Neruda, Pablo

Poeta dell’amore per eccellenza, ma anche uomo politico e militante, Pablo Neruda è stato tra le più importanti figure della letteratura latino-americana del Novecento.

Pablo Neruda, pseudonimo di Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto, è stato un poeta, tra le più importanti figure della letteratura latino-americana del Novecento. Poeta dell’amore per eccellenza, ma anche uomo politico e militante, nel 1971 vince il Premio Nobel per la Letteratura. Tra le sue opere più importanti vi sono Residenza sulla terra, I versi del Capitano, Cento sonetti d’amore, Canto generale, Odi elementari, Stravagario, Le uve e il vento, il dramma Splendore e morte di Joaquin Murieta e il libro di memorie Confesso che ho vissuto.

Pablo Neruda poesie: i primi anni e gli esordi letterari

Nato nella cittadina di Parral nel 1904, Pablo Neruda già da adolescente scoprì il suo amore per la scrittura senza però essere incoraggiato a continuare.

Il suo primo poema La canzone della festa viene pubblicato quando aveva 17 anni. Nel 1920 il giovane non decise di adottare lo pseudonimo di Pablo Neruda in onore del poeta ceco Jan Neruda. Un anno dopo si trasferì a Santiago, dove sperava di cambiare vita diventando un insegnante.

La sua passione per la poesia, però, lo spinse a desistere e a pubblicare le sue prime raccolte in versiCrepuscolario, seguito a distanza di un anno da Venti poesie d’amore e una canzone disperata. Una raccolta di poesie d’amore di stile modernista ed erotico, motivo che spinse alcuni editori a rifiutarlo. Successivamente si dedicò alla carriera diplomatica. Come console del Cile vive per alcuni anni in Oriente, esperienza che lo ispira a scrivere Residenza nella terra.

La guerra di Spagna e la poesia politica

Allo scoppio della Guerra civile spagnola, anziché mantenersi neutrale, come diplomatico, si schierò con la Repubblica contro i franchisti e per questo venne destituito. La partecipazione alla Guerra civile spagnola segnò il passaggio alla poesia sociale e politica con la raccolta La Spagna nel cuore.

Nel 1945 viene eletto senatore in Cile nella lista del Partito comunista, ma tutto cambia quando il candidato ufficiale del Partito Radicale per le elezioni presidenziali, Gabriel González Videla intraprende una dura repressione contro i minatori in sciopero nella regione di Bío-Bío, a Lota, nell’ottobre 1947. La disapprovazione di Neruda culmina in un discorso davanti al Senato cileno, chiamato in seguito Yo acuso, dove legge l’elenco dei minatori tenuti prigionieri.

Videla emana un ordine d’arresto contro Neruda, costringendo il poeta ad una fuga di 13 mesi. Dovette lasciare il Paese e, durante il lungo esilio, fu anche in Italia, dove scrisse I versi del capitano e Le uve e il vento.

Nel 1971 ricevette il Premio Nobel per la Letteratura; poi già sofferente per una grave malattia, ritornò a Santiago, dove morì il 23 settembre 1973. Dopo la sua morte uscirono le sue memorie, Confesso che ho vissuto.

Pablo Neruda drammaturgo: Splendore e morte di Joaquin Murieta

Il teatro non è stato sicuramente al centro delle attenzioni di Pablo Neruda. Di fatto il suo contributo si riduce ad una sola opera, Splendore e morte di Joaquím Murieta bandito cileno giustiziato in California il 23 luglio 1953. Scritta da Neruda nel 1966, fu allestita a Santiago, presso l’Istituto del Teatro dell’Università del Cile, nel corso dell’anno successivo, con la regia di Pedro Orthous e le musiche di Sergio Ortega. La pièce è incentrata sulla figura del diseredato contadino sudamericano, che ottiene la gloria con il suo martirio, diventando il simbolo di tutti i popoli che lottano per la libertà. Il primo allestimento italiano si è tenuto al Piccolo Teatro di Milano, a cura di Patrice Chéreau, nel corso della stagione 1969-70.

Nel 1972, con adattamento e regia di Adriano Musci, è stato rappresentato Pelleas e Melisande, recital di ballate, canzoni e poesie di Pablo Neruda.  Nel 1964 Neruda ha effettuato la traduzione di Romeo e Giulietta che, nel corso dello stesso anno, è stata messa in scena a Santiago.

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Fernando Pessoa

Jacques Prévert

Federico García Lorca

Noschese

Figlia d’arte del famoso imitatore Alighiero, Chiara Noschese frequenta il Laboratorio di esercitazioni sceniche di Gigi Proietti e già subito dopo il diploma compare in programmi televisivi come Ciao Week-end e Club 92 . Inizia nel frattempo una carriera cinematografica che la vede interprete di commedie come Condominio (1990), Le donne non vogliono più (1993), Io No Spik Inglish (1994) e Bruno aspetta in macchina (1996). In teatro incomincia a farsi notare in ruoli minori al fianco di Pino Micol, in Don Giovanni involontario di Vitaliano Brancati (1993), e Massimo De Francovich in Scuola romana di Enzo Siciliano (1994). Finalmente, nella commedia musicale Alleluja, brava gente di Garinei-Giovannini-Fiastri (1994), riesce a mettere in mostra appieno le sue capacità di esprimersi anche attraverso il canto, conquistando così il primo vero successo personale. Grazie a questo exploit ottiene il ruolo della protagonista in Il pianeta proibito – Shakespeare & rock’n roll (1995), versione italiana del musical inglese di Bob Carlton. Nel 1996 è Lina Lamont, l’egocentrica primattrice dall’insopportabile voce chioccia nel musical Cantando sotto la pioggia della Compagnia della Rancia, personaggio che le regala una vasta popolarità. Sullo schermo televisivo torna nelle fiction a episodi “Dio vede e provvede” di Enrico Oldoini (1996) e Linda e il brigadiere di Luca Manfredi (1997).

Nativi

Laureata in storia moderna, Barbara Nativi scopre il teatro a ventotto anni attraverso un apprendistato che va dalla collaborazione con il Victor Jara (Panichi, Riondino, Trambusti) all’incontro con l’americana Muriel Miguel delle Spiderwoman di New York e agli spettacoli all’ex Humor Side (ora Teatro di Rifredi) nelle numerose produzioni collettive del periodo, assieme a Paolo Hendel, Rosa Masciopinto, Renata Palminiello. Inizia allora il suo sodalizio artistico con Silvano Panichi, con cui fonda il Laboratorio Nove; dopo aver creato e diretto con lui molte rassegne fiorentine, crea il Teatro della Limonaia, di cui assume fin dall’inizio la direzione artistica. Nello stesso periodo lavora come attrice in performance, spettacoli surreali e di cabaret, recital futuristi. Lavora poi con il belga Thierry Salmon, Remondi e Caporossi e molti altri artisti dell’avanguardia italiana e straniera. Nel 1988 sceglie di passare alla regia e con la compagnia Laboratorio Nove debutta alla rassegna dell’Eti Ricerca Sette con Da Woyzeck . A partire dal 1990, sviluppa anche un’attività di scrittura teatrale che alterna alla direzione di pièce straniere, stimolata dallo scambio culturale che l’esperienza del Festival Intercity, nato nel 1988, comporta. Dal 1992 ha tradotto circa quindici opere teatrali contemporanee dal francese, dallo spagnolo e dall’inglese, curando per Ubulibri l’antologia Nuovo teatro inglese e Il teatro del Quebec e Intercity Plays 1 e 2 , due raccolte di testi pubblicate dal Teatro della Limonaia. L’allestimento più fortunato è stato senz’altro Le cognate di Michel Tremblay che è andato in tournée anche la stagione successiva. Ha insegnato alla Scuola del teatro Laboratorio Nove per 15 anni. Nel 1996 riceve il Premio della critica da parte dell’Associazione nazionale critici teatrali per il complesso della sua attività di regista, scrittrice e operatrice culturale nell’ambito della ricerca teatrale. Nel 1997 riceve il premio Ubu per il Festival Intercity. Parallelamente prosegue il lavoro di attrice attraverso letture e recital.

Navarrini

Con lo pseudonimo Isa Bluette, la giovanissima Teresa Ferrero, dopo il felice esordio a Torino, divenne, alla fine degli anni ’20, capocomica, scoprì Macario, importò lo sfarzo della rivista parigina. E da Parigi importò anche la passerella. In seguito, fece coppia, sulla scena e nella vita, con il comico milanese Nuto Navarrini, in una serie di riviste-operette di successo: Madama Poesia, Poesia senza veli, Il ratto delle Cubane. Nel 1936 va in scena Questa è la verità e il cronista annota: «Uno spettacolo coreografico che appaga l’occhio e suscita ammirazione per lo sfarzo e il buon gusto delle scene e dei costumi». Isa Bluette fu molto ammirata nei suoi ricchi costumi e applaudita vivamente quando cantò con grazia birichina. Navarrini seppe comporre alcune macchiette comiche e buffonesche assai piacevoli suscitando interesse e ilarità. Gran sorriso dentato e capelli impomatati di brillantina con scriminatura centrale, Navarrini, dall’operetta e dall’avanspettacolo – era stato con Gea della Garisenda – passò alla rivista; nel 1939 sposò in punto di morte Isa Bluette e la sostituì presto, come soubrette e come moglie, con Vera Rol. (Navarrini ebbe quattro mogli: la prima fu Sofia Laurenzi, danzatrice classica morta di parto; l’ultima, nel 1972, fu Milena Benigni). Ebbe in compagnia l’esordiente Franco Parenti. L’Italia fascista è in guerra e Navarrini confeziona spettacoli che piacquero assai ai nazifascisti: Il diavolo nella giarrettiera, I cadetti di Rivafiorita (1944-45), che gli meritarono una nomina ad honorem di capitano della milizia Muti. Il comico ringraziò con spettacoli e intrattenimenti extra in onore di repubblichini e agenti Gestapo, infiocchettando i teatri con addobbi propagandistici (Wanda Osiris aveva invece cautamente declinato l’invito ad esibirsi per militari tedeschi e fascisti italiani). L’ultimo, `fascistissimo’ spettacolo della compagnia Navarrini-Rol fu La gazzetta del sorriso con numeri assai graditi: Vera Rol, ballerina applaudita in numeri di nudo, impersonava la povera Italia molestata dagli americani (sotto l’aspetto di un negro violentatore); Navarrini cantava Tre lettere, una canzone di D’Anzi di intonazione violentemente antipartigiana. Venne la Liberazione, Vera Rol fu rapata e esibita come collaborazionista a cranio nudo per tutta Milano; la coppia venne processata e assolta per insufficienza di prove. Nuto alla meta commentarono i giornali, parafrasando il famoso slogan di Mussolini. Dopo anni di forzato riposo, la compagnia Navarrini-Rol si ripresentò in scena (a Roma però, non al Nord) in L’imperatore si diverte di Gelich e Bracchi. N. comparirà nel 1962-63 nella ripresa di Buonanotte Bettina di Garinei e Giovannini con Walter Chiari e Alida Chelli (al posto di Delia Scala). Negli anni precedenti N. aveva tentato un rilancio delle operette, genere teatrale dal quale proveniva.

Navone

Massimo Navone si diploma alla Scuola d’arte drammatica ‘P. Grassi’, dove insegna in seguito recitazione e regia. Inizia la sua attività di regista rappresentando Iwona principessa di Borgogna di W. Gombrowicz (1982). Prosegue il suo lavoro di regista mettendo in scena soprattutto autori contemporanei: Extremities di Mastrosimone e Ce n’est qu’un debut di U. Marino (Festival di Spoleto, 1991), Caro professore di A. Asti (1995). Allestisce inoltre originali riletture di classici tra cui particolarmente significativa è quella dell’ Ubu Re di Jarry, con F. Branciaroli. Una scelta registica che privilegia le rielaborazioni drammaturgiche di testi non solo teatrali per dare vita a spettacoli interdisciplinari, che mescolano musica e danza come Autodifesa di un folle, da un romanzo di Strindberg, Shakespeare Hits (1997), un assemblaggio dei maggiori personaggi delle opere del drammaturgo inglese, Borges Cafè assemblaggio di brani tratti da varie opere di Borges.

Nerina

Trasferitasi in Inghilterra nel 1945, studia a Durban e alla scuola Rambert, entrando quindi in quella del Sadler’s Wells. Accettata nel 1946 nel Sadler’s Wells Theatre Ballet, vi gode un successo immediato nel Mardi gras di Andrée Howard. Prima ballerina col Sadler’s Wells (poi Royal) Ballet nel 1951, crea numerosi ruoli in balletti di Ashton, nonché in lavori di MacMillan, Helpmann e Darrell. Notevole virtuosa, di eccezionale leggerezza e precisione, è ricordata soprattutto quale creatrice del ruolo di Lise ne La fille mal gardée di Ashton (1960). Si ritira dalle scene nel 1966.

Nogara

Anna Nogara si è formata presso la scuola del Piccolo Teatro di Milano e lavora, sia in Italia che in Francia, tra gli altri, con L. Ronconi nell’ Orlando furioso (1970), in XX di R. Wilcok (1971), in Caterina di Heilbronn di Kleist (1972), nell’ Orestea (1972) e in Opera – di Luciano Berio (1979). Partecipa poi a Il Processo di Giovanna d’Arco a Rouen 1431 di A. Seghers (1972) a Off limits di Adamov (1972) e Faust- Salpetrière di Goethe (1982) per la regia di K. M. Grüber. Lavora, quindi, con A. Engel in Lulu au Bataclan di Wedekind (1983); con A. Arias ne Il ventaglio – di Goldoni (1988) e con C. Cecchi ne l’ Amleto (1989). Nel 1997 è interprete de La deposizione , monologo di Emilio Tadini, per la regia di A. R. Shammah.

nô, teatro

A Zeami risalgono cinquanta 50 dei circa 240 testi che rappresentano il repertorio tutt’ora in uso del n., nonché diversi trattati in cui sono sanciti il canone, rimasto immutato, e basi teoriche. La materia narrativa deriva dall’antico patrimonio eroico e feudale giapponese. Canto, recitazione, danza e musica si mescolano nella rappresentazione del dramma, che dura circa 45 minuti e che prevede uno shite (protagonista) e un waki (deuteragonista), affiancati da comprimari ( tsuri ) e da un coro ( ji ). Lo shite è spesso un sogno o visione del waki , che entra in scena per primo e, dopo un breve preludio orchestrale, descrive il luogo in cui si trova. Avanza lo shite , il waki lo accoglie e lo interroga, lo shite narra, generalmente in terza persona, la propria vicenda ed esce. In genere, si tratta dello spirito di un personaggio celebre per le sue gesta, che ha incontrato una fine dolorosa e che non è ancora del tutto purificato del ricordo della vita terrena e delle sue passioni; può essere un samurai ucciso per fedeltà o una donna che ha perso amore o figlio, come è sottolineato dalla varietà dei costumi. Segue solitamente un intermezzo fra waki e kyogen (buffone; il termine è poi passato ad indicare gli intermezzi stessi e in seguito farse a sé stanti). Lo shite riappare ora in nuove vesti, con l’aspetto di quando visse e soffrì. Il waki, che sempre sogna o ha una visione, lo invita a parlare ancora e lo shite rivive, dialogando con il coro la propria storia. La struttura drammaturgica è fissa, come i luoghi scenici (la colonna destra è del waki, quella sinistra dello shite) e il modo di muoversi, unidirezionale e ondeggiante. I gesti sono pochi e selezionati, spesso con valore convenzionalmente metaforico (le mani agli occhi per il pianto, alzare il viso consolazione o chiarore della luna). Il ji , coro formato da otto-dieci persone, allineate su due file, commenta e accompagna ed evoca il paesaggio; il gruppo strumentale che accompagna è composto da tre diversi tipi di tamburi e un flauto. Gli attori sono solo uomini, che interpretano anche i personaggi femminili. La scenografia è essenziale, lineare nella funzionalità drammatica e spoglia: secondo il canone fissato da Zeami, il palcoscenico, comunemente eretto all’aperto, comprende un’area per l’azione, un quadrato di sei per sei metri, contiguo ad un ponte, sul fondo, che collega il palco con lo spogliatoio; quattro colonne sostengono un tetto a pagoda, a destra sta una veranda per il coro, di fronte una scaletta collega il palco alla platea, ma è solo simbolica (non viene mai usata). Sul fondo, dove è dipinto l’unico elemento scenico del nô, un vecchio pino nodoso, siede l’orchestra. I costumi sono sontuosi e si usano maschere elaborate, una settantina di tipi, che posseggono autonomo valore artistico. In genere vengono rappresentati cinque N. (in passato, solitamente sette) in serie, intercalati da kyogen . Il N., nato come genere elitario, rimasto per secoli patrimonio dell’aristocrazia militare (era ritenuto essenziale per la formazione dei samurai, ai quale erano vietati invece alri generi, come il kabuki ), è tramandato ancor oggi per tradizione familiare, a memoria, di padre in figlio (che può essere adottivo, come spesso diviene l’allievo prediletto).

Nicoletti

Dopo la formazione al Teatro sperimentale F di Napoli di G. Vitiello, a partire dalla fortunata esperienza della Gatta Cenerentola (Festival di Spoleto 1976) Odette Nicoletti affianca Roberto De Simone (spesso insieme al marito, lo scenografo Mauro Carosi) nella prosa ( Eden Teatro di R. Viviani, Napoli 1981; Agamennone di Eschilo, scene di N. Rubertelli, Siracusa 1994) e nella lirica – da Li zite `n galera di Vinci (Firenze 1979) agli allestimenti scaligeri di Nabucco di Verdi (1986), Lo frate `nnamorato di Pergolesi (1989), Idomeneo (1990) e Il flauto magico (1995) di Mozart -, affinando uno stile di gusto barocco che supera i limiti della ricostruzione storica per rielaborare con ironica fantasia i riferimenti culturali. Dopo aver insegnato all’Accademia di belle arti di Napoli, di recente ha lavorato anche in campo cinematografico, sempre segnalandosi per l’accuratezza della ricerca sui materiali e la precisione nell’individuare un’epoca storica.

Norén

Lars Norén esordisce nel 1963 con una raccolta di poesie dal titolo Lillà, neve; la sua fama di scrittore viene immediatamente confermata da due romanzi successivi, L’apicultore (1970) e Il paradiso sotterraneo (1972). Il mondo delle relazioni familiari e dei rapporti interpersonali, indagati nelle manifestazioni più devianti e conflittuali, è il tema centrale non solo di questi primi scritti, ma di tutta la sua produzione drammatica, che ha inizio negli ultimi anni ’70 e che annovera testi quali Una felicità oltraggiosa (1980), Demoni (1982) e Il sorriso della malavita (1982). L’incontro con il grande pubblico avviene soprattutto con la trilogia formata da Il coraggio di uccidere (1978), La notte è madre del giorno (1982) e Il caos è prossimo a Dio (1983) , testi che, pur non essendo autobiografici, rimandano parzialmente all’esperienza di vita dell’autore. Da ricordare anche i più recenti La veglia (1985), Gli attori (1987), Autunno e inverno (1989), Estate (1992) e Il tempo è la nostra dimora (1993), per lo più rappresentati al Kungliga Teatern. Una variazione rispetto alle tematiche tipiche di Norén è rappresentata dal testo del 1991 Dateci le ombre , ispirato alla figura di E. O’Neill che, insieme a Ibsen e Cechov, ha sicuramente influenzato il lavoro del drammaturgo svedese. Altro accostamento da citare è quello a Strindberg, soprattutto per la particolare attenzione riservata ai problemi del linguaggio teatrale e in particolare al dialogo, che unisce, in Norén, note di qualità lirica a un’inaspettata violenza verbale. Negli ultimi anni si è accostato anche alla regia, iniziando questa attività proprio con l’allestimento di un testo di Strindberg, Danza di morte (Piccolo Teatro, 1994).

Nikitina

Alice Nikitina studia alla Scuola imperiale di ballo, seguendo gli insegnamenti di Preobrajenska. Profuga in Jugoslavia per la Rivoluzione d’ottobre, entra a far parte dell’Opera di stato. Si trasferisce quindi a Berlino, dove danza nel Balletto Romantico di Romanov, per poi passare nei Ballets Russes di Diaghilev. Qui ha modo di perfezionarsi con Cecchetti e di prendere parte alle realizzazioni di Zéphire et Flore di Massine (1925), Ode (1928) e Le bal (1929) di Balanchine. In seguito alla scomparsa di Diaghilev si reca a Londra, dove balla nella 1930 Revue di Cochran ( La nuit di Lifar, Luna park di Balanchine) e nei Ballets 1933 di Balanchine ( Le spectre de la rose di Fokine, Prometheus di Lifar); quindi è nel Ballet Russe di de Basil al Covent Garden. Intanto coltiva la passione per il canto, studiando in Italia ed esibendosi in diversi teatri come soprano leggero; di questa sua attività ricordiamo le apparizioni in Rigoletto (1938), Lucia di Lammermoor e Il barbiere di Siviglia (1939). Dopo aver abbandonato le scene si dedica all’insegnamento della danza aprendo una scuola a Parigi.

Neary

Studia alla School of American Ballet; debutta con il National Ballet of Canada (1959) per entrare poi nel New York City Ballet (1960), dove diventa solista (1962) e crea ruoli principali in Raymonda Variations (1962) e Jewels (1976) di Balanchine. Dal 1968, lasciata la compagnia, si dedica all’allestimento dei balletti balanchiniani a Ginevra, Vienna, Berlino, Stoccarda, Londra, Amsterdam, Roma. Maître de ballet all’Opera di Berlino (1971-1973), direttrice del Balletto di Ginevra (1973-1978), del Balletto di Zurigo (1978-1985), del Balletto della Scala di Milano (1986-1987), del Ballet British Columbia (1990), porta la sua preziosa esperienza e il suo rigore tecnico al servizio del repertorio di Balanchine, rispettandone con ogni cura l’eredità.

numero

Per numero si intende l’entità di spettacolo finita, di pochi minuti (generalmente tra cinque e quindici), in cui uno o più artisti danno vita a un repertorio relativo a un’unica specialità artistica o anche misto, in uno stile unitario. Codificato nella sua forma moderna al principio del secolo, il numero è costitutivo generalmente dei programmi di circo e varietà e in seguito anche pienamente integrato nel sistema televisivo. Il n. riguarda soprattutto arti di tipo visivo (danza, acrobazia, magia teatrale, pantomima comica, animali ammaestrati) o anche sonore (recitazione, musica e canto) ma si caratterizza sempre per eccentricità rispetto a forme spettacolari più facilmente codificabili come la recitazione o il canto. Di una decina di n. è composto un programma tipo di circo o varietà, ma la loro successione è arbitraria e, seppur generalmente basata su un crescendo emotivo, raramente risponde ad una logica. La prima importante riflessione critica sulla specificità artistica del concetto di `numero’ è il Manifesto futurista del varietà.

Nichols

Ha debuttato come autore di commedie televisive: Promenade (1960), Ben Spray (1961), Ancora Ben (Ben Again, 1962) e Quando soffia il vento (When the Wind Blows, 1965). Il suo primo testo teatrale, Un giorno nella morte di Joe Egg (A Day in the Death of Joe Egg, 1967), introduce il tema della vita di due coniugi con una figlia spastica. Nel 1969 il National Theatre allestì Sanità statale (The National Health: or, Nurse Norton’s Affair), dove ancora malattia, sofferenza, morte vengono osservate con umorismo e ironia. Seguono Non dimenticarmi, Lane (Forget-me-not Lane, 1971) e La strada libera (The Freeway, 1974), sulle reazioni di uomini bloccati in un ingorgo stradale, che fu un fiasco per il National (la stessa idea sarà utilizzata da Luigi Comencini nel film L’ingorgo , 1979). Ritorna al successo con Privates on Parade (1977), montato dal regista M. Blakemore per la Royal Shakespeare Company, a cui seguono Nato nei giardini (Born in the Gardens, 1980), Poppy (1982) e Una commedia della mia mente (A Piece of My Mind, 1986).

Nikolais

Dopo gli inizi come pianista accompagnatore per il cinema muto e come marionettista, Alwin Nikolais ha studiato con Hanya Holm al Bennington College, con Martha Graham, Doris Humphrey, Charles Weidman e Louis Horst, passando ben presto alla coreografia con Eight Column Line (1939). Dopo il servizio militare, è diventato assistente della Holm, apprezzandone particolarmente il lavoro sull’improvvisazione, e poi direttore della Henry Street Playhouse di New York (1948-1970), un centro sperimentale di teatro per ragazzi, in cui sono nati la sua scuola, la sua compagnia (Nikolais Dance Theatre) e i suoi progetti per un teatro di danza totale, come sintesi di immagini, suoni, colori, luci, movimento. Tra le sue prime coreografie, le più note, anche in Europa, sono Tensile Involvement (1953), in cui i ballerini manipolano, con effetto di ali, lunghi elastici attaccati alle braccia e ai piedi, Masks, Props and Mobiles (1953), Kaleidoscope (1956), Totem (1959), Imago (1963), con costumi che consentono ai danzatori di assumere le forme più varie e sorprendenti. Sono seguiti Tent (1968), Scenario (1971), Grotto (1973), Gallery e Castings (1978), Liturgies (1983), tutti lavori antinarrativi e antinaturalistici. Dopo il clamoroso debutto in Francia nel 1968, ha creato Schema (1980) e Arc-en-Ciel (1987) per l’Opéra di Parigi ed è stato direttore del Centre de danse contemporaine di Angers (1978-1981), dove ha influenzato molti degli interpreti e autori della nouvelle danse francese. In Italia si è esibito con il suo gruppo al Festival di Spoleto (1962), ai festival di Nervi, di Vignale e di Rovereto (1989). Teorico della `motion’ di contro all’`emotion’, i suoi spettacoli, quasi sempre con musica elettronica (è stato tra i pionieri del sintetizzatore Moog), si presentano come opere d’arte dinamica astratta e metamorfica, con i corpi dei danzatori spersonalizzati in costumi deformanti e bizzarri su cui proiettare diapositive da lui stesso dipinte, con sapienti effetti illusionistici. Per la sua trascendance ha teorizzato uno spazio-tempo multidimensionale, in cui l’uomo ritrova la sua armonia con l’universo, uscendo dalla propria soggettività e dal proprio psicologismo limitanti, per costruire un teatro totale e multimediale. Uno dei suoi danzatori di maggiore spicco, Murray Louis, forma nel 1969 la propria compagnia, continuando a condividere gli spazi di lavoro e di prova con il maestro, che spesso coinvolge nelle sue creazioni come disegnatore delle luci. La loro felice collaborazione durerà fino alla morte di N., unendo forze, mezzi e danzatori.

Nijinska

Figlia dei ballerini Eleonora Bereda e Foma Nijinskij, Bronislava Nijinska nacque come il celebre fratello, Vaslav Nijinskij, durante una tournée dei genitori. Allieva della Scuola imperiale a Pietroburgo, dove si diplomò nel 1908, studiò anche con Enrico Cecchetti; interprete versatile ed espressiva, tecnicamente non meno strabiliante e forte del fratello, suscitò l’interesse di Michail Fokine che per lei creò i ruoli principali di Papillon in Carnaval (1910) e della danzatrice di strada in Petruska (1911), durante le prime stagioni parigine dei Ballets Russes. Alla compagnia di Diaghilev si era unita nel 1909, senza tuttavia abbandonare le file del teatro Marijinskij fino al 1911. Tre anni più tardi abbandonò anche i Ballets Russes per seguire l’amatissimo fratello a Londra ma, allo scoppio della prima guerra mondiale, fu costretta a rientrare a Pietroburgo; qui debuttò come coreografa nell’assolo La tabatière e nel 1915 si esibì nel teatro di Kiev, aprendo in quella città un atelier divenuto famoso, dove ebbe tra i suoi allievi anche Serge Lifar. Nel 1921 lasciò la Russia, per unirsi nuovamente ai Ballets Russes in occasione del debutto di La bella addormentata a Londra; per la compagnia di Diaghilev creò i suoi primi capolavori: Renard (1922) e Les noces (1923) su musica di Stravinskij, e nel 1924 il primo esempio di balletto neoclassico, Les biches (musica di Poulenc), Les fâcheux (musica di Auric) e Le train bleu (musica di Milhaud). Lavorò in seguito all’Opéra di Parigi, al teatro Colón di Buenos Aires e per la compagnia di Ida Rubinstein, per la quale allestì Le baiser de la fée (musica di Stravinskij) nel 1928 e, nello stesso anno, Boléro , seguito da La valse (1929), entrambi su musiche di Ravel. In occasione di una soirée del Vicomte de Noailles creò Aubade, ancora su musica di Poulenc.

Nel 1932 fondò una propria compagnia, per la quale riprese alcuni suoi precedenti lavori, creando inoltre Etude, Les variations (1932) e Amleto (1934), in cui lei stessa interpretò il ruolo maschile del protagonista. Direttrice artistica del Ballet Polonais a Parigi (1937), allestì per questo gruppo Chopin Concerto, Le chant de la terre e La legende de Cracovie . Successivamente lavorò a Berlino con il regista Max Reinhardt – per I racconti di Hoffmann e la versione filmata del Sogno di una notte di mezza estate – e con la compagnia Markova-Dolin. Nel 1938 aprì una scuola a Los Angeles, pur continuando a creare coreografie per diverse compagnie, tra cui il Ballet Theatre (La fille mal gardée , 1940; Harvest Time , 1945), i Ballets Russes de Monte-Carlo (La fanciulla di neve, 1942; Antica Russia, 1943) e il Ballet International (Brahms Variations e Quadri di un’esposizione, 1944). Dopo il 1945 lavorò principalmente per il Grand Ballet de Marquis de Cuevas come insegnante. Pioniera della coreografia neoclassica, autrice di un diario non ancora interamente pubblicato, che raccoglie le sue teorie sul movimento e la composizione ma descrive anche, con scrittura sciolta e brillante, l’ambiente ballettistico d’inizio secolo e l’arte del fratello ( Early Memoirs, 1894-1914 , New York 1981), fu un’innovatrice della tecnica e del linguaggio tradizionale del balletto e un’insegnante convinta della necessità di superare le barriere tecniche tra balletto accademico e danza libera. La ripresa, a sua cura, per il Royal Ballet di Les biches (1964) e Les noces (1966), seguita negli anni ’70 dalle riprese effettuate anche in Italia dalla figlia Irina, contribuirono a confermare la convinzione che sia stata una delle coreografe più innovative e influenti della prima metà del Novecento.

Nelli

Francesco Nelli e Mangini Mario, autori di rivista. Fecondi e apprezzati creatori nel ventennio 1935-1956, hanno scritto copioni per i più importanti attori e le più belle soubrette dell’epoca. Da Lucy D’Albert ( Cento bugie, 1935-36; Tutte donne, 1936-37) a Wanda Osiris: Sogniamo insieme , 1941-42, con l’esordio di Carlo Dapporto che nella stagione successiva, in Sognate con me , fu per la prima volta `il maliardo’, con un monologo scrittogli da Nizza e Morbelli. Lo spettacolo ebbe grande successo al Quattro Fontane di Roma e il nome di Dapporto comparve per la prima volta, in `ditta’ sulla locandina e nella luminosa del teatro. Nel 1936, per Piedigrotta, riunirono ben tre compagnie di varietà incentrate sui nomi di Anna Fougez, Gennaro Pasquariello e Vincenzo Scarpetta, per un memorabile spettacolo all star al Trianon: La società delle canzoni . Seguirono poi: Sempre più difficile con Nino Taranto e Titina De Filippo (1940-41, teatro Quattro Fontane di Roma) e nella stessa stagione Siamo fatti così per i fratelli Giorgio e Guido De Rege. Costituirono, con Garinei e Giovannini, la Bottega della rivista, una cooperativa di autori che, con lo pseudonimo `Geri e Sampietro’, sfornò tre copioni. Una carriera ricca di successi, culminata nel 1954-55 con Il terrone corre sul filo per Nino Taranto e nel 1956-57 con A prescindere per Totò. Secondo una testimonianza di Dino Verde, gli autori dei testi (soprattutto per Nino Taranto) erano Nelli e la moglie di Mangini, l’attrice Maria Scarpetta, figlia del grande Eduardo Scarpetta. Mario Mangini si occupava della regia. Nelli e Mangini furono i primi a ottenere, a Roma nel 1946, la Maschera d’argento, un Oscar in quell’occasione toccato anche ad Anna Magnani (attrice), Nino Taranto (comico), Lucy D’Albert (soubrette), Enrico Viarisio (attore).

Nederlands dans theater

Fondata nel 1959 all’Aja da Benjamin Harkarvy, Carel Birnie e sedici ballerini distaccatisi dalla compagnia classica Het Nederlands Ballet, Nederlands dans theater si è inizialmente caratterizzata come compagnia sperimentale di danza moderna e grazie alla codirezione di Hans Van Manen* (1960-1970) e alla collaborazione di coreografi come Anna Sokolow* e Glen Tetley* forma un importante repertorio fatto di creazioni innovative, tra le quali si ricordano Pierrot Lunaire (1962), The Anatomy Lesson (1965), Arena e Embrace the tiger (1969) di Tetley, Carmina Burana (1962) e Catulli Carmina (1969) di John Butler e Symphony in three movements (1963), Metaforen (1965), Squares (1969) e Grosse Fuge (1971) di Van Manen. Dopo un periodo di transizione, dal 1975 è a capo della compagnia il coreografo Jirí Kylián che ha impresso una cifra personale e assolutamente unica all’ ensemble e lo ha esaltato grazie alle sue mirabili creazioni (ricordiamo Symphony in D , 1976; Symphony of Psalms 1978, Sinfonietta 1978, Svadebka 1982, Stamping Ground 1983, Silent cries 1986; Kaguyahime 1988; Petite Mort 1989; Sweet Dreams , 1990, Bella Figura 1995, One of a kind 1998) cui si affiancano lavori di Van Manen, dal 1988 coreografo residente, William Forsythe, Nacho Duato, Ohad Naharin, Paul Lightfoot. Accanto al NDT1, attualmente composto da trenta ballerini di formazione classica e tutti di livello solistico, dal 1987 è attivo il NDT 2, compagnia junior composta da dodici ballerini di età tra i 16 ai 21 anni, e dal 1991 il NDT3, un piccolo gruppo di autori quali lo stesso Kylián, Van Manen, Forsythe, Bejart, Ek, Naharin, Lightfoot, che riflettono idealmente le qualità specifiche di ogni fase della vita artistica del ballerino. Riconosciuta come una delle più importanti e creative compagnie di danza della scena internazionale e ospite dei maggiori festival mondiali, la compagnia nelle sue tre sezioni ha sede nell’avveniristico Teatro dell’Aja, dove si è esibita al suo completo nel 1995 per Arcimboldo di Kylián.

Nicolai

Dopo aver frequentato lo Studio Fersen e l’Accademia d’arte drammatica `Silvio D’Amico’ Sergio Nicolai debutta in Romeo e Giulietta diretto da F. Zeffirelli, col quale resta dal 1965 al ’68 prendendo parte anche alla Lupa di Verga, con Anna Magnani, Anna Maria Guarnieri e Osvaldo Ruggieri. Nel ’68 è lo studente Diofane in Venti zecchini d’oro con Rascel, la Borboni. Maria Grazia Buccella, Angela Luce, Osvaldo Ruggieri e nel la stagione successiva Ronconi lo sceglie per Rinaldo nel fortunatissimo Orlando furioso (debutto a Spoleto, poi in tournée nelle piazze italiane: Bologna, Verona, Milano). E a Milano, in piazza Duomo, mentre Astolfo cavalca sull’Ippografo per andare sulla luna a riprendere il senno di Orlando gli spettatori sfollano eccitati la piazza e corrono a casa ad incollarsi sui televisori per la cronaca in diretta dell’arrivo sulla luna degli astronauti americani. Con Ronconi resta fino al 1974 ,dopo un salto di un anno per prendere parte a La cucina di A. Wesker diretto dalla Wertmuller e a Fuenteovejuna , regia di M. Parodi: interpreta così XX di R. J. Wilcock all’Odéon di Parigi, è Egisto nell’ Orestea fra la Melato e la Fabbri e il Vescovo bianco nella Partita a scacchi di T. Middleton. È inoltre diretto da Trionfo, Marcucci, Nanni, Menegatti ( Adieu et aurevoir , E. Dusesouvenir i Giulietta e La scuola di ballo , sempre con la Fracci, mentre sempre più lavora nel cinema, da Zampa ( La contestazione generale) a Gesù di Nazaret di Zeffirelli , Il generale e Secondo Ponzio Pilato di Magni , Maux Croisés di Chabrol, Manon Roland di Molinaro (1989), Il trionfo di Sandokan di Castellari (1996) e il recente La cena di Scola nel ruolo del Padre.

Niemen

Nel 1911 si trasferisce a Torino dove impara a costruire i burattini da Giacomo Canardi. Dopo il servizio militare nel 1925-26 si trasferisce in provincia di Alessandria iniziando il `giro’ come burattinaio nell’alta Italia. Nel 1934 si trasferisce nel Varesotto. Nel 1964 lascia ufficialmente la professione di burattinaio. Nel 1978 un incendio distrugge gran parte del suo materiale teatrale (copioni, documenti, burattini). N. si distingue per la creazione della maschera Testafina. È uno dei maggiori esponenti della tradizione del teatro dei burattini piemontese e lombardo del Novecento.

Nichols

Emigrato negli Usa all’avvento del nazismo, N. si affermò come attore nei cabaret di Chicago, facendo spesso coppia con Elaine May, con la quale presentò a Broadway nel 1960 un montaggio di sketch accolto con molto favore. Dal 1963 applicò il suo talento comico alla regia, contribuendo al clamoroso successo dei primi copioni di Neil Simon, da A piedi nudi nel parco a Prigioniero della seconda strada . Mise inoltre in scena, fra gli altri, copioni di Schisgal, Griffiths, Stoppard, e si affermò anche come regista cinematografico.

Nureyev

Figura centrale della danza del secondo Novecento, Rudolf Hametovic Nureyev ha iniziato lo studio delle danze folcloristiche a Ufa in Baskiria, dove è cresciuto in una famiglia musulmana di origine tatara. Dal 1955 al ’58 ha studiato all’Istituto coreografico di Leningrado con Aleksandr Ivanovic PuškiNureyev Entrato nel Corpo di ballo del teatro Kirov, è diventato presto solista e si è messo subito in luce per le sue qualità di danzatore, oltre che per la sua personalità indipendente e ribelle. Nel periodo passato al Kirov ha interpretato i principali titoli del repertorio russo e sovietico, da La bella addormentata a Laurencia , accumulando esperienze e conoscenze che utilizzerà poi negli anni passati in Occidente. Insofferente della disciplina e del clima repressivo sovietico, nel 1961, durante una delle prime tournée del Kirov in Occidente, ha clamorosamente abbandonato la compagnia all’aeroporto Le Bourget di Parigi, dando vita a uno scandalo politico internazionale, rimbalzato su giornali e televisioni di tutto il mondo. Da quel momento Nureyev è diventato, oltre che un famoso ballerino, una pop-star spesso sulle prime pagine di quotidiani e rotocalchi. Sono divenuti famosi i suoi abbigliamenti stravaganti, i comportamenti scandalosi, la libertà sessuale: tutti elementi che ben si adattano al clima libertario degli anni ’60. Subito dopo la fuga in Occidente ha danzato con la compagnia del Marchese de Cuevas, per poi passare a Copenaghen dove ha approfondito la tecnica classica e lo stile Bournonville con Erik BruhNureyev Dal 1962 è stato ospite del Royal Ballet e ha fatto coppia fissa con Margot FonteyNureyev Per loro hanno creato i migliori coreografi: Frederick Ashton con Marguerite et Armand, Roland Petit con Paradise Lost , Martha Graham con Lucifer.

Dopo un decennio trascorso principalmente con il Royal Ballet, le sue condizioni tecniche si sono notevolmente abbassate (Nureyev ha incominciato tardi lo studio della danza classica, soltanto a sette anni); ma ormai è diventato una star internazionale, ha attraversato così i teatri del mondo di trionfo in trionfo, lavorando con molti coreografi, da Balanchine (Le bourgeois gentilhomme ) a Lacotte (Marco Spada) e con le principali étoile del momento, come stella ospite di grandi compagnie e con un suo gruppo intitolato Nureyev and Friends. Sono anni caratterizzati da una irrefrenabile bulimia di danza e di sesso. Nel 1977 è apparso come protagonista nel film Valentino di K. Russell. Nel 1983 è stato chiamato da Jack Lang, ministro francese della cultura, alla direzione del balletto dell’Opéra di Parigi, carica che ha tenuto sino al 1990. Ma il potere sovietico non ha perdonato il suo `tradimento’ e la diplomazia di Mosca ha compiuto pesanti passi (come ha poi rivelato Lang) affinché quella nomina non avvenisse. Gli anni all’Opéra sono stati un periodo di litigi, ma indubbiamente fruttuosi per la compagnia parigina che sotto la direzione di Nureyev è tornata allo splendore di un tempo. Come coreografo Nureyev si è messo in luce presto come ricostruttore dei classici russi: l’atto delle ombre dalla Bayadère con il Royal Ballet (1963), Raymonda (1964), Il lago dei cigni (1966, di cui resta una versione video con Margot Fonteyn), Romeo e Giulietta (che danza anche alla Scala con Carla Fracci), Don Chisciotte – (filmato nel 1973), Lo schiaccianoci , La bella addormentata . Le sue versioni sono rimaste nei repertori dei principali teatri, compresa la Scala che mantiene nella redazione di Nureyev i tre balletti di Cajkovskij. Fra le sue creazioni originali si segnalano Manfred , Washington Square , una Cenerentola ambientata negli anni ’30 a Hollywood. Protagonista di importanti video di danza (I’m a Dancer, Nureyev), è stato un danzatore dal destino drammatico; ha passato gli ultimi anni della sua vita continuando a esibirsi, anche quando il livello tecnico e la debolezza fisica non gli permettevano più di raggiungere i livelli di un tempo. Il suo ultimo trionfo, nell’ottobre del 1992, è stato all’Opéra di Parigi, quando ha realizzato il suo sogno: rimontare integralmente il balletto Bayadère. Una serata memorabile in cui, al termine dello spettacolo, è apparso in palcoscenico a ringraziare il pubblico, magrissimo e sorretto dai danzatori. È stata la sua ultima apparizione pubblica.

naturalista,

Movimento centrale dell’arte non solo teatrale della seconda metà dell’Ottocento, il naturalismo ha anche a teatro in Emile Zola il suo maggiore teorico ( Il naturalismo a teatro , 1881). Mosso dal presupposto di derivazione realista che la verità scenica è il risultato di un processo di mimesi della vita che cancella il diaframma fra rappresentazione della realtà e realtà stessa, il n. si oppone al `teatro di convenzione’, della piéce bien fait, costruito su intrighi rocamboleschi, e propugna la poetica della tranche de vie , ovverro della presenza fisica-concreta della corporeità materiale della vita sulla scena, e della quarta parete, ovvero del palcoscenico come luogo. In una nuova drammaturgia e nella fondazione dell’arte della regia si realizza il verbo del naturalismo scenico. Il dramma n., a cui nonostante le avanguardie fa ancora riferimento la produzione drammatica contemporanea, elimina ogni elemento d’effetto spettacolare e costruisce la partitura degli eventi seguendo con verosimiglianza i microconflitti che si nacondono nei rapporti interpersonali della società borghese e dei suoi valori morali.

Lo stesso spazio scenico è lo spazio chiuso e autosufficiente del salotto borghese, nel quale il pubblico osserva la vita reale come attraverso una `quarta parete’ a lui trasparente, ma opaca per l’attore. Nell’universo desacralizzato del dramma n. il personaggio consegue quel profilo moderno che lo definisce come il risultato delle azioni e delle circostanze piuttosto che di un carattere o di una psicologia definita. I corvi (1875) del francese Henry Becque venne celebrato come il primo dramma n., ma i risultati maggiori la poetica n. li consegue nelle opere di alcuni autori: Casa di bambola (1879) di Isben, Il padre (1887) e La signorina Julie (1888) di Strindberg, Tessitori (1892) di Hauptmann, Amoretto (1894) di Schnitzler, Candida (1895) di Shaw, per il verismo in Italia Cavalleria rusticana (1884) di Verga, Tristi amori (1887) e Come le foglie (1900) di Giacosa, L’albergo dei poveri (1902) di Gor’kij e infine Il gabbiano (1896), Zio Vanja (1897), Tre sorelle (1901), Il giardino dei ciliegi (1904) di Cechov, l’autore nel quale n. e simbolismo si fondono con gli esiti più elevati. La drammaturgia n. fu anche il luogo di sperimentazione per una nuova modalità di messa in scena, attenta alla verosimiglianza del dato materiale e interpretativo, di cui la figura nascente del regista garantisce la coerenza e l’unitarietà stilistica. Dopo la riforma in senso filologica realizzata nel ducato di Meiningen tra il 1870 e il 1890, è la nascita nel 1887 a Parigi del Théâtre-Libre di André Antoine, nel 1889 a Berlino della Freie Bühne di Otto Brahm, nel 1891 a Londra dell’Indipendent Theatre di J.T. Grein a segnare la diffusione della scena n. in Europa. Ma è all’opera teorica e pratica, e in particolare all’attività registica (fu regista delle opere di Cechov e Gor’kij) e pedagogica di Kogstantin Stanislavskij, unita alla fondazione nel 1897 insieme a Nemirovic-Dancenko del Teatro d’Arte di Mosca, che è legata la prima elaborazione di un pensiero sistematico intorno all’arte dell’attore e a quella del regista secondo i dettami di quello che venne definito un `naturalismo spirituale’.

Neri

Dopo aver conseguito il diploma magistrale Rosalina Neri inizia a prendere lezioni di canto (ha come insegnante la soprano Toti Dal Monte) e debutta in televisione con Marcello Marchesi in “Invito al sorriso”. Grazie alla straordinaria somiglianza con Marilyn Monroe arriva subito il grande successo popolare ma in Rai è giudicata troppo provocante e viene estromessa dai palinsesti. Così debutta in teatro con Rascel in Tobia, candida spia di Garinei e Giovannini. Poi parte per l’Inghilterra, dove rimane anche per ragioni sentimentali, lavorando in televisione, protagonista per tre anni del Rosalina Neri Show. Torna in Italia e riprende la sua carriera sul palcoscenico con un recital di canzoni al Teatro Gerolamo di Milano, al quale segue Milanin Milanon di Crivelli e Adalgisa di Gadda, con la regia di Umberto Simonetta. Nella stagione 1984-85 Strehler la chiama per interpretare La grande magia (1985), dopo il quale farà anche Grande e piccolo (1987-88), La sposa Francesca (1991-92), L’anima buona di Sezuan (1995-96), Il Campiello (1992-93), Lux in tenebris (1995-96). Nel 1994 ha la parte di Agnese ne I Promessi Sposi alla prova di Testori al Teatro Franco Parenti di Milano.

National Theatre

Il National Theatre è situato dal 1976 nel complesso culturale del South Bank a Londra, che lo supporta con tre spazi teatrali: il Lyttelton Theatre, il più grande; l’Olivier Theatre, con il suo spazio aperto; e il Cottesloe Theatre, teatro studio più piccolo degli altri e più flessibile sia nell’arrangiamento del palco sia nella sistemazione del pubblico. Il primo direttore artistico fu Laurence Olivier (1963-1973); a lui sono succeduti Peter Hall e Richard Eyre che alla fine del 1997, dopo molti successi, ha lasciato il posto a Trevor Nunn. Tra i quasi cinquecento lavori teatrali messi in scena fino a oggi, si sono alternate opere classiche, antiche e moderne, alle sempre più frequenti produzioni di lavori di autori emergenti o addirittura appena debuttanti – come nel caso del ventenne Martin McDonnagh -, dando un vigoroso impulso alla drammaturgia contemporanea anche con progetti di laboratorio teatrale.

Novelli

Dopo i difficili esordi, Ermete Novelli lavorò per alcuni anni (1877-1883) come caratterista nella compagnia Bellotti-Bon. Diventato capocomico, ebbe larghi consensi popolari grazie anche a un repertorio pochadistico adattato alla sua invadente personalità. Dotato di grandi qualità mimiche, portato per natura al comico, a partire dal 1890 mutò in parte percorso affrontando con alterna fortuna il repertorio tragico, Shakespeare incluso. Si fece apprezzare soprattutto nel ruolo di Shylock, personaggio che in tutto sembrava rispondere alle sue caratteristiche di promiscuo. Il suo vasto repertorio comprese Ibsen, Dumas padre, Praga, Testoni (lodevole il suo Cardinal Lambertini ). Nel 1900, al Valle di Roma, tentò la formazione di un teatro semistabile, la Casa di Goldoni, avventura di breve durata e scarsa fortuna, soprattutto per la scelta dei testi quasi sempre di scarso valore artistico (La gerla di papà Martin, I nostri bimbi, Il deputato di Bombignac , ecc.). Di qui il suo ritorno al teatro di giro, che gli assicurò i favori di un pubblico pago delle sue forti caratterizzazioni comiche o drammatiche.

Noguchi

Determinante per la carriera di Isamu Noguchi fu un viaggio a Parigi negli anni Trenta dove conobbe Giacometti e Brancusi. Influenzato dal Surrealismo e anche dalla pittura primitiva messicana, N. ricercò un’ `astrazione senza limiti’, che lo portò a sperimentare il rapporto tra spazio e materia, e per un certo periodo a interessarsi all’architettura dei giardini. In seguito a un incontro con la coreografa Martha Graham, per la quale realizzò le scenografie di Frontier nel 1935, cominciò una lunga collaborazione che lo portò a lavorare, fra gli altri, per Dark Meadow (1946), rappresentato al Rosenthal Playmouth Theatre di Londra, Cave of Heart (1946), al Maggio musicale Fiorentino, Diversion of Angels (1974) al Nuffield Theatre di Southampton, Argent Song (1954) al Teatro Comunale di Firenze, Voyage (1953) presso l’Alvin Theatre di New York, Seraphic Dialogue (1955) all’ANTA Theatre di New York, Clytemnestra (1958) all’Adelphy Theatre di New York, Phaedra (1962) al Broadway Theatre, Circe (1963) al Prince of Wales di Londra, Cortege of Eagles (1967), El penitente (1969) al London Contemporary Dance Theatre, Orphée (1974) al Théâtre de l’Opéra di Parigi, Phaedra’s Dream (1983) a Palazzo Pitti di Firenze.

Noble

Formatosi all’università di Bristol e al Drama Centre di Londra, Adrian Keith Noble inizia l’attività nel 1976 come regista associato presso l’Old Vic di Bristol, che porta avanti fino al ’79. Dal 1980 al 1981 è al Royal Exchange Theatre di Manchester dove ottiene il plauso della critica con le due produzioni, La duchessa di Amalfi (The Duchess of Malfi) e Casa di bambola . Sempre nel 1980 comincia la lunga collaborazione con la Royal Shakespeare Company (Rsc) per la quale nel 1982 diviene regista associato e produce, tra le altre, interessanti versioni del Re Lear (King Lear, 1982), dell’ Enrico V (Henry V, 1984), e di Come vi piace (As You like It, 1985). Nel 1988 produce uno spettacolo di grande successo rielaborando e comprimendo le tre parti dell’ Enrico VI (Henry VI) insieme al Riccardo III (Richard III) per dar vita alla trilogia dal titolo i Plantageneti (Plantagenets). Al momento della dipartita di Terry Hands, nel 1990 N. assume il ruolo di direttore artistico della Rsc e mette in scena le due parti dell’ Enrico IV (Henry IV) e tre drammi di Sofocle: Edipo Re , Edipo a Colono e Antigone . A tutt’oggi a capo della compagnia, N. ha raccolto in particolare successi personali con Amleto (Hamlet, 1992) interpretato da Kenneth Branagh, Re Lear (King Lear, 1994) con Robert Stephens, Macbeth con Derek Jacobi e con Travesties di Tom Stoppard. Nella stagione teatrale 1997-98 della Rsc ha curato la regia di La dodicesima notte (Twelfth Night) e La tempesta (The Tempest).

Nosei

Le sue esperienze di cabarettista cominciano nel 1986 con Luisa e le bimbe confuse , e – attraverso recital e serate di animazione – proseguono fino alle ultime produzioni con i fratelli Ruggeri Gemelli Ribelli , del 1996, e nel 1997-98 Cantautore calvo . Dopo varie apparizioni in Tv (la prima risale all’88 in “Carnevale” con E. Fenech su Rai 1), nel 1992 approda al “Maurizio Costanzo Show”, grazie al quale si fa conoscere al grande pubblico con i suoi con i suoi centoni: canzoni famose alle quali vengono cambiate le parole in chiave comica. Nel 1993 escono la cassetta e il libro “Mi ricordo lasagne verdi” e nello stesso anno il cd. Seguono, nel 1994 “Morissi Marilù” e nel 1998 “Zelig Compilation”.

Niccoli

Moglie di Andrea Niccoli, figlia di Raffaello Landini e Anna Da Caprile, Garibalda Niccoli iniziò a recitare in tenera età, abbandonando le scene diciannovenne alla morte del padre, per poi riprendere a recitare nella compagnia di A. Corsini come seconda donna di prosa e prima donna di operetta. Lì conobbe il futuro marito ed incontrò il successo con L’acqua cheta , Acqua passata , L’ascensione , Gallina vecchia di A. Novelli e I. pateracchio di F. Paolieri. Dopo un nuovo periodo di assenza dal teatro a seguito della morte del marito, vi fece un definitivo ritorno col figlio Raffaello nel 1919. Fra le interpretazioni più riuscite dell’ultimo periodo: Mamma I’ Morino di B. Carbocci e La sora Maddalena di A. Testoni.

Nichols

Figlia e allieva di una ex-ballerina del New York City Ballet, studia con Alan Howard e alla School of American Ballet. Entra al New York City Ballet (1974), dove diventa prima ballerina (1979) e interpreta ruoli da protagonista nei balletti di Balanchine ( Allegro Brillante , Bourrée fantasque , Diamonds , Concerto Barocco , Donizetti Variations ), di Robbins ( Afternoon of a Faun, In G. Major, Dances at a Gathering, Other Dances ), di Martins ( A Schubertiad , Poulenc Sonata , Tanzspiel , The Sleeping Beauty ), di Forsythe ( Herman Scherman ). È prediletta dai coreografi per la sua finezza di interprete e il suo virtuosismo.

Ninchi

Carlo Ninchi iniziò la carriera artistica nella compagnia del fratello Annibale, impersonando Pilade nell’Oreste di Alfieri, realizzato per la stagione 1920-21. Nel corso della sua carriera recitò nelle migliori compagnie, con i registi più affermati, interpretando parti prestigiose in produzioni di alto livello. Fu spesso chiamato dall’Inda per prendere parte ad allestimenti di classici greci. La popolarità conquistata in teatro, soprattutto dalla fine degli anni ’30 ai tempi della sua presenza nella compagnia del Teatro Eliseo e della Maltagliati-Cimara-N., venne accresciuta dalle sue numerose interpretazioni cinematografiche. Si confrontò anche con il teatro comico e con la rivista. Nel dopoguerra fu uno dei protagonisti del processo di rinnovamento della scena italiana. Fisico possente, voce dal timbro inconfondibile, movimenti e toni sapientemente dosati, hanno fatto di N., nelle sue interpretazioni migliori, un attore nuovo e moderno nella sua essenzialità.

nuovo circo

Il nuovo circo è quello stile di creazione e ricerca circense emerso negli anni ’90 che sposta le tecniche del circo dalla loro funzione tradizionale avvicinandosi agli sviluppi del teatro e della danza contemporanea. Nucleo riconosciuto di tale filosofia è il Centre national des arts du cirque di Chalons in Francia. Punto di partenza del nuovo circo è la disgregazione del concetto di `numero’ a favore della polifunzionalità dell’artista e dei contenuti che esso può esprimere tramite l’incontro delle tecniche circensi, qui definite `arti della pista’, con le altre arti. Tale tipo di circo sceglie di usare le `arti della pista’ per parlare della contemporaneità, in modo concreto o astratto, come normalmente avviene nella ricerca drammaturgica o coreografica. Le compagnie più note assimilabili a tale concetto sono Archaos, Plume, Baroque, Que-Cir-Que, Les Nouveaux Nez, Gosh. Il governo francese sostiene economicamente la ricerca e la produzione del nuovo circo e ha permesso la creazione di numerose scuole, di un fiorente mercato e di un pubblico specifico, specie nei festival teatrali estivi. Il più importante e regolare spazio ufficiale di programmazione di tali spettacoli è il Parc de La Villette di Parigi.

New York City Ballet

La meravigliosa avventura e la conseguente storia della compagnia New York City Ballet hanno inizio all’epoca in cui essa si stabilì definitivamente al City Center for Music and Drama di New York, nel 1948. Prima si chiamava Ballet Society e ne erano direttori gli stessi Lincoln Kirstein e George Balanchine, che sarebbero state le anime dello straordinario N.Y.C.B. (era stato Lincoln Kirstein a invitare, con finissimo fiuto, George Balanchine). Lincoln Kirstein gli offrì la direzione della School of American Ballet (1934), occasione opportuna per la costituzione dell’American Ballet – in seguito chiamato Ballet Caravan (1936), poi Ballet Society (1946) – che debutterà l’anno successivo a New York (1935). A Kirstein e a Balanchine si unirà come condirettore artistico Jerome Robbins. Ben presto la compagnia diventerà una delle più importanti a livello mondiale, felice connubio fra la più rigorosa tecnica della danza classica europea e le più svariate tendenze statunitensi contemporanee. Nel 1950 inizia un lungo tour attraverso l’Europa (in Italia dal 1952 a Firenze, con clamorosi successi). Il nostro balletto era in un certo modo influenzato da tanta dovizia di novità, di creazioni coreografiche, di danzatori eccellenti. Nel 1964 il complesso si trasferisce al Lincoln Center, presso il New York State Center. Per Balanchine era giunto il più alto momento della completa affermazione di creatore d’opere coreografiche destinate ai posteri. Nel 1972 Balanchine riesce a realizzare addirittura un Festival Stravinskij, con coreografie in omaggio al grande maestro (scomparso l’anno prima) affidate anche ad altri coreografi della stessa tendenza balanchiniana, e nel 1975 un altro festival dedicato a Ravel (di cui ricorreva il centenario della nascita); e nel 1981 un Festival Cajkovskij.

Le opere delle quali si è arricchito il New York City Ballet nel corso degli anni compongono un repertorio quanto mai vario, fatto di bellezze diverse, che vanno dai primi lavori di Balanchine (Serenade, Apollon Musagète, Concerto barocco e La valse) alle ultime composizioni (Agon, Episodes, in collaborazione con Martha Graham, Monumentum pro Gesualdo , Liebeslieder Walzer , Sogno di una notte di mezza estate , Bugaku , Movements for Piano and Orchestra, Don Chisciotte, Jewels, Brahms-Schönberg Quartet , Metastaseis & Pithoprakte , Who Cares? , Ballo della regina, Davidsbündlertaulmnze, ultimo capolavoro a grande respiro del grande Balanchine). Ma il fitto programma del New York City Ballet non ha elencato e non elenca oggi solo composizioni di Balanchine. Alla sua morte (1983) la direzione associata passa a Peter Martines e a Jerome Robbins; in seguito (1990) Martines diventa direttore unico. Scomparso Robbins (29 luglio 1998) restano nel repertorio le opere che Robbins stesso aveva creato per la compagnia che oggi, nel 1998, festeggia i cinquant’anni dalla costituzione. Non solo Robbins ha composto molti balletti per il N.Y.C.B. (da ricordare The Age of Anxiety, The Cage,The Pied Piper, Afternoon of a Faun , Fanfare , The Concert , Dances at a Gathering, In the Night, The Goldberg Variations, Le quattro stagioni , Opus 19 ), ma altri coreografi vi hanno lavorato, con un lungo elenco di opere valide e affermate.

Nuti

Francesco Nuti esordì nel cabaret con la compagnia dei Giancattivi, insieme ad A. Benvenuti ed A. Cenci, per passare poi all’attività di regista e attore cinematografico, sfruttando le sue doti comiche dalla venatura sferzante, tipica della comicità toscana ( Ad ovest di paperino di Benvenuti, 1982, Io, Chiara e lo Scuro , 1982, Madonna che silenzio c’è stasera , 1982 e Son contento , 1983, per la regia di M. Ponzi, di cui Nuti è anche sceneggiatore). Tra i suoi film Casablanca, Casablanca e Tutta colpa del paradiso del 1985, Stregati del 1986, Caruso Pascovski (di padre polacco) del 1988, Willy Signori e vengo da lontano del 1989, Donne con le gonne del 1991, OcchioPinocchio del 1994.

Navello

Dopo gli studi universitari e alcune esperienze di teatro sperimentale, Beppe Navello ha iniziato la sua attività di regista allo Stabile di Torino come assistente di Mario Missiroli (1977-1981). La sua prima regia è Questa sera da Tosti di A. Gozzi (1983). Il secondo allestimento è La casa dell’ingegnere di S. Ferrone, tratto da La cognizione del dolore di Gadda, con Paolo Bonacelli, un attore con cui N. lavorerà spesso, affidandogli il ruolo di protagonista. Nel 1985 dirige Gli spettri di Ibsen, con C. Scarpitta, per lo Stabile dell’Aquila del quale assumerà la direzione artistica (1986-88). Interessante di quel periodo, oltre alla regia de Il sogno di Oblomov , il progetto dello spettacolo a puntate, una sorta di teatro-gioco su I tre moschetteri, che alterna registi come Proietti, Scaparro, Missiroli e drammaturghi come De Chiara. Dopo varie esperienze con diverse compagnie, dal 1990 al 1993 è direttore artistico del Teatro di Sardegna e si occupa di tutta la programmazione teatrale dell’isola. Di quegli anni: Il gioco delle parti di Pirandello, Casa di bambola di Ibsen con Maddalena Crippa. Ritorna poi alla guida del Teatro Stabile dell’Aquila, ora Teatro Stabile Abruzzese, per cui allestisce La donna del mare di Ibsen, Il misantropo e due atti unici di E.Flaiano. Realizza un secondo gioco teatrale con sessantatre attori: Il Cerchio di gesso del Caucaso. Nel 1998 ha creato I corsari da Salgari presentato a Taormina Arte.

Noelte

Nel 1945 Rudolf Noelte lavora come attore e assistente alla regia all’Hebbel Theater di Berlino e collabora con J. Fehling. La sua prima regia è Draussen vor der Tür, di Borchert, nel 1948. Nel 1953 mette in scena, sempre a Berlino, Stato d’assedio di Camus e Il castello da Kafka allo Schlossparktheater, conseguendo il successo. Al Residenztheater di Monaco cura la regia di opere come Maria Stuarda (1955) e Edipo Re (1962) e ottiene uno dei suoi maggiori successi dirigendo Il giardino dei ciliegi (1970). Cura anche regie di opere liriche in Germania e all’estero. Tra i suoi lavori più recenti le messe in scena di Les femmes Savantes e del Tartuffe di Molière nel 1988 e nel 1989. Lodato per l’accuratezza delle sue regie, negli ultimi tempi ha avuto minori consensi da parte della critica che ha riscontrato nel suo stile una certa rigidità.

Neher

Allievo di A. Roller, dopo gli studi artistici Caspar Neher esordisce nel 1923 all’Opera di Berlino (dove conosce L. Jessner, con cui elabora nel 1927 un polemico e antimilitaristico Amleto di Shakespeare, con scene fuori dal tempo e costumi contemporanei e dimessi), facendo coincidere la sua attività giovanile con le esperienze più mature di alcuni tra i maggiori registi tedeschi. Con E. Engel ( Knock di J. Romains e Coriolano di Shakespeare: Berlino 1925) si occupa dei primi allestimenti delle opere di Brecht (celebre quello per L’opera da tre soldi , Berlino 1928): la sua capacità di conciliare clima drammatico ed essenzialità di mezzi caratterizza Nella giungla delle città (Berlino 1924), Ascesa e caduta della città di Mahagonny (Lipsia 1930), L’anima buona di Sezuan (Monaco 1955); e Il signor Puntila e il suo servo Matti , La madre e Il precettore (con la regia dello stesso Brecht, Berlino 1950). Dedicatosi anche al teatro d’opera, lavora ad Amburgo (un angoscioso Macbeth di Verdi, immerso in cupe e immense foreste, 1942), a Vienna ( Ifigenia in Aulide di Gluck, con settecenteschi fondalini di tela e preziosi costumi dorati; 1942, regia di O.F.Schuh), alla Scala ( Parsifal di Wagner, 1948), al San Carlo di Napoli (celebre il Wozzeck di Berg, con la regia di E. Engel, 1953) e a Salisburgo ( Jedermann di Hofmannsthal, 1952; Don Carlos di Verdi, con la regia di G. Gründgens, 1959).

Nigro

Le sue tematiche preferite come autore drammatico riguardano la società meridionale nelle sue componenti più disagiate: il mondo contadino ed il sottoproletariato. Con Il grassiere , scritto nel 1981, N. affronta proprio questi temi, mettendo in luce la realtà socio-economica del Sud. Ha realizzato anche una ricerca sulle dinastie europee che si sono incrociate nel Meridione, dal titolo Hohenstaufen (1985), dedicata a Federico II di Svevia. Ha vinto il premio Campiello con il romanzo I fuochi del Basento (1987).

Novarina

Assistente di Antoine Bourseiller e attore con Jean-Marie Villégier e Marcel Bozonnet, Valère Novarina, in un’intervista pubblicata su “Théâtre/Public” del novembre 1989 afferma: «Il teatro deve farci uscire dal sonno materialista». E in effetti, tutta la sua ricerca è volta a distruggere la materialità dello spazio e delle scene, a disgiungere la parola dalla carnalità del corpo creando così un linguaggio nuovo che non disdegna i neologismi ma che fluisce con ritmi e accenti assolutamente propri. Ciò risulta evidente, a partire dagli anni Ottanta, con la creazione di spettacoli quali Générique (1983) e Le Drame de la vie (1986), ma soprattutto Vous qui habitez le temps (1989) e Je suis (1991). In queste opere si celebra il fallimento dell’artista di fronte all’autonomia del linguaggio verbale e visivo, poiché – dice Novarina – occorre «lasciar dipingere la materia e lasciar pensare le parole: esse ne sanno più di noi».

Nazimova

Allieva a Mosca di Nemirovic-Dancenko, cominciò a recitare a Pietroburgo Ibsen, l’autore cui fu maggiormente legata la sua fama, e continuò a farlo, in inglese, negli Usa, dove si trasferì definitivamente nel 1906. Le sue interpretazioni di Casa di bambola , Hedda Gabler , Spettri , Piccolo Eyolf e Costruttore Solness, sbalordirono la critica americana, incantata dal fascino esotico dell’attrice e dalla sua capacità di identificarsi totalmente con i suoi personaggi. Nel 1918 si trasferì a Hollywood ma tornò spesso alle scene, fra l’altro come interprete di Clitennestra ne Il lutto s’addice a Elettra di O’Neill.

Nieva

Residente all’estero (Parigi, Venezia) dal 1954 al 1964, al suo ritorno in Spagna si fece conoscere come scenografo dallo stile esasperatamente barocco in contrasto con l’estetica del tempo, collaborando con i migliori registi nell’allestimento degli spettacoli più interessanti di quegli anni. Debutta come autore drammatico solo nel 1976 con La carrozza di piombo incandescente (La carroza de plomo candente) e Il combattimento di Opalos e Tasia (El combate de Opalos y Tasia) e da allora vengono proposti con una certa regolarità i suoi testi, in gran parte scritti molti anni prima. Spesso assai complesso e difficile da inquadrare in una tendenza, giacché si caratterizza proprio per un esasperato eclettismo e la ricerca della contraddizione, il teatro di N. è stato suddiviso dallo stesso autore in due filoni: `teatro di farsa e calamità’ e `teatro furioso’. Solo dal 1982, anno in cui è andato in scena Coronada y el toro , con scenografia e regia dell’autore, N. ha ottenuto il riconoscimento della critica, se non il favore del pubblico. Dal 1979 alterna la scrittura drammatica con la regia di testi propri o altrui.

Noschese

Alighiero Noschese inizia da ragazzino, rispondendo alle interrogazioni in classe, a riprodurre per gioco le voci dei principali attori dell’epoca, ma all’inizio sembra un semplice hobby irriverente. Segue infatti il volere familiare iscrivendosi alla facoltà di Giurisprudenza a Napoli ed entrando come praticante al giornale radio diretto da Vittorio Veltroni. Ma il palcoscenico lo reclama e dopo le primissime esibizioni nel varietà è subito scritturato da Garinei e Giovannini per la tournée di Caccia al tesoro (1953) al termine della quale decide di fermarsi a Milano. Qui firma un contratto con la Compagnia di rivista della sede Rai lombarda ma presto è di nuovo sul palco al fianco di Nuto Navarrini (1957) e di Tino Scotti al Teatro Odeon di Milano nella rivista dialettale Ciciarem un cicinin (1960). Una trionfale esibizione al velodromo Vigorelli gli vale nel 1961 la partecipazione alle prime trasmissioni televisive che lo impongono su scala nazionale. Non solo è in grado di riprodurre la voce di qualsiasi personaggio ma, aiutandosi con efficaci elementi di trucco che cura con puntiglio maniacale, riesce a ricrearne anche tic e caratteristiche espressive. Il teatro lo vede protagonista di one-man-show come Scanzonatissimo n.1 (1963) e La voce dei padroni nelle due diverse edizioni di Garinei e Giovannini (1966 e 1967). Sul teleschermo è amatissimo beniamino del pubblico nei principali varietà degli anni ’60 da “Alta fedeltà” (1967) a “Sabato sera” (1967) fino a “Doppia coppia” (1969) in cui è l’assoluto mattatore. Solo nel cinema non riese a trovare una collocazione adeguata alle sue capacità e viene messo in coppia con il giovane Enrico Montesano in commedie di basso rilievo come Io non scappo… fuggo (1970) e Io non vedo, tu non parli, lui non sente (1971). La serata televisiva del sabato lo vede ancora star di “Canzonissima” (1971), “Formula due” (1972), “Ma che sera” (1978). «L’uomo dalle novantasei voci» (secondo una sua spiritosa autodefinizione) sta allestendo lo spettacolo L’inferno può attendere quando tronca la propria vita con un colpo di pistola.

Niccodemi

Iniziò la sua attività teatrale in Argentina, dove la famiglia era emigrata. Legatosi d’amicizia con l’attrice Gabrielle Réjane, si trasferì con lei a Parigi, dove scrisse e rappresentò Il rifugio (1909), L’aigrette (1912) e I pescecani (1913). Tornato in Italia nel 1915, ebbe grande successo con le commedie L’ombra (1915), Scampolo (1915) e La nemica (1916), interpretate rispettivamente da Irma Gramatica, Dina Galli e Maria Melato. La sua vasta produzione (più di trenta commedie) vanta altri successi: La maestrina (1917), Prete Pero (1918), L’alba, il giorno e la notte (1921), Natale (1922), La casa segreta (1924), Il principe (1929), La fiamma (1935). Nel 1921 formò una grande compagnia teatrale, che mise in scena le più importanti novità italiane dell’epoca (da Sei personaggi in cerca d’autore , 1921 a Ciascuno a suo modo , 1924, con Vera Vergani, Luigi Almirante e Luigi Cimara). N. ebbe assai vivo il `senso del teatro’ e seppe conciliare le esigenze sceniche con atmosfere di signorilità e a volte di poesia; grazie a un romanticismo a volte ingenuo, è stato tra gli autori più rappresentativi nei primi decenni del secolo.

Nicosia

Formatasi con Daria Collin, nel 1968 entra nel Corpo di ballo del Maggio musicale fiorentino, diventandone prima ballerina nel 1990. Qui danza il repertorio classico e molte creazioni che ne sottolineano il temperamento drammatico ( La Valse di Ivan Marko, 1988; La Signora dalle Camelie di Evgheni Polyakov, 1992); contemporaneamente però si dedica alla danza moderna con il Collettivo danza contemporanea. Dal 1986 è direttrice artistica dlla rassegna Danza primavera.

Nuti

Dopo la maturità si iscrive all’Accademia dei Filodrammatici di Milano, diplomandosi nel 1953-54. È sposata con l’attore Gian Carlo Dettori. Debutta ne L’allodola di Anouhil con la compagnia Benassi-Brignone-Santuccio. Recita con Renzo Ricci ed Eva Magni e poi con la Proclemer e Albertazzi, rivelandosi ne I sequestrati di Altona di Sartre. Chiamata a Genova, Trieste, Torino dai rispettivi teatri Stabili, si forma con registi di rilievo come Costa, Zeffirelli, Bolchi, Ferrero, Albertazzi, Buazzelli, Trionfo ed altri, recitando nel corso degli anni come protagonista in circa duecento commedie. Al suo attivo ha anche una lunga attività radiofonica, televisiva e cinematografica. Negli anni ’80 insegna recitazione sia all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’, sia alla Scuola civica `P. Grassi’ di Milano. Sempre in quegli anni incontra Luca Ronconi e lega il suo nome a cinque spettacoli di grande rilievo: John Gabriel Borkmann di Ibsen, Ignorabimus di Holz (per cui riceve il premio Ubu 1986), Dialoghi delle Carmelitane di Bernanos (per cui riceve il premio Ubu e il premio Curcio 1988), Le tre sorelle di Cechov (per cui riceve il Flaiano 1989), Donna di dolori di Patrizia Valduga (per cui riceve il premio Eleonora Duse 1992 e il premio Randone 1995). Seguono poi Edipo re di Sofocle per la regia di Giorgetti, I dialoghi delle Carmelitane per la regia di Battistini, Il libro di Ipazia di Luzi per la regia di Puggelli, Le Erinni di Quintavalle per la regia di Giorgetti. Dal 1992 insegna alla scuola di Teatro diretta da Luca Ronconi a Torino. Fa parte del cast del `Progetto Ronconi’ per la radiofonia 1997-1998. Lega il suo nome alla realizzazione del progetto `Poesia’ ideato da Giovanni Raboni e a `Una voce, un poeta’ di Davico Bonino. Da alcuni anni con Fabio Battistini ha avviato una frequentazione di grandi autori del Novecento a carattere spirituale. Nel 1996 ha ricevuto il premio Renato Simoni alla carriera `una vita per il teatro’. Attualmente insegna alla Scuola del Piccolo Teatro di G. Strehler.

Nadasi

Segue gli insegnamenti di Jakob Holczer, Henriette Spinzi, Cecchetti e N. Guerra. Dal 1909 al 1912 prende parte a diverse tournée in Russia, e dal 1913 al ’21 danza come solista nel balletto dell’Opera di Budapest, di cui diverrà in seguito maître e direttore. Figura di spicco nel panorama della danza ungherese – soprattutto per la sua attività di insegnante – dopo aver sostenuto la direzione della Scuola del balletto di stato a Budapest (1949-62), si è dedicato all’organizzazione dell’opera didattica ( Metodo di danza classica , 1963).

Nicolaj

La feconda produzione teatrale di Aldo Nicolaj si caratterizza per l’aver messo in luce i costumi e le abitudini della società borghese. I suoi personaggi sono spesso degli sconfitti, vittime del destino, uomini soli di fronte a se stessi e al mondo, emarginati dalla vita. Dunque, una sorta di pessimismo lega insieme i tipi e le situazioni dei suoi lavori. N., nella sua produzione, ha toccato diversi stili, passando dal simbolismo al neorealismo, dal surrealismo fino al teatro della crudeltà e a quello dell’assurdo, comunque sempre attento fin nei minimi particolari alla costruzione del dialogo. Ambasciatore del teatro italiano all’estero, ha fatto conoscere persino in Guatemala, dove è stato direttore dell’Istituto di cultura italiana, i caratteri della nostra scena. Alcuni titoli di una produzione che colloca N. nei grandi filoni della scrittura drammatica europea: Il figliol prodigo (1947), Teresina (1954), Il soldato Piccicò (1955), La stagione delle albicocche (1959), Gli asini magri (1961), Il mondo d’acqua (1963), Farfalla, farfalla… (1967), Il cordone ombelicale (1970), Classe di ferro (1974), L’onda verde (1977), oltre ai monologhi scritti fin dal 1957 per Paola Borboni alla quale deve parte del suo successo.

Novaro

Allieva della Scala, Luciana Novaro debuttò giovanissima in teatro, di cui divenne prima ballerina nel 1941; due anni dopo era protagonista del Bolero di Milloss-Ravel, rivelando propensioni per la danza di carattere, soprattutto sul versante spagnolo. Fu partner di Antonio Ruiz in Amor brujo e Capriccio spagnolo ; altre sue interpretazioni di rilievo: Daphnis et Chloé di Lifar e Le sacre du printemps di Massine. Tra le creazioni, sempre alla Scala, Vita dell’uomo di Wallmann-Savinio e Mario e il mago di Massine-Visconti-Mannino. Nel 1951, a San Paolo del Brasile, iniziò l’attività di coreografa e nel 1956 creò alla Scala Sebastian di Menotti. Dal 1962 al 1964 fu direttrice del corpo di ballo della Scala, ricoprendo poi lo stesso incarico all’Arena di Verona, ove curò molti divertissements operistici. Ha aperto a Milano una scuola di danza accademica presso il Circolo della stampa.

Nuti

Proveniente dal teatro universitario di Genova, Piero Nuti collabora con Radio Torino, dando vita al primo nucleo di quello che diventerà il Teatro stabile della città. Fondatore del Teatro della Svizzera italiana, lavora successivamente con A. Brissoni, P. Sharoff, G. Salvini, D. Fo (dal 1959, con Gli arcangeli non giocano a flipper , al 1966, con Il diavolo ), F. Enriquez ( La dame de Chez Maxim’s , 19??; Ippolito e Le Fenicie , 1962; Rosencrantz e Guildernstern sono morti , 1967). Nel 1967 N. incontra M. Scaparro e, con A. Innocenti e altri, fonda il Teatro Popolare di Roma; dal 1979 ne assume la direzione, continuando comunque la sua attività di interprete raffinato e ironico: da Corruzione a Palazzo di Giustizia di U. Betti (1983, regia di O. Costa) e Ifigenia in Aulide di Euripide (1990, regia di M. Perlini) a Oreste (regia di G. Testori) e Agamennone (regia di A. Innocenti), fino al più recente Il bell’indifferente di J. Cocteau (1998, regia di R. Reim, 1998).