Scala

Coltivando la sua vocazione per lo spettacolo, Delia Scala si iscrisse a otto anni alla scuola di danza della Scala di Milano, dove si era trasferita con la famiglia. Il primo tempo della sua carriera, col volto di ragazzina acqua e sapone che contrastava con il prototipo della maggiorata di allora, appartiene al cinema. Partecipò a moltissimi film d’epoca, da Anni difficili del 1947, di L. Zampa, che ebbe il merito di scoprirla, a I teddy boys della canzone del 1960: in mezzo ci sono titoli come Napoli milionaria, Come scopersi l’America con Macario, Bellezze in bicicletta con la Pampanini, con un esempio drammatico in Roma ore undici e un giallo in Grisb. Ma naturalmente la sua affermazione appartiene al teatro, quando, apparendo una sera del settembre del 1954 al Lirico di Milano, in Giove in doppiopetto e trionfando subito accanto a Dapporto, rivoluzionò l’immagine classica della soubrette dal fastoso guardaroba e dal rimmel in camerino.

Furono Garinei e Giovannini a lanciarla dopo un’accanita gara sulla paga con Paone, in quel fortunato spettacolo ispirato a Plauto, il primo che vantava una vera trama, pur ancora in mix con la rivista (vedi il personaggio di Agostino, presente nel secondo tempo) e si replicò per due anni. Nello spettacolo la ragazzina era una giovane sposina (“Ho il cuore in Paradiso”) sedotta niente meno che da Giove. La Scala, show girl e non più soubrette, alle doti di attrice, aggiungeva la preparazione atletica come ballerina, che le permetteva exploit acrobatici come nel “Mambo dei grappoli” (sempre in Giove in doppiopetto), in cui saltava su un tamburo-tinozza elastico decorato con grappoli d’uva per decine di volte consecutive, provocando l’entusiasmo del pubblico. La maliziosa, moderna, la simpatica Scala avrà una carriera breve, per sua volontà (non sopportava più, dopo un attacco di appendicite, la fatica e la disciplina delle tournée), ma intensa e redditizia. Pochi titoli dunque, tutti di casa Garinei e Giovannini, che sono rimasti nella storia della rivista e del musical.

Si va da Buonanotte Bettina (1956) con Walter Chiari con cui formò un’indovinata coppia giovane per satireggiare i best seller scandalistici alla Sagan al musical liberty L’adorabile Giulio (1957), con l’edipico ‘padre’ teatrale Dapporto, nel consolidato ruolo dell’attore viveur, e Teddy Reno (che, non a caso, le dedicava l’orecchiabile refrain di Kramer Simpatica). Nel 1958 in Un trapezio per Lisistrata, uno degli spettacoli più riusciti e originali della `ditta’, coreografato da Donald Saddler, vestito da Coltellacci, l’attrice fa la volitiva, combattiva, moglie che sciopera e fa scioperare contro i mariti, saltellando sulla popolare colonna sonora di Kramer, che comprende Donna e Raggio di sole, che resteranno best seller del Quartetto Cetra.

Dopo una storica edizione di “Canzonissima” nel 1960 a fianco di Panelli e Manfredi, la Scala affronta nel 1964 un musical coniugale da camera, con soli due protagonisti che cambiano identità e parentela, intorno al balletto che interviene solo se evocato: lei e Rascel, impegnati in una schermaglia di marito e moglie a zig zag nel tempo. Ma prima la coraggiosa Scala – che ha avuto, nel corso del tempo, tempestose, tragiche, sfortunate, vicissitudini sentimentali e anche di salute – era stata nel 1960 la star di uno show monografico a lei dedicato, Delia Scala Show , allestito, per uno di quei fortunati casi del teatro, con la complicità del trio comico Ucci-Garinei-Sposito. Seguì lo storico kolossal Rinaldo in campo, con le camice rosse garibaldine, celebrazione risorgimentale ad alto tasso spettacolare, un musical scritto come una commedia drammatica, il primo con un personaggio che muore in scena.

E per la prima volta è assente la passerella, con gran delusione dei fans che, per il finale, occupavano per tradizione, festosamente, i corridoi del teatro arrivando alle prime file dai posti in piedi del fondo. L’ultimo spettacolo della soubrette fu, nel 1964, un musical di fama e gradimento internazionale, My Fair Lady, allestito dalla produzione di Lars Schmidt con Remigio Paone e tratto dalla commedia di Shaw Pigmalione. In contemporanea con il trionfo del film di Cukor interpretato da Audrey Hepburn e Rex Harrison, il My Fair Lady italiano non ha nulla da invidiare alle celebrate edizioni straniere: fu uno spettacolo elegante, di grande stile, amatissimo, provvisto di una colonna sonora che tutti canticchiano; e in cui Delia Scala dimostrava come e quanto aveva raffinato le sue doti, accanto a un gruppo di magistrali attori di prosa come Gianrico Tedeschi (Higgins), Mario Carotenuto, la doppiatrice del birignao suadente Tina Lattanzi. Oltre alla sua esemplare carriera teatrale (da cui si ritirò a soli trentacinque anni), l’attrice vanta un curriculum televisivo intenso, che comprende una rivista a schema coniugale con Nino Taranto (“Lui e lei” nel 1956 di Marchesi e Metz), “Signore e signora” con Buzzanca, il serial di “Casa Cecilia” seguito da un altro impegno di tipo familiare sulle reti Fininvest, “Io e la mamma” con Scotti e altre partecipazioni che l’hanno sempre confermata come uno dei volti più cari al pubblico.

Dapporto

Figlio di un padre calzolaio («ero di famiglia malestante») e di una madre casalinga astigiana, fonte delle inflessioni piemontesi del suo classico Agostino, Carlo Dapporto è un ‘self made actor’: prima di arrivare sul palcoscenico fa un po’ di tutto, il barman, il cameriere, il battutista, lo chaperon e il tanghista al Savioli di Riccione, sempre osservando il mondo; nel 1927 viene perfino assunto come fantasista in un circo. Viene notato da V. D’Arys, signora soubrette che lo scrittura con A. Campanini nella compagnia di avanspettacolo, dove i due ragazzi si prodigano nel ’35 in un’imitazione di Stanlio e Ollio. D. passerà poi con la Fougez e D. Maggio, reciterà Visi e maschere (1937-38), Chissà che penserà di me (1938-39), Se ne vedono delle belle e Sono un tipo fatto così (1941-42). Diventa amico inseparabile dei fratelli De Rege, tanto che, dopo la morte di Guido, nel 1945, tenterà di rilanciare, facendogli da spalla, Ciccio in Ba bi b, il primo show del dopoguerra a Milano, dopo la Liberazione. Finché una sera del 1941, al Supercinema di Milano, W. Osiris, teatralmente neoseparata da Macario, seduta in platea ride alle trovate del giovane attore sanremese e lo scrittura nel grande spettacolo Sogniamo insieme di Nelli, tema dei sogni, indispensabili al periodo bellico. La ditta Osiris-Dapporto diventa una affiatata garanzia di botteghino anche in altri spettacoli, Sognate con me (1943-44), il fastoso Che succede a Copacabana (1943-44) e L’isola delle sirene di Bracchi e Danzi (1945-46). Ma Dapporto recita anche, in pieno coprifuoco, Si chiude quasi all’alba (1944-45) con la Paolieri, U. Tognazzi e l’orchestra di G. Kramer; Ohilalà di M. Marchesi (1944-45) con la Maresca e due show di beneficenza, per i partigiani e gli internati in Germania, con tutte le star in locandina.

Dapporto è dal primo dopoguerra uno dei grandi caratteri della rivista, in equilibrio delicato tra la vecchia maschera e il nuovo conversatore-barzellettiere che parla un gustoso e ironico francese, stupendo il pubblico con un infinito repertorio di doppi sensi, sintonizzati sul comune senso del pudore. Ha almeno due volti, entrambi simpatici: quello impomatato e in frac del Maliardo, del seduttore a tempo pieno che le donne sa come conquistarle, in regime di macho con vestaglia di seta e con l’occhio sempre rivolto a Montecarlo, come un D’Annunzio reso ridicolo e grottesco; dall’altra parte è irresistibile nella macchietta regional popolare del baffuto, ingenuo Agustino che parla e storpia in piemontese, personaggio nato nel 1950 nella rivista Buondì zia Margherita di Galdieri, in cui fa da soubrette E. Giusti, così come farà poi con lui la passerella D. Lodi. Riviera follies di D’Anzi e Marchesi, nel ’47, è lo show in cui pare si facesse per la prima volta uno strip-tease; seguono Chicchirichì (1947-48), in cui il comico fa la parodia di un gangster, Snob di Galdieri, nel 1950-51, con ricche coreografie, Sul cocuzzolo del tuo cuore (1951-52) con Carletto in Napoleone e La piazza (1952-53) sempre di Galdieri, suo autore di fiducia. E ancora Baracca e burattini nel 1953-54 con L. Masiero (in cui si fa il verso anche a Cantando sotto la pioggia ), Buon appetito : spettacoli di rivista molto tradizionali imperniati sulla doppia personalità di D., viveur della passerella e talent scout di soubrette, mentre in privato scrive anche poesie. Ma lo spettacolo che lo rilancia è il suo debutto con la ditta Garinei e Giovannini e il primo che, a furor di pubblico, fu replicato per due stagioni dal 1954 al ’56: con Giove in doppiopetto nasce il primo musical italiano, con D. nella parodia di un Giove donnaiolo che fa infuriare la moglie Giunone (prima L. D’Albert, poi L. Zoppelli) e s’innamora, complice un `doppio’ Gianni Agus, di una neomogliettina che è Delia Scala, prototipo della nuova soubrette: alla fine tutti riuniti a cantare “E le cicogne van…”. Lo spettacolo, ispirato a Plauto, è diverso, spiritoso, fatto di equivoci classici, ma nel secondo tempo D., pur mantenendo il filo conduttore, trova spazio anche per il suo Agustino. G. Kramer ha composto un’ottima partitura con motivi famosi (“Ho il cuore in paradiso” e “Il bacio con le pere” in cui debutta la formosa F. Gandolfi, poi signora Modugno). Sempre con i due `G’ D. si lancia in una parodia delle nozze di Ranieri e G. Kelly in Carlo non farlo (1956-57), con la Masiero che canta “Luna sanremese”, L. Nava, il Quartetto Cetra e il Charley Ballett: un ruolo perfetto e un pizzico di attualità.

La coppia felice con Delia Scala, un po’ edipica e un po’ maliarda, torna in L’adorabile Giulio di Garinei, Giovannini e Kramer (1957-58), con un Teddy Reno confidenziale e romantico che intona “Simpatica” e “Dillo con le rose”: musical ambientato nella New York in cui un maturo attore galante viene messo in crisi da una giovane figlia. Il periodo felice di D. finisce quando lascia Garinei e Giovannini; ma l’attore si ricicla nel suo classico personaggio insieme ad altre primedonne, la `vecchia’ E. Giusti e M. Scaccia nel Diplomatico di Scarnicci e Tarabusi (1958-59), o la `nuova’ Marisa Del Frate che sarà con lui in due spettacoli inizio anni ’60: Monsieur Cenerentolo e Il rampollo . Da aggiungere anche altri titoli di stampo tradizionale, come Il tiranno di Scarnicci e Tarabusi, in cui D. è doppio, un principe cinquecentesco dei Medici ma anche un contadino, lanciando la giovane Claudia Mori, non ancora coniugata Celentano; e inoltre appare in Babilonia (1962-63) di Maccari, show `ancien régime’ con la Merlini e Carlini, La gioia di Galdieri (1963-64) con Agus e la Folchi, in cui il comico fa lo strangolatore e il professore di spogliarello. La sua ultima scoperta sulla passerella sarà Miranda Martino, con lui in I trionfi , nel 1964-65, rivista classica sui vizi dell’uomo moderno, e L’onorevole (1965-66) di Scarnicci e Tarabusi, storia fin troppo tipica di uno sdoppiamento per equivoci. L’ultimo show musicale lo vede già anziano in passerella in Yo Yo Ye Ye , 1966-67, un’operazione nostalgica con Aldo Fabrizi. L’ultimo tempo della sua carriera – che ebbe anche qualche sporadica apparizione al cinema, quasi autobiografica, come Ci troviamo in galleria di M. Bolognini, finché E. Scola con La famiglia non gli fece vincere un Nastro d’argento – lo vede impegnato nella prosa, accanto a P. Quattrini (Mi è cascata una ragazza nel piatto), M. Sannoner (Un papà perfetto) e con R. Pavone in tv. Ripresi anche in palcoscenico alcuni dei successi di Govi come Pignasecca e Pignaverde, in cerca di una affinità elettiva che va alle radici linguistiche; ma senza tradire mai quella maniera che piaceva a B. Hope e M. Chevalier, segno della sua internazionalità.