Totò

Con la sua recitazione esilarante e la sua comicità a tratti surreale,Totò fu tra gli attori più amati del 900.

Totò, pseudonimo di Antonio De Curtis, è stato un attore, commediografo e sceneggiatore italiano. Tra i più famosi e amati attori italiani del Novecento, con la sua recitazione esilarante e la sua comicità a tratti surreale, ha rappresentato l’incontro tra la grande tradizione della commedia dell’arte, la spontaneità dell’avanspettacolo e l’anima malinconica della città di Napoli.

Totò, lo “scugnizzo” del rione Sanità

Totò, il cui vero nome era Antonio De Curtis, nacque a Napoli nel 1898. Fu cresciuto dalla madre in povertà nel popolare rione Sanità e concluse a fatica gli studi liceali. Si appassionò, invece, agli spettacoli di strada e al teatro dialettale napoletano, e ben presto, grazie al suo innato talento comico, si cimentò in esilaranti imitazioni attingendo al repertorio di artisti già affermati.

Dal 1917 lo troviamo a Roma, al teatro Jovinelli con un repertorio di imitazioni. Già da allora si esibisce in quel personaggio di marionetta disarticolata che diventerà un suo vero e proprio marchio. Tra il 1920 e il 1925 frequenta il palcoscenico dei principali caffè-concerto italiani, sempre con un repertorio di macchiette e parodie. Sembra fosse alla Sala Umberto la prima apparizione di Totò in quella che doveva diventare con gli anni la sua divisa. Bombetta malandata, redingote frusta e nera, pantaloni a righe, ma corti sulle caviglie, a scoprire certe inverosimili calze colorate. Totò aveva inventato delle macchiette che erano a metà tra il comico di avanspettacolo e il clown. Dal repertorio più tradizionale dei clown aveva ricavato infatti quella sua marionetta che pian piano si insinuò, trasformandosi, in molte sue apparizioni.

Dal teatro popolare al cinema d’autore

Nel 1926, accanto a Isa Bluette, è per la prima volta in rivista e lavora con Mario Castellani, che sarà la sua spalla di sempre. La sua popolarità è in ascesa, nel 1931 e nel 1932 partecipa a spettacoli di varietà e, finalmente, nel 1933, diventa capocomico e agisce con la sua formazione nell’avanspettacolo.

Il pubblico di Totò è un pubblico popolare che il comico porta all’entusiasmo e al delirio con doppi sensi, lazzi, trascinanti marce sulla scena, con la golosa ferocia infine della sua volgarità. Il pubblico popolare arriva di slancio a capire la genialità di Totò; per il pubblico borghese, invece, non solo ci vuole più tempo, ma serviranno anche illustri mediazioni. I primi ad accorgersi del potenziale di Totò (per poi sfruttarlo in cinema) furono Carlo Ludovico BragagliaCesare Zavattini.

Film Totò: il successo cinematografico con Totò, Peppino… e la malafemmina

Il successo cinematografico arrivò con I due orfanelli (1947) di Mario Mattoli, dieci anni dopo l’esordio in Fermo con le mani! di Gero Zambuto. Presto Totò dimostrò di saper far esplodere la comicità del suo personaggio, sia in film più leggeri – 47 morto che parla (1950) di Carlo Ludovico Bragaglia, Totò a colori (1952) di Steno e Mario Monicelli, Siamo uomini o caporali? (1955), Totò, Peppino… e la malafemmina (1956) e Tototruffa ’62(1961) di Camillo Mastrocinque; sia in opere più complesse, come Napoli milionaria (1950) di Eduardo De Filippo, Guardie e ladri (1951) di Steno e Monicelli, I soliti ignoti (1958) di Monicelli, sino al poetico Uccellacci e uccellini (1966) di Pier Paolo Pasolini.

Totò e Peppino in La Banda degli onesti
Totò e Peppino in La Banda degli onesti

L’avanspettacolo e il teatro di rivista

Ma il suo mondo più vero era il teatro. Lui stesso dichiarava che il pubblico, la sua presenza, gli dava una carica e voleva la sala abbastanza illuminata per vederlo, rispondergli, recitare per lui. Quando tornò a teatro, alla fine del 1940, l’avanspettacolo era già tramontato, sostituito dalla “rivista“. In un’Italia appena entrata in guerra e sotto la ferrea censura del fascismo, Totò debuttò al teatro Quattro Fontane di Roma insieme a Mario Castellani e una mirabile scatenata Anna Magnani in Quando meno te l’aspetti di Michele Galdieri. Totò strinse con Galdieri un sodalizio da cui presero vita Quando meno te l’aspetti, Volumineide, Orlando Curioso, Con un palmo di naso e Che ti sei messo in testa.

Proprio quest’ultima rivista creò problemi al comico napoletano, che dopo le prime rappresentazioni al teatro Valle di Roma, venne dapprima intimorito con una bomba all’entrata dal teatro, poi denunciato dalla polizia, insieme ai fratelli De Filippo. Si segregò in casa fino al 4 giugno, il giorno della liberazione della capitale.

Gli spettacoli del dopoguerra

Il 26 giugno riprese a recitare: tornò al teatro Valle con la Magnani nella nuova rivista Con un palmo di naso, in cui diede libero sfogo alla sua satira impersonando il Duce (sotto i panni di Pinocchio), e Hitler, che dissacrò ulteriormente dopo l’attentato del 20 luglio 1944, rappresentandolo in un atteggiamento ridicolo, con un braccio ingessato e i baffetti che gli facevano il solletico, e mandando l’intera platea in estasi.

Alla stagione 1947-48 risale C’era una volta il mondo: Totò al suo massimo, lo sketch del manichino, la carica dei bersaglieri, lo sketch inimitabile del vagone letto che dagli otto minuti di durata iniziale si dilatò, per la felicità del pubblico, fino a tre quarti d’ora. Nel 1949 Bada che ti mangio alternava a fastosi quadri coreografici lunghe scenette o monologhi di uno straordinario Totò, che stava per lasciare la rivista a favore del cinema. Più di trenta film in sei anni e, infine, un ritorno in palcoscenico, questo davvero l’ultimo, con la straordinaria rivista A prescindere nella quale il grande Totò recuperava il suo passato e rievocava i suoi migliori sketch e personaggi. 

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Terron

Drammaturgo di straordinaria prolificità (ha firmato oltre sessanta opere), critico teatrale (ha collaborato con “L’Arena”, il “Corriere della Sera”, il “Corriere Lombardo” e “La Notte”), operatore culturale (dal 1952 al 1962 è stato direttore del settore spettacolo alla Rai). Il teatro di Carlo Terron ha saputo esprimere con notevole anche se talvolta sottovalutata forza espressiva e morale soprattutto le inquietudini delle generazioni del dopoguerra, di cui ha colto, in sintonia con il teatro dei `processi morali’ di Betti, Eduardo, Fabbri, le contraddizioni e le debolezze più nascoste. Sostenuto da una scrittura virtuosistica e funambolica e da una forza satirica talvolta corrosiva, Terron ha goduto di un buon successo proprio negli anni ’50 e specialmente grazie alle tragedie. Su tutte spiccano – per l’altezza morale e la trama drammaturgica – Giuditta (Teatro Nuovo Milano, 1950), Processo agli innocenti (Teatro Odeon, Milano, 1950), Ippolito e la vendetta (Teatro Quirino, Roma, 1958), Lavinia tra i dannati (Teatro Bonci, Cesena, 1959).

Un riscontro meno entusiastico ebbero invece le pur valide commedie, tra cui si ricordano Non c’è pace per l’antico fauno (Teatro Manzoni, Milano, 1952), Notti a Milano (Teatro Odeon, Milano, 1963), I Narcisi (Teatro Sant’Erasmo, Milano, 1963). Non sparate sulla mamma (Teatro Sant’Erasmo, Milano, 1963); ma un grande successo hanno avuto i monologhi scritti per P. Borboni e da lei interpretati dal 1958 al ’72 ( Colloquio col tango – anche con il titolo La formica -, Eva e il verbo , La vedova nera e Si chiamava Giorgio ). Felice eccezione è stato anche il remake del vaudeville di Feydeau, Baciami, Alfredo (Teatro della Pergola, Firenze, 1969). Di fatto dimenticato nel corso degli anni ’70 ed ’80, quando Terron è diventato un autore più letto che rappresentato ( Le vocazioni sbagliate , Il complesso dell’obelisco e Stasera arsenico sono tra le scritture sceniche più significative), le sue pièce solo in tempi recenti hanno conosciuto nuovi allestimenti: in tal senso si collocano le riproposte effettuate presso il Salone Pier Lombardo , Chi ha paura della bomba all’idrogeno regia di Gianni Mantesi (1990) e il Sipario Spazio Studio a Milano nel 1995 di Una coppia di singles ovvero rissa col diario , regia di Gianni Mantesi, La sposa cristiana o anche camera 337, regia di Mattia Sebastiano e Stasera arsenico, regia di Mario Mattia Giorgetti.

Tani

Come pubblicista Gino Tani ha collaborato con “Il Messaggero”, dove negli anni ’50 ha istituito la prima critica italiana di danza, e curato la sezione danza dell’ Enciclopedia dello Spettacolo . Decano della critica nazionale, si è dedicato anche alla saggistica, pubblicando numerosi testi di analisi critica e storica: Cinquant’anni di opera e balletto in Italia (1954), Il Balletto del Maggio Musicale Fiorentino e l’opera di Aurel Milloss (1977) e la completa e poderosa Storia della Danza dalle origini ai giorni nostri (1983). Postumo è uscito il suo Compendio storico estetico su la Danza e il Balletto (1995).

Tondelli

Oltre ad essere stato uno dei più interessanti e amati narratori degli anni Ottanta (Altri libertini, 1980; Rimini, 1985; Camere separate, 1989) Pier Vittorio Tondelli è stato un ottimo osservatore del nuovo teatro. Fu tra i primi ad occuparsi di gruppi come Raffaello Sanzio, Crypton, Magazzini, Falso Movimento e a capire il gioco di contaminazioni tra il teatro e la musica, il fumetto e il video e di come tutto questo movimento fosse rielaborato e restituito sulla scena, basta leggere la raccolta dei suoi articoli Un week-end postmoderno. Per il teatro ha scritto un solo testo, Dinner party, messo in scena da Piero Maccarinelli nel 1994.

Tetley

Allievo di Tudor e Hanya Holm, Glen Tetley danza a Broadway, con John Butler e Martha Graham (1957-1959), all’American Ballet Theatre e al Joffrey Ballet. Passa al Nederlands Dans Theater (1962), di cui diventa poi direttore artistico. Collabora strettamente anche con il Ballet Rambert inglese, con il Balletto di Stoccarda e con il National Ballet of Canada, di cui diventa consulente (1987). Come coreografo, è il primo negli Usa a praticare la fusione tra classico e moderno, come è evidente fin dal riuscito Pierrot Lunaire (1962). I suoi balletti vengono interpretati perciò anche da ballerini di formazione accademica come Rudolf Nureyev (Field Figures ).

Crea, tra l’altro, Tristan su musica di Henze (Opéra di Parigi, 1974), Le sacre du printemps (Opera di Monaco, 1974), The Tempest a serata intera (Ballet Rambert, 1979), Firebird (Royal Danish Ballet, 1982), Alice (National Ballet of Canada, 1986). L’Aterballetto negli anni ’80 prende in repertorio i suoi Mytical Hunters (Batsheva Dance Company, 1965), Voluntaries (Balletto di Stoccarda, 1973) e Greening (Balletto di Stoccarda, 1975) e gli commissiona poi The Dream Walk of the Shaman (1984). Alla Scala vengono riallestiti nel 1995, su invito di Elisabetta Terabust, già guest star dell’Aterballetto, Ricercare, Circles, su musica di Berio, e Embrace the Tiger and Return to Mountain (Ballet Rambert, 1968). La sua danza si distingue per la particolare atmosfera rituale, talvolta arcana, che permea uno stile di movimento sensuale, fluido e formalmente rigoroso.

Troisi

Dopo aver preso parte a diversi allestimenti per i teatri stabili dell’Aquila e di Palermo (L’uomo, la bestia e la virtù di Pirandello con F.Parenti), Lino Troisi è protagonista in Processo a Giordano Bruno di Moretti con A. Pierfederici quindi approda al Piccolo Teatro di Milano dove lavora per circa dieci anni. La sua prima partecipazione agli spettacoli del teatro di Strehler è con il discusso allestimento di Grüber Nostalgia di Jung (1983-84); segue La medesima strada , diretto dallo stesso regista su un insolito testo costituito da frammenti di Sofocle, Eraclito, Parmenide, Empedocle (1988); L’affare di E. Bertazzoni e A. Magliani, regia di H. Brockhaus (1989); Le baruffe chiozzotte di Goldoni, regia di Strehler (1992); I giganti della montagna di Pirandello, regia di Strehler (1994) e Splendid’s di Genet, regia di Grüber (1995).

Triana

Uno degli autori più importanti del nuovo teatro cubano degli anni ’60. Il suo testo più noto è La notte degli assassini (La noche de los asesinos 1966), intorno al rapporto oppressore-vittima con aspetti del teatro della crudeltà. Tra le opere precedenti si possono ricordare Medea nello specchio (Medea en el espejo, 1960), Il parco della fraternità (El parque de la fraternidad, 1962), La casa in fiamme ( La casa ardiendo, 1962) e La visita dell’angelo (La visita del ángel, 1963). Dal 1980 T. risiede negli Usa. Nel 1986 ha debuttato a Londra con la Royal Shakespeare Company con il dramma Parole comuni ( Palabras comunes).

Tomasson

Formatosi con Vera Volkova, Erik Bidsted e Sigridur Arman, debutta nel 1958 con il Balletto di Tivoli per passare nel 1961 al Joffrey Ballet. Solista dell’Harkness Ballet dal 1964 al 1969, dal 1970 al 1985 è primo ballerino al New York City Ballet, dove si mette in luce per purezza ed eleganza in creazioni di Jerome Robbins ( The Goldberg Variations , 1971) e George Balanchine ( Symphony in Three Movements , 1972; Vienna Waltzes 1977). Ritiratosi dalla scene nel 1985 diviene l’anno dopo direttore del San Francisco Ballet, contribuendo al rilancio internazionale della compagnia, per la quale firma coreografie di stile neoclassico ( Con brio , 1991; Sonata , 1996).

Talli

Virgilio Talli studiò recitazione all’Accademia dei Fidenti, a Firenze. Debuttò nel 1881 con la Tessero. Fece parte poi di altri complessi di valore e lavorò con Novelli, Reinach, Di Lorenzo, Andò. Nel 1900 vestì i panni di Massimo nella prima rappresentazione di Come le foglie di Giacosa. Nello stesso anno divenne direttore della prestigiosa Talli-Gramatica-Calabresi, compagnia di cui fecero parte anche Ruggeri, Giovannini, la Franchini e L. Borelli. Nel 1909 formò un altro gruppo importante, la Talli-Melato, con Giovannini, V. Vergani, A. Betrone e, successivamente, R. Lupi (è del 1917 la prima milanese di Così è (se vi pare). Dal 1918 al ’21 diresse, in collaborazione con L. Chiarelli, la semistabile del Teatro Argentina. Dal 1921 al ’23 fu a capo della compagnia Nazionale (con A. Borelli, Ruggeri, Calò, Tofano, Olivieri e la Sammarco).

Diresse M. Abba nel 1924, quando guidava la Capodaglio-Calò-Olivieri-Campa, e si occupò della tournée della Duse. Fu il primo a mettere in scena il teatro di H. Becque in Italia con La parigina (1890) e I corvi (1891). Le sue compagnie produssero circa trecento allestimenti, tra i quali vanno ricordati gli storici La figlia di Iorio di D’Annunzio (1904), Dal tuo al mio di Verga (1904), ed Enrico IV (1922) oltre a La vita che ti diedi entrambi di Pirandello (1923) e Marionette, che passione! di Rosso di San Secondo (1918). T., che smise di recitare nel 1912, ha raccolto le sue memorie nell’interessante volume La mia vita di teatro (Milano 1927).

Taormina,

Dal 1983, nel periodo estivo, si svolge il festival di Taormina, rassegna articolata nelle quattro sezioni di teatro, musica, balletto e cinema. Accanto a iniziative collaterali quali mostre, convegni, retrospettive, seminari (la più importante è il premio Europa per il Teatro), sono state create alcune nuove sezioni artistiche, che hanno permesso che il f. si proponesse come produttore di spettacoli, realizzando inoltre scambi e collaborazioni con altri organismi nazionali ed esteri. Per alcune manifestazioni la sezione Taormina Teatro è stata dedicata a Shakespeare, celebrato con tavole rotonde e allestimenti: negli anni si sono susseguite messe in scena come Otello interpretato da Enrico Maria Salerno, Il mio regno per un cavallo , da Riccardo II e III , interpretato da Flavio Bucci, Paola Borboni è Lear, nell’interpretazione dell’attrice, Amleto, Macbeth, Riccardo III, diretti e interpretati da G. Lavia, G. Mauri in La dodicesima notte e Sogno di una notte di mezza estate , testo ripreso nel 1990 nello spettacolo di J. Savary.

Nello stesso anno figura una rassegna di italiani contemporanei, da Maria dell’Angelo di Maricla Boggio a Testamento di sangue di Dario Bellezza, da Atlantico di E. Siciliano a Agonia di Luisa di R. Wilcock. Nel 1991 la vetrina del festival offre contemporaneamente Sei personaggi in cerca d’autore , per la regia di Zeffirelli, il debutto degli spettacoli di Giorgio Barberio Corsetti (Il giardino delle delizie) e di Leo de Berardinis (L’impero della ghisa) , infine Pasqua di A. Strindberg. L’anno seguente si presenta con un cartellone virato al femminile, dove, accanto ad allestimenti come Signorina Julie, interpretato da Monica Guerritore, e La bisbetica domata , con M. Melato, si annoverano le prove di V. Moriconi in Don Sand e Don Juan di E. Groppali, e di Marina Malfatti in coppia con Ivana Monti in Corpo d’altri di Manfridi: entrambi gli spettacoli scritture prime per la scena. Unico mattatore Albertazzi con Lear . Il 1997, infine, prevedeva un appuntamento inconsueto: Pavese coi Dialoghi con Leucò, diretti da Chérif, con le scene di A. Pomodoro; seguivano due novità messinesi quali Bar , spettacolo interpretato da Spiro Scimone e Francesco Sframeli e Ventitré e venti di A.R. Ciccone, per la regia di Carlo Quartucci, interpretato da Nino Frassica e Maurizio Marchetti.

Tatò

Carla Tatò frequenta a Roma l’Accademia di belle arti (scenografia) e debutta come attrice, alla fine degli anni ’60, con Carmelo Bene. Quindi è diretta da R. Guicciardini (Le nuvole di Aristofane), M. Scaparro (Chicchignola), F. Parenti (Il cambio della ruota), G. De Bosio (Il Ruzante). Nel 1970 fonda con Dacia Maraini il `Teatro di quartiere’ a Centocelle e nel 1971 il `Teatro di strada’ con G.M. Volonté, F. Bucci, A. Salines, M. Mercatali, A. Balducci. Nel 1973 partecipa all’ Histoire du soldat di Stravinskij nella messinscena di C. Quartucci. Inizia la collaborazione con il regista e l’esperienza itinerante di Camion: la T. prende parte alla progettazione artistica e creativa, è protagonista della trilogia Opera (ovvero Scene di Teatro, Scene di Romanzo, Scene di Periferia , testi di R. Lerici), di Nora Nora, Nora Helmer dedicati da Quartucci all’eroina di Casa di bambola di Ibsen. Con C. Quartucci, J. Kounellis, G. Paolini, G. Celant, R. Lerici, R. Fuchs, nel 1981 fonda il progetto `Zattera di Babele’; nascono gli spettacoli, portati in tournée europea, Didone, Comédie Italienne, Uscite, Platea, Pentesilea, Florville e Courval , dei quali è protagonista.

La Tatò si definisce «autore di se stesso legato alla cultura del tragico e dell’eroicità», performer che si propone come corpo scenico attoriale, attrice della parola intesa come musicalità e acrobazia vocale, protesa al superamento della differenza maschile/femminile e portatrice di una fisicità femminile forte e `mitologica’. La Tatò è protagonista del progetto scenico su Kleist in Canzone per Pentesilea e Rosenfest Fragment XXX (Berlino 1884), Pentesilea e Nach Themyschira (Roma e Vienna 1986), diretta da C. Quartucci; con lui, M. Blunda e R. Fuchs, nel 1986 è ideatrice del festival permanente `Le giornate delle arti’ a Erice in Sicilia; interpreta quindi il ruolo della madre in La favola del figlio cambiato e quello di Ilse in I giganti della montagna (1989) di Pirandello, Zenocrate e Tamerlano in Tamerlano il Grande di C. Marlowe (Berlino 1991), Sir e Lady Macbeth in I Macbeth (1992), Medea e Giasone in Medea (1988-98) e Federico II in Ager sanguinis, entrambi di A. Pes (1995), i personaggi beckettiani May, Bocca, La donna della sedia, Il lettore, L’ascoltatore, Il protagonista muto in Primo Amore (1989), Erste Liebe (L’Aja 1992), Abitare Beckett (1998). Per il cinema è protagonista di Vogliamo i colonnelli di M. Monicelli (1972); ha partecipato in tv a diversi film, sceneggiati, trasmissioni.

televisivo, teatro

Il teatro televisivo o teleteatro è il connubio tra due pratiche discorsive differenti: il teatro e la tv sono mezzi di comunicazione e di espressione profondamente diversi tra loro, sia a livello di linguaggio, sia a livello di strutture drammaturgiche. Questo connubio, peralto proprio perché costituito da elementi eterogenei, si dimostra spesso capace di offrire prodotti di considerevole valore espressivo. Una trasmissione televisiva non può riprodurre il ‘magico rapporto’ che esiste in teatro tra gli attori sul palcoscenico e gli spettatori davanti a loro, però è assai utile come `memoria elettronica’ in quanto documenta eventi spettacolari di per se stessi effimeri e irripetibili.

Inoltre la tv possiede potenzialità creative autonome, grazie alle quali il dato teatrale viene rielaborato, reinterpretato e messo in scena all’interno di un palinsesto e attraverso un dispositivo elettronico che condizionano la fruizione dello spettatore. D’altra parte il linguaggio della messinscena teatrale non viene necessariamente asservito al mezzo video, ma spesso finisce per condizionarlo, tanto da costituire addirittura la base espressiva di molti spettacoli televisivi, il punto di riferimento della strategia comunicativa dell’informazione e dell’intrattenimento. Soprattutto nei suoi primi anni di vita, la televisione è stata quasi una `figlia’ del teatro, perché lo ha assunto come suo modello linguistico, comunicativo e culturale. In Italia la prima serata di trasmissioni ufficiali della Rai (il 3 gennaio 1954) presentò in `prima serata’ una commedia di Goldoni, L’osteria della posta, diretta da Franco Enriquez; in seguito, per molto tempo il palinsesto dedicò agli spettacoli di prosa un rilievo particolare in ragione di una progettualità culturale, didattica e ricreativa.

La ‘maniera teatrale‘ si impose nei programmi televisivi degli anni ’50 e ’60 come strumento ideale attraverso il quale il pubblico veniva istruito, informato e divertito, secondo un preciso progetto di formazione culturale delle masse. Dello stesso progetto facevano parte anche i romanzi sceneggiati, i quali si fondavano su impianti scenografici, schemi recitativi e drammaturgici tipici della tradizione del palcoscenico. Negli Usa i network hanno prodotto, fin dai primi anni della loro attività, molti eccellenti teledrammi scritti appositamente per la tv, per lo più con ripresa in diretta da studio. Autori come Paddy Chayefsky hanno svolto un attento studio sul ruolo dei mezzi tecnici ed espressivi della tv al servizio dell’azione scenica. Anche in Gran Bretagna gli adattamenti di testi teatrali sono stati meno numerosi dei teledrammi, scritti spesso da grandi personalità come Osborne, Pinter, Owen, Arden. In Italia invece sono scarsi gli esempi memorabili di teledrammaturgia, proprio perché si è sempre preferito puntare su testi in qualche modo già accolti dalla cultura scolastica e popolare.

La storia del nostro teatro televisivo è dunque legata non al nome degli autori dei testi, ma soprattutto a quello dei registi che hanno elaborato un proprio modo originale di leggere e interpretare testi teatrali, romanzi e racconti: in più di quindici anni Anton Giulio Majano, Sandro Bolchi, Silverio Blasi, Daniele D’Anza, Vittorio Cottafavi, Guglielmo Morandi e altri hanno codificato il linguaggio del t.t. realizzando opere di pregio, ma riducendo talora l’immagine ad un ruolo di sudditanza rispetto alla parola. Per primi Eduardo De Filippo, Giorgio Strehler, Luigi Squarzina e Ugo Gregoretti hanno intuito che la traduzione televisiva dell’evento teatrale deve tenere conto della specificità della tv in quanto mezzo stesso di `scrittura’ dello spettacolo.

La `svolta’ decisiva arriva negli anni ’70, quando i maggiori registi del teatro di ricerca dell’epoca (Luca Ronconi, Carmelo Bene, Carlo Quartucci) sperimentano un rapporto del tutto nuovo tra il loro lavoro scenico e la televisione. Essi inventano un modo originale di usare le inquadrature, i movimenti delle telecamere, gli effetti speciali elettronici, i microfoni e la presa diretta, realizzando spettacoli solo in funzione del mezzo elettronico e delle sue caratteristiche drammaturgiche. Contemporaneamente a queste notevoli sperimentazioni, le trasmissioni televisive di prosa diventano meno frequenti. Le ragioni del diminuito interesse della Rai per il teatro sono dovute soprattutto a motivazioni d’ordine economico: la concorrenza con le televisioni private porta a privilegiare gli schemi spettacolari del cinema e della pubblicità, più graditi dal grande pubblico.

In questi ultimi anni stiamo peraltro assistendo ad un nuovo interesse per il teatro televisivo in tutta Europa, come dimostrato dalle trasmissioni franco-tedesche di Arte; in Italia la Rai torna a dedicare spazio a questo tipo di spettacolo, alternando prodotti convenzionali ad altri in qualche modo innovativi e stimolanti. È discutibile il fatto che il t.t. sia un vero e proprio `genere’, in base ad una `griglia’ attiva sul piano dei contenuti e sulla struttura formale. Non pare possibile individuare tassonomie utili a `catalogare’ le varie opere teleteatrali in categorie definite secondo precisi principi semantici. Sono stati talora proposti criteri di classificazione in base al tipo di testo drammaturgico, al luogo ove vengono effettuate le riprese televisive, al livello di comunicazione e di fruizione in cui il prodotto video si inserisce. Sono state distinte le forme `pure’ di teleteatro (trasmissioni in diretta, adattamenti, traduzioni), quelle derivate (programmi di fiction, di informazione, di intrattenimento con modello teatrale), quelle miste (originali televisivi). È facile però dimostrare che in molti casi non è assolutamente possibile definire con univocità il materiale audiovisivo secondo i principi sopra accennati, perché numerose sono le contaminazioni e le interferenze tra un modello e l’altro.

Tedeschi

Dopo una lunga serie di programmi televisivi alla Rai (Musica d’estate, 1984; Raffaella carrà Show, 1988) dove era entrato vincendo il concorso `Un volto per gli anni ’80’, e alla Fininvest (Doppio slalom, 1985-1990; Il gioco delle coppie , 1990), nel 1992 Corrado Tedeschi debutta ad AstiTeatro con La presa di Babilonia , testo di Oliviero Beha. Nel 1993 trova il successo anche al botteghino allestendo Tre papà per una bimba , trasposizione per il palcoscenico del film di successo Tre scapoli e un bebè . Con la coppia Tieri-Lojodice recita ne Il tacchino di Feydeau (1994).

Tofano

Sergio Tofano nasce da una famiglia di magistrati (lui stesso si laurea in legge), ma intanto segue i corsi di recitazione di Virginia Marini e di Edoardo Boutet. Il suo debutto avviene nel 1909 nella compagnia del grande Ermete Novelli, per poi continuare, salendo tutti i gradini da ‘secondo brillante’ a `brillante’ prima accanto a Dondini e poi con Virgilio Talli con il quale rimane per ben dieci anni dal 1913 al 1924, quando viene scritturato nella maggiore compagnia italiana di allora, quella diretta da Dario Niccodemi dove recita accanto ad attori come Vera Vergani, Luigi Cimara, Luigi Almirante (La volpe azzurra di Herczeg e il personaggio di Knock o il trionfo della medicina di Jules Romains, 1925, reso celebre in Francia da Jouvet).

Nel 1928 finalmente è capocomico accanto a Luigi Almirante e Giuditta Rissone, mentre fra il 1929 e il 1931 con Elsa Merlini e Luigi Cimara interpreta, fra l’altro, La dama bianca di Aldo De Benedetti, Gran Mondo di W.Somerset Maugham, Pensaci , Giacomino ! di Pirandello. Attore dotato di un notevole stile, grande illustratore – è il `papà’, con il nome di Sto, del personaggio di Bonaventura che per anni allieterà i lettori del “Corriere dei piccoli” e che diventerà anche personaggio teatrale, – unisce ironia e drammaticità, satira e ottimismo. Proprio per questo può cumulare una partecipazione intensissima al cinema dei `telefoni bianchi’ allora in voga accanto a coraggiose esperienze d’avanguardia in teatro (Una bella avventura, Androclo e il leone di Shaw, Gli occhi azzurri dell’imperatore, ecc).

Accanto a Gino Cervi e a Evi Maltagliati fra il 1937 e il 1939 interpreta Esami di maturità di Fodor e Intermezzo di Noel Coward. Reciterà anche accanto a Vittorio De Sica e a Giuditta Rissone ( Il paese delle vacanze di Ugo Betti, 1940) e con Diana Torrieri. Il dopoguerra lo vede partecipare all’esperimento del Teatro Quirino di Roma dove, sotto la direzione di Costa, interpreta fra l’altro Il giardino dei ciliegi e Sei personaggi in cerca d’autore . Ritorna a fare compagnia con Laura Adani e Luigi Cimara all’interno di quel teatro leggero in cui eccelle (Occupati d’Amelia di Feydeau, Nina di Roussin). Il che non gli impedisce di partecipare, fra il 1949 e il 1952, all’esperienza del Piccolo Teatro dove, diretto da Strehler, recita accanto a Lilla Brignone e Gianni Santuccio in La parigina di Henri Becque, La morte di Danton di Büchner, Casa di bambola di Ibsen.

Nomade di natura, eccolo accanto ad Andreina Pagnani in Chéri di Colette (1951). Importante anche la sua collaborazione con il Teatro dei Satiri di Roma dove, diretto da Luciano Lucignani fra il 1952 e il 1953 interpreta, fra l’altro, il ruolo del cappellano in Madre Coraggio e i suoi figli di Brecht ed è Arpagone nell’ Avaro di Molière con la regia di Fersen. Con Strehler tornerà a recitare nel 1954 nella Trilogia della villeggiatura di Carlo Goldoni. Da questo momento le sue apparizioni in palcoscenico si fanno più rade, ma parteciperà all’avventura di Romagnola di Luigi Squarzina nel 1959 e a La resistibile ascesa di Arturo Ui al Teatro Stabile di Torino con la regia di Gianfranco De Bosio (1961). Poi per questo grande attore eclettico, maestro di stile, ci sarà l’esperienza dell’insegnamento all’Accademia d’arte drammatica inframezzata da partecipazioni alla neonata televisione che lo avrà sovente protagonista dei suoi migliori programmi di prosa.

Tieri

Figlio del commediografo Vincenzo, Aroldo Tieri si è diplomato ventenne all’Accademia nazionale d’arte drammatica `S. D’Amico’, esordendo l’anno seguente in campo professionistico (Malatestino nella dannunziana Francesca da Rimini). Entrato a far parte della compagnia dell’Eliseo (Shakespeare, Puget, Testoni, Lodovici), nell’immediato dopoguerra legò il suo nome a testi di Pirandello, Salacrou, Vanderberghe, ma anche di autori meno impegnativi (Rattigan, Barry, Deval, Zorzi), non disdegnando il teatro di rivista a fianco di A. Magnani, W. Chiari, Totò. Nel 1952 formò compagnia con O. Villi e C. Ninchi (Betti, Anderson, Roussin, De Musset).

Nel decennio 1955-1965 ha lavorato soprattutto per il cinema, interpretando più di cento film, prevalentemente comici, con registi come Mattoli, Gallone, Brignone, Zampa, Chiarini, Soldati, Germi. Nel contempo, ha partecipato in tv a La foresta pietrificata di Sherwood, Nicola Nickleby di Dickens, Il potere e la gloria di Greene, improvvisandosi presentatore a Canzonissima ’60 . Voltate le spalle al cinema alla soglia dei cinquant’anni, ha formato compagnia (1965) con Giuliana Lojodice, più tardi sua moglie, affrontando Shakespeare, Pirandello, Albee, De Hartog, Shaw. Ha avuto per modello R. Ruggeri di cui, giovanissimo, aveva declinato la scrittura per non farsi schiacciare da una personalità tanto prepotente.

Dell’esasperata ricerca di un utopico `meglio’ che lo spinge all’incessante studio del personaggio di turno può essere esempio l’interpretazione di Un marito di Svevo (regia di De Bosio) in cui ha risvoltato in un dolente e stupito grottesco il suo stesso pessimismo esistenziale, meritandosi il premio Curcio 1984. L’anno seguente s’è deciso a impersonare Il misantropo di Molière (regia di Squarzina) che, tra dubbi e ripensamenti, lo intrigava da un quinquennio. Un altro notevole traguardo interpretativo è legato a Esuli di Joyce (1986) in cui ha espresso lo spasimo del dubbio che attanaglia il geloso Richard, trasparente ritratto dello stesso autore.

A simbolica serata d’onore per i suoi cinquant’anni di palcoscenico può essere eletta la rabbrividente trasfigurazione del Signore in grigio in Marionette! che passione! di Rosso di San Secondo con la regia di Sepe, che l’ha poi diretto in Le bugie con le gambe lunghe di Eduardo (1990) e in Care conoscenze e cattive memorie di Horowitz (1993).

Tirelli

Dopo la formazione scolastica di base, Umberto Tirelli si trasferisce a Milano dove lavora alla sartoria teatrale Finzi e in seguito alla sartoria Safas di Roma, dove apprende la scuola del costume del taglio secondo la lezione di G. Sensani, ovvero la ricostruzione del costume come filologia della moda. Da autodidatta impara il mestiere studiando le epoche storiche, la moda nei secoli e dedica una attenzione particolare ai libri e ai quadri. Fonda, nel 1964 la sartoria teatrale Tirelli, dove lavora con grande passione diventando un costruttore di costumi, figura di mediazione tra il costumista bozzettista e il sarto teatrale che accompagna il costumista dall’ideazione alla nascita del costume. Durante la sua intensa carriera colleziona abiti autentici, divenendo un grande archeologo della moda e un appassionato ricostruttore di abiti storici fedeli sia nei materiali che nel taglio. Ideatore di materiali inediti nella storia del costume (stoffa grezza, carta incollata, velluti stampati, cencio di nonna, garze, plastica) e tecniche nuove per la realizzazione di costumi di fantasia, ha partecipato con grande fervore a vestire i sogni e la scena. Tra le collaborazioni più significative si ricordano quelle con L. Visconti, D. Donati, P. Zuffi, F. Zeffirelli, P. Tosi, G. De Lullo e M. Bolognini.

Tognazzi

Operaio a quattordici anni in una fabbrica di salumi (da allora è segnato il suo destino di gourmet), poi volenteroso allievo di una filodrammatica, indi intrattenitore e imitatore molto richiesto dagli amici per le serata allegre di provincia, Ugo Tognazzi fu scoperto in una selezione di dilettanti al Teatro Puccini di Milano, la capitale della rivista più prossima alla `sua’ Cremona. Prima del debutto intervenne però la guerra: il giovane si arruolò in Marina e fece parte di una compagnia delle Forze Armate con la quale compì la sua prima tournée. Quello che sarebbe diventato uno dei ‘colonnelli’ della commedia all’italiana, l’unico venuto dal Nord, e l’attore preferito di Ferreri, si esercitò con l’avanspettacolo e la rivista, instaurando un rapporto subito felice con il pubblico, trattato da amico. Anche per il suo nuovo modo di fare ridere non legato a una precisa maschera, vestito all’uomo borghese qualunque, senza eccessi né smorfie, anzi con una sorta di understatement nostrano e spiritoso: con lui e Chiari si volta pagina.

Negli anni 1944-1945 Tognazzi è al nastro di partenza all’Ambrosiano di Milano, sopra la linea gotica, con Spettacolissimo, seguito da Si chiude (quasi) all’alba , accanto a Dapporto, la Paolieri e l’orchestra Kramer. E nello stesso anno appare in locandina, come star dell’imitazione, in Viva le donne (come il film di Berkeley) di Marchesi, al Mediolanum, mentre la stagione seguente lo troviamo sempre a Milano in Polvere negli occhi e a Napoli in Polvere di Broadway , dove incontra Elena Giusti, che diventerà poi la sua soubrette per alcune fortunate stagioni: lui il compagnone un po’ provinciale, lei la vedette elegantissima. Bocca baciata nel 1946-47 lo vede in scena ancora al Mediolanum, con musiche di D’Anzi, poi passa con Macario in Cento di queste donne , di cui tre sono le scatenate, romanissime, sorelle Nava alle prese con i due comici `nordisti’.

Nel 1948-49 Tognazzi riprende con Macario Febbre azzurra, indi Paradiso per tutti e, nel 1949-50, Castellinaria di Amendola, Gelich e Maccari, in cui T. è un nipote che eredita i milioni dello zio d’America ma, per averli, dovrà fare il mendicante per un anno: un classico. Il grande spettacolo col nome al neon del Lirico, è, nel 1950-51, Quel treno che si chiama desiderio di Bracchi, Gelich e D’Anzi, intrigo per ridere con casinò e spionaggio, ispirato nel titolo, come si usava allora, al film di successo con Brando e Vivien Leigh, accanto a quattro soubrette: De Mola, Sandri, Gilda Marino e Vera Rol. La stagione seguente Tognazzi inizia, con Dove vai se il cavallo non ce l’hai , un triplice sodalizio destinato a durare con Elena Giusti, Vianello e con la coppia d’autori Scarnicci e Tarabusi, che tornano complici nel 1952-53 con la rivista Ciao, fantasma (un fantasma dell’opera alle prese col mondo contemporaneo) e nel 1953-54 in Barbanera bel tempo si spera , parodia delle profezie per l’anno in corso. Intanto Tognazzi ci prova anche con la prosa e d’estate al Manzoni di Milano, per i mariti rimasti in città (come dicevano le locandine di allora), recita una farsa quasi dialettale Il medico delle donne di Bracchi, con grandissimo successo.

Nel 1954-55 l’attore cambia compagnia femminile, sceglie la seducente Dorian Gray, dal nome maschile e wildiano, e si presenta nel più ambizioso Passo doppio, curioso show in due tempi: il primo è la storia di una diva del cinema, il secondo è di tipo cabaret con satira tv (nel cast sempre Vianello, sempre più `spalla’). L’anno dopo ancora una rivista, Campione senza volere , in cui uno scienziato diventa campione del ring, vicino a Jula De Palma. Infine l’addio alla passerella con uno spettacolo che già sta a mezza strada con la commedia musicale, protagonisti un vecchio lord, le assicurazioni e una ballerina, Uno scandalo per Lili, di Scarnicci e Tarabusi e le musiche di Luttazzi. Recita in stile pochade, con la Masiero e alcuni attori di prosa come Scaccia, Tedeschi, Maria Monti e Anna Maestri.

Da allora in poi Tognazzi si dedicherà soprattutto al cinema, frequentato prima nella ‘serie B’ e nel film parodia, diventando poi la star della commedia, da Salce a Monicelli, Ferreri e altri maestri. Ma l’amore per il teatro gli è rimasto dentro fino all’ultimo: ci è tornato infatti recitando in francese, alla Comédie di Parigi, il ruolo del padre nei Sei personaggi pirandelliani; indi, in Italia, con Molière l’ Avaro di Missiroli (1988) e Mr. Butterfly (1989), in finale di carriera.

Travaglia

I Travaglia sono fra i più rappresentativi della classica tipologia delle piccole troupe di circensi attivi fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Il loro spettacolo è composto principalmente dai numeri di famiglia eseguiti da Damiano, il figlio Romolo e le figlie Giulia, Antonietta, Giuseppina e soprattutto Ginevra, antipodista e ottima cavallerizza, e Amelia, avvenente funambola. I Travaglia sono fra i primi ad importare in Italia il tendone all’americana, con due antenne ed i contropali di sostegno. Effettuano numerose tournée all’estero, in Grecia, Egitto, Svizzera e Francia. Allo scioglimento del nucleo famigliare i membri si imparentano con altre dinastie di tradizione circense.

Tolusso

Esordisce allo Stabile di Trieste come assistente di Bolchi e di Squarzina. In seguito, sempre a Trieste, comincia a curare regie di testi come Tre quarti di luna (1961) di Squarzina, Un uomo è un uomo (1963) di Brecht e Antigone (1964) di Sofocle. Nel 1964 passa al Piccolo di Milano dove nella stagione 1965-66 dirige Le Troiane di Euripide-Sartre e I mafiosi alla Vicaria di Sciascia da Rizzotto. Successivamente cura la regia di Epitaffio per George Dillon (1968) di Osborne e, lasciato il Piccolo, L’egoista (1972) di Bertolazzi e Pellegrin che vai a Roma (1974).

Tamantini

A otto anni Franca Tamantini entrò nel Corpo di ballo dell’Opera di Roma. Nel 1948 venne eletta miss Roma e il titolo le aprì le quinte dei palcoscenici di rivista e varietà. Nella stagione 1953-54 fu con Garinei e Giovannini nello spettacolo Caccia al tesoro , che trasferiva in palcoscenico una trasmissione radiofonica di successo, con Billi e Riva, comici `impagabili’, Franca May, una soubrette `che farà strada’, Lucy D’Albert, Gianni Agus e Alighiero Noschese. Spettacolo interattivo, con il pubblico in sala chiamato a giocare e con telefonate impreviste, a tarda sera, a casa di amici dei concorrenti. Coreografie della rivista di Gisa Geert.

Nella stagione 1957-58, fu nel cast di Non sparate alla cicogna di Amendola e Mac (Ruggero Maccari) – con Macario unico maschio, dopo un’esplosione atomica che aveva tolto virilità agli altri uomini, – Sandra Mondaini come soubrette-scugnizza alla Delia Scala e la statuaria Juliet Prowse. Prese il posto di Ornella Vanoni nella seconda edizione del Rugantino di Garinei e Giovannini, ruolo che era stato anche di Lea Massari e che toccherà anche ad Alida Chelli. Ha interpretato operette, distinguendosi nel Pipistrello di Strauss e No, no Nanette, dove cantava “Tea for two”. Ha tenuto numerosi recital dedicati a Brecht-Weill, interpretandone i `song’ più famosi. Premio Idi per il teatro per l’interpretazione di Antonello capobrigante di Vincenzo Padula, con Renzo Giovampietro al Teatro stabile di Torino alla fine degli anni ’50, regista Gianfranco De Bosio. Il pubblico la ricorda in due ruoli di moglie pestifera: accanto a Nino Manfredi in una serie di caroselli televisivi anni ’70 e accanto a Renzo Montagnani nella serie di film di Monicelli Amici miei .

Tarasco

Componente del nucleo storico di Fiat – Teatro Laboratorio Settimo, ora soltanto Teatro Settimo, T. partecipa a tutti gli spettacoli del gruppo prima solo come attore e co-autore ( Citrosodina , 1981; Verso la gloria , 1982; Signorine , 1983; Esercizi sulla tavola di Mendeleev , 1984) poi anche come regista ( Kanner puro , con L. Diana e G. Vacis, 1983; Elementi di struttura del sentimento , con G. Vacis, 1985). Segue Stabat mater di cui, oltre che co-autore, è regista (1989). Nel 1994 ha scritto con G. Vacis e L. Curino (interprete) il monologo Passioni di cui ha curato anche l’allestimento del 1995 è Aquarium e del 1998 è Antenati di cui T. è autore e regista. Ha curato le musiche, tra gli altri, degli spettacoli Libera nos (1989) e Storia di Romeo e Giulietta (1990).

Teatro reale svedese

Il Teatro reale svedese apre i battenti nel 1788 a Stoccolma su iniziativa del re Gustavo III, che desiderava creare un teatro che diffondesse la drammaturgia svedese. In una prima fase si rappresentano solo testi svedesi, ma gradualmente il repertorio si apre soprattutto a opere francesi e tedesche e, naturalmente, ai classici. Nel 1809 il parlamento svedese decide di sovvenzionare, insieme alla corona, le attività del teatro. Con il 1880 si apre la stagione di Ibsen e in seguito di Strindberg, che esordisce però al nuovo teatro di Nybroplan. Dopo il 1945 le attività del Teatro reale e del Piccolo teatro (inaugurato nel 1863) diventano sostanzialmente complementari. La compagnia è stata ospite a New York, Tokyo, Gerusalemme, Barcellona, Parigi, Roma e nei maggiori centri teatrali; negli allestimenti e nelle scelte artistiche si coniugano il moderno, il classico e i contemporanei (Walcott, Miller). Una nuova generazione di drammaturghi rende sempre stimolante la sua attività e direttori della grandezza di Sjöberg e Bergman hanno dato all’istituzione un respiro internazionale.

Toumanova

Tamara Toumanova segue gli insegnamenti di Préobrajenska a Parigi e a soli dieci anni esordisce all’Opéra in L’éventail de Jeanne. Chiamata da Balanchine a danzare ne l’ Orphée aux enfers di Offenbach, nel 1932 entra a far parte del trio delle `baby ballerinas’ dei Ballets Russes de Monte-Carlo dove danza, tra gli altri, in Cotillon , Le bourgeois gentilhomme di Balanchine (1932) e in Jeux d’enfants (1932), Union pacific (1934), Symphonie fantastique di Massine (1936). Nel 1939 prende parte allo spettacolo Stars in your eyes a New York e l’anno seguente è nell’Original Ballet Russe de Basil dove interpreta Balustrade di Balanchine. Successivamente entra nella compagnia di Denham (Labyrint di Massine, 1941).

Nel 1943 affronta la sua prima prova cinematografica con Days of glory e nella stagione seguente è prima ballerina al Ballet Theatre (Moonlight Sonata di Massine e Harvest Time di Nijinska). Continua la sua attività di ballerina danzando in diverse compagnie quali l’Opéra di Parigi (Le palais de cristal di Balanchine, 1947; Phèdre di Lifar, 1950), la Scala di Milano (La leggenda di Giuseppe di Wallmann, 1951; Sylphides e Mort du cygnes di Fokine, 1952), il Grand ballet del Marchese de Cuevas (Un coeur de diamant di Lichine, 1956). Altre sue interpretazioni cinematografiche: Tonight we sing dove sostiene il ruolo della Pavlova (1953), Il sipario strappato di Hitchcock (1966).

Truzzi

Massimiliano Truzzi proviene da una famiglia italiana stabilitasi in Russia, dove ottiene una certa notorietà per l’ottima conduzione di circhi e l’allestimento di colossali pantomime. È allievo di Enrico Rastelli quando costui è ingaggiato nel circo T. nel 1915. Durante la rivoluzione russa i Truzzi si rifugiano a Costantinopoli perdendo molti dei loro beni ma continuando la carriera artistica. Massimiliano sviluppa un numero lungo trentacinque minuti nel quale mostra un repertorio impressionante: nove palle, cinque clave, sei piatti con una palla sulla fronte e il palleggio con la testa di tre palloni, il tutto a grande velocità e con un vistoso costume indiano che sostituisce a fine carriera con uno spagnolo. Nel 1940 è ingaggiato da Ringling Bros. and Barnum & Bailey dove è il primo giocoliere di sempre a esibirsi sulla pista centrale. Si ritira nel 1960.

Tomaszewski

Si forma alla scuola di danza di Cracovia e viene scritturato dalla compagnia di F. Parnell e del Teatr Wielki di Varsavia. Nel 1956 fonda a Wroclaw il Mime ballet, dove propone una personale tecnica espressiva che accoglie i movimenti della danza nelle forme della pantomima. Tra le sue coreografie, portate in tournée in tutto il mondo, ricordiamo Bagage (musica di Pergolesi, 1969) e Before five years passed (musica di J. Luciuk, 1972).

Terzoli

Italo Terzoli (Milano 1924) e Vaime Enrico (Perugia 1936) tra i più bravi e affermati, da oltre trent’anni offrono occasioni di divertimento intelligente fornendo copioni di teatro `leggero’, dallo sketch di rivista al varietà radiofonico e televisivo, al musical e sino alle recenti commedie. Prima di formar coppia, hanno avuto esperienze soliste o con altri autori. Terzoli, attivissimo sin dagli anni Cinquanta, ha firmato molti copioni con Carlo Silva, da Stop, mi uccido alle 20.90 per Tina De Mola (1950-51) a Sogno di un Walter per Walter Chiari (1951-52), Davanti a lui tre Nava tutta Roma , per le sorelle Pinuccia, Diana e Lisetta Nava (1952-53), con bis nella stagione successiva (1953-54): Tre per tre… Nava e ancora per Chiari I saltimbanchi (1954-55). In coppia con Renzo Puntoni scrive Okay fortuna per Wanda Osiris e il trio Vianello-Bramieri-Durano (1956-57), successo bissato l’anno seguente con I fuoriserie per la stessa formazione.

Quindi, sodalizio con Marcello Marchesi e ancora con Renzo Puntoni per Sayonara Butterfly per la coppia Mondaini-Vianello, con replica nella stagione seguente: Un juke-box per Dracula . Con Marcello Marchesi scrive anche La sveglia al collo (1967/68) di taglio televisivo, per la coppia Bramieri-Del Frate. Tutti spettacoli di rivista ad alto gradimento, con una scrittura versatile in grado di adeguarsi a talenti e temperamenti assai diversi tra loro: dalla Osiris a Walter Chiari, dalle Tre Nava ai nuovi comici lanciati dalla tv. V., assunto per concorso in Rai, si dimise quasi subito per scrivere in libertà. Esordì nel 1963 con I piedi al caldo , commedia premiata (a Riccione), rappresentata (nel 1964) al festival dei Due Mondi di Spoleto e subito proibita dalla censura. Ha pubblicato una dozzina di libri: Amare significa , scritto con T., ha avuto più di trenta edizioni. Tra gli altri titoli, Non mi sposo , Perdere la testa , I miei primi quattro anni , che raccoglie i monologhi scritti per il coetaneo Gianfranco D’Angelo in Drive in , varietà tv (“Has fidanken!” fu un tormentone azzeccato). Tra gli altri titoli, un ironico, amaro e violento pamphlet: Il varietà è morto (1988), in cui, con la scusa delle esequie dello show in tv, soppiantato dai `contenitori’, illustra la vita agra dell’autore di teatro `leggero’, mal pagato e mal trattato, ignorato oppure stroncato.

Dalla stagione 1977, la coppia Terzoli e Vaime scrive per la ditta Garinei e Giovannini una serie di musical e commedie allestite da Pietro Garinei. Cominciando con affettuoso, nostalgico omaggio all’avanspettacolo in Felicibumta , con Gino Bramieri. Il `bum’ inserito nella parola Felicità indica il colpo di grancassa che precede la sillaba finale del refrain di passerella. Nel cast, sei anziane soubrette ripescate per l’occasione (e una di loro, Alba Villa, morì poche sere dopo il debutto al Sistina di Roma, stroncata dall’emozione) e sei giovani girls , e Bramieri in una formidabile rievocazione di un genere che l’aveva avuto protagonista agli esordi. Poi, Anche i bancari hanno un’anima , tra le più divertenti e riuscite commedie italiane degli ultimi vent’anni. Se ne stava progettando una ripresa, per la stagione 1998-99, impedita dalla scomparsa di Gino Bramieri. Protagonista un bancario fresco di pensione, al quale i colleghi, ovviamente a sua insaputa, offrono come regalo di congedo un’avventura ferroviaria con la fulgida Paola Tedesco. Il bancario si riscopre dongiovanni, vive in letizia la `scappatella’. Finisce il primo tempo. E il pubblico si chiede cosa potrà ormai succedere nel secondo tempo. E invece: il bancario torna a casa, accolto da una moglie un po’ sfiorita, in ciabatte e bigodini (una straordinaria Valeria Valeri). E qui brillano perizia e talento degli autori, che pigiando lievemente il pedale del sentimentalismo, ricompongono la coppia coniugale, archiviando l’avventura come frizzante ricordo di fine stagione.

Altri successi: Bravo, un pretesto per consentire a Enrico Montesano tre ore da leone (tre anni di repliche, a partire dal 1981). Un attore accompagna il figlioletto in teatro nel giorno di riposo e gli spiega il mestiere d’attore di varietà, dall’avanspettacolo al café-chantant fino al musical stile Broadway. Per Bramieri: La vita comincia ogni mattina , un’audace, parodistica incursione nel `classico’ con Pardon monsieur Moliére , Sono momentaneamente a Broadway , miserie e nobiltà della professione d’attore, Una zingara m’ha detto…, funesta previsione per un commercialista agli arresti domiciliari (intesi come status symbol); Felici e contenti , sette storie ambientate a Natale, giorno in cui, dicono gli autori, bisogna fingere d’essere migliori. Per Bramieri in coppia con Gianfranco Jannuzzo, ecco Gli attori lo fanno sempre (cioè si baciano ogni volta che si incontrano, anche sei volte al giorno), storia di padre e figlio attori che provano uno spettacolo e una possibile convivenza. Per un altro spettacolo della coppia Bramieri-Jannuzzo, Vaime ha scritto con Iaia Fiastri Foto di gruppo con gatto, storia di un giovane dinamico e fantasioso che piomba nell’appartamento e vi si installa, proprio quando un vecchio perdente nato sta per impiccarsi. Una commedia a stagione, o quasi, al servizio dello spettabile pubblico.

Tagliavia

Dopo gli studi di danza classica a Parigi si esibisce con le compagnie francesi Ballet du Louvre, Ballet du Temp Moderne e Europa Ballet. Trasferitasi a Napoli nel 1991 è assistente alla coreografia al San Carlo e in seguito nella compagnia di Gabriella Stazio. Debutta nella coreografia nel 1996 con Itinerari nei chiostri tra musica e danza , seguito nel 1997 da Der D&aulm;mon sull’omonima partitura di Paul Hindemith.

Torrieri

Interprete originale, incisiva nel registro comico e appassionata in quello drammatico, dotata di forte energia comunicativa, Diana Torrieri debutta sulle scene nel 1937 nella compagnia Borboni-Cimara, con la quale porta il teatro italiano in America del Sud insieme a Anton Giulio Bragaglia che l’anno successivo la scrittura al Teatro delle Arti di Roma, dove diventerà primattrice. Di questa esperienza si ricordano, tra gli altri: Delitto e castigo di Dostoevskij, Il rosso e il nero di Stendhal, Il lutto si addice ad Elettra di O’Neill con Lola Braccini. Dopo l’apparizione sullo schermo in Don Pasquale (1940), nel 1943 entra nella compagnia dell’Eti ( Il piccolo Eyolf di Ibsen, Zio Vanja di Cechov) poi è in coppia con Piero Carnabuci. Nel 1949-50 è accanto a Carraro in La macchina infernale di Cocteau, Sei personaggi in cerca d’autore , Albertina di Bompiani e L’annuncio a Maria di Claudel. In seguito appare in molti spettacoli di buon livello: Agamennone (1952) e Antigone di Alfieri (1953), Otello di Shakespeare (1953), Oreste di Alfieri accanto a Gassman e la Zareschi (1955) Elettra di Sofocle (1956); di quell’anno è anche la tournée in America del Sud con Tofano (fra gli altri Vestire gli ignudi e Pensaci, Giacomino! ). Fedra di Racine (1957) Nella traduzione di Giuseppe Ungaretti più volte rappresentata. Nel 1955-56 è inoltre interprete e regista di Un tram che si chiama desiderio di T. Williams. Dalla fine degli anni ’50 si esibisce in recital di poesia e prosa ed è presente e attiva anche in tv. Tra le ultime interpretazioni Più grandiose dimore di O’Neill (Milano, Teatro San Babila 1969 regia di V. Cottafavi).

tatuati

Nel variegato mondo delle attrazioni ambulanti, fra i fenomeni della natura, si inseriscono anche i tatuati. La particolarità e le attitudini di questi personaggi consistevano infatti nel solo `mostrarsi’ in appositi baracconi delle fiere. L’usanza dei tatuaggi artistici proviene dal Giappone; lo storico Alessandro Cervellati sostiene che questa specialità sia iniziata in Occidente per opera di Charlie Wagner, un disegnatore che si dedicò prevalentemente al disegno sul corpo umano. Wagner (che operò a New York verso la metà del ‘900) amava infatti sostenere, nel farsi pubblicità, che se qualcuno desiderava visitare una sua mostra doveva recarsi nel baraccone di Jean Carrol che, tranne il viso, aveva tutto il corpo completamente ricoperto di sue creazioni. Il record dell’uomo più tatuato del mondo spetta a Richard Sheonam, egli infatti si era fatto incidere arabeschi anche in faccia; di tutto il corpo solo il naso rimaneva senza disegni. L’artista era visibile all’interno dell’esposizione del circo Barnum. Questa attrazione, per un certo periodo, ha incuriosito il pubblico, ma subito dopo la seconda guerra mondiale è pressoché scomparsa dalle specialità fieristiche mentre sta ricomparendo presso gli artisti.

Teatro della Tosse

Teatro della Tosse è una compagnia teatrale genovese fondata nel 1975 da Tonino Conte e Emanuele Luzzati insieme a Aldo Trionfo, Rita Cirio e Giannino Galloni. Il Teatro della Tosse prende il nome dalla sua prima sede, un teatrino di cento posti in una vecchia strada di Genova che si chiama Salita della Tosse. Il primo spetttacolo, Ubu Re di Alfred Jarry – diretto da Tonino Conte con le scene e i costumi di Emanuele Luzzati – fu un grande successo e diventò un po’ il manifesto artistico della compagnia. L’attività del Teatro della Tosse si sviluppa soprattutto in due direzioni: la realizzazione di produzioni proprie – secondo una poetica che non si riconosce né nell’avanguardia né nel teatro ufficiale ma nella libertà dei percorsi artistici, della scelta dei testi e dell’uso degli spazi – e la scommessa sulla possibilità di coniugare divertimento e approfondimento culturale.

Nascono così Gargantua opera di Tonino Conte (1977), I corvi di Henry Becque (1980), Il trovator… io fremo di Tonino Conte (1981), Viva la pace di Umberto Albini da Aristofane (1988), Masque degli ultimi giorni dell’anno di Giampiero Alloisio e Tonino Conte (1991), 12 cenerentole in cerca d’autore di Emanuele Luzzati e Rita Cirio (1991), Una notte all’opera (1994), Ubu incatenato (1995) e tanti altri. Spettacoli firmati dai direttori artistici del teatro, Tonino Conte e Emanuele Luzzati ma anche da Aldo Trionfo, Egisto Marcucci, Filippo Crivelli, Sergio Maifredi, Enrico Campanati e Nicholas Brandon. In chiave fantastico-favolistica è da collocare inoltre il tradizionale impegno del gruppo nel teatro-ragazzi. Altro obiettivo della compagnia è la creazione di un centro di programmazione teatrale attento a quanto di più vitale si realizza in Italia.

Nel 1987 il Teatro della Tosse si trasferisce dal Teatro Alcione al Teatro Sant’Agostino, nel centro storico di Genova. Particolarmente interessante è lo sviluppo di questi ultimi anni di attività della compagnia che, soprattutto d’estate, ha realizzato spettacoli in spazi del tutto inusuali. Nel giugno 1998, ad esempio, lo spettacolo I persiani alla Fiumara ha permesso l’apertura al pubblico dei capannoni industriali ex Ansaldo. Nel 1993 terminano i lavori di ristrutturazione del teatro Sant’Agostino e la stagione 1994-95 segna l’avvio dell’attività della multisala teatrale. Nel 1995 il Ministero del turismo e dello spettacolo riconosce il Teatro della Tosse come Teatro Stabile privato. Nel 1996 il Teatro della Tosse riceve il premio Ubu per «la continuità e la coerenza di una ricerca».

Trouché

Figlia d’arte, Liana Trouché esordisce lei bolognese, nella compagnia di Eduardo De Filippo, dove ebbe modo di affinare un timbro e una cadenza da autentica napoletana. Mise a frutto questa preparazione soprattutto negli anni in cui lavorò insieme alla compagnia del marito Aldo Giuffré. La Trouché fu anche apprezzata interprete televisiva in sceneggiati come La fiera delle vanità e Chi ha ucciso Anna o in gialli e soap-opera all’italiana come Vivere insieme. Al cinema è da ricordare la sua interpretazione da protagonista in Nel regno di Napoli (1978) di Werner Schroeter. È scomparsa il 5 febbraio del 1981, durante le repliche di Felici e contenti (1979) di Terzoli e Vaime, regia di Pietro Garinei con Gino Bramieri.

Tiraboschi

Si laurea in filosofia all’Università statale di Milano e al tempo stesso, nel biennio 1977-78, frequenta i corsi di assistente alla regia e attore alla Scuola d’arte drammatica, `P. Grassi’. Inizia a scrivere per il teatro e nel 1982 vince il premio Riccione-Ater con il testo La madre rovesciata . Seguono : Le lacrime del riso (1983), On-Play-Off (1986), Domeniche (1991).

Teocoli

Teo Teocoli inizia la sua carriera nell’ambiente della musica leggera e dopo aver girato diversi gruppi entra nel Clan di Celentano. Negli anni ’70 con la nascita del Derby, una fucina di grandi talenti capitanati da Cochi e Renato, Teocoli vive la fase determinante della sua formazione artistica e umana. Tra i mille aneddoti della sua carriera vale la pena ricordare la sua partecipazione come ballerino nella versione italiana di Hair. In coppia con Massimo Boldi raggiunge la popolarità e il successo oltre che nel mondo del cabaret anche in televisione e sul grande schermo. Il suo dinamismo, le doti canore e d’improvvisazione e l’irresistibile mimica fanno di lui a buon titolo uno dei comici italiani più amati dal pubblico di tutte le età. I suoi personaggi, con il loro slang e una mimica irresistibile, sono entrati nell’immaginario collettivo grazie alla tv (Drive in, Emilio, Mai dire gol): da Peo Pericoli a Felice Caccamo, da Gianduia Vettorello all’imitazione di Miguel Indurain e Ray Charles.

Trionfo

Dopo gli studi di ingegneria (durante i quali era già impegnato come musicista e pittore) Aldo Trionfo si dedicò al teatro partecipando come mimo e attore a due spettacoli di A. Fersen: La Regina di Saba (1945) e Lea Lebowitz (1946). Nel 1947 cominciò come attore, scenografo e aiuto regista il suo sodalizio (che durò fino alla fine della stagione 1952-53) con il Carrozzone di F. Piccoli, recitando soprattutto parti di caratterista in testi classici ( Un curioso accidente , 1947; La dodicesima notte di Shakespeare, 1948; Medea di Euripide, 1951; Le furberie di Scapino di Molière, 1951; Zio Vania di Cechov, 1952), in lavori di repertorio di Molnár e Giacosa e in novità come I soldati conquistatori di Joppolo (1949).

Per alcuni anni si diede al cinema collaborando alla sceneggiatura di La signora senza camelie di Antonioni (1953) e come aiuto regista di De Santis in Un marito per Anna Zaccheo (1953) e di Visconti in Senso (1954), e fu direttore artistico della Casa cinematografica Esedra. Nel 1957, a Genova, fonda la Borsa di Arlecchino, caffè-teatro in cui venivano proposti per la prima volta al pubblico italiano testi della rinascente avanguardia europea, da Ionesco (La lezione, 1957; La cantatrice calva, 1958; Jacques ou La soumission, 1958; Vittime del dovere, 1958; La ragazza da marito, 1960) a Tardieu (Solo loro lo sanno, Il linguaggio delle famiglie, Un gesto per un altro e Il signor Dieci, 1960), da Obaldia (Un coniglio molto caldo, 1958) a Beckett (Finale di partita, 1959), da Adamov (Les retrouvailles, 1958) a Genet (Alta sorveglianza, 1960), nonché ‘riviste’ poetiche e musicali dello stesso Trionfo.

Le sue prime regie professionali sono del 1963 per lo Stabile di Trieste con Storia di Vasco di Schéhadé e Tamburi nella notte di Brecht con la Stabile di Bologna. Seguono Dialoghi con Leucò da Pavese e Vinzenz o L’amica degli uomini importanti di Musil nel 1964; la novità Andiamo a guardare Sonia di Silvestri e Verucci e il Prometeo incatenato di Eschilo nel 1965. Dal 1972 al 1976 diresse lo Stabile di Torino, dove consolidò il sodalizio con lo scenografo e costumista Emanuele Luzzati. Nella scelta dei testi e degli autori ha mostrato particolare interesse per il teatro inglese del Cinque-Seicento, per lo Shakespeare di Tito Andronico e di Re Giovanni e l’anonimo Arden di Feversham fino a scandagliare il grottesco in Faust-Marlowe-Burlesque (1976) con Carmelo Bene e Franco Branciaroli.

Memorabili restano le regie di Peer Gynt (1972) e Il piccolo Eyolf di Ibsen (1968), Elettra (1974) e Edipo a Colono di Sofocle, Le baccanti di Euripide, Puntila e il servo Matti di Brecht (1970), Carnevale romano di Hubay (1981), I corvi di Becque (1980), la trilogia dannunziana La città morta , Francesca da Rimini e La nave (1988), fino alla collaborazione con il Teatro della Tosse di Genova dell’ultima Però peccato, era una gran puttana di J. Ford (1989). Dal 1980 al 1986 ha diretto l’Accademia d’arte drammatica `Silvio D’Amico’.

Technocrat

T. si muove nella psicosi post-tecnologica delle `nuove’ malattie come l’Aids, dei contagi virali, della sessualità artificiale e anonima. Blood exchange è un interscambio tra sangue degli spettatori con altro dello stesso tipo di altre persone. Public semen è una donazione di sperma contenuto in taniche di liquido nitrogeno che viene iniettato nella vagina senza l’analisi e l’uso di agenti antibiotici.

Togni

Ricordato come l’uomo più celebre nella storia del circo italiano, Darix (figlio di Ercole) negli anni ’50 e ’60 rende popolare il personaggio del `gladiatore’ tra le belve feroci. Negli stessi anni dirige col fratello Wioris un circo che, soprattutto nei lunghi soggiorni a Milano, riesce a presentare agli italiani le maggiori novità circensi dell’epoca. T. è controfigura di numerosi divi del cinema nel filone `peplum’ del secondo dopoguerra. Dopo la sua scomparsa il circo è diretto dal figlio Livio (1949) anche sotto altre insegne.

Tzara

Insiema a Huelsenbeck e Arp, Tristan Tzara fonda nel 1916 a Zurigo il movimento dada. Con le sue creazioni ispirate all’irrazionale caoticità dell’esistere, Tzara propone un nuovo linguaggio libero dai vincoli delle sue strutture logiche che sappia manifestare l’essenza della poesia che è gioco e divertimento. Ne La premiére e poi La deuxiéme aventure céléste de M. Antipyrine presenta una serie di collages verbali sovrapposti senza una coerente logica interna; ne Le coeur à gaz (1921) fa un uso iterato dei luoghi comuni e delle banalità attaccando in maniera palese le basi della scrittura drammatica. Tra gli altri suoi scritti dada: Venticinque poesie (1918), Sette manifesti dada (1924), Mouchoir de nuages (1924). Trasferitosi a Parigi collabora al movimento surrealista dal 1929 al 1934. Scrive L’uomo approssimativo (1930), Mezzogiorni guadagnati (1939), Il surrealismo e il dopoguerra (1947, pubblicazione di una serie di conferenze).

Taylor

Sulle scene fin dall’infanzia, Laurette Taylor divenne una star nel 1912 con il grande successo di Peg del mio cuore , una variante della favola di Cenerentola, scritta dal marito J. Hartley Manners, autore anche di altri copioni sulla sua misura. Rimasta vedova nel 1928, attraversò un lungo periodo di crisi (dovuta in parte all’alcolismo) e rimase per molto tempo lontana dalle scene. Ritrovò la pienezza dei propri mezzi e sbalordì pubblico e critica solo nel 1944, quando interpretò il personaggio della madre in Zoo di vetro di T. Williams.

TanzTheater der Komischen Oper Berlin

Fondata con il Balletto della Komische Oper di Berlino Est nel 1946, solo sotto la guida del coreografo Tom Schilling (1966 – 1994) la TanzTheater der Komischen Oper Berlin ha assunto una precisa identità artistica, legata al teatro di danza drammatico, con lavori ispirati al repertorio teatrale o ad opere letterarie quali Romeo e Giulietta (1972), Il Moro di Venezia (1969), Il sogno di una notte di mezza estate (1981). Dal 1994 è diretta dagli olandesi Mark Jonkers e Jan Linkens, nominato anche suo coreografo principale, ed ha assunto il nome di T. der K.O. a sottolineare un ulteriore consolidamento della sua linea artistica. Composta da una trentina di ballerini di formazione classica ma aperti alle discipline contemporanee, propone creazioni dei maggiori autori di teatrodanza europei e dell’avanguardia coreografica tedesca come Cesc Gelabert (Lucretia Stop), Vincente Saez (Wirbel), Juan Carlos Garcia (Landschaft mit Schatten ), oltre che dello stesso Linkens (Nuevas Cruces; Takt; Oedipus Rex).

Telloli

Formatosi alla Scuola di ballo della Scala debutta interpretando immediatamente ruoli solistici nel 1953 ( Capriccio spagnolo di Léonide Massine). Nominato primo ballerino nel 1962, interpreta classici dell’Ottocento e del Novecento ( Romeo e Giulietta ) primeggiando in ruoli di mezzo carattere e carattere ( L’Amore stregone di Luciana Novaro, 1970) . Ritiratosi all’inizio degli anni ’80 si dedica alla coreografia allestendo balletti di stampo tradizionale per varie compagnie ( Rapsodia in Blu, Teatro Nuovo di Torino 1989) e per Luciana Savignano ( Vedova Allegra Souvenir, 1990).

Turrini

Fino al 1971 Peter Turrini si dedica a lavori occasionali, tra cui la direzione di un hotel in Italia. Infine si stabilisce a Vienna dove lavora come scrittore indipendente e vince numerosi premi, tra cui il premio Gerhart-Hauptmann nel 1981. Con un un taglio popolare e contemporaneo e l’impiego del dialetto, T. scrive opere di critica sociale dura e provocante. Autore oltremodo audace, nei suoi testi, spesso autobiografici, narra con molta arte, o anche senza, storie che chiunque altro preferirebbe tenere per sé, passando dal simbolismo più rarefatto a un realismo di livello quasi pornografico. È un teatro dell’orrore e del sentimento scritto da un inquietante poeta austriaco sulla sua patria e sulla sua gente che odia e che ama. Opere come Rozznjogd (1968), Kindsmord (1973), Campiello (1982), Tod und Teufel (1990), Grillparzer im Pornoladen (1993), con il loro radicale pessimismo, hanno offerto alla nuova scena europea un raro esempio di intelligenza e di senso del teatro.

Tangueros

Fondata nel 1992, la compagnia Tangueros è diretta dall’argentino Alejandro Aquino, già danzatore classico del Teatro Colón di Buenos Aires e dall’italiana Mariachiara Michieli, allieva del celebrato tanguero Miguel Balmaceda. In formazione di volta in volta modificata la compagnia ha contribuito al recente rilancio teatrale del tango, sottolineando nei suoi spettacoli le molte sfumature stilistiche e le variegate origini culturali del ballo argentino: tra i vari titoli si ricordano Tangueros (1992) e Milonga Boulevard (1994), cui collabora per la parte musicale l’Orquesta Color Tango. Dal 1997 ha modificato la sua denominazione in Nueva Compania Tangueros.

Testoni

Nel suo primo periodo Alfredo Testoni si dedicò a lavori di tipo sperimentale. Scrisse anche per il teatro in dialetto, riscuotendo notevoli consensi nell’ambiente bolognese, di cui mise in scena i costumi. Vanno ricordati i lavori: El trop è trop (1878), Insteriari (Stregonerie, 1881), Scuffiareini (1882, dove si riscontra una forte influenza di Giacosa e Gallina), I Pisuneint (Gli inquilini, 1883, commedia dichiaratamente comica), Acqua e ciaccher (1899), El noster prossum (1910), Quand a j era i franzis (1926), El fnester davanti (1927). Dopo i primi segnali nella stesura di Quel certo non so che (1902), la sua vena comico-pochadistica emerse appieno con Il cardinale Lambertini (1905 nella versione italiana e 1931 nella versione dialettale, il suo vero successo, che fornì anche tre soggetti per il cinema), dove viene esaltata l’arte della mediazione, su uno sfondo fatto di moralità e malizia, di tipico ambiente bolognese. La commedia venne interpretata da grandi attori, tra i quali Zacconi e Cervi.

Trovajoli

Precocemente sensibile alla musica, Armando Trovajoli impara a suonare il violino da bambino grazie al padre violinista. Studia pianoforte e composizione sotto la guida di Libero Barni e Angelo F. Lavagnino. Si diploma in pianoforte al Conservatorio di Santa Cecilia. Apprezzato pianista jazz, di cui è un pioniere nel nostro paese, viene invitato nel 1950 a partecipare a un festival internazionale alla Salle Pleyel di Parigi, accanto a solisti come Charlie Parker, Miles Davis, `Toots’ Thielmann, Max Roach. Esecutore elegante e raffinato, Trovajoli s’impone come uno dei migliori rappresentanti del jazz europeo. Nel 1952, invitato da Willy Ferrero, esegue il Concerto in fa e Rapsodia in blu di Gershwin in concerti alla basilica di Massenzio di Roma e a Palermo; l’exploit è ripetuto al San Carlo di Napoli sotto la direzione di Arthur Rodzinsky.

La Rai affida a Trovajoli l’incarico di dirigere una orchestra di ritmi e canzoni; dopo la partecipazione per due anni consecutivi al festival di Sanremo, nel 1957 forma un’orchestra che scrittura i migliori solisti italiani di jazz. Intanto compone partiture per il cinema e collabora come arrangiatore, direttore d’orchestra e compositore per spettacoli di rivista. Remigio Paone, che con la sigla `Errepì’ produce spettacoli d’alto livello, incarica Trovajoli della realizzazione delle musiche della rivista Festival (1955) di Age, Scarpelli, Verde, Vergani, con la supervisione di Luchino Visconti, protagonista Wanda Osiris (un insuccesso); e di Siamo tutti dottori (1955) di Age, Scarpelli, Verde, protagonisti due netturbini – Billi e Riva – costretti a ottenere una laurea, necessaria per non perdere il posto.

Sempre del 1955 è Il terrone corre sul filo di Nelli, Mangini e Verde, con un Nino Taranto che perde, e poi ritrova, la sua napoletanità (musica di Trovajoli in collaborazione con Giampiero Boneschi). In seguito Trovajoli diventa uno dei musicisti fissi della ditta Garinei e Giovannini, i più importanti autori e impresari del teatro musicale del dopoguerra: sono loro a evolvere la formula della rivista verso la struttura del musical. La prima vera e propria commedia musicale italiana è Rugantino (1962) su testi di Garinei, Giovannini, Franciosa e Festa Campanile, con musiche, appunto, di Trovajoli. Essa porta sulla scena la maschera romanesca del Belli, con Nino Manfredi nei panni di un bullo nella capitale papalina del 1830 che muore con coraggio sul patibolo (finale tragico decisamente inconsueto per questo genere di spettacoli). Accanto a Manfredi agiscono Lea Massari, Aldo Fabrizi e Bice Valori. È forse questa la commedia musicale più applaudita della serie, approdata fra l’altro anche al Mark Hellinger Theatre di Broadway. Trovajoli elabora con gusto motivi popolari del secolo scorso, reinventa ritmi di danze, come il saltarello, e compone canzoni diventate celebri come “Roma non fa’ la stupida stasera”, “Ciumachella de Trastevere”, “È l’omo mio”. Nel 1965 va in scena Ciao, Rudy di Garinei, Giovannini e Luigi Magni, altra scommessa vinta.

Scritta per Marcello Mastroianni, che ne diventa indimenticabile interprete (come attore, cantante e ballerino), questa commedia musicale avrebbe dovuto approdare anche nei più importanti teatri di Broadway – che l’avevano prenotata – ma per impegni assunti con Fellini l’attore non ritenne di proseguire in questo impegno (sette anni più tardi il lavoro fu ripreso e affidato ad Alberto Lionello). Protagonista è Rodolfo Valentino, visto dal suo arrivo a Manhattan al trionfo come rappresentante del fascino latino: Trovajoli, entusiasta di immergersi nella musica americana degli anni ’20 e nelle atmosfere del jazz, per la prima volta in teatro aggiunge all’orchestra di circa trenta elementi una base incisa su nastro magnetico per gli effetti `da cinemascope’; in più agisce saltuariamente sul palcoscenico anche la New Orleans Jazz Band.

Le canzoni, di estrema raffinatezza anche se non sono diventate celebri, si rifanno allo stile di Broadway del tempo; fra queste “Quattro palmi di terra in California”, “Gente matta”, “Così è lui”, “Piaceva alle donne”, “Questo si chiama amore”. Quest’ultimo motivo, cantato da Mastroianni, diverrà dopo tanti anni il leitmotiv del `film testamento’ su questo attore (mancato il 19 dicembre 1996, intitolato Mi ricordo, sì, io mi ricordo e realizzato nel 1997 da Anna Maria Tatò). Altro grande successo è Aggiungi un posto a tavola (1974), tratto dalla commedia Dopo di me il diluvio di David Forrest, testi di Garinei, Giovannini, Iaia Fiastri. Viene ripreso il tema biblico già trattato da `G. & G.’ nella rivista del 1950 La bisarca : stavolta si tratta di un simpatico prete, interpretato da Johnny Dorelli, avvisato dal Padreterno che ci sarà un secondo diluvio universale e incaricato di costruire una nuova arca. Anche per il messaggio di fratellanza in esso contenuto, questo musical ottiene un successo internazionale ed è rappresentato in tutto il mondo. Lo spettacolo viene collegato da Angelo M. Ripellino alla tradizione di Hair , Godspell e Jesus Christ Superstar .

Seguono altri lavori, sempre siglati `G. & G.’, anche se nel frattempo (1977) Sandro Giovannini viene a mancare. Del 1978 è Accendiamo la lampada di Garinei e Fiastri, con uno scrivano da Mille e una notte (ancora Johnny Dorelli) che ricorre alle magie della lampada di Aladino; del 1981 è Bravo! su testi di Terzoli e Vaime, un pretesto per dare mano libera a Enrico Montesano di ripercorrere, raccontandola a suo figlio e agli spettatori, la storia del teatro leggero, i miracoli e le magie del palcoscenico; del 1986 è Se il tempo fosse un gambero , testi di Garinei (che come sempre cura la regia) e Fiastri: mattatore di questo show è ancora Enrico Montesano. Nel 1991 Trovajoli compone le musiche di uno spettacolo particolare, L’impresario delle Smirne , che va in scena all’Arena di Verona. È tratto da Goldoni e adattato da Tullio Kezich e Mario Missiroli: la regia è di quest’ultimo, gli interpreti sono Mariano Rigillo, Marzia Ubaldi, Emanuela Moschin. La critica si divide e parla di «uno spettacolo insolito, cromaticamente smagliante e dall’elegante dimensione di un patchwork».

Fittissima l’attività di Trovajoli per il cinema (e la televisione). La sua carriera di compositore per film è una delle più consistenti del panorama italiano, sia per il numero dei contributi sia per il loro peso specifico. Scrive partiture per registi come Lattuada, De Sica, Risi, Comencini, Pietrangeli, Festa Campanile, Vicario, Magni, Scola. Dalla rivista Rugantino è stato tratto il film nel 1973, con la regia di P. Festa Campanile.

Tieri

Profondo conoscitore del mondo dei sentimenti, che indagò con freddo distacco, Vincenzo Tieri fu però anche il creatore di alcuni sorprendenti personaggi femminili, giudicati con durezza e crudeltà. Si ricordano in questo senso Giovanna, protagonista di Taide (1932), Barbara de L’ape regina (1941) e Giulia de La battaglia del Trasimeno (1942). Nel dopoguerra si dedicò alla regia di gialli sentimentali: Processo a porte chiuse, Interno 14 e Domani parte mia moglie.

Tudor

Antony Tudor ha studiato con Marie Rambert, Harold Turner e Margaret Craske. Impegnato nella danza a partire da età relativamente tarda (vent’anni), non poteva acquisire una forte tecnica, ma è comunque stato in grado di esibirsi non solo nelle proprie creazioni per il Ballet Rambert, ma anche in molti altri balletti. Dopo i primi tentativi coreografici, è giunto alla fama con due balletti che circolano ancora: Jardin aux lilas (1936, musica di Chausson) e Dark Elegies (1937, musica di Mahler). Il primo, usando la tecnica classica ma senza virtuosismi, segna l’interesse di Tudor alle emozioni e passioni represse, essendo l’atmosfera venata di melancolia. Il secondo possiede invece un soggetto di natura tragica, consistendo nel lungo lamento sulla morte di bambini in un disastro.

Il baritono che canta i Kindertotenlieder (allora pressoché sconosciuti in Inghilterra) sta in palcoscenico. Nel 1938 ha creato il balletto satirico Judgement of Paris (musica di Kurt Weill), per diversi anni incluso nella Serata Tudor del Ballet Rambert, e fondato il London Ballet con Hugh Laing, Maude Lloyd e Agnes De Mille. Per esso ha creato il balletto umoristico Gala Performance (sulla Sinfonia classica di Prokof’ev), passato al repertorio del Ballet Rambert e in seguito dell’American Ballet Theatre. Nel 1940 si è trasferito con Laing a New York, dove ha lavorato a lungo con il Ballet Theatre, del quale è stato nominato direttore associato nel 1974. Fra gli otto lavori creati per questa compagnia si annoverano Pillar Of Fire (musica di Schönberg), balletto su una giovane donna frustrata spesso ripreso anche da altre compagnie; Romeo and Juliet (musica di Delius) per Alicia Markova e Laing; Undertow (musica di William Schuman), sempre su tema psicologico, con Alicia Alonso e Laing.

Ha lavorato poi col Balletto Reale Svedese, creando per esso Echoing of Trumpets (1963, musica di Martinu), balletto drammatico sull’infelice vicenda di un partigiano, ripreso nel 1973 dal London Festival Ballet. Ha creato due balletti per il Royal Ballet: Shadowplay (1967, musica di Koechlin) con Anthony Dowell e Merle Park, e Knight Errant , (musica di Richard Strauss), per David Wall. Nel 1975 ha creato per l’American Ballet Theatre The Leaves are Fading (musica di Dvorák) con Gelsey Kirkland nel ruolo principale. Tudor è noto soprattutto per il talento dimostrato nello scavo della psiche umana, per lo più nei momenti di infelicità, di malintesi o di insoddisfazioni. I suoi balletti sono difficili da eseguire in modo soddisfacente perché richiedono una notevole abilità espressiva.

Teatro Uomo

Teatro Uomo apre nel 1969 in una vecchia sala parrocchiale di corso Manusardi a Milano e prende il nome dalla compagnia che vi ha svolto fin dall’inizio la sua attività. I primi organizzatori del teatro sono il regista Virgilio Bardella e l’amministratore Fiorenzo Grassi. Sebbene non richiami grande pubblico, il teatro si distingue subito per l’originalità dei lavori proposti offrendo a Milano un ricco programma di ricerca e sperimentazione. Nelle prime stagioni il teatro ospita le compagnie di Giancarlo Nanni, di Franco Molè e il Collettivo di Parma, nomi che ben presto si affermeranno nel nuovo teatro italiano. Si allestiscono gli spettacoli con pochi mezzi, in uno spazio molto stretto, davanti a pochi spettatori.

Tra il 1969 e il 1975 si susseguono le compagnie del Teatro Laboratorio di Verona, del Teatro Jarry di M. Santella, i giovani di Teatro Evento di Bologna, la compagnia Lo Zoo di Torino, Daisy Lumini e Beppe Chierici, Mario Ricci del gruppo G.S.T.O. Nel 1975 il Teatro Uomo trasloca in via Gulli nell’ex cinema Adriano. Nella nuova sede propone una programmazione diversa che va dalla prosa al jazz al cinema, ma ospita anche spettacoli di qualità come Nella giungla della città di Brecht, La madre di Gor’kij, Fede, Speranza, Carità di Ödön von Horváth, Tito Andronico di Shakespeare. Si alternano compagnie regolari come Gli Associati (Un uomo difficile di Hofmannsthal con protagonista Sergio Fantoni), il Granteatro di Carlo Cecchi (Il borghese gentiluomo di Molière) e compagnie d’avanguardia.

In queste nuove stagioni, però, il teatro cade in progressivo fallimento, da un lato perché non riesce a raccogliere il consenso del quartiere in cui ha nuova sede, dall’altro per il suo decentramento rispetto ai teatri di prosa. La direzione passa a Giuseppe Di Leva, il quale non riesce a risollevare le sorti del centro che, inutilmente tenta di sopravvivere ospitando qualche concerto e vari gruppi di passaggio (Isabella Morra nel 1980 presenta qui la Maria Stuarda di Dacia Maraini). Il teatro si ripropone con la nuova insegna di Teatro Miele, segnando così la sua definitiva fine.

Toccafondi

Figlia di uno scenografo fiorentino Bianca Toccafondi debutta in palcoscenico a tre anni ne Il sesso debole al Teatro della Pergola. A venti recita nell’ambito del Teatro universitario e studia con Athos Ori della Filodrammatica fiorentina. Nel 1952 inizia una intensa attività di doppiaggio e l’anno dopo entra a far a parte della Compagnia di prosa della televisione interpretando opere di Dostoevskji, Cechov, Molnar, De Musset. Entra nella Compagnia Albertazzi-Proclemer-Ricci-Magni-Buazzelli recitando in ruoli importanti attinti da un repertorio vario che fa risaltare le sue doti sia di attrice drammatica che brillante. Da Il seduttore di Fabbri a Corruzione a Palazzo di Giustizia di Betti, a Re Lear. Con I coccodrilli di G. Rocca vince il premio quale migliore attrice dell’anno. Fonda la compagnia Ricci-Magni-Volonghi-Toccafondi (L’estro del poeta, 1959, di O’Neill, Miles gloriosus di Plauto e Sette contro Tebe di Eschilo). Dal 1962 forma compagnia con Gramatica-Santuccio-Toccafondi (Romanticismo di Rovetta). Con Incontro a Babele di S. Cappelli vince il premio Idi 1962 come migliore attrice di commedia italiana. Negli ultimi anni è spesso impegnata in pièce di genere brillante. Anche in televisione ha partecipato a numerosi sceneggiati: Oblomov (1965), I promessi sposi, Il dottor Jekyll (1968), e La vita di Leonardo Da Vinci (1971).

Teatro Tascabile di Bergamo

Nasce con questo nome negli anni ’60 e si caratterizza per il lavoro di diffusione di testi teatrali in genere ignoti al repertorio scenico tradizionale dell’epoca. Nel 1972 la vecchia compagnia semiprofessionale che lo compone si scioglie. Il nuovo gruppo Teatro Tascabile di Bergamo, che nasce a opera di Renzo Vescovi (1973), è costituito da attori senza precedenti esperienze teatrali, che costruiscono nel tempo la propria tecnica sulle suggestioni del teatro laboratorio di Grotowski. Il debito più grande il Teatro Tascabile lo deve alla forte influenza di Eugenio Barba e dell’Odin Teatret, anche se non mancano echi di altre realtà teatrali musicali e perfino circensi. Il primo spettacolo del gruppo, L’amor comenza (1973), un centone di testi tardomedioevali inframmezzato di canti, danze e giochi acrobatici, ebbe un esito molto felice e fu invitato a vari importanti festival nazionali e internazionali. Grande importanza ha sempre avuto la tecnica scenica, con particolare riguardo all’arte dell’attore. Dopo i primi esperimenti iniziati nel 1977, esso dà vita al suo primo spettacolo di strada, Invito alla festa . L’intento era quello di infrangere le barriere che dividono nel teatro i differenti pubblici: quello specializzato e un altro spesso inconsapevole e distratto che va a teatro solo per puro divertimento.

Il teatro di strada del Teatro Tascabile si rivolge allo spettatore casuale e a quello volontario straniando entrambi e sollecitando l’attenzione o un rifiuto. Con la fusione dei livelli, lo spettatore diviene impersonale e si offre così all’artista per essere provocato sull’essenziale, toccato nel cuore rinunciando a linguaggi allusivi e di maniera. Proprio questa necessità dell’essenziale conduce paradossalmente, nonostante la sua apparente estroversione e perfino la sua chiassosità, alla concentrazione e all’interiorità. Questo è uno dei motivi fondamentali per cui i fondatori del Teatro Tascabile (Renzo Vescovi, Ludovico Muratori, Susanna Vincenzetto e Franco Pasi) si avvicinarono al teatro indiano e balinese. Scoperto e provato in modo diretto il fascino di queste antiche tradizioni, il gruppo ha cercato di indagare questa cultura di teatro-danza in modo progressivamente più ampio lavorando dal 1977 con grandi maestri orientali e fondando l’Istituto di cultura scenica orientale. L’istituto è presente a livello scientifico nazionale e internazionale con relazioni, seminari, convegni, atelier, pubblicazioni, film e una biblioteca-videoteca, specializzata sull’arte dell’attore e sull’antropologia teatrale, che ha pochi paragoni in Italia e in Europa.

Dalla sua nascita il Teatro Tascabile ha prodotto sessantotto spettacoli; vale la pena citare: Albatri, 1977; Storie dal Mahabharata, 1991; La saga di Peer Gynt, 1995; Amor sacro, amor profano, 1995; Il velo di Maya, 1996. Le ultime creazioni rivelano una più esplicita fusione dei due diversi mondi. Gli spettacoli di strada si sono fatti più lirici preferendo contesti ambientali in cui all’aspetto culturale urbano si affianca, con sempre maggior ampiezza, quello più naturale del paesaggio (parchi, stagni, laghi, fiumi, mare). Teatralmente si assiste a una spoliazione progressiva dell’elemento tecnologico sia per quanto riguarda gli interventi di strada (nell’ultimo spettacolo, Sonia, Piccola Parata Notturna, Sonata op.19, Alla Luna, le scene avvenivano al lume della luna ravvivata, dove necessario, dalla fiamma di qualche fuoco) sia nell’ultima produzione, Esperimenti con la verità.

Torta

Carlina Torta esordisce nel gruppo Teatro del Sole per poi fondare, a metà degli anni ’80 con A. Finocchiaro, la compagnia Panna acida, che realizza spettacoli come Scala F, Viola, Maldimare, in scena al Teatro Verdi di Milano. Nella stagione 1988-89 scrive e dirige Lucertole ; nel 1996 allestisce Manicomio primavera, ispirato a un racconto dell’omonimo libro di Clara Sereni, in cui, ha detto l’attrice, «c’è il senso della vita come l’ho espressa nel mio teatro: dolore e piacere, sofferenze e gioia». Nella stagione 1997-98 è nel Re Lear di Shakespeare, con la regia di A. R. Shammah.