Benigni, Roberto

Roberto Benigni è un attore, regista, scrittore e sceneggiatore italiano.

Roberto Benigni è un attore, regista, scrittore e sceneggiatore italiano. Numerosi i riconoscimenti che l’hanno portato fino alle vette più alte di Hollywood, diventando l’unico interprete maschile italiano a ricevere l’Oscar come Miglior attore protagonista. Sin dai suoi esordi, alterna le sue apparizioni su palcoscenici teatrali, set cinematografici e studi televisivi. Così Roberto Benigni si è imposto nel panorama dello spettacolo italiano come una figura di riferimento senza eguali, in virtù della sua esuberanza e gioiosa irruenza.

Roberto Benigni biografia: gli esordi tra teatro e televisione

Roberto Remigio Benigni nasce a Castiglion Fiorentino, un piccolo paese della Toscana, il 27 ottobre 1952, dai contadini Luigi Benigni e Isolina Papini. Dopo un’esperienza in seminario e il diploma da ragioniere, comprende che la sua vera passione è una sola: lo spettacolo. La decisione di tentare la carriera di attore avviene nel 1972. A vent’anni, con la sola chitarra per bagaglio, lascia la Toscana e si trasferisce a Roma, insieme agli amici fedeli, Donato Sannini, Carlo Monni e Lucia Poli.

Dopo alcune comparsate in televisione (Le sorelle Materassi) e in ruoli secondari, è Giuseppe Bertolucci a “scoprirlo”. Nel 1975, gli cuce addosso all’Alberichino di Roma, il teatro più off dell’epoca, il monologo Cioni Mario di Gaspare fu Giulia. Sotto la luce di una nuda lampadina, le mani in tasca, il giovane raccontava la sua grama vita di paese, il sesso, gli amici, il partito, la madre morta, con una smisurata esuberanza gestuale e soprattutto verbale.

Fu il successo immediato e crescente che, dalla saletta del teatro d’avanguardia, portò in tutta Italia il monologo di  Roberto Benigni. Bertolucci trasformò lo spettacolo in un film, Berlinguer ti voglio bene, divenuto nel tempo un vero e proprio cult. La popolarità più estesa però arrivò con la televisione, grazie a un programma domenicale di Renzo Arbore, L’altra domenica, in cui Roberto Benigni si fingeva critico di cinema.

Film Benigni: l’esordio alla regia, Nicoletta Braschi e Massimo Troisi

Per il suo debutto alla regia bisogna aspettare il 1983, quando dirige e interpreta Tu mi turbi. È durante le riprese di questo film che Roberto Benigni conosce Nicoletta Braschi che diventerà sua moglie nel 1991 e che da quel momento sarà praticamente presente in tutti i film diretti dal marito.

Da quel momento in poi Benigni recita sempre più spesso in film da lui stesso scritti e diretti. Nascono così Non ci resta che piangere, accanto a Massimo Troisi, Il piccolo diavolo, con Walter Matthau, Johnny Stecchino e Il mostro. Tutti film che ottengono un vasto successo tra il pubblico italiano.

Roberto Benigni in Il mostro
Roberto Benigni in Il mostro

Da allora Benigni alterna l’attività cinematografica a quella teatrale. Ed è ancora Giuseppe Bertolucci a filmare con Tuttobenigni un’antologia dal vivo delle esibizioni del comico condotte in varie piazze d’Italia. Un a solo a ruota libera, in cui sferzanti battute si susseguono impietose a colpire personaggi e fatti d’attualità, spaziando dagli aspetti della ritualità cattolica ai vizi e alle ipocrisie della società e del potere politico.

L’Oscar e il successo internazionale con La vita è bella

Nel 1998 firmerà il suo capolavoro, La vita è bella, la storia del cameriere ebreo Guido Orefice che finisce in un campo di concentramento con moglie e figlio e che cerca di mascherare volontariamente la realtà dei fatti al proprio bimbo. È un progetto ambizioso che gli assicurerà il successo internazionale. Grazie a La vita è bella, Roberto Benigni vince l’Oscar come migliore attore, premio che va a ritirare dalle mani di Sophia Loren, camminando sulle poltroncine della sala. Al film, in una notte indimenticabile per il cinema italiano, vanno anche altre due statuette: quella per il miglior film in lingua straniera e quella per la musica di Nicola Piovani.

Roberto Benigni e Nicoletta Braschi in La vita è bella
Roberto Benigni e Nicoletta Braschi in La vita è bella

Pinocchio, il film più costoso del cinema italiano

Nel 2002 porta sullo schermo la storia del burattino Pinocchio di Carlo Collodi, di cui è regista e attore protagonista. La pellicola si rivelerà il film più costoso della storia del cinema italiano (45 milioni di euro). In Italia il film ottenne ottime recensioni da parte della critica aggiudicandosi due David di Donatello,un Nastro d’argento e uno strepitoso successo al botteghino. Nel resto del mondo, e in particolare in Usa, il film fu invece un flop.

Il Dante Alighieri di Roberto Benigni

Benigni si è impegnato anche come lettore, interprete a memoria e commentatore della Divina Commedia di Dante Alighieri, in un tour Tutto Dante, spettacolo che parte da piazza Santa Croce a Firenze nell’estate 2006 per girare molte piazze e teatri italiane per approdare poi su RaiUno in 14 serate di grande successo. Nelle vesti di divulgatore ha, inoltre, recitato il Canto degli Italiani, i principi fondamentali della Costituzione della Repubblica Italiana e i dieci comandamenti biblici ricevendo consensi di pubblico e critica.

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Sergio Bini

Nicola Piovani

Giuliana Lojodice

Barbarini

Inizia gli studi di danza con Giannina Censi, la `danzatrice futurista’ con la quale ha modo di conoscere la `danza aerea’, che riallestisce insieme a Alessandra Manari in Programma di aerodanze (1979) e Siio Vlummia Torrente (1980). Attiva nel teatro di prosa e di ricerca, nel 1985 fonda con Franco Senica, Giovanna Summo, Ian Sutton, Giuditta Cambieri e Giuseppe Scaramella il gruppo Vera Stasi, per il quale crea tra l’altro Quartetto d’ombre (1986) e Piazze Meridiane (1988). In seguito sviluppa la ricerca sui codici della danza futurista in Siio Vlummia Torrente n. 2 (1990), Siio Vlummia Torrente n.3 (1994), Danze del Manifesto (1997).

Buenaventura

Teorico della creazione collettiva, Enrique Buenaventura ha fondato nel 1955 il Teatro Sperimentale di Cali, uno dei gruppi di teatro indipendente più interessanti dell’America Latina negli anni Sessanta e Settanta. I suoi allestimenti si basano sul lavoro dell’attore e la creazione collettiva nella linea di un teatro popolare e politico e nella ricerca di un’identità latinoamericana. I testi di partenza sono a volte i propri come Alla destra di Dio Padre (En la diestra de Dios Padre), 1960 o I fogli dell’inferno (Los papeles del infierno) 1968, o quelli di altri autori. Tra le opere più rappresentate di B. si possono ricordare Réquiem por el padre Las Casas, 1963; La denuncia, 1977, sull’United Fruit Company e Il crocevia (La encrucijada), 1982.

Bini

Sergio Bini si è affermato col nome d’arte di ‘Bustric il mago’. È stato allievo a Parigi della Scuola di circo di A. Fratellini e P. Etex, ha fatto apprendistato con E. Decroux e si è laureato in lettere al Dams di Bologna. Dal ’75 al ’90 ha girato l’Italia e l’Europa – ma anche America e Africa – con un bagaglio di scena consistente in valigia, cappello e giacchetta, vivendo a bordo di un furgone come gli attori girovaghi di un tempo. I suoi primi spettacoli di clownerie, recitazione e illusionismo nascono in collaborazione con il Centro di ricerche teatrali di Pontedera. Dopo un esilarante Napoleone (1994), il 1995 segna il suo debutto sui palcoscenici `tradizionali’ al fianco di A. Galiena in La vita è un canyon (regia di A.R. Shammah), in cui non rinuncia a improvvisare magie. Nel ’96 interpreta Atterraggio di fortuna , nel ’97 è nel film di Benigni La vita è bella e nel ’98 è in tournée con Variété , concerto-spettacolo di M. Kagel.

Barilli

Dopo il diploma alla scuola del Teatro dell’Opera di Roma, nel 1989 entra nel corpo di ballo del Maggio Musicale Fiorentino, MaggioDanza, ricoprendo ruoli solistici in classici e lavori contemporanei ( Black and Blue di Louis Falco). Con MaggioDanza partecipa a creazioni di Enzo Cosimi ( Il fruscio del rapace , 1993), Paco Decina ( Il banchetto di sabbia , 1994), Karole Armitage ( The Predators’ Ball , 1996 e Weather of Reality , 1997). Danza anche con la Compagnia Virgilio Sieni contribuendo con il suo stile nervoso e guizzante alla creazione di numerosi spettacoli ( Cantico , 1994; Orestea/Trilogia del Presente , 1996).

Bianco

Federico Bianco partecipa nel 1990 a festival quali la Zanzara d’oro e il premio Charlot. È stato inoltre leader del gruppo di rock demenziale Jimmy Joe and the Pepper Brothers. Esordisce nel 1991 con lo spettacolo Intimorite i moderati , seguito da L’arte di perseguitarsi (1992), Doppio da burla (1995) e Avrei bisogno di una controfigura (1996), monologhi che raccontano storie ordinarie di un ragazzo qualunque.

Barraca, La

Fu creato, con gli auspici del governo repubblicano, nel 1932 da Federico García Lorca e Eduardo Ugarte, con la collaborazione dei pittori Benjamín Palencia e José Caballero. Suo scopo era quello di portare spettacoli di teatro classico alle popolazioni che, vivendo lontano dai grossi centri, non avevano accesso ai teatri. La prima messa in scena, che comprendeva due farse di Cervantes, ebbe luogo nella stessa estate del 1932 a Burgo de Osuna. In generale le rappresentazioni avvenivano d’estate, durante le vacanze universitarie. L’attività del gruppo fu interrotta dallo scoppio della guerra civile nel 1936. Il repertorio comprendeva principalmente teatro classico spagnolo: egloghe di Juan de la Encina, farse di Lope de Rueda e Cervantes, La vita è sogno e Il gran teatro del mondo di Calderón, Fuentovejuna di Lope de Vega, L’ingannatore di Siviglia di Tirso de Molina; unica eccezione La storia di un soldato di Ramuz con musica di Stravinskij.

Bissel

Formato alla National Academy of Dance di Champaign, alla North Carolina School of the Arts e alla School of American Ballet, Patrick Bissel è entrato a far parte del Boston Ballet (1975) e dell’American Ballet Theatre (1977), dove è diventato solista (1978) e primo ballerino (1979). Protagonista di The Tiller in the Fields di Tudor, ha interpretato Bayadère, Carmen, Coppélia, Don Chisciotte, Giselle, Schiaccianoci, La bella addormentata . Danseur noble di spicco sulla scena americana, si è distinto come interprete del grande repertorio.

Babel’

Narratore tra i più stimolanti e innovatori del periodo postrivoluzionario, Isaak Emmanuilovic Babel’ diventa famoso con L’armata a cavallo, dove racconta in prima persona le esperienze della guerra civile. Al teatro arriva solo nel 1928 con Tramonto, che affonda le radici nel materiale autobiografico legato al mondo ebraico di Odessa, a cui sono dedicati i più complessi e suggestivi Racconti di Odessa. Seconda e ultima prova, il dramma Marija (1935), che si segnala per la colorita vivacità del linguaggio e l’asciutto disegno dei personaggi. Dopo l’arresto e la morte in un lager, per lungo tempo le sue opere sono state proibite in Unione Sovietica.

Bartolomei

Gabriella Bartolomei studia al conservatorio `L. Cherubini’ di Firenze con M. Cremesini, e prosegue la sua ricerca sull’espressione vocale con gli studi d’arte drammatica con N. Bonora e T. Pavlova. La ricerca espressiva sul suono e sulla voce rivela l’attenzione dell’attrice per l’intima musicalità delle cose, dei gesti, degli eventi. Guidata da R. Frangiapane, l’ottica analitica di Bartolomei converge verso l’originale composizione di `scritture vocali’ in cui corpo e voce si fondono in un rapporto di intima specularità: la nota musicale, mai interpretata, si innesta a posteriori sulla partitura vocale. Il percorso artistico dell’attrice è segnato dall’incontro con il regista Pier’Alli e dal dialogo con compositori quali S. Bussotti, G. Battistelli e D. Lombardi.

Fra le scritture vocali realizzate per Pier’Alli e il gruppo Ouroboros da lui diretto si ricordano quelle per Il Brasile di R. Wilcock, in Confronto I (Firenze 1968), Ludus , da Haute surveillance di Genet (Venezia 1970, musiche di A. Benvenuti), e soprattutto Winnie dello sguardo da Giorni felici di Beckett (Firenze 1978, musiche di Bussotti) e Giulia round Giulia da Signorina Giulia di Strindberg (Festival d’Avignone 1981). Con S. Sciarrino ha realizzato la prima assoluta di Lohengrin da J. Laforgue (Milano, Piccola Scala 1982-83, regia di Pier’Alli); con D. Lombardi Kaos da Ovidio (1992) e O frères da Valéry (1995); con G. Battistelli Aphrodite da Pierre Lou&yulm;s (1986), Ascolto di Rembrandt da G. Ceronetti (1993) e Frau Frankestein da M. Shelley (1993). Importanti anche le `scritture vocali’ composte per balletti quali Schiaccianoci da Hoffmann (1990), Herodiade da S. Mallarmé (1993) e Sogno di una notte di mezza estate da Shakespeare (1995). Definita `musicista per musicisti’ oltre che attrice, autentica portatrice di phoné (con un analogo internazionale forse in Meredith Monk), è stata interprete de La caduta di casa Usher, film-spettacolo diretto da Pier’Alli per la Scala (Festival Debussy, 1986) e, negli ultimi anni, ha indirizzato il proprio interesse verso la dimensione terapeutica del suono e del corpo vocale.

Biagi

Enzo Biagi al teatro dedica alcuni lavori, soprattutto nel corso degli anni ’50. Noi moriamo sotto la pioggia è la sua prima pièce, portata sulla scena da Fantasio Piccoli al conservatorio di Bolzano nel 1952 (seguì un’edizione in tedesco rappresentata a Vienna e Salisburgo). Nel corso dell’anno successivo realizza Giulia viene da lontano. E vissero felici e contenti viene allestita a Milano, presso il Teatro Nuovo, nel 1956, da una compagnia di grido come la De Lullo-Falk-Guarnieri-Valli. In collaborazione con Sergio Zavoli, B. ha scritto 50 anni della nostra vita , una commedia a sfondo sociale rappresentata al Teatro Biondo di Palermo nel 1974.

Bolm

Figlio di un musicista, Adolph Bolm fu allievo della Scuola imperiale. Fin da giovanissimo s’impose come brillante danzatore dalla prodigiosa tecnica d’elevazione. Nel corso di alcune tournée, compiute con altri colleghi nel 1908, cominciò a farsi conoscere in Occidente, e a Parigi si legò ai Ballets Russes di Diaghilev. Dopo la Grande guerra si trasferì negli Usa, dove fondò una compagnia dando inizio anche alla sua attività di coreografo. Fu l’avvio di un lavoro che sarà fecondo e capitale per la diffusione della danza in quel Paese. La sua intelligenza lo portò a collaborare con compositori d’avanguardia, fra i quali Schönberg (Pierrot lunaire) e Szymanowski ( Mandragola ). Suo grande successo sarà Iron Foundry, `balletto meccanico’ ispirato da una visita alle officine Ford di Detroit. Fu sempre lui a proporre per primo (1928) a Buenos Aires Apollon Musagète di Stravinskij. Una lunga permanenza a Hollywood gli permise, antesignano, di girare vari film di danza.

Baggesen

Dopo un tirocinio come contorsionista in alcuni circhi europei, Carl Baggesen diventa il partner della moglie Sophie in un numero di giocoleria. La notorietà gli arriva per il numero dei `piatti rotti’, che debutta a Chicago nel 1893, con il quale viene scritturato dai maggiori teatri di varietà. La struttura di quella celebre gag rappresenta una sorta di archetipo dello slap-stick, per questo gli viene attribuita un’influenza sulla comicità dei primi cortometraggi. Ispira numerosissimi emuli. Chaplin inserisce la gag dei `piatti rotti’ nel suo Il Circo (1928) facendola interpretare ad Erwin Buehl.

Bolognesi

Esordì nel 1915 nella compagnia stabile del Teatro Manzoni di Milano diretta da Marco Praga. La sua carriera fu rapidissima. Nel 1919 era già primattrice nella compagnia di Aristide Baghetti e l’anno successivo, insieme a Ettore Berti, fondò una compagnia di cui affidò poi la direzione a Pierino Rosa. Dal 1922 fu primattrice per il Teatro del Popolo di Milano sotto la direzione di Ettore Berti. Nel 1926 tornò al capocomicato, prima con Luigi Zoncada, poi da sola. Dopo l’ultima breve apparizione in teatro nel 1932 accanto ai giovani Carlo Tamberlani e Abo Riccioni, nel 1934 esordì nel cinema in Maestro Landi di Giovacchino Forzano. Fu definita, da alcuni giornalisti, la `Mae West italiana’.

Braglia

Uno dei più grandi atleti italiani di sempre, tre volte campione olimpionico di ginnastica artistica (Atene 1906, Londra 1908, Stoccolma 1912). Alberto Braglia inizia a tredici anni il tirocinio nella Società Ginnastica Fratellanza, per passare poi alla Panaro. Dopo i successi sportivi, in ristrettezze economiche, approda al mondo del circo e del music-hall, dapprima con un numero ad alto rischio, la Torpedine Umana, poi con uno di acrobazia ispirato a Fortunello e Cirillino – noti personaggi del “Corriere dei Piccoli” – che esegue con un bambino di otto anni, certo Seghedoni. Il numero ottiene un buon successo e gli procura vantaggiosi contratti nei circuiti degli Usa. Tornato nel 1924 in Italia, si dedica all’insegnamento di ginnastica e porta la nazionale italiana al successo delle Olimpiadi di Los Angeles del 1932. I bombardamenti del 1944 lo riducono in miseria. Diventa allora bidello destinato alle pulizie in una palestra di Modena che dal 1909 portava il suo nome ed era stata inaugurata da Vittorio Emanuele III.

Beruschi

Enrico Beruschi comincia al Derby Club di Milano nel 1972 quando Walter Valdi lo spinge ad esibirsi. Suoi compagni di strada in quegli anni sono Cochi e Renato (che sono anche suoi compagni di scuola) e Boris Makaresko. Chiude la sua frequentazione al Derby nel ’76. Dal 1977 comincia a lavorare in televisione debuttando nel celebre varietà firmata Enzo Trapani Non Stop. Parallelamente continua ad esibirsi come cabarettista al Teatro Ciak di Milano. Nella stagione 1979-80 debutta per la prima volta con una commedia musicale, L’angelo azzurro , per la regia di Vito Molinari. La popolarità giunge nel 1983, grazie alla televisione, con Drive-in. Lavora in tv fino al ’92, anno in cui decide di consacrarsi definitivamente al teatro con lo spettacolo Arivivis di Carlo Maria Pensa per la regia di Scaglione. Altri spettacoli sono Tre sull’altalena di Luigi Lunari, per la regia di Silvano Piccardi e, dal 1993 al ’96 porta in scena La cena dei cretini e Rompiballe entrambi di F. Veber per la regia di F. Crivelli. Ultima fatica, del 1998, è Can Can, commedia musicale replicata per la stagione 1998-1999.

Branagh

Formatosi presso il Rada (Royal Academy of Dramatic Art), Kenneth Charles Branagh entra a far parte della Royal Shakespeare Company a soli ventidue anni e a ventiquattro impersona il più giovane Henry V nella storia della compagnia. Nel 1987, stanco delle tirannie registiche, fonda la sua compagnia, Renaissance, diretta da attori e concentrata nella realizzazione di testi shakespeariani: Re Lear (1990), Coriolano (1992). Deve molto del suo successo a televisione e al cinema in particolare, dove ha spesso sfruttato a pieno le sue doti nel doppio ruolo di attore e regista a partire da Henry V (1989), L’altro delitto (1991), e Gli amici di Peter (1992), Molto rumore per nulla (1993). Nonostante tutte le polemiche nel ’92 è tornato alla Rsc per impersonare l’Amleto su richiesta del regista Adrian Noble; ha poi portato anche sul grande schermo la sua versione del principe di Danimarca curandone la regia (1996).

Benassi

Abbandonati gli studi di violoncello, Domenico Benassi debuttò giovanissimo nella compagnia di Gualtiero Tumiati, per poi essere scritturato dalla Carini-Gentilli. Decisivo fu il suo incontro con Eleonora Duse, con la quale fu Osvaldo negli Spettri di Ibsen e Leonardo ne La città morta di D’Annunzio durante la fatale tournée americana del 1924. Attor giovane con Irma e Emma Gramatica, fu poi accanto a Rina Morelli, Laura Carli, Diana Torrieri, Evi Maltagliati, Elena Zareschi in testi che svariavano da Dumas a Pirandello, da Forzano a O’Neill, da Gozzi a Sartre. Attore estroso e poliedrico, con qualcosa del keaniano genio e sregolatezza, era capace di una replica annoiata all’indomani di un’interpretazione sublime; di cimentarsi con i classici senza precludersi al nuovo; di simulare improvvisazione dietro una preparazione meticolosa, spinta fino a esasperazioni maniacali. Alla costante ricerca di sempre più affinati mezzi espressivi abbinò il contraddittorio risvolto di qualche concessione compiaciuta alla risonanza mattatoriale, soprattutto quando non dovette misurarsi con registi del rigore di Copeau, Simoni, Salvini, Visconti, Costa. Nella sua quasi cinquantennale vicenda di palcoscenico – accompagnata da qualche esperienza cinematografica – si confrontò con centinaia di autori, prediligendo Molière, D’Annunzio, Cechov, Pirandello, O’Neill, ma conseguì forse i massimi traguardi sul versante shakespeariano, dove fu un anticonformistico Amleto, un indimenticabile Shylock nel Mercante di Venezia con la regia di Max Reinhardt e un forse insuperato Malvolio ne La dodicesima notte. Il destino dispose che la sua avventura umana e artistica si concludesse nella congeniale personificazione del maligno Don Marzio nella goldoniana Bottega del caffè .

Balletto Reale delle Fiandre

Balletto Reale delle Fiandre è stata fondata nel 1969 da Jeanne Brabants che l’ha diretta fino al 1984 anno in cui è stata sostituita dal coreografo russo Valerj Panov. Allo stesso, nel 1987, è succeduto Robert Denvers, già danzatore del Ballet du XXème siècle di Béjart e solista del Balletto Nazionale del Canada. Ampio il repertorio della compagnia, spazia nei vari generi di danza anche se privilegia soprattutto nelle sue scelte il lavoro delle figure più interessanti della coreografia moderna e contemporanea (Balanchine, Béjart, Kylián, Tudor, Flindt fra i molti nomi). Ensemble dinamico e ben preparato, composto da una cinquantina di danzatori provenienti da tutto il mondo, è frequentemente invitato in tournée internazionali comprendenti Europa, Usa, Cina, Giappone ed America latina.

Bottaini

Dopo i primi studi con la madre Lorna Wilkinson, Alen Bottaini si perfeziona alla Royal Ballet School e, nel 1991-92, all’Accademia Vaganova di Leningrado. Dopo una stagione al National Ballet of Canada dal 1994 danza come solista alla Bayerische Staatsoper di Monaco, dove si mette in evidenza per eleganza e tecnica in ruoli classici di danseur noble. Nel 1996 ottiene il Primo premio e la medaglia d’oro al Concorso internazionale di Varna.

Brigliadori

Debutta a 18 anni nelle Nozze dei piccoli borghesi di Brecht al Teatrino della Villa Reale di Monza diretta F. Battistini. A farla conoscere, ma soprattutto a farne apprezzare la bellezza, sono alcune apparizioni in televisione e al cinema, tanto che a lei Strehler affida il ruolo di Marta nella prima edizione de La grande magia di E. De Filippo con F. Parenti nel 1984 (ripresa nel ’91 e nella stagione ’97-98); è quindi Desdemona nell’ Otello con la regia di R. Vannuccini nel 1989-90 e torna a recitare al Piccolo Teatro, diretta da Strehler, nel Faust – Frammenti Parte II .

Behan

Si impegna giovanissimo nella lotta politica entrando a far parte dell’Ira. In carcere già a sedici anni, elabora tale esperienza nel romanzo autobiografico ( Borstal boy ) e nei drammi Il condannato di domani (The Quare Fellow, messo in scena nel 1954 nella versione rivista e corretta da Alan Simpson e la moglie e, successivamente da Joan Littlewood, a Londra, in accordo con l’autore, nel 1956); L’ostaggio (An Giall, rivisto da J. Littlewood e pubblicato nel 1958, originariamente in gaelico con il titolo The ostage, pubblicato postumo e messo in scena in Italia al Teatro Nuovo di Milano dalla Compagnia dei Giovani, regista G. De Lullo e successivamente censurato). Autore sempre in bilico fra la tradizione letteraria gaelica e quella irlandese moderna, tratta le tematiche della prigionia, della sconfitta e della morte con il registro dell’ironia, costellando i suoi testi di musiche e canzoni. Dei suoi lavori successivi, in cui affronta i temi dell’emarginazione sociale, del valore della comunità e della radicalità della lotta politica, nessuno sopravvive nella versione originale (del primo dramma The Landlady , 1943, non esiste che un breve frammento e l’ultimo, Richard’s Cork Leg , è rimasto incompiuto).

Burgtheater

Nel 1776 l’imperatore Giuseppe II trasforma ufficialmente il Burgtheater nel principale teatro nazionale: in questa decisione l’imperatore fu influenzato parzialmente dalle idee di Josef von Sonnenfels sul potenziale educativo del teatro. Grazie al talento e al carisma di attori come Brockmann e Schröder il B. si rese noto e sviluppò per uno stile recitativo fatto di moderazione e grande senso dell’equilibrio fra i protagonisti e l’intero ensemble. Il passaggio dalla vecchia e intima sede nella Hofburg a quella del Franzen-Ring rappresenta anche un periodo di difficile transizione per questa istituzione, che grazie al nerbo e alla sapiente direzione di Max Burckhard (1854-1912) riesce a non cadere in bassa fortuna con spettacoli come Mitterwurzer e poi Kainz. Ancora oggi il Burgtheater è una delle più importanti istituzioni di lingua tedesca e continua a mettere in pratica, in forme nuove e più adatte a questo secolo, gli ideali di interpretazione e drammaturgia che lo hanno reso grande durante il diciottesimo e diciannovesimo secolo.

Bond

Regista di molti dei suoi lavori, Edward Bond è un brillante autodidatta – alla stregua di Pinter e Stoppard – che considera l’educazione scolastica la prima forma di violenza sociale a cui è necessario ribellarsi. All’inizio della sua carriera, nei primi anni ’60, entra a far parte del Writer’s Group, riunito presso il Royal Court Theatre sotto la direzione del regista William Gaskill, che propone un’esperienza teatrale concreta iniziando i giovani alle tecniche brechtiane e all’improvvisazione. Edward Bond debutta con Il matrimonio del Papa (The Pope’s Wedding, 1962) e si afferma con Salvo (Saved, 1965), impressionando il pubblico con un ritratto impietoso della vita squallida e violenta di un gruppo di operai londinesi che arriva a compiere l’atto mostruoso della lapidazione di un bambino nella sua culla. Assimilata la lezione brechtiana, Edward Bond predilige la divisione del testo in scene e non in atti, si orienta verso un’estrema essenzialità scenografica, e ricorre in modo sistematico alle note introduttive al testo, che costruisce come analisi e non come drammatizzazione della vicenda. Sviluppando una poetica teatrale non naturalistica, Edward Bond parte dal teatro epico per spingersi oltre, usando la storia come ambientazione privilegiata da cui osservare con un certo distacco gli eventi e le problematiche contemporanee.

La necessità di rinnovamento e sperimentazione lo spinge all’impiego di stili diversi: dal realismo scarnificato dei primi lavori alla fantasia surreale, dai toni farseschi, in Quando si fa giorno (Early Morning, 1968, testo censurato), alla parabola brechtiana in La stretta via al profondo Nord (Narrow road to the deep North), e ancora alla rivisitazione shakespeariana in Lear (1971), come pure al mitico della tragedia greca in La donna (The Woman, 1978): testo presentato dall’autore nello spazio dell’Olivier al National Theatre che prendendo spunto dai testi di Sofocle e Euripide offre una rilettura della guerra di Troia da un punto di vista prettamente femminile. Al centro del suo teatro si colloca l’umana specie e la mutevolezza dei suoi valori: dapprima l’interesse è puntato su fenomeni di alienazione e violenza, poi si rivolge alla causa di tali atteggiamenti analizzando il potere nelle sue sfaccettature ( Il mare , The sea, 1973; Il fagotto , The Bundle, 1978; Restaurazione , Restoration, 1981) per approdare alla controversa questione della figura e del ruolo del poeta nella società e i suoi rapporti con la classe egemone ( La stretta via al profondo Nord , 1968; Bingo , 1973 e Il giullare , The fool, 1975). Attento curatore della parte riservata alla regia, B. si concentra sul testo quanto sugli attori, che devono essere, nelle sue parole, «the illustrations of the story as well as the speakers of the text […] and not be swept by emotion» (gli illustratori della storia e i portavoce del testo […] e non lasciarsi trascinare dalle emozioni). La violenza, la crudeltà e in genere le immagini aspre e brutali del suo teatro gli hanno procurato scarsa notorietà e poco favore tra il pubblico, ciònonostante rimane uno dei più celebrati scrittori di sinistra ad essere emerso dal teatro ‘fringe’ con vera originalità e grande forza per farsi spazio nei teatri istituzionali: presso la Royal Shakespeare Company (RSC) nell’85 con la trilogia The war plays sulla guerra e l’olocausto nucleare e al Leicester Haymarket con Jackett II nel ’90.

Bohner

Formatosi al balletto, dal 1961 al 1971 Gerhard Bohner danza con il Deutsche Oper di Berlino, dove crea ruoli di carattere in balletti di Tatiana Gsovsky e Kenneth Mac Millan; dirige poi la compagnia di Darmstadt (1972-75) e con Reinhild Hoffmann la compagnia di Brema (1978-81). Coreografo fin dal 1964, ha creato molti balletti su musiche contemporanee (I tormenti di Beatrice Cenci, musica di Gerard Humel, 1971), spesso ispirandosi alla tradizione del Bauhaus, culminata con la sua ricostruzione del Triadische Ballet di Oskar Schlemmer (1977); in seguito ha intensificato la sua attività di coreografo-performer, creando assoli esclusivamente su se stesso come Schwarz weiss zeigen (1983) Abstracte Tanze Im (Goldenen) Schnitt I (1989).

Ballet Royal de Wallonie

Ballet Royal de Wallonie è una compagnia fondata nel 1966 a Charleroi sulla base del precedente Ballet de Hainaut di Hanna Voos che, agli inizi, ne divenne anche direttrice insieme a T. Hubert. Dal 1980, fin quasi alla morte nel 1990, è stata guidata dal cubano e già ballerino béjartiano Jorge Lefebre che la arricchì di sue coreografie (Exalibur , Propositions , Chant de la terre). Dal 1987 è passato alla direzione Guy Basel. La compagnia ha un repertorio assai vasto che contempla soprattutto classici del Novecento ma molto aperto anche ai lavori contemporanei. Nel corso degli anni, tra le sue fila sono passati danzatori, anche illustri, di varia nazionalità, tra i quali americani e italiani (fra gli altri, Paolo Bortoluzzi, Noella Taddei, Gabriella Cohen).

Buratto

Fondato a Milano da Velia e Tinin Mantegazza nel 1975, il Teatro del Buratto agisce nella sala del Teatro Verdi dove rappresenta i suoi spettacoli e le stagioni di teatro di ricerca, sempre di grande interesse. Specializzatosi ben presto in un teatro di figura inteso come rappresentazione totale dove parola, musica e immagine tendono a formare un vero e proprio teatro popolare d’arte (L’histoire d’un soldat, 1975; Quell’Astolfo da Ferrara, 1981). Dopo l’uscita di Tinin e Velia Mantegazza (1986), il Teatro del Buratto ha da una parte approfondito il discorso del teatro su nero (Pane blu, Fly Butterfly), dall’altra ha creato spettacoli che hanno cercato di reinventare lo spazio scenico, per un diverso rapporto con i bambini, collaborando anche con artisti di varie discipline come Munari, Manuli, Cerami (Cappuccetto bianco, Sotto la tavola? , Una piazza, due piazze, un castello). Protagonisti di questa nuova fase sono Jolanda Cappi, Gianfranco Bella, Franco Spadavecchia e Monica Gattini Bernabò.

Buffalo Bill

Guida dell’esercito, pioniere e cacciatore di bufali, William Frederick Cody nel 1872 acquisisce il nomignolo di Buffalo Bill per aver ucciso oltre 4.000 bufali in 17 mesi. Conquista una certa notorietà nel 1869 quando lo scrittore Ned Buntline pubblica un libro sulle sue imprese che determina la nascita di un vero e proprio filone letterario. Da Scouts of the Prairie viene tratto un dramma interpretato dallo stesso. Dopo la battaglia di Little Big Horn, Buffalo Bill Cody comprende che il tempo delle frontiere selvagge è finito e si inventa uno spettacolo di stile circense eseguito in una grande arena all’aperto nella quale soldati ed indiani ricreano per il pubblico, assiepato su ampie tribune sistemate tutt’attorno, l’atmosfera del Far West. The Wild West , Rocky Mountain and Praire Exhibition debutta il 17 maggio 1883 alla fiera di Omaha, nel Nebraska, ottenendo un successo tale da far varare subito un tour europeo in grande stile. Buffalo Bill si esibisce così in Inghilterra, Danimarca, Belgio e Grecia dove personalità delle famiglie reali vengono coinvolte nella scena del finto ‘assalto alla diligenza’. La tournée tocca anche Spagna, Francia e Italia dove Buffalo Bill si esibisce di fronte a Papa Leone XIII, ma non al Colosseo, ritenuto troppo piccolo. Di ritorno negli Usa, nel 1895 forma una società con James A. Bailey alla morte del quale, nel 1906, la quota passa ai fratelli Ringling i quali la ricedono a Buffalo Bill nel 1907. Nel 1908 nasce il Buffalo Bill Wild West Show and Pawnee Bill Great Far East Show che arriva così al momento di massimo splendore. Nel 1913 è però costretto a chiudere per i costi diventati eccessivi. Buffalo Bill investe allora i propri capitali nella produzione di film di cow boy, ma termina in miseria e finisce per chiedere, inutilmente, il piccolo sussidio che gli spettava per aver ricevuto la medaglia d’onore del Congresso. Prima della morte viene scritturato dal Sells-Floto Circus e, ormai settantenne, dal 101 Ranch Wild West che si rinomina Buffalo Bill & 101 Ranch Wild West . Di enorme impatto nell’immaginario collettivo, gli spettacoli di Buffalo Bill rappresentarono il vertice della pantomima di impatto esotico in Europa e patriottico negli Usa. La perfetta logistica delle colossali carovane del Wild West Show , con centinaia di artisti e tecnici, viene studiata dall’esercito tedesco e diventa un riferimento per i grandi circhi europei del Novecento.

Borboni

Grande attrice monologhista, figlia dell’impresario lirico Giuseppe Borboni, Paola Borboni frequenta l’Accademia dei Filodrammatici a Milano sotto la guida di Teresa Boetti Valvassura e debutta a 16 anni nella compagnia di Alfredo De Santis in sostituzione dell’attrice giovane rimasta infortunata, nel Dio della vendetta di Shalomon Asch. Nel 1918 è prima attrice giovane accanto a Romano Calò e Elena de Wnorowska e poi con la grande Irma Gramatica. Dal ’21, pochi mesi dopo l’Anna Page delle Allegre comari di Windsor di Shakespeare dove si fa notare per la sua bella voce, è primattrice a fianco di Armando Falconi in un repertorio leggero che ne acuisce la prepotente bellezza e la grazia: a fianco di Falconi resta per nove anni con un repertorio di trenta commedie all’anno, italiane e francesi dove sfoggia parrucche e toilettes e – non vestita – da Onorato appare a seno nudo nel 1925 – il primo nella storia del teatro – nel ruolo di una sirena nella fortunatissima Alga Marina di Carlo Veneziani. Il suo disappunto per un repertorio prevalentemente leggero espresso già dal 1923 a Alberto De Andreis andato ad intervistarla per un ‘profilo’ e la sua dizione chiara e perfetta dopo un biennio in un repertorio di chiaroscuri con Nicola Pescatori e Ruggero Lupi trovano la giusta collocazione nel ’32 a fianco di Ruggero Ruggeri dove si afferma maturata interprete di personaggi pirandelliani (dall’inquieta Silia Gala del Giuoco delle parti alle due figlie intense e diverse del Piacere dell’onestà e di Tutto per bene). Ormai è pronta per avere una sua compagnia con la quale debutta al I festival della Prosa di Venezia nel 1934 nella Padrona del mondo di Giuseppe Bevilacqua.

Mesi di studio ed ecco il trionfo con Come prima, meglio di prima ; e se i quattro anni di capocomicato a fianco di Piero Carnabuci, Luigi Cimara, Marcello Giorda, Annibale Betrone (La moglie ideale e La crisi di Marco Praga, Tovarisch di Deval, Una cosa di carne e La bella addormentata di Rosso di San Secondo, Il ferro di D’Annunzio, La milionaria di Shaw e ancora il Pirandello de L’uomo, la bestia e la virtù) le fanno investire i leggendari gioielli per far fronte alla compagnia la consegnano però ormai alla storia del teatro italiano. Eccola dunque ancora a fianco di Ruggero Ruggeri e nel ’42 al Teatro dell’università di Roma inimitabile interprete di Donn’Anna Luna nella Vita che ti diedi del prediletto Pirandello del quale interpreta, con la sua dizione inconfondibile e con l’attenzione caparbia al dettato pirandelliano per sei anni in tre diverse compagnie intitolate al grande agrigentino L’amica delle mogli , Vestire gli ignudi , Cosi è (se vi pare) , Come tu mi vuoi , Sei personaggi in cerca d’autore. A fianco di Salvo Randone, al quale si lega dal ’42 al ’46 è anche Elettra nell’ Orestiade di Eschilo, con Maria Melato, Clitennestra, ruolo che affronterà nell’ Oreste di Alfieri nell’allestimento di Luchino Visconti a fianco di Gassman, Rina Morelli, Mastroianni e Ruggeri (1949). Prima e sola in Italia, gioca la carta del monologo dal ’54 al ’65 in `madri, zitelle e donne sole al tramonto’ su testi di Pirandello, Alvaro, Bacchelli, Savinio, Buzzati, Landi, Terron, Nicolai, nella difesa e promozione dell’autore italiano anche affrontato con compagnie proprie (Vento notturno di Ugo Betti e Inquisizione di Diego Fabbri), Il muro di silenzio di Paolo Messina, La rosa di zolfo di Antonio Aniante e La giustizia di Giuseppe Dessì. La sua esperienza con il Carro di Tespi nel ’37, in giro per l’Italia dal nord al sud, con Quella di Cesare Giulio Viola e Il pozzo dei miracoli di Corra e Achille, la consacra attrice di piazza in grandi spettacoli all’aperto: Le allegre comari di Windsor , al Parco di Nervi con la Pagnani, la Proclemer e Pilotto (1949); Romeo e Giulietta a Verona in piazza dei Signori con Edda Albertini, Vittorio Gassman e Salvo Randone; Le corna di don Friolera di Ramon del Valle Inclàn (regia di Anton Giulio Bragaglia); La casa di Bernarda Alba di Lorca ai giardini di Palazzo Reale a Torino; Edipo re di Sofocle ad Asolo, con Andrea Bosic. Contesa dagli Stabili lega il suo nome a grandi personaggi in Nozze di sangue di Lorca e Il don Pilone di Gerolamo Gigli (Firenze, regia Menegatti), Questa sera si recita a soggetto di Pirandello (Trieste, regia Enriquez), Il rosario di Federico De Roberto (Catania, regia di Umberto Benedetto), L’anima buona di Sezuan di Brecht (Milano, regia di Strehler), La professione della signora Warren di Shaw e La scuola della maldicenza di Sheridan (Roma, regie di Leonardo Bragaglia e Sergio Tofano).

Dagli anni Sessanta con acutezza ingegnosa sa imporre il primo Pinter italiano (Una notte fuori) , il Beckett di Tutti quelli che cadono (diretta da Beppe Menegatti), Ionesco de La fame e la sete rinnovando la sua cifra interpretativa, «capace di trasformarsi a poco a poco, e se così si può dire, incessantemente, con la gradualità fatale che fatalmente accompagna il compiersi di una vocazione e di un destino, in interprete `senza ruolo’, nel personaggio, anzi nel mito di se stessa» (Raboni). Si intensificano le interpretazioni radiofoniche e le apparizioni televisive da Macht ad Harem e alle serate di Maurizio Costanzo che le deve una parte del suo successo di conduttore. Negli ultimi anni (l’ultima apparizione è del ’93 nel segno di Pirandello – nel Berretto a sonagli , regia Bolognini – e alla radio di Lugano nella Vita che ti diedi , regia di Battistini) interpreta Lo stratagemma dei bellimbusti (diretta da De Bosio), Così è (se vi pare), diretta da Z effirelli, Tartufo (diretta da Bosetti all’Olimpico e poi da Guicciardini) e ancora Hystrio di Mario Luzi, Paola Borboni è Lear da Shakespeare, Clitennestra o del crimine della Yourcenar, Savannah Bay della Duras e la performance Io e Pirandello. Inutile elencare i premi – li ha ricevuti tutti – dal primo San Genesio per La morale della signora Dulska di Gabriella Zapolska al Simoni. Eclettica e volitiva, capace di gesti coraggiosi (la sua discesa al Tritone con la bandiera sulla camicia da notte l’indomani della liberazione le è valsa, con la Repubblica di Salò, l’interdizione dalle scene), lapidaria e istrionica, ha fatto la felicità dei giornalisti per la sua disponibilità e le sue scelte apparentemente stravaganti (il matrimonio a 72 anni con Bruno Vilar più giovane di trent’anni). Ha affrontato la rivista (Mani in tasca e naso al vento di Galdieri, 1939 con Spadaro) per finanziarsi una compagnia pirandelliana) e il cabaret (1973 dove ha cominciato a raccontare di se stessa). Per lei Mario Luzi ha scritto Io, Paola, la commediante. Fra le tantissime interpretazioni cinematografiche «di nessun valore», diceva, amava ricordare La locandiera di Chiarini, Gelosia di Germi, I vitelloni di Fellini e Per grazia ricevuta di Nino Manfredi.

Bruce

Arruolatosi in marina a diciassette anni (l’esperienza durerà due anni), Lenny Bruce trovò la sua prima occasione all’Arthur Godfrey Talent Scouts Show, con uno sketch chiamato The Bavarian Mimic. Lavorò quindi in una quantità di club, concependo e rifinendo la cosiddetta sick comedy, uno stilema destinato a diventare il suo marchio di fabbrica. Agli inizi degli anni ’50 risalgono i suoi incontri con la spogliarellista Honey Harlow (che sposerà e da cui avrà una figlia) e con l’eroina: dalla prima divorzierà qualche anno dopo, mentre la seconda lo seguirà fino alla morte. Dal 1959 i suoi acidi e innovativi cabaret, recitati in caves sempre meno sordide e sempre più alla moda, cominciarono a ottenere risonanza nazionale, grazie anche ad una stampa compiacente e, più che altro, a caccia di ‘casi’. Dal 1963 iniziò a pubblicare su “Playboy” una serie di pezzi, più o meno autobiografici, che verranno poi raccolti nel volume Come parlare sporco e influenzare la gente, mentre ormai i suoi dischi parlati erano già un successo oltre i confini della West Coast americana. Ferocemente icastiche, destabilizzanti al punto di far diventare il loro autore un autentico simbolo della controcultura americana, le esibizioni di Bruce erano tarate su un allora inedito registro a metà tra il sarcasmo yiddish e la polemica rivolta alle sovrastrutture culturali imposte dall’establishment. Ciò gli costò, a partire dal 1961, una serie infinita di arresti – spesso durante gli spettacoli – e detenzioni che in parte fiaccarono l’impeto dirompente fino ad allora dimostrato. Responsabile di tutta una genìa di nuovi comici (anche i nostri P. Rossi e B. Grillo), Bruce morì in circostanze non ancora del tutto chiarite. Dieci anni dopo la sua scomparsa, Bob Fosse ha tratto un riuscitissimo film (Lenny) dalla sua biografia, interpretato da D. Hoffman.

Bergonzoni

Giocoliere delle parole, creatore di fulminanti e surreali non-sense a partire dalla provocatoria volontà di spiegare il meno possibile, Alessandro Bergonzoni porta sulla scena il suo primo vero e proprio spettacolo nel 1986, quando rappresenta a Roma La saliera e l’Ape Piera per la regia di Claudio Calabrò.

 Le sue precedenti prove Scemeggiata, Chi cabaret fa per tre, La regina del Nautilus risultano dei contenitori di situazioni tra loro diversissime, piuttosto che testi in possesso di una specifica coerenza. L’amore per «il nuovo, l’astruso, l’originale e il curioso», la volontà di sorprendere attraverso una profluvie di giochi d’artificio verbali che ricordano quelli dei fratelli Marx o del Burchiello, la destabilizzante sottrazione di qualunque saldo ancoraggio sono i tratti distintivi anche degli spettacoli successivi, tutti monologhi diretti da Calabrò: Le balene restino sedute (Bologna 1988), Non è morto né Flic né Floc, Anghingò , (Milano 1991), Tra lo gnoto e l’ignoto (Roma 1994), La cucina del frattempo (Parma 1994). Con regia di Renzo Sicco è stato allestito Albergo Bergonzoni (Torino 1996).

L’apertura ad una seppur paradossale trama (preannunciata a partire da Anghingò e perseguita parallelamente nelle prove narrative) – che si annoda attorno all’eredità contesa tra i nipoti gemelli Jean, Jean Jean e Jean per Jean – impronta Zius e Zigotes , che ha debuttato nel 1998 al Teatro Ciak di Milano.

Bankhead

Figlia di un senatore dell’Alabama, divenne famosa a Londra negli anni Venti, più per la bellezza, la vivacità del temperamento e le eccentricità nella vita privata che per le qualità d’interprete. Tornata in patria, finì per imporsi come una delle più convincenti attrici del suo tempo, portando al successo commedie come Le piccole volpi di L. Hellman (1939), La famiglia Antropus di T. Wilder (1942) e L’aquila a due teste di J. Cocteau (1947), nonché, nel 1956, una ripresa di Un tram chiamato desiderio che, a quanto pare, T. Williams aveva scritto per lei. Fece anche cinema e tv e pubblicò nel 1952 un’autobiografia dal titolo Tallulah .

Bragaglia

Insieme al fratello Anton Giulio, Carlo Ludovico Bragaglia fondò, nel 1918, la Casa d’arte Bragaglia e, nel 1922, il Teatro degli Indipendenti, dove prestò la sua opera fino al 1930. Nello stesso anno cominciò a collaborare con la Cines, casa per la quale girò alcuni documentari. Nel 1933 esordì come regista cinematografico dirigendo il lungometraggio O la borsa o la vita. Fu autore di una lunga e fortunata serie di film comici. Da ricordare Animali pazzi (1939), Totò le Mokò (1949), Totò cerca moglie (1950), 47 morto che parla (1951). Di tutt’altro genere, e denso di slanci lirici, fu invece La fossa degli angeli (1937), film che Bragaglia ambientò nelle cave di marmo di Carrara.

Brinner

Yul Brinner è stato l’ultima star di Hollywood con biografia basata sul mistero. Era uno zingaro? Forse, o forse no. Aveva sangue giapponese? Come mai le sue prime tracce si trovano a Parigi? È stato davvero trapezista al Cirque d’Hiver, sempre a Parigi? È stato davvero macchinista e comparsa nella compagnia dei Pitöeff, sempre a Parigi? Si è davvero laureato alla Sorbonne? Invece, provato da qualche foto, in età giovanile cantava in un cabaret tzigano accompagnandosi con la chitarra o la balalaika. Certamente nel 1940 fu portato in Usa da Michael Chechov. Certamente Brinner, che era almeno trilingue, fu reclutato dall’Ufficio di propaganda bellica americano per lavorare alla radio, in francese, nel 1942. Dopo qualche particina nella compagnia shakespeariana del suo mentore Michael Chechov, Brinner debutta a Broadway in un musical, Lute Song, accanto a Mary Martin il 6 febbraio 1946, per centoquarantadue repliche e dopo un giro in provincia; il giro riprenderà in altre città degli Usa fino all’estate del ’47 e poi verrà ripresa da Brinner a Londra. Nel 1951, con la testa rasata e altre fantasiose aggiunte alla sua biografia ottiene il ruolo del Re del Siam in The King and I che va in scena il 29 marzo a Broadway: milleduecentoquarantasei repliche al primo round. Quando Brinner lo interpreterà per l’ultima volta, poco prima della sua morte, l’avrà fatto per un totale di quattromilaseicentoventicinque rappresentazioni, più un film, per il quale sarà premiato con l’Oscar, e che sarà a sua volta un grande successo nel 1956; la sua partner in teatro fu la grande Gertrude Lawrence, in cinema Deborah Kerr, parzialmente doppiata per il canto da Marni Nixon. La carriera cinematografica di Brinner comprende più di trenta film con alcuni straordinari successi fra il ’56 e il ’76. A parte le varie riprese di The King and I, a Broadway tornerà una sola volta e per in occasione, il 4 gennaio 1976, giorno della prima e unica rappresentazione a New York, dopo un giro in provincia durato dieci mesi, di Home Sweet Homer, infelice titolo con infelice gioco di parole per un musical tratto dall’ Odissea, con Brinner nel ruolo di Ulisse.

Bernstein

Figlio di un ebreo russo emigrato in America nei primi anni del secolo, Leonard Bernstein agli inizi è autodidatta nello studio del pianoforte; frequenta poi la Harvard University e in diversi istituti musicali (Curtis Institute di Filadelfia, corsi estivi di Tanglewood) studia composizione, pianoforte e direzione d’orchestra. Si dedica alla composizione, alla concertazione, all’esecuzione pianistica, all’organizzazione concertistica, tutte attività che porterà avanti con costanza. Nel 1943, sostituendo all’ultima ora Bruno Walter (indisposto) alla Carnegie Hall, si impone definitivamente all’attenzione del mondo musicale; dal 1945 è direttore stabile della New York City Center Orchestra, dal 1958 della Filarmonica di New York. Come compositore si esercita in tutti i campi, affermandosi come musicista di prepotente personalità, eclettico, attento ai suggerimenti di elementi folclorici disparati, del jazz e di tutte le tendenze della musica contemporanea: da citare le sue tre sinfonie, oltre a cicli di liriche, musica da camera, brani per complessi vari. Dotato di una grande simpatia e carica umana, svolge anche attività didattica e divulgativa, presentando programmi di educazione musicale in televisione e scrivendo libri. Al teatro musicale B. dedica buona parte della sua produzione, e anche qui mostra di non erigere steccati fra un tipo di musica e l’altro; come sempre in lui si mescolano generi e stili.

Del 1944 è il balletto Fancy Free, sulle piccole avventure di tre marinai in libera uscita a New York; subito il balletto diventa – con una musica tutta nuova – il musical On the Town (libretto di Betty Comden e Adolph Green): rappresentato all’Adelphi Theatre di New York con la regia di George Abbott e la coreografia di Jerome Robbins, viene replicato 463 volte. Tra le canzoni più riuscite della brillante partitura si ricordano “New York, New York”, “Lonely Town”, “I Get Carried Away”, “Lucky To Be Me”. Altro balletto è Facsimile (1946); del 1950 è la commedia con musiche Peter Pan (da J.M. Barrie), versificata dallo stesso B., rappresentata con successo appena discreto da Jean Arthur e Boris Karloff. Un’affermazione maggiore ottiene un’altra commedia con musiche, Wonderful Town (1952), tratta da My Sister Eileen di J. Fields e J. Chodorov (libretto di Comden e Green; Winter Garden Theatre, regia di Abbott, coreografie di Robbins, protagoniste Rosalind Russell e Edie Adams). La vicenda riguarda due sorelle che arrivano dalla provincia nella Manhattan degli anni ’30 e si inseriscono con difficoltà nella metropoli; proclamato il miglior musical dell’anno, Wonderful Town vanta una musica felice (premiata con un Tony Award) in cui fanno spicco le canzoni “Conversation Piece”, “Conga”, “Swing”, “A Quiet Girl”, “Ohio”. Nel 1955 B. compone le musiche di scena per Salomè di Oscar Wilde e nel 1957 quelle per The Lark di Fry-Anouilh-Hellman. Tra queste due fatiche, un altro musical (propriamente `comic operetta’), Candide: ispirato al Candido di Voltaire, su libretto di Lilian Hellman, il lavoro non ha successo nel 1956, e per affermarsi ha bisogno di un rimaneggiamento. Il musical più noto di B. è il successivo West Side Story (1957), riuscito adattamento della tragedia shakespeariana Romeo e Giulietta , ambientato in un quartiere popolare di New York dove si affrontano duramente bande giovanili avversarie. I caratteri dei personaggi e il loro prepotente dinamismo sono messi bene in evidenza dal tessuto nervoso della musica, dall’uso insistito del sincopato, dalle accentuazioni ritmiche. Particolarmente felici l’episodio della gara di ballo fra due bande rivali; il numero “America America” affidato ai ragazzi portoricani immigrati; il balletto, che si svolge in una autorimessa, intitolato “Cool, Boys”; e soprattutto le romanze d’amore “Maria” e “Tonight”.

L’ultimo musical si risolve in un fiasco: si tratta di 1600 Pennsylvania Avenue , del 1976, su libretto di Alan Jay Lerner (sulla storia dei presidenti americani). A parte altre fatiche per il teatro come le opere Trouble in Tahiti (1952; interessante l’impiego di un trio jazz in funzione di `coro’, ossia di commento all’azione) e A Quiet Place (1983), B. è attivo anche per il cinema: compone brani di raccordo per un documentario su Louis Armstrong ( Satchmo the Great , 1956), la partitura originale di Fronte del porto di Elia Kazan (1954) e segue la trasposizione su pellicola dei suoi due musical di maggior successo, On the Town (1949, di Stanley Donen e Gene Kelly) e West Side Story (1961, di Robert Wise e Jerome Robbins). «Genio musicale completo, nato in un pianoforte con una bacchetta in mano», così B. è stato definito; di sicuro ha respirato e fatto musica con la stessa facilità e naturalezza con cui è vissuto. Perfetto rappresentante dell’attuale civiltà mass-mediologica, si è inserito più di ogni altro musicista contemporaneo nella nostra epoca, lavorando a tutto campo senza pregiudizi di sorta, e in tutti i settori lasciando un segno della sua forte personalità.

Bertolazzi

Contemporaneo di Capuana, Giacosa, Praga e Rovetta, Carlo Bertolazzi collaborò al “Guerin Meschino” e alla “Sera” come critico teatrale. Il suo precoce esordio è del 1888 con Mamma Teresa , rappresentato con successo dai filodrammatici, cui seguono Trilogia di Gilda (1889) e La lezione per domani (1890). Il meglio di sé lo dà comunque nei grandi affreschi della Milano a cavallo tra i due secoli. Esemplare da questo punto di vista sono è El nost Milan, in cui la protagonista Nina viene presentata prima come donna del basso popolo, e successivamente nel corrotto ambiente della nobiltà milanese: alla disperazione della popolana innamorata di un pagliaccio del circo, e poi costretta a prostituirsi, risponde quella dell’aristocratica costretta in un’atmosfera di falsità che essa stessa finirà per rifiutare. Ne La gibigianna (1898) da molti considerata la sua opera maggiore, il senso di precarietà della vita è dato dalla tormentata e ‘maledetta’ storia d’amore di Bianca ed Enrico, sullo sfondo, efficacemente reso, del contrasto cittadino tra poveri e ricchi. Dopo questi esordi in vernacolo, B. si convinse dell’impossibilità di continuare la tradizione del dialetto milanese, e scrisse in italiano il resto delle sue opere senza però riuscire mai più a ritrovare la stessa intensità realistica che lo aveva contraddistinto. Restano comunque da notare L’egoista (1900) in cui viene rappresentato il personaggio assolutamente negativo di Franco Martengo. Questi, dopo avere sposato la donna amata dal fratello, ed averla costretta a subire i suoi continui tradimenti, sacrifica anche la figlia scombinandole il matrimonio, costringendola a stare al suo fianco per accudirlo durante la sua vecchiaia. Quando giunge l’ora della morte, in preda a crisi mistiche, lascia gran parte del suo patrimonio alla comunità religiosa, lasciando la figlia in miseria. Altre opere da ricordare sono La maschera (1896), La casa del sonno (1901), Lulù (1903,) Lorenzo e il suo avvocato (1905) e La zitella (1916), in cui prosegue la linea intrapresa agli esordi, di un realismo con sfumature anticipatrici dei toni crepuscolari, in cui il Croce scorse una «spiccata critica morale» legata a pregi di «movimento e brio teatrale».

Bartolucci

La sua formazione avviene nella compagnia diretta da De Lullo che le affida subito ruoli importanti nel Il malato immaginario di Molière a Spoleto (1974) e nella ripresa di Il giuoco delle parti al Metastasio di Prato (1976) per la compagnia Romolo Valli. Fra le altre interpretazioni di rilievo: Madame in Le serve di Genet diretto da Castri con L. Morlacchi e P. Mannoni e la Regina Elisabetta nel Riccardo III con Branciaroli diretto da A. Calenda 1997.

Beranger

Dopo varie esperienze come attrice e cantante si è dedicata alla danza sotto l’influenza soprattutto di Béjart. Grazie anche al contributo e all’amicizia con Joseph Russillo, nel 1970 fondò una compagnia che servì ad aprire nuove strade espressive mettendo in luce giovani coreografi come Pierre Bonnefoux, Micha Van Hoecke, Carolyn Carlson e altri, nonché a valorizzare ballerini di talento. Pur non essendo coreografa allestì anche un singolare spettacolo ( L’histoire de Camalalzaman ) ricavato da Le mille e una notte .

Benois

Alexandr Nikolaevic Benois si formò negli ambienti artistici e letterari di Pietroburgo. Si dedicò dapprima alla pittura e diede un importante contributo nella critica d’arte. Nel 1898 fondò con Bakst e Diaghilev la rivista d’arte “Il mondo dell’arte” (Mir Iskusstva) e l’omonima associazione promotrice di note esposizioni di pittori che si dedicavano anche alla scenografia, alla grafica, alla decorazione. Debuttò come scenografo nel 1900, all’Hermitage, con il balletto di Taneev La vendetta di Amore. Si impose come profondo conoscitore e interprete delle epoche storiche al teatro imperiale Marijinskij con Il crepuscolo degli dei di Wagner, nel 1903. Nel Pavillon d’Armide di Cerepnin, nel 1907, fu anche autore del libretto, ispirato a un romanzo di Théophile Gautier, Omphale, e diede prova di stile e immaginazione nei fantasiosi costumi dalle fogge settecentesche ispirati ai disegni di Louis-René Bouquet, riformatore del balletto francese del XIII secolo. Lavorò ai Balletti Russi di Diaghilev per Boris Godunov di Musorgskij, nel 1908, e per Le rossignol di Stravinskij, nel 1914. La sua creazione più amata, e forse la più celebre, fu Petruška di Stravinskij, nel 1911. Nelle scene, nei costumi e nei dettagli di scena, ma anche nel libretto di cui fu autore originale, guardò alle antiche miniature slave e riprese i motivi del folclore russo. Attratto dal teatro drammatico, nel 1908, a Pietroburgo, collaborò al teatro di Vera Komissarzevskaja per Primater , da un lavoro di Grillparzer. Dal 1912 al 1915 lavorò a Mosca, come scenografo e regista al teatro di Stanislavskij e Nemirovic- Dancenko. Mise in scena con successo Molière con Il malato immaginario e Il matrimonio per forza, nel 1913. L’anno seguente si dedicò a Goldoni con La locandiera, e diede una delle sue più belle interpretazioni con le Piccole tragedie di Puškin, nel 1915. Nel 1917 venne nominato direttore dell’Hermitage, conservando tale carica fino al 1928. Dal 1919 fu scenografo e regista al Teatro drammatico Bol’šoj, fondato nel 1918. Tra le principali opere di quel periodo Lo zarevic Aleksej di Merežkovskij (1920), Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni (1921), Il medico per forza e Le preziose ridicole di Molière (1921). L’ultimo spettacolo prima dell’addio alla Russia fu Le nozze di Figaro di Beaumarchais, nel 1926. Stabilitosi a Parigi, continuò a lavorare nel teatro. Dal 1947 al 1957 collaborò al Teatro alla Scala. Tra i suoi lavori più noti, le scene per Lucia di Lammermoor (1947), Eugenio Onegin (1954), i balletti Giselle e Les sylphides (1950).

Berto

Giuseppe Berto compose anche due opere teatrali di argomento religioso: L’uomo e la sua morte con cui vinse il premio Pro Civitate Christiana nel 1962, e La passione secondo noi stessi (1972). Entrambe incentrate sulla figura del Cristo, ne propongono una reinterpretazione fortemente attualizzante. Nella prima di queste opere Gesù viene accostato al brigante Salvatore Giuliano, tradito dal suo luogotenente e consegnato così alla morte. Nella seconda invece il tema della passione viene rirappresentato in termini fortemente moderni legati alle contestazioni giovanili degli anni Sessanta e Settanta, e il tentativo di risolvere il `caso Gesù’ è demandato alle prospettive di uno psicanalista, di un giurista e di un sociologo marxista.

Briatore

Il fondatore è Giuseppe, nato a Mondovì nel 1831. Si forma nelle palestre torinesi di ginnastica e nel 1859 sposa una cavallerizza dei D’Angoly. Nel 1869 apre un circo a conduzione famigliare con i primi tre figli: Angelo, Enrico e Giovanni, specializzati prima nei giochi icariani e poi nell’acrobazia equestre. Arrivano altri tre figli: Adele, Pietro e Alessandro e i cinque maschi, I Fratelli Briatore, nel 1882 raggiungono la notorietà con il numero dei `Gladiatori a cavallo’ che gli procura tournée nei maggiori complessi europei. In Spagna Alessandro sposa Emilia, Enrico sposa Maria, entrambe figlie di Vincent Gil Alegria, proprietario del famoso circo spagnolo omonimo. La famiglia si divide e i nipoti si specializzano in diverse discipline, non raggiungendo però mai il livello dei Fratelli Briatore originali. Alessandro (1880-1960) nel 1907 forma con il nipote Enrico (1885-1965), figlio di Giovanni, la coppia di clown Alex e Rico, che fonda la propria estetica sulla brevità delle esibizioni e sulla forte componente acrobatica. Alex è l’augusto e Rico il bianco. La coppia si scioglie, dopo numerosi successi, nel 1945.

Borra

Il suo numero è incentrato sul furto di piccoli oggetti agli spettatori (orologi, portafogli, ecc.). Il numero prevede il dialogo con le vittime per cui ha una spiccata predisposizione alle lingue. A quindici anni riceve l’incarico di salvaguardare la piccola merceria dei genitori dai piccoli furtarelli. Impara così i trucchi del mestiere che lo portano a diventare il `re dei borsaioli’. Scappa di casa con un piccolo circo. Viene scoperto da Bertram Mills che lo lancia come `il ladro di Bagdad’. Da allora lavora in tutti i migliori circhi e varietà del mondo fra i quali gli svizzeri Knie. Crea una dinastia di pickpocket composta dai fratelli Dragisa (1918), Borra II, e Vojislav (1923), Borra III. Il figlio Karl Borislav (1945) è chiamato Charly Borra Junior ed è considerato il migliore nel suo campo.

Bogino

Originari del Piemonte, i Bogino si affermano nel mondo della pista attorno agli anni ’20, grazie ai fratelli Giuseppe, Emilio e Manlio che presentano un numero acrobatico, scritturato spesso all’estero in Turchia, Grecia, Paesi Balcani e Russia. Giuseppe è anche un valido clown con Cele Bello e tale Corini di Bergamo. Negli anni ’40 Giuseppe emigra in America scritturato da Ringling, dove il nipote Ugo diviene famoso per il salto di file di elefanti, mentre il figlio Aurelio forma con i famigliari un numero di acrobati icariani con pattini, che è scritturato nelle migliori riviste americane sul ghiaccio.

Nel 1958 prendono anche parte a Il Principe del Circo di Michael Kidd con Danny Key. Emilio, rimasto in Europa, è un buon mimo ingaggiato in vari circhi italiani. Sposa Livia Caveagna ed ha tre figli: Anna (1910), Giovanni (1915-1994) ed Emilio (1924) i quali montano un numero di equilibristi «mano a mano». Dal 1953 al 1961 i fratelli Emilio e Giovanni conducono un loro circo con alterna fortuna. Poi Emilio viene ingaggiato al Circo Jarz e ne approfitta per montare ai figli Andrea (1953), Paolo (1956) e Franco (1958) un numero di ciclisti acrobatici considerato fra i migliori del proprio tempo e che si esibisce fino alla fine degli anni ’80 nei maggiori circhi europei (Knie, Krone, Benneweis) oltre che in teatri di varietà, riviste e programmi televisivi. A metà degli anni ’80 i fratelli B. con l’ultimo nato Carlo (1964) gestiscono per qualche tempo un circo in società con Daniele Orfei.

Bourmejster

Fra il ’25 e il ’29 Vladimir Pavlovic Bourmejster ha studiato presso l’Istituto teatrale Lunacarskij di Mosca e contemporaneamente si è esibito in danze di carattere in numerosi spettacoli di varietà. Dal 1930 ha fatto parte del Teatro d’arte di balletto diretto da V.V. Kriger che poi confluirà nel 1941 nel Teatro musicale Stanislavskij e Nemirovic-Dancenko dove ha debuttato come coreografo allestendo balli da operette come La belle Hélène e La Périchole di Offenbach. A partire dagli anni ’50 si è dedicato alla coreografia di classici ottocenteschi, Esmeralda, Il lago dei cigni realizzato nel 1953 avvalendosi della partitura originale di Cajkovskij. Una versione tuttora in repertorio presso il Teatro Stanislavskij e spesso riallestita in vari teatri dell’Occidente. Nel 1960, per esempio, è chiamato ad allestire questa sua versione del Il lago dei cigni all’Opéra di Parigi e nel 1961 La fanciulla di neve (Snegurocka) per il London Festival Ballet. L’attività di riallestitore di classici gli ha procurato la maggiore fama ed apprezzamento.

Bussel

Darcey Bussel studia alla scuola Arts Educational e alle due scuole del Royal Ballet dal 1982 al 1987. Entra nel Sadler’s Wells Royal Ballet nel 1987, nel Royal Ballet al Covent Garden nel 1988; viene richiesta da Kenneth MacMillan per il ruolo della Principessa Rose nella nuova versione del Prince Of Pagodas . Danza tutti i ruoli classici principali, ne crea di nuovi in balletti di Tetley, Tharp e Forsythe ed è spesso ospite del New York City Ballet. Di figura longilinea, è padrona di una tecnica naturale che la fa eccellere nel repertorio balanchiniano. La bella presenza e la serenità che emana dalla sua figura contribuiscono alla sua popolarità.

Blue Man Group

Le prime performance si svolgono a New York, al Central Park e in spazi dell’Est Village. Nel 1988 entra a far parte del gruppo anche il musicista Larry Heinemann e nel 1990 si aggiungono Caryl Glaab, video-designer, e Ian Pal, anch’egli musicista. Il primo importante riconoscimento lo ottengono nel 1991, quando si esibiscono al Serious Fun Festival. Quindi seguono esibizioni in tutto il mondo e la partecipazione a diverse trasmissioni televisive. L’organico del gruppo si è ingrandito negli anni fino a comprendere altri diciotto artisti. Successivi spettacoli prodotti dal Blue Man Group sono stati presentati a Boston nel 1995 e a Chicago nel 1997.

Bagnolet

Fu all’indomani del maggio 1968 che Jacques Chaurand, professore di danza a Bagnolet (località della periferia parigina) riuscì a realizzare, grazie all’aiuto della Municipalité, un ambizioso progetto e ideò il concorso `Le Ballet pur demain’. L’obiettivo era quello di offrire uno spazio ai giovani coreografi in difficoltà nel presentare le proprie opere. Alla prima edizione si presentarono cinque compagnie; dieci anni dopo erano diventate cinquanta. Da quel fervido inizio, Bagnolet si è presentato sempre come il termometro della `nouvelle danse’, non solo di Francia. Scomparso nel 1986, il concorso rinacque dalle sue ceneri nel giugno del 1988 sotto l’impulso di Lorrina Niclas e la sede passò a la Maison de la Culture de la Seine Saint-Denis a Bobigny. In trent’anni, moltissimi sono stati i suoi ‘laureati’ diventati famosi. Si possono citare: Bagouet, Gallotta, Verret, Découflé, Larrieu, Preljocaj, Montet, Brumachon, nonché M. Marin e le sue colleghe Baiz, Chopinot, Monnier, Diverrès. Fra i nomi stranieri, quelli della Linke e della Hoffmann.

Bertolucci

Fratello del regista Bernardo, Giuseppe Bertolucci per il teatro scrive con Roberto Benigni il monologo Cioni Mario di Gaspare fu Giulia di cui cura anche la regia nel 1975: lo spettacolo rappresenta il trampolino di lancio di Benigni che ne è l’interprete. Nel 1983 è regista di un altro suo monologo Raccionepeccui portato sulla scena da M. Confalone. Cura le regie di Il pratone del Casilino tratto da Petrolio di Pasolini (1994) e O patria mia di cui collabora anche al testo (con S. Guzzanti, D. Riondino, A. Catania, P. Bessegato; 1994). Si occupa della regia e dell’adattamento televisivi di Il pratone del Casilino (1995, da Petrolio di Pasolini); Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana (1997, regia di L. Ronconi); Ferdinando (1998, di A. Ruccello). Nel 1991 realizza il video teatrale Il congedo del viaggiatore cerimonioso dal corpus poetico di G. Caproni con gli allievi della Scuola d’arte drammatica `P. Grassi’. Delle sue regie cinematografiche si ricordano Berlinguer ti voglio bene in cui Bertolucci riprende lo spettacolo teatrale interpretato da Benigni (1977), Segreti segreti (1984), Tuttobenigni (1986), I cammelli (1988).

Boso

Vissuto a lungo a Parigi (dove ha contribuito al Centro internazionale d’arte drammatica), dal 1965 Carlo Boso si è dedicato quasi esclusivamente alla Commedia dell’Arte. Ha tenuto corsi di studio in Spagna, Inghilterra e Scozia, Francia, Germania, Canada. Nel 1983 anima la Biennale con uno straordinario spettacolo di undici maschere che recitano tre canovacci. Lavora quindi con gli attori del Laboratorio Teatro Settimo, nei pressi di Torino.

bunraku

Ogni pupazzo richiede l’intervento di tre operatori. L’origine di questo teatro risale alla fine del XVI secolo. La sua nascita è quindi contemporanea a quella del kabuki, con il quale ha mantenuto sempre stretti contatti, con reciproci scambi nel tempo. Nel corso degli anni il teatro b. ha subito trasformazioni anche profonde, pur rimanendo la rappresentazione con figure animate di una storia cantata. Inizialmente i pupazzi erano molto statici ed esprimevano lo svolgersi della storia cantata (accompagnata dallo shamisen) con piccoli movimenti molto stilizzati, ma nel corso del XIX secolo si è venuto sviluppando uno stile sempre più mosso e addirittura virtuosistico, con evidente tendenza al realismo. I pupazzi si son fatti più articolati, con la possibilità di muovere ciascun dito delle mani e anche gli occhi. Il maggior poeta per il b. è ritenuto Chikamastru, del XVIII, che operò con la collaborazione di un suonatore di shamisen ancor oggi ricordato e celebrato, Gidayu. I grandi cantori e i grandi manipolatori hanno alti riconoscimenti in Giappone e sono considerati espressione altissima della cultura e dell’arte nazionale. La musica per il teatro b. è considerata la più difficile di tutta la musica giapponese, anche perché la parte musicale (canto e accompagnamento) deve raggiungere una completa sintonia, non soltanto meccanica ed esteriore, con i movimenti di quanti muovono i grandi pupazzi. Occorrono molti anni di lavoro perché questa sincronizzazione si realizzi in modo perfetto. Oggi il b. utilizza, per i suoi spettacoli, anche molti temi narrativi moderni e contemporanei.