etichetta chiamata a definire un genere della comicità popolare del Novecento offre pedissequamente la descrizione fattuale di ciò che vuole riassumere. Segno che l’interesse della cultura dell’epoca per questi generi di spettacolo era inesistente: nessuno allora si occupò di studiarli, di approfondirne i temi, di valorizzarli né di etichettarli, appunto. I termini `caffè concerto’, varietà, avanspettacolo, commedia musicale furono semplicemente inventati dagli impresari per distinguere i loro prodotti dal resto dell’offerta. Ebbene, l’a. visse felicemente fra il 1930 e il 1950, sovente sovrastando, nei gusti e nelle spese del pubblico, lo stesso cinematografo che era chiamato a introdurre e servire. Per di più l’a. rappresentò l’unica forma d’arte effettivamente organica alla classe sociale entro la quale era nato e a cui era principalmente rivolta: quella composta dagli operai, dagli artigiani e i piccoli commercianti. Forse anche per questa ragione, pur senza diretta consapevolezza intellettuale e politica, l’a. risultò essere sostanzialmente luogo di opposizione al regime fascista fin da tempi non sospetti. Su quei palcoscenici, infatti, venivano rappresentati sketch e monologhi basati principalmente su questioni di fame e di contrapposizione fra quanti mangiavano e quanti saltavano i pasti, in ciò vedendo spesso come elemento di discrimine l’aderenza ai dettami sociali e politici del regime. In a. si davano due o tre recite al giorno, a seconda della capienza dei teatri e della ricettività della città o del paese in cui la compagnia era ospite. Ogni recita, s’è detto, precedeva la proiezione, ma talvolta, nel caso di compagnie di particolare successo, al termine dell’ultima proiezione, ossia intorno alle dieci di sera, si dava un ultimo spettacolo ridotto alle sole vedette. Si trattava in sostanza di rappresentazioni analoghe a quelle del varietà, con i comici e le ballerine, con i cantanti e i maghi, con gli illusionisti e i contorsionisti. Le compagnie più povere, tuttavia, offrivano solo numeri comici, di ballo e di canto. Dal punto di vista dell’organizzazione economica, il capocomico scritturava gli artisti, allestiva la rappresentazione, ne curava le scene, forniva i costumi alle ballerine e poi vendeva il `prodotto finito’ ai gestori dei cinema-teatro. Solo in casi rarissimi succedeva che un comico venisse scritturato direttamente dal gestore della sala. E in genere si trattava di artisti di grandissima fama, capaci da soli di chiamare grandi quantità di pubblico. Questo è il caso, per esempio, dei fratelli De Rege che non hanno mai fatto compagnia capocomicale. In ogni caso i temi trattati dagli sketch e dai monologhi erano semplici e d’ambientazione povera, il rovescio preciso della ricchezza e dell’esotismo esibito senza pudore dal cinematografo. E del resto il cinema i comici d’a. lo vedevano a rovescio, da dietro il telo di proiezione. Dormendo e sognando a bocca aperta e a stomaco vuoto.

Abba

L’esordio a teatro di Marta Abba avviene nel 1924 con la Compagnia Talli, a Milano, dove ottiene un buon successo nel Gabbiano di Cechov. Pirandello, leggendo la critica di Marco Praga, decide di scritturarla l’anno successivo come prima attrice della Compagnia del Teatro d’Arte di Roma. Inizia così il lungo sodalizio della Abba con Pirandello, che scriverà per lei: Diana e la Tuda, L’amica delle mogli, Trovarsi, Come tu mi vuoi.

L’esperienza del Teatro d’Arte durerà fino all’estate del 1928. La Abba girerà con la Compagnia in tutta Italia e in molte città estere, con un repertorio concentrato sull’opera del maestro, con divagazioni verso altri autori. Nella stagione 1928-29 forma una sua compagnia, con un repertorio che, pur rimanendo fedele ai testi pirandelliani, si allarga verso autori come Shaw, D’Annunzio, Goldoni.

Dal 1925 al 1936 intrattiene un lungo epistolario, oggi finalmente pubblicato, con Pirandello, nel quale problemi di lavoro si alternano a quelli della famiglia e con una vena d’amore mai chiarita. Intanto la critica riconosce Marta A. come la massima interprete del teatro pirandelliano. Si sposa negli Stati Uniti, nel 1938, due anni dopo la morte di Pirandello. Fu diretta, oltre che da Pirandello, anche da Reinhardt e da Salvini.

Ha pubblicato: La mia vita d’attrice e, postumo; Caro maestro… Lettere a Luigi Pirandello (1926-1936), a cura di Piero Frassica. La donazione all’Università di Princeton del suo epistolario ha permesso recentemente di conoscere le lettere indirizzatele da Pirandello.

Ariadone

Pur contrapponendosi al mondo `maschile’ del butoh tradizionale, alla nascita e allo sviluppo coreografico della compagnia hanno partecipato attivamente anche Ko Murobushi, che ha firmato diversi lavori ( Zarathustra , 1980; l’assolo Utt , 1981) ed è spesso stato ospite del gruppo, e Maro Akaji, autore dell’assolo per Ikeda Chisako (1987) e anche del primo spettacolo di A., Mesu Kazan (1975). Derivato attraverso Murobushi dalla danza `tenebrosa’ di Hijikata, il repertorio di A. si è andato precisando da Hime (1985) a Le langage du sphinx (1991) lungo una linea più poetica e personale tracciata da Ikeda, che da anni ha trasferito la sede della compagnia a Bordeaux.

Anderson

Eclettica, versatile, di interessi poliedrici che spaziano dalle arti figurativo-plastiche a quelle sceniche, esplora e sperimenta le potenzialità espressive e estetiche delle tecnologie più avanzate. Decisivi per la sua ricerca musicale gli incontri e le collaborazioni con alcuni degli esponenti più significativi dell’avanguardia americana: Philip Glass, Brian Eno, John Cage. Le sue performance degli anni ’70 elaborano in modo originale le forme della musica minimale. Si ricordano, nell’ambito di una produzione decennale, Automotive (`concerto per automobili’, Rochester 1972), Duets on Ice (New York 1974), As if (New York Artist Space, 1974), Songs and Stories for the Insomniac (Artist Space di New York e Museum of Contemporary Art di Chicago, 1975), Out of the Blue (University of Massachusetts 1975), For Instants Part 3 – Refried Beans (Moma, New York 1976), That’s not the way I heard it (Documenta, Kassel, 1977), The Hand Phone Table (installazione sonora e visiva, Projects Gallery, Moma, New York 1978). Alla ricerca musicale A. alterna incursioni in altri linguaggi espressivi facendo da spalla al comico Andy Kaufman in diversi Comedy club a Coney Island. Nel 1980 inizia a concepire United States , lavoro musicale di ampio respiro, prima di pubblicare il singolo O Superman (1981) e l’album Big Science (1982) che incontrano grande successo, soprattutto presso il pubblico giovanile. Nel 1986 la sua performance Natural History è presentata in tutto il mondo e nel 1991 pubblica il libro Empty Places tratto dall’omonima performance. Seguono Stories from the Nerve Bible (Filadelfia, 1993) e Bill and Laurie. About Five Rounds (Joyce Theater, New York 1996).

Anderson

Vinse nel 1945 un premio nazionale per la miglior commedia scritta da un militare statunitense in servizio attivo. E nel 1953 ottenne un grande successo internazionale con Tè e simpatia (Tea and Sympathy), offrendo a un’attrice la bella parte di una signora che avvia sul cammino dell’eterosessualità uno studente ritenuto poco virile perché preferisce le arti agli sport. Tra i suoi copioni successivi si può citare Lo sai che non ti sento quando scorre l’acqua (You Know I Can’t Hear You When the Water’s Running, 1967), un ciclo di quattro brevi farse sui comportamenti sessuali della middle class americana.

Adani

Esordisce quindicenne nella compagnia Pavlova, passando poi alla Za-Bum n.9 e alla compagnia degli Spettacoli Gialli diretta da Romano Calò. Nel 1934 ricopre il ruolo di primattrice con la ditta Cimara-Adani-Melnati, mentre è dell’anno successivo l’incontro con Renzo Ricci, col quale forma fino al 1940 una delle coppie più affiatate della scena italiana; con lui, scostandosi dal genere brillante, affronta interpretazioni di grande impegno (Ofelia, Giulietta, Caterina nella Bisbetica domata , Margherita Gauthier, Mila di Codro). Dopo la guerra si confronta con un repertorio soprattutto moderno: da Kaiser (Giorno d’ottobre , regia Paolo Grassi con V. Gassman) e Shelley (Pick-up-girl ), compagnia Ruggeri-Adani, regia G. Strehler), ad Achard, Caldwell, Cocteau, Kaufmann e Hart, Kanin, Feydeau e De Filippo, con prove di particolare rilievo in: Oh papà, povero papà la mamma ti ha appeso nell’armadio e io mi sento tanto triste di Kopit, regista M. Missiroli (1964); Giorni felici di Beckett (1965, regia di R. Blin) e ne La Venexiana con la regia di M. Scaparro (1966). Laura Adani si è ritirata dalle scene dopo il secondo matrimonio (aveva sposato in prime nozze il duca Luigi Visconti di Grazzano, fratello di Luchino), con il conte Balbo Bertone di Sambuy.

Arauzo

Studia danza classica e spagnola al Conservatorio di danza di Madrid e, dopo alcune esperienze con compagnie di danza flamenca, nel 1981 entra nella formazione diretta da Antonio Gades. Qui si mette in evidenza riprendendo nel 1988 il ruolo principale in Carmen , cui fanno seguito quello della sposa in Bodas de Sangre e in Fuente Ovejuna (1995), con i quali conferma la sua personalità di interprete drammatica e incisiva.

Antona-Traversi

Camillo Antona-Traversi fu tra i più significativi rappresentanti del teatro naturalista. Tra i suoi drammi migliori e più noti si annovera Le Rozeno (1891). Da ricordare anche Danza macabra, Uno scandalo, Parassiti e Strozzini. Si cimentò anche nel grand-guignol per il quale scrisse una cinquantina di atti unici: La fiancée, Don Matteo, La Vénus masquée . Nel 1907 si trasferì in Francia dove, subentrando a D. Niccodemi, fu segretario dell’attrice G. Réjane e dove firmò vari lavori in lingua francese (Le maître d’école, La Mystérieuse, Vautrin).

Albini

Critico teatrale e musicale dell'”Avanti!”, dal 1911 al 1925, fu militante socialista e si ritirò dal giornalismo con l’avvento del fascismo; collaborò a numerose riviste e quotidiani fino al 1926. Venne messo in carcere perché accusato di aver collaborato e favorito l’espatrio clandestino di Filippo Turati. Tra le sue pubblicazioni si ricorda l’edizione completa delle poesie di Pompeo Bettini, insieme al quale scrisse nel 1896 il dramma, di forte impronta pacifista, I vincitori , che in seguito tradusse in dialetto intitolandolo La guera . A. si contraddistinse sempre per il suo stile ironico, sardonico e pronto alla critica pungente, viene considerato uno dei testimoni più penetranti della Milano teatrale del primo quarantennio del nostro secolo.

Antonelli

Luigi Antonelli fu considerato, assieme a Rosso di San Secondo, Luigi Chiarelli, Enrico Cavacchioli, il fondatore del ‘teatro del grottesco’, una formula che venne applicata, quasi indistintamente, e che coinvolse anche Pirandello. In verità, ciascuno svolse una propria strada, cercando di stravolgere, dal di dentro, certi risultati della commedia borghese. Luigi Antonelli lo fece con L’uomo che incontrò se stesso (1918), un testo, a dire il vero, assai bizzarro, un’avventura fantastica, come un’avventura colorata era stata quella di La bella addormentata di Rosso di San Secondo. Al centro c’è un quarantenne che, grazie a delle arti magiche, può vedere se stesso ventenne e quindi ripercorrere, a ritroso, vent’anni della sua vita. Protagonista fu Antonio Gandusio, un attore certamente adatto a creare forme diverse di comicità. Seguirono La fiaba dei tre maghi (1919), protagonista sempre Gandusio; I diavoli nella foresta (1920), Compagnia Talli; L’isola delle scimmie (1922), Compagnia Borelli-Ruggeri-Talli; Il basso in fa (1924), Compagnia Gandusio; La casa a tre piani (1924), Compagnia Gramatica. Fu un autore prolifico, rappresentato fin negli anni ’40, ed ha lasciato testi inediti per la scena. La sua fortuna si è interrotta nel secondo Novecento, se ne ricordano più gli studiosi che i teatranti. Fu anche critico drammatico sul “Giornale d’Italia” per il quale collaborò per circa un decennio.

Arca

L’attività del Teatro dell’Arca si apre con la messinscena di Buraquo quente Buraquo frio , spettacolo proposto per contribuire alla conoscenza della drammatica situazione sudamericana e ispirato a un lavoro del Living Theater, il T. dell’A. è divenuto in seguito una realtà stabile del mondo teatrale, trovando in Giovanni Testori un collaboratore d’eccezione. La sua attività è fortemente incentrata su temi legati al mondo della fede e dell’ispirazione cristiana, anche se negli anni ha sviluppato a tutto tondo la propria ricerca culturale. Tra i lavori della compagnia forlivese è sicuramente da ricordare Interrogatorio a Maria (1979) di G. Testori, una sacra rappresentazione in forma di oratorio dialogato e Il mistero della paternità (1984) regia di T. Bradecki e testo di Karol Wojtyla, davanti al quale, in Vaticano, venne allestita la prima. Ricordiamo anche Factum est (1981) di G. Testori e la trilogia shakesperiana Sogno di una notte di mezza estate (1989), Le allegre comari di Windsor (1991) entrambi diretti da T. Bradecki e La commedia degli errori (1992) con la regia di A. Syxty il quale ha diretto il T. dell’A. anche in L’annuncio a Maria . Recentemente (1998-99) il T. dell’A., in collaborazione con lo sceneggiatore K. Piesiewicz, porta in scena l’universo del grande regista polacco K. Kieslowski con Decalogo 1 e Studio per Decalogo 4 .

Ancillotti

Fra i pionieri della sua disciplina, Ugo Ancillotti si distingue per l’invenzione del giro della morte `aperto’, che gli procura una scrittura di due anni da Barnum & Bailey in America. Dal 1890 inizia l’attività di impresario di compagnie circensi e di varietà che lo portano a entrare in società con grandi nomi francesi come quelli di Plége e Alfred Court.

Accolla

Allieva della Scuola di ballo della Scala, Aida Accolla dopo il diploma entra nella compagnia milanese, dove nel 1961 interpreta il suo primo ruolo solistico in Spirituals per orchestra di Mario Pistoni. Danzatrice di notevole bellezza ed eleganza, si segnala in balletti di R. Petit, G. Balanchine, A. Milloss.

Nominata prima ballerina nel 1975, si è ritirata dall’attività nel 1985.

Aslanidis

Aslanidis Dotorea frequenta l’Accademia d’arte drammatica ‘S. D’Amico’ di Roma. Nel 1969-70 lavora con L. Ronconi nell’ Orlando furioso di Ariosto e ne La tragedia del vendicatore di C. Tourner. Nel 1971 entra come socia fondatrice nel Gruppo della Rocca: inizia una lunga collaborazione con le regie di R. Guiccardini ( Perelà da A. Palazzeschi; Candido da Voltaire; Notte all’italiana di O. von Horváth; La missione di H. Müller), E. Marcucci (diversi spettacoli, tra i quali nel 1972 Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare; Il rinoceronte di Ionesco e nel 1976 Il mandato di N.R. Erdman nel ruolo di Speranza), Guido De Monticelli ( Il Maestro e Margherita da Bulgakov; Racconto d’inverno di Shakespeare; Anfitrione di Kleist), Mario Missiroli e Gianfranco De Bosio. Nel 1988 lascia il Gruppo della Rocca e lavora, tra gli altri, con Gabriele Lavia ( Riccardo III di Shakespeare), Benno Besson ( 1000 franchi di ricompensa di Hugo), Gianfranco De Bosio ( Le baruffe chiozzotte di Goldoni), Nanni Garella ( Medea di Grillparzer) e Federico Tiezzi. Ha registrato inoltre molte commedie radiofoniche.

Aleksidze

Si diploma nel 1960 con Asaf Messerer presso l’Istituto coreografico di Mosca e per due anni danza come solista nel Teatro Paliasvili di Tbilisi. Nel 1966 si diploma in coreografia a Leningrado con Fëdor Lopuchov e incomincia una carriera di insegnante prima a Leningrado e poi a Tbilisi. Fra il 1978 e il 1990 ricopre diversi incarichi presso l’Istituto coreografico di Tbilisi, il Teatro Paliasvili, il Teatro di Perm. Nel 1992 è nominato direttore artistico del Balletto della Cappella di Sankt-Peterburg. Come coreografo debutta nel 1962 con Eine kleine Nachtmusik su musica di Mozart che ritorna spesso nelle sue scelte coreografiche insieme a Sergej Prokof’ev ( Suite Scita , Sinfonia classica ), Igor Stravinskij ( Le baiser de la fée , Pulcinella ). Seguace di Balanchine, i suoi lavori si caratterizzano per una costante ricerca degli stretti legami fra musica e coreografia.

Antonutti

Dalla intensa presenza scenica, Omero Antonutti esordisce in teatro allo Stabile di Genova, con I due gemelli veneziani, di Goldoni, regia di Luigi Squarzina (1964), per poi affrontare ruoli sempre più impegnativi in spettacoli pirandelliani (Questa sera si recita a soggetto, 1973 e Il fu Mattia Pascal, 1975, entrambi con la regia di Squarzina) o ne L’anitra selvatica di Ibsen, per la regia di Luca Ronconi (1977). Dal 1973 lavora stabilmente come attore cinematografico: ottimo interprete nel 1976 in Padre padrone e nel 1983 in Kaos dei fratelli Taviani; in Il maestro di scherma di Pedro Olea (1992, candidato per la Spagna all’Oscar 1993); El Dorado di Carlos Saura (1986); Genesi di E. Olmi (1993). Particolarmente attivo anche in televisione, A. si segnala in Mio figlio non sa leggere (1983) e La Frontiera di F. Giraldi (1996).

Arbasino

Autore di racconti (L’anonimo lombardo , 1959), di romanzi (SuperEliogabalo, 1969; La bella di Lodi , 1972; Specchio delle mie brame , 1974), di saggi (Certi romanzi , 1964; Sessanta posizioni , 1971), di reportage (Trans-Pacific Express , 1981; Mekong , 1994), di polemica civile e politica (In questo stato , 1978; Un paese senza , 1980), nella sua opera più importante, Fratelli d’Italia, una sorta di viaggio iniziatico di giovani intellettuali un po’ snob e un po’ emblemi dell’Italia degli anni ’60 – più volte riscritta e ampliata, 1963/1976/1993 – Alberto Arbasino ha disegnato una mappa delle istanze culturali di quell’epoca e ha affrescato una società con tocchi di satira acre e irridente, alternando parti narrative ad altre dialogiche e saggistiche, dove tra l’altro molto si discorre di argomenti teatrali. E Alberto Arbasino si è sempre occupato di teatro, anche se non come drammaturgo, ma come regista e critico.

Come regista, ha messo in scena al Cairo una Traviata di Verdi (1965) ed una Carmen di Bizet al Comunale di Bologna (1967) con le scene di Vittorio Gregotti, i costumi di Giosetta Fioroni e la consulenza di Roland Barthes, di uno sperimentalismo troppo antelitteram per essere apprezzato, con Micaela in succinto impermeabilino bianco e Don José in veste di Uomo mascherato. Nello stesso anno, a Roma, ha diretto la commedia di J. Osborne Prova inammissibile con T. Carraro. Con M. Missiroli ha composto agli inizi degli anni ’60 un musical sui generis, Amate sponde , con `partitura di rumori’ di E. Morricone. Ma è soprattutto come critico e attento frequentatore degli eventi di teatro più importanti del mondo intero che A., da oltre quarant’anni – sulle pagine di quotidiani e settimanali e con grande divertimento di chi riesce a seguire i mirabolanti corto-circuiti di agnizioni e riferimenti – racconta gli spettacoli teatrali e lirici che più lo hanno sollecitato; pagine poi raccolte in volumi fittissimi o che lo saranno in futuro (Grazie per le magnifiche rose , 1965; La maleducazione teatrale , 1966), venendo così a costituire veri e propri repertori critici in cui tutte le principali avventure della drammaturgia contemporanea risulteranno documentate.

Alberti

Rafael Alberti, uno dei poeti spagnoli più noti della Generazione del ’27, si è dedicato saltuariamente anche al teatro. Oppositore della dittatura di Primo de Rivera, entrò nel 1934 nel Partito comunista spagnolo, divenendone negli anni seguenti un instancabile attivista in campo culturale, assieme alla moglie Maria Teresa Leòn. Costretto all’esilio dopo la fine della guerra civile, è vissuto prima in Argentina e poi a Roma. Tornato in Spagna nel 1977, fu eletto deputato nella prima legislatura democratica. Autore di importanti raccolte poetiche in cui elabora sia la tradizione popolare che quella classica del Siglo de oro, insieme alle esperienze delle avanguardie contemporanee, debuttò sulle scene con due testi fortemente poetici: L’uomo disabitato (1930), una sorta di auto sacramental d’avanguardia, e Fermìn Galàn (1931), un testo di teatro politico. In esilio scrisse i drammi poetici Il trifoglio fiorito (1940), Lo spauracchio (1944) e La Gallarda (1944), quest’ultimo rappresentato in Spagna solo nel 1992. Più spettacolare e ricco di teatralità Noche de guerra en el Museo del Prado (1956), personale rievocazione dei bombardamenti e della resistenza popolare di Madrid, fu rappresentato prima in Italia che in Spagna, in un allestimento di Richard Salvat.

Amar

I quattro fratelli A., mostratori di animali, negli anni ’20 fondano il circo A. che fino agli anni ’50 resta uno dei più grandi d’Europa e del Medio Oriente, agendo soprattutto in Francia. Caratterizzato da un grande zoo viaggiante, visita anche l’Italia negli anni ’30. Il circo A. chiude nel 1967. Negli anni ’70 il marchio A. è acquistato e utilizzato con successo da un ramo dei Bouglione e negli anni ’90 dalla dinastia francese Rech.