Kessler, Alice ed Ellen

Gli esordi e la carriera di Alice ed Ellen Kessler.

Alice ed Ellen Kessler, note anche come le Gemelle Kessler, sono un duo artistico tedesco, che ha avuto grande notorietà in Italia a partire dagli anni Sessanta. Native di Nerchau, cittadina della Sassonia, con il loro “Da-da-umpa”, “Pollo e champagne” e “La notte è piccola”, hanno conquistato una popolarità straordinaria nei più noti programmi televisivi della RAI.

Gemelle Kessler, gli esordi in RAI e il successo

Da sempre il varietà televisivo ha pescato i suoi protagonisti sui palcoscenici del varietà, dell’avanspettacolo, della commedia musicale. Rari, recenti e non sempre fortunati i tragitti inversi. Diversa la sorte toccata alle gemelle Kessler. Nel gennaio 1961 il decennio televisivo si apre sulle loro gambe leggendarie. Le Kessler sostengono i funzionari RAI addetti al buoncostume, propongono un erotismo “freddo”, che non emoziona e non turba, teutonico e perciò nordico quanto basta. Protagoniste di Giardino d’inverno e poi di Studio Uno, fastoso e prestigioso varietà del sabato sera di Antonello Falqui, le Kessler, con il loro “Da-da-umpa”, “Pollo e champagne” e “La notte è piccola”, conquistano una popolarità straordinaria.

Prendono parte a numerose trasmissioni di prestigio dell’epoca, come La prova del nove e Canzonissima, dando vita a una nutrita discografia costituita da 45 giri. Negli anni Settanta diradano le loro apparizioni televisive, recitando in teatro in commedie musicali di Garinei e Giovannini.

Le gemelle Kessler dal varietà televisivo al teatro

Nella stagione 1967-68 Garinei e Giovannini scritturarono le gemelle Kessler per la loro commedia musicale più astratta e pirandelliana, Viola, violino e viola d’amore. Dove il violino era il marito, la viola era la moglie e la viola d’amore era l’amante. Non si trattava però del solito triangolo: il protagonista, Enrico Maria Salerno (sottratto dalla prosa, come Mastroianni per Ciao, Rudy era stato rubato al cinema) era il marito d’una bella-bionda-tedesca, programmata e freddina, prevedibile e noiosetta. Sogna un’amante dalle stesse fattezze della moglie, ma più calda e passionale. E quando la moglie freddina si adegua, l’insoddisfatto marito torna a sognare la noiosetta-programmata. Nel cast, anche Pippo Franco, segnalato dal coautore del copione, Luigi Magni, che l’aveva visto in un cabaret.

Tutti i quadri dello spettacolo seguivano un’ideale traccia musicale: ouverture, suite, rondò capriccioso, concerto da camera, toccata e fuga. Ma c’era anche un fantasioso rumoresque. Il copione finì in tribunale, accusato di plagio dal commediografo francese Félicien Marceau, autore di una pièce da poco in scena a Parigi. Ma Garinei e Giovannini dimostrarono facilmente che l’idea della donna `sdoppiata’ era antica quanto il teatro.

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Giusti

Elena Giusti fu nel panorama della rivista italiana la rappresentante dell’eleganza classica, facendosi confezionare a sue spese dal sarto Schubert modelli raffinati ed esclusivi che potevano arrivare al costo esplosivo di un milione cadauno. Iniziò la carriera, come lei stessa ha confessato, scappando da casa, a Malta, nel 1938, a diciasette anni e a quarantasei chili, battezzata con un nome d’arte esotico, Elena Napir. Fu scritturata per uno show d’arte varia in tournée coloniale in Africa per 130 lire al giorno, facendo un’audizione a Roma in un pessimo inglese e con una gonnellina hawaiiana molto kitsch. Naturalmente la famiglia non era favorevole, il padre tentò in ogni modo di dissuadere la figlia cui aveva fatto studiare il piano e la stenodattilografia. Ma la signorina Elena Giusti aveva deciso ed ebbe anche un suo personale successo: girò sette mesi, fece il canale di Suez in cammello, ebbe flirt molto altolocati. E il dado del varietà era tratto, in un ambiente allora considerato poco conveniente per una ragazza di buona famiglia che nel 1941-42 ebbe il suo debutto italiano a Milano accanto al Trio Lescano e Natalino Otto in Fantasia musicale e a Roma in Maddalena dieci in condotta, parodia di un famoso film. Oltre agli spettacoli di beneficenza dell’epoca, nel 1943-44 la G. figura in locandina a Roma con Che ti sei messo in testa? di Galdieri con Totò che imita Aligi in La figlia di Ionio e la Magnani che inneggia alla libertà polemizzando alla grande con i nazisti in sala. E sempre con Totò sarà nel 1944-45 in Con un palmo di naso accanto alla Merlini e Lucy D’Albert, passando lo stesso anno anche col `bauscia’ Tino Scotti nello show Ridiamoci sopra . Nel 1943-44 è con De Sica e la Merlini in Ma dov’è questo amore? e nel 1944-45 è la soubrette del Cappello sulle 23 di Morbelli, con Spadaro e Viarisio, regia di Mastrocinque. Si trasferisce a Napoli, dove nel 1945-46 recita in Polvere di Broadway, accanto al cremonese U. Tognazzi, che diventerà poi il suo partner fisso per tre stagioni con epicentro al Lirico di Milano.

Ma prima la Giusti lavora per Garinei e Giovannini in Si stava meglio domani (1946-47) accanto alla `maestra’ W. Osiris e a G. Agus e soprattutto impara l’arte da Totò in Ma se ci toccano di Nelli e Mangini, C’era una volta il mondo nel 1947-48 e Bada che ti mangio , sempre obbligata, come tutta la compagnia, a correre alla bersagliera sulla passerella, fino allo sfinimento. Svezzata con l’attività radiofonica («la voce di cristallo dell’Eiar») e al fianco dello chansonnier O. Spadaro, la Giusti lavora con i grandi comici dell’epoca e si afferma definitivamente all’inizio degli anni ’50. Con Macario è la soubrette di Votate per Venere , nel 1950-51, accanto ad altre bellezze in ascesa come F. Lillo, D. Gray e L. Masiero, oltre a Bramieri; con C. Dapporto lavora in Buondì zia Margherita di Galdieri nel 1948-49. È la soubrette classica, al servizio del comico di cui sopporta occhiate maliarde e qualche battuta dozzinale, ma in compenso indossa e cambia a ripetizione vestiti così sfarzosi che mandano in tilt le signore delle prime file. Con Tognazzi, che si vanta di aver scoperto, fa coppia fissa, è la soubrette ufficiale di tre riviste scritte da Scarnicci e Tarabusi: Dove vai se il cavallo non ce l’hai? (1951-52), (in cui la G. canta “Scalinatella” come una turista americana a Napoli), Ciao, fantasma (1952-53) e Barbanera bel tempo si spera (1953-54), in cui appare anche la `spalla’ di Tognazzi, il giovane R. Vianello. Dopo aver abbandonato lo sfortunato show Baratin con T. Scotti nel 1954-55, per cui le chiesero 32 milioni di danni (ma ne pagò soltanto 7), e dopo una tournée come cantante in America, la G. dà l’addio alle scene ancora giovane – scegliendo il ruolo di madre e aprendo poi una ricca boutique a Milano – con Il diplomatico (1959) in cui, già incinta, apparve per l’ultima volta al fianco di Dapporto, alla fine di un’epoca.

Merlini

«Insomma, ero proprio un gran pezzo di figliola», disse Marisa Merlini. Perciò venne scelta da Mariuccia Macario, talent scout dal fiuto infallibile, moglie di Erminio Macario e addetta alla cernita delle famose `donnine’ che circondavano il comico torinese. Esordio, ottobre 1941 al teatro Valle di Roma, nella rivista Primavera di donne , nel ruolo di contorno alla soubrette, che era Wanda Osiris. Da ragazzina aveva frequentato a Roma la scuola di recitazione della contessa Serra, partecipando agli spettacoli del Teatro dei fanciulli (oggi teatro Flajano) curati da Vittorio Metz; con lei, nel gruppo c’erano Antonella Steni, Lilia Silvi (futura diva dei film dei `telefoni bianchi’), Lilly Granado (altra procace soubrettina). Poi il padre abbandonò la famiglia una moglie e cinque figli nella miseria più nera. Marisa diventò commessa al banco di profumi in un emporio, e qui arrivò l’offerta di Mariuccia Macario: 130 lire al giorno, la paga che all’emporio guadagnava in un mese. Accettò, e cominciarono le sorprese. Convocata al Teatro Valle per la prova dei costumi, s’aspettava un abito da favola tutto lustrini e paillettes e dalla sarta ricevette invece due foglie di fico, una più grande e l’altra piu piccola. «Mettile nel posto giusto», le dissero. «Dove?» chiese ingenuamente. La sarta sghignazzando, indicò le zone da coprire e allungò due foglioline microscopiche, aggiungendo: «Questa è la camicetta!». Così, seminuda, sfilò in passerella ottenendo consensi entusiastici. Lo spettacolo andò in giro per l’Italia, il successo si ripeté ovunque. Un pittore famoso, Boccasile, la scelse come modella per la «Signorina Grandi Firme», emblema di un settimanale di successo, immagine della femminilità in cima ai sogni degli italiani dell’epoca.

Dopo Macario, andò con Alberto Rabagliati, cantante famoso che addirittura cantava di sé in terza persona: “Quando canta Rabagliati fa così”. Nel cast, i comici caratteristi Virgilio Riento e Tina Pica, e soubrettine belle come Delia Lodi, Olga Villi e Lia Origoni. Allo spettacolo una sera assisté Toto, e nella stagione successiva ecco la Merlini con Totò e Anna Magnani. Autunno 1943, Che ti sei messo in testa? di Michele Galdieri. Con la Magnani nacque un’amicizia lunga 25 anni; con Totò, un sodalizio artistico lungo quattro riviste teatrali e sette film, tra cui Totò cerca casa , 1948; L’imperatore di Capri , 1949; Totò cerca moglie , 1949. Fu accanto a Vittorio De Sica nel film Roma città libera diretto da Marcello Pagliero (successo in Francia, trionfo in Italia). De Sica si ricordò di lei per il ruolo della levatrice nel film Pane, amore e fantasia di Luigi Comencini (1953), con Gina Lollobrigida. Un ruolo che le dette grande popolarità e la costrinse ad essere `levatrice’ altre tredici volte. Ma nel cinema ha ricoperto anche altri e significativi ruoli, accanto a Alberto Sordi (Il vigile di Luigi Zampa, 1960), Marcello Mastroianni (Padri e figli di Mario Monicelli, 1957), Titina De Filippo (Cani e gatti, 1952). Dopo un periodo di penombra, durato cinque anni, (epoca dei filmetti porno-soft dei Pierini e delle Vigilesse) venne invitata a Londra dal regista Peter Grenville per recitare, in inglese (che non conosceva, ma imparò presto) la parte della governante-nutrice d’origine napoletana (e così si accettava e giustificava anche una pronuncia non ortodossa) di Lady Hamilton nella commedia di Terence Rattigan Questioni di Stato . Un anno di repliche, e di successo. Torna in rivista nella stagione 1965-66, al Parioli di Roma, con I rompiglioni (neologismo per crasi entrato nel gergo) di tre autori radiofonici, Faele-Torti-Castaldo, con regia di Romolo Siena e cast di prosa: Lia Zoppelli, Paolo Carlini. Nel 1962-63 era stata in Babilonia di Ruggero Maccari con Carlo Dapporto allenatore della squadra di calcio del carcere di San Vittore (“Era bello. Si giocava sempre in casa. Ogni giocatore aveva sempre la palla al piede…”). Un’accorata, trepida rievocazione degli spettacoli di rivista venne curata dal regista Maurizio Scaparro con Massimo Ranieri e Arturo Brachetti in Varietà , e la M. contribuì al successo dell’amarcord con perizia d’attrice ma anche con il fascino della testimonianza diretta. Tornò, dopo i successi degli anni ’40, con Garinei e Giovannini in due commedie musicali interpretate da Gino Bramieri: Cielo, mio marito! di Costanzo e Marchesi, con Ombretta Colli e Foto di gurppo con gatto di Iaia Fiastri e Enrico Vaime, con Gianfranco Jannuzzo. Accolta sempre grazie alla sua straripante simpatia, dagli applausi di un pubblico fedele.

Barzizza

Figlia di Pippo, il più popolare direttore d’orchestra del dopoguerra, Isa Barzizza è cresciuta negli anni difficili e delle notti lunghe di paura della guerra. Appassionata del palcoscenico, figlia d’arte, Isa era chiamata dalle compagnie di prosa che sapevano della sua passione per il recitare e avevano bisogno di una bambina in scena, quando abitava a Torino: fu così al fianco di Elsa Merlini in La signora Morli, una e due di Pirandello a soli sette anni, poi provò anche l’emozione di stare vicino a Ruggeri nel Titano e di dividere la scena con i fratelli De Filippo. È stata però veramente lanciata giovanissima da Erminio Macario in Le educande di San Babila di Amendola con le tre Nava e poi in Follie di Amleto (1947-48), dove il comico era il principe scespiriano e la bella Isa una inedita Ofelia spesso senza veli e magari rossa di vergogna. Richiesta per il teatro, suo desiderio naturale, la signorina B. dovette però faticare non poco per convincere la famiglia che la rivista era la sua strada: le diede un contributo la nonna, col suo lasciapassare e alcune raccomandazioni di quotidiana moralità. «In questo modo» ricorda oggi l’attrice «fui l’unica soubrette ad avere per tre anni una governante al seguito, nei camerini come al ristorante, mentre a diciotto anni, si sa, piace la libertà». Carina, un po’ coquette, un po’ viziata, Isa, col suo corpo splendido, divenne presto la beniamina del `pubblico degli ingressi’ del dopoguerra italiano, popolare nel frattempo anche per molti film comici. L’altro suo `padrino’ teatrale, dopo Macario, fu Totò, cui fece da partner anche nel cinema, e con cui recitò in teatro in C’era una volta il mondo di Galdieri accanto alla Giusti (1947-48) e in Bada che ti mangio (1948-49) accanto a Mario Riva e Diana Dei. Totò le insegnò tutti i segreti dei tempi comici, il contatto col pubblico, i segreti del mestiere: lo sketch famoso del vagone letto (che concludeva anche Totò a colori ) vedeva coprotagonista la Barzizza ed è lei a ricordare che la prima volta che fu recitato durava sette minuti, mentre poi si allargò fino ai 50′. Altri tempi, altri lussi, altri sorrisi, altre risate: la B. era audace, portava in passerella i due `puntini’, ma non era l’unica, o tre rose ricamate nei punti strategici (in Follie di Amleto ). Nel 1951-52 la scoprono Garinei e Giovannini che la mettono al fianco di due attori di razza come Viarisio ed Elsa Merlini, oltre al Quartetto Cetra e le Bluebell, in Gran baldoria , stagione 1951-52, gran successo, motivi di Kramer, scene di Coltellacci, profumo di Broadway. Negli stessi anni prova anche l’ebrezza della prosa recitando lo Shakespeare di Le dodicesima notte diretta da Renato Castellani e apparendo poi spesso nel teatro brillante allestito per la tv. Nel 1955-56 è anche la protagonista di una commedia musicale ante litteram, Valentina , di Marchesi e Metz, con Isa Pola, Viarisio, Franco Scandurra e Alberto Talegalli, fantastoria d’amore di due fidanzati che fanno un salto in avanti nel tempo. Nel 1957 finisce il primo tempo e la B. lascia il teatro per motivi familiari (nel giugno del 1953 sposa il regista tv Alberto Chiesa il quale morirà poi in un incidente nel ’60 che ebbe violenti strascichi). Ci ritorna trent’anni dopo, essendosi occupata di direzione di doppiaggio e di tv: la aspetta, come sempre, il genere brillante ( La pulce nell’orecchio di Feydeau e Arsenico e i vecchi merletti , dal ’91 al ’93, Una bomba in ambasciata di Woody Allen nella stagione 1997-98, sempre con Beppe Glejesees e Le sorelle Materassi accanto alla Masiero nel 1998-99), ma figura anche deliziosa nel ruolo della zia di Gigì nel musical diretto da Filippo Crivelli (1995-96). Il curriculum cinematografico vanta 55 titoli, il primo è I due orfanelli di Mattoli, spesso al fianco dei comici di rivista che l’avevano lanciata sulla passerella, ma non c’è alcun titolo che la metta in evidenza, meno in Gran varietà dove canta un blues con un vestito nero di raso con lo spacco.

Gandolfi

Graziosa e dotata di una voce leggera ma intonata Franca Gandolfi è una delle figure femminili più caratteristiche del nostro teatro di rivista. Nel 1954 è scritturata da Garinei e Giovannini che la mettono accanto a Dapporto nella prima versione di Giove in doppiopetto dove ottiene un successo personale interpretando il numero “Quant’è buono il bacio con le pere”. Nella trasposizione cinematografica dello spettacolo (1954) ripete il proprio ruolo teatrale. Quando nella stagione successiva Garinei e Giovannini riallestiscono il lavoro non le riconfermano la parte perché la vogliono nel cast della loro nuova produzione, La granduchessa e i camerieri (1955), a fare le controscene di W. Osiris. È poi in compagnia con Totò in A prescindere… (1955) e durante una replica palermitana di questa rivista assiste e cura sulla scena il grande comico al suo primo grave episodio di cecità totale. Successivamente è la primadonna della rivista Cartastraccia (1957). Dopo il matrimonio con D. Modugno si ritira dall’attività artistica.

Maresca

«Et voilà, son qua, sono il Maliardo!» esclamava Carlo Dapporto, che poi ricordava: «Aprendo il mantello sul frac, indicavo la fodera e sillabavo “Se-ta!”. Dal loggione scandivano in coro: “Rayon!”. Poi suonavano le sirene d’allarme e addio risate. 1944, una breve stagione. Avevo una splendida soubrette, Marisa Maresca, che dopo me formò binomio con Walter Chiari…». Era definita la `bomba del sesso’, fece un’imitazione di Joséphine Baker con perizoma e reggiseni di banane, ed estimatori dallo sguardo appuntito sentenziarono che la copia aveva superato, in avvenenza, l’originale. Nata da famiglia di famosi artisti di varietà, madre soubrette, padre Achille impresario, zio Luigi star di operette, a quindici anni divenne una delle `donnine’ di Macario, passò in piccole riviste d’avanspettacolo allestite dal padre. Titoli espliciti: Donne in tutte le salse , Chi vuole una donna? e, il più noto, Se parlasse questa penna , con i fratelli De Rege e Fausto Tommei. Divenne primadonna alla fine della guerra. Dopo Dapporto, fu ininterrottamente con Walter Chiari fino al 1950: a ventisette anni si ritirò per sposare il conte-industriale Agusta. Quando, nel 1945, `saltò’ il reggipetto frantumandosi in due coppette, corolle, stelline, piumini (la polizia dettò le misure minime: dieci centimetri di base per dieci di altezza: ma chi andava a misurare?), la M. superava tutte le altre concorrenti «con i suoi liberi seni esibiti torpidamente». Nel 1945, nota un cronista, «Marisa Maresca si prodiga con tutta la sua graziosa vivacità» in Simpatia di Marcello Marchesi, con Walter Chiari `instancabile’, Alda Mangini `gustosa’ e Vittorio Caprioli senza alcun aggettivo. Nella stagione successiva, a Napoli, Teatro delle Palme, andò in scena Se vi bacia Lola di Bracchi e Danzi, un `sontuoso’ spettacolo con la `conturbante’ M., attrice e ballerina `d’eccezione’ e con Walter Chiari «vivacissimo ma sempre docilissimo nel farsi baciare». Torna come autore l’inesauribile Marchesi con Allegro (1947-48, Teatro Mediolanum) e la M. «vi spicca per la sua eleganza». Chiari «per la sua comicità»; c’è anche Pamela Palma: anche lei, l’anno dopo, in gonnellino e reggiseno di banane. D’altronde, la Baker in persona si esibiva in avanspettacolo in altro teatro milanese. «La nudità della Maresca, strega professionista, era nudità esangue» si scrisse. Ma lei, in un’occasione epica, sfilò in passerella con indosso solo tre teste di volpe nera, piazzate nei punti più opportuni.

Masiero

Interprete eclettica, dotata di grande verve, Lauretta Masiero è passata con disinvoltura dalla rivista al teatro leggero a più impegnative prove nel teatro classico, in particolare Goldoni. Dopo una dura gavetta (sedicenne, fu ballerina di fila negli spettacoli della Osiris, poi, nel 1951, `seconda donna’ con Macario), il primo vero successo lo colse accanto a Rascel, che l’aveva scritturata in Attanasio cavallo vanesio (1954). Da allora riuscì a imporsi come una delle più applaudite soubrette in commedie musicali di largo successo quali La padrona di raggio di luna (1956), con Andreina Pagnani che le fu maestra in brio e simpatia), Carlo non farlo , con Carlo Dapporto, e Uno scandalo per Lill , con Ugo Tognazzi. Nel bel mezzo di questa parentesi di rivista, Carlo Ludovici le propose di recitare nelle goldoniane Le baruffe chiozzotte (1954) in un allestimento veneziano (Fondazione Cini, Isola di San Giorgio). Quel momento vide il suo ingresso nel teatro ufficiale, destinato ad avvicinarla anche a Pirandello ( La signora Morli una e due , Ma non è una cosa seria ). In quegli anni, popolare anche grazie alla televisione, formò una sua compagnia, prima con Volpi e Zoppelli (1954-1955), poi con Lionello-Pagnani (1958-1959), Lionello-Volonghi (1959-1960) e Arnoldo Foà (1962). Tra i grandi successi di quel periodo, La pappa reale di F. Marceau. Più rare le sue presenze sulla scena negli anni ’70, mentre negli ’80 e ’90 porterà al successo soprattutto autori anglosassoni, ivi compreso N. Simon, del quale interpreterà California Suite e Uscirò dalla tua vita in taxi . Accanto a M. Columbro sarà sempre brillantissima in Twist di Clive Exton; tra i suoi ultimi successi, il remake di Non ti conosco più (1966) di A. De Benedetti.

Lillo

Soubrettina assai bella, Flora Lillo ebbe successo negli anni 1950-1960 accanto a comici famosi e nello stesso periodo ebbe notorietà per il legame, dal 1956 al 1961, con Mike Bongiorno, il divo di Lascia o raddoppia? . Nel 1950 debuttò come ballerina di fila in Buondì zia Margherita . Una sera le `saltò’ il reggiseno (alle soubrettine accadeva di frequente) e finì in commissariato. Nella stagione 1950-51 partecipò a Votate per Venere , uno dei migliori spettacoli di Macario su testi di Vergani e Falconi. Primadonna era Elena Giusti, in un sommario e galeotto costume di piume; nel cast, accanto alla L., altre soubrettine di bel nome: Lauretta Masiero, Dorian Gray, Gladys Popescu. `Spalla’ di Macario, il fedele Carlo Rizzo; comico giovane, Gino Bramieri. Nella stagione successiva, 1951-52, fu accanto a Nino Taranto in Cavalcata di mezzo secolo di Nelli e Mangini (di moda, alla virata del mezzo secolo, appunto, i riassunti dei primi cinquanta anni alla ribalta: le canzoni, le scenette, ecc.). Nel cast, il redivivo Polidor, comico del cinema muto. Ancora con Macario nella stagione 1952-53 in Pericolo rosa di Rovi-Puntoni-Verde: si trattava di trovare una formula segreta scritta con inchiostro simpatico su un reggiseno inafferrabile… Affronta il ruolo di giovane matrigna, concorrente di cinque figliastre in cerca di marito, nella rivista L’uomo si conquista la domenica di Amendola e Mac. Tra le figliastre, si distingue per brio la giovane Sandra Mondaini.

Medini

Il successo giunse a  Flora Medini a Milano nel 1952, con la commedia musicale di Garinei e Giovannini Attanasio cavallo vanesio , sostituendo Lauretta Masiero. Il cast era prestigioso: oltre a Rascel, le straripanti Peter Sisters (tre nere di grande brio, musicale e coreografico), il cantante Corrado Lojacono e in una piccola parte Sandra Mondaini. La Medini proprio insieme alla Masiero era stata soubrettina in Le educande di San Babila , rivista di Amendola (stagione 1947-48), protagonista Macario professorino innamorato di una collegiale (Isa Barzizza), con le tre sorelle Nava infernali monelle. Partecipa a La bisbetica sognata (1949-50) del commediografo Enrico Bassano con Macario che doma la mogliettina riottosa in un West di fantasia: con la ballerina Pamela Palma, altre ventitré donne tutte svestitissime. Nella stagione 1950-51, entra nella formazione di Garinei e Giovannini per Il diavolo custode con Wanda Osiris, Enrico Viarisio, Gianni Agus e le Bluebell. Nella stagione seguente, 1951-52, entra nella scuderia Errepì per Alta tensione di Marchesi e Metz, la prima grande rivista di Billi e Riva. Squadra vincente non si cambia: dopo Attanasio , Garinei e Giovannini, sempre su misura per Rascel, scrivono la stagione successiva (1953-54) Alvaro piuttosto corsaro e il `piccoletto’ Rascel, con le Peter Sisters, Corrado Lojacono e Tina De Mola bissano il successo. In scena, al posto del cavallo, uno scimpanzé: la tradizione di un animale vero nel cast sarà sempre rispettata negli spettacoli `G&G’. E con Tobia la candida spia, nella stagione 1954-55, si conclude la `trilogia’ in rima di Garinei e Giovannini per Rascel: con la Medini, ormai `caratterista’, si dividono il ruolo di soubrette assoluta la ballerina Alba Arnova e la sosia di Marylin, Rosalina Neri, che avrebbe poi trovato successo più artistico al Piccolo Teatro di Milano diretta da Giorgio Strehler.

Osiris

Figlia di un palafreniere del re Umberto, la mitica regina del teatro di rivista italiano, Wanda Osiris, equiparabile a personaggi come Mistinguett e la Baker, si è presto trasferita a Milano, sua patria elettiva fino alla morte, curata con amore dalla sua unica figlia Cicci: l’inverno nella bella casa di via Verri, l’estate in vacanza ad Alassio, la pizza d’obbligo al `Santa Lucia’, il classico ritrovo del dopo spettacolo. La passione per il teatro era per lei motivo di vita, ma da ragazza ebbe solo il permesso di studiare il violino: un po’ poco per le impetuose esigenze di quella giovane piena di volontà destinata a diventare la leggenda della passerella, il misterioso prototipo del teatro leggero visto nel suo fulgore misto di lusso e di sogni, così come apparve laggiù nel dopoguerra. Scappò (o quasi) di casa per debuttare a sedici anni al teatro Eden di Milano, ed era il 1923: fu battezzata Wanda Osiris da un impresario che mescolò i nomi di due divinità egizie, Iside e Osiride, ma l’autarchia linguistica del fascismo le tolse la `s’ finale, mentre fu Orio Vergani, in un celebre articolo, a coniare per lei l’appellativo insuperato di Wandissima. Un superlativo che si adatta alla prima soubrette che creò, col copyright della sua fantasia professionale, proverbiali effetti speciali da palcoscenico: la cipria color ocra di cui si cospargeva tutto il corpo alla ricerca dell’effetto esotico, il turbante, il capello ossigenato, il rituale delle rose Baccarat senza spine e profumate di Arpège (rigorosamente a sue spese, non sul budget della compagnia: «il teatro fu per me un magnifico deficit»), pronte da distribuire ai fortunati spettatori delle prime file durante la passerella d’inizio o, eventualmente, sugli animali di scena che Garinei e Giovannini volevano come portafortuna, vedi il somarello di Copacabana .

Le sue canzoni restano proverbiali, nello stile romantico kitsch degli anni Quaranta, e sempre rivolte al sogno, nell’immagine barocca di una vita fotoromanzata e idealizzata: “Ti parlerò d’amore”, “A Capocabana” («la donna è regina, la donna è sovrana…»), “Femmina”, “Io sogno un nido rosa”, “Notturno d’amore”, “Chèri”, “Le gocce cadono, ma che fa” («se ci bagniamo un po’…», refrain brillante cantato e ballato con Macario e Rizzo, in stile “Singin’ in the rain”), “Luna d’Oriente”, “Ti porterò fortuna”, “Siamo quelli dello sci sci”, “Tutto amore”, “In due si sogna meglio”, “Personalità”. E poi naturalmente il momento magico, l’apparizione della Diva Divina sulle scale, sempre più fantasmagoriche, sempre più lunghe, sempre più hollywoodiane, per scendere sorridente attorniata dai celebri boys dal sesso incerto che la Signora sceglieva sempre di persona, giurando di anteporre le qualità intellettuali al bell’aspetto. «Le scale non furono un incubo» disse la soubrette, «le scendevo con tranquillità, occhi negli occhi al pubblico, nonostante i tacchi e le crinoline». La Wanda fu un insieme di rituali che colpirono al cuore il pubblico negli anni a cavallo della guerra, disposto a tutto pur di sognare a teatro con le creazioni degli `stilisti’ ante litteram Folco e Boetti. I titoli di una lunga carriera. Nel 1936-37 la soubrette appare, a Roma, in E se ti dice vai, tranquillo vai di Michele Galdieri, già truccata color cioccolata; indi è nel cast di Ma adesso è un’altra musica , sempre di Galdieri (1937-38) e poi in Aria di festa , dove perde la sua `s’ ma appare in una gabbia d’oro. A Milano, nel 1938-39 e negli anni seguenti, è al fianco del suo partner ideale, Macario, in Follie d’America e nello stesso anno in 30 donne e un cameriere , poi in Caroselli di donne e Tutte donne (1940), in cui esce da un astuccio di profumo; ancora nel 1941-42 recita col comico torinese in Una sera di festa . In Sogniamo insieme (1943), a Roma, scopre un altro comico di razza, Dapporto, con cui interpreta Che succede a Copacabana (1944) e L’isola delle sirene , nel 1945, anno in cui recita anche in La donna e il diavolo . Tornata a Milano, dopo la Liberazione, è la vedette di Gran varietà , sempre con il maliardo Dapporto; appare in show di beneficenza postbellica anche per i partigiani, nonostante Mussolini fosse sceso un giorno dalla carrozza, nel 1933, per farle di persona i complimenti. In due stagioni, dal 1946 al ’48, debutta nei primi grandi spettacoli di Garinei e Giovannini, al fianco di Enrico Viarisio: Si stava meglio domani e Domani è sempre domenica , la prima rivista italiana che espatriò per un breve giro in Svizzera.

Arriviamo al 1948, anno in cui la Wandissima appare in uno spettacolo cult, al massimo dello sfarzo e dei costi, Al Grand Hotel , produzione G.G. con Dolores Palumbo, Giuseppe Porelli, Vera Carmi e Gianni Agus, con cui ebbe una lunga relazione di vita e di palcoscenico. Sempre con Garinei e Giovannini è la star di Sogni di una notte di questa estate (1949), con un cast che comprende anche il giovane artista tuttofare Renato Rascel e i Nicholas Brothers: sono gli anni in cui il pubblico, soprattutto a Milano, elegge la Osiris, con la ritrovata `s’, a regina dei propri sogni di lusso hollywoodiano e le sue `prime’ al Teatro Lirico pareggiano, per mondanità, snobismo, costi produttivi e di botteghino, quelle della Scala. Nel 1950-51 è nel Diavolo custode , sempre con i fidi Garinei e Giovannini, sempre con Viarisio e Palumbo, le Bluebell e i sontuosi, incredibili costumi di Folco; nel 1951-52 la Wanda è in Galanteria di Galdieri, rivista che ha problemi con la censura per la satira politica. Ma nel 1952-53 la soubrette torna in Gran Baraonda , in cui si ritrova al fianco – oltre al Quartetto Cetra, Turco e Dorian Gray – il giovane comico proveniente dall’avanspettacolo, Alberto Sordi, che negli stessi mesi della tournée teatrale girava con Fellini I vitelloni . Wanda nel 1953-54 riforma la storica `ditta’ con Macario per Made in Italy , lo spettacolo in cui il comico chiedeva l’età alla soubrette e si sentiva a ogni replica rispondere: «Sempre sei meno di te, caro». In Festival , debutto al Nuovo nella stagione 1954-55, vanta la consulenza registica di Luchino Visconti, all’unica sua prova con la passerella; ma, nonostante gli autori (Age, Scarpelli, Vergani, Marchesi), la direzione e il cast (il cantante Henri Salvador e il quartetto comico Lionello-Manfredi-Pisu-Pandolfi), lo spettacolo ha un esito soltanto discreto. Nel 1955-56 è la volta di una sua rivista famosa, già con un filo conduttore molto simile all’operetta, La granduchessa e i camerieri , che la vede per l’ultima volta con Garinei e Giovannini e per la prima con Billi e Riva (e Alba Arnova per la danza, Ernesto Bonino per le musiche di Kramer, il giovane `cumenda milanese’ Bramieri, Diana Dei).

Accade l’impensabile quando una sera, al Lirico, la Wanda scivola giù dalla passerella provocando, al di là di leggere contusioni che obbligheranno la compagnia a pochi giorni di riposo, titoloni sui giornali. In qualche modo è l’inizio del secondo tempo, del finale di carriera: non ci saranno più titoli leggendari. Nel 1956-57 Terzoli e Puntoni le scrivono Okay fortuna con un trio comico indovinato (Bramieri, Vianello, Durano), ma anche stavolta un incidente fa crollare un cornicione in scena sulle soubrettine (niente di grave). Lo stesso cast per I fuoriserie e, ancora una volta un colpo gobbo del destino, bruciano nell’incendio del Politeama i costumi e il materiale di scena e c’è una gara di solidarietà del mondo del teatro, della canzone, dello sport (la squadra del Napoli) in favore della sfortunata Wanda. Nel 1958-59 Doppio rosa al sex di Corbucci e Grimaldi con Billi, impegnato a imitare la sua soubrette, e Flauto: ma la Wandissima della leggenda non c’è più. Torna in scena, ma come `suocera’, nella seconda edizione di Buonanotte, Bettina di Garinei e Giovannini (1963), con Walter Chiari e Alida Chelli; poi la vuole Aldo Trionfo, come stereotipo e parodia, in Nerone è morto? di Hubay (1974). La filosofia di un personaggio inimitabile, come il birignao della prolungata vocale `e’ (seeenz’altro). Per la O., nota anche per alcune presunte e celebri gaffe, il teatro è stato una passione esclusiva, quasi di clausura. Era attesa al varco delle sue trionfali entrate in scena, quando i suoi fan misuravano col cronometro la durata dell’applauso (il record furono i dieci minuti di Made in Italy con Macario). Wanda non cessava mai di stupire, nella logica del `di più, sempre di più’: arrivava ruotando su un enorme disco, come nei musical americani di Busby Berkeley, sbucando da una gabbia d’oro o tra le campane di San Giusto, dondolando su un cammello, uscendo da una maxi abat-jour , addobbata come Caterina di Russia o mimando un enorme ruotante carillon. Le scale non erano semplici scale, erano anche riproduzioni famose, Montmartre o Trinità dei Monti. Il record storico fu nella rivista Al Grand Hotel , quando apparve cantando “Sentimental”, una canzone romantica destinata a diventare un po’ il suo inno, il suo stereotipo e infine anche la sua parodia (magari imitata dalla Mabilia, alias Tony Barlocco, la soubrette en travesti dei Legnanesi). Eccessiva nei gesti, misurati sui riflettori del palcoscenico, Wanda Osiris – pur non avendo specifiche qualità artistiche, non eccellendo nel ballo, né nel canto e recitando da soubrette – possedeva però il carisma innato della luce del varietà fino a diventare, come suggerisce il nome, una dea dispensatrice di fortuna al pubblico. Gli inizi furono naturalmente modesti: erano i tempi in cui le soubrettine le chiamavano `donne di spolvero’, donne chic, eleganti, che stavano bene in scena, ma quasi soprammobili.

Nata il 3 giugno, sotto il segno dei Gemelli, la Wanda ha avuto una trionfale carriera, sempre adorata dal pubblico, ricordata dai fedeli spettatori a lei coevi, amata dai colleghi per la generosità con cui ha vissuto la vita randagia ed esaltante del teatro di giro, adattandosi agli orari notturni degli spettacoli, che finivano oltre l’ultima corsa dei tram, e rispettando celebri superstizioni (mai il colore viola, mai uccelli neppure di stoffa). Una vita al neon sempre rimpianta, quando raccontava che la rivista era stata uccisa dagli alti costi e dai mutati gusti del pubblico. È stata al fianco dei più grandi attori comici (ma in sua presenza poche volgarità, doppi sensi ridotti al minimo), ha scoperto i giovani Manfredi e Lionello, Sordi e Rascel, ha adorato l’imitazione. Ha lavorato per il gusto dello stupore e dell’illusione, per l’oh di meraviglia di un pubblico ingenuo, affascinato e stordito dal profumo e dagli abiti; ma anche per l’ardore con cui la seguivano intellettuali e industriali (in camerino arrivavano fiori, gioielli, perfino un assegno in bianco prontamente restituito al mittente). Amava il cinema, soprattutto quello dei suoi tempi, prediligeva pochi di buono come Raft e Gabin, si identificava nella Dietrich e nella Garbo, ma ebbe poche esperienze: qualche apparizione nei panni di se stessa e una fugace sequenza ferroviaria in Polvere di stelle (1974) di Alberto Sordi, suo vecchio adoratore.

Lodi

Michele Galdieri cucì addosso a Delia Lodi (1941-42: È bello qualche volta andare a piedi ) il ruolo della soubrette `Signora Elegante’ e fu contrasto netto con i due nomi in ditta, Virgilio Riento e Tina Pica, famosi caratteristi `plebei’ e dialettali. Nel 1937, sempre in uno spettacolo di Galdieri, con Totò scatenato protagonista ( Eravamo sette sorelle ), la L., in un fantastico finale `a sorpresa’, veniva letteralmente proiettata, su un divano, fra le prime file di poltrone (posto assai ambito nelle repliche, allorché si sparse la notizia…). Nel 1938-39 fu con Nuto Navarrini e Isa Bluette in Il ratto delle cubane di Bel Ami. In Chicchirichì di Gelich-D’Anzi-Bracchi (1947-48), la rivista che consacrò Dapporto, l’elegante L. ben s’intonava con il maliardo. Nel copione, figura una parodia di Lucky Luciano, il gangster rispedito in Italia dagli americani: e proprio Lucky Luciano assistette a Napoli più volte allo spettacolo. Divertendosi, pare. Nella stagione successiva (1949-50), si ripeté il sodalizio con Dapporto, in Buon appetito : apoteosi dei vari personaggi del comico ligure, dal `maliardo’ a `Monsieur Verdoux’ all’elegantissimo Petronio, che per vestirsi spende un patrimonio. Dopo qualche anno d’oblio, la L. rispunta accanto a Dapporto nella stagione 1953-54 in Baracca e burattini di Amendola e Mac; in compagnia, anche Lauretta Masiero. Nel 1954-55, eccola in un fortunato spettacolo Errepì: Siamo tutti dottori di Age, Scarpelli e Verde, con Billi e Riva nel ruolo di due spazzini in cerca di laurea. Musiche di Trovajoli interpretate dal Quartetto Cetra, con Diana Dei, la rivelazione Franca May, e il balletto delle Bluebell.

Chelli

Figlia del musicista Carlo Rustichelli, Alida Chelli scelse lo pseudonimo Chelli quando interpretò, con schietta intensità, una bella canzone del padre, “Sinnò me moro”, colonna sonora del film Un maledetto imbroglio di Pietro Germi (1959). D’una bellezza vistosa e aggressiva, in teatro (e nella vita: ebbero anche un figlio) fu compagna di Walter Chiari. Fu nella ripresa, per due stagioni (1962-63 e 1963-64), di Buonanotte Bettina, commedia musicale di Garinei e Giovannini che nella prima edizione, con Delia Scala, aveva avuto un buon successo. Prima commedia musicale a struttura chiusa, narrava le vicende della mogliettina di un impiegato timido, la quale scrive un romanzo erotico, illustrando le performance di Joe Mandrillo. Gran clamore tra parenti, amici e conoscenti, perché tutti identificano il Mandrillo letterario nel timido impiegato, ispiratore delle fantasie sexy della moglie. In questa ripresa, lo spettacolo ebbe maggior successo anche grazie agli inevitabili rimandi tra personaggi e interpreti.

Nella stagione 1964-65 la Chelli fu primadonna in uno spettacolo di scarsa circolazione ma di buon spessore artistico: La manfrina, testo di Ghigo De Chiara (dai sonetti del Belli), con Riccardo Billi e Fiorenzo Fiorentini e, debuttanti, Luisa De Santis e Gabriella Ferri. Ragguardevole il cast dei realizzatori: Franco Enriquez regista, Emanuele Luzzati scenografo, Ennio Morricone musicista. Altra sostituzione di prestigio: nella stagione 1978-79 Garinei e Giovannini ripresero un loro storico successo, Rugantino , e alla C. toccò il ruolo di protagonista femminile, che in precedenti edizioni era stato, nell’ordine, di Lea Massari e Ornella Vanoni. Nelle successive stagioni rivista e commedia musicale (ad eccezione delle produzioni di Garinei e Giovannini) lasciano il palcoscenico al cabaret e allo strip-tease. Chelli partecipa a trasmissioni televisive (Ci pensiamo lunedì, regia di Romolo Siena, 1983-84).

Nava,

Come i tre moschettieri, le tre sorelle Nava erano in realtà quattro: Pinuccia (Giuseppina), nata a Roma il 4 gennaio 1920; Diana (Cannero, 15 settembre 1924), nome di battesimo Assunta; Lisetta (Luisa), nata a Cannero il 22 luglio 1926; e Tonini (Antonietta), il 18 febbraio 1931 a Roma. Figlie, nipoti e bisnipoti d’arte, il padre era Giuseppe Ciocca, comico di café-chantant e la madre Giorgina Nava, di famiglia circense. Nel 1938 Diana e Pinuccia formano un duo comico N., che diventa un trio con l’aggiunta di Lisetta nel 1940. Il trio Nava ha gran successi all’estero in una lunga tournée: Germania, Svezia, Polonia, Danimarca e Belgio. Tornano in Italia e nel ’43 riprendono a lavorare tra rivista e avanspettacolo. Nel 1943 sono con Nino Taranto ( Il romanzo di un povero giovane ), nel ’45 in Pirulì Pirulì di Garinei e Giovannini e nel ’47 con Macario in Le educande di San Babila . Poi ancora una lunga tournée all’estero, questa volta in Spagna, e un anno di attività radiofonica. Infine, nella stagione 1952-53, le Nava assumono il capocomicato con Davanti a lui Tre Nava tutta Roma : gran successo e finalmente le Nava danno corso alla loro fantasia dissacrante, al gusto di mostrare il trucco, a un becero quanto sapiente battibeccare tra loro. Nel 1953-54, in Tre per tre Nava , debutta anche la quarta Nava, Tonini. Nel 1954-55, Casanova in casa Nava : Pinuccia crea il personaggio del clown Scaramacai, molto ripreso anche in tv. Però la ditta N., nonostante il successo, si scioglie: delle sorelle, Diana si ritira; Lisetta continua, sia pure saltuariamente, a frequentare rivista e commedia musicale, ed è con Carlo Dapporto in Carlo non farlo (1956); Pinuccia frequenta la prosa, la televisione (anche quella per ragazzi) e ha anche una sua rivista estiva nel 1957, È arrivata una Nava carica di .