Café La Mama

Nell’autunno del 1961 Ellen Stewart, una talentosa nera della Louisiana, allora disegnatrice di moda, prese in affitto uno scantinato nel Lower East Side di New York. Il suo tentativo era di sottrarre il lavoro di alcuni giovani drammaturghi americani (primo fra tutti il fratello) ai condizionamenti economici dello show-business. Ristrutturato, il locale aprì nel 1962, allestendo One arm di Tennessee Williams. La necessità di ottenere la licenza suggerì di affiancare agli spettacoli un servizio di cafeteria; di qui il nome di Café La Mama, aggiornato in La Mama Etc. (Experimental Theatre Club) quando nel 1969 l’attività si trasferì nella Quarta Strada. Oltre cento erano stati intanto gli autori rappresentati per un pubblico che non pagava biglietto ma versava degli oboli, raccolti personalmente dalla Stewart e sufficienti a coprire a malapena le spese di produzione. Per quasi quattro decenni C.L.M. è stato uno dei principali punti di riferimento dell’Off-Off-Broadway, ha aperto sale collaterali, ha prodotto diverse filiazioni (Repertory Troupe, La Mama Plexus) anche fuori degli Usa, e ha dato spazio e notorietà a un’intera generazione di artisti, promuovendo in particolare il `black theatre’. Tra gli oltre 1400 nuovi lavori patrocinati dalla Stewart si contano quelli di Sam Shepard, Lanford Wilson, Harvey Fierstein, Adrienne Kennedy; grazie al suo fiuto, New York ha conosciuto eventi come il leggendario debutto di Hair , ha incontrato registi come Brook, Grotowski, Barba, Kantor, e ne ha visti nascere altrettanti, come Andrej Serban che proprio al C.L.M. ha cominciato a preparare la sua trilogia classica ( Medea , Elettra , Troiane : 1971-74). Per la sua attività Ellen Stewart ha ottenuto due Obies (gli `Oscar teatrali’ Off-Off-Broadway). La fondatrice è scomparsa il 13 gennaio del 2011.

Squat Theatre

Prima di emigrare, nel 1976, negli Usa, il gruppo Squat Theatre si era costituito presso una Casa della cultura a Budapest, con il nome di Teatro Kassák. Skanzen Killers, un lavoro del 1972, era stato considerato `osceno’ dalle autorità ungheresi e «suscettibile di essere male interpretato da un punto di vista politico». Privo di autorizzazioni il gruppo aveva deciso di recitare nell’appartamento di Hanna Koós e Peter Halasz, entrambi perseguiti per la nudità e la crudezza di alcune scene dello spettacolo. Privato anche dei passaporti, il collettivo di undici adulti e cinque bambini aveva ugualmente lasciato l’Ungheria. Attraverso l’Europa occidentale, con un breve soggiorno anche italiano, era approdato a New York. Occupati i locali del pianterreno al 256 W della 23rd street (squat si traduce anche abusivo, ma lo stabile verrà poi acquistato) lo Squat Theatre ha cominciato a rappresentarvi i propri lavori, caratterizzati dall’utilizzo della grande vetrata che dà direttamente sulla strada. Oltre al ridotto pubblico in sala, la presenza di curiosi e casuali passanti che sbirciano dalla vetrina fino a diventare un elemento integrante dello spettacolo, è ciò che ha dato notorietà agli spettacoli dello Squat Theatre. L’unicità delle singole repliche e la provocatoria raccolta di situazioni presentate in Pig, Child, Fire (1977) e Andy Wahrol’s Last Love (1978, con l’immaginario incontro tra l’artista americano e la terrorista tedesca Ulriche Meinhof) e il successivo Mr Dead and Mrs Free (1981, dove le ambulanze erano finte, e autentiche invece le macchine della polizia, chiamata dai vicini) mettono in luce la soluzione che il gruppo dà al rapporto fra rappresentazione e realtà quotidiana, tentando una ardita compenetrazione fra i due momenti. Tra gli esponenti più giovani, Eszter Balin ha reinterpretato nel road-movie di Jim Jarmush, Stranger than Paradise (1984) lo straniamento dell’emigrata ungherese approdata negli Usa.

Radio City Music Hall

Radio City Music Hall diventè celebre come ‘il più grande cinema del mondo’. Questo teatro, inaugurato il 27 dicembre 1927 nel nuovissimo Rockfeller Center, all’angolo fra 50th Street e 6th Avenue, deve il suo nome alla catena del network radiofonico. Una sublimazione dell’Art Deco applicata all’architettura teatrale, una delle più grandi sale ludiche del mondo, capace di seimila spettatori (il doppio del Metropolitan), con un palco dotato di meccanismi che permettono spostamenti delle sezioni in alto o di lato, in grado di creare il memorabile effetto della grande orchestra che, durante l’opening, si alza a quindici metri d’altezza e sembra volteggiare in aria prima di tornare al proprio posto. Inizialmente la direzione di questa gigantesca sala viene affidata a Arthur `Roxy’ Rothapfel, il padre dei movie-palaces dell’epoca, giganteschi e lussuosi cinematografi. L’edificio, progettato con delle caratteristiche atte ad ospitare grandi spettacoli, viene per dichiarato, poco prima dell’apertura, esplicitamente dedicato alla visione di pellicole per famiglie. Il risultato è l’apogeo della formula che da noi si chiamerà avanspettacolo, con sontuosi spettacoli dal vivo che precedono la proiezione, spesso in prima visione, di pellicole destinate al successo.

Lo spettacolo d’apertura rimane degno di ricordo, con la troupe dei funamboli di Karl Wallenda, Joe Weber e Lew Fields, un’enorme orchestra ed un enorme coro, Vera Schwarz, Erno Rapee, oltre al mitico corpo di ballo delle Rockettes (dapprincipio chiamate Roxyettes, in onore al direttore artistico): 46 ragazze scelte per le loro misure, piuttosto che per la loro bravura, impegnate in coreografie famose soprattutto per la sincronia dei movimenti, di sapore vagamente militaresco. Gli spettacoli per eccellenza del R. C. diventano il Christmas Show e l’ Easter Show , la cui visione rappresenta per decenni uno status-symbol per gli abitanti di Manhattan. In seguito ospita soprattutto singoli eventi, come concerti di stelle della musica leggera o tourne di complessi stranieri di varie discipline. Ma il Christmas e l’ Easter Show , ancora oggi visti da centinaia di migliaia di spettatori, rimangono in pratica dal dopoguerra le uniche eredi dell’estetica delle Ziegfeld Folies e delle altre lussuose riviste che negli anni Venti caratterizzarono la vita anche sociale della grande mela.

Off-Broadway

Off-Broadway è un termine usato a partire dagli anni ’50 per indicare collettivamente i teatri e gli organismi produttivi che agivano a New York fuori dalla cosiddetta Broadway. Erano sale con meno di trecento posti, che presentavano – con investimenti economici relativamente limitati – opere considerate di solito non abbastanza commerciali (testi di autori nuovi, commedie importate dall’Europa, riprese di classici) e non erano costrette a rispettare le severe norme sindacali sui minimi di paga per attori e tecnici professionisti. Il fenomeno aveva già avuto una sporadica esistenza (ma non ancora un nome) negli anni ’20 con gruppi come i Provincetown Players, e negli anni ’30 con varie formazioni impegnate nel teatro politico. Nella sua nuova incarnazione, a parte poche eccezioni (la più importante fu il Living Theatre prima dell’esilio europeo), più che proporre un’alternativa radicale alle scene di Broadway, i gruppi che ne facevano parte (come il Circle in the Square, la Negro Ensemble Company, il New York Shakespeare Festival) riuscirono soltanto, per una decina d’anni, a offrire occasioni ad autori drammatici (come Albee), attori e registi, che furono presto assorbiti dai teatri commerciali senza dover modificare il loro modo di lavorare, e a dare un’idea (soprattutto alla minoranza intellettuale) di come Broadway sarebbe potuta essere se avesse lasciato spazi a repertori più coraggiosi e meno dettati dalle ragioni imperiose dei budget.

Broadway

Broadway è insomma il centro focale dell’industria dello spettacolo degli Usa, almeno per quanto riguarda il teatro, dominante fino all’avvento del cinema e della televisione e oggi inevitabilmente minoritario. Il sistema si fonda sul singolo produttore o sull’organizzazione produttiva che investe denari propri o messi a disposizione da altri al fine di realizzare un profitto. In funzione di questo sceglie il testo, gli interpreti e i vari collaboratori e controlla l’andamento dello spettacolo in tutte le sue fasi, dalle prove, alle anteprime di rodaggio, alle repliche a Broadway, alle tournée in altre città d’America. Per molti decenni, all’incirca fino agli anni Settanta, ciò non ha impedito che si tentassero a volte strade nuove o che si desse spazio ad autori non ancora affermati. Ma ormai da tempo la funzione di stimolo che Broadway, nonostante tutto, aveva svolto è stata assunta dalle sale di Off-Broadway o di Off-Off Broadway o dai teatri di altre città, e Broadway è diventata soprattutto una sorta di cassa di risonanza per spettacoli originariamente prodotti altrove (spesso anche in Inghilterra), limitando i suoi contributi originali alla produzione di musical che richiedono investimenti colossali e possono portare a lauti guadagni o a ingenti perdite (il bilancio di un musical della stagione 1984-85 si chiuse con un passivo di quasi cinque milioni di dollari). Broadway ha così cessato di essere il centro propulsivo del teatro americano per diventare semplicemente la vetrina dei suoi prodotti di maggior richiamo, anche e soprattutto per i turisti in arrivo dagli altri stati dell’Unione o dagli altri continenti.

Bread and Puppet Theatre

Il significato del nome Bread and Puppet Theatre è spiegato da un brano dello stesso fondatore Schumann: «È un pezzo di pane (bread) quello che noi vi offriamo insieme con uno spettacolo di pupazzi (puppet), perché il nostro pane e il nostro teatro sono inseparabili l’uno dall’altro» e perché il teatro era ritenuto necessario quanto il pane. Pezzi di pane nero, fatto dagli stessi attori, venivano letteralmente distribuiti fra il pubblico durante le rappresentazioni. Esse non erano in genere destinate a luoghi teatrali veri e propri. «Noi lavoriamo – scriveva ancora Schumann – nel nostro laboratorio, e quando abbiamo qualcosa da dire scendiamo in strada». In tal senso il B. and P. si distingueva dai maggiori gruppi alternativi della scena statunitense degli anni Sessanta, ai quali lo accomunava la volontà di prendere posizione sugli eventi politici contemporanei – in particolare contro la guerra nel Vietnam – e la scelta di presentare un teatro non narrativo affidato assai più all’inquietante eloquenza delle immagini (derivate in parte dall’iconografia religiosa) che alla parola. Queste immagini erano soprattutto pupazzoni alti quattro o cinque metri o attori muniti quasi sempre di maschere assolutamente non realistiche. Rifacendosi alle tradizioni del teatro popolare, europeo e orientale, il loro teatro univa al gusto del divertimento e della festa la capacità di rivolgersi ai sensi degli spettatori rifiutando programmaticamente l’eccesso di intellettualismo della scena occidentale e il sistema di valori al quale essa faceva riferimento.

Gli spettacoli più importanti realizzati dal gruppo furono Un uomo dice addio a sua madre (A Man Says Goodbye to His Mother, l968) , Il grido del popolo per la carne (The Cry of the People for Meat), presentato nel 1969 e portato con grande successo anche in Europa, e Il circo della resurrezione domestica (The Domestic Resurrection Circus, 1970), che dal 1974 veniva rappresentato ogni estate nella fattoria del Vermont dove Schumann e i suoi si erano stabiliti dopo aver sciolto ufficialmente il gruppo. Che tornò tuttavia a riunirsi con una certa frequenza, oltre che per le riprese di questo spettacolo, per realizzare, anche su commissione, progetti speciali quali Anti-bicentenario (Anti-Bicentennial, 1975), una sorta di dura elegia sull’ultimo indiano rimasto vivo in California dopo il genocidio compiuto dai bianchi; un Masaniello coprodotto nel l978, prima in America e poi in Italia, con il gruppo fiorentino di Pupi e Fresedde; e Uprising the Beast (1990).

Open Theatre

Open Theatre era in origine un laboratorio per esplorare le potenzialità espressive dell’attore, con esercizi d’improvvisazione che chiamavano in causa tutti i suoi strumenti, dalla voce al corpo. Ne facevano parte anche drammaturghi, con il compito di sviluppare, partendo da questi esercizi, testi fondati più sul gesto e sul suono che sulla parola. Presentò dapprima montaggi di brevi scene, in una delle quali, Motel , un uomo e una donna incapsulati in pupazzoni di cartapesta prima coprono di scritte oscene le pareti di una camera di motel, poi procedono allegramente a distruggerla. Rielaborata da J. C. Van Itallie, costituì nel 1966 con altri due atti unici lo spettacolo America Hurrah , che impose il gruppo come uno dei più stimolanti del nascente movimento di Off-Off Broadway, al quale lo accomunavano sia lo sperimentalismo limguistico sia l’impegno politico. Nello stesso anno andò in scena Viet Rock di M. Terry, una specie di rivista che prendeva posizione contro l’intervento americano nel Vietnam, con una tecnica che prevedeva la trasformazione a vista degli attori in più personaggi o addirittura in oggetti. Frutto d’improvvisazioni successivamente organizzate furono anche gli altri spettacoli del gruppo: The Serpent (1968) di Van Itallie, un evento a carattere rituale che in una tematica tratta dalla Genesi inseriva i lutti recenti per la tragica morte di Kennedy e di Martin Luther King; Terminal (1969) di Susan Yankowitz, un’indagine sulle varie reazioni personali e collettive alla morte; e poi The Mutation Show (1971) sul tema dell’adattabilità umana e Nightwalk (1973) sul sonno e sul sogno. Lo strumento linguistico fondamentale era sempre la presenza e l’azione degli attori, che agivano in spazi privi di supporti scenografici, facendo uso delle tecniche della danza, del mimo e della coralità. Dopo varie scissioni, scioglimenti provvisori e ricostituzioni, il gruppo cessò definitivamente la sua attività nel 1974.

Acconci

È una delle colonne portanti della performance negli Usa. Vito Acconci vede il corpo come teatro di pulsioni esibizionistiche e istintuali, comportamenti estremi e introspezione su di sé in rapporto alle convenzioni e ai tabù della società e della cultura dominanti: in Fall (1969) Acconci cade in avanti ripetutamente nel tentativo di prendere una fotografia; Following Piéce (1969) è una performance della durata di un mese in cui l’artista americano segue ogni giorno una persona per strada scelta a caso; in Trademark (1970) Acconci si morde tutte le parti del corpo raggiungibili dalla sua bocca; in Soap and Eyes (1970) l’artista si copre gli occhi con acqua e sapone che tenta di pulire sbattendo le proprie palpebre; Conversion (1970) è la performance in cui Acconci focalizza il discorso sull’identità sessuale bruciandosi i peli del petto e nascondendosi il pene tra le cosce continuando a fare gesti quotidiani; in Proximity Piéce (1970) Acconci opera in un museo (luogo ad alto contenuto simbolico in cui i visitatori recitano un ruolo prestabilito sul piano della sola partecipazione visiva) avvicinandosi e toccando alcune persone; in Pier Piece (1970) Acconci aspetta ogni notte su una banchina abbandonata tra West Street e Park Place qualcuno reclutato tramite una inserzione sul giornale a cui confida segreti su se stesso molto intimi; in Seedbed (1972) l’artista si masturba per tutta la durata della mostra (alla Galleria Sonnabend di New York) sopra una piattaforma sopraelevata e nascosto al pubblico che sente soltanto la sua voce amplificata durante l’atto masturbatorio. Acconci ha detto che l’ultima funzione che vede per l’arte è quella di perdere tutte le ipotesi che hanno guadagnato potere e cercare di minarle alla base.

Ailey

Dopo gli studi di danza moderna con Horton, Graham, Holm, Weidman, i corsi di balletto con Karel Shook e di recitazione con Stella Adler, Alvin Ailey ha debuttato come ballerino nell’Horton Dance Theatre (1950), di cui è diventato responsabile alla morte del maestro (1953). Si è esibito anche nel musical, nel cinema (Carmen Jones , 1954) e in teatro fino al 1965, quando si è ritirato dalle scene. Ha fondato l’Alvin Ailey American Dance Theatre (1958), che è entrato poi a far parte del City Center for Music and Drama di New York. Ha svolto una intensa attività nel campo dell’insegnamento e dello spettacolo, con frequenti tournée in tutto il mondo. Con le sue coreografie ha saputo creare un nuovo genere, altamente spettacolare, misto di danza moderna, classica, jazz e afro, conquistando una grandissima popolarità, come testimoniano i suoi titoli più famosi, ispirati dalla cultura nera urbana e dalla ricchezza della religiosità insita nel blues e nel gospel. Tra questi spiccano Revelations (1960), Cry (1971) e The River (1970) su musica di Ellington, ideato per l’American Ballet Theatre, e in repertorio anche all’Aterballetto. Numerose importanti compagnie hanno acquisito i suoi lavori: Joffrey Ballet, Opéra di Parigi, Royal Danish Ballet, London festival Ballet, mentre per la Scala ha creato La dea delle acque , interprete Luciana Savignano (1988). La sua compagnia, la prima multirazziale negli Usa, ha in repertorio anche brani di Sokolow, Limón, Horton, Pearl Primus, Ulysses Dove, qualificandosi così come custode dell’eredità dei maestri del balletto moderno, oltre che come fedele erede del patrimonio ballettistico di Ailey.

Actors Studio

Aperto a New York nel 1947 dai registi Elia Kazan e Robert Lewis, dalla produttrice Cheryl Crawford, è in seguito diretto dal 1951 da Lee Strasberg, allontanatosi Lewis per dissensi artistici e poco presente Kazan per i molti impegni a Broadway e a Hollywood. Tutte queste persone avevano vissuto negli anni ’30 l’esperienza del Group Theatre e avevano improntato fin da allora la propria attività ai principi di Stanislavskij, appresi attraverso le lezioni del regista polacco Richard Boleslavski, emigrato dal Teatro d’Arte di Mosca agli Usa, e dalla pubblicazione in Europa e in America della prima parte del Lavoro dell’attore, la più importante opera teorica del Maestro. Scopo dell’Actors Studio era fornire agli attori (ammessi dopo una rigorosa selezione) uno spazio nel quale perfezionare i propri strumenti espressivi in esercizi non finalizzati alla produzione di uno spettacolo. Era la versione americana del ‘sistema’ del regista russo, il cosiddetto ‘metodo’ caratterizzato da una particolare accentuazione degli esercizi di ‘memoria emotiva’ passati attraverso il filtro della psicoanalisi. Strasberg ne divenne l’esponente principale e sotto la sua guida lavorarono molti attori destinati a diventare famosi sulle scene e sullo schermo (M. Brando, J. Dean, M. Clift, D. Hoffman, R. De Niro, A. Pacino, S. Winters, G. Page).