Murgi

Rebecca Murgi studia presso la London Contemporary School e il College of Arts Arnhem, frequentando in seguito numerosi stage e workshop con alcuni dei maggiori esponenti della danza contemporanea come Merce Cunningam, Martha Graham, Steve Paxton, James Saunders, Lisa Kraus. Come danzatrice e coreografa collabora con diversi artisti europei, come il Teatro Valdoca, Adriana Borriello, Iztok Kovac. Tra le sue coreografie, di cui è anche interprete, Magnum Miraculum (1995), vincitore del Concorso Internazionale Teatri in Scatola nel 1997 e Focus on L (1997), uno studio sulla meccanica del corpo in movimento, che prende spunto dai disegni di anatomia di Leonardo da Vinci.

Yuriko

Dopo essersi esibita con la Konami Ishii Dance Company di Tokyo (1930-1937), Kikuchi Yuriko si unisce alla compagnia di Martha Graham (1944-1966), dove danza ruoli principali come la Luna in Canticle for Innocent Comedians e Ifigenia in Clytemnestra . Mette intanto in scena alcuni suoi recital e danza anche a Broadway nel Re e io (1951-1954), con coreografie di Robbins. Si dedica all’insegnamento presso la scuola della Graham, dove si afferma come docente rigorosa e fedelissima al metodo della maestra.

Citaristi

Laureatasi in filosofia orientale all’università di Venezia, dal 1979 Ileana Citaristi vive in India dove si dedica allo studio e alla ricerca sugli stili di danza Odissi e Mayurbanji Chiau sotto la guida del guru Kelucharan Mohapatra. Considerata l’unica esponente straniera dello stile coreutico indiano, si esibisce in India e nelle maggiori città europee in spettacoli di danze antiche e in brani dei quali ha curato le coreografie, come Moksha e Abhinaya. Nel 1997, al Teatro Verdi di Padova, è stata accanto alla Fracci nel Talismano, ricostruzione del balletto ottocentesco di Riccardo Drigo e Marius Petipa.

Sagna

Figlia della pittrice, danzatrice e coreografa Anna Sagna, Caterina Sagna, dopo gli studi di danza, teatro, musica e mimo è tra i danztori del Teatro e Danza La Fenice; danza poi con Jorma Uotinen e con la compagnia Sutki. Con la sua formazione Nadir (1987) firma per se stessa e la sorella Carlotta (Torino 1964) un Duo (1987) e Lemercier (1988) da Le serve di Genet. Dopo Schmah (1988) prosegue nell’ideazione di un teatrodanza ispirato a testi letterari di Büchner (Lenz, 1990), Kafka (Quaderni in ottavo, 1991), Valery (La migration de sens, 1995), Christa Wolf (Cassandra, 1996) Barthes (Strappi, 1997).

Vidach

Dopo le prime esperienze nell’ambito alla sperimentazione teatrale e con il gruppo di `contact improvisation’ di Lucia Latour, dal 1980 al 1989 Ariella Vidach completa la formazione a New York lavorando con T. Brown, S. Paxton, T. Tharp e altri coreografi postmoderni. Tornata in Europa, nel 1988 crea con il videoartista C. Prati e lo scultore M. Mazzella il gruppo di sperimentazione interdisciplinare Avventure in Elicottero Prodotti, con il quale sviluppa una ricerca coreografica basata sull’analisi del movimento e sul rapporto tra corpo e tecnologie, anche virtuali, in spettacoli come: Spotz (1989), Xpray (1991), Elicon Silicon (1994), Il veicolo senziente (1997).

Holm

Hanya Holm ha studiato all’Istituto Dalcroze di Hellerau e dal 1921 con Mary Wigman, per la quale diventa interprete (Feier, 1921; Totenmal, 1930) e assistente coreografica, oltre che insegnante nel suo Istituto di Dresda. Nel 1931 è invitata a New York per aprire la sezione americana della Scuola Wigman che, sotto il nuovo nome di Hanya Holm Studio (1936), resta attiva fino al 1967, diventando ben presto uno dei maggiori centri newyorchesi per la danza moderna. Ha insegnato inoltre ai corsi estivi del Bennington College (1934-39) e dell’Università del Colorado (1943-83). Fondata la sua compagnia nel 1936, firma numerose coreografie, influenzate dalle tematiche della danza moderna americana di quel periodo e fortemente orientate verso la critica sociale ( Trend , musica di E. Varèse, 1937; Metropolitan Daily, musica di G. Tucker, 1938; Tragic Exodus , musica di V. Fine, 1939), ma grande popolarità le viene dall’allestimento delle danze di musical come Kiss me, Kate (1948), My Fair Lady (1956), Camelot (1960). Personaggio di riferimento per la prima generazione della `modern dance’ americana, ha saputo influenzare la formazione di danzatori e coreografi tra i più importanti degli anni ’50 e ’60, come Valerie Bettis, Glen Tetley, Alwin Nikolais. Il suo metodo didattico scaturiva dalla scuola moderna centroeuropea ed era basato non su una tecnica prefissata, bensì sull’incoraggiamento alla ricerca espressiva personale.

Wood

Formatasi con Josephine Schwarz a Dayton, Donna Wood debutta con la Dayton Contemporary Dance Company. Si perfeziona poi al Dance Theatre of Harlem, per entrare in seguito nell’Alvin Ailey American Dance Theatre (1972) dove, con la sua intensa presenza e le sue straordinarie doti plastiche, è interprete di spicco del repertorio della compagnia e ispiratrice del grande coreografo afroamericano.

Keersmaeker

Fra le più interessanti esponenti della coreografia europea, Anne Teresa de Keersmaeker coniuga con originalità stili molto diversi fra loro, immettendo in un minimalismo alla Lucinda Childs una carica di pathos che si potrebbe accostare al teatrodanza di Pina Bausch. Keersmaeker ‘nasce’ al Mudra, la scuola fondata a Bruxelles da Maurice Béjart, dove nel 1980 presenta il suo primo brano, Asch. Passa quindi un anno a New York, presso la University’s School of Arts, e qui elabora e presenta il duetto Fase (in seguito rielaborato per quartetto in Belgio) su brani del compositore minimalista Steve Reich. Nel 1983 fonda la compagnia `Rosas’, che fa debuttare con Rosas danst Rosas, seguito l’anno dopo da Elena’s Aria, su registrazioni di arie cantate da Caruso, dove utilizza per la prima volta testi parlati e spezzoni di film. È del 1986 Bartóc Aantekeningen, ideato, come gli altri lavori, per un quartetto di ragazze, tutte vestite allo stesso modo, impegnate in sequenze rapide e all’unisono. Nel 1987 Keersmaeker approfondisce il suo interesse per i testi con una produzione di teatrodanza basata su scritti di H. Müller: Verkommenes Ufer Medeamaterial Landschaft mit Argonauten. Col tempo la sua ispirazione sembra trovare una cifra espressiva più serena, quasi rarefatta rispetto agli esordi con scarponi chiodati, e una danza grintosa, portata avanti con il suo gruppo di danzatrici-amazzoni, agguerrite e spavalde (dalle cui file è uscita anche l’italiana Adriana Borriello); e la compagine, un tempo esclusivamente femminile per garantire, secondo Keersmaeker, un’omogeneità di stile, accoglie ora sempre più spesso danzatori uomini. Altri suoi lavori sono Toccata su musiche di Bach (1993), Verkl&aulm;rte Nacht su musica di Schönberg e il recentissimo Drumming (1998), creato su un brano per sole percussioni di Steve Reich, già utilizzato parzialmente nel 1997 per una coreografia per dodici danzatori, Just Before.

Duncan

Cresciuta in un ambiente familiare influenzato dalle teorie di Delsarte e impregnato di fervida religiosità e acuta sensibilià artistica, Isadora Duncan ne ha ricevuto una educazione improntata all’amore per la natura e per la libertà, tipico dello spirito di frontiera americano. Decisa a calcare il palcoscenico, rifiutando però l’estetica del balletto accademico, brevemente sperimentato con Marie Bonfanti a New York e più tardi a Londra con Ketti Lenner, un’allieva della Elssler, si è dedicata con passione a elaborare una sua nuova e personale forma di danza classica, dove il termine classica è da intendere come ellenica, ispirata cioè all’antica Grecia, con l’intento di esprimere i più intimi sentimenti in modo autentico e istintivo, e senza più indossare costumi e calzature costrittivi, ma lasciando vibrare il corpo, così come le onde del mare si increspano al vento, in leggere tuniche sciolte e a piedi nudi. Dopo i primi ingaggi con il Masonic Roof Garden a Chicago e nella compagnia di Augustin Daly a New York, con cui è arrivata in Gran Bretagna per la prima volta nel 1896, ha poi dato inizio alla sua straordinaria carriera di solista, inventando il proprio linguaggio e il proprio stile. Avendo presentato con successo alcune esibizioni in forma di concerto di danza, musica e poesia nei salotti newyorkesi, e sentendosi ormai pronta per proporle anche oltreoceano, ha quindi affrontato la grande avventura europea, destinata a farne un mito, come antesignana della danza moderna e come modello femminile di indipendenza e di intraprendenza, sia nello schierarsi a favore di cause politiche in cui credeva, sia nel produrre e circuitare i propri spettacoli, sia nello scegliersi i compagni di vita: Gordon Craig e Paris Singer, padri rispettivamente dei suoi figli Deirdre e Patrick, annegati tragicamente nella Senna (1913), e poi Sergej Esenin.

Dopo il secondo approdo a Londra nel 1898 insieme alla madre Dora, al fratello Raymond, anch’egli artista, e alla sorella Elizabeth, allestendo per la buona società inglese i suoi fortunati recital, ha raggiunto Parigi nel 1900, danzando nel gruppo femminile della connazionale Loie Fuller, città che abbandonerà per recarsi a Budapest, dove nel 1902 ha ricevuto i primi significativi riconoscimenti professionali. Si è poi esibita a Monaco e a Berlino, dove ha anche tenuto la famosa conferenza è La danza del futuro, destinata a diventare la sua prima pubblicazione, per ritornare ancora a Parigi, al Teatro Sarah Bernhardt, nel 1903, attirando stavolta l’interesse degli ambienti intellettuali e guadagnandosi la stima e l’amicizia, tra gli altri, di Georges Clemenceau, August Rodin, Antoine Bourdelle. Il successivo viaggio in Grecia, dove ha compiuto un lungo soggiorno, imbevendosi di cultura e d’arte, edificandovi una residenza sul Monte Imetto e mettendo in scena nel 1904 ad Atene una sua versione delle Supplici di Eschilo per dieci fanciulli, è diventato il punto di partenza per una nuova, intensissima, stagione. Subito dopo a Bayreuth, infatti, è stata invitata a interpretare una delle Grazie nel Baccanale del Tannh&aulm;user , mentre a Pietroburgo ha radunato un pubblico scelto, tra cui Fokine, che ne sarà influenzato per la sua Chopiniana o Les Sylphides , e Anna Pavlova; e in seguito a Mosca è stata apprezzata dal grande innovatore del teatro Konstantin Stanislavskij, che avrebbe voluto ospitarla come docente nella propria scuola. In Russia sarà di ritorno nel 1908 al teatro Marijinskij di San Pietroburgo con l’ Ifigenia di Gluck, e nuovamente nel 1924, in occasione della morte di Lenin, per dedicargli due marce funebri.

Le sue incessanti tournée l’hanno condotta anche nei Paesi Bassi, in Scandinavia, in Italia, al Teatro Costanzi di Roma nel 1912, in Argentina, in Brasile, a Cuba, senza trascurare i numerosi rientri negli Usa, nel 1908, quando si è esibita al Metropolitan di New York, poi nel 1914 con le sue alunne parigine; e qui la sua improvvisata Marseillaise , danzata per caldeggiare l’intervento americano nell’Europa in guerra (1915) ha fatto scandalo; e di nuovo nel 1918, quando si è finalmente esibita nella sua città natale, e ancora nel 1922 con Esenin, il che le ha procurato non poche difficoltà da parte delle autorità per le sue simpatie politiche filosovietiche e per il comportamento violento del marito alcolista. Rientrata in Europa, i gravi problemi finanziari che hanno indotto amici ed estimatori ad organizzare aste benefiche di oggetti d’arte a suo favore, l’hanno spinta, per procurarsi denaro, a scrivere l’autobiografia My Life, che sarà pubblicata postuma e assai rimaneggiata. Infine, è stata ancora la Francia, sua patria d’elezione, a vederne l’ultima recita, al parigino Teatro Mogador nel 1927, con Redemption di Franck, l’ Ave Maria di Schubert, il Baccanale di Wagner, alla vigilia della morte, a Nizza, strangolata dalla lunga sciarpa finita tra le ruote dell’automobile scoperta. Ma intanto, nel corso di questa leggendaria carriera, desiderosa di plasmare le danzatrici del futuro, la sua vocazione di insegnante l’ha condotta ad aprire numerose scuole: la prima nel 1904, con l’aiuto della sorella Elizabeth, a Grünewald vicino a Berlino; qui si formerà la sua compagnia, le Isadorables, e in questo gruppo tutto femminile le giovani Irma, Lisa, Margot e Maria-Theresa assumeranno persino il cognome Duncan. Nel 1909 ne è stata fondata una seconda a Beaulieu nell’area parigina, il Dionysion, con visitatori abituali eccellenti come Eleonora Duse e Gabriele D’Annunzio, poi un’altra in Svizzera e, dopo un tentativo non riuscito in Grecia nel 1920, finalmente quella di Mosca, nel 1921, su invito del governo sovietico. Irma Duncan, che è stata responsabile della scuola moscovita, guidando poi il gruppo di ragazzi russi, noto come Isadora Duncan Dancers, in una fortunata tourne americana nel 1928, ha pubblicato, sulla base di questa vasta esperienza, il manuale The Technique of Isadora Duncan (1937), in cui ha raccolto una preziosa serie di esercizi utilizzati nelle scuole duncaniane.

Isadora, solista ispirata, ha operato la sua rivoluzione affidandosi all’istinto creativo, alla fascinazione delle meravigliose immagini della classicità greca osservate avidamente e interiorizzate nella propria memoria corporea in lunghe ore trascorse nei Musei di Londra, Parigi, Atene, e all’intensa rispondenza emozionale del corpo alla musica, non più quella composta appositamente per il balletto, ma quella colta di Chopin, Beethoven, Schubert, Gluck (Ifigenia e Orfeo), Bach, Wagner, Brahms, Cajkovskij ( Patetica ), Liszt, Franck, Berlioz, Skrjabin. Sebbene non abbia tramandato espressamente né un proprio metodo di studio né un repertorio di danze, per altro oggi ricreate dalle sue allieve di terza e quarta generazione, la D. è stata senza dubbio una delle madri fondatrici della danza moderna americana, in quanto ha liberato il potenziale di energie femminili, che la società ottocentesca e puritana aveva compresso, teorizzando e praticando l’espressione di sé attraverso il movimento naturale, guidato dal ritmo vitale della respirazione, la forza propulsiva che appartiene tanto agli esseri umani quanto all’intero universo.

Childs

Dopo aver studiato danza si avvia alla recitazione, per tornare poi alla danza con Hanya Holm e Helen Tamiris, frequentando inoltre il Sarah Lawrence College e i corsi di M. Cunningham. Qui Lucinda Childs incontra Yvonne Rainer, che la invita a far parte del Judson Dance Theatre, dove tra il 1962 e il 1964 inizia a creare i propri assolo, partendo da oggetti o monologhi, come nel caso di Carnation (1964). Dopo un periodo di pausa, torna a esibirsi in Calico Mingling (1973), che inaugura la serie dei suoi pezzi minimalisti, votati a indagare la propria struttura interna. Collabora poi con Bob Wilson per l’opera di Philip Glass Einstein on the Beach (1976) e per I was sitting on my Patio, this Guy appeared I thaught I was hallucinating (1977). Nel 1979 nasce il suo primo lavoro con musica, Dance, in cinque sezioni, su partitura di Glass e con proiezioni di Sol LeWitt, ideate per moltiplicare l’azione dei danzatori in scena. Seguono altri titoli importanti come Relative Calm (1981), con scene di Wilson e musica di John Gibson, Available Light (1983), su musica di John Adams e con scene del famoso architetto Frank Gehry. La sua maestria compositiva, basata sulla sottile e virtuosistica arte della variazione e della ripetizione – a partire dalla semplice camminata con il busto fermo e gli arti in moto, sia con le scarpe da ginnastica postmoderne, sia con le punte accademiche – le procura commissioni prestigiose: Orage (1984) per l’Opéra di Parigi, Octet per il Northwest Ballet (1984) e poi per l’Aterballetto (1988), Lichtknall (1987) per la Deutsche Oper di Berlino. Il suo interesse per i compositori contemporanei la spinge a creare, negli anni Novanta, lavori come Earth , su musica di Gavin Bryars (1990), Rhythm Plus , su musica di György Ligeti e Luc Ferrari (1991), Concerto , su musica di Henryk Górecki (1993). Nel 1996, tornata al teatro, interpreta a fianco di Michel Piccoli La maladie de la mort di M. Duras. Il suo Chamber Symphony , su musica di J. Adams, entra nel repertorio di MaggioDanza a Firenze (1998). Danzatrice affascinante, di astratta perfezione formale, è coreografa altrettanto rigorosa e analitica.

Maxwell

Carla Maxwell entra nella compagnia di Limón (1965), dove danza in ruoli di spicco, interpreta il personaggio centrale, creato per lei, in Carlota (1972), l’ultimo balletto del maestro, e coreografa Sonata (1980). Diventa poi direttrice artistica della compagnia stessa (1978), affiancata per un periodo da Lutz Forster, formato a Essen e membro del Wuppertaler Tanztheater di Pina Bausch. Nota come danzatrice di grandi doti drammatiche, dalla ripresa di Psalm (1977) in poi è responsabile dei riallestimenti dei principali balletti di Limón in tutto il mondo.

Magli

Artista tra le più raffinate e interessanti nel panorama di ricerca italiano Valeria Magli ha partecipato ad alcuni spettacoli di danza e poesia come Poesia ballerina da Le ballate della signorina Richmond (1978) e Milleuna di N. Balestrini, voce di Demetrio Stratos, spettacolo presentato al Centre Georges Pompidou di Parigi (1981), il suo Primule e sabbia (1983) che gli è valso il premio Pasolini. Sempre a teatro ha lavorato in Amleto non si può fare di V. Franceschi con la regia di F. Macedonio (1976), Le bain de Diane di P. Klossowski al Théâtre Rond-Point di Parigi (1986), Il processo di Kafka, regia di A. R. Shammah (1989) e L’avventuroso viaggio di Clementina Gnoccoli di A. Busi, regia di A. B. Tosco (1990). Ha collaborato anche con Studio Azzurro nel film L’osservatorio astronomico del sig. Nanof di P. Rosa (1984).

Chladek

Dal 1921 al ’24 Rosaria Chladek ha studiato alla scuola euritmica fondata da E. Jaques-Dalcroze a Hellerau, debuttando con il gruppo di danza libera di Vera Kratina e in recital solistici nel 1924. Negli stessi anni ha avviato l’attività di insegnante a Hellerau, Laxenburg e Basilea, cui hanno fatto seguito gli incarichi viennesi alla direzione del dipartimento di danza del Conservatorio (1942-52) e dell’Accademia di musica e dello spettacolo (1952-70). A partire dagli anni ’30 è interprete di oltre settanta assolo da lei stessa creati, ma ha allestito coreografie anche per il suo gruppo (tra l’altro al festival di Salisburgo e alla Staatsoper di Vienna); spiccano tra queste le molte partecipazioni a spettacoli classici nei teatri di Siracusa e Agrigento. Considerata una delle personalità di maggior spicco della danza moderna centro-europea, ha rielaborato in modo personale l’insegnamento della danza libera, dando vita a una tecnica incentrata sulla fusione tra la forza dinamica e l’armonia muscolare.

Chopinot

A cinque anni Regine Chopinot inizia a studiare danza classica a Lione città che diventeà la base di partenza della sua carriera di coreografa. Acquisita una solida formazione con Marika Besobrasova, scopre la danza contemporanea attraverso Marie Zighera la cui compagnia `Le Blateau basculé’ rappresenta l’avanguardia coreutica a Lione. Nel 1978 dà vita ad un suo gruppo, la Compagnie du Grèbe, e per tre anni esplora nuovi sentieri della danza. Nel 1981, vinto il secondo premio al concorso di Bagnolet con Halley’s Comet, viene invitata a tenere corsi a Parigi. Nel 1982 nasce la Compagnia Chopinot. Lo stile e il cammino ormai fissati, crea una serie di spettacoli importanti e impertinenti che destano la curiosità del pubblico. Nascono Grand écart, Simone Popinot, Swim one e Délices che segna il suo interessante incontro con il fantasioso stilista e costumista Jean-Paul Gaultier. Seguono Via e Les rats.

Nel 1985 stupisce con Rossignol, coreografia in cui i danzatori si esibiscono a un trapezio appeso a una forca. Dello stesso anno è Le défilé, balletto sul mondo della moda cui Gaultier continua a prestare il suo estro creativo e che l’anno successivo verrà anche presentato a Firenze a Palazzo Pitti. Il 1986 è anche l’anno che vede la C. installarsi al Centre chorégraphique de La Rochelle e prendere la successione del Théâtre du Silence di Jacques Garnier e Brigitte Lefèvre. Sempre ricca di idee, con fantasia bizzarra, incessante continua a produrre. Fra i molti titoli: A La Rochelle, il n’y a pas que des pucelles (1986), KOK (1988), Feu (1988), Transport (1989), Eté 90 (1990), Ana (1990), Saint-Georges (1992), Façade (1993), Végétal (1995).

Lancelot

Quindicenne Francine Lancelot si trasferisce a Parigi, dove segue corsi di danza, e nel 1954 studia a Berlino con Mary Wigman. Tornata a Parigi lavora con Françoise e Dominique Dupuy. In seguito è al fianco di Pierre Conté al Théâtre de l’Atelier, con Jean Dasté a Saint-Etienne dove viene scritturata come danzatrice, coreografa e attrice. Rientrata nella capitale; appassionatasi alle danze tradizionali e antiche, dal 1964 lavora portando la sua esperienza al Musée des Arts e Traditions Populaires, e viene invitata a insegnare all’Opéra. Dopo dieci anni di intensa ricerca, decide di fondare una sua compagnia (`Ris et Danceries’) in cui riunisce danzatori, coreografi e ricercatori. Tra i suoi collaboratori più preziosi vanno ricordati François Raffinot, Andrea Francalanci, Beatrice Massin e Ana Yepes. Dal 1980 ha creato una ventina di importanti spettacoli basati sulla ricostruzione di danze storiche. Tra i più interessanti, Bal et Ballets à la cour de Louis XIV (1981), Hippolyte et Aricie (1985), Tempora & Mesura (1988), Platée (1989), Les Indes galantes (1990), Zaradanzas (1992). Ha inoltre partecipato alla realizzazione di varie opere antiche e ha firmato alcune creazioni personali, in cui si equilibrano in maniera felice invenzione e rispetto della storia; tra queste l’assolo Bach Suite (1984) e il balletto Quelques pas graves de Baptiste (1985), nati per l’Opéra di Parigi su invito di Nureyev.

Bausch

È difficile immaginare cosa sarebbe il teatro della danza dell’ultimo quarto di secolo senza la paradigmatica esperienza e creatività di Pina Bausch. Questa coreografa dall’inconfondibile silhouette nera e dall’effigie esangue, sofferente, come in preda all’imminente consunzione ma in realtà da anni potente e energica capofila del genere teatrodanza (o Tanztheater), è riuscita a modificare gli orizzonti culturali ed estetici della danza del nostro tempo, guadagnandosi non solo una schiera di imitatori ma anche un pubblico insospettabile: forse il pubblico più largo e nuovo che qualsiasi altro coreografo di oggi abbia attirato a sé. Complice del suo successo, almeno in Italia, è proprio il termine Tanztheater da lei adottato per definire il suo teatro della danza, o ‘della vita’ e ‘dell’esperienza’: in realtà un termine d’uso, strettamente correlato a un preciso progetto artistico comune a un’intera generazione di creatori e coreografi tedeschi come lei ingaggiati, già negli anni Settanta, all’interno di grandi strutture e teatri d’opera della Germania. Per segnalare che la loro produzione artistica non avrebbe più avuto alcuna attinenza con il balletto o la danza moderna, precedentemente accolti in quegli stessi teatri, essi preferirono chiamare le loro compagnie, nonché definire la loro stessa produzione, Tanztheater. Nella lingua tedesca questo vocabolo composto significa semplicemente teatro della danza, ma in molti paesi di lingua non tedesca, come appunto l’Italia, esso ha dato adito alle più diverse e spesso improprie traduzioni/interpretazioni. Tanto è vero che la tentazione di inscrivere la geniale Bausch nell’alveo dei registi teatrali, sminuendo così sia la sua formazione strettamente coreutica che quella dei suoi interpreti-ballerini, ha provocato non pochi equivoci nell’iniziale esegesi del suo teatro, almeno sino a quando la sua evidenza danzante e le recise affermazioni della stessa B., che tante volte ha dato di sé persino la definizione di `compositrice di danza’, per rimarcare l’importanza della musica e dell’ispirazione musicale nelle sue opere, hanno finito per convincere anche i più increduli della natura eminentemente coreografica, anche nell’uso del gesto teatrale e della parola, del suo ‘teatro totale’.

L’immagine dell’adolescente e timidissima Pina che trascorre i suoi giorni sotto i tavoli del ristorante del padre e ne osserva, in desolata solitudine, gli avventori (un flash che servirà poi per ricondurre a memorie personali il suo indiscutibile capolavoro del 1978: Café Müller) è la prima di un’agiografia che contempla pure lo sconforto della ballerina in erba dai piedi troppo lunghi (a dodici anni calzava già il 41) per calzare le scarpette a punta. Ma prima di entrare, quindicenne, alla Folkwang Hochschule di Essen, diretta da Kurt Jooss, allievo e divulgatore delle teorie e dell’estetica dell’Ausdruckstanz (danza espressionista) promulgata da Rudolf von Laban, la B. non aveva mai frequentato veri corsi di balletto o di danza; compariva assiduamente, però, nel teatro della sua città e ben presto ne divenne una comparsa, utilizzata in operette e piccoli ruoli e anche in serate di balletto. A Essen, dove ha la fortuna di studiare proprio con Jooss, si diploma nel 1959 e ottiene una borsa di studio dal Deutscher Akademischer Austauschdienst (l’Organizzazione tedesca per i programmi di scambio accademico) che le consente di perfezionarsi negli Usa. A New York è `special student’ alla Julliard School of Music, dove studia, tra gli altri, con Antony Tudor, José Limón, Louis Horst e Paul Taylor; contemporaneamente entra a far parte della Dance Company Paul Sanasardo e Donya Feuer, creata nel 1957. Viene quindi scritturata dal New American Ballet e dal Metropolitan Opera Ballet diretto da Tudor. Nel 1962 Jooss la invita a tornare in Germania e a diventare ballerina solista nel suo ricostruito Folkwang Ballet. Dopo l’elettrizzante esperienza americana, il nuovo impatto con la realtà tedesca è deludente. Il lavoro dei danzatori non è così approfondito e severo come a New York: la B. cerca partner infaticabili, che le somiglino, e inizia a collaborare con il danzatore e futuro maestro Jean Cébron che sarà suo partner nelle prime esibizioni italiane (al festival dei Due Mondi di Spoleto del 1967 e del ’69). Dal 1968 diviene coreografa del Folkwang Ballet e nell’anno successivo ne assume l’incarico di direttrice. Risale a quel periodo anche la creazione di Im Wind der Zeit (1969) che le vale il primo premio al Concorso di composizione coreografica di Colonia, seguito, tra gli altri lavori dell’epoca, da Aktionen fur Taumnzer (1971) e da Venusberg per il ‘Baccanale’ del Tannhauser di Wagner (1972). Nel 1973, su invito del sovrintendente Arno Wüstenhöfer, accetta la direzione della Compagnia di balletto di Wuppertal, ben presto ribattezzata Wuppertaler Tanztheater: i suoi primi collaboratori sono lo scenografo Rolf Borzik, scomparso nel 1980, e i danzatori Dominique Mercy, Ian Minarik e Malou Airaudo.

Nel 1974 crea la pièce Fritz (su musiche di Mahler e Hufschmidt), l’opera-ballo Iphigenie auf Tauris (riallestito nel 1991 all’Opéra di Parigi), la rivista Zwei Krawatten, il balletto su musiche da ballo e canzoni del passato Ich bring dich um die Ecke e Adagio-Fünf Lieder von Gustav Mahler : una danza sui Lieder mahleriani. Il 1975 è l’anno della realizzazione scenico-coreografica di Orpheus und Eurydike di Gluck, ricomposto nel 1992 e ammirato anche in Italia (Teatro Carlo Felice, 1994), e dell’importante trittico stravinskiano Frühlingsopfer (Wind von West, Der zweite Frühling e Le sacre du printemps ), seguito dalla prima svolta nella carriera dell’artista che coincide con un progressivo allontanamento dalle forme canoniche della coreografia, ben evidente in opere ormai di rilevante importanza storica, come Die sieben Todsünden su musica di Kurt Weill (1976), Blaubart, Beim Anhören einer Tonbandaufnahme von Béla Bartóks Oper”Herzog Blaubarts Burg”, su motivi dell’opera bartókiana Il castello del duca Barbablù , che nel 1998 affronta da regista, su invito di Pierre Boulez. E ancora Komm tanz mit mir (1977), una pièce accompagnata da antiche canzoni popolari, l’operetta Renate wandert aus (1977) e un originale adattamento del Macbeth shakespeariano ( Er nimmt Sie an der Hand und führt Sie in das Schloss, die anderen folgen, 1978). Gli allestimenti successivi al capolavoro Café Müller (quaranta minuti di danza su musica di Henry Purcell, per sei interpreti in tutto, tra cui la stessa coreografa che sino alla fine degli anni Novanta non accetterà più di comparire in scena) tengono conto soprattutto della scoperta del linguaggio, del verbo, della parola e di un’intera gamma di suoni originari, intesi come possibilità di articolazioni animali (ridere, piangere, urlare, sussurrare, tossire, piagnucolare) già sperimentata in Blaulbart : vero spettacolo di riferimento per il passaggio alla sua nuova `drammaturgia totale’. Proprio in questo spettacolo frantumato e elettrizzato dal fruscio delle foglie secche disseminate in scena, la coreografa inizia a mettere a fuoco un nuovo metodo di lavoro. Invece della tradizionale imposizione ai ballerini di movimenti e passi, si propongono dei `questionari’ scritti e orali ai quali la risposta potrà essere verbale o corporea. Istigando la sua troupe, la Pina Bausch finisce per sostituire le partiture e i testi drammatici (Stravinskij per il suo madido e furioso Sacre du printemps , Brecht per Die sieben Todsünden , Shakespeare per il già citato Macbeth del 1978, che ha il titolo di una lunga didascalia) con un variegato collage di risposte a domande quali: «Da piccolo avevi paura del buio?», «Cosa fai quando ti piace qualcuno?», «Qual è il tuo maggiore complesso fisico?». Il risultato eclatante della sovvertita pratica coreografica – come dimostra lo spettacolo 1980, Ein Stück von Pina Bausch – non consiste però solo nell’entrata in scena di urla, gesti sonori, canti, parole e musiche di riporto – tutte novità relative nella storia della danza, in specie per il ceppo espressionista, a cui Pina Bausch, con il tramite del suo maestro Jooss, ma anche nella progressiva demolizione del mito e dell’estetica tradizionale del ballerino. Trasformarlo in `persona’ che si muove in abiti quotidiani (giacca e pantaloni per i danzatori, sottovesti, ma soprattutto lunghi abiti da sera per le danzatrici) crea uno scandalo negli edulcorati ambienti del balletto europeo e costa a Pina Bausch accuse di volgarità e cattivo gusto germanici, specie da parte della critica americana, sbigottita di fronte al realismo del pianto delle sue danzatrici, e persino accuse di sadismo verso il vissuto interiore degli interpreti.

In Italia, spettacoli degli anni Settanta e Ottanta come Kontakthof del 1978 (incredula e ancora impacciata l’accoglienza al Teatro alla Scala nel 1983), Bandoneon, creato nel 1980, subito dopo un lungo soggiorno in Sud America e Auf dem Gebierge hat Man ein Geschrei gehört (1984) ottengono un riconoscimento ufficiale a Venezia, grazie a un’antologia della Biennale Teatro alla Fenice (1985). Prima di questa importante vetrina solo Café Müller e Keuschheitslegende (1979), entrambi presentati al Teatro Due di Parma nel 1981, con Nelken (1983), allestito nell’anno di nascita al Teatro Malibran di Venezia, avevano turbato, rapito e scosso il pubblico italiano. E mentre alcune opere importanti come Arien (1979) e Walzer (1982) attendono non solo una prima italiana ma di essere riallestite, la coreografa viene consacrata negli anni Novanta un po’ ovunque. Nelle sue pièce totali si scopre quanto abbia saputo dolorosamente scavare nella psiche del danzatore, restituendogli una gestualità senza maschere e una padronanza totale della scena. Errate interpretazioni del suo metodo di lavoro, come già si diceva, hanno tentato di accostarla al mondo del teatro di improvvisazione. In realtà, la B. ha sempre utilizzato a sua esclusiva discrezione i materiali espressivi dei ballerini, anche affidando il vissuto di un danzatore a un altro, come se avesse a che fare con semplici passi di danza e non con un frammento di vita: il piglio un poco dittatoriale – in lei sofferto e gentile – è quello tipico di molti coreografi. E coreografa alla potenza si è rivelata nel saper gestire il respiro scenico dell’universo dei suoi interpreti a cui è toccato ricostruire le anomalie del vivere sociale, l’irrisolta battaglia tra i sessi, lo sgretolamento dei valori più saldi della generazione successiva all’Olocausto, in un corollario di vizi e virtù umane del popolo tedesco ma non solo, esposte non senza una potente patina di divertimento e di ironia. Basti pensare alla creazione di quegli assolo, che restano a futura memoria nell’iconografia del suo teatrodanza, in cui l’invenzione gestuale è tanto minima quanto freschissima (in Nelken , Luzt Förster traduce con l’alfabeto dei sordomuti la canzone Someday he’ll come along e Anne-Marie Benati se ne sta sola, senza vestiti ma con un paio di mutande bianche e una fisarmonica al collo, nel campo di garofani che accoglie la pièce), o a quei trionfali `passi à la Bausch’, ritmati e a larghe volute, con i quali ha tanto spesso spedito (come in 1980 , morbido ma agrodolce party dal sapore hollywoodiano) i suoi fedelissimi tra il pubblico, in una manovra di avvicinamento alla non-fiction sempre più insistita e fisica. Nell’arco creativo che corre da 1980 a Palermo, Palermo , lo spettacolo sontuoso e degradato, allestito nel 1991 sul campo degli scempi siciliani (si assiste al crollo di un muro che inevitabilmente evoca quello di Berlino) la B. ha indubbiamente creato il suo teatrodanza maggiore. E si è concessa poche libertà d’autore: il vezzo molto tedesco di definire Stücke , ossia `pezzi’, tutte le sue opere collettive, come schegge romantiche della sua fantasia musicale, e l’altro vezzo del viaggio goethiano, esotico e ricognitore, tuttora inarrestabile. La creazione a getto continuo di scenografie vive e naturali (di Rolf Borzik, prima, e di Peter Pabst, poi) ha contribuito a alimentare la trasognata spettacolarità degli Stücke sempre vestiti della prediletta costumista Marion Cito.

L’acquario con veri pesci fluttuanti e la serra di piante grasse di Two Cigarettes in the Dark (1984), la terra che dall’alto cade nella fossa `romana’ di Viktor , lo spettacolo creato nel 1986 e dedicato alla città caput mundi ; il deserto punteggiato di grandi tronchi spinosi e ingombranti di Ahnen (1987) come l’acqua che ostacolava le disperate corse di Arien e il prato profumato di 1980 , hanno di volta in volta preservato la sua inventiva dal pericolo di reiterare la formula-cliché deflagrata e a frammenti del suo teatrodanza. Nello spettacolo Danzon (1996) la scena proiettata e a `cartoline illustrate’ di Peter Pabst indica un momentaneo allontanamento dagli elementi vivi della natura a lei cara: tra pesci tropicali che scorrono in immagini filmiche torna a danzare, con le sue braccia morbide e tormentate, la stessa B., sublime e decorativa mentre saluta il pubblico alzando una mano. Due episodi cinematografici, come la partecipazione, nei panni di una contessa non vedente nel film E la nave va di Federico Fellini e la confezione del lungometraggio Die Klage der Kaiserin (1989), in cui l’influenza felliniana e l’impianto visionario non giungono però a comporsi in un ritmo narrativo efficace e serrato, non la distolgono dal proseguire il suo viaggio goethiano alla scoperta di paesi e città del mondo. Dopo Roma e Palermo, le nuove tappe sono Madrid ( Tanzabend II , 1991), Vienna, Los Angeles, Hong Kong, Lisbona. Nascono il californiano Nur Du (1996), il cinese Der Fensterputzer (1997), concepito nel momento della cessione di Hong Kong alla Cina e il portoghese Masurca Fogo (1998): tre spettacoli ‘leggeri’, più corti e rapidi di quelli storici degli anni Ottanta (spesso condotti oltre il limite delle tre ore), con ritmi incalzanti e musiche a collage, sempre festose. La nuova risorsa della coreografa di Wuppertal è infatti la riscoperta della danza pura – il tango di Nur Du , il folklore rivisitato di Danzon, le ammalianti passerelle di Masurca Fogo – nell’utilizzo di danzatori sempre nuovi ai quali sembra però assai più difficile poter sottoporre i `questionari’ del suo metodo, così adatto a generazioni di ballerini a lei coetanei ma forse sprecato per le generazioni danzanti telematiche e cibernetiche, alle quali non a caso assegna sempre più spesso ruoli muti e di puro movimento nel confronto ancora strettissimo con i grandi e riconoscibili interpreti del Wuppertaler Tanztheater che non l’hanno abbandonata (oltre a Minarik e a Mercy, l’attrice Mechthild Grossmann).

Nato negli anni Settanta, come il cinema neorealista a cui fu strettamente legato, sullo sfondo di una cultura tedesca disposta a mettersi in crisi, il teatrodanza di Pina Bausch si deve considerare un edificio storico che funge da spartiacque: esiste infatti un teatrodanza precedente alla B. e di origine tedesca, che non ha mai ottenuto il successo e il riconoscimento di quello bausciano, mentre la coreografa ha fatto tesoro sia dell’insegnamento di Jooss che di quello di Tudor (il maestro del balletto psicologico ), andando a influenzare le arti limitrofe, come il teatro a cui ha svelato la portata dell’eredità di danza e balletto, nel segno di un neo-espressionismo che non ha certo esaurito la sua funzione estetico-artistica-sociale, anche se fatica a superare le modalità compositive spledidamente cristallizzate dalla coreografa. Esemplare resta il suo lascito coreutico in opere come Le sacre du printemps e Café Müller , in cui la tecnica coniuga i fondamenti della danza libera nell’utilizzo espressivo soprattutto degli arti superiori. Nel teatrodanza della B. il corpo del danzatore necessita di una formazione accademica – frequente l’uso di figure tipiche del balletto ( arabesque, attitude ) e di pirouettes – anche se nel suo irrinunciabile avvicinamento alla vita la coreografa rompe continuamente la prigionia dei codici o vi fa ritorno per paradosso, in episodi, spesso ironici, di riflessione sulla danza stessa e sulla fatica di danzare, che costituiscono uno dei leitmotive non secondari della sua coreografia ‘totale’.

Allan

Dopo aver studiato musica a San Francisco, Maude Allan si è dedicata a ridare vita alla danza classica greca, esibendosi in tuniche sciolte e a piedi nudi su musiche di Grieg, Mendelssohn, Strauss, Rubinstein, Chopin. Ha debuttato a Vienna nel 1903 con grande successo nella Visione di Salomé su musica di Remy, ruolo che l’ha consegnata alla storia. Si è esibita anche a Londra, Mosca, San Pietroburgo (1909) e alla Carnegie Hall di New York (1910). Ha effettuato tournée in Sud Africa, India, Cina, Australia, Nuova Zelanda, Sud America, Egitto, Gibilterra, Malta. Si è poi stabilita in Inghilterra, aprendo una sua scuola (1928). Autrice dell’autobiografia My Life and Dancing (1908), con Fuller, Duncan e Saint-Denis è stata pionieristica ambasciatrice della danza moderna americana in Europa all’inizio del nostro secolo.

Altaraz

Dopo aver studiato danza classica, Mathilde Altaraz si è perfezionata in danza moderna a New York. Parallelamente ha continuato gli studi di medicina fino al dottorato e alla conseguente specializzazione. Nel 1970 incontra Jean Claude Gallotta e, abbandonata la carriera medica, si è dedicata interamente alla compagnia del coreografo, il Groupe Èmile Dubois. Da allora è una delle più avvincenti ed espressive interpreti dei lavori di Gallotta, da Ulysse a Les aventures d’Yvan Vaffan a La légende de Don Juan . Di particolare spicco le sue interpretazioni in Mammame (1985), Les Louves & Pandora (1986) e Les Mystères de Subal (1990). Pur continuando a essere musa ispiratrice del fondatore del Groupe Èmile Dubois, le si è ormai affiancata come ripetitrice dei suoi balletti e assistente-coreografa.

Linke

Accanto a Pina Bausch e a Reinhild Hoffmann Susanne Linke costituisce il nucleo femminile storico del Tanztheater tedesco. Si forma a Berlino (1964-67) nello Studio di Mary Wigman: sua maestra è proprio la grande interprete della danza espressionista degli anni ’20. Ma ha anche l’occasione di incontrare Dore Hoyer, interprete nella compagnia Wigman, e direttrice della Scuola Wigman a Dresda, alla quale dedicherà un accorato omaggio, Affekte (1988), con il danzatore Urs Dietrich. Lasciata la Wigman, studia balletto e danza moderna alla Folkwang Hochschüle fondata da Kurt Jooss, a Essen. Qui si unisce alla compagnia espressione della celebre scuola, il Folkwang-Tanzstudio e vi danza per tre anni (1970-73), sotto la direzione della Bausch. Ma inizia anche a creare proprie coreografie ( Dans funebre, Puppe e Trop tard ) che suscitano interesse in concorsi e premi internazionali. Nel decennio 1975-85 passa alla direzione artistica del Tanzstudio (sino al 1977 con la Hoffmann) ma contemporaneamente compie tournée in tutto il mondo nelle quali mostra le sue danze solistiche, in particolare Wandlung (sviluppo di Dans funebre su musica di Franz Schubert, 1976), Im Bade Wannen (musica di Satie, 1980), – l’assolo con la vasca da bagno, diventato famoso anche in Italia, a partire dal 1982, Flut (musica di Gabriel Fauré, 1981) e Es schawant (musica di Cajkovskij, 1982).

Tutte coreografie in cui già si chiarisce la sua spiccata propensione per il movimento fluido e morbido, in una tensione narrativa che non perde mai di vista la metafora propria al linguaggio danzato. Più realistici, in parte prosaici e certamente legati al momento storico in cui sono stati allestiti, i primi pezzi `femministi’ di gruppo: Frauenballet (1981), Wir können nicht alle nur Schw&aulm;ne sein (1982) e Am Reigenplatz (1983). Il successivo Schritte Verfolgen (1985), un assolo creato in collaborazione con l’artista visivo Va Wölfl, inaugura la sua attività di coreografa free-lance a cui fanno seguito coreografie per gruppi internazionali, come la Limón Dance Company ( Also Egmont Bitte , 1986) e il G.R.C.O.P. dell’Opéra di Parigi ( Jardin Cour, 1988). Con Ruhr-Ort (1993) e M&aulm;rkische Landschaft (1994) torna a allestire danze per un gruppo di danzatori espressione della scuola di Essen ma questa volta sono solo danzatori-uomini. L’obiettivo di misurarsi con un tipo di energia e di presenza scenica forte e virile, alla quale presta l’ampiezza dei suoi movimenti ma anche le svelte annotazioni ironiche di una donna-coreografa che osserva la `società maschile’, si estende al pezzo, creato a quattro mani con Urs Dietrich, Da war plötzlich… Herzkammern (1996), interpretato dal solo Dietrich. Consapevole della precarietà del repertorio contemporaneo, dedica al collega Gerhard Bohner, prematuramente scomparso, l’assolo Dialog mit G.B. (sulle Sonatas and Interludes per pianoforte preparato di John Cage, 1994) di cui è interprete in un programma che comprende un altro suo assolo, Carte Blanche für S.L. (musica Arvo P&aulm;rt) in cui troneggiano le sculture di Robert Schad. Nella stagione 1996-97 accetta la direzione della compagnia di danza del Teatro di Brema per la quale allestisce, oltre a sue coreografie del passato ( Frauenballet, Also Egmont, Bitte ), novità come Heisse/Luft (1997), non rinunciando all’attività interpretativa. Nel 1998 prepara con Reinhild Hoffmann un duetto che è memoria storica del `neoespressionismo’ degli anni ’60 e insieme sua declinazione linguistica attuale.

Tharp

Dopo aver studiato pianoforte e violino, Twyla Tharp si dedica all’acrobazia, e poi, trasferitasi in California, a un’ampia gamma di discipline, tra cui balletto, jazz dance, percussioni, twirling, tip tap, danze gitane. Approdata a New York, continua gli studi di danza presso le scuole dei maggiori maestri per entrare una sola stagione nella compagnia di Paul Taylor. Debutta come coreografa nel 1965 e presenta l’anno dopo Re-Moves , presso il Judson Dance Theatre, con il pubblico costretto ad `ascoltare’ la danza senza vederla. La fama arriva però con The Fugue (1970), un trio postmoderno con le sole percussioni dei piedi sul pavimento amplificato.

Dopo di che la sua formazione eclettica riemerge offrendole gli spunti e i mezzi tecnici per una danza rigorosamente costruita e nel contempo gradevole al grande pubblico. Nascono alcuni brani di ironica leggerezza su musiche jazz, popolarissime, come Eight Jelly Rolls, The Bix Pieces (1971), Sue’s Leg (1976), Baker’s Dozen (1979) e Nine Sinatra Songs (1982), in chiave musical. Nel 1973 crea per la sua compagnia e il Joffrey Ballet insieme Deuce Coupe , un successo di botteghino su musica dei Beach Boys; poco dopo, ancora per il Joffrey Ballet, firma As Time goes by , uno spiritoso esempio di balletto post-neoclassico su musica di Haydn, a cui seguirà In the Upper Room (1987, musica di Philip Glass).

È del 1976 Push comes to Shove , che rivela il talento di ballerino contemporaneo di Barishnikov. Questi, in veste di direttore dell’American Ballet Theatre, le commissiona Bach Partita (1984) e la chiama accanto a sé come condirettrice (1988). Coreografa per il New York City Ballet, in collaborazione con Robbins, Brahms – H&aulm;ndel (1984), allestisce all’Opéra di Parigi Rules of the Game (1989) e per la compagnia di Martha Graham Demeter and Persephone (1994). Tra i suoi lavori degli anni ’90 si ricordano Octet (1991), Jump Start (1995) e il trittico Tharp! cioè Sweet Fields, 66, Heroes (1996), in cui conferma la sua attitudine all’entertainment colto. Curiosa ed eclettica, lavora anche per il video ( The Catherine Wheel , 1983, musica di David Byrne), per il cinema (Hair, 1979; Ragtime, 1980; Amadeus, 1984; White Nights, 1985) e per il musical con il remake di Singin’in the Rain (Broadway, 1985). Scrive l’autobiografia Push comes to Shove (1992).

Hoffmann

Con Pina Bausch e Susanne Linke, Reinhild Hoffmann costituisce il nucleo storico del cosiddetto ‘neoespressionismo’ tedesco degli anni ’70 (o Tanztheater). Formatasi alla Folkwang Hochschule di Kurt Jooss, a Essen (1965-70), danza dal 1971 al ’73 nella compagnia del Teatro di Brema e inizia a creare sue coreografie alla Folkwang Hochschule (1974); ottiene così una residenza coreografica nella compagnia espressione della celebre scuola, il Folkwang Tanzstudio, e ne diviene direttrice artistica assieme alla Linke (1975-77). Dopo un periodo di studi negli Usa con Cunningham, Nikolais e la Monk, assume la direzione artistica del Tanztheater di Brema (1978): incarico che mantiene, accanto a Gerhard Bohner, fino al 1981, per poi estenderlo a direttrice unica. Nel 1986 la compagnia, che ormai porta il nome di Tanztheater Reinhild Hoffmann, cambia residenza e da Brema passa a Bochum (Schauspielhaus), restandovi fino al ’95, l’anno del suo scioglimento. Come free-lance viene eletta membro dell’Akademie der Künste di Berlino, e oltre ad allestire creazioni e a riprendere le sue più celebri coreografie (come Callas, ispirata al celebre soprano, allestita a Brema nel 1983) potenzia l’attività di coreografa nel teatro musicale, iniziata nel 1982 con l’allestimento di Erwartung e Pierrot lunaire di Schönberg, seguito dalle coreografie per il Diario di uno scomparso di Janácek (1994), La traviata (nell’edizione diretta da Muti al festival di Salisburgo, 1995) e Idomeneo (1996).

Solista di particolare forza espressiva, non stupisce che ancora oggi la si ricordi nell’intenso e ipnotico assolo, su musica di Cage, Solo mit Sofa (1979), un brano di raro rigore formale nel quale emersero le lacerazioni di una costrittiva condizione femminile e un drammatico autolesionismo, ma che in realtà già metteva in luce lo stretto rapporto con le arti visive nella simbiosi, di grande tragicità, con taluni elementi scenografici (come il divano, estensione del suo lungo abito e a cui la solista appariva indissolubilmente legata). Nel suo linguaggio scarno ed essenziale assi, croci, pietre e stoffe entrano a far parte di assoli e duetti come Bretter, Steine e Auch (1980), mentre nelle vistose e scenografiche coreografie di gruppo, allestite a Brema (Fünf Tage, Fünf Naulmchte, 1979; Hochzeit, 1980; Unkrautgarten, 1980; Dido und Aeneas , 1984; Föhn, 1985; Verreist, 1986), l’artista sceglie di utilizzare in pieno ogni mezzo che le viene offerto da una solida e ricca istituzione teatrale. Più crude e sanguigne, le opere del periodo di Bochum (Machandel, 1987; Zeche I, 1992; Zeche II, 1993; Denn ein für alle Mal ist’s Orpheus, wenn es singt, 1994; Folias, 1995) inaugurano il rapporto con la tragedia e il mondo antico. Ma la coreografa non rinuncia alla sua vocazione solistica: nel 1996 allestisce l’assolo Vor Ort e nel ’98 prepara in un duetto con l’amica e collega Susanne Linke, dopo una serie di allestimenti internazionali (come Sir Mekan e Spielraum ) in cui torna a farsi sentire la predilezione per gli oggetti in legno, in un linguaggio del corpo che, nella ritrovata essenzialità, esplora un ancor più ampio spettro di possibilità dinamiche ed espressive.

Alonso

Ernestina de la Caridad dei Cobre Martínez Hoyo, ballerina cubana. Signora di ferro della danza, si è imposta come nume tutelare del balletto a Cuba. A quasi ottant’anni dirige con mano inflessibile il suo Ballet nacional de Cuba, e continua a calcare le scene con un piglio carismatico paragonabile forse solo a quello del grande vecchio Kazuo Ohno. Compiuti i primi studi in un Paese dove le attività di danza erano gestite da un’organizzazione amatoriale (la Sociedad Pro-Arte Musical dell’Avana), l’adolescente Alicia Alonso capisce che per intraprendere una carriera da professionista deve andare altrove e, a soli quindici anni, approda negli Usa accompagnata dal suo primo marito, Fernando, Alicia Alonso Studia alla scuola dell’American Ballet, dove figurerà come solista (1939-40) e appare nel musical Star in Your Eyes accanto a Nora Kaye; in seguito lavora al Ballet Caravan, e poi al Ballet Theatre di New York (1941). Tra il 1941 e il ’42, mentre si esibisce all’Avana, è colpita da una grave infezione agli occhi, che la tormenterà per tutta la vita fino a renderla quasi cieca. Dotata di una volontà d’acciaio, torna in scena nel 1943 e sostituisce per caso la Markova (a causa di una improvvisa indisposizione) come protagonista in Giselle, ruolo che le vale la promozione sul campo a prima ballerina e per il quale ancora oggi è ricordata fra le interpreti più memorabili.

Bruna e minuta di corporatura, è sempre stata in possesso di una tecnica impeccabile e di una presenza scenica carismatica, che le fa conquistare ben presto notorietà internazionale. Eccelle nei balletti classici, ma dimostra altrettanta sicurezza e tensione drammatica in quelli moderni: nel 1949 è la prima interprete del ruolo sanguinario di Lizzie Morden in Fall River Legend di A. De Mille; Balanchine le crea su misura lo scintillante Theme and Variations, A. Tudor il ruolo di Ate in Undertown. Ma invece di continuare negli Usa la carriera brillantemente intrapresa, torna in patria per iniziare l’opera di ‘apostolato’ per la diffusione della danza, in un’isola che a malapena aveva visto la Pavlova nel lontano 1917. Fonda la prima compagnia professionale cubana di danza nel 1948 e una scuola due anni dopo, andando di persona per fabbriche e piccoli paesi a raccogliere allievi. Dal 1959, con l’appoggio di Castro, ottiene i fondi necessari per consolidare l’attività della compagnia, dedicandosi alla cura e al mantenimento del repertorio classico (è suo un pregevole e meticoloso riallestimento di Giselle) insieme al marito Fernando e al cognato Alberto Alicia Alonso Prima ballerina assoluta del Ballet nacional de Cuba, continua a viaggiare in tournée per tutto il mondo con la sua compagnia.

Anzillotti

Anzillotti Julie Ann si forma nell’ambito della ricerca teatrale grazie alla collaborazione con i Magazzini Criminali con i quali dal 1979 al 1985 si esibisce in Punto di rottura , Crollo Nervoso , Genet a Tangeri. Nel 1983 fonda con Roberta Gelpi e Virgilio Sieni Parco Butterfly, partecipando a tutte le creazioni del gruppo ( Cocci aguzzi di bottiglia , 1985; Shangai Neri , 1986; Inno al Rapace 1988); crea poi la compagnia Xe (1991) con la quale procede nella definizione di un suo particolare teatrodanza svolto a mettere in luce la femminilità del mito e nella leggenda con lavori come Torrenti infuocati (1992), Erodiade (1993), Jehanne, Johanne, Jeannette (1995), Insurgentas (1996), Giuditta (1997).

Campiglio

Maria Vittoria Campiglio si forma nell’ambito della danza moderna ed espressionista con Elena Vedres e Trudy Kressel, studiando in seguito con Françoise e Dominique Dupuy. Fondato nel 1979 il gruppo `Charà’ firma, da allora, tutti gli spettacoli, spesso collaborando con artisti di altre discipline come Donato Sartori (Performances, 1980), i musicisti Stefano Ricatti (Percorsi, 1983) e Teresa Rampazzi (Breath, 1987).

Yokoyama

Allieva dell’American Ballet School, Ranko Yokoyama entra nella compagnia di Louis Falco, con cui collabora anche per il film Fame (regia di Alan Parker, 1980). In Italia fonda il gruppo Rompicapo e si esibisce spesso in televisione, creando numerose coreografie e svolgendo un’intensa attività didattica. La sua energia e il suo dinamismo ne hanno fatto un’interprete esemplare dello stile vigoroso di Falco, coniugato al femminile.

Giordano

Dopo gli studi con Carla Perotti e Anna Sagna, nel 1980 Raffaella Giordano entra nel Teatro e Danza La Fenice di Carolyn Carlson per poi passare nel 1981 al Tanztheater Wuppertal, dove interpreta Kontakthof e Sacre di P. Bausch. Nel 1984 è co-fondatrice di Sosta Palmizi, per cui crea e danza Il cortile (1985), Tufo (1986), Perduti una notte (1987), cui fa seguito la sua prima coreografia individuale, Ssst… Testimonia il suo forte legame con il Teatrodanza mitteleuropeo in lavori per il Folkwang Tanzstudio di Essen (Il volto dell’aria, 1995) e il Centre national danse contemporaine di Angers (Et anima mea 1996), cui affianca il più concertante Quartetto su notte trasfigurata (musica di Schönberg 1998). Sotto la sigla Sosta Palmizi produce inoltre gli assolo L’azzurro necessario (1992), Fiordalisi (1995), Il canto della colomba (1998).

Lewitzky

Allieva di Horton, con cui collabora (1934-1953) nel Lester Horton Dancers Group e poi nel Lester Horton Dance Theatre, creando ruoli principali in Sacre du Printemps (1937), Salome (1938) e Chronicle , Bella Lewitzky è a sua volta docente presso numerose scuole. Fonda la Dance Associates Fundation e poi la propria compagnia a Los Angeles (1971), ponendosi al centro del panorama della danza moderna sulla West Coast. Artista impegnata, fin dai tempi del lavoro con Horton, non solo sul terreno della ricerca tecnica e coreografica, ma anche politicamente e socialmente, lotta con tenacia contro ogni censura. La sua danza nasce e si sviluppa come espressione di libertà creativa, svincolata da qualsiasi obbligo che non sia intrinseco alle proprie esigenze poetiche. Nel 1996 il festival Oriente Occidente di Rovereto la sceglie come figura centrale del suo annuale programma dedicato ai maestri del ‘900, proponendone alcuni lavori esemplari: Inscape (1976), Impressions 1-Henry Moore (1987), Meta 4 , Episode 4/Turf (1994), Impressions 2- Vincent Van Gogh (1988).

Fracci

Milano aveva la Scala e la Scala le ballerine della Scala. Il vivaio che rese possibile la fioritura romantica e tardoromantica nel mondo. Le ballerine se ne stavano lassù, dove c’erano il timpano del Piermarini e le vetrate della Sala Trieste. In primavera si affacciavano, belle e irraggiungibili, simbolo di una città che correva indaffarata dietro il suo `boom’. Nell’immediato dopoguerra il ballo non era una moda ma un modo. Per sbarcare il lunario e forse fare fortuna. La pensava così anche Fracci Luigi, manovratore, che passava e ripassava lì sotto con il suo tranvai e la sua campanella. Un giorno prese per mano la Carlina, Carla Fracci, e le mostrò gli ‘angeli reclusi’ del timpano. Non fu una cosa semplice, e solo il Caso, condito di bonomia tutta meneghina, assicurò all’aspirante `spinazitt’ un posto alla sbarra della Sala Trieste: «prendee anca questa», concesse la direttrice Mazzucchelli, «la ghà un bel faccin». È il 1946, per la Fraccina iniziano giorni e anni che non passano mai. Tanta danza, un po’ di francese, un po’ di aritmetica, un po’ di noia. Il coretto di Bohème : voglio la tromba e il cavallin. Finché un giorno, dall’alto del regno degli `angeli reclusi’, vede arrivare una creatura bellissima. È Margot Fonteyn, che la innamora e la motiva. Diventerà suo idolo, suo modello, sua madre spirituale. Sui primi degli anni ’80 un griffatissimo Romeo e Giulietta le accostava ancora sulla scena del Metropolitan di New York; Margot era Madonna Capuleti. Il Caso dunque consegna alla Carlina, che voleva fare la parrucchiera e rimpiangeva i prati della periferia, quella coscienza di sé che l’avrebbe trasformata in emblema della danza. Quella classica. Per farla rimanere in carica dagli anni ’50 a oggi. E oltre. Unico punto di riferimento di un Paese che se da un lato, Scala a parte, sottovalutava come inferiore la tradizione operistica, dall’altro aveva totalmente scordato la danza, cui pure aveva dato i natali. I pochi allievi delle pochissime scuole private guardavano a Carla Fracci come all’unica. E non potendone imitare il resto le scippavano il look: allora come ora fatto di pizzi, veli, abiti, calze e scarpe rigorosamente bianchi; capelli raccolti da preziosi pettini e collo ornato da lunghe collane ambrate e di corallo. Alla Scala il 5 marzo del ’55 è il giorno del passo d’addio dei diplomandi.

Ancora il Caso vuole che la data sia la stessa di una Sonnambula che metteva assieme Maria Callas, Leonard Bernstein e Luchino Visconti. C’è tutta Milano che non può non vedere quella ballerinetta alle prese con Le spectre de la rose , accanto a Mario Pistoni. L’anno successivo, sempre il Caso fa ammalare Violette Verdy e consegna a Carla il ruolo protagonista della Cenerentola di Rodrigues. Nello stesso anno Massine le affida Mario e il mago , libretto di Visconti e musica di Mannino. Il teatro la nomina solista e, nel 1958, prima ballerina. Il caso Fracci esplode a Nervi ’57 dove, accanto a Yvette Chauviré, Alicia Markova e Margarethe Schanne, Carla è la Cerrito nel famoso Pas de quatre di Dolin-Pugni. Nel 1958 John Cranko costruisce su di lei il personaggio di Giulietta, nel Romeo e Giulietta che il complesso scaligero tiene a battesimo al Teatro Verde dell’isola di San Giorgio a Venezia. Intanto, sempre in Sala Trieste (che non c’è più), la Carlina incontra l’aiuto di Visconti Beppe Menegatti (che sposerà nel 1964), figura che non tarda a rivelarsi professionalmente indispensabile. Con lui e Antonio Gades, in una Spoleto di quegli anni, nasce la coreografia sulla Pavane pour une infante défunte (Ravel) dove la Fracci, tutta veli e remote suggestioni, diventa la Fracci. Quindi arriva la prima Giselle , il suo cavallo di battaglia. Arriva Erik Bruhn, il ballerino danese `maestro’ di Nureyev che costituirà con la Fracci l’altra coppia, speculare a quella Fonteyn-Nureyev. Con Bruhn Carla va in America e, divenuta `guest artist’ alla Scala, si lega al complesso più famoso del mondo, l’American Ballet Theatre. Da questo momento in poi è impossibile anche solo riassumere tappe, nomi, circostanze, allori. Il reperorio si allarga a dismisura. Prima, dopo e in mezzo ai tre titoli cajkovskiani ( Lago dei cigni , Bella addormentata , Schiaccianoci ) e ai tre grandi balli di Prokof’ev ( Romeo e Giulietta , Cenerentola , Il fiore di pietra ) si allineano quasi tutti i balletti romantici ( La Sylphide , La gitana , La Péri ), Secondo Impero ( Coppélia ), tardoromantici ( Il talismano ), i balli grandi manzottiani ( Excelsior ), i gioielli diaghileviani ( Sylphides , Shéhérazade , Après-midi d’un faune , Petruska ), i titoli di Petit ( Le loup , Les demoiselles de la nuit , il recentissimo Chéri ), di Béjart ( Bolero , L’heure exquise , da Beckett, di TorinoDanza ’98), di Tetley e di Tudor. Intanto i partner si chiamano Gilpin, Babilée, Nureyev (un lungo sodalizio), Vassiliev, Barišnikov, Bortoluzzi, Miskovitch, Dupont, Bujones, Cragun, Vu-An. I più giovani Liepa, Ezralow, Bocca, Fournial, Iancu, Bolle e Murru: compensazione tecnico-artistica del tempo che passa. E intanto ancora Carla recita: è Ariele nella Tempesta , Titania nel Sogno di una notte di mezza estate , Luna in Nozze di sangue .

Partecipa a film e filmati: è la Karsavina nel Nijinskij di Herbert Ross, Giuseppina Strepponi nel Verdi televisivo di Castellani, Marguerite Gauthier ne La storia vera della signora delle camelie di Bolognini. Riprende quasi tutte le divine Otto e Novecento nel telefilm Le ballerine con Peter Ustinov. Carla Fracci è la prima che abbandona il Ballo della Scala nel nome di libertà e pluralità espressiva; la prima che fa un figlio, operazione assolutamente bandita dall’etereo mondo delle `classiche’ dell’epoca; la prima che porta la danza nei teatri di periferia e negli chapiteaux. L’unica dotata di una voce calda e sensuale e di una naturale attitudine alla recitazione. Possiede una musicalità (è lontana parente di Verdi) che permette a Riccardo Muti di affidarle molti 7 dicembre scaligeri. È intelligente, determinata, istintivamente colta. Altrimenti come avrebbe potuto sostenere le parti che Beppe, suo marito, le ha cucito e continua a cucirle freneticamente addosso? La `Duse della danza’, la `Sarah Bernhardt’, il `monstre sacré’, liberty dalle corone umbertine e bambola di Kokoschka della Secessione viennese, Carla è Léa, “maternità impura di donna senza figli”, Rosina solare, Gelsomina surreale, Mila appassionata, metamorfosi di Orlando, Medea insanguinata, Zelda Fitzgerald che raccoglie e getta le lacrime con una mano che è la stessa che accompagna la curva del ventre gravido di una Filumena Marturano di segno espressionista. E anche la stessa che batte il suo dorso contro il palmo dell’altra mentre danza rapita e dolente l’ Ave Maria di Schubert: una danza Duncan. I meravigliosi assoli di Isadora li hanno e li stanno ricostruendo per lei i filologi Kenneth Archer e Millicent Hodson: si chiamano Patetica , Internazionale , Morte di Åse Ma chi è veramente Carla Fracci? Una che accosta a una fisicità evanescente e smaterializzata straordinarie doti di `tragédienne’, che ha vinto con fatica ogni ostacolo per identificarsi nella tecnica ferrea e apollinea di matrice Blasis-Cecchetti. Una che la vedi e pare un sogno, ma è anche una donna volitiva, caparbia, costante: «Il successo, che fatica! Noi qui, alle otto, siamo tutti in piedi». La danzatrice che ha ripetuto cento volte gli stessi ruoli sempre ricreandoli da dentro, facendoli più suoi perché potessero essere anche più nostri. Una creatura che con la stella c’è nata, e il Caso gliel’ha fatta scoprire. Lasciandole il compito di spogliarsi, potenziarsi e rimanere fedele a se stessa. Donna padana e artista planetaria.

Palucca

Formatasi a Dresda con Ernst Kroller, Gret Palucca a diciotto anni ha frequentato lo studio di Mary Wigman e nel 1923 ne è diventata danzatrice per lasciarlo l’anno successivo e dedicarsi a recital solistici. Nel 1925 ha aperto a Dresda una sua scuola che, dopo la chiusura imposta dai nazisti nel 1939, si è imposta dal 1945 come uno dei maggiori centri coreografici sovvenzionati dal governo dell’ex Germania Est. A fianco dell’attività didattica, ha proseguito fino al 1950 la sua carriera di danzatrice, esibendosi in Germania e in tournée internazionali, sia con spettacoli solistici che insieme a gruppi di suoi allievi. Accanto a Mary Wigman è stata una delle personalità più eminenti dell’ `Ausdruckstanz’ tedesca. Considerata una delle più liriche e affascinanti danzatrici moderne, si è tuttavia distinta da quella caposcuola per aver creato un proprio stile lirico e appassionato nel quale ha trasmesso le sue doti di ballerina.

Ikeda

Carlotta Ikeda è tra le prime donne a diventare protagonista di un’arte, quella del butoh, fondata e diffusa da uomini; ma i suoi approcci con la danza hanno radici europee e americane: studia infatti negli anni ’60 all’Università di Tokyo con un’allieva di Mary Wigman e poi si perfeziona nella tecnica Graham. Sotto l’egida di Murobushi crea la compagnia Ariadone nel 1974 e diviene interprete privilegiata delle coreografie di quel maestro. Bellezza imperfetta, dotata di una straordinaria carica drammatica, la I. si trasfigura sul palcoscenico in creatura metamorfica e carismatica. Memorabili i suoi assoli, mentre nel tempo ha maturato anche uno stile coreografico personalissimo: una danza che, senza rinnegare le proprie origini dal butoh, sa evolversi in un percorso emozionale che tende verso la sublimazione delle passioni. Tra i suoi lavori Hime (1985), inquietante rilettura dell’ Alice di Lewis Carroll, e il suggestivo viaggio iniziatico di Le langage du Sphinx (1991). Attualmente sta lavorando a Bordeaux – dove risiede con la sua compagnia Ariadone – a un’originale versione di La s agra della primavera .

Akesson

Allieva di Mary Wigman Birgit Akesson è entrata nel suo gruppo nel 1931, dedicandosi in seguito a recital solistici, presentati in Europa e negli Usa. Come coreografa ha firmato alcuni lavori per il Balletto Reale Svedese (The Minotaur, 1958; Icaros, 1963; Nausikaa, 1966) e si è occupata della didattica della danza fondando nel 1964 l’Istituto coreografico di Stoccolma, da lei diretto fino al 1968.

Buirge

Dopo studi alla Julliard School e al Dipartimento di danza del Connecticut College, per sei anni Susan Buirge danza nella compagnia di Alwin Nicholais. Trasferitasi in Francia nel 1970, la sua influenza è determinante per molti giovani artisti, sia da un punto di vista pedagogico che nella ricerca coreografica. Secondo la sua visione, la danza è soprattutto il risultato di un sentimento interiore, tale da muovere alla ricerca di una verità racchiusa in se stessi. Tra le sue più notevoli coreografie, From West to East (1976) e Empreintes (1977). Nei primi anni ’90 ha vissuto a Kyoto, in Giappone, e dall’incontro con il mondo orientale sono nati una serie di lavori di struttura quasi minimalista. Delicato l’assolo per la danzatrice taiwanese Lin Hsiu-Wei La terrasse à l’ombre de la lune (1995); ugualmente preziosa la serie di coreografie, ultimate nel 1997, dedicate alle stagioni dell’anno quali Ubusuna (danza dell’inverno) e Kin Iro no Kaze no Kanate , ovvero danza consacrata all’autunno e sviluppata intorno all’idea delle ombre ritrovate con il ritorno del sole.

Catalano

Anna Catalano studia danza contemporanea a New York e Parigi e danzaterapia con Maria Fux. Fondato a Roma (1987) il Centro internazionale per l’arte e la psicologia applicata, approfondisce la ricerca espressiva sull’interrelazione tra le due discipline con il gruppo `Danzacompagnia’, per il quale crea molti lavori: America America (1992), L’aviatore Dro (1996), Via col vento (1997). Dal 1995 dirige inoltre il centro interdisciplinare `Petra Lata’.

Brazzo

Dopo il diploma alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala Sabrina Brazzo danza due anni nella compagnia della Deutsche Oper am Rhein dove interpreta ruoli di prima ballerina in titoli del repertorio classico (Giselle) e contemporaneo (In the middle di William Forsythe). Passata al Corpo di Ballo della Scala si segnala come una delle ballerine più interessanti dell’ultima generazione nei ruoli di Clara (Schiaccianoci ) Esmeralda (Notre Dame de Paris), La Sylphide. Ha inoltre interpretato la ricostruzione del balletto La Chatte di Balanchine nello spettacolo Zelda riservami il valzer di Beppe Menegatti (1998).,

Sagna

Allieva del pittore Felice Casorati, Anna Sagna si avvicina alla danza studiando con Bella Hutter, Etienne Decroux, Harald Kreutzberg e Jean Dubuffet. Nel 1970 in onore della sua maestra crea il gruppo di danza contemporanea Bella Hutter, dagli anni ’80 battezzato Sutki. Con questa formazione capostipite della nuova danza torinese, caratterizzata da un linguaggio che fonde insieme danza, teatro, mimo e arti plastiche, realizza vari spettacoli tra i quali Sutki (1970), Igor (1989), Orme (1994), La tragedia è sfinita (1997).

Forti

Simona Forti inizia tardivamente gli studi di danza con Ann Halprin, Robert Dunn e, per breve tempo, con Martha Graham e Cunningham. Si esibisce in luoghi alternativi insieme al marito Robert Morris, ballerino e pittore, proponendo performance e improvvisazioni strutturate con l’intento di esplorare ogni genere di movimento organico naturale: umano, animale, vegetale. Tra i suoi lavori più significativi: See-Saw (1960), duo su un cavalletto da falegname; Rollers , con i danzatori dentro scatole montate su ruote e con la libera partecipazione del pubblico; Cloth (1968), `opera underground’; Sleepwalkers , ispirato ai fenicotteri; Big room (1975), con l’impiego di tubi di plastica rotanti e sibilanti; Planet , per quaranta persone intente a muoversi come animali allo zoo. Esponente di primo piano del movimento postmoderno, attraverso le sue danze sviluppa la teoria dell’arte come gioco di astrazione, a partire da elementi semplici e quotidiani.

Wigman

Mary Wigman è il nume tutelare della danza espressionista, la danzatrice che più compiutamente ha evidenziato, nelle forme proprie al movimento coreutico, la critica alla società borghese e industriale tipica dell’Espressionismo visivo, nato attorno al 1905 e tentacolare al punto da influenzare molte altre discipline, comprese quelle del corpo. Alla scuola wigmaniana si sono formati maestri e coreografi illustri come Hania Holm, Yvonne Georgi, Gret Palucca, Harald Kreutzberg e alcuni dei coreografi neoespressionisti di oggi come Susanne Linke che contribuisce a mantenere viva la memoria dell’artista.

Appassionata alla danza sin da piccola, Wigman scoprì solo a sedici anni il metodo di educazione plastico-musicale elaborato da Emile Jaques-Dalcroze e ne rimase affascinata. Due anni dopo, contro il parere della famiglia che per lei aveva auspicato un futuro di moglie e madre, si iscrisse all’Istituto Dalcroze, ancora provvisorio a Dresda, in attesa del trasferimento a Hellerau. Qui apprese il metodo di lavoro che utilizzò durante il resto della carriera: sviluppare l’espressione corporea a partire da improvvisazioni strutturate. Ottenuto il diploma, scartò l’ipotesi di diventare insegnante di ginnastica ritmica; il pittore espressionista Emil Nolde la indirizzò al Monte Verità di Ascona dove Rudolf von Laban aveva fondato una sua scuola-comunità; ne divenne l’assistente ma anche la danzatrice e insegnante di riferimento, sia nella sede invernale della scuola-comunità (a Monaco) che a Zurigo, dove Laban si trasferì durante la Prima guerra mondiale.

Debuttò, nel 1914, in Hexentanz (Danza della strega), Lento e La Journée de l’Elfe: il primo assolo, soprattutto, rivelò quanto fosse lontana la sua ricerca da quella autobiografica e solare di Isadora Duncan. Il suo corpo si trasfigurava, anche con l’aiuto di una maschera, quasi fosse sospinto da forze esoteriche e diaboliche. Nel 1917, anno in cui tramutò il suo nome in Wigman, più adatto al soprannome Mary, intraprese una lunga tournée in Germania dove ritornò anche nell’anno successivo ( Marche Orientale, Danses Extatiques e Quatre Danses Hongroise sono gli assoli dell’epoca) per poi stabilirsi a Dresda (1920) dove aprì la Wigman-Schule, che ben prestò si trasformò nel centro focale della danza moderna tedesca. Le sue succursali in Europa, e soprattutto negli Stati Uniti nacquero all’indomani delle tournée internazionali della Wigman, sempre accolte dal successo, come a Londra nel 1928 e in diverse città americane, tra cui New York, nel ’30. Proprio negli anni Trenta la sua estetica coreografica subisce una profonda trasformazione e si carica di venature nazionalsocialiste.

Saint-Denis

Ruth Saint-Denis ha studiato recitazione, danze sociali e tecnica Delsarte, apprendendo in seguito la danza classica con Maria Bonfanti. Dopo le prime esperienze a Broadway e nei teatri di varietà degli Usa in spettacoli di David Belasco, ispirata da un cartellone pubblicitario della marca di sigarette Egyptian Deities ha inventato la prima delle sue danze orientali, Radha, The Dance of Five Senses (1904, musica da Lakmé di Léo Delibes), proposta nel 1906 nella seire dei New York Sunday Night Smoking Concerts insieme agli assoli The Incense e Cobras. Dal 1907 al 1909 è in Europa, dove viene accolta trionfalmente e dove intreccia una intensa relazione sentimentale e artistica con il poeta Hugo von Hoffmannsthal; rientrata successivamente negli Usa continua la sua attività di autrice creando Egypta e O-Mika, presentato anche in un lungo tour giapponese (1913).

Sposatasi con l’ex allievo Ted Shawn nel 1914, l’anno successivo ha fondato con lui a Los Angeles la Denishawn School, centro didattico di indirizzo eclettico, ben presto impostosi come primo centro americano per la danza moderna. A questo viene affiancata l’omonima compagnia, attiva fino al 1932, per cui ha firmato numerose produzioni, tra le quali si ricordano A Dance Pageant of Egypt, Greece and India (1916) e Orpheus and Eurydice (musica di Gluck 1918). Dopo lo scioglimento della compagnia, si è sempre più concentrata sullo studio e l’esecuzione di danze religiose, fondando la Società delle Arti Spirituali e la New York School of Natya nel 1940 e ha continuato a divulgare la sua filosofia di danza con dimostrazioni, seminari e conferenze fino alla scomparsa. Considerata insieme a Isadora Duncan una delle fondatrici della danza moderna americana, dotata di una non comune bellezza e di un forte carisma scenico ha tratto la principale ispirazione per la sua danza dal mondo orientale, sebbene avesse un’idea superficiale e imprecisa dei vari stili coreografici che andava proponendo. Ciò, tuttavia, non le ha impedito di elaborare danze mistiche fastose ed eleganti, ricche di musicalità e di notevole lirismo, grazie anche all’uso prezioso delle braccia, all’accuratezza delle pose e alla sontuosità dei costumi. Testimonianze del suo lavoro rimangono grazie ai documentari First lady of American dance (1957), Ruth St Denis and Ted Shawn (1958) e il film Radha (1941-1973). (s.p.).

Cerroni

Patrizia Cerroni studia danza classica all’Accademia nazionale di Roma e danza moderna con J. Cébron, P. Lang e M. Cunningham. Dopo un lungo soggiorno in India, nel 1974 fonda `I danzatori scalzi’, cercando di unire la spiritualità orientale all’astrazione della `modern dance’ in lavori quali Ladies and Gentlemen (1986), C’est ici que l’on prend le bateau (1990), Folli d’amore (1994). Dal 1978 tiene corsi all’università di Delhi.

Censi

Figlia di musicisti e allieva della maestra scaligera Angelina Gini, Giannina Censi ha esordito nel 1929, come componente del gruppo di J. Ruskaja, esibendosi nelle tragedie classiche messe in scena dal grecista Ettore Romagnoli al Licinium di Erba. Nel 1930 si è recata a Parigi dove ha frequentato le classi di Lubov Egorova, incontrandovi Lifar, Danilova, Lichine, e interessandosi anche di danza spagnola e danza indiana, affascinata da Uday Shankar e Nyota Inyoka, che le ispireranno una esotica Danza Cambogiana . Tornata in Italia, si è avvicinata al movimento futurista, debuttando al Castello Sforzesco in Oppio e Grottesco Meccanico in una serata di letture poetiche di Bragaglia e Escodamè.

Ma la sua notorietà come danzatrice d’avanguardia si è consolidata nel 1931, durante la movimentata tournée di Simultanina di Marinetti, nel ruolo della ballerina Piff, e in una storica serata alla Galleria Pesaro di Milano, dove si è esibita, con un succinto costume metallico, in Aerodanze e Tereodanze, ovvero danze senza musica, in contrappunto alla voce recitante di Marinetti e illustrando con il solo movimento alcuni dipinti di Prampolini. Senza abbandonare le esibizioni con i Futuristi che dureranno saltuariamente fino al 1934, quando danzerà due poemi di Depero, ha curato le danze in stile ellenico per un Alcesti al Littoriale di Bologna nel 1932, mentre l’anno dopo è stata scritturata al San Carlo di Napoli nel ruolo di Pierrot per il Carrillon Magico di Pick Mangiagalli e poi nei Grandi Balletti di Adami a Padova.

A causa di un incidente al ginocchio, si è in seguito dedicata al teatro leggero di qualità a fianco, tra gli altri, di Wanda Osiris e Riccardo Billi. Dopo la Seconda guerra mondiale, e fino al momento della scomparsa, ha insegnato danza e balletto in numerose scuole, a Milano, a Genova, al Casino di San Remo e, infine, a Voghera, interessandosi anche di ginnastica per la terza età e trasmettendo alle allieve la Danza Cambogiana e soprattutto la moderna Danza dell’aviatrice, il suo più famoso assolo plastico-mimico in cui l’interprete, attraverso una sequenza di movimenti veloci e spezzati, in piedi e a terra, è al tempo stesso l’areo e l’aviatore.

Zerbey

Charlotte Zerbey studia danza moderna e classica all’Università di Utah ampliando la formazione con lo studio di contact improvisation, Ki Aikido, tecnica Alexander. Trasferitasi in Europa nel 1984, frequenta la School for New Dance Development di Amsterdam e danza con Group/o di K. Duck e Parco Butterfly. Nel 1989 fonda Company Blu insieme ad A. Certini, con il quale in Animus (1992), Le Curve dei Pensieri (1993) e Progetto Alveare (1995-97) definisce uno stile basato sull’improvvisazione e la sua immediata definizione coreografica. Nel 1996 è inoltre con il gruppo Sasha Waltz & Guests in Travelogue I.

Waltz

Dopo gli studi con Waltraud Kornhaus dal 1983 al 1986 Sasha Waltz si perfeziona alla School of New Dance Development di Amsterdam e a New York dove danza in gruppi dell’avanguardia coreografica americana. Rientrata in Europa nel 1988 collabora con artisti come Laurie Booth, Mark Tompkins, Tristan Honsinger, David Zambrano e crea le sue prime coreografie Schwarze Sirene (1988), Morgen war sie sprachlos (1991) e False Trap (1992), cui fa seguito il primo tassello del progetto Travelogue, Twenty to eight con il quale ottiene il secondo premio all’International Choreographers Competition (1994). Con le altre due parti del progetto – Tears breakfast 1994) e All ways six steps (1995) – e con i successivi Allee der Kosmonauten (1996) e Zweiland (1997) si impone come uno dei talenti più interessanti dell’ultima generazione del Tanztheater mitteleuropeo, grazie allo sbrigliato talento narrativo e all’acuta caratterizzazione psicologica dei suoi personaggi, resi attraverso una danza variegata e composita, dai toni surreali e volutamente ironici.

Cullberg

Pittrice, laureata in Letteratura all’Università di Stoccolma, Birgit Cullberg dal 1935 al 1939 studia danza moderna con Kurt Jooss e Sigurd Leeder perfezionandosi a New York con Martha Graham e debutta con un primo gruppo nel 1939. Nel 1947 forma insieme a Ivo Cramer lo Svenska Dansteater e inizia la sua attività di coreografa, subito contrassegnata dal suo capolavoro Signorina Giulia (1950), entrato successivamente nel repertorio di molte compagnie internazionali (in Italia è eseguito dal Balletto della Scala) e da Medea (con Maurice Bejart nella parte di Giasone, 1950). Dal 1952 al 1957 è coreografa principale del Balletto Reale Svedese per il quale crea, tra gli altri, Moon Reindeer (1957); in seguito, affianca all’attività di coreografa ospite (Lady from the Sea , 1960 da Ibsen e Eden , 1961 per American Ballet Theatre) quella, all’epoca pionieristica, di coreografa televisiva, condotta con audace sperimentazione dei mezzi tecnici e notevoli risultati creativi in La Strega Cattiva (Premio Italia 1961), I am not You, Pulcinella e Pimpinella, Red wine in green glasses (Premio Italia 1971), Peer Gynt. Nel 1967 fonda il Cullberg Ballet, prima compagnia di ‘giro’ svedese, per il quale firma altri significativi balletti, come Euridice è morta (musica Ennio Moricone, 1968), l’essenziale versione di Romeo e Giulietta (musica di Prokofiev, 1969), Revolt (1973), La scuola delle mogli (1974), War Dances (1979); lasciata la carica di direttrice della compagnia al figlio Matsek nel 1980, continua a seguire i molti allestimenti internazionali delle sue opere. Personaggio di punta del balletto moderno europeo e ‘madre’ della danza contemporanea svedese, che ha marcatamente segnato con la sua poetica e il suo stile, ha saputo tradurre i suoi interessi per la letteratura e il teatro moderno (ravvivati anche dalla vicinanza del marito, l’attore Andersek) nel genere del `’dancedrama ‘ che con lei ha assunto una struttura agile e essenziale e si è concentrato sull’osservazione delle problematiche sociali e interpersonali contemporanee, sviluppate attraverso un vocabolario di danza fortemente espressivo, dato dalla efficace e sintetica fusione tra i vari stili coreutici e dalla reinvenzione della gestualità quotidiana, utilizzata come coinciso mezzo `narrativo’.

Saporta

L’approccio al mondo della danza di Karine Saporta avviene in maniera molto tradizionale mentre segue corsi universitari di filosofia e di sociologia. Nei primi anni ’70, effettua un soggiorno negli Usa e inizia a coreografare. Le sue prime opere originali risalgono al 1974 (Kokakola). La compagnia ‘le Corps graphique’ che essa anima appartiene a quelle giovani troupe che aprono nuove piste alla danza. Fino al 1982, anno della creazione di una compagnia che porta il suo nome, firma ben diciotto lavori, molti dei quali, come Judith (1978), esplorano temi che saranno in seguito sviluppati. Anche se la sua reputazione è buona, è tuttavia con Èclats d’infante (Maison de la danse di Lione, 1982) che avviene la sua rivelazione e la riconferma l’anno successivo con Hipnoticus circus. Presentato ad Avignone, è del 1985 Les larmes en porcelaine.

Dal 1988 lavora al Centre choréographique di Caen dove dispone di solida base logistica che le permette di percorrere un cammino caratterizzato da spettacoli sempre più ambiziosi e teatrali; anche complessi e sontuosi, raffinati e ricchi di movimento che molto spesso si traducono in grandiose avventure oniriche (la critica parlerà di `opéras du regard’). Al traguardo degli anni ’90, le tappe della sua evoluzione passano attraverso lavori quali Une passion con Yano Hydeushi (danzato nei celebri saloni dell’Hotel Maurice), Un bal dans un coloir de fer, La fiancée aux yeux de bois, fino alla collaborazione con il cineasta Peter Greeneway per il film Prospero’s Book ; e ancora La chiave d’Elvire, La princesse de Milan e l’immaginoso Les trattories de Leila. Molto attenta al mondo delle immagini (S. è eccellente fotografa), ha realizzato vari film, tra i quali Le cirque da Georges Seurat (1986), La Brûlure (1987) e L’adorateur adoré (1991).

Piperno

Elsa Piperno studia all’Accademia Nazionale di Danza e a Londra con Marie Rambert e Robert Cohan, entrando successivamente a far parte della London Contemporary Dance Company. Fonda a Roma nel 1971 il Centro di formazione professionale che introduce per primo, in Italia, la tecnica di danza di Martha Graham, divulgata anche attraverso i lavori della compagnia TeatroDanza Contemporanea, che dirige insieme a Joseph Fontano (1972-89) e per la quale sigla anche coreografie (Autofocus). In seguito, proseguendo la sua attività di insegnante, crea e dirige la compagnia Danzare la Vita (1994).

Rossellini

Raffaella Rossellini partecipa nel 1978 alla fondazione del Teatro dell’Iraa (Istituto di Ricerca sull’Arte dell’Attore) diretto da Renato Cuocolo e concentrato sull’analisi e la fusione di diverse culture teatrali – con spiccata predilezione verso quelle orientali e sudamericane – e diversi codici espressivi, attraverso lavori come Lontano da dove (1981), Atacama (1982), Nowhere to hide (1984). In seguito con la compagnia Silvestremente ha proseguito il suo lavoro di ricerca etnologica. Ha partecipato al film di Marco Bellocchio La Visione del Sabba ed è autrice del saggio La liquidazione del corpo (1989).

Salerno

Marinella Salerno studia danza moderna con Traut Faggioni, perfezionandosi al Cunningham Studio di New York e alla School for New Dance Development di Amsterdam. Dopo aver collaborato con alcune formazioni del teatro di ricerca (Parco Butterfly, Mascarà Teatro), nel 1991 crea l’assolo Ruwe Bineda, cui segue nel 1993 Chioma di Drago su musica originale di Stuart Rabinowitsch. Dal 1995 collabora con la coreografa e danzatrice Angela Torriani Evangelisti, con la quale realizza due brani per Progetto Tabucchi (Interni-Reves) e Progetto per Sheherazade (1996).

Capucilli

Laureata in belle arti, Terese Capucilli si esibisce con le compagnie di Schulkind, Hirabayashi, Wong, Morin, Sewell e Monte, di cui è membro fondatore. Dal 1979 fa parte della Martha Graham Dance Company, per cui danza in Clytemnestra (1980, accanto a Nureyev), La sagra della primavera (1984), Temptations of the Moon (1986), Appalachian Spring e Night Journey (1987 e 1989, accanto a Barišnikov), Deep Song , Maple Leaf Rag . Interprete fedele dello stile Graham, si impone per la forte personalità e la presenza scenica scultorea.

Corradi

Formatasi alla danza contemporanea a Parigi con J. Gaudin, J. Uotinen, L. Ekson e C. Carlson, nel 1985 Laura Corradi si perfeziona alla Folkwang Schule di Essen diretta da P. Bausch. Nel 1986 fonda la compagnia ‘Ersilia’ e ottiene il primo premio al concorso internazionale di Cagliari, con Vedrai come si biforca la cantina. Prosegue nella sua ricerca, influenzata dal teatrodanza mitteleuropeo, ispirandosi spesso a opere letterarie (Mi hanno visto baciare una poltrona, 1988; Non è bello che un re si allunghi al suolo, 1990; Nella grande stanza centrale…, 1994; Achille, 1997).

Hutter

Trasferitasi a Torino nel 1923 insieme alla sorella Raja, vivace esponente del gusto modernista condiviso con il `Gruppo dei Sei’ di Felice Casorati, Bella Hutter si è imposta per la portata innovatrice della sua coreografia, ispirata alla danza libera di origine mitteleuropea e influenzata dalla collaborazione con Clotilde Von Derp e Aleksandr Sakharov. Sostenuta dall’élite intellettuale torinese del salotto artistico di Riccardo Gualino, ha iniziato la sua attività di danzatrice e insegnante nella sede del Teatro di Torino; dopo l’interruzione della guerra, l’ha ripresa negli anni ’50 formando una importante generazione di danzatrici moderne, tra le quali Sara Acquarone e Anna Sagna.