Rodari, Gianni

Attraverso racconti, filastrocche e poesie, divenute in molti casi classici per bambini, Gianni Rodari ha contribuito a rinnovare profondamente la letteratura per ragazzi.

Gianni Rodari è stato uno scrittore, insegnante e giornalista. Attraverso racconti, filastrocche e poesie, divenute in molti casi classici per bambini, ha contribuito a rinnovare profondamente la letteratura per ragazzi. Fu uno fra i maggiori interpreti del tema “fantastico” nonché, grazie alla Grammatica della fantasia, uno fra i principali teorici dell’arte di inventare storie. Tra le sue opere maggiori si ricordano Filastrocche in cielo e in terra, Il libro degli errori, Favole al telefono, Il gioco dei quattro cantoni, C’era due volte il barone Lamberto.

Gianni Rodari, il maestro della fantasia

Gianni Rodari è nato a Omegna nel 1920. Dopo la guerra inizia la sua carriera da giornalista e collabora per numerose pubblicazioni, tra cui “L’Unità”, il “Pioniere”, “Paese Sera”. Negli anni Cinquanta comincia a dedicarsi alla scrittura per l’infanzia: scrive racconti, favole, cura rubriche e libri per ragazzi, lavora come autore televisivo di programmi per l’infanzia.

Nel 1950 lasciò Milano per Roma, dove fondò e diresse, con Dina Rinaldi, il giornale per ragazzi “Pioniere”, con cui collaborò per una decina d’anni, fino alla cessazione della pubblicazione. In tale periodo fondò il campeggio estivo dei Pionieri, con sede prima a Sestola e poi a Castelluccio di Porretta Terme.

Gianni Rodari poesie e filastrocche

Stringe una intensa collaborazione con Giulio Einaudi Editori che con Editori Riuniti pubblicava i suoi libri, apprezzati anche all’estero e tradotti in molte lingue. Tra le sue opere più significative: Le avventure di Cipollino, Gelsomino nel paese dei bugiardi, Filastrocche in cielo e in terra, Favole al telefono, Il libro degli errori, C’era due volte il barone Lamberto.

Alcuni suoi testi per l’infanzia, tra i quali la celeberrima Ci vuole un fiore, vengono musicati da Sergio Endrigo e da altri cantautori.

Negli anni Sessanta e Settanta Rodari ha partecipato a conferenze e incontri nelle scuole con insegnanti, bibliotecari, genitori, alunni. E proprio dagli appunti raccolti in una serie di questi incontri ha visto la luce, nel 1973, Grammatica della fantasia, che è diventata fin da subito un punto di riferimento per quanti si occupano di educazione alla lettura e di letteratura per l’infanzia.

Favole in teatro

Le storie di Gianni Rodari dedicate all’infanzia hanno spesso conosciuto una riduzione per il teatro (è stata questa la sorte, tra le altre, di C’era due volte il barone LambertoFavole al telefonoLa freccia azzurraIl sole neroLa grammatica della fantasia).

Tra i lavori specificatamente pensati per il teatro si trovano Le storie di re Mida (Torino, teatro Carignano 1967), Le avventure di Cipollino (Milano, circolo Brecht 1973), Il paese dei 99 cani (Roma, Teatro del Pavone 1975), Avventura con il televisore (Enna, scuola elementare 1975), Caccia a Nerone(Terranova Bracciolini 1976), Marionette in libertà (Palermo, scuola elementare `Arcoleo’ 1976), La storia di tutte le storie (La Spezia, centro Allende 1976), Le farsefavole (Bologna, parco della Montagnola 1976), Gip nel televisore (Venezia Lido, La Perla del Casinò 1977), La gondola fantasma (Agerola, Napoli, 1981), Quando la terra girava (in collaborazione con V. Franceschi, 1981), Gli esami di Arlecchino (1996). La gran parte della produzione teatrale di Rodari è contenuta in due libri: Le storie di re Mida (1983) e Gli esami di Arlecchino (1987).

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Ripellino

Fra i più accreditati slavisti italiani, Angelo Maria Ripellino fu anche il curatore di una riduzione per il palcoscenico del Processo di Kafka, per la regia di M. Missiroli (1975). Il suo contributo più importante resta comunque quello dato allo studio e alla comprensione del teatro russo dei primi del secolo e subito posteriore alla rivoluzione d’ottobre. Vanno in particolar modo ricordati testi come Majakovskij e il teatro dell’avanguardia (1959), Il trucco e l’anima (1965) – in cui il filo della rievocazione della grande stagione primonovecentesca dello spettacolo russo è sviluppato a partire da un ricco corredo di documenti e testimonianze dell’epoca – e Praga magica (1973).

Rudner

Formatasi con Mia Slavenska, alla New York School of Ballet, danza con la compagnia di Sanasardo (1964-1966), con quella della Tharp (1966-1974), in cui emerge come interprete e co-creatrice, e con il Pilobolus (1975). Crea balletti per la propria compagnia e per vari gruppi indipendenti: Dancing on View (1975), un quartetto di cinque ore, il solo Yes (1975) e One Good Turn (1976), rimontati poi per il gruppo di Lubovitch, e Dancing May’s Dances (1976). Interprete carismatica, è oggi apprezzata coreografa.

Rigano

Compiuti gli studi alla Scuola di Ballo dell’Opera di Roma con Attilia Radice, nel 1967 entra nel Corpo di Ballo del Teatro e nel 1973 è nominato primo ballerino. Qui interpreta tutti i ruoli del repertorio classico ( Lo schiaccianoci, Don Chisciotte ) e neoclassico ( Apollo di George Balanchine), segnalandosi come uno dei ballerini italiani più valenti della sua generazione. Lasciata l’Opera, ha assunto la direzione delle compagnie del Teatro Regio di Torino e del Teatro Verdi di Trieste e si è dedicato all’insegnamento e alla coreografia.

Romanov

Terminato l’Istituto coreografico di Pietroburgo Boris Georgevic Romanov ha danzato dal 1909 al 1920 con il teatro Marijnskij, interpretando soprattutto ruoli di carattere e grotteschi nello Schiaccianoci, Il padiglione di Armida, Carnaval, Le bambole, La figlia del faraone, Il re Candaule, Eunice, Islamej. La sua prima coreografia risale al 1911 quando mette in scena La mano (Ruka) al teatro Liteinij di Pietroburgo. Come coreografo ha subito l’influenza di Fokin e i suoi principi estetici sono largamente assimilabili a quelli in voga nel cabaret artistico `Il cane randagio’ e al mondo artistico del pittore Sudejkin. Nel 1913 e nel 1914 ha collaborato con i Ballets russes di Diaghilev per i quali ha coreografato La tragedia di Salomè di Florent Schmitt e le danze di Le rossignol di Stravinskij. Le danze di questo periodo sono improntate a un forte impressionismo e a un umore grottesco. Nel 1920 abbandona la Russia e dal 1922 al 1926 dirige il Teatro romantico russo. Importante il suo allestimento di Giselle (1926). Dal 1926 al 1928 ha collaborato con la compagnia di Anna Pavlova. Successivamente è stato attivo al Colon di Buenos Aires, con i Ballets russes de Monte-Carlo. Dal 1938 al 1950 ha lavorato a New York in varie compagnie. Nel dopoguerra ha lavorato ancora a Parigi e Buenos Aires.

Romberg

Sigmund Romberg impara a suonare il pianoforte sotto la guida del padre e, da solo, diversi altri strumenti. Ancora ragazzo, dirige in pubblico una marcia da lui stesso composta. Si trasferisce a Vienna per studi di ingegneria, che abbandona per dedicarsi totalmente alla musica. Si trasferisce prima a Londra e poi, dal 1909, a New York, dove suona il piano in caffè e ristoranti, prima di farsi conoscere come autore di canzoni e poi come compositore di musiche per operette e commedie musicali. Il suo primo lavoro teatrale, commissionatogli dagli impresari fratelli Shubert (Lee e Jacob, proprietari di una vasta catena di teatri) è del 1914 e si intitola The Whirl of the World , presentato al Winter Garden Theatre con buon esito. Su un’ottantina di lavori firmati da Romberg, circa la metà verrà messa in scena dagli Shubert: i libretti sono di vari autori, tra i quali spicca Harold Atteridge (alcuni testi sono scritti dallo stesso musicista).

ùDel 1914 è The Passing Show of 1914 , seguito da altre edizioni dello stesso spettacolo nel 1916, 1917, 1918, 1919, 1923 e 1924. Del 1915, fra gli altri, Hands Up (che accoglie il tango e il rag); Made in America (pieno di riferimenti ai nuovi ritmi); The Blue Paradise , adattamento di un’operetta viennese con numeri nuovi, fra cui un `Auf Wiedersehen’ diventato famoso. Robinson Crusoe jr. (1916) costituisce una burlesca occasione per Al Jolson; The Girl from Brazil (1916) immette in un severo paesaggio scandinavo ritmi brasiliani; Maytime (1917) è ancora tributario della tradizione operettistica ed è un trionfo (si impone la canzone “Will You Remember?”); Sinbad (1918, ancora per Al Jolson) presenta lussureggianti melodie di un’Arabia da favola; mentre The Melting of Molly (1918) propone canzoni dai ritmi moderni (sintomatici i titoli “Jazz-How I Love It” e “Jazz-All Your Trouble Away”).

Agli anni ’20 appartengono i maggiori successi. Il primo è Blossom Time (1921) ispirato all’operetta di Berté La casa delle tre ragazze , su musiche di Schubert: i brani “Song of Love” (con una melodia tratta dalla Sinfonia Incompiuta) e “Lonely Hearts” entrano nel repertorio e vi rimangono. Del 1924 è The Student Prince , a sua volta tratto da un’altra operetta europea, ma rinnovata dal nuovo libretto di Dorothy Donnelly e dalla musica di R. Resta lo spunto, relativo a un giovane principe che studia in incognito a Heidelberg e si innamora della cameriera di una locanda: l’esito è strepitoso, nonostante l’assenza di ballerine e la presenza in scena di un coro formato da quaranta uomini (stupendo, fra gli altri numeri della partitura, il “Brindisi” dalla ricca tessitura corale; notevoli il duetto “Deep In My Heart” e le canzoni “Golden Days”, “Serenade” e “The Flag That Flies Above Us”).

ùSeguono, fra gli altri, Princess Flavia del 1925 (dal romanzo Il prigioniero di Zenda di A. Hope), The Desert Song del 1926 (canzoni romantiche “Desert Song e “One Alone”); The Love Call (1927), con spagnolismi e canzoni di rangers (ambientato nell’Arizona); The New Moon del 1928 (di spicco le canzoni “Lover, Come Back To Me” – derivata da una melodia di Ciaikovskij – “One Kiss” e “Wanting You”); Nina Rosa (1930) e Melody (1933), ambedue con versi di Irving Caesar; Sunny River (1941). In questo periodo R. si dedica a una fitta attività concertistica portando in giro per gli Usa musiche sue e d’altri autori con una orchestra da lui diretta, che lo vede come esecutore al piano. Organizza anche diverse trasmissioni musicali per la radio. Le sue ultime commedie musicali sono: Up in Central Park (1945, bella la canzone “The Birds and the Bees”); The Girls in Pink Tights dello stesso anno, ma rappresentata nel 1954 (vanta ottimi numeri di ballo, messi in scena dalla coreografa Agnes De Mille); e My Romance (1948), da una commedia di Edward Sheldon, amico personale di Romberg.

Negli anni ’30 R. aveva collaborato con Hollywood per le musiche originali di alcuni film, fra i quali Viennese Night (1930, di A. Crosland) e La città dell’oro (The Girl of the Golden West, 1938, di R.Z. Leonard). Tra le sue commedie musicali trasposte sullo schermo si segnalano The Desert Song (1929, 1943 e 1953), New Moon (1931 e 1940), e poi La notte è per amare (The Night Is Young, 1934, di D. Murphy); Primavera (Maytime, 1937, di R.Z. Leonard); Up in Central Park (1948, di W.A. Seiter); Il principe studente (The Student Prince, 1954, di R. Thorpe). Nel 1954 Stanley Donen dirige un film sulla vita e il lavoro di R. intitolato Così parla il cuore (Deep in My Heart, protagonista José Ferrer). Romberg fa parte, con Victor Herbert e Rudolf Friml, del triumvirato che `trapianta’ l’operetta viennese in America, rinnovandola con elementi del jazz e delle forme musicali del Nuovo Mondo; ma anche se R. sposa le sue ascendenze danubiane coi ritmi `yankees’, non si integra mai completamente, restando fino all’ultimo sostanzialmente fedele allo spirito dell’operetta europea.

Roli

Attento osservatore dei costumi contemporanei, Mino Roli denuncia nelle sue opere, con stile neoverista, i rappresentanti di una società ingiusta e senza scrupoli. Tra i titoli della sua produzione vanno ricordati Sacco e Vanzetti (1961), realizzato in collaborazione con L. Vincenzoni e rappresentato dalla compagnia Sbragia-Garrani-Salerno, e Le confessioni della signora Elvira (1965), messo in scena dalla Padovani-Garrani-Sbragia.

Rancati,

L’attrezzeria Rancati è una ditta di proprietà della famiglia Sormani da tre generazioni (1864) fornisce l’attrezzatura scenica per il teatro, il cinema, la televisione e tutto ciò che fa spettacolo. Giulia Sormani, proprietaria con il primo marito di un’attrezzeria a Milano (nell’edificio del Teatro alla Scala), si risposò in seconde nozze con lo scultore Edoardo Rancati con il quale sviluppò l’attività, sino ad aprire sul finire del secolo scorso sedi a Roma, Torino e Bologna nel 1912. La ditta R. con sedi ora a Milano e Roma è fornitrice dei maggiori teatri italiani ed esteri e di produzioni cinematografiche. Gigantesca fabbrica dei sogni, dove si creano, si trasformano (su disegni di scenografi o costumisti), o si possono trovare raccolti con tradizione e grande passione, oggetti di scena, mobili, complementi di arredo, accessori del costume, armi, gioielli. Questi oggetti elaborati da artigiani – con materie plastiche, metallo, cuoio – nei laboratori della ditta, rappresentano le numerosissime collaborazioni con importanti registi, scenografi e costumisti italiani e stranieri.

Randone

Dopo l’esordio a vent’anni con A. Ninchi, a dispetto del padre viceprefetto che lo sognava avvocato, Salvo Randone si formò in un lungo tirocinio con le compagnie di Zacconi, Melato, Ruggeri (da allora riconosciuto come il suo grande maestro), Chiantoni, Ruffini, Tumiati. Nel 1940 Simoni lo volle nel ruolo di Carlo Magno nell’ Adelchi di Manzoni al Maggio fiorentino e l’anno dopo Salvini in quello di Daniele nei Masnadieri di Schiller al Festival della Biennale di Venezia, accanto a Benassi, Ricci, Baseggio, Adani. Perfezionatosi al romano Teatro delle Arti di A.G. Bragaglia, passando da un personaggio comico della Cintia di Della Porta a uno drammatico nel Lutto si addice a Elettra di O’Neill, fu Lazzaro nella Figlia di Iorio con Ricci-Ferrati, per affermarsi definitivamente nel fervore dell’immediato dopoguerra quando, con le regie di Costa, Strehler, Giannini, Visconti, Enriquez, fu memorabile interprete di classici, convinto assertore del teatro di Betti, buon frequentatore di Shakespeare, attratto da Goethe, Ibsen, Verga, Gorkij, Giacosa, ma anche capace di dare credito ai fermenti del nuovo, inscenando testi dei contemporanei Fabbri, Landi, Lodovici, Pinelli, Malaparte. Se in Oreste, Edipo, Creonte, Filottete, Tiresia seppe esaltare l’afflato dei grandi tragici ereditato dalla nativa Magna Grecia, con altrettanta valenza affrontò il naturalismo lirico di Ibsen, l’empito lirico di Eliot, la sublime lezione di Goethe, il clownesco, cupo sberleffo di Pane altrui di Turgenev. Giunto al vertice della gerarchia di palcoscenico, rifiutò il cliché del mostro sacro, compiaciuto semmai dell’autodefinizione di `insocievole’.

Alternatosi con Gassman nei ruoli di Otello e Jago (1956), ebbe al suo fianco la Borboni, per qualche anno sua compagna anche nella vita, la Magni, la Carli, la Maltagliati, la Ferrati, la Zareschi, la Brignone, la Volonghi ma, soprattutto, Neda Naldi, sposata nel 1970. La sua sicilianità ritrosa, la sua umbratile malinconia, le sue inquietudini e nevrosi contribuirono a farne l’attore pirandelliano per antonomasia, ventenne Paolino, quarantenne Baldovino, settantenne Toti e Martino Lori, ma soprattutto ineguagliabile Enrico IV . Nel cinema ha girato, tra gli altri, con Pietri, Pietrangeli, Rosi, Visconti. Molte le sue apparizioni televisive.

Rizzi

Studia alla Boston Ballet School; entra poi nel Boston Ballet, nel New York City Ballet, nel San Francisco Ballet, nel Balletto di Graz, all’Opéra di Parigi, per passare in seguito al Ballett Frankfurt di William Forsythe (1985), di cui diventa assistente coreografo. Crea My Ant Farm per i colleghi francofortesi (1992) e altri lavori per le compagini junior del Joffrey Ballet e del Boston Ballet. La sua cifra di autore risente fortemente dell’influsso forsythiano.

Ravasio

La tradizione bergamasca ha come protagonista nella propria baracca la maschera di Gioppino riconoscibile dai tre gozzi sotto il mento. Benedetto Ravasio è l’artista che sintetizza il momento di passaggio tra la vecchia tradizione e il rinnovamento nel teatro dei burattini. Figlio di un panettiere, decise con la moglie, Giuseppina Cazzaniga, di intraprendere professionalmente l’arte alla fine degli anni ’40. R. fu scultore, pittore, drammaturgo e valente violinista. Rappresentò i suoi spettacoli in Italia e all’estero, per circa cinquant’anni. Fu denominato nell’ambiente `il principe dei burattinai’.

Royal Shakespeare Company

Royal Shakespeare Company è una compagnia teatrale inglese fondata nel 1960 a Stratford-upon-Avon per volere di Peter Hall e Sir Fordham Flower, intorno alla ormai consolidata compagnia dello Shakespeare Memorial Theatre. L’intento di Flower e Hall prevede di trasformare un teatro e una compagnia, fino ad allora impegnati in un festival stagionale di un certo successo, nel primo esempio di `teatro nazionale’ con una compagnia permanente, attori a due o tre anni di contratto e la prospettiva di una sede a Londra presso l’Aldwych Theatre. Il programma di Stratford avrebbe concentrato le forze su Shakespeare e il teatro elisabettiano, mentre la sede londinese si sarebbe occupata di teatro moderno, anglosassone e straniero, e avrebbe accolto spettacoli da Stratford.

Nel corso degli anni ’60 la compagnia fa da autorevole controparte al National Theatre, allora diretto da Laurence Olivier, che più volte tenta di annetterla. Il gruppo raccolto intorno a Hall annovera artisti già affermati, tra cui Edith Evans, Peggy Ashcroft, Paul Scofield, Peter O’Toole, mentre si cura del processo di formazione di talenti quali Ian Holm, David Warner, Dorothy Tutin. A Londra la Royal Shakespeare Company intraprende di tanto in tanto brevi stagioni in teatri più piccoli: nel 1962 prende in gestione l’Arts Theatre, per destinarlo alla nuova drammaturgia facendo emergere scrittori come David Rudkin e Henry Livings, ma anche registi come Anthony Page e David Jones. Tra i meriti di Hall nella formazione della Royal Shakespeare Company, merita menzione l’impegno profuso nell’avvicinamento di teatranti e accademici: caso esemplare rimane John Barton, che lascia Cambridge per diventare regista e aiutante di Hall nell’insegnamento della recitazione in versi. La collaborazione Hall-Barton produce Le guerre delle rose (The Wars of the Roses, 1963), adattamento dei primi drammi storici shakespeariani che celebrò l’inaugurazione dell’Aldwych Theatre come sede londinese della Royal Shakespeare Company.

Nel 1968 Hall lascia il suo posto di direttore artistico a Trevor Nunn che nel 1978, visti i sempre maggiori impegni della compagnia, viene affiancato da Terry Hands. Sotto la guida di Nunn vengono sviluppati programmi di tipo sperimentale e progetti rivolti alla promozione della drammaturgia contemporanea (Bond, Barker), portati avanti in spazi-studio sia a Londra (The Place, Donmar Warehouse, The Pit presso il Barbican Centre) sia a Stratford (The Other Place, 1974). Nel 1986 un terzo spazio viene inaugurato dalla compagnia a Stratford, The Swan, per la rappresentazione dei contemporanei di Shakespeare. Nello stesso anno, Nunn lascia il suo posto e Hands prosegue nella direzione artistica fino al 1990, quando è la volta di Adrian Noble che, invertendo in parte la rotta, riporta la Royal Shakespeare Company a un repertorio più classico. Tra le produzioni di maggior successo si ricordano il Re Lear (1962) di Peter Brook con Paul Scofield, l’ Amleto di David Warner e ancora Brook con il suo Teatro della crudeltà (1964) e la messa in scena del Marat/Sade (1964) di Peter Weiss; i debutti dei lavori di H. Pinter, in particolare La collezione (1962) e Il ritorno a casa (1965); la trilogia di Enrico VI (Henry VI) di Hands; e per la regia di Noble l’ Enrico IV (Henry IV, Parts 1 and 2, 1991) con Robert Stephens e l’ Amleto (1992) con Kenneth Branagh.

Renaud

Madeleine Renaud esordisce nel 1921 alla Comédie-Française. Nel 1936 incontra su un set cinematografico Jean-Louis Barrault, che sposerà qualche anno dopo. Nel 1942 interpreta La regina morta – di Montherlant, sotto la regia di Pierre Dux. Nel 1946 lascia la Comédie-Française per fondare con Barrault una propria compagnia teatrale, la cui sede è il Théâtre Marigny. Il suo repertorio comprende ugualmente classici (Marivaux, Molière) e moderni: Le notti dell’ira di Salacrou (1946); Partage de midi di Claudel (1948); Stato d’assedio di Camus (1948); La répétition ou l’amour puni di Anouilh (1950); Malatesta di Montherlant (1950); Lazare di Obey (1950); Bacchus di Cocteau (1952); Per Lucrezia di Giraudoux (1953); Le personnage combattant di Vauthier (1956). Nel 1956 la direzione del Théâtre Marigny non rinnova il contratto di affitto e la compagnia intraprende una lunga tournée in provincia e all’estero: è la prima compagnia a esibirsi nella sala delle Nazioni Unite a New York; nel 1981 ritroverà la propria sede stabile al Théâtre du Rond-Point. Magistrale è la sua interpretazione del personaggio di Winnie in Giorni felici di Beckett (1963); successivamente recita ne I paraventi di Genet (1966); La madre di Witkiewicz (1970); Harold e Maude di Higgins (1978); Savannah Bay, scritto per lei dalla Duras (1983); Pense à l’Afrique di Dryland (1984); Les salons di Minoret e Arnaud (1986).

Rambert Dance Company

Rambert Dance Company è il nome imposto nel 1987 dall’allora direttore Richard Alston al complesso di danza contemporanea successore dell’illustre Ballet Rambert fondato nel 1926 da Marie R. Per difficoltà economiche e su proposta del ballerino-coreografo Norman Morrice, il numero dei danzatori ridotto nel 1966, quando il balletto classico è sostituito dalla danza moderna. Dopo Morrice, hanno diretto la compagnia Robert North e Richard Alston, creando balletti e invitando coreografi ospiti. Il numero dei danzatori è aumentato nel 1994, sotto l’ammirata direzione di Christopher Bruce, che immette nel repertorio anche lavori di elementi della compagnia (Didy Veldman e Jeremy James), nonché di famosi coreografi quali Jirí Kylián e Paul Taylor. Per il settantesimo anniversario della compagnia (1996), Bruce crea, in omaggio a Rambert, Quicksilver e riprende Dark Elegies, creato da Tudor per il Ballet Rambert. Anche la scuola della compagnia gode di ottima fama.

Rezza

Nato come mimo, R. ha negli anni elaborato una personalissima forma di espressione teatrale e cinematografica, creando dei personaggi tanto stralunati quanto graffianti. Tra i numerosi spettacoli teatrali, allestiti quasi sempre in collaborazione con Flavia Mastrella, e strutturati con una tecnica `a quadri’, in cui tra i buchi di stoffe e disegni colorati escono le mille espressioni di R. ricordiamo: Occhi (1988), Con barba e cravatta (1990), Vichinghi elettronici (1991), Seppellitemi ai fornetti (1992) e Pitecus (1994). Attivo anche con produzioni video e cinematografiche, sovente premiate nei maggiori festival di settore, R., nel 1997, gira il suo primo lungometraggio, Escoriandoli , che interpreta insieme a V. Golino, F. Mastrella e I. Ferrari.

Rocchetti, acconciature

Il laboratorio è situato nel centro di Roma, vi lavorano abili artigiani seguiti con grande passione dai discendenti della famiglia R. che controllano la preparazione e le varie fasi di lavorazione, dalla scelta dei materiali, all’acconciatura. Rocchetto fornisce parrucche e acconciature per moltissime produzioni, collabora con numerosissimi costumisti tra i quali: O. Nicoletti, P. Tosi, G. Agostinucci, M. Polidori, e molti altri.

Riva

Emmanuelle Riva esordisce in teatro nel 1954 in Uomo e Superuomo di Shaw. Ha interpretato testi di Bernstein, Fabbri, Bernanos, Vauthier, Pinter. Nel 1963 entra a far parte del Théâtre National Populaire sotto la direzione di G. Wilson. Recita in: Il ritorno di Pinter (1966); Le diable au coeur (1976); Charcuterie fine di Tilly (1981); L’esilio di Montherlant (1983); Regarde, regarde de tous tes yeux di D. Sallenave (1987); La bonne mère (1989) di Goldoni. La sua interpretazione in Hiroshima, mon amour di Resnais nel 1959 l’ha rivelata al pubblico internazionale.

Rastelli

Enrico Rastelli è considerato il più grande giocoliere di tutti i tempi. Dopo una formazione a tutto campo, avvenuta soprattutto in Russia nei piccoli circhi itineranti dove era scritturata la sua famiglia (a San Pietroburgo riceve persino lezioni di danza da un giovanissimo Nijinskij), nel 1915 R. incontra un giocoliere giapponese, Takashima, dal quale apprende le antiche tecniche della giocoleria orientale, oltre a un enorme rispetto e considerazione per il proprio lavoro. Questi requisiti, insieme a un’innata e spiccatissima predisposizione e a un’incredibile costanza negli allenamenti, lo portano a eseguire virtuosismi mai più eguagliati, come la giocoleria di otto piatti realizzata con un vaso in equilibrio sulla fronte, saltando la corda con una gamba, mentre l’altra è impegnata a far roteare un cerchio.

Dopo un breve tirocinio in Italia con gli impresari Gatti e Manetti, Rastelli lascia definitivamente il circo per i più remunerativi teatri di varietà e inizia a esser noto soprattutto all’estero, dove ottiene il maggior numero di scritture negli anni ’20; Usa, Francia e Germania sono le nazioni dove riscuote maggior successo esibendosi nelle più prestigiose sale di spettacolo, quali il Palace di New York, il Medrano di Parigi e il Wintergarten di Berlino. Il 1931 pare l’anno destinato a segnare la sua consacrazione anche in patria, grazie a un contratto con la potente ditta Suvini – Zerboni; ma pochi giorni dopo il suo debutto al teatro Duse di Bergamo, Rastelli muore per una forma di emofilia congenita, ma maturata in seguito a una lieve ferita riportata in scena durante un’esibizione. Oltre che per gli incredibili virtuosismi, Rastelli è ricordato per l’introduzione nella giocoleria dei concetti di essenzialità, velocità ed eleganza, in assoluto contrasto con le lente e macchinose esibizioni dei nerboruti giocolieri del tempo. Le perfette simmetrie degli oggetti che giocolava e dei movimenti del suo corpo lo pongono fra i pochi artisti di circo e di varietà a essere frequentemente ricordato negli scritti di molte personalità della cultura di allora, come Colette, Jean Cocteau, Oskar Schlemmer (che fece adottare il training del giocoliere ai propri allievi di teatro), oltre ai nostri Orio Vergani e Vito Pandolfi.

Rissone

Dopo l’esordio con L. Borelli e la permanenza in alcune compagnie, Giuditta Rissone raggiunse la notorietà entrando nel 1921 nella Vergani-Cimara-Almirante, sodalizio diretto da D. Niccodemi. Divenne primattrice nel 1927, con L. Almirante e S. Tofano, in una compagnia che si affermò per il repertorio spiritoso ed intelligente. Nel 1930 passò alla Za Bum e qui, insieme a V. De Sica (che sposò nel ’37), si confrontò con testi brillanti. Ormai conosciuta ed amata per le sue doti comiche e finemente ironiche, nel 1933 entrò in ditta con De Sica e Tofano, che due anni dopo lasciò la compagnia, sostituito da U. Melnati. Il gruppo recitò insieme fino al 1939, affermandosi nella messa in scena di spettacoli leggeri ed ottenendo un grande successo con Due dozzine di rose scarlatte di De Benedetti. Dopo la guerra la R. fece soltanto alcune sporadiche apparizioni sul palcoscenico. Al cinema ha recitato spesso con De Sica, talvolta in trasposizioni di testi già proposti in teatro.

Raffinot

Dopo una solida formazione classica, François Raffinot partecipa alle prime esperienze del Théâtre du Silence di Jacques Garnier e in seguito lavora con Félix Blaska. Nel 1977 incontra Francine Lancelot che comincia a esplorare l’affascinante ma oscuro territorio delle antiche danze, e con lei fonda (1982) la compagnia Ris et Danceries. Per dieci anni si piega a studiare sconosciuti manoscritti facendo rinascere uno stile completamente sconociuto. Parallelamente approfondisce la conoscenza della danza contemporanea con Susan Buirge. Nel 1985 si afferma come coreografo con la Suite d’un goút étranger (creazione collettiva) e l’anno successivo presenta Caprice . Nel frattempo continua a far rivivere la danza antica attraverso la ripresa di opere del passato (Alceste di Lully, Hippolyte et Aricie di Rameau), di comédies-ballets (Le bourgeois gentilhomme) o in suggestive ricostruzioni (Bal à la cour de Louis XIV, 1987). Nel 1988 allestisce con successo altre opere di Rameau: Zéphire e Platée . Due anni più tardi dà vita ad una nuova compagnia (Barocco) che intende riportare il vocabolario barocco in lavori decisamente contemporanei come nel raffinatissimo Garden Party e Adieux , del 1994, senza dubbio il più riuscito in tal senso. Sulla medesima linea è anche Scandal Point presentato al festival di Avignone nel 1996. Dal 1993, R. dirige il Centre choréographique national di Le Havre.

Ruggeri

Figlio di un professore di lettere, Ruggero Ruggeri debuttò a diciassette anni nella compagnia Benincasa in Agnese di F. Cavallotti, per poi formarsi con A. Tessero, E. Novelli, C. Leigheb. Nel 1900 divenne primattore della Talli – I. Gramatica-Calabresi, con cui affrontò testi di Giacosa, Ferrari, Bracco, Rovetta, Sudermann, ma soprattutto s’impose come il primo Aligi nella Figlia di Jorio , rivelandosi attore dannunziano per eccellenza. La musicalità e l’incanto crepuscolare della sua voce, il portamento signorile, l’ombra di disdegno che traspariva da gesti controllati o da un semplice corrugar di ciglia concorsero a farne il modello estetico di un’intera generazione, come confermò nel dannunziano Più che l’amore e nei vari Bernstein, Bataille, De Curel, affrontati con E. Gramatica, e nei Wilde, Sardou, Brison, Guitry proposti avendo accanto L. Borelli (1910) e poi E. Paoli, T. Teldi, V. Vergani, A. Borelli con le quali passò da Shakespeare (Amleto e Macbeth ) a Bracco, da Lavedan a Forzano.

La problematica pirandelliana lo impegnò per tutta la rigogliosa maturità da Il giuoco delle parti (1918) a Non si sa come (1935), passando per Tutto per bene , Il piacere dell’onestà , Sei personaggi in cerca d’autore . Tra le due guerre ebbe come primattrici P. Borboni, A. Pagnani, M. Bagni, L. Carli, I. Gramatica, allargando il suo repertorio a Giraudoux, Nozière, Andreev e concedendo largo spazio alla drammaturgia italiana contemporanea (C.G. Villa, E. Possenti, G. Gherardi, V. Tieri) cui rimase fedele anche nel secondo dopoguerra, quando riprese molti dei precedenti successi dando credito anche a Betti e a Giannini. Straziante Martino Lori e loico Baldovino nei pirandelliani Tutto per bene e Il piacere dell’onestà – suoi antichi cavalli di battaglia cui aggiunse l’ Enrico IV – ebbe per ultima primadonna G. Paolieri, insistendo su autori e testi complessivamente inferiori rispetto alle sue eccezionali possibilità interpretative. Prima di uscire dalla scena e dalla vita ebbe la consolazione di una trionfale tournée a Parigi e a Londra. Da grande attore del teatro italiano all’antica, guardò con sospetto al teatro italiano di regia, cosa che non gli impedì di lavorare, ormai settantenne con gli allora giovanissimi Strehler, Pandolfi, Jacobbi, Brissoni e, ormai quasi ottuagenario, con Visconti, nell’alfieriano Oreste (1949). Con il cinema, muto e parlato, ebbe saltuari e insoddisfacenti rapporti.

Raspani Dandolo

Specializzata nel repertorio brillante, ha tuttavia interpretato molti classici: soprattutto negli anni Cinquanta al Piccolo di Milano, in Questa sera si recita a soggetto di Pirandello e La casa di Bernarda Alba di Garcia Lorca. Indimenticabile nel ruolo della signora Peachum nell’ Opera da tre soldi di Brecht. Eccellente interprete di Feydeau e Courteline, nel 1963 forma compagnia con Mario Scaccia ( La lezione , Delirio a due di Ionesco). Nel 1964 riceve il Premio San Genesio per l’interpretazione di mamma Varon in La fastidiosa di C. Brusati a fianco di Salvo Randone. Molti, infine, gli spettacoli di rilievo Clizia , Le morbinose , Ciao Rudy e Pensaci, Giacomino! con Antonio Crast.

Rooney

Ragazzino prodigio Mickey Rooney si mette in luce in una serie di cortometraggi (1927-1934) ispirati a Mickey McGuire, amato personaggio dei fumetti popolari, e nel ruolo di Puck nel Sogno di una notte di mezza estate (1935). Alla Metro Goldwin Mayer, dove è la più giovane star maschile, viene messo in coppia con Judy Garland. Insieme realizzano una serie di `barnyard musicals’, di cui fa parte la trilogia diretta da Busby Berkeley comprendente Ragazzi attori (1939), Musica indiavolata (1940) e I ragazzi di Broadway (1941), pellicole che portano al successo canzoni come “Good Morning” di Rodgers e Hart e “Our Love Affaire” di Gershwin. Nel 1937 inaugura da protagonista la serie di Andy Hardy che trova conclusione, dopo altre tredici pellicole, nel 1947. In alcune di queste, come L’amore trova Andy Hardy (1938) e Andy Hardy incontra la debuttante (1939), ha modo di prodursi ancora in pregevoli numeri musicali.

Dotato di contagiosa simpatia comunicativa e di prorompente energia fisica, riesce a risolvere a proprio vantaggio l’handicap cinematografico della bassa statura usandola in chiave di caratterizzazione espressiva, sia nelle situazioni drammatiche di La città dei ragazzi (1937) e Faccia d’angelo (1957) sia in quelle avventurose di Capitani coraggiosi (1935) e Gran premio (1944). Negli anni ’40 è chiamato a interpretare sullo schermo le biografie dell’inventore Edison in Tom Edison giovane (1940) e dell’autore di testi per canzoni Larry Hart in Parole e musica (1948). Tra i tanti lavori per la televisione rimane memorabile la sua versione musicale di Pinocchio (1957). Quando il musical cinematografico imbocca la parabola discendente accetta di lavorare anche in produzioni minori come Voli, amore e paracadutismo (1965), pressato dai debiti per gli alimenti alle ex mogli. Colleziona infatti ben otto matrimoni, sempre con donne bellissime (la prima moglie è Ava Gardner, la terza Martha Vickers). Il debutto davanti a un vero pubblico arriva solo nel 1979, a Broadway, al fianco di Ann Miller nello spettacolo Sugar Babies , con esito trionfale. Nel corso della sua lunga carriera incide centinaia di canzoni, non solo tratte da colonne sonore. Nel 1965 viene edito il volume I.E. , la sua autobiografia scritta con l’apporto di Roger Kahn.

Reggiani

Bocciata alla Bottega di Gassman, Francesca Reggiani approda alla scuola di Gigi Proietti, dove segue diversi laboratori. I. Thulin la fa recitare in Casa di bambola di Ibsen. Improvvisando al teatro Vittoria di Roma, viene notata da C. Leone e S. Guzzanti, che la trascinano sul piccolo schermo. Nel 1992, dopo i successi della “Tv delle ragazze”, torna al teatro con il monologo tragicomico Non è Francesca e recita in Via sulla strada dell’inglese W. Russell. Nel 1993 interpreta Rimozioni forzate con N. Salerno (produzione Argot).

Ricci

Nata e cresciuta nell’ambiente teatrale (il nonno era Ermete Zacconi, il padre Renzo Ricci, la madre Margherita Bagni), prima moglie di V. Gassman da cui ebbe una figlia (l’attrice P. Gassman), Nora Ricci debutta con la compagnia del Teatro delle Arti nella stagione teatrale 1943-44. Successivamente entra a far parte della formazione Adani-Calindri-Carraro-Gassman, con cui interpreta trentacinque commedie. Lavora fino al 1953 nella compagnia Ferrari-Pilotto-Tofano ( Il giardino dei ciliegi di Cechov, Il volto e Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello). Nello stesso anno recita in Medea di Euripide per la regia di Visconti, quindi si ritira dalle scene fino al 1958. Riprende la sua attività debuttando nel teatro leggero al fianco di F. Valeri e V. Caprioli. È in questi anni che giunge a maturazione la sua vocazione al grottesco e alla parodia che, da un lato, trova espressione nel teatro satirico-cabarettistico di Valeri e Caprioli ( Lina e il cavaliere, Le catacombe ), dall’altro sfocia nella vena critico-ironica degli spettacoli della compagnia De Lullo-Valli-Falk-Albani ( Sesso debole di Bourdet, Anima nera di Patroni Griffi, Le morbinose di Goldoni, Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello, Victor o i bambini al potere di Vitrac). Nel 1967 viene chiamata da Visconti per Egmont di Goethe al Maggio musicale fiorentino; nel 1968-1969 recita nella compagnia Morelli-Stoppa ( Vita col padre , Lascio alle mie donne di D. Fabbri), mentre nel 1971 è nuovamente al fianco di F. Valeri in Il coccodrillo . Notevole la sua attività cinematografica, della quale sono da ricordare le esperienze con Visconti ( Bellissima , 1951; La caduta degli dei , 1969; Morte a Venezia , 1971; Ludwig , 1973) e con Germi ( Signore e signori , 1965). Rilevanti anche le sue apparizioni televisive ( Le sorelle Materassi ).

Roussin

Dopo aver lasciato gli studi di diritto, André Roussin muove i primi passi come attore di teatro a Marsiglia nella Compagnie du Rideau gris. Dalla sua città natale si allontana per recitare nella Compagnie des Quatre Saisons a New York. Nel 1941, grazie a un’eredità, riesce a mettere in scena la sua prima commedia, Am-Stram-Gram , a Aix-en-Provence. Il successo gli apre le porte dei teatri parigini. Il tono è quello della farsa, il ritmo e lo humour ricordano quelli delle gag dei fratelli Marx. Ai dialoghi brillanti, Roussin unisce una pungente ironia delle convenzioni che reggono i rapporti nella società: in La petite hutte (1947), marito e moglie si trovano su un’isola deserta con l’amante di lei; in Nina (1949) un marito, deciso a uccidere l’amante della moglie, finisce per diventarne il miglior amico; in Les ouefs de l’autruche (1948) affronta il tema dell’omosessualità; in La mamma (1957) quello dell’impotenza. Roussin smaschera l’ipocrisia e i pregiudizi che sostengono la rispettabilità della famiglia borghese con gli strumenti del teatro boulevardier; è lontano dall’avanguardia e in una riflessione sul teatro, Lettre sur le théâtre d’aujourd’hui (1965), si lamenta dell’eccessiva influenza di Brecht sui registi contemporanei. Nel 1973 entra a far parte della Académie française.

Reim

I temi del suo teatro, spesso provocatori, sono sostenuti da una cultura solida e raffinata. Come attore debutta nel 1972 con Ragazzo e ragazza di D. Maraini e nel 1979 è il protagonista del Lady Edoardo di F. Cuomo diretto da ? di A. Trionfo. Dalla metà degli anni ’80 si dedica quasi esclusivamente alla regia con interessanti rielaborazione di testi classici, spesso rari o dimenticati. Laureato in storia dell’arte, affianca all’attività teatrale quella letteraria, settore nel quale annovera collaborazioni con Moravia, Zavattini e Sanguineti.

Rose

Conclusi gli studi, nel 1960 Jürgen Rose entra a far parte del collettivo del Teatro di Ulm; artista eclettico, dalla grande sensibilità coloristica, l’anno seguente è già a Monaco con il regista D. Dorn, ma la sua carriera prende avvio con il coreografo J. Cranko, con cui elabora alcuni fortunati allestimenti, tra i quali un ricco Romeo e Giulietta di Prokof’ev (Stoccarda 1958) dai colori accesi, ispirato ai disegni di Klimt; e un leggero Onegin di Cajkovskij (Stoccarda 1963), rievocante le tenui tonalità della moda dei primi anni dell’Ottocento. Interprete particolarmente sensibile di R. Strauss, si occupa con successo della Salome (Milano, Scala 1974), del Cavaliere della Rosa (regia di O. Schenk, Scala 1976 ) e di Arabella (regia di P. Beauvais Monaco, 1977). Tra gli altri suoi spettacoli, ricordiamo un Marchese di Keith di Wedekind (Monaco 1970) tradizionale, dagli ambienti accennati e dai sofisticati costumi d’inizio secolo; un Don Giovanni di Mozart (Berlino 1973) in cui gioca un ruolo essenziale la luce, che varia continuamente d’intensità, dal crepuscolo all’alba, valorizzando i costumi settecenteschi; un apprezzato Flauto magico (regia di A. Everding; Roma, Opera, 1979) e un recente Molto rumore per nulla di Shakespeare (Monaco, Kammerspiele, 1992).

Radio City Music Hall

Radio City Music Hall diventè celebre come ‘il più grande cinema del mondo’. Questo teatro, inaugurato il 27 dicembre 1927 nel nuovissimo Rockfeller Center, all’angolo fra 50th Street e 6th Avenue, deve il suo nome alla catena del network radiofonico. Una sublimazione dell’Art Deco applicata all’architettura teatrale, una delle più grandi sale ludiche del mondo, capace di seimila spettatori (il doppio del Metropolitan), con un palco dotato di meccanismi che permettono spostamenti delle sezioni in alto o di lato, in grado di creare il memorabile effetto della grande orchestra che, durante l’opening, si alza a quindici metri d’altezza e sembra volteggiare in aria prima di tornare al proprio posto. Inizialmente la direzione di questa gigantesca sala viene affidata a Arthur `Roxy’ Rothapfel, il padre dei movie-palaces dell’epoca, giganteschi e lussuosi cinematografi. L’edificio, progettato con delle caratteristiche atte ad ospitare grandi spettacoli, viene per dichiarato, poco prima dell’apertura, esplicitamente dedicato alla visione di pellicole per famiglie. Il risultato è l’apogeo della formula che da noi si chiamerà avanspettacolo, con sontuosi spettacoli dal vivo che precedono la proiezione, spesso in prima visione, di pellicole destinate al successo.

Lo spettacolo d’apertura rimane degno di ricordo, con la troupe dei funamboli di Karl Wallenda, Joe Weber e Lew Fields, un’enorme orchestra ed un enorme coro, Vera Schwarz, Erno Rapee, oltre al mitico corpo di ballo delle Rockettes (dapprincipio chiamate Roxyettes, in onore al direttore artistico): 46 ragazze scelte per le loro misure, piuttosto che per la loro bravura, impegnate in coreografie famose soprattutto per la sincronia dei movimenti, di sapore vagamente militaresco. Gli spettacoli per eccellenza del R. C. diventano il Christmas Show e l’ Easter Show , la cui visione rappresenta per decenni uno status-symbol per gli abitanti di Manhattan. In seguito ospita soprattutto singoli eventi, come concerti di stelle della musica leggera o tourne di complessi stranieri di varie discipline. Ma il Christmas e l’ Easter Show , ancora oggi visti da centinaia di migliaia di spettatori, rimangono in pratica dal dopoguerra le uniche eredi dell’estetica delle Ziegfeld Folies e delle altre lussuose riviste che negli anni Venti caratterizzarono la vita anche sociale della grande mela.

Rocca

Pur tradizionalista nel tratto – a tal punto da rifiutare Pirandello e il grottesco – Gino Rocca testimoniò con efficacia nelle sue opere la `crisi delle coscienze’ di inizio secolo, che l’angosciosa esperienza della grande guerra contribuì ad acuire. Il primo amore (1920), Le farfalle (1921), I canestri azzurri (1921), allestite nei principali teatri di Milano, città in cui ha lavorato come giornalista, fecero da preludio alla sua stagione più fortunata, collocabile tra il 1924 e il 1930. Gli amanti impossibili (1925) e Il terzo amante (1929) portarono a compimento il tema a lui caro dell’inesistenza del vero amore e dell’impossibilità di essere pienamente felici. Sul versante della produzione dialettale – in cui si è avvalso delle straordinarie performance di G. Giachetti che gli assicurarono ampio successo di pubblico e critica – si collocano Se no i xe mati no li volemo (1926), Sior Tita paron (1928) e La scorzeta de limon (1928), accomunate dalla tragicomica presentazione di una provincia arrogante e cupa, dominata dalla smaniosa corsa al denaro e dal grado zero degli affetti.

ragazzi,

Con il termine teatro per i ragazzi o teatro-ragazzi, come sempre più spesso negli ultimi anni lo si è definito, si indicano in genere quelle opere teatrali realizzate per un pubblico infantile, molto spesso scolastico. La fascia dei fruitori si è via via allargata col tempo e oggi il pubblico che assiste a questi spettacoli viene comunemente diviso in fasce d’età: dalle scuole materne a quelle superiori con repertorio, metodologie e stilemi diversi tra loro, tanto che è invalsa anche la dizione `teatro per l’infanzia e la gioventù’. Il teatro-ragazzi contemporaneo inizia in Italia come movimento e progetto alla fine degli anni ’60, in stretto rapporto con il cambiamento della società e dei modelli culturali che stava avvenendo in quegli anni. Si individua nel bambino sia uno spettatore attivo e sensibile che è al di fuori di tutte le rigide convenzioni del teatro ufficiale, sia un attore che si esprime liberamente facendo uscire da sé tutte le proprie potenzialità. È il momento dell’animazione teatrale, dove, nella scuola che cambia, il teatro-ragazzi si fonde con il teatro per i ragazzi. In questo senso a Torino nascono le esperienze di Franco Passatore, Remo Rostagno e Sergio Liberovici. È da questo nuovo modo di concepire la scuola e il teatro, che ha le sue radici il teatro-ragazzi italiano (assai diverso per concezione da quello degli altri stati europei) che diventa adulto e professionista attraverso l’attività di alcuni operatori, non a caso spesso provenienti dalla ricerca, che decidono di rivolgersi esclusivamente ai ragazzi.

Il teatro-ragazzi esce quindi dalla scuola e diventa autonomo, pur essendo parte integrante dello sviluppo del bambino, e in più, attraverso il lavoro di questi professionisti, usa stilemi propri, molto diversi dal teatro per adulti: non è un teatro rimpicciolito, ma sperimenta sempre nuovi linguaggi al servizio dell’immaginario bambino. Negli anni ’70 nascono decine e decine di compagnie che sia dal punto di vista delle tecniche e delle poetiche, sia dal punto di vista organizzativo e della produzione, rinnovano i linguaggi (teatro d’attore, il teatro di figura, la narrazione) e i meccanismi del teatro italiano. Nascono le associazioni di categoria, i festival di Muggia, Cascina (Vetrina Italia) e Parma (Vetrina Europa), il premio Stregagatto, i centri nazionali. Oggi il teatro-ragazzi italiano conta decine e decine di operatori e di compagnie che vi si dedicano e si sta consolidando come vero e proprio teatro popolare, adatto a tutti i pubblici e a tutte le età.

Molti e variegati sono i festival di teatro-ragazzi che si svolgono in Italia e che hanno raccolto l’eredità della storica manifestazione di Muggia che per diversi anni è stata un punto di riferimento per gli operatori. Senza dubbio il più importante è Vetrina Italia, organizzata a Cascina dal 1986 da uno dei centri nazionali più operativi, Sipario, da qualche anno diventato Fondazione. Accanto a questa iniziativa, il Teatro delle Briciole di Parma ha realizzato Vetrina Europa, rara occasione per vedere in Italia le migliori produzioni estere. Il teatro-ragazzi del Sud ha la possibilità di farsi conoscere e apprezzare con Angeli a Sud, Festival che si svolge da cinque anni prima a Vico Equense, poi a Salerno, organizzato da due compagnie, L’Arcolaio e I teatrini con il concorso del Teatro pubblico campano. Altri festival in forte ascesa sono: Una città per gioco, organizzato cinque a Vimercate dalla cooperativa Tangram e I teatri del mondo di Porto S. Elpidio ideato dalla compagnia Teatri Comunicanti. Infine ci sono vetrine regionali nel Veneto, in Puglia, in Emilia Romagna e in Lombardia dove Segnali, la manifestazione organizzata dai Centri di teatro-ragazzi lombardi si sta ora configurando in un vero e proprio festival. Un posto a parte merita il Festival nazionale del teatro per ragazzi di Padova, organizzato dal 1981 dall’Istituto italiano di sperimentazione e diffusione del Teatro per Ragazzi che prevede premi assegnati da giurie formate da ragazzi.

Rame,

I Rame hanno quale capostipite Pio (Alessandria 1849 – Castano Primo 1921) che inizia il mestiere con il marionettista Domenico Razzetti. Si mette in proprio nel 1876 e da allora, fino all’indomani della prima guerra mondiale porta i suoi spettacoli in molte province del Piemonte, della Lombardia e dell’Emilia. Negli anni ’20 la compagnia (tutta familiare, formata dai figli Domenico e Tommaso e poi dalle figlie Pie e Franca) incomincia a dedicarsi sempre di più al teatro in persona, presentando grandi drammi e farse e a limitare il circuito al Varesotto e all’Alto Milanese.

Robbins

Dopo gli studi normali, Jerome Robbins si iscrisse alla facoltà di chimica dell’Università di New York. Attratto dal teatro, scelse subito la danza, dapprincipio il balletto e con i suoi derivati (Antony Tudor, Eugene Loring), danza spagnola e orientale, danza moderna infine, con la sorella Sonia, anche recitazione con Elia Kazan, violino e pianoforte, attore nello Yiddish Art Theatre, conforme alle sue origini israelite (1937); in seguito ottenne le prime scritture come danzatore sino al 1941 quando creò le sue prime coreografie. Un retroterra culturale ed artistico così denso gli servì per dare vita al suo eclettico programma teatrale. Questa preparazione gli permise molto presto le entrature nei più importanti complessi coreutici americani. Nel 1940 divenne membro del Ballet Theatre ove rimase sino al 1944 interprete delle coreografie di L. Massine, M. Fokine, D. Lichine, A. Tudor; nel 1949 entrava nella compagnia del New York City Ballet, fondato l’anno prima da Balanchine del quale divenne direttore artistico associato. L’anno 1944 vide la sua prima coreografia importante: quel Fancy Free che doveva fare un lungo cammino e che s’impose subito per l’aria scapiglita e divertente (musica di Bernstein).

Robbins impose subito la sua estetica. Ogni ballerino doveva essere parimenti dotato nella tecnica classico-accademica come in quella moderna nelle più disparate tendenze «per dimostrare agli europei la varietà delle tecniche, degli stili e dagli accostamenti teatrali che costituiscono il particolare sviluppo della danza in America». Esito addirittura folgorante a queste premesse è stata la costituzione di una particolarissima, straordinaria compagnia di balletto detta Ballets: Usa, organizzata a New York ma presentata in Italia (nel 1958) dietro precisa richiesta di G.C. Menotti che l’invitò al Festival di Spoleto di quell’anno. Le stagioni, quasi miracolose, furono soltanto due: 1958-59 e 1961 ma quali emozioni, stupori, meraviglie sorpresero il pubblico convenuto alla manifestazione spoletina. La critica notò subito la forza, l’originalità del coreografo, la bontà delle scelte nei danzatori, l’efficacia delle tematiche contemporanee.

Robbins presentò nel 1958 un balletto creato nel 1945, Interplay , gioco di ragazzi e di figure lanciate nello spazio, freschissimo e delizioso; poi New York Export: Opus Jazz, studio di rapporti ritimici e umani (come sempre in Robbins), una ripresa dell’ Afternoon of a Faun rivissuto con spirito nuovo, moderno, sulla traccia del poema di Nijinskij-Mallarmé-Debussy e ancora The Concert (musica di Chopin, il musicista cui Robbins ricorse a più riprese nel suo splendido cammino fatto di tensioni, umori, fermenti; siparietto di Saul Steinberg e l’aggiunta di un tocco umoristico piacevolissimo). Nel 1959 Robbins presentò, sempre a Spoleto, Moves , danzato nel silenzio assoluto, forme classiche e balletto jazz fusi insieme con grande fantasia. Nel 1961 la novità Events poneva l’accento, amaro e dolente, sulle nostre realtà contingenti ed era anche, oltre che affresco potente di una società dilaniata, una mirabile prova di espressione coreografica.

Tutte queste qualità ed altre tese alla creazione di uno spettacolo totale (ciò soprattutto nella commedia musicale) anche riscontrabili in altri lavori dei quali sono da ricordare The Age of Anxiety (musica di Bernstein, 1950), The Cage (Stravinskij, 1951), The Pied Piper (Copland, 1951), Fanfare (Britten, 1953), Les Noces (Stravinskij, 1965), Dances at a Gathering (Chopin, 1969), In the Night (Chopin, 1971), The Golberg Variations (Bach, 1971), Watermill (Teiji Ito, 1972), le coreografie su musiche di Stravinskij (1972) e di Ravel (1975), lo spettacolo per Spoleto 1973: Celebration: The Art of the Pas de deux ; senza trascurare alcuni dei suoi musical di maggior successo: The King am I (1951), Peter Pan (1954), il capolavoro assoluto West Side Story (musica di Bernstein, versione teatrale 1957; cinematografica 1962), Funny Girl (1964), Fiddler on the Roof (1964). Fra i premi, i riconoscimenti, è da considerare l’invito rivolto a R. dal presidente Kennedy l’11 aprile 1962 quando i Ballets: Usa si esibirono alla Casa Bianca, eccezionale avvenimento, riverente omaggio ad un genio della scena coreutica mondiale.

Renzi

Dopo gli studi con Barbara Baer e Cristina Bozzolini, nel 1980 Raffaella Renzi entra nel Corpo di ballo del Maggio musicale fiorentino, interpretando subito ruoli solistici. Dal 1985 prima ballerina della Deutsche Oper Ballet di Berlino, si segnala per la particolare sensibilità drammatica in balletti di Roland Petit (L’angelo azzurro), John Cranko (Onegin), John Neumeier (Ondine). Ospite del balletto di Marsiglia Roland Petit nel 1988-1989, ha danzato anche con MaggioDanza (Coppelia di Poliakov, 1992) e con la compagnia di Carla Fracci (Il vespro siciliano di Derek Deane, 1992).

Ruggeri

Inizia la sua carriera con il teatro di ricerca della cooperativa Teatro presenza di Enor Silvani. Si alterna fra teatro (dal 1980 con Salomè , Sonata sinfonetta e Superfast , fino al 1996, dove la vediamo tra gli interpreti di Forbici follia di Gianni Williams) e la televisione, dove partecipa a varie trasmissioni tra cui “La zanzara d’oro” (1997), da lei condotta.

Ribeiro

Inizia a coreografare nel 1984 con la sua Compagnie Stridanse, per proseguire con collaborazioni con la Companhia de Dança de Lisboa, il Ballet Gulbenkian, il Nederlands Dans Theater 2 e Il Balletto di Ginevra. Dal 1995 con la nuova formazione della Companhia Paulo Ribeiro propone il suo stile fisico, veloce e corporeo in lavori come Sábado2 (1995), Rumor de deuses (1996), Azul Esmeralda (1997).

Renouard

Ha studiato con R. Hightower a Cannes ma la sua carriera si è svolta prevalentemente in Italia. Ospite della compagnia Cosi-Stefanescu, è passato tra le file dell’Aterballetto dove è stato sovente il partner di E. Terabust. Presso la stessa formazione è stato anche il valido protagonista di alcune novità di A. Amodio ( Aprés-midi d’un faune , Pulcinella ecc.). Successivamente ha svolto attività di freelance in vari teatri italiani, compreso il Verdi di Trieste dove è stato scritturato come maître de ballet.

Rascel

Uno dei monumenti del teatro leggero italiano, all’interno del quale ha occupato spazi (straordinari) nell’avanspettacolo e nella rivista, poi nella commedia musicale, nella commedia tout court, e poi nel cinema, in radio e in televisione. Figlio d’arte (i genitori erano cantanti d’operetta), Renato Rascel debuttò bambino in compagnie filodrammatiche, e poi fece parte del coro di voci bianche di don Lorenzo Perosi. A diciassette anni si esibisce come suonatore di batteria e ballerino di tip-tap; l’anno seguente fa parte di un trio, con le sorelle Di Fiorenza, come cantante e ballerino. Nel 1934 viene notato dagli Schwartz e debutta, come Sigismondo, in Al Cavallino bianco . Poi torna con le Di Fiorenza, e poi con Elena Gray va in tournée in Africa. A partire dal 1941 ha compagnia propria, insieme a Tina De Mola, allora sua moglie, con testi di Nelli e Mangini, di Galdieri, infine di Garinei e Giovannini. Intanto R. ha elaborato il suo personaggio più o meno fisso: un piccoletto (il che corrisponde alla sua statura) stralunato, distratto, e troppo mite per essere vero.

Alcuni suoi sketch e canzoni ne sono capolavori assoluti, vedi `Il corazziere’ che resterà nella memoria del pubblico e mirabili scenette demenziali come quella con Marisa Merlini, `Adelina la Faciolara’, dalla rivista Perepé, perepé, perepé, questo è il mondo che piace a me (stagione 1950-51). Ancora una stagione di rivista, la seguente, con E invece pure e si inaugura la grande stagione del musical: i suoi autori-complici sono Garinei e Giovannini. Debutto nel 1952 con Attanasio cavallo vanesio ; il pubblico reagisce con entusiasmo. Nel 1953 Alvaro piuttosto corsaro ripete il successo di Attanasio , ma forse con maggior qualità di testo e musiche. Segue, nel ’54, Tobia la candida spia (i testi continuano a essere di Garinei e Giovannini) e poi nel ’57 Un paio d’ali , che fu un vero e proprio trionfo. Nel 1961, celebrandosi il centenario dell’unità d’Italia, Garinei e Giovannini confezionano per R. Enrico ’61 , in cui si ripercorrono cent’anni di storia patria.

Nel ’62, per coprire un buco di programmazione, Rascelinaria , spettacolo antologico di Rascel che ha il solo difetto di avere una programmazione troppo breve. Il 25 ottobre 1964 R. incontra in scena Delia Scala: Il giorno della tartaruga è una commedia con musiche che ha tutti i pregi e i difetti della ‘premiata ditta’ (ormai si definisce così la Garinei & Giovannini). I rapporti di Rascel con i due autori non sono mai stati idilliaci (del resto non lo sono mai stati con nessuno), ma ciò non impedisce il grande successo di Venti zecchini d’oro di P. Festa Campanile e L. Magni, regista Zeffirelli con il ‘piccoletto’, un asino, la Borboni feroce nei versi dell’Aretino, la bellezza incantevole di Maria Grazia Buccella e il progetto di Alleluja, brava gente, che andrà in scena alla fine del 1970 senza il coautore Domenico Modugno ma consacrerà un attore straordinario: Gigi Proietti. L’attività cinematografica di Rascel è piuttosto lunga, con un debutto nel 1942 (Pazzo d’amore, regia di Giacomo Gentilomo) e un’intensa attività negli anni ’50, ma spesso in film scadenti che ripetevano motivi e macchiette dei suoi spettacoli teatrali. Fanno eccezione Il cappotto , da Gogol’, con la regia di Alberto Lattuada (1952); La passeggiata, pure da un racconto di Gogol’, regia dello stesso Rascel (la sua unica in cinema; 1953); infine, nel 1959, Policarpo ufficiale di scrittura diretto da Mario Soldati.

Rascel ha scritto molte canzoni di successo, fra cui la canzone italiana più eseguita nel mondo, “Arrivederci Roma”; e poi “Romantica” (premiata a Sanremo), “Te voglio bene tanto tanto” e ancora altre. Infiniti programmi alla radio e due celebri trasmissioni di varietà in tv: Rascel la nuit (1956) e Stasera a Rascel-City (1964). Nel teatro di prosa ha debuttato al ridotto dell’Eliseo nel 1955 con Bobosse di André Roussin e Gli agnellini mangiano l’edera di Noel Langley. Nel 1967, per la televisione, ha interpretato I Boulingrin di Courteline e Delirio a due di Ionesco e nel ’70, sempre in tv, I racconti di padre Brown da Chesterton. Inoltre ha scritto le musiche per l’operetta Naples au baiser de feu , protagonista Tino Rossi, al Mogador di Parigi (1957).

Romano

Sergio Romano si è diplomato alla Scuola d’arte drammatica `P. Grassi’ di Milano. È stato diretto da Castri nel Progetto Euripide e in La vita è sogno di Calderón. Con la regia di G. Bosetti (e il teatro stabile del Veneto) ha preso parte a Spettri di Ibsen, Il bugiardo e La bottega del caffè di Goldoni, oltre a Zeno e la cura del fumo da Svevo; è stato Hamlet di Shakespeare con la regia di B. Besson; ha recitato in Il malato immaginario di Molière diretto da Lassalle, I due gemelli veneziani di Goldoni (regia di G. Emiliani), La Moscheta di Ruzante (regia di De Bosio), Il principe travestito di Marivaux, regia di C. Pezzoli. Di quest’ultimo autore ha di recente interpretato anche Le false confidenze , diretto da M. Sciaccaluga.

Reitz

Formatasi all’università del Michigan e con Cunningham a New York, studia anche Tai-Chi-Chuan mentre danza per Twyla Tharp e Laura Dean. Nel 1973 fonda il suo gruppo per il quale crea una ventina di lavori, ma anche film e video. Prende parte a Einstein on the Beach (1976) di Bob Wilson e Philip Glass. Come performer, dal 1977 in poi, crea numerosi assoli: Journey: Moves 1 through 7 , Journey for Two Sides , Phrase Collection , Necessary Weather . La sua predilezione per il movimento astratto è evidente nei suoi titoli più noti: Steps , 4 Scores for Trio , Single Score Working Solo .

Rossi Gastaldi

Patrick Rossi Gastaldi esordisce come attore per passare alla regia all’inizio degli anni ’90, allestendo spettacoli di autori contemporanei: Terapia di gruppo di C. Durang – traduzione di G. Lombardo Radice – di cui è anche interprete (Todi, 1992); L’atelier di Grumberg, traduzione di G. Lombardo Radice (Todi,1993); I pappagalli di T. Tally – adattamento di G. Lombardo Radice – (1995), con Valerio Mastrandrea; Oberon di U. Chiti (Benevento, 1995), di cui è anche interprete accanto a Pupella Maggio; Il pianeta proibito (Shakespeare & rock’n’roll) di Bob Carlton (Todi, 1995); Bodies di J. Saunders (Roma, 1996); Non ti conosco più di A. De Benedetti (Trieste, 1996); I peggiori anni della nostra vita di E. Vaime (1996), con Gianfranco D’Angelo; Separazione di T. Kempinski (Roma, 1997), con Margherita Buy.

Rossi

Scoperta da E. Jannacci, Maria Rossi partecipa al “Maurizio Costanzo Show”, dove si afferma con i suoi racconti e i suoi personaggi di campagna. È infatti originaria di un piccolo paese in provincia di Reggio Emilia, che ha ispirato il suo spettacolo del 1995 Ma Poviglio è anche sulla cartina? e il successivo Maria-ia-o (1996).

Robeson

Famoso nel mondo soprattutto per la sua memorabile esecuzione della canzone “Ol’ Man River”, da lui trasformata in un grido di protesta e di fierezza, fu anche un eccellente attore di prosa, interpretando, fra l’altro, L’imperatore Jones e Tutti i figli di Dio hanno le ali di O’Neill e, per ben tre volte – la prima nel 1930, l’ultima nel 1959, a Stratford-on-Avon – Otello . Negli anni ’50 venne messo al bando in patria dal maccartismo per le sue esplicite posizioni politiche, ma ritrovò presto il suo pubblico, soprattutto con applaudite tournée concertistiche.

Remondi

Claudio Remondi (Roma, 1927, Roma 2013) e Riccardo Caporossi (Roma 1946). Insieme da oltre ventisette anni, lavorano per la realizzazione di spettacoli nei quali partecipano anche come attori. La loro poetica si basa su una comunicazione del gesto, attraverso la quale la parola diviene immagine. L’uso ingegnoso di macchine e la ricerca espressiva dei materiali poveri sono la cifra caratteristica del loro lavoro. Provenienti da retroterra artistici differenti (dal teatro tradizionale R.; da studi figurativi e architettonici C.), i due attori hanno fuso queste diverse formazioni affermando un loro proprio e autonomo linguaggio lirico-espressivo. Dal 1972 sono i direttori responsabili della Compagnia Club Teatro con sede a Roma con la quale svolgono una continua e coerente attività. Hanno rappresentato i loro spettacoli oltre che in Italia anche in programmazioni e festival internazionali. Hanno inoltre collaborato con istituzioni accademiche italiane, trasmettendo il loro modo di far teatro e sviluppando progetti di laboratorio rivolti a giovani attori con i quali hanno realizzato spettacoli in qualità di registi e attori.

Di rara e suggestiva bellezza visiva, gli spettacoli dei due artisti romani si configurano come sofferta riflessione della condizione esistenziale, in cui la levità del gesto e la grammatica di parole non dette, che rimandano a figure beckettiane, si dilatano in immagini soffuse di intensa poesia chapliniana. Una particolare proposta drammaturgica contemporanea consolidata da una singolare scrittura scenica che ha dato vita a spettacoli che difficilmente saranno dimenticati: Sacco (1973), Richiamo (1975), Teatro (1982), Bosco, Spera, Rem & Cap, Quelli che restano, Mondo nuovo . Con Senza fine (1984) C. dà inizio a un lavoro autonomo senza il partner di sempre, che evoca e fa vivere comunque nello spettacolo, come suo alter ego. Sulla scena i vestiti di Rem sono dispiegati su una seggiola e poi indossati dall’attore protagonista. Storia sospesa tra il futuro e la realtà quotidiana, Senza fine , racconta la storia di un uomo solo che in un giorno del futuro riceve e accumula notizie dal mondo mediante un personaggio fittizio, inviato speciale dalle sue stesse sembianze. Lo spettacolo coinvolge di persona lo stesso Caporossi, comunicatore con un altro da se (Rem) spiato in video, in un rapporto di desolante solitudine, destinata a confrontarsi con un mondo virtuale dove non esiste più alcuna sensibilità umana. Anche in questa performance i riferimenti all’amato Beckett non mancano, così come quelli a Chaplin e ai musici ambulanti, con fisarmonica e smorfie di riso che tanto ricordano quelli surreali di Fellini.

Con Romitori (1996) la collaudata coppia ritorna in scena insieme, per raccontare con appassionata intimità la storia di due personaggi, Rem & Cap, che si allontanano dalla confusione del mondo, consapevoli di attraversare una solitudine senza fine, verso una zona marginale o nel cosiddetto `deserto ardente’, luogo infestato da fiere e demoni. Tra un’ironia e una comicità che talvolta scivola nel grottesco, i due omini si confessano le loro tentazioni. Al loro fianco, costantemente, due figure come angeli custodi che assistono ai loro vaneggiamenti. Nel palcoscenico nudo che rimanda un’immagine di illimitata serenità, mondo dell’intima contemplazione, le parole strappate al silenzio del romitaggio dei protagonisti, sono soffocate tra frastuono di lontane valanghe e metamorfosi di suoni. Uno spettacolo quasi metafisico che rapisce l’attenzione e conduce in altri mondi. Come sempre in ogni rappresentazione, Caporossi ha curato la scenografia creando una serie di disegni, grafici, story board , parte costitutiva fondamentale della loro scrittura per immagini. C. inoltre negli ultimi anni ha realizzato autonomamente dei laboratori con giovani allievi: da Purgatorio condotto nel 1994-95 con un gruppo di ragazzi delle medie superiori di Modena a Intervallo, realizzato nell’edizione 1997 di Teatro di Frontiera, fino ai più recenti Cento, il cavaliere del sogno (1998) e Atti per nulla (1998), una riflessione sulla nascita dell’uomo e sul dubbio dell’inutilità del vivere.

Claudio Remondi muore a Roma il 15 febbraio 2013. Negli utlimi anni si era ritirato dalle scene a causa di una malattia invalidante, senza tuttavia abbandonare idealmente il lavoro del collega Riccardo Caporossi, che prosegue nell’attività registica, interpretativa e nella formazione di nuove leve di attori e sperimentatori.

Rossi Stuart

Figlio d’arte (suo padre Giacomo era stato attore in film western e mitologici), dopo il successo popolare in televisione con Fantaghirò Kim Rossi Stuart è approdato al cinema in Senza pelle di A. D’Alatri e Al di là delle nuvole di M. Antonioni. Nel 1995 è stato Edmund nel Re Lear di Ronconi poi protagonista de Il visitatore di Schmitt con T. Ferro, regia di A. Calenda.

ricerca teatrale

La ricerca teatrale del secondo dopoguerra riprende l’istanza che già aveva caratterizzato le avanguardie storiche della prima metà del secolo. In questa prospettiva l’autore teatrale è colui che compone l’evento scenico, sia esso derivato o meno da un testo preesistente. Spesso è difficile decidere se una personalità, poniamo un regista, appartenga all’uno o all’altro fronte, né aiutano molto le relative dichiarazioni di poetica, visto che i creatori hanno la tendenza a esprimersi in termini teorici secondo schemi già consolidati, più per giustificarsi che per lanciare nuove proposte. Stabilito dunque che la ricerca autentica si svolge in scena, si possono distinguere tre questioni principali: la composizione scenica, l’organizzazione dello spazio e la recitazione (l’attore). Ovviamente si tratta di questioni strettamente connesse tra loro, distinguibili soltanto per comodità di esposizione. L’istituzione registica, fondamentale anche nel teatro `tradizionalmente’ moderno, ha espresso fino dall’inizio del XX secolo alcuni degli esponenti più significativi della ricerca teatrale.

Personalità come Vselovod E. Mejerchol’d o Jacques Copeau, pur senza disconoscere l’importanza del testo drammaturgico, hanno relativizzato l’importanza di quest’ultimo, procedendo a una composizione scenica in nuovi spazi non teatrali (aperti, per esempio in campagna, o chiusi, come fabbriche ecc.), alimentata da un intenso lavoro di allenamento e improvvisazione degli attori, da elevare alla nuova funzione di co-autori. Ma la vera svolta è quella che avviene nel nome di Antonin Artaud. Questi, benché riconosciuto soltanto a posteriori come il nume tutelare della ricerca del secondo dopoguerra, esprime nei propri scritti e nelle proprie sperimentazioni sceniche l’istanza più radicale. Il suo saggio Il teatro e il suo doppio indica in tale doppio, cioè la vita, e nel suo `rafforzamento’ (apparentabile alla volontà di potenza nietzschiana) il vero teatro, un teatro che non rappresenta ma che si fa azione, fino a produrre un cambiamento organico tanto nell’attore quanto nello spettatore. Questo cambiamento non è paragonabile a quello prodotto da una medicina o da una terapia psicologica su un corpo o una mente malati, ma a un disvelamento della realtà, uno stato che l’autore francese definisce come una consapevolezza della `crudeltà’, suprema legge umana. Il Living Theatre viene fondato da Julian Beck e Judith Malina alla fine degli anni Quaranta, come il Piccolo Teatro di Grassi e Strehler. Mentre il secondo può essere considerato forse il massimo teatro di rappresentazione e interpretazione del secondo dopoguerra, il primo, sia pure inizialmente proponendo testi classici o contemporanei, rilancia la centralità della scena e cerca di ritrovare, se necessario anche attraverso la provocazione e il coinvolgimento fisico del pubblico, il potere di scuotere.

Con il Living l’atto teatrale esce dalla dimensione dell’ascolto per entrare in quella dell’azione (anarchica e non-violenta nel caso specifico). Così come succederà negli anni Sessanta a Peter Brook, il Living scoprirà Artaud soltanto dopo che alcuni dei propri memorabili spettacoli avranno suggerito ad alcuni critici e spettatori una coincidenza tra la sua poetica e l’istanza dell’autore francese. E così una teoria, ma soprattutto una visione, formulata negli anni Trenta è diventata in tutto il mondo il sigillo del rinnovamento, la formula capace di riassumere una nuova funzione del teatro e di prefigurare una diversa responsabilità artistica ed etica dei suoi autori. Dalla fine degli anni Cinquanta, ma soprattutto nei Sessanta, in tutto il mondo prende corpo un movimento di ricerca teatrale disomogeneo nelle poetiche ma basato sull’assunto comune dell’azione (artistica o politica, oppure artistica e politica) che sostituisce la rappresentazione e l’ascolto, e del teatro che divorzia dallo spettacolo. Questo nuovo teatro non è più inteso come un’attività vicaria della lettura e della didattica, bensì come la meditazione condivisa (l’espressione è di Brook) di una comunità provvisoria riunita attorno a un oggetto artistico che spiazza i clichè teatrali e le abitudini percettive.

Dagli Usa (si pensi a Allan Kaprow, a John Cage o Merce Cunningham e via via al movimento anche drammaturgico che giunge fino a oggi e che ha in Robert Wilson un esponente universalmente riconosciuto) alla Polonia (dove si segnala Tadeusz Kantor, attivo anch’egli fino dagli anni Quaranta, uno dei maggiori autori teatrali del dopoguerra), dal Giappone (dove oltre alla `danza delle tenebre’ Butoh si registra un ricco fermento che va dal teatro d’artista – si pensi almeno a Shuji Terayama e a Tadashi Suzuki – all’agit-prop) fino alla Gran Bretagna, alla Francia e la Germania, dove fioriscono molti gruppi teatrali interessanti che il lettore trova descritti nelle apposite voci, all’Italia naturalmente, si sperimenta un teatro basato su materiali, tecniche e funzioni diverse da quelle che caratterizzano il modello occidentale sette-ottocentesco, il cosiddetto `teatro borghese’.

Nel nostro paese sono innanzitutto alcuni registi come A. Trionfo, per citare solo uno dei nomi più significativi, poi alcuni attori come C. Bene, L. De Berardinis e C. Cecchi, o degli artisti visivi come C. Remondi e R. Caporossi, M. Ricci e G. Nanni, a inaugurare, in aperta polemica con il Piccolo Teatro di Milano, i più significativi filoni di ricerca. A essi si può affiancare Dario Fo per l’aspetto politico e di controinformazione, anche se il drammaturgo-attore lombardo è terribilmente sopravvalutato per quanto riguarda la scrittura. Per merito di queste personalità si stabilisce a un diverso rapporto con i testi classici e moderni, non più `letti sulla scena’ ma vagliati con una sensibilità contemporanea, la stessa che poi altri registi come L. Ronconi, M. Castri o F. Tiezzi, per esempio, declineranno anche nelle concezioni scenografiche o nell’uso di spazi non tradizionali. Mentre gli attori-autori sviluppano, in base alle rispettive sensibilità e coordinate culturali, non solo una rivisitazione ricca di sorprese del repertorio (basti pensare a come diversamente tra loro hanno affrontato Shakespeare), ma anche un’arte attorica originale, che conta esponenti di rilievo anche nelle generazioni successive (basterà fare il nome di Sandro Lombardi). E infine si pensi al teatro creato dagli autori che privilegiano l’aspetto visivo, a sua volta concretizzatosi in esperienze il cui valore è oggi riconosciuto in tutto il mondo, per esempio quelle che fanno capo a G. Barberio Corsetti o alla Socìetas Raffaello Sanzio.

Certo è da rimpiangere che la storia non abbia consentito un confronto più stretto e un sincretismo fra i differenti aspetti della ricerca, mentre si assiste a un deciso revival dell’istituzione spettacolistica pubblica e privata, nonché della drammaturgia. Purtroppo ciò avviene nel segno del ritorno alla rappresentazione e a un teatro fatto di `scrittori’, `lettori’ e `critici’ di messaggi culturali, più gradito a un pubblico abitudinario e più consono agli orientamenti delle attuali classi dirigenti. Tant’è che un grande maestro come J.Grotowski si è da tempo ritirato dalla scena per darsi alla ricerca pura, in una sorta di esilio dorato e tuttavia non privo di riscontri per coloro che della scena continuano a occuparsi. Alle istituzioni orientate in senso didattico e commerciale e a una drammaturgia intesa nuovamente come opera che i professionisti della scena sono chiamati a tradurre fedelmente sono costretti ad adeguarsi gli autori della ricerca. Sempre più spesso accade che questi accettino di lavorare su commissione, ma con modi e tempi che non appartengono loro bensì alle strutture tradizionali, emendando il vecchio teatro con qualche `novità’, oppure inserendosi con le proprie opere negli interstizi dei normali cartelloni, a significare così una marginalità (per quanto lucrosa) e un alibi dei grandi teatri.

Negli altri paesi la situazione è simile, anche se forse meno intricata. Sembra infatti che aldilà degli incroci sempre più frequenti fra autori della ricerca e istituzioni maggiori, nella cultura e nel gusto di civiltà teatrali come quella francese o nordamericana sia più netta e in qualche modo più serena la distinzione tra un teatro-che-rappresenta-i-testi e un’arte scenica autonoma, che sviluppa la ricerca attraverso forme e linguaggi del teatro inteso come forma di vita e azione nella vita. Una controprova della dinamica viziata è costituita dalla quasi totale assenza delle donne da ruoli di primo piano in questo panorama, assenza dovuta non a una mancanza di talenti ma, appunto, alla logica generale che domina i meccanismi di produzione e dunque di selezione, logica prevalentemente maschile. Il secolo sembra chiudersi così con una strana contraddizione secondo la quale a fronte di un immenso potenziale di creatività artistica si risponde con una selezione che privilegia l’adattamento e il compromesso con il sistema della rappresentazione. Ma la lotta continua, con esiti alterni, e della vicenda non s’intravvede la fine.

Rame

La sartoria Rame vanta tradizioni teatrali di famiglia dalla fine del ‘700. Pia (Giuseppina R.; Corbetta, Milano, 1920), sorella di Franca, prima di dedicarsi completamente al costume ha lavorato anche nell’ambito dell’alta moda, realizzando capi per i maggiori stilisti (Valentino); ha collaborato con successo per diversi anni con il `Casino de Paris’ e con il teatro `Circus Circus’, entrambi a Las Vegas e realizza i costumi per il circo di Walt Disney in Europa. Intensa è la collaborazione con famosi registi, costumisti e teatri italiani e stranieri (dal Piccolo milanese alle Orestiadi di Gibellina); ha vestito per la rivista italiana quasi tutte le soubrette del passato e del presente, da Wanda Osiris a Valeria Marini e creato i costumi per quasi tutti i grandi attori e cantanti italiani. Dalla sua sartoria escono i costumi per gli spettacoli di Dario Fo. Ha collaborato con Gianni Versace, per la produzione teatrale degli spettacoli di Béjart a Bruxelles e di Bob Wilson alla Scala (Doktor Faustus di Giacomo Manzoni, 1989).

Rosso di San Secondo

Proveniente da una nobile famiglia – il padre Francesco era un conte, la madre Emilia Genova una donna che riassumeva in sé l’austerità di tante mamme siciliane, Pier Maria Rosso di San Secondo rimase nella sua terra d’origine fino al raggiungimento della maturità classica. Roma divenne la sua meta, come fu meta di un altro grande, Pirandello, a cui per primo R. si rivolse quando vi giunse con una lettera d’accompagnamento datagli dal padre. Fu Pirandello che, dopo aver presentato con un’ampia introduzione il romanzo La fuga , propose Marionette, che passione! a V. Talli. Siamo nel settembre del 1917 e, prima di questa data, si segnalano, nella sua vita, alcuni viaggi e testi narrativi. Verso il 1907 si recò in Olanda, quindi in Germania. Scrisse una bellissima novella, lodata da Bonaventura Tecchi, La signora Liesbeth ; e compose, nello stesso periodo, Mare del Nord, Serenata, Una cena in presenza di Jean Steen, raccolte sotto il titolo Elegie a Maryke , e ancora Il poeta Ludwig Hansteken , che troveremo in Ponentino . Intanto la Compagnia drammatica italiana, diretta da Alfredo Sainati, nel 1908, aveva rappresentato al Teatro Carignano di Torino il primo lavoro di Rosso di San Secondo, andato perduto, La sirena incantata.

Dopo il 1917, quando apparve il romanzo La fuga, al quale seguì la rappresentazione di Marionette, che passione!, il lavoro divenne ancora più febbrile; nel 1918 fu pubblicata La morsa , nel 1919 andarono in scena Amara e La bella addormentata , mentre trova pubblicazione un altro romanzo: La mia esistenza d’acquario. Altre sue commedie sono: L’ospite desiderato (1921); Lazzarina tra i coltelli (1923); La roccia e i monumenti (1923); Una cosa di carne (1923); Il delirio dell’oste Bassà (1924); La scala (1925); Febbre (1926); Tra vestiti che ballano (1926); Lo spirito della morte (1931). Nel 1939 una malattia lo costrinse a letto per molto tempo mentre stava componendo Il ratto di Proserpina , che nel 1940 avrebbe dovuto essere rappresentata da A.G. Bragaglia, che ne aveva già preparato l’allestimento. Lo scoppio della guerra ne impedì la rappresentazione. Nel 1942-1943 Rosso di San Secondo compose a Lido di Camaiore Mercoledì, luna piena . Un anno prima di morire poté assistere a una nuova edizione scenica di La scala al Festival internazionale della prosa di Venezia, con la regia di Squarzina e con G. Santuccio e L. Brignone.

Il teatro di Rosso di San Secondo, affermatosi sotto l’equivoca formula del ‘grottesco’, contiene una carica così rivoluzionaria, una raffigurazione scenica così violenta, da farlo rapportare a quello di drammaturghi come Ibsen, Strindberg, Pirandello. È un teatro dell’attesa e dell’assurdo, che sembra anticipare autori come Ionesco e Beckett; la sua forza drammaturgica non è solo di carattere formale, ma anche linguistico. Opere come Marionette, che passione!, La bella addormentata, Lo spirito della morte sono degne di entrare in un vero e proprio repertorio del teatro italiano; sono commedie nelle quali i grandi temi esistenziali convivono con le famose `pause disperate’ o con la forte espressività coloristica. Rosso di San Secondo, pur non disdegnando la tradizione, fu certo un autore avanguardista.

Renzi

L’attività tatrale di Andrea Renzi si concentra nell’esperienza della compagnia Teatri Uniti di Napoli (in origine Falso Movimento) di cui fin dall’inizio è uno dei principali animatori. Nel 1980 recita in Rosso Texaco, testo scritto da lui insieme a M. Martone, che cura anche la regia. Due anni dopo recita in Tango glaciale di Martone a cui seguono: Otello, ispirato all’opera di Verdi (1983), Il desiderio preso per la coda , da P. Picasso (1985), Ritorno ad Alphaville (1987) e La seconda generazione (1988) tratto da Sofocle, Euripide, Virgilio, Ritsos e altri autori, tutti diretti da Martone. Tra le sue regie ricordiamo la messa in scena del suo testo Sangue e arena (1984), che ha ricevuto il premio Narni Opera Prima, oltre che Insulti al pubblico di P. Handke (1992) e A proposito di Van Gogh (1994). Dal 1995 conduce un progetto pluriennale di messa in scena del romanzo di B. Hrabal Una solitudine troppo rumorosa , da cui è stato tratto il film omonimo di S. Incerti (1996). Sempre al cinema ha partecipato a Morte di un matematico napoletano di Martone (1992) ed è stato il protagonista di Teatri di guerra ancora con Martone (1998). Tra le sue altre partecipazioni teatrali sono da ricordare: L’uomo dal fiore in bocca di Pirandello, regia di T. Servillo (1990), Dritto all’inferno spettacolo dedicato a P. P. Pasolini, progetto e regia di A. Neiwiller (1991), Il misantropo di Molière (1995) e il più recente Rosencranz e Guildestern sono morti di T. Stoppard, di cui è stato anche regista (1997).

Ringling Bros. and Barnum & Bailey Circus

‘The Greatest Show on Earth’, vera istituzione dello spettacolo popolare statunitense, nasce grazie alle geniali innovazioni e i bizzarri sogni di P.T. Barnum, uomo di spettacolo unico nel suo genere, il cui nome è diventato sinonimo di grandiosità e di kitsch nel mondo intero. Barnum è considerato fra i più rimarchevoli uomini di spettacolo di tutti i tempi. Nato da una famiglia di contadini, attraverso una serie di iniziative di più svariata natura, acquisisce un’immensa popolarità. Dal 1835 è attivo nel settore dello spettacolo popolare diventando per eccellenza l’impresario dello strano e del bizzarro. Fra i suoi successi: Joice Heth, un’anziana donna di colore spacciata per la balia di George Washington, la Sirena delle Fiji, i Fratelli siamesi, la cantante lirica Jenny Lind e, soprattutto, Charles S. Stratton, noto come Tom Thumb (Tom Pollice), forse il nano più famoso del mondo. Il suo primo complesso, il `P.T. Barnum Great Travelling Museum, Menagerie, Caravan and Hippodrome’, debutta a Brooklyn nel 1871 e si distingue subito per la grandiosità e la modernità della logistica. Entro un anno è in grado di percorrere in una notte spostamenti di oltre cento miglia per ferrovia, portando attrazioni e curiosità mai viste sino ad allora a intrattenere il pubblico di ogni parte degli Usa.

Il successo dei primi spettacoli circensi di Barnum è dovuto, oltre allo sfarzo delle produzioni presentate, anche alle nuove strategie di vendita e alle importanti innovazioni pubblicitarie, con manifesti affissi fino a settantacinque miglia dal centro visitato e memorabili parate di strada. La logistica è ottima: i metodi di carico e trasporto ferroviario che adotta diventano degli standard dell’industria moderna. Intanto, nel 1879 il Great London Circus di James A. Bailey, presenta al pubblico statunitense l’ingegnosa invenzione di Thomas Edison, la `macchina della luce’, e l’anno seguente esibisce il primo cucciolo di elefante nato in Usa. Il sensazionale successo di questi due avvenimenti suggerisce a Barnum di formare una società con il giovane showman.

I due impresari uniscono le proprie forze nel 1880 formando il “Barnum and Bailey Greatest Show on Earth”, chiamato così da Barnum in uno sfoggio della sua incomparabile immodestia. Viene creato il primo circo a tre piste della storia. Uno dei loro più grandi trionfi è il leggendario elefante Jumbo, acquistato dallo zoo di Londra per la cifra di 30.000 dollari, causando un incidente diplomatico fra Usa e Gran Bretagna. Alla morte di Barnum nel 1891, lo spettacolo viene portato avanti da Bailey, il quale, nel 1898, si imbarca per un tour oltreoceano che rifonda in pratica il circo europeo e il cui successo acquista fama leggendaria. Intanto, a Baraboo, nel Wisconsin, i fratelli Ringling creano il “Ringling Bros. Classic and Comic Concert Company“, sottotitolato `The World’s Greatest Show’.

Quando Bailey torna dall’Europa, scopre che quello dei Ringling è diventato il principale complesso statunitense. Inizia così una vera e propria battaglia senza esclusioni di colpi per aggiudicarsi la maggior fetta dell’enorme mercato Usa. James A. Bailey muore nel 1906 e un anno più tardi il glorioso marchio viene acquistato proprio dai Ringling che per undici anni lo gestiscono separatamente dal proprio. Infine, nel 1919, nasce il `Ringling Bros. and Barnum & Bailey Combined Show’. Novanta vagoni ferroviari trasportano per tutti gli Usa i millecinquecento componenti della compagnia, oltre a più di settecento animali e il materiale necessario per allestire un tendone da diecimila posti. Gli anni ’20 sono l’epoca d’oro del Ringling Bros. and Barnum & Bailey Circus quando John Ringling, l’ultimo dei fratelli, scrittura in tutto il mondo i migliori talenti circensi dell’epoca.

Nel 1932, l’ormai enorme complesso esce dal controllo della famiglia per rientrarvi nel 1938 grazie a John Ringling North (1903-1985), figlio di Ida Ringling e Henry W. North, che rimane direttore dal 1938 al 1942 e poi dal 1947 al 1967, periodo nel quale la fortuna del colosso è minata da questioni societarie e dal continuo lievitare dei costi. Nel 1952 il complesso viene rilanciato anche dall’uscita del kolossal di Cecil B. DeMille, Il più grande spettacolo del mondo , ambientato proprio da Ringling Bros. and Barnum & Bailey Circus. Ma la qualità delle rappresentazioni sembra in calo e lo stile subisce l’influenza di Broadway, perdendo il sapore circense originario. Nel 1956 l’aumento dei costi del personale e il breve periodo di tournée stanno per portare il complesso al tracollo. Fa la sua comparsa Irvin Feld, che inizia a collaborare con John Ringling North programmando una stagione lunga tutto l’anno da effettuarsi esclusivamente all’interno dei grandi palazzi dello sport, sorti nel frattempo in tutti gli Usa. Viene eliminato per sempre l’enorme tendone che aveva caratterizzato la storia del circo statunitense.

Nel 1967 Irvin e Israel Feld acquistano per otto milioni di dollari da John Ringling North l’intero complesso, firmando l’accordo definitivo a Roma all’interno del Colosseo. I Feld dimostrano dinamico spirito imprenditoriale. Immediatamente viene creata una seconda unità per mostrare al pubblico statunitense il grande talento europeo di Gunther Gebel Williams, considerato uno dei più grandi artisti di tutti i tempi e importato negli Usa con il suo nutrito gruppo di animali. Da allora Ringling Bros. and Barnum & Bailey Circus è presente nel territorio statunitense con due diverse produzioni che si rinnovano completamente ogni due anni. Nel 1968 Irvin Feld crea il Clown College, che per tre decadi produce artisti comici di buon livello. Nel 1971 tutta l’impresa viene venduta alla Mattel Inc. per 50 milioni di dollari per poi essere ricomprata nel 1982 per 23 milioni.

Nel 1984 il “Time” indica Irvin Feld come il più grande uomo di spettacolo del mondo; qualche mese più tardi scompare. La guida del Ringling Bros. and Barnum & Bailey Circus è presa allora dal figlio Kenneth che gestisce la più grande società al mondo nel ramo dello spettacolo dal vivo per la famiglia, la “Feld Entertainment”: due unità di Ringling Bros. and Barnum & Bailey Circus, quattro di Disney on Ice, lo spettacolo degli illusionisti Sigfried and Roy a Las Vegas e tanti altri, visitati ogni anno da circa venticinque milioni di spettatori. Kenneth conduce in maniera moderna l’evoluzione di Ringling Bros. and Barnum & Bailey Circus, migliorando l’approccio con i mass media e i produttori di ogni singolo stato e continuando a presentare al pubblico americano novità provenienti da tutto il mondo, fra le quali gli italiani Flavio Togni e David Larible. Anche la concezione dello spettacolo si evolve, influenzata dalle moderne tendenze di regia circense, concentrandosi attorno a un tema che cambia in ogni produzione.