Sartor

Nel 1983 Fabio Sartor interpreta Padre Ubu di Jarry con F. Branciaroli, regia di M. Navone. Nel ’92 è diretto da Strehler nelle Baruffe Chiozzotte. Nel 1995, dopo Splendid’s di Gruber, ha curato e allestito il recital Jean Genet: la solitudine e la rivolta ; allestisce Atelier di Giacometti nel carcere di San Vittore e al circolo gay Querelle a Milano. Ha recitato ne La vita, il sogno da C. de la Barca con la regia di A. R. Shammah.

Sperlì

Figlia d’arte dell’attore Alessandro S., inizia a calcare i palcoscenici della capitale. Incontra ben presto il suo pigmalione, Umberto Orsini, che l’accompagna nella vita e in teatro. Ma anche con G. Lavia recita ruoli importanti come in Delitto e delitto e ne L’aquila a due teatro di Cocteau. Nel 1991 è nel Piacere dell’onestà con la regia di L. De Filippo. Da ricordare anche, la sua interpretazione ne Il misantropo di Molière, con la compagnia del Teatro Eliseo (1992-93).

Serban

Andrei Serban studia all’Istituto d’arte teatrale e cinematografica di Bucarest e negli Stati Uniti, nel 1970 è assistente del regista Peter Brook a Parigi. Nel frattempo si è già fatto notare in patria con l’allestimento di alcuni spettacoli: L’uomo che si è trasformato in un cane di Osvaldo Dragún (1965); Arden di Feversham di Anonimo elisabettiano (1966); Giulio Cesare di Shakespeare (1968). Dall’inizio degli anni ’70 lavora a New York, dove si trasferisce nel 1975: Ubu Roi di Jarry (1970); Medea da Euripide e Seneca (1972); L’anima buona di Sezuan di Brecht (1975); Il giardino dei ciliegi di Cechov (1977); Agamennone di Eschilo (1978); Zio Vanja di Cechov (1979). Di S. è apprezzata l’aggressiva originalità delle sue messe in scena, caratterizzate da un a potente immaginazione visiva e sonora. Il regista riserva all’attore un ruolo principale, considerandolo il tramite fondamentale del legame `simpatetico’ che si deve stabilire con il pubblico. Spesso è tornato in Europa a presentare i suoi spettacoli: Come vi piace di Shakespeare (La Rochelle 1976); Sganarello di Molière (Avignone 1982); Il maestro e Margherita di Bulgakov (Parigi 1983). Dal 1991 al 1993 è stato direttore artistico del Teatro nazionale di Bucarest: Trilogia antica ( Medea, Le Troiane e Elettra) , 1990; La notte dei re da Shakespeare,1991 e Il giardino dei ciliegi, 1992. Numerose le sue regie di opere liriche, alla Welsh Opera di Cardiff: Eugenio Oneghin di Cajkovskij (1979); I Puritani di Bellini (1983); Norma di Bellini (1985); a Londra: Turandot di Puccini (1984); Fidelio di Beethoven (1986); a Amsterdam, L’angelo di fuoco di Prokof’ev (1990); a Bologna Don Carlo – di Verdi (1988, ripresa nel 1989); e le recenti Lucia di Lammermoor di Donizetti (1995); Cavalleria rusticana di Mascagni e Pagliacci di Leoncavallo (1996).

Salvi

Architetto, come molti suoi conterranei, Francesco Salvi preferisce tentare la strada del cabaret piuttosto che avere la certezza di un lavoro `normale’. Debutta come cabarettista all’inizio degli anni ’80 al Derby Club di Milano, e nello stesso periodo prende parte a spettacoli teatrali tra cui In alto mare di Mrozek per la regia di Arturo Corso; in seguito interpreterà anche Uccelli da Aristofane con la Banda Osiris e la regia di Gabriele Vacis. Il passaggio in tv è con ;Studio 5, anche se la popolarità arriva grazie a Drive-in (1986-1988). Da allora è attivo in televisione in molti spettacoli. Al suo attivo anche un film ( Vogliamoci troppo bene ) e una serie di incursione nel mondo della canzone: sua la fulminante “C’è da spostare una macchina”. La sua comicità surreale e sopra le righe ne ha fatto uno dei comici più singolari degli anni Ottanta.

Schneider

Emigrato bambino negli Usa, fu allievo di Strasberg; firmò il suo primo spettacolo nel 1948, punto di partenza di una carriera che lo avrebbe portato ad allestire testi d’ogni genere. Contò soprattutto per aver diretto le prime statunitensi di tutti i drammi di Beckett (nonché Film con B. Keaton, unico copione cinematografico dello scrittore irlandese) e diverse opere di Albee (compresa Chi ha paura di Virginia Woolf? ), di Pinter e di Brecht, insieme a un buon numero di commedie di consumo, alternando le fatiche meramente professionali ai tentativi coraggiosi di scoprire e imporre autori nuovi.

scenografia

La scenografia è l’insieme di elementi visivi, decorativi, dipinti, tridimensionali o architettonici e luci che determinano l’ambiente e lo spazio dell’azione teatrale di attori, cantanti o ballerini. È legata all’evoluzione del teatro e influenzata dalle correnti artistiche e dal costume. La scenografia del Novecento si avvale di mezzi tecnologici moderni (piattaforme mobili, tiri meccanici, piani inclinati, piani girevoli). All’inizio del secolo si svilupparono movimenti contrapposti al decorativismo di fine Ottocento di scenografi francesi e italiani (G. Sécan, A. Sanquirico, C. Ferrario, A. Rovescalli).

Tali movimenti furono il realismo del teatro di Stanislavskij e il naturalismo di Rosin, scenografo di Antoine e del suo Théâtre Libre. Ma nell’ambito del teatro e della scenografia moderna la prima vera rivoluzione si ha partendo dalle indicazioni e dalle ricerche dello scenografo svizzero Adolphe Appia (evoluzione della scena orizzontale con piani praticabili e la plasticità scenica esaltata dalla luce, non più dipinta illusionisticamente) e del teorico inglese Gordon Craig che al naturalismo sostituisce in scena masse di luce e di ombra, forme plastiche su vari piani, esaltando la tridimensionalità e la verticalità scenica, il colore, il ritmo. In questi primi decenni del secolo significativi sono gli interventi scenografici di pittori-decoratori in teatro: con Diaghilev e i Balletti Russi lavorarono artisti come L. Bakst, Benois, Goncarova, Larionov, de Chirico, Picasso, Matisse, Dalì, ecc. In Italia il vero rinnovamento si ha con l’avvento del futurismo e della tecnologia in palcoscenico.

Di Prampolini è il primo Manifesto della scenografia futurista (1915) in cui si enunciano le conquiste della luce, della dinamica e del movimento che compongono la scenografia futurista, ed è proprio lui a dare alla scenografia italiana un’apertura internazionale. Di Balla sono gli esperimenti di luce per Feu d’artifice balletto astratto proposto da Djagilev, mentre Depero continua le sue ricerche plastico-figurative con macchine-marionette e realizzando sempre con Diaghilev Le chant du rossignol . Interessanti le esperienze sulla luce-colore di A. Ricciardi per il Teatro del colore (1920), sviluppate dal regista-scenografo A. G. Bragaglia (inventore della scena multipla al Teatro degli Indipendenti). Contemporaneamente in Europa correnti artistiche come l’espressionismo in Germania (O. Kokoschka), il surrealismo in Francia e il costruttivismo in Unione Sovietica (con Mejerchol’d, il Teatro d’Arte di Mosca e gli scenografi L. Pòpova, A. Exster, A. Tairov) ribaltarono tutti le vecchie concezioni teatrali.

Lo scenografo da decoratore diviene costruttore scenografico e la scenografia è l’insieme di elementi visivi, decorativi, dipinti, tridimensionali o architettonici e luci che determinano l’ambiente e lo spazio dell’azione teatrale di attori, cantanti o ballerini. dinamica motore dello spettacolo. Nel primo dopoguerra la scenografia italiana con N. Benois, Colasanti, Oppo, Sensani, abolisce il fondale dipinto per spezzati dipinti e praticabili e un realismo neopittorico. Con un neorealismo plastico usato da artisti quali V. Marchi, D. Cambellotti, P. Marussig, sviluppano le esperienze plastico-astratte-cromatiche del futurismo-cubismo (Kaneclin, Baldessarri, Prampolini, Ratto, Coltellacci).

In Italia come in Europa e in America lo sviluppo della scenografia è l’insieme di elementi visivi, decorativi, dipinti, tridimensionali o architettonici e luci che determinano l’ambiente e lo spazio dell’azione teatrale di attori, cantanti o ballerini. moderna è legata al mezzo tecnico, influenzata dalle varie tendenze di linguaggio o dal bisogno di trovare trucchi e soluzioni nuove, per un continuo rinnovamento. La scena mobile, abbinata a effetti di luce, o scena multipla, con angoli visuali scorciati, plastica e tridimensionale o con l’applicazione di materiali inediti, dimostra quanto importante sia sottolineare la collaborazione tra regista e scenografo. Una figura fondamentale per lo sviluppo della scenografia italiana è il regista L. Visconti che, con la sua personalità, ha influenzato scenografi e costumisti, nella scelta dello spazio e nella ricerca di sintesi, e di riproposta storico-filologica. Per lui hanno lavorato M. Chiari, G. Polidori, F. Zeffirelli, P. Zuffi, L. De Nobili, P. Tosi, V. Colasanti, M. De Matteiscenografia

Al Maggio musicale fiorentino negli anni ’50 viene aperta una stagione di pittori-scenografi come Casorati, Sironi, Fiume, Cagli, Maccari, Savinio, le cui scene sono importanti soprattutto per il valore cromatico. Con il teatro politico di Piscator e l’avvento del teatro epico di Brecht e degli scenografi Theo Otto, K. Nener, e del francese R. Allio, collaboratore di R. Planchon, la scenografia ritrova un giusto equilibrio tra elementi allusivi e l’esatta ricostruzione storica. Sempre con un teatro fatto di metafore sceniche (macchine per proiezioni, uso di luci, scena cinetica) J. Svoboda continua le sue ricerche al Teatro Lanterna Magika di Praga (1948). Strehler, fondatore del Piccolo Teatro di Milano (1947) ha tra i suoi collaboratori G. Ratto per le scene, E. Colciaghi per i costumi, che risentono dell’influsso internazionale della scena epica (fondali con grandi scritte, scene costruttiviste). La collaborazione di Strelher con L. Damiani darà vita a produzioni storiche (Il ratto dal serraglio, 1965; Il giardino dei ciliegi , 1974; La tempesta , 1978).

Damiani suggerisce nelle sue ambientazioni spazi astratti e le citazioni storico-pittoriche allusive, lasciano spazio all’immaginazione senza prevaricare la parola. La ricerca di Damiani sviluppa la scena tridimensinalmente e la sintesi drammatica spaziale; Damiani collaborerà anche con altri registi tra cui V. Puecher, L. Ronconi, L. Squarzina, L. Pasqual. Intensa è la collaborazione di E. Frigerio con Strelher, la sua scenografia è fatta di un realismo in cui viene esaltata la forma architettonica tridimensionale, sottolineata dall’uso della luce che fa da cornice all’azione. Frigerio e la moglie F. Squarciapino (costumista) realizzano produzioni importanti (Le nozze di Figaro 1981, Don Giovanni 1987). Sempre al Piccolo con G. Strelher collaborano P. Bregni e L. Spinatelli che caratterizza la sua attività professionale anche nell’ambito del balletto ( Orlando 1997).

Negli scenografi che hanno lavorato al Piccolo Teatro vi è un costante riferimento iconografico tratto dalla pittura. Questo dualismo regista scenografo si ritroverà in Squarzina e Polidori, De Bosio, Scandella e Guglieminetti, De Lullo e Pizzi, Fersen e Luzzati. L’attività di Luzzati è fondamentale nel panorama della scenografia italiana attraverso il suo forte e personale modo di fare scenografia, caratterizzato dall’illustrazione fantastica e dal concepire lo spazio teatrale come un gioco. Ad artisti famosi spesso viene dato l’incarico nei teatri italiani di progettare la scena, basti pensare a M. Ceroli, T. Scialoja, F. Clerici, o alle sorprendenti strutture di A. Pomodoro per Semiramide 1982. Negli anni ’60 comincia il lavoro di L. Ronconi con cui collabora, P. L. Pizzi per la messinscena dell’ Orlando furioso a cui seguiranno le scene di altri famosi spettacoli. Pizzi sul finire degli anni ’70 inizierà a firmare regia, scene e costumi di tutti i suoi spettacoli caratterizzando il suo lavoro con opere barocche in cui architettura, decorazione e colore trovano il giusto equilibrio. Ronconi nel Laboratorio teatrale di Prato (1976-79) sviluppa un’inconsueta idea di allestimento scenico in stretto contatto con il pubblico risolta dall’architetto-scenografo G. Aulenti: ricerca e collaborazione destinata a continuare anche nel teatro lirico.

Con la scenografa M. Palli, Ronconi continua l’analisi sullo spazio e sulle forme architettoniche usate come macchine sceniche, fondamentali all’azione drammaturgica, diventando la scenografia filo conduttore dello spettacolo, determinante è il contributo visivo dei costumi di V. Marzot. Particolare è la ricerca formale di E. Job per le opere di Strindberg in cui la scena e l’oggetto, diventano essenza del testo drammaturgico. Nel corso della sua carriera proficua è l’intesa professionale con Ronconi e M. Missiroli. Le scenografia di M. Balò che instaura un costante lavoro con M. Castri e G. Cobelli sono fatte di forme circolari, moduli ripetuti di porte e finestre, strutture avvolgenti e imponenti sullo spazio del palcoscenico.

Mentre Bob Wilson propone spettacoli in cui immagine visiva, luce, colore movimento e suono-parola ci portano verso l’astrazione pura allusiva del quadro tridimensionale quasi metafisico. Il panorama della scenografia italiana è in continua evoluzione a partire dal realismo rivisitato e rielaborato di M. Pagano, P. Grossi, W. Orlandi, C. Diappi o agli scenografi che si legano in stretto sodalizio con gruppi teatrali e registi tra i quali, Carosi, Fercioni, Gregori, Agostinucci. Numerosi gli scenografi che si avvalgono nelle loro messinscene della tecnologia (luci, laser, macchine di proiezione, audiovisivi, scene mobili, plastiche), della ricerca di forme e di spazi alternativi e di materiali all’avanguardia pur non allontanandosi dal carattere decorativo astratto-spaziale tipico della scena italiana, riprendendo scorci prospettici, piani praticabili inclinati a simulare la psicologia del testo, e a suggerire la metafora drammaturgica. Scene ricche di atmosfere suggestive e di tradizioni.

Sharoff

Pietro Sharoff si laureò in legge e lavorò prima con Mejerchol’d e poi con Stanislavskij, di cui divenne stretto collaboratore (aiuto regista e segretario). Nel 1923 fondò e diresse il Gruppo di Praga, compagnia di punta in Europa con cui allestì lavori di Ostrovskij, Gogol’, Gor’kij, Tolstoj, Cechov. Lasciò la Russia nel 1927, lavorando prima in Germania, dove fu insegnante all’Accademia, e poi in Italia, chiamato dalla Pavlova per dirigere L’uragano di Ostrovskij (1929), con il quale ottenne un grande successo. A Roma diede vita alla compagnia dell’Eliseo (con Pagnani, Cervi, Morelli, Stoppa e C. Ninchi), con cui mise in scena testi di Shakespeare (da ricordare la sua versione di La dodicesima notte) e Cechov. Nel dopoguerra si dedicò ad alcune regie liriche e tornò a lavorare all’estero, pur continuando a dare il suo contributo in alcune compagnie italiane. Fu considerato il più fedele interprete di Cechov, del quale allestì tutta l’opera, insieme a quelle di Gogol’ e Turgenev. Diresse inoltre lavori di Ibsen, García Lorca, Dostoevskij e, a Roma, una scuola di recitazione.