Milva

Milva è una delle poche cantanti italiane ad aver lavorato sia nel mondo della musica leggera che nell’impegnato teatro di Brecht e Strehler.

Milva, pseudonimo di Ilvia Maria Biolcati, è stata una cantante e attrice teatrale, protagonista della musica italiana negli anni Sessanta e Settanta. I suoi 50 anni di carriera l’hanno portata su alcuni dei palchi più prestigiosi del mondo, dalla Scala al Piccolo Teatro di Milano dallo Châtelet all’Opéra di Parigi, fino alla Carnegie Hall a New York. Ad oggi detiene il record di artista italiana con il maggior numero di album realizzati in assoluto, ben 173, ed è una delle poche cantanti italiane ad aver lavorato sia nel mondo della musica leggera che nell’impegnato teatro di Brecht e Strehler.

Milva canzoni: da Sanremo al Piccolo teatro

Milva, inizia giovanissima a cantare nelle balere del basso ferrarese con il nome d’arte Sabrina, e lì viene notata per la sua grinta e la sua straordinaria voce. Dopo aver trionfato in un concorso di voci nuove della Rai nel 1959, arrivando prima su ben 7600 partecipanti con le canzoni Acque amare di Carla Boni e Dicembre m’ha portato una canzone di Nilla Pizzi, comincia ad incidere per la Cetra, la casa discografica di Stato, partecipando al Festival di Sanremo 1961, nel quale arriva terza con Il mare nel cassetto. Alla competizione sanremese parteciperà poi, nel corso della sua lunga carriera, undici volte.

Nel 1962 interpreta il suo primo filmLa bellezza d’Ippolita con Gina Lollobrigida. Ma è la carriera di cantante che procede a gonfie vele, incidendo prima in Germania nel ’62 il disco Liebelei e poi in Italia nel ’63 Canzoni da cortile, seguito l’anno dopo da Canzoni da tabarin. Grazie anche alla vicinanza di Maurizio Corgnati, che sposa nel ’61, alterna all’attività nel mondo della canzone commerciale, anche l’impegno in un repertorio di canzoni della tradizione popolare italiana, che nel ’64 culmina nello spettacolo Canti della libertà, che l’anno dopo presenta sempre con Arnoldo Foà al Lirico di Milano, invitata da Paolo Grassi. È lì che la nota Giorgio Strehler.

Il sodalizio Milva – Strehler

Il regista dirigerà Milva in due recital, Poesie e canzoni di Bertolt Brecht e Ma cos’è questa crisi. Ancora Strehler nel ’68 le cucirà addosso il recital Io, Bertolt Brecht, che le darà un successo europeo. Nello stesso anno ha il suo vero e proprio debutto teatrale come attrice, nel Ruzante diretto da Gianfranco De Bosio.

L’anno successivo segue Strehler transfuga dal Piccolo Teatro di Milano, e nel Teatro Azione da lui diretto è tra le interpreti di La cantata del mostro lusitano di Peter Weiss; ma ancora nel ’69 partecipa al festival di Sanremo e alla commedia musicale Angeli in bandiera di Garinei e Giovannini, a dimostrazione della versatilità del suo talento e della sua voce. Nel ’70 si esibisce per la prima volta alla Carnegie Hall di New York.

L’addio alla musica leggera

Il ’73 può essere considerato un anno di svolta: ancora Strehler la sceglie per il ruolo di Jenny delle Spelonche in L’opera da tre soldi. Da questo anno abbandonerà sempre di più il mondo della musica leggera per specializzarsi in un repertorio di grandi autori: nel ’75 canta Io, Bertolt Brecht n.2, nel ’78 è alla Piccola Scala in Diario dell’assassinata di Gino Negri e al Regio di Torino in Orfeo all’inferno di Offenbach, nel ’79 interpreta Io, B.B., n.3 e nell’82 è alla Scala per La vera storia di Luciano Berio. Nell’84 alla Bouffes du Nord, il teatro di Peter Brook, è insieme ad Astor Piazzolla in El tango.

In teatro torna nell’86 a Parigi con Giorgio Strehler per l’edizione francese dell’Opera da tre soldi con uno straordinario successo personale, cui seguirà un’esperienza non così felice con la Lulu di Wedekind diretta da Giancarlo Sepe. Tra le sue interpretazioni più recenti, La storia di Zazà nel ’93 diretta ancora da Sepe, e nel ’95 Tosca, ovvero prima dell’alba di T. Rattigan, spettacolo interrotto tragicamente per la morte del deuteragonista Luigi Pistilli.

Nel ’95 è anche la volta di un nuovo recital di canzoni brechtianeNon sempre splende la luna, che porta in giro per il mondo, per tre anni. Tra le altre attività recenti, la partecipazione al film Celluloide di Lizzani (1995) e al documentario di Werner Herzog sulla vita di Carlo Gesualdo da Venosa. Nel ’97 con la regia di Filippo Crivelli mette in scena una nuova versione del recital El tango de Piazzolla.

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Gemelle Kessler

Marisa Minelli

Magazzini (Criminali) / Il Carrozzone

Magazzini (Criminali)/Il Carrozzone è una compagnia teatrale che partecipa fin dal 1972 alla ‘nouvelle vague’ della scena italiana con Morte di Francesco (1972) e La donna stanca incontra il sole (1973). Di evidente matrice figurativa, il debutto di Federico Tiezzi, Sandro Lombardi e Marion D’Amburgo, all’epoca riuniti ancora sotto il nome di Il Carrozzone, si colloca storicamente nel periodo di transizione che, a cavallo tra i ’70 e gli ’80, vede affacciarsi sulla scena nazionale una folta e agguerrita rappresentanza di registi, interpreti e autori avocati, per il carattere anticonvenzionale del loro lavoro e il costante riferimento all’arte moderna e contemporanea, al filone della `nuova avanguardia’.

Su questo sfondo, di fertile e contraddittoria elaborazione formale e tematica, è possibile leggere anche il percorso ormai trentennale della compagnia che dalle spinte trasgressive e dagli studi sullo spazio di allestimenti come Presagi del vampiro (1977) o Vedute di Porto Sud (1978) approda negli anni alla rilettura di classici antichi (lo Shakespeare di Scene di Amleto , 1998) o contemporanei (il Brecht di Nella giungla delle città , del ’97).

Lombardi e D’Amburgo in scena, con Tiezzi nei panni di regista, si affermano a livello italiano ed europeo verso la fine degli anni ’70 con due lavori, Punto di rottura e Crollo nervoso , sotto la nuova denominazione di Magazzini Criminali. Nel successivo decennio l’accento della ricerca del gruppo si sposta verso il `teatro di poesia’ che connota la produzione del gruppo tra l’84 e l’85 (Genet a Tangeri , Ritratto dell’attore da giovane , Vita immaginatria di Paolo Uccello e Perdita di memoria , presentato alla Biennale di Venezia) e le successive ricognizioni di alcune delle figure chiave del teatro del Novecento.

All’esplorazione sui `padri’ della sperimentazione (Artaud e il teatro della crudeltà, il teatro dell’assurdo, Genet) seguono il Beckett di Come è dell’87, con la drammaturgia di Franco Quadri (sullo stesso autore torneranno nel ’92 con Finale di partita ), e l’Heiner Müller di Hamletmaschine e Medeamaterial (1988).

Modello definitivo del `teatro di poesia’ inteso sia come scrittura scenica sia come drammaturgia in versi sono le tre cantiche della Commedia di Dante rivisitate in collaborazione con Edoardo Sanguineti, Mario Luzi e Giovanni Giudici (1989-91). La stessa poetica continuerà a influenzare le successive produzioni (tra le altre, l’Adelchi di Manzoni nel ’92 e, nel ’94, Porcile di Pasolini, che per primo concepì e parlò di un `teatro di poesia’) per tornare anche in Felicità turbate di Luzi (al Maggio musicale fiorentino del 1995, con musiche di Giacomo Manzoni) e nel dittico testoriano di Edipus e Cleopatràs tra il ’94 e il ’96.

Morselli

Il contatto con l’ultima scapigliatura toscana lo portò a condurre uno stile di vita da bohémien, fino all’avventura, anche guerresca, in Sudamerica. Rivisitò i miti classici in chiave antieroica, attraverso le sue due opere fondamentali: la tragicommedia Orione (1910) e la tragedia Glauco (1919). Morì di tisi mentre stava lavorando alla farsa Belfagor , dai toni vivi e popolari, fino al boccaccesco. L’opera venne completata da Sillani e musicata da Respighi nel 1930.

Magyari

Diplomata all’Accademia nazionale di Budapest e perfezionatasi alla scuola del Teatro Bol’šoj di Mosca, Anita Magyari danza come solista del corpo di ballo dell’Opera della sua città. Trasferitasi in Italia nel 1982, entra nel corpo di ballo della Scala, diventandone prima ballerina nel 1986. Qui, spesso a fianco di grandi étoile internazionali (Rudolf Nureyev, Maximiliano Guerra), interpreta gran parte dei ruoli principali del repertorio ottocentesco ( Don Chisciotte ) e del Novecento ( Manon di Kenneth MacMillan), nei quali ha modo di mettere in luce la sua tecnica puntuale e la sua vivacità.

Molinari

Studente di giurisprudenza, Vito Molinari si avvicina al teatro mettendo in scena le riduzioni sceniche di alcuni importanti processi dell’antichità. Nel 1950 recita in Aulularia di Plauto, allestita nel teatro dell’Università di Genova. Dal 1954 lavora in Rai come regista (ha diretto la contestata Canzonissima del 1962, condotta da Dario Fo e Franca Rame). All’attività televisiva alterna le regie teatrali, in cui dimostra di preferire il tono leggero della commedia: Io e la margherita , per la compagnia di Walter Chiari (1959); Sembra facile (1961-1962) e Hobbyamente (1965-1966) del trio Del Frate-Pisu-Bramieri; Sogno di un valzer (1963) e Il pipistrello (1964) di Strauss. Segnaliamo tra i suoi ultimi lavori l’omaggio televisivo a Govi (1981) e uno special con Paolo Poli per Radiodue (1994).

Maccari

Fondatore e direttore dal 1926 del “Selvaggio” e collaboratore del “Mondo”,Mino Maccari iniziò nel teatro con i costumi per Il campanello di Donizetti nel 1941 al Teatro delle Arti di Roma dove, dieci anni dopo, realizzò le scene e i costumi del Turco in Italia di Rossini. Sempre nel 1951 collaborò al festival di Venezia per Commedia sul ponte di Martinù. Nel 1961 lavorò al Signor di Pourceaugnac di Molière per il Piccolo Teatro di Milano, con la regia di Eduardo De Filippo, col quale lavorò ancora al Maggio musicale fiorentino per il Naso di Šostakovic (1964) e per il Falstaff di Verdi (1970).

Morra

Nella stagione 1981-82 Gigio Morra è con la compagnia Granteatro in L’uomo la bestia e la virtù di Pirandello con la regia di C. Cecchi. In seguito, comincia a collaborare con il regista e drammaturgo A. Savelli, recitando al Festival internazionale di teatro di Sitges (Spagna) nello spettacolo Il convitato di pietra, ovvero Don Giovanni e il suo servo Pulcinella , testo dello stesso Savelli. Sempre con Savelli: L’amore delle tre melarance di V. Cerami (1985), in cui interpreta il ruolo di Pasquariello; Lumie di Sicilia-Cecé due atti unici di Pirandello (1989), dove M. fornisce un’esemplare doppia interpretazione e Figaro, o le disavventure di un barbiere napoletano (1989), riscrittura `napoletana’ dell’opera di Beaumarchais. L’anno dopo recita in Anfitrione , insieme a M. Rigillo, P. Pitagora e con la regia di L. De Fusco. Più di recente, ha lavorato in Teatro Excelsior di V. Cerami (1993), con M. Ranieri e la regia di M. Scaparro. Al cinema ricordiamo la sua partecipazione in Sogni d’oro di Nanni Moretti (1981), in cui ricopriva il ruolo del becero regista rivale di Michele Apicella.

Murgi

Rebecca Murgi studia presso la London Contemporary School e il College of Arts Arnhem, frequentando in seguito numerosi stage e workshop con alcuni dei maggiori esponenti della danza contemporanea come Merce Cunningam, Martha Graham, Steve Paxton, James Saunders, Lisa Kraus. Come danzatrice e coreografa collabora con diversi artisti europei, come il Teatro Valdoca, Adriana Borriello, Iztok Kovac. Tra le sue coreografie, di cui è anche interprete, Magnum Miraculum (1995), vincitore del Concorso Internazionale Teatri in Scatola nel 1997 e Focus on L (1997), uno studio sulla meccanica del corpo in movimento, che prende spunto dai disegni di anatomia di Leonardo da Vinci.

Manzoni

Dopo essersi formato in danza jazz e moderna con Renato Greco, Patrick King, Bob Curtis, Ivan Manzoni si perfeziona con Matt Mattox, nella cui compagnia danza nel 1987-88. Contemporaneamente si dedica all’insegnamento e alla ricerca, investigando il rapporto tra la danza jazz e le arti visive in lavori come Où se trouve le Louvre? (1990), Quintolesto in tre (1992), L’esempio del blu (1995), Materiali resistenti (1996).

Mazzali

Bruno Mazzali fonda la compagnia teatrale ‘Patagruppo’ (in cui lavora l’attrice Rosa Di Lucia, immancabile interprete dei suoi allestimenti), attiva nell’ambito dell’avanguardia. L’esordio è del 1972 con Ubu re di Jarry, a cui seguono: La conquista del Messico di Artaud (1973); Solitaire Solidaire dello stesso Mazzali (1976, ripresa nel 1979); La locandiera di Goldoni (1980). Numerosi i monologhi affidati alle doti interpretative della Di Lucia: Insulti al pubblico di P. Handke (1973, ripresa nel 1979); Senza patente, dall’intervista giornalistica a una prostituta (1976); Sinfonietta , raccolta di oltre 150 poesie di Ripellino (1979). Tra le altre regie segnaliamo: Sole e acciaio di M. (1982); Berenice di Racine, adattamento di E. Siciliano (di cui cura anche le scene e i costumi, 1984); Gige e il suo anello di Hebbel (anche le scene, 1986); Rumore di fondo di G. Manacorda (1988).

Manfridi

Giuseppe Manfridi dopo gli studi classici, svolge attività giornalistica per “La città futura” e “Il Dramma”, rivista di Diego Fabbri. Esordisce come autore, attore e regista nel 1976, allestendo Andromaca, la condizione estrema dell’urlo , ai teatri La Comunità e SpazioUno di Roma. Sin dai primi testi ( La leggenda della madre benedetta , 1979; Una stanza al buio , 1981), M. si segnala per l’originalità e l’intensità poetica della sua scrittura, sempre attenta al reale, al quotidiano, alle evoluzioni e le tendenze linguistiche non solo del contemporaneo. Autore particolarmente prolifico (oltre cinquanta i testi teatrali andati in scena), M. raggiunge notorietà grazie a Teppisti del 1985 (più volte ripreso); Una serata irresistibile (1986, premio Idi under 35); Liverani (1986, premio Riccione Ater); Anima bianca (1986, premio Idi); Giacomo il prepotente (1989, premio Taormina Arte e medaglia d’oro Idi), Ti amo, Maria (1989, premio Riccione Ater); Arsa (1989, 1993, 1995); La leggenda di San Giuliano (1991, presentato al festival d’Avignone); Zozòs (1994, ’96, ’97); La partitella (1995). Traduce in italiano le opere di Steven Berkoff e Jasmina Reza, firma le sceneggiature dei film Ultrà , regia di Ricky Tognazzi (1991, Orso d’argento al festival di Berlino), Vite strozzate (1996, regia R. Tognazzi); I maniaci sentimentali e Camere da letto (1996 e 1997, regia di Simona Izzo). I testi di M. sono tradotti e allestiti in Francia, Svezia, Grecia, Stati Uniti e Argentina.

Minelli

Marisa Minelli studia a Milano, ma esordisce nel 1958 al Teatro stabile di Bolzano con Gli innamorati di Goldoni, regia di Fantasio Piccoli. Nel 1960 entra a far parte della compagnia stabile del Gerolamo, dove interpreta un ricco repertorio dialettale, da El zio matt a El testament . Segue il celebre El nost Milan strehleriano, che la lega per sempre al teatro di via Rovello: da ricordare la sua Smeraldina in Arlecchino e Duniascia nel Giardino dei ciliegi . Lavora spesso al fianco del marito Lamberto Puggelli ( Il matrimonio della Lena al Teatro Uomo di via Gulli). L’ultima interpretazione di rilievo è come protagonista in La sposa Francesca di Francesco de Lemene, al Piccolo nel 1991, per la regia di Puggelli.

Maccarinelli

Piero Maccarinelli si diploma alla scuola di regia del Piccolo di Milano nel 1979. Dopo essere stato assistente alla regia di Scaparro e Olmi, nel 1982 inizia la sua carriera di regista. Maccarinelli sceglie di mettere in scena testi contemporanei, in cui il linguaggio è la chiave per trasformare situazioni quotidiane in vicende esistenziali di valore universale. Ricordiamo solo alcune delle sue regie: Teppisti! di Giuseppe Manfridi (Roma, 1985); La fiaccola sotto il moggio di D’Annunzio, con Pamela Villoresi (Roma, 1986); Giacomo, il prepotente di Giuseppe Manfridi, con Elisabetta Pozzi e Massimo Venturiello (Genova, 1989; ne ha curato la regia televisiva nel 1998); Alla meta di T. Bernhard, con Valeria Moriconi (Astiteatro, 1989); L’ospite desiderato di Rosso di San Secondo (Roma, 1990); I soldi degli altri di J. Sterner, traduzione italiana di Masolino D’Amico (Cento, 1991); Verso la fine dell’estate di C. Repetti, con Anna Galiena, Massimo Ghini e Paolo Graziosi (Spoleto, 1992); Festa d’estate di Terence Mac Nally (Latina, 1993); Scuola romana di E. Siciliano (Maccarinelli è anche scenografo; Roma, 1994); Dinner Party di Pier Vittorio Tondelli (Reggio Emilia, 1994); Vita col padre di Clarence Day, con Paola Gassman e Ugo Pagliai (Roma, 1994); Pallida madre tenera sorella di Jorge Semprun, con Gianrico Tedeschi e Moni Ovadia (Milano, 1996); La partitella di Giuseppe Manfridi (Narni, 1996); Il riformatore del mondo di T. Bernhard, con Gianrico Tedeschi e Marianella Laszlo (Milano, 1997); Operette Morali di Roberto Cavosi da Leopardi (Roma, 1998).

Morandi

Ha esordito in teatro nel 1938 dirigendo Fuente Ovejuna di L. De Vega: è questa la prima di un migliaio di regie teatrali e radiofoniche, per un repertorio che ha compreso i grandi classici e i testi più commerciali. M. è stato uno dei primi registi televisivi italiani. In qualità di critico ha collaborato dal 1947 al 1957 con il quotidiano romano “Momento Sera”. Ha insegnato regia radiotelevisiva all’Università internazionale di studi sociali pro Deo.

Moschen

Innovatore dell’antica disciplina della giocoleria. Negli anni ’70 Michael Moschen introduce il genere `contact’, che invece di gettare e riafferrare degli oggetti, prevede che siano questi a scorrere lungo gli arti, con un conseguente lavoro estremamente raffinato sui movimenti del corpo e sulla loro sincronia con quelli degli oggetti utilizzati. Si esibisce prevalentemente con sfere di cristallo e torce infuocate. Alcune sue tecniche vengono utilizzate in Hair (1979), film di Milos Forman. Negli anni ’80 si esibisce con Fred Garbo e Bob Berky nel gruppo dei Foolsfire. Interpreta le giocolerie con sfere di cristallo delle mani di David Bowie nel film Labyrinth (1986). Lavora con il Big Apple Circus. Nel 1988 crea il proprio one man show Michael Moschen in Motion che partecipa a numerosi festival di danza e teatro come quelli di Hong Kong, Perth, Edimburgo, Barcellona e Spoleto. Collabora alla messa in scena de The Alchemedians , off-Broadway del 1986. Negli anni ’90 diventa responsabile della giocoleria del Cirque du Soleil e si dedica all’invenzione di nuove tecniche e nuovi attrezzi. Numerose le apparizioni in programmi televisivi di successo. Nel 1991 crea e dirige lo speciale In Motion with Michael Moschen per la serie Great Performances della Pbs.

Merlini

Formatasi alla scuola fiorentina del Rasi, Elsa Merlini debuttò diciassettenne con A. Ninchi, passando poi con De Sanctis, Baghetti, Falconi, e sostituendo Vera Vergani nella compagnia Niccodemi (1930). A fianco di Tofano e Cimara si affermò come la più irresistibile interprete del genere comico-brillante-sentimentale (Achard, Amiel, Shaw, De Benedetti, Connors) per cimentarsi successivamente nel drammatico in coppia con Cialente (Cechov, Pirandello, Rosso di San Secondo). Nel frattempo il cinema le aveva spalancato le porte della celebrità, sin dall’esordio in La segretaria privata (1931), che inaugurò la stagione dei telefoni bianchi. Attrice ironica, senza eccessi fastidiosi, capace di passare dalla risata contagiosa al rovescio di un’impalpabile malinconia, assurse a simbolo della donna moderna in grado di riscattarsi dalla tutela maschile in virtù di una scanzonata visione del mondo, in paradossale contrasto con la `massaia rurale’ esaltata nel Ventennio. Il suo tentativo di uscire dal maso chiuso del genere brillante sembrò affermarsi con il delicato ritratto di Emilia in Piccola città di T. Wilder, regia di Fulchignoni (1940). Ma poi non trovò a dirigerla un Visconti, uno Strehler, un Costa, tanto che non disdegnò le tavole della rivista (Ma cos’è questo amore con De Sica-Melnati e Gran baldoria con Viarisio) per dedicarsi più avanti a Goldoni (donna Felicita nei Rusteghi al festival della Biennale, regia di Simoni e poi in compagnia con Baseggio). Nei primi anni ’50 tornò al giovanile repertorio patetico-brillante (Bataille, Barillet-Grédy, Sardou, Anouilh, Shaw) o dichiaratamente comico (Feydeau), senza trascurare Pirandello (La signora Morli uno e due) e lasciarsi tentare dalla novità (Il mago della pioggia di Nash). Alla vigilia degli ottant’anni, la sua ultima interpretazione fu in Mela di Dacia Maraini.

Melnati

Figlio di attori, Umberto Melnati calcò le scene già da bambino con la compagnia Boetti-Valvassura. Dal 1921, con Falconi-Di Lorenzo, poi Falconi-Borboni, ottenne parti sempre più impegnative, dando prova del grande talento comico che doveva esprimersi appieno con la compagnia De Sica-Rissone e Za Bum n.8 e n.10 (tra le sue interpretazioni: Elsa la cavaliera , Lucciole della città , Lo so che non è così ). Fu interprete cinematografico di commedie basate su equivoci sentimentali ( Due cuori felici , 1932; La segretaria per tutti , 1933; Rose scarlatte , 1940) e nel Signor Max di Camerini (1937) impersonò l’uomo di mondo futile, contrapposto a De Sica, giornalaio semplice ma pieno di risorse. Nel dopoguerra lavorò spesso a spettacoli di rivista. Non mancano, infine, sue interpretazioni più impegnative: nel 1938 partecipò a Come vi garba di Shakespeare, diretto da Copeau e nel 1946 a Il borghese gentiluomo di Molière.

Magnani

Diplomata alla scuola di recitazione dell’Accademia di S. Cecilia a Roma, Anna Magnani approda in giovanissima età al teatro di prosa. Dal 1929 al 1932 è diretta da Dario Niccodemi lavorando con la compagnia di Vera Vergani e Luigi Cimara. Successivamente passa alla compagnia di Antonio Gandusio. Nel 1934 si dedica al teatro di rivista accanto ai fratelli De Rege ( I Milioni, Non so se rendo l’idea ) e soprattutto, dal 1941, accanto a Totò con il quale crea, fino al 1944, duetti teatrali di strepitoso successo, frutto del perfetto incontro tra la sua personalità aggressiva, pittoresca e mordace e la comicità trascinante del comico napoletano (Quando meno te l’aspetti, Orlando curioso, Volumineide, Che ti sei messo in testa?, Con un palmo di naso ). Ancora nel 1941 si presenta l’occasione, dopo una serie di apparizioni minori, del primo ruolo cinematografico di rilievo: De Sica la vuole, infatti, per interpretare la soubrette di Teresa Venerdì. Qui la Magnani traspone sullo schermo quel tipo di soubrette romanesca, popolana, sfrontata e non convenzionale che aveva già in parte proposto a teatro.

Alla fine della guerra, la Magnani si dedica a una rivista maggiormente legata a contenuti d’attualità e di satira politica: lavora per Garinei e Giovannini con Cantachiaro e Cantachiaro n.2 (1944 e 1945) accanto a Gino Cervi, e con Soffia, so’ del 1945. È di questi anni anche il ritorno alla prosa con testi che mettono in luce la sua maturità scenica e il suo personaggio forte, umano, veemente e complesso: Carmen (1944), Anna Christie di O’Neill (1945), Maya di Gantillon (1946) con la regia di Orazio Costa. L’esperienza teatrale si chiude rapidamente e sporadici saranno i ritorni della M. sulle scene, tra questi vanno ancora ricordate la sua interpretazione, diretta da Zeffirelli, de La lupa di Verga nel 1965, e quella della Medea di Anouilh nel 1966 – firmata da Menotti. Il distacco dal teatro dopo la fine della guerra si giustifica con la sempre più massiccia presenza della M. sugli schermi. Grande successo hanno due film in coppia con Aldo Fabrizi, Campo de’ Fiori del 1943 e L’ultima carrozzella del 1944, dove la M. consacra il suo personaggio di popolana concreta, intelligente, impetuosa e `de core’. Persa la grande occasione di Ossessione di Visconti, a causa dell’attesa di un figlio, la Magnani è Pina di Roma città aperta di Rossellini (1945), film di importanza capitale nella storia del cinema italiano, iniziatore del movimento neorealista, che la vede protagonista di una delle sequenze più celebri della storia del cinema, quella corsa mortale dietro il camion tedesco in cui è imprigionato il marito.

Le sue intense doti drammatiche, non disgiunte all’occasione da una chiara vena comica, vengono in seguito profuse in film di importanza diseguale: L’onorevole Angelina di Zampa (1947), Amore di Rossellini (1948), Assunta Spina di Mattoli (1949), Bellissima di Visconti (1951), La carrozza d’oro di Renoir (1952). L’imporsi nel cinema di un tipo di bellezza `maggiorata’ cui la M. era piuttosto lontana, la convince a lasciare Cinecittà e ad accettare il ruolo di protagonista nell’hollywoodiano The Rose Tatoo (La rosa tatuata, 1955) di Mann, interpretazione premiata dall’Oscar. Conclusa l’esperienza americana, costituita da altri due film di scarso rilievo, la M. lascia ancora due grandi interpretazioni cinematografiche, la carcerata Egle in Nella città, l’inferno (1959) diretta da Castellani al fianco della Masina e Mamma Roma (1962) di Pasolini, prima di una lunga parentesi di inattività, interrotta dalla partecipazione a quattro mediometraggi per la televisione girati da Giannetti nel 1972, opere che ne rilanciarono enormente la popolarità prima della morte.

Mazowsze

Fondata nel 1948 a Karolin, nella regione di Mazowsze, da Tadeusz Sygietynski e da sua moglie Mira Ziminska, la compagnia lavora alla messa in scena di balletti ispirati alle canzoni e alle danze folcloriche polacche. L’ensemble, che conta circa cento elementi, assunse notorietà internazionale dopo il suo debutto a Londra (1957) e a New York (1961). Oltre alla compagnia, a Karolin venne fondata anche una scuola diretta da Mira Ziminska.

Mauriac

Appartiene alla linea degli scrittori cattolici, nei suoi romanzi, tutti più o meno incentrati nella provincia e campagna francese, è il tema delle passioni e della colpa a muovere l’azione ( Nodo di vipere , 1925; Thérèse Desqueyroux , 1927; Gli angeli neri , 1936). Nel 1952 ha ricevuto il Nobel. Nel teatro esordisce con Montefigue (1907), accolto con molto favore dalla critica. Nel 1937 scrive Asmodeo (Asmodée), opera difficile, incentrata sulla figura di un seminarista, che impone con successo la sua rigida morale giansenista a una giovane vedova, mosso unicamente dal desiderio di dominare e possederne l’anima. L’opera suscitò reazioni discordanti da parte del pubblico e della critica. Il linguaggio forte utilizzato, la maestria nella costruzione della complessa psicologia del personaggio, ne fanno un’opera di indubbio interesse. L’indagine sull’animo umano, sondato fino nel profondo delle passioni che lo muovono «al di là e a dispetto delle parole», i rapporti umani con le loro modalità e le loro anomalie, le tensioni dell’anima alle prese con i problemi del male, della grazia e della salvazione sono fra i temi più cari a M. anche nei lavori successivi, come Amarsi male (Mal aimés, 1945), Passaggio del diavolo (Le passage du Malin, 1947), Il fuoco sulla terra (Le feu sur la terre, 1950). È autore anche di saggi e di biografie, tra cui la celebre Vita di Gesù (1936).

Marini

L’attività di Giorgio Marini, caratterizzata dalla stretta collaborazione con personalità del mondo letterario e musicale, si muove attraverso l’interazione tra discipline artistiche diverse. Così, i primi spettacoli come Teologi di Borges (1969), Angelo custode di Fleur Jaeggy (1972), Impuro folle di R. Calasso (1974) e Un tram chiamato Thalulah della Jaeggy (1975), sono tutte elaborazioni personali di testi letterari. Tra il 1976 e il 1980 si dedica al teatro dell’opera come librettista, scrivendo Aspern (1978) e Cailles en sarcophage (1979) con il compositore S. Sciarrino. Queste esperienze lo portano a sperimentare strutture spettacolari articolate, evidenti soprattutto in Doppio sogno di Schnitzler (1981), Diluvio a Nordernej su testi di K. Blixen (1984), Fanatici di Musil (1986), Zoo o lettere di non amore da V. Sklovskij (1991). Si ricordano ancora le messe in scena di Il gran teatro del mondo di Calderón de la Barca, Il bagno di Diana da P. Klossowski (1988), La coltivazione degli alberi di Natale (1989) da tre Ariel poems di Eliot e Riunione di famiglia (1992) sempre di Eliot. Ritorna a dedicarsi alla regia lirica nel decennio 1980-90, collaborando con il Teatro La Fenice di Venezia all’allestimento di Butterfly di Puccini (1983), Rake’s Progress di Stravinskij (1985) e Lulu di Berg (1990). Dal 1989 tiene corsi di recitazione presso l’Università Cattolica, la Scuola d’arte drammatica `P. Grassi’ e l’Accademia d’arte drammatica `S. d’Amico’, i cui saggi conclusivi, come ad esempio Judit (1991) di F. Della Valle e Le danze (1992) su testi di Djuna Barnes e Gertrude Stein, si sono rivelati ottimi esperimenti scenici.

McKellen

Ian Murray McKellen debutta sulla scena londinese nel 1964 nella tragicommedia Il profumo dei fiori (A Scent of Flowers) di James Saunders, interpretazione che gli frutta una stagione al National Theatre e numerose parti da protagonista negli anni immediatamente successivi. Si guadagna una certa notorietà e reputazione di attore intelligente e sensibile recitando per la Prospect Theatre Company alla fine degli anni ’60 in Riccardo II di Shakespeare, e Edoardo II di Marlowe. Nel 1974 si unisce alla Royal Shakespeare Company (Rsc) ottenendo particolare successo al fianco di Judi Dench in Macbeth , ne Le tre sorelle di Cechov, e in La dodicesima notte (The Twelfth Night). Nel 1980 è a New York per la produzione di Amadeus di Peter Shaffer nel ruolo di Salieri, mentre dal 1984 si unisce al gruppo del National Theatre e interpreta Coriolano (Coriolanus) nell’eccezionale produzione di Peter Hall. Negli anni ’90 raccoglie una serie di successi sotto la direzione di Richard Eyre interpretando Riccardo III , Kent in Re Lear , recitando in Napoli milionaria (1991) di Eduardo De Filippo in una versione di Peter Tinniswood e ancora nel ruolo principale dello Zio Vanja (1992) di Cechov.

Mabou Mines

Mettendo a frutto le disparate esperienze dei suoi fondatori, il gruppo Mabou Mines si costituisce ufficialmente a New York nel 1970. Lee Breuer vi riversa il risultato della sua formazione europea al Berliner Ensemble e presso il polacco Teatr Laboratorium, e vi aggiunge l’esperienza californiana di Ruth Maleczech, gli interventi sperimentali di Joanne Akalaitis, e più tardi i contributi musicali di Philip Glass e quelli interpretativi di David Warrilow. I M. M. sviluppano così un’originale poetica nella quale la partecipazione di pittori, scultori, film-maker, videoartisti e compositori musicali si integra al lavoro motivazionale di matrice stanislavskiana, alla ricerca di nuove tecniche narrative e alla sperimentazione multimediale. Nelle produzioni del gruppo sono evidenti diverse anime registiche. Si devono soprattutto a Breuer le divertenti e sofisticate animations , piene di suggestioni visive e spunti minimalisti ( Red Horse , 1970; B. Beaver , 1974; Shaggy Dog , 1978) e le vitalistiche narrazioni cinetiche di The Saint ad the Football Players , 1973, su musica di Glass per un centinaio di giocatori di football). Mentre gli allestimenti della Akalaitis tendono all’ironia (Dead end Kids , 1982) e all’iperrealismo (Through the Leaves , di Kroetz, 1984). Il gruppo è noto inoltre per un pluriennale lavoro sui testi minori di Beckett: Cascando, Gli sperduti, Commedia combinano il rigore drammaturgico e l’ingegno della realizzazione visiva, nella quale è comunque determinante la ricerca vocale di Warrilow.

Moreno

Dopo gli studi al Conservatorio, esordisce nel 1890 sul prestigioso palcoscenico della Comédie-Française nel Ruy Blas di Hugo. Attrice non bella ma dotata di intensa forza espressiva e di una notevole gamma vocale, M. colpisce Anatole France che le affida un ruolo nelle sue Noces corinthiennes nel 1902. L’anno successivo lascia la Comédie per recitare con la grande Sarah Bernardt. Nel 1908 si reca a Buenos Aires dove contribuisce a fondare il Conservatoire. Tornata a Parigi nel 1913, riprende a recitare in particolare in ruoli da caratterista. Durante gli anni ’30, ormai invecchiata, la M. riesce a crearsi inediti spazi: enfatizzando i propri difetti (voce arrochita e lineamenti non armoniosi) spicca in ruoli che mettono in valore la sua verve e il suo spirito indomito. Trionfa così nella memorabile Folle de Chaillot di Giraudoux diretta da L. Jouvet (1945). Ancora durante gli anni ’30 diviene attivissima sul fronte della rivista e del musical. Attrice cinematografica piuttosto nota in Francia, la M., pur non apparendo in pellicole di rilievo, si impone proponendo sullo schermo personaggi femminili autoritari, saccenti e pedanti spesso di grande efficacia comica. Recita anche al fianco della scrittrice Colette, sua grande amica (basti pensare alla raccolta Lettres à Marguerite Moreno ), nel ruolo irresistibile della pestifera madre di Chéri nella pièce omonima.

Mascia

Dopo una breve esperienza nella compagnia di Eduardo De Filippo (Il sindaco del rione sanità, Gli esami non finiscono mai ), Nello Mascia fonda la Coop. Teatrale Gli Ipocriti che dirige e di cui è l’animatore principale per circa venticinque anni. In questa struttura profonde ogni energia e ad essa dedica gran parte della sua attività di attore, regista e direttore artistico. Si pone all’attenzione della critica e del pubblico nel 1980 interpretando il personaggio del sagrestano Pacebbene in Uscita di emergenza di Santanelli, in coppia prima con Bruno Cirino, poi di Sergio Fantoni. Nel 1983-84 è al Piccolo Teatro dove interpreta Trinculo nell’allestimento strehleriano de La tempesta di Shakespeare che inaugura il Teatro d’Europa all’Odéon di Parigi. Dal 1986 si dedica alla divulgazione e alla valorizzazione dell’opera di Raffaele Viviani di cui presenta quattro spettacoli: L’ultimo scugnizzo , regia di Ugo Gregoretti; Fatto di cronaca , regia di Maurizio Scaparro; Guappo di cartone , regia di Armando Pugliese; La musica dei ciechi , regia di Antonio Calenda. Si ricorda anche il suo esilarante Don Marzio ne La bottega del caffè di Goldoni al Teatro di Roma con la regia di Mario Missiroli nel 1993. In televisione nel 1979 è l’operaio Marco nello sceneggiato in quattro puntate Tre operai dal romanzo di Carlo Bernari per la regia di Francesco Maselli. Nel 1983 è protagonista del Carmagnola , libero adattamento di Ugo Gregoretti dalla tragedia di Alessandro Manzoni. Nel 1997 è il crudele Ferdinando in I conti di Montecristo , singolare versione di Ugo Gregoretti dal romanzo di Dumas. Nel cinema nel 1998 è tra i protagonisti de La cena di Ettore Scola.

Mostel

; Brooklyn 1915 – Hollywood 1977), attore statunitense. Si affermò nel cabaret, ma nel corso di una carriera ostacolata per alcuni anni dal maccartismo fece valere la sua prepotente vis comica , la sua capacità di rendere creativamente espressiva l’estrema mobilità del volto, la sorprendente duttilità del suo corpo massiccio in una serie di eccellenti interpretazioni, dal Malato immaginario di Molière al Rinoceronte di Ionesco, culminate in un memorabile Ulysses in Nightgown , nel quale impersonava il Leopold Bloom del romanzo di Joyce e in un trionfale musical, il Violinista sul tetto di J. Bock. Grandi anche le sue interpretazioni cinematografiche ( Il rinoceronte , 1974; Il prestanome , 1976).

mimo

Nel teatro greco-romano stava a indicare una composizione di natura istrionica e buffonesca non ancora autonoma dal teatro drammatico, trasformato nel XVIII secolo in genere popolare che si arricchiva di vere e proprie azioni mute tratte dal grande patrimonio pantomimico della commedia dell’arte. I mezzi non verbali dell’attore, piuttosto la mimica facciale, gli atteggiamenti e altre efficaci trovate verosimili si riassumono in una prima classificazione e separazione tra azioni mute e pantomima negli scritti di Diderot (1758), mentre è il trattatista Antonio Morrocchesi nel 1832 con le Lezioni di declamazione e d’arte teatrale a rilevare l’importanza della scena muta ma solo come `controscena’ all’azione dell’attore. Che il gesto e la pantomima fossero fondamentali al linguaggio teatrale, considerando il corpo un messaggero di significati più complessi (vedi L’art mimique, suivi d’un traîté de la pantomime et du ballet , Charles Aubert, 1902), bisognava attendere prima gli studi dei movimenti corporei di François Delsarte (1811-1871), e successivamente le influenze di quelle esperienze che si collegano al teatro giapponese, al cabaret di Karl Valentin o ai clown. Se Delsarte affermava che «per ogni sentimento esiste un gesto e uno svolgimento», la marionetta di Gordon Craig, e prima ancora di Kleist, sposta l’accento del corpo su una gestualità prevalentemente dinamica e scultorea decisamente influenzata dalle avanguardie artistiche del primo Novecento, e tra queste lo studio sull’improvvisazione pantomimica di Mejerchol’d definitivamente conclusosi nel riportare la biomeccanica a pratica laboratoriale. Il mimo è ancora configurato come forma teatrale non autonoma dal regista del Vieux-Colombier Jacques Copeau, benché egli affermi che possa esistere almeno teoricamente una specificità mimica nell’espressività dell’attore. Sarà un allievo di Copeau, Decroux, a rivoluzionare quegli esercizi del corpo propedeutici alla preparazione dell’attore, sviluppandone le potenzialità corporee in quanto conoscenza e consapevolezza di sé, delle proprie energie drammatiche e spirituali, elevandole a segno d’arte. Quello che per Decroux è una pedagogia che va ben oltre lo spettacolo e che ha per fine il `mimo corporeo’ (1931), sulla stessa scia Jacques Lecoq ricercherà una propria maschera e in un secondo tempo si dedicherà all’insegnamento, altri continueranno a intendere il mimo nella direzione di elemento accessorio al teatro (Barrault) o di intensità emotiva didascalica e bozzettistica (Marcel Marceau). Mantenendo fede ai principi di autonomia artistica del mimo rispetto al teatro, Eugenio Ravo continua la lezione di Decroux, del quale è stato studente e in un secondo tempo assistente, analizzando l’espressione del corpo in un contesto di narratività partenopea, che recupera quella matrice della commedia dell’arte decisamente istrionica.

Modugno

Ludovica Modugno esordisce a soli quattro anni in uno sceneggiato televisivo. Nel 1956 debutta in teatro, con la regia di Salvini, nell’ Alcesti di Euripide. Approda poi al Piccolo Teatro di Milano dove recita in Le Troiane (1965), di Euripide con la regia di Tolusso e Le baruffe chiozzotte di Goldoni, regia di Giorgio Strehler (1966). Nel 1972 è nel Peer Gynt di Ibsen, diretto da Giorgio Bandini. Nello stesso anno interpreta Uomo vendesi, la fabbrica è occupata , partecipando attivamente a un tipo di teatro d’azione politica… Tra gli altri lavori di quegli anni ricordiamo L’intellettuale collettivo del 1970 e, nel 1971, Viva Cuba .

Maletti

Fratello di Cesare. Erio Maletti è sempre stato definito il rampollo degenere del nobile casato dei burattinai modenesi. Dotato di grande fantasia alterna la sua carriera di burattinaio con spettacoli di arte varia. Negli anni ’50 con la collaborazione della moglie Ada fonda la Compagnia italiana burattinai e con questo spettacolo viaggiante gira in lungo e largo tutta la costa Adriatica. Attualmente opera, con la nuova compagnia Erio’s, sulla costa romagnola.

Mondaini

Figlia d’arte di Giaci, un noto pittore e umorista del “Bertoldo”, Sandra Mondaini è stata l’unica soubrette italiana a scegliere, quando ancora sulle passerelle frusciavano vestiti milionari e sorrisi cinemascopici, il lato comico del varietà, quello per cui era indispensabile saper recitare: a convincerla che era sulla strada giusta fu Marcello Marchesi, amico di famiglia. Ieri Cutolina, poi Sbirulina, oggi eterna mogliettina capricciosa ma fedele di Raimondo Vianello in una infinita `sit com’ per la tv, la Mondaini ha preso il via anche lei scelta da Macario che l’aveva vista come `generica fissa’ nel 1953, con Pandolfi e la Steni, in uno dei primi programmi televisivi registrati allora dagli studios di corso Sempione, a Milano, dove l’attrice viveva e vive anche oggi. Accanto al grande comico, imparò l’umiltà della professione e la disciplina ferrea del palcoscenico, quando ogni minimo sbaglio costava una multa che poteva arrivare alle tremila lire. Non più una donnina, non più una soubrettina come era stata con Scotti, Campanini e con Rascel in Attanasio cavallo vanesio , quando Sandra debuttò in L’uomo si conquista la domenica di Amendola e Maccari (1955-56), col nome in ditta, c’era spazio, accanto alla maggiorata Flora Lillo, per una nuova soubrette che fosse soprattutto attrice brillante e che, come Delia Scala, ribaltasse le convenzioni del lusso e del fascino alla francese della prima donna. Sandra faceva per tutto lo spettacolo la bambinaccia petulante, ma alla fine arrivava con una grande toilette, «mi tiravo sù tutto il seno che avevo ed ero applauditissima». Con Macario, in una trilogia di riviste, ebbe un successo straordinario, che significava anche l’adesione del pubblico per la nuova immagine sbarazzina, confermata in E tu biondina… di Amendola e Maccari (1956-57), musiche di D’Anzi dove Macario e la Mondaini sono due guitti felici nella Lombardia del 1859, in un flashback di un secolo. Il terzo titolo, il più debole, fu Non sparate alla cicogna! di Amendola e Maccari (1957-58), fantarivista con la bomba atomica in scena e alcune bellone, fra cui Julet Prowse, indiavolata ballerina e la Tamantini.

L’anno dopo, nel 1958, Sandra ha il suo colpo di fulmine privato, incontra il giovane attore all’inglese Raimondo Vianello (che sposa nel ’62) e con lui e con Gino Bramieri, due comici diversi di taglia e di stile, forma una simpatica `ditta’ giovanile che s’impone con successo in Sayonara Butterfly di Marchesi, Puntoni e Terzoli, parodia dell’opera pucciniana con una giapponesina che insegue il suo marine con sette sorelle e un fratello. La stessa `ditta’ presenta nella stagione 1959-60, con esiti più modesti, una rivista molto tradizionale, Un juke box per Dracula , dove i bersagli erano quelli dell’attualità: il linguaggio di Pasolini, gli urlatori a Sanremo, Lolita, i juke box, l’imitazione di Fanfani (un classico), la moda horror del ritrovato Dracula e la Mondaini che si sdoppia e fa la romantica di giorno e l’arrabbiata di notte. In scena c’erano una vecchia gloria come Carlo Ninchi e un debuttante come Renzo Montagnani, mentre i solisti del ballo sono Evelyn Greaves e Budd Thompson, primi nomi di un gruppo allora molto noto, i Paul Steffen dancers. Nella stagione successiva la Mondaini passò alla ditta di Garinei e Giovannini che l’utilizzarono nel musical che fu l’ultimo della sua carriera, Un mandarino per Teo , musiche di Kramer, scene e costumi di Coltellacci. Recitava, con Bonucci e Ave Ninchi, accanto a Walter Chiari. La carriera rivistaiola di Sandra finisce qui, con questo fortunato spettacolo (ripreso da Micheli nella stagione 1998-99). Fece ancora un’apparizione teatrale nell’ Ora della fantasia della Bonacci con un giovanissimo Pippo Baudo (la commedia da cui Billy Wilder trasse Baciami, stupido ), e infine fu nel cast di un testo comico dell’inglese Alan Ayckbourne, Assurdamente vostri prodotto nel ’76 da Garinei e Giovannini, accanto a Miserocchi, Bonagura, Enzo Garinei. In seguito la Mondaini si è dedicata con grande successo popolare alla tv di famiglia.

Mortimer

Dopo alcuni romanzi passò al teatro a lui più congeniale soprattutto nella forma dell’atto unico: Avvocato d’ufficio ( The Dock Brief , 1957), nato come radiodramma successivamente portato in televisione e in teatro, Cosa diremo a Caroline? ( What Shall We Tell Caroline? , 1958), Uno più otto ( One ever eight , 1958), Davide e Broccoli ( David and Broccoli , 1960) e Ora di colazione ( Lunch-hour , 1960). Tra le commedie in tre atti: L’altra parte del parco ( The Wrong Side of the Park , 1960), Viaggio intorno a mio padre ( A Voyage round my Father nel 1963 per la radio e nel 1970 per il teatro) e Collaboratori ( Collaborators , 1973). Negli anni ’80 ha pubblicato Edwin (1982) e una raccolta di adattamenti suoi da Feydeau ( Three boulevard farce , 1985). M. autore della `new wave’ punta il suo sguardo sui conflitti generazionali interni alla middle-class immergendo le pieces in un’atmosfera che spesso ricorda quella di Cechov. È la situazione più che i caratteri o il plot, che colpisce tanto che si potrebbe parlare di commedie di situazione. Nonostante M. consideri le sue opere parte integrante della guerra contro l’ establishment e l’arbitrario codice di comportamento che domina sugli uomini, mantiene uno stile piuttosto tradizionale, rispetto agli scrittori a lui contemporanei.

Migneco

Frequenta la prima scuola del Piccolo fondata da Strehler e Paolo Grassi. Debutta quindi in radio, e poi al Piccolo stesso, dove partecipa a sette produzioni. Lavora quindi con lo Stabile di Trieste, al teatro Sant’Erasmo, e in molte produzioni della compagnia Volonghi-Buazzelli-Lionello. Lascia il teatro per la famiglia per molti anni, ma torna al palcoscenico al teatro Franco Parenti dove rimane per dodici anni.

Marchegiani

A ventun’anni Fiorenza Marchegiani si iscrive all’Accademia d’arte drammatica di Roma. Dopo un provino con Squarzina, viene chiamata dallo Stabile di Genova per La foresta di Ostrovskij. Ricordiamo inoltre I due gemelli veneziani di Goldoni con la regia di Squarzina, nel 1979. Nel 1983 con la regia di Aldo Terlizzi interpreta Metti una sera a cena di Patroni Griffi, con Michele Placido e Fabrizio Bentivoglio. Nel 1989 è nella Signorina Giulia di Strindberg, con il Consorzio Teatrale Calabrese, regia di Enzo Siciliano e, sempre di Siciliano, interpreta Singoli . Nel 1997-98 lavora in Fiori d’acciaio , regia di Teodoro Cassano, al fianco di Anna Mazzamauro e Luciana Turina.

Mariani

Gli inizi di Mario Mariani sono all’Accademia dei Filodrammatici, in seguito collabora con gli Stabili di Bolzano e Trieste e il Piccolo Teatro di Milano. Nel 1970 fonda il Gruppo della Rocca con F. Brogi, B. Marchese, G. Guazzotti e vi resta sempre legato. Interpreta, tra le sue numerose parti, Cleandro in Clizia di Machiavelli, per la regia di R. Guicciardini (1970) e Bottom in Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, diretto da E. Marcucci (1972). È Prometeo in Josef K. fu Prometeo scritto e diretto da G. De Monticelli (1983) e Debuisson in Missione di H. Müller (1985). Diventa Casanova in Casanova al Castello Dux di K. Gassauer diretto da D. Desiata (1986). I suoi ultimi spettacoli sono con il Gruppo della Rocca: Turandot-Farsa degli imbianchini a congresso di Brecht (1991), Molière, divertissement a Versailles (1992) e l’ultimo Lezioni di cucina di un frequentatore di cessi pubblici di Rocco D’Onghia.

Maggio

Rosalia Maggio è la ‘guagliona’ della famiglia, e la più bella insieme con Dante. Con l’aggiunta di una straordinaria duttilità espressiva e di una tecnica eccezionale, affinata nel corso di una carriera che toccò tutti i generi dello spettacolo, dalla prosa alla rivista, dalla sceneggiata al varietà, dalle feste di piazza all’operetta. Senza mai dimenticare il suo Viviani, del cui splendido atto unico La musica dei ciechi nel ’79 diede, forse, la migliore interpretazione che si ricordi. Del resto, di che cosa sia capace Rosalia si accorgono anche gli spettatori più giovani quando, nell’83, Antonio Calenda riesce nell’impresa di riunire lei, Beniamino e Pupella nell’ormai leggendario spettacolo ‘Na sera ‘e… Maggio . Non a caso, d’altronde, Rosalia, ininterrottamente, si trovò sempre al fianco di star indiscusse e d’impresari di prestigio: tanto per fare solo qualche nome in ordine sparso, Eduardo De Filippo, Anna Fougez, Armando Gill, Lucio Ardenzi, Walter Chiari, Giovan Battista Meneghini (sì, proprio il marito della Callas!), Mario Carotenuto, Katina Ranieri, Johnny Dorelli, Renato Rascel… fino – ovviamente, se parliamo di sceneggiata – a Mario Merola.

Magni

Eva Magni ha esordito come prima attrice giovane nel 1926 nella compagnia diretta da Pirandello a Udine. Dopo esser stata brevemente nella formazione di riviste (Za Bum) ebbe rapidi passaggi ancora con Niccodemi, la Galli, Maria Melato e, dal 1933 al 1935, fu accanto a A. Falconi. Dal ’35 al ’37 fu con la Ricci-Beltrami, e nel ’38 con M. Benassi. Nel 1933 Reinhardt la chiamò a interpretare il ruolo di Puck nella famosa messinscena del Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, al giardino di Boboli a Firenze. Tornata nuovamente con Ricci (in ditta con L. Adani), da allora non lo abbandonerà più, diventando nel 1940 prima attrice. Con il grande attore, che sposerà nel 1960, formerà duratura compagnia, compiendo numerose tournée anche all’estero. Attrice di forte temperamento drammatico, capace di portare note personalissime nei personaggi creati, ebbe repertorio quanto mai vasto e vario, spaziando dai classici agli autori contemporanei. Particolarmente apprezzate le sue interpretazioni shakespeariane (Troilo e Cressida, Giulio Cesare, Antonio e Cleopatra) ma forse più ancora nei drammi di O’Neill, quali Lungo viaggio verso la notte (1956, più volte ripreso) e L’estro del poeta (1958). Altri suoi successi: in Cocktail party di Eliot, La regina morta e Il cardinale di Spagna di Montherlant e Torna piccola Sheba di Inge. Dopo la morte del marito, le sue apparizioni sono state rare. Tra le sue ultime interpretazioni, Una strana quiete di Mainardi (Milano, 1976).

Moiseev

Finiti gli studi all’Istituto coreografico di Mosca Igor’ Aleksandrovic Moiseev è ballerino al Teatro Bol’šoj dal 1924 al 1939. È primo interprete del ruolo di Raul in Teolinda (1925) di Kasjan Golejzovskij, è protagonista di balletti del repertorio ottocentesco ( Corsaro , Il cavallino gobbo , La fille mal gardée) e sovietico (Giuseppe il Bello , Salambo , Il calciatore di Football , I tre grassoni) e autore di balletti per opere (Turandot , Il Demone , Carmen). Nel 1937 fonda L’ensembl’ Narodnogo Tanca Sssr del quale è direttore e coreografo principale e con il quale innova profondamente la coreografica folkloristica. I suoi principali lavori sono Quadri dal passato (1937), Strada di Kolchoz (1938), Suite marinara (1949), I partigiani (1950), La via della danza (1970), Notte sul Monte Calvo (musica di Musorgskij, 1984), Suite Greca (musica di Teodorakis, 1991). Possiede una profonda conoscenza del lessico coreografico e una capacità di usarlo come mezzo espressivo. Dei suoi spettacoli non è soltanto coreografo ma anche drammaturgo e regista. Nel 1966 fonda l’Ensembl’ Molodoj Balet, di cui è direttore sino al 1970. Ha realizzato i film Perpetuum Mobile (1967) e Il Balletto di Igor’ Moiseev .

Montecarlo,

Il festival internazionale del circo di Montecarlo viene organizzato nel principato di Monaco dal 1974, quando il Principe Ranieri, che da giovanissimo frequenta i circhi stabili parigini, presa coscienza del momento di crisi del settore, decide di rilanciare l’immagine di questa antica forma di spettacolo. Scopo della manifestazione è «segnalare i migliori artisti, promuovere l’immagine del circo nel mondo, aprire la pista a tutti senza distinzioni». La manifestazione riscuote subito un grande successo e dalla sua nascita è vista da oltre 450.000 spettatori che applaudono oltre 700 numeri provenienti da tutto il mondo. Il festival vede sfilare grandi artisti e segue, passo passo, i cambiamenti e gli sviluppi delle varie discipline dell’arte circense. La manifestazione è competitiva, con alcuni spettacoli di selezione e uno finale con la consegna dei trofei ai numeri migliori. Il premio è una statuetta scolpita da Paule Male, l’effige di un clown d’oro o d’argento. Vi sono poi altri riconoscimenti minori dedicati a particolari discipline o caratteristiche. La scelta dei numeri da premiare spetta a una giuria presieduta dal principe e formata, in un primo tempo da importanti personalità dello spettacolo (fra le quali si ricordano Sean Connery, Cary Grant, Michael York e i nostri Alberto Sordi e Giulietta Masina) o da colleghi e amici di Grace Kelly, in seguito da esperti direttori di circo provenienti da tutto il mondo. La preselezione dei numeri viene effettuata da un comitato che cambia di edizione in edizione e che è coordinato dallo stesso principe. Alla direzione di pista e alla logistica si alternano prestigiose famiglie europee, dai Bouglione agli Orfei, dai Togni ai Bronette fino ai Knie.

Figura importante è quella del messicano Eduardo Murillo, già valido acrobata al trampolino e collaboratore di Enis Togni, che rimane per oltre dieci anni direttore di pista del festival. Ogni anno partecipano oltre centocinquanta artisti, quindici musicisti e altrettanti assistenti di pista del Circo di stato della Polonia, una cinquantina di professionisti di varie categorie, interpreti, hostess, tecnici della Tv. La manifestazione è saltata solo tre volte: nel 1979, per la scomparsa di Grace Kelly, nel 1982 per problemi tecnici, e nel 1991 per le tensioni dovute allo scoppio della guerra del golfo. Dalla metà degli anni ’80 il festival viene spostato da dicembre ai primi giorni di febbraio, data in cui i vari circuiti circensi sono per lo più inoperativi e permettono quindi ad ogni nazione di partecipare. Nel 1987 viene inaugurata una costruzione semi stabile da 4.200 posti che nel corso dell’anno ospita numerose altre manifestazioni. Il festival diventa il principale punto d’incontro degli operatori del settore: artisti, direttori di circo, agenti, giornalisti, semplici appassionati. Dal punto di vista artistico merito della manifestazione, oltre a quello di raccogliere i migliori numeri in circolazione, è anche di aprirsi alle scuole orientali e in seguito all’evoluzione dell’arte circense, ospitando, pur nel contesto di un modello tradizionale di spettacolo, dapprima (metà degli anni ’80) numeri rappresentativi del circo di regia russo e in seguito (primi anni ’90) artisti provenienti dal canadese Cirque du Soleil. L’Italia conquista in tutto nove statuette, due dorate e sette d’argento. Il primo clown d’oro italiano è del 1987 a Massimiliano Nones con il numero di dodici tigri del circo di Moira Orfei. Nel 1996 è la volta della `Festa del Cavallo’ presentata dai Casartelli-De Rocchi, del Circo Medrano.

Di un italiano un altro importante primato: Flavio Togni (Circo Americano) è l’unico artista ad aver conquistato tre argenti e l’unico a essere salito tre volte sul podio nell’arco di oltre vent’anni (1976, 1983 e 1998). Ecco tutti i trofei italiani: 1976 argento a Flavio Togni (elefanti); 1977 argento ai Canestrelli (naturalizzati americani, trampolino elastico); 1979 argento ai Nicolodi (acrobatica a terra); 1983 argento a Flavio Togni (gruppo misto di cavalli ed elefanti); 1987 oro a Massimiliano Nones (tigri); 1988 argento a David Larible (clown); 1989 argento a Stefano e Lara Orfei Nones (alta scuola e animali esotici); 1996 oro ai Casartelli-De Rocchi (`festa del cavallo’); 1998 argento a Flavio Togni (cavalli). Ma non sempre il pubblico e gli operatori sono d’accordo con le decisioni della giuria. Le principali critiche riguardano il cambiamento di tendenza avvenuto alla terza edizione, dopo che le prime due hanno visto in pratica consegnare il clown d’oro alla carriera a Charlie Rivel, Alfred Court e ad Alexis Gruss. Dalla terza edizione in poi si passa alla vittoria sul campo, eccezion fatta per la VII, quando si aggiudica il trofeo Oleg Popov, che non sembra però brillare negli spettacoli di selezione. Altra critica è quella di premiare a volte con leggerezza numeri russi, cinesi e coreani. Gli spettacoli del festival internazionale del circo di Montecarlo vengono trasmessi dalle televisioni di mezzo mondo diffondendo ovunque l’immagine del principato, ma anche quella di una forma d’arte capace di profonde riflessioni sui propri codici e di conseguenti evoluzioni.

Minarik

Dopo aver fatto parte della compagnia di balletto stabile di Wuppertal, nel 1973-74 viene scritturato da Pina Bausch subentrata, allora, alla direzione dello stesso teatro. Da quella stagione M. è sempre rimasto nella compagnia della Bausch, partecipando a tutti i suoi spettacoli. Con la sua presenza prepotentemente virile riveste spesso ruoli forti e autoritari: esemplare è la parte di Barbablù in Blaubart (1977), ma anche quelle di presentatore-poliziotto in Nelken (1983) e ancora di dispotico presentatore in costume da bagno con cuffia elastica in Auf dem Gebirge hat man ein Geschrei gehort (Sul monte si è sentito gridare, 1984). Giocando sulla sua mascolinità, ha dato vita anche agli ironici travestimenti da donna in Arien (1979) e Palermo Palermo (1991). Dirige una scuola di danza a Wuppertal.

Moretti

Moretti Marcello intraprende, non più giovanissimo, gli studi di recitazione all’Accademia nazionale d’arte drammatica. Si diploma nel 1940 interpretando, nel saggio finale, l’ Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni, che rimarrà come un segno indelebile nel destino della sua carriera di attore. Dopo aver recitato in Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare (1941) è di nuovo Arlecchino goldoniano per la regia di Alberto d’Aversa, nel 1947 entra a far parte del Piccolo Teatro di Milano partecipando allo spettacolo inaugurale e collaborando a diversi progetti. Sempre nello stesso anno Strehler allestisce il suo Arlecchino con il proposito di valorizzare l’importanza della riforma goldoniana nel recupero della tradizione della commedia dell’arte. Moretti è il protagonista di questo progetto: interpretando Arlecchino nell’arco di tredici anni e portandolo in ventisei diversi Paesi del mondo, l’attore dedica quasi interamente la sua carriera allo studio di questo personaggio. Ne perfeziona l’interpretazione lavorando sulle sue doti di mimo e caratterista e, nel recupero di un repertorio di movenze, gestualità, espressioni di una tradizione secolare, compie una vera e propria riscoperta dello spirito della commedia dell’arte. Al di fuori del personaggio di Arlecchino, nella commedia goldoniana, Moretti interpreta con successo altri lavori del Piccolo Teatro, tra i quali sono da ricordare: Don Giovanni di Molière (1948), Questa sera si recita a soggetto di Pirandello (1949), L’amante militare di Goldoni (1951), Il revisore di Gogol’ (1953), L’anima buona di Sezuan di Brecht (1958). La sua ultima grande interpretazione da ricordare prima della morte è quella di Bérenger in Il rinoceronte di Ionesco del 1960.

Malandrino

Il percorso di Roberto e Veronica Malandrino si snoda soprattutto in televisione che, tra le tante partecipazioni, li vede nel cast di Quelli che il calcio come commentatori sportivi, con i personaggi di Marcolino e Padre Buozzi. Quest’ultimo è il protagonista di Padre Buozzi Show , che arriva in teatro nel 1995. Segue, sempre in teatro, Il bacio del diavolo (1997). Al cinema interpretano: Per non dimenticare , Il toro , Vesna va veloce e Un giorno fortunato .

Manfredini

Danio Manfredini si forma negli anni ’70 partecipando al lavoro di Cesar Brie, Dominic De Fazio e Iben Rasmussen dell’Odin Teatret, presso il Laboratorio del centro sociale Isola di Milano e poi al centro Leoncavallo. Con La crociata dei bambini di Brecht (1984), Notturno (1985) e soprattutto con Miracolo della rosa (1988) definisce un’immagine solitaria di attore estraneo a percorsi codificati, autore di un teatro personale e anarchico, interessato a situazioni di marginalità sociale ed estraneo ai compromessi con il mercato. Seguono il recital Misty (1989), La vergogna (1990) e i Tre studi per una crocifissione, nei quali viene ancora più approfondito il rapporto con la realtà psichiatrica (M. è anche operatore dei servizi territoriali) e con la pittura, quella di Francis Bacon in particolare, come visione interna da riportare all’attenzione emotiva dello spettatore. Nel 1996 collabora alla drammaturgia degli spettacoli di danza di Raffaella Giordano, cui fa seguire la lunga elaborazione di Al presente (1998).

Malina

Nata in Germania ed emigrata bambina negli Stati Uniti, Judith Malina studiò recitazione al Dramatic Workshop fondato da Piscator allora esule in America e partecipò anche, in ruoli minori, a spettacoli televisivi. Nel 1948 sposò Julian Beck e fondò con lui il Living Theatre, del quale condivise tutta l’avventurosa storia, facendo dell’impegno artistico e politico la sua principale ragione di vita. Di molti degli spettacoli prodotti da questo gruppo fu regista, a volte in collaborazione con Beck e a volte no (ma la coppia era inscindibile ed è difficile distinguere fra i loro contributi), di quasi tutti l’interprete spesso straordinaria. Fra le tante memorabili tappe della sua carriera, rimase impressa nella memoria di chi ebbe la ventura di vederla soprattutto l’ Antigone (1967) di Brecht da lei stessa tradotta, ma la sua presenza, in scena o dietro le quinte, fu determinante in tutta la storia del gruppo. Che continua a dirigere (insieme con Hanon Reznikov) anche dopo la morte di Beck (1985), compiendo soprattutto interventi provocatori nel sociale e continuando a diffondere lo stesso messaggio anarchico-pacifista. Nel 1994 ha recitato in italiano una riduzione di Maudie e Jane di Doris Lessing.

musical

Se dobbiamo semplificare al massimo, il musical è uno spettacolo composto di canto, danza e recitazione e interpretato da attori, cantanti e ballerini: talvolta le tre qualifiche riunite in una sola persona, talvolta ad indicare tre gruppi diversi; m. è un aggettivo. È, quando definisce uno spettacolo, l’abbreviazione di un musical comedy (commedia musicale) e questo sarebbe il modo corretto di indicarlo, vuoi in inglese vuoi in italiano. Ma la parola m., ormai, si è spinta oltre e viene usata per indicare il musical drama (dramma musicale), come lo splendido The Cradle Will Rock di Marc Blitzstein, per esempio; oppure qualcosa che andrebbe più correttamente definito come operetta, come Rosalie di Cole Porter. In tempi più recenti la definizione m. è passata a indicare anche la cosidetta opera rock, come Jesus Christ Superstar , e altri altri succedanei sia di Andrew Lloyd Webber che della copppia Boublil & Schönberg, sicché il purista del m. (o almeno della coretta definizione di m.) rabbrividisce quando sente citare le opere di questi autori come `unici’ esempi di m. Comunque, ormai, la definizione si è abbastanza allargata alle varie forme di spettacolo che sono all’origine del musical stesso.

Se è corretto affermare che l’origine storica del musical è quel mitico The Black Crook andato in scena il 12 settembre 1866 al Niblo’s Garden Theatre (per la cronaca lo spettacolo durava cinque ore e mezza!) e nata per caso dall’unione fra una compagnia di ballo e canto importata dall’Europa e rimasta senza teatro, con una compagnia di prosa alle prese con una messa in scena assai più costosa del previsto, bisogna comunque e continuamente ricordare le origini di spettacolo popolare che ha il musical E qui popolare non ha affatto la connotazione di `volgare’ o `basso’. No, popolare nel senso di rivolgersi alla massa del pubblico, a un pubblico molto variegato che doveva poter seguire lo spettacolo come il vaudeville (corrispondente al nostro varietà). Proprio negli Usa si riuniva un vasto, seppure non ricco di denaro, pubblico potenziale formato di gente che aveva in comune una grande caratteristica: appartenendo alle etnie più diverse, essendo formato di immigrati in Usa, facilmente non parlava bene (o affatto) e non intendeva bene (o affatto) la lingua franca della nazione: cioè l’inglese. Il musical dunque, supera lo spezzettamento del varietà, lega il pubblico all’interesse per una storia (che traspare chiaramente nello spettacolo) e lo affascina con lo stesso tipo di emozione circense che lo aveva colpito nel vaudeville: la bravura degli atleti, la grazia delle ballerine, la capacità nel canto, e così via. E proprio come nell’Europa del melodramma l’entusiasmo del pubblico e la generosità dei mecenati avevano concorso a un moltiplicarsi di opere (di Opere), anche a New York, a Broadway, nasce una tradizione che si diffonde a macchia d’olio, che porterà gli spettacoli fuori dai confini di Manhattan e in giro per le grandi e le piccole città degli Usa; e già negli anni ’20 certi spettacoli di Broadway cominciano a raggiungere i teatri del West End a Londra e magari, ma più tardi, altre città in Europa.

Ancora più tardi, il musical, figlio e nipote di forme teatrali nate in Europa, ai paesi non anglofoni in Europa sta tornando; vuoi tradotto nelle rispettive lingue, vuoi `sopratitolato’ (come l’opera lirica al Metropolitan di New York) vuoi affidandosi, come alle origini del genere, a quella capacità stessa dello spettacolo di rendersi comprensibile al pubblico per la sua forma peculiare. Inutile dire che la diffusione del musical attraverso le versioni che ne ha fornito il cinema di Holliywood, ha contribuito alla maggiore conoscenza e popolarità di questo genere. Una distinzione comunque va fatta quando si parla di musical: è quella tra il classico backstage musical (musical fra o dietro le quinte), un tipo di spettacolo che racconta se stesso mettendo in scena la messa in scena di uno spettacolo o qualunque altro pretesto affine: vedi l’esempio altissimo di The Band Wagon ( Spettacolo di varietà si chiamava il film che ne fu tratto nel 1953) e il musical di tipo narrativo, quando questa peculiare forma di spettacolo viene scelta per raccontare o tradurre una storia, che può essere tratta da un romanzo, un ciclo storico o addirittura una commedia, come, per esempio Man of La Mancha , Camelot o Hello, Dolly!

Merlini

«Insomma, ero proprio un gran pezzo di figliola», disse Marisa Merlini. Perciò venne scelta da Mariuccia Macario, talent scout dal fiuto infallibile, moglie di Erminio Macario e addetta alla cernita delle famose `donnine’ che circondavano il comico torinese. Esordio, ottobre 1941 al teatro Valle di Roma, nella rivista Primavera di donne , nel ruolo di contorno alla soubrette, che era Wanda Osiris. Da ragazzina aveva frequentato a Roma la scuola di recitazione della contessa Serra, partecipando agli spettacoli del Teatro dei fanciulli (oggi teatro Flajano) curati da Vittorio Metz; con lei, nel gruppo c’erano Antonella Steni, Lilia Silvi (futura diva dei film dei `telefoni bianchi’), Lilly Granado (altra procace soubrettina). Poi il padre abbandonò la famiglia una moglie e cinque figli nella miseria più nera. Marisa diventò commessa al banco di profumi in un emporio, e qui arrivò l’offerta di Mariuccia Macario: 130 lire al giorno, la paga che all’emporio guadagnava in un mese. Accettò, e cominciarono le sorprese. Convocata al Teatro Valle per la prova dei costumi, s’aspettava un abito da favola tutto lustrini e paillettes e dalla sarta ricevette invece due foglie di fico, una più grande e l’altra piu piccola. «Mettile nel posto giusto», le dissero. «Dove?» chiese ingenuamente. La sarta sghignazzando, indicò le zone da coprire e allungò due foglioline microscopiche, aggiungendo: «Questa è la camicetta!». Così, seminuda, sfilò in passerella ottenendo consensi entusiastici. Lo spettacolo andò in giro per l’Italia, il successo si ripeté ovunque. Un pittore famoso, Boccasile, la scelse come modella per la «Signorina Grandi Firme», emblema di un settimanale di successo, immagine della femminilità in cima ai sogni degli italiani dell’epoca.

Dopo Macario, andò con Alberto Rabagliati, cantante famoso che addirittura cantava di sé in terza persona: “Quando canta Rabagliati fa così”. Nel cast, i comici caratteristi Virgilio Riento e Tina Pica, e soubrettine belle come Delia Lodi, Olga Villi e Lia Origoni. Allo spettacolo una sera assisté Toto, e nella stagione successiva ecco la Merlini con Totò e Anna Magnani. Autunno 1943, Che ti sei messo in testa? di Michele Galdieri. Con la Magnani nacque un’amicizia lunga 25 anni; con Totò, un sodalizio artistico lungo quattro riviste teatrali e sette film, tra cui Totò cerca casa , 1948; L’imperatore di Capri , 1949; Totò cerca moglie , 1949. Fu accanto a Vittorio De Sica nel film Roma città libera diretto da Marcello Pagliero (successo in Francia, trionfo in Italia). De Sica si ricordò di lei per il ruolo della levatrice nel film Pane, amore e fantasia di Luigi Comencini (1953), con Gina Lollobrigida. Un ruolo che le dette grande popolarità e la costrinse ad essere `levatrice’ altre tredici volte. Ma nel cinema ha ricoperto anche altri e significativi ruoli, accanto a Alberto Sordi (Il vigile di Luigi Zampa, 1960), Marcello Mastroianni (Padri e figli di Mario Monicelli, 1957), Titina De Filippo (Cani e gatti, 1952). Dopo un periodo di penombra, durato cinque anni, (epoca dei filmetti porno-soft dei Pierini e delle Vigilesse) venne invitata a Londra dal regista Peter Grenville per recitare, in inglese (che non conosceva, ma imparò presto) la parte della governante-nutrice d’origine napoletana (e così si accettava e giustificava anche una pronuncia non ortodossa) di Lady Hamilton nella commedia di Terence Rattigan Questioni di Stato . Un anno di repliche, e di successo. Torna in rivista nella stagione 1965-66, al Parioli di Roma, con I rompiglioni (neologismo per crasi entrato nel gergo) di tre autori radiofonici, Faele-Torti-Castaldo, con regia di Romolo Siena e cast di prosa: Lia Zoppelli, Paolo Carlini. Nel 1962-63 era stata in Babilonia di Ruggero Maccari con Carlo Dapporto allenatore della squadra di calcio del carcere di San Vittore (“Era bello. Si giocava sempre in casa. Ogni giocatore aveva sempre la palla al piede…”). Un’accorata, trepida rievocazione degli spettacoli di rivista venne curata dal regista Maurizio Scaparro con Massimo Ranieri e Arturo Brachetti in Varietà , e la M. contribuì al successo dell’amarcord con perizia d’attrice ma anche con il fascino della testimonianza diretta. Tornò, dopo i successi degli anni ’40, con Garinei e Giovannini in due commedie musicali interpretate da Gino Bramieri: Cielo, mio marito! di Costanzo e Marchesi, con Ombretta Colli e Foto di gurppo con gatto di Iaia Fiastri e Enrico Vaime, con Gianfranco Jannuzzo. Accolta sempre grazie alla sua straripante simpatia, dagli applausi di un pubblico fedele.

Martoglio

Nino Martoglio si impegnò affinché il teatro siciliano avesse uguale dignità degli altri teatri dialettali d’Italia. Nel 1903, insieme agli attori Grasso e Musco, fondò una compagnia, che mise in scena con successo al Teatro Manzoni di Milano La zolfara di Giusti Sinopoli. Sempre per questa formazione scrisse le sue opere più riuscite: Nica (1903), San Giuvanni decullatu (1908, che Musco ogni sera colorì di battute nuove e improvvisate), L’aria del continente (1915, in cui emergono in modo forte le tematiche pirandelliane essendo stata scritta in collaborazione con l’amico siciliano), Il marchese di Ruvolito (1920). Sono questi lavori nei quali a una comicità travolgente fa da sfondo una desolante tristezza, in un contesto dove a trame colorite non corrisponde un adeguato approfondimento dei personaggi. Nel 1910 al Metastasio di Roma fondò il Teatro Minimo, dove gruppi di attori mettevano in scena una serie di atti unici, tra i quali si segnalarono le prime produzioni di Rosso di San Secondo e alcuni testi di Pirandello. Proprio con quest’ultimo Martoglio scrisse ‘A vilanza (1917) e Capiddazzu paga tuttu (1922).

Mudances

Creata a Tarrèga nel 1985 dalla coreografa e danzatrice Angels Margarit e battezzata con il nome di una sua creazione vincitrice del Premio Nacional de dansa (1986) nel 1987 ottiene il primo premio al concorso internazionale di Bagnolet con Kolbebasar. In seguito presenta alternativamente assoli della Margarit ( Solo per habitacio d’hotel , 1989, Corolla , 1994) e lavori per il gruppo ( Atzavara , 1991; Suite d’Estiu , 1995) nei quali la coreografa elabora il suo stile originale, che unisce un movimento ispirato formalismo minimalista postmoderno e sottintese necessità espressive.

Missoni

Hanno creato i costumi della piéce teatrale di Luigi Squarzina Siamo momentaneamente assenti , con la regia di Carlo Battistoni e le scene di Ezio Frigerio, rappresentata al Piccolo Teatro nel 1992. Un altro capitolo dell’attività in campo teatrale dei M. riguarda invece la danza moderna: Step Into my Dream della David Parson Company, su musica jazz composta ed eseguita dal Billy Taylor trio. Per questo lavoro la ricerca dei costumi, ispirata dalle improvvisazioni della musica jazz ha portato i M. a creare un tessuto luminescente che col movimento improvvisa grafismi e contrasti di forte impatto ottico.

Mana

Dopo gli studi all’Accademia regionale del Teatro Nuovo di Torino, nel 1988 entra nel corpo di ballo del Maggio Musicale MaggioDanza dove interpreta vari ruoli solistici nel repertorio classico e contemporaneo e dove, nel 1997, è protagonista di due creazioni di Karole Armitage, Weather of Reality e Apollo e Dafne (musica di Haendel). Collabora inoltre con coreografi come Virgilio Sieni e Mario Piazza.