Orson Welles

Considerato uno degli artisti più versatili e geniali del Novecento, Orson Welles ha da sempre tentato di stupire il suo pubblico.

Orson Welles è stato un attore, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense. Considerato uno degli artisti più versatili e geniali del Novecento, ha da sempre tentato di stupire il suo pubblico. Che si trattasse di gettare il panico leggendo via radio La guerra dei mondi di H. G. Wells o di realizzare a soli 25 anni uno dei più grandi film della storia della settima arte, Quarto potere.

Orson Welles in teatro e in radio

Genio eccessivo e precoce, Orson George Welles esordisce in teatro all’età di sedici anni, interpretando la parte del duca di Wurtemburg in Süss l’ebreo, al Gate Theatre di Dublino. Inizia da qui il suo viaggio verso notorietà. Dopo le prime difficoltà incontrate per riuscire a lavorare sulle scene di Londra e Broadway e dopo una serie di viaggi in giro per il mondo, Welles riesce ad entrare nella compagnia di Katherine Cornell. Debutta così a 19 anni a Broadway in un Romeo e Giulietta nel ruolo di Tibaldo.

La sua versione radiofonica di La guerra dei mondi di H.G. Wells nel 1938 crea involontariamente un’ondata di panico nazionale. Il fatto denuncia, agli occhi dei più attenti osservatori della società di massa, le potenzialità manipolatorie dei media sulle reazioni emotive e sui comportamenti collettivi.

Prima di investire nel cinema le sue eccezionali risorse, firma due controversi spettacoli, che fecero scalpore e lo resero famoso poco più che ventenne: un Macbeth `voodoo’ interpretato da attori neri per il Negro People’s Theatre di New York nel 1936. E, l’anno dopo, un Giulio Cesare trapiantato nell’Italia fascista per il Mercury Theatre, da lui fondato con John Houseman.

Orson Welles a Hollywood: Quarto potere e L’orgoglio degli Amberson

Ormai famoso, Welles viene scritturato dalla compagnia cinematografica RKO, con la quale stipula un contratto a dir poco incredibile per un regista esordiente come lui. Welles potrà produrre, dirigere, scrivere e interpretare due film per 225.000 dollari oltre ad una percentuale dei profitti e, soprattutto, in totale libertà.

Orson Welles inizia la produzione di Quarto Potere, considerato uno dei film più belli della storia del cinema, la cui regia innovativa ha influenzato intere generazioni di registi.

Quarto potere di Orson Welles
Quarto potere di Orson Welles

Da allora la sua carriera fu una lotta incessante tra un talento artistico smisurato e le logiche asfissianti dell’industria cinematografica. Nel 194 esce L’orgoglio degli Amberson, disconosciuto dall’autore stesso perché la produzione tagliò quarantatré minuti di pellicola montandone una nuova versione senza la supervisione del regista che, con risentimento, abbandonò Hollywood per andare in Europa.

Il Macbeth e l’addio a Hollywood

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, Welles ritorna alla regia con Lo Straniero, prodotto dal produttore indipendente Sam Spiegel e con La Signora di Shangai in cui spicca la splendida interpretazione di Rita Hayworth (all’epoca ancora sua moglie).

Nel 1948 esce Macbeth il primo film della trilogia dedicata a Shakespeare seguito dall’ Otello del 1952 e dal Falstaff del 1966. Ma il Macbeth si rivela l’ennesimo insuccesso commerciale e allontana quasi definitivamente Welles da Hollywood.

Otello di Orson Welles
Otello di Orson Welles

I riconoscimenti arrivano invece dal Vecchio Continente: l’Otello, film girato in tre anni, abbandonato e ripreso più volte per una serie di incredibili disavventure, tra produttori falliti e sequestri dei negativi, vince il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes. Nel 1958 è la volta di un altro capolavoro, L’Infernale Quinlan, rimontato contro i voleri del regista. Nel 1963 Welles gira Il Processo tratto dal romanzo di Kafka.

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Woody Allen

Anthony Philip Hopkins

Gassman, Vittorio

Soprannominato il Mattatore, Vittorio Gassman è ritenuto uno dei più grandi interpreti della commedia all’italiana.

Vittorio Gassman è attore, regista e sceneggiatore, protagonista del cinema e del teatro italiano del Novecento. Con Alberto Sordi, Ugo Tognazzi e Nino Manfredi, Gassman è ritenuto uno dei più grandi interpreti della commedia all’italiana. Soprannominato il Mattatore (dall’omonimo spettacolo televisivo da lui condotto nel 1959), è ricordato per l’assoluta professionalità (al limite del maniacale), per la versatilità e per il magnetismo.

Vittorio Gassman biografia: dagli esordi ai vertici della gerarchia di palcoscenico

Genovese di nascita ma romano d’elezione e formazione, Vittorio Gassman ha debuttato ventenne a Milano nella Nemica di Niccodemi con Alda Borelli. Si è affermato subito dopo all’Eliseo di Roma, tanto da associare ben presto il suo nome a quelli di Adani-Calindri-Carraro. Passa con pari bravura dal genere brillante al drammatico, dal divertimento sofisticato alla commedia borghese.

Vittorio Gassman è salito ai vertici della gerarchia di palcoscenico con la compagnia diretta da Luchino Visconti. Con lui Ruggero Ruggeri, Paolo Stoppa, Rina Morelli, Paola Borboni, Vivi Gioi. Esuberante Kowalski in Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams, è capace di trascorrere dagli shakespeariani Rosalinda o Come vi piace e Troilo e Cressida a un alfieriano Oreste. È stato poi protagonista, con il Teatro Nazionale diretto da Salvini, dell’ibseniano Peer Gynt, della Commedia degli straccioni di Caro, di Detective Story di Kingsley, del Giocatore di Betti.

Il Teatro d’Arte Italiano di Vittorio Gassman e Luigi Squarzina

Con Luigi Squarzina, Gassman ha fondato e co-diretto il Teatro d’Arte italiano (1952-53). Insieme misero in scena un Amleto in versione integrale, il fin allora mai ripreso Tieste di Seneca, I Persiani di Eschilo, Tre quarti di luna di Squarzina. Interprete tragico per antonomasia, in familiarità con i classici greco-latini, è stato particolarmente attratto da Shakespeare, contribuendo a rendere memorabile l’Otello (1956-57) in cui si scambiava con Randone i ruoli del Moro e di Jago.

Una professionalità al limite del maniacale

La sua esuberanza giovanile lo ha indotto talvolta a concedere un po’ troppo al virtuosismo del grande attore di matrice ottocentesca. Lo abbiamo visto moltiplicarsi, ad esempio, nei nove personaggi dei Tromboni di Zardi (quasi coevi alla serie televisiva Il mattatore). O lasciarsi tentare dal congeniale Kean nel suo O Cesare o nessuno (1975), specchio del genio e sregolatezza degli anni verdi, poi pienamente governato nella più sorvegliata maturità.

Fino all’ultimo fedele al teatro di parola, restìo ad avanguardismi di facciata, cresciuto con il culto della foné, ha avuto in odio il minimo difetto di pronuncia, un accento sbagliato, un’inflessione dialettale. Il suo credo artistico è rimasto sostanzialmente fedele a una drammaturgia di scrittura alta. Fino a cimentarsi nell’avventura generosa dell’Adelchi di Manzoni fatto conoscere a mezzo milione di spettatori, dal suo itinerante Teatro Popolare con ‘chapiteau’ circense (1960-63).

Vittorio Gassman film: dal teatro al cinema con I soliti ignoti e L’armata Brancaleone

Tentato dal cinema, Vittorio Gassman ha interpretato oltre cento film, riscuotendo particolare successo sul versante comico-farsesco con film come I soliti ignoti L’armata Brancaleone.

Vittorio Gassman film: I soliti ignoti
Vittorio Gassman film: I soliti ignoti

È tornato in palcoscenico a più riprese per riproporre Otello venticinque anni dopo, affrontare Macbeth (con la Guarnieri), inscenare un collage dostoevskijano con gli allievi della Bottega del teatro da lui fondata a Firenze e portare a Los Angeles e ad Avignone i sempre più prediletti assemblaggi di autori vari.

Con il figlio Alessandro Gassman avuto da Juliette Maynel, ha ripreso Affabulazione di Pasolini (1986);  è stato Achab nel Moby Dick tratto da Melville (1992); ha affrontato lo scontro generazionale nell’autobiografico Camper (1994), avversato dalle sue ricorrenti crisi depressive.

Particolarmente rilevante è stato lo spazio concesso, nei sempre più frequenti recital, a poeti d’ogni età e Paese, soprattutto alle consentanee cantiche dantesche. È stato sposato con le attrici Nora Ricci (da cui nel 1945 ha avuto la figlia Paola, anch’essa attrice), Shelley Winters, Diletta D’Andrea.

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Ruggero Ruggeri

Paolo Stoppa

Rina Morelli

Albert Camus

Albert Camus è un romanziere, saggista e drammaturgo francese.

Albert Camus è un romanziere, saggista e drammaturgo francese. Con Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir rappresenta una figura di spicco dell’esistenzialismo francese. È conosciuto per romanzi come Lo straniero (1942) e La Peste (1947) e per il suo lavoro nelle cause di sinistra.  Nel 1957 il Premio Nobel per la letteratura ne consacra la fama.

Albert Camus, biografia dello scrittore francese

Albert Camus nasce il 7 novembre 1913 in Algeria a Mondovi, oggi Dréan. Rimasto prestissimo orfano di padre, morto nella battaglia della Marna, conobbe un’infanzia e una giovinezza di stenti. Si distinse, tuttavia, negli studi universitari, che non riuscì a completare per il cattivo stato di salute e per il continuo lavoro cui era costretto. Fu commerciante, commesso, impiegato e attore nella compagnia di Radio Algeri. La tubercolosi colpisce Albert Camus giovanissimo: la malattia purtroppo gli impedisce di frequentare i corsi e di continuare a giocare a calcio come portiere, attività sportiva nella quale eccelleva. Finirà gli studi da privatista laureandosi in Filosofia nel 1936.

L’impegno politico e l’antifascismo

Nei primi anni ’30 aderisce al movimento antifascista e successivamente al Partito Comunista Francese da cui si allontanerà, accusato di trotskismo. Durante questi anni intraprende una storia con Simone Hie dalla quale si separa dopo due anni per una sua dipendenza dagli psicofarmaci. Si fidanza diversi anni dopo con Francine Fauré con la quale rimane fino alla fine della vita.

La sua militanza continua a manifestarsi all’interno delle redazioni di giornali dove si specializza nei resoconti dei processi e dei reportage. Passione politica e impegno giornalistico, sono due caratteristiche del suo modo di concepire la vita e le battaglie a favore dell’uomo. Le sue denunce contro lo sfruttamento degli arabi in Francia e la denuncia delle loro condizioni miserabili vissute sotto il colonialismo francese, gli portarono censure e fastidi.

Nel 1940 si sposta in Francia dopo aver ottenuto un posto al Paris-Soir, dove manifesta la sua intolleranza verso il regime nazista. Nell’ambiente intellettuale della resistenza coinvolge anche Jean-Paul Sarte, con cui instaura una forte amicizia.

Ad agosto 1945, a guerra conclusa, Albert Camus è l’unico intellettuale occidentale (a eccezione del fisico tedesco Albert Einstein) a condannare apertamente la scelta da parte degli Stati Uniti di bombardare Hiroshima e Nagasaki.

Albert Camus libri: Lo straniero, La peste e il premio Nobel

Intorno al 1937 esordisce nel mondo letterario con la raccolta di prose liriche e di saggi intitolata Il rovescio e il diritto. Affermatosi nel 1942 con il romanzo Lo straniero e con il saggio Il mito di Sisifo, raggiunse un vasto riconoscimento di pubblico con La peste (1947). Nel 1957 ricevette il premio Nobel per la letteratura per aver saputo esprimere come scrittore “i problemi che oggi si impongono alla coscienza umana”.

Dalla filosofia ai testi teatrali

Albert Camus dedica parte della sua opera anche alla creazione di testi teatraliIl malinteso (1944) e Caligola (1945), cui seguirono Stato d’assedio (1948) e I giusti (1950).

La sistematicità, caratteristica generale dell’opera camusiana, fa sì che i due momenti dedicati al teatro si inseriscano in un preciso disegno metodologico ed ermeneutico. Secondo l’analisi dello stesso Camus, Caligola e Il malinteso apparterrebbero dunque al ciclo dell’assurdo, Stato d’assedio I giusti farebbero invece parte della fase detta della ‘rivolta’. I temi trattati dalle prime due pièce rispecchiano la prima fase della ricerca di Albert Camus. Una fase distruttiva, di presa di coscienza del vuoto di senso in cui l’essere umano è immerso. In Caligola, soprattutto, Albert Camus affronta il problema della morte, della realtà banale e terribile per cui “gli uomini muoiono e non sono felici”. Il protagonista dell’opera cerca di opporsi a questa legge ineluttabile incarnando l’arbitrarietà e la cecità delle leggi che muovono l’esistenza. Il tipo di libertà sperimentata da Caligola, tuttavia, è senza via di uscita e non può che esprimersi nel crimine. Voler plasmare l’uomo sulle forze che ne precedono la creazione implica infatti la distruzione dell’umanità e la condanna alla solitudine.

In Stato d’assedio e I giusti Albert Camus dà prova dell’evoluzione del suo pensiero: dalla presa di coscienza dell’assurdo al suo superamento attraverso la solidarietà tra gli uomini, vero e proprio sentimento di simpatia, di condivisione del dolore. In particolare, I giusti – opera che analizza i legami ideologici e sentimentali degli appartenenti a una cellula rivoluzionaria nella Russia del 1905 – riesce a tradurre questa fase ulteriore della ricerca camusiana, di un nuovo umanesimo in un’epoca disperata.

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esistenzialista

Jean Anouilh

Woody Allen

Woody Allen è un regista, attore e sceneggiatore, tra le personalità artistiche più influenti del panorama cinematografico contemporaneo.

Woody Allen è un registaattoresceneggiatore e scrittore di origine ebraica, vincitore di quattro premi Oscar e del Leone d’oro alla carriera. Tra le personalità artistiche più influenti del panorama cinematografico contemporaneo, si è fatto le ossa come autore televisivo, scrivendo sketch che interpretava nei club newyorkesi e commedie per Broadway. Ma non è certo in questo campo che ha espresso al meglio il suo talento. Allen porta sul grande schermo il suo amore per New York, la musica jazz, la letteratura, la psicanalisi, la magia e l’illusione, dando vita a personaggi comicamente sfortunati e pieni di nevrosi.

Woody Allen biografia: le origini tra cabaret e scrittura

Woody Allen nasce col nome di Allan Stewart Königsberg il 1º dicembre 1935 nel quartiere del Bronx (New York), da una famiglia ebrea. Racimola i primi guadagni vendendo i suoi sketch a noti comici televisivi ed esibendosi nei club newyorchesi come stand-up comedian, alternando esibizioni comiche e musicali. All’età di diciassette anni, sceglie lo pseudonimo Woody Allen, in onore del celebre clarinettista jazz Woody Herman, ed è in questi anni che inizia la sua carriera come autore televisivo.

Prima di tentare la strada del cinema, ottiene un grande successo a Broadway con le sue commedie Don’t Drink the WaterPlay It Again, Sam. Accolte con indifferenza dalla critica, vengono gradite dagli spettatori e successivamente tradotte in film (Come ti dirotto il jet e Provaci ancora, Sam). Nel 1964 riceve dal produttore Charles Feldman l’incarico di scrivere la sceneggiatura di Ciao Pussycat, al quale partecipa anche come attore. Dal teatro al cinema il passo è breve. Decide quindi di sedere dalla parte opposta della macchina da presa, girando i film Amore e guerraIo e Annie Manhattan.

Woody Allen migliori film: la consacrazione con Io e Annie e Manhattan

I maggiori successi di Allen arrivano nel decennio che inizia nel 1977, data di uscita di Io e Annie. Il film racconta dell’amore tra due intellettuali che nasce, tentenna, sbanda e si conclude per le strade della Grande Mela. Protagonisti, lo stesso regista e Diane Keaton che, proprio in quel periodo, stava mettendo fine alla loro storia d’amore nella vita reale. Questa malinconica commedia sentimentale è l’opera che definisce appieno il suo stile e il suo più grande successo commerciale. La pellicola si aggiudica quattro premi Oscar (miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura originale e miglior attrice protagonista a Diane Keaton) e un Golden Globe.

Woody Allen e Diane Keaton in Io e Annie
Woody Allen e Diane Keaton in Io e Annie


La produzione di Allen entra in una fase nuova: i toni passano dal comico all’umoristico, l’ironia pervade ogni dialogo; fanno la loro comparsa problemi di coppia, nevrosi, psicanalisi, temi esistenziali, riflessioni filosofiche. E, soprattutto, Diane Keaton. Insomma, i tòpoi alleniani per eccellenza. Appartiene a questa fase anche Manhattan, suo capolavoro assoluto. Considerata la sua opera magna, è una grandissima manifestazione d’amore verso New York, la sua città natale, in un misto di romanticismo, nostalgia e sogno. Come protagonista l’immancabile vita sentimentale di un protagonista divorziato e in cerca del senso della vita, in un percorso pieno di monologhi, riflessioni e sottile umorismo.

Woody Allen e Mariel Hemingway in Manhattan
Woody Allen e Mariel Hemingway in Manhattan

L’inarrestabile vena creativa degli anni Ottanta

Gli anni Ottanta vengono inaugurati da Stardust Memories, film dalla forte componente autobiografica, ispirato al cinema europeo e in particolare a Federico Fellini e Ingmar Bergman. L’anno successivo Allen scrive e dirige Zelig, finto reportage su un uomo camaleontico che trasforma anima e corpo secondo chi si ritrova vicino. Sono gli anni d’oro, in cui Allen crea alcune delle sue opere migliori: Broadway Danny Rose, La rosa purpurea del Cairo, Hannah e le sue sorelle e, soprattutto, Crimini e misfatti, vetta assoluta all’interno del suo percorso drammatico.

Da Midnight in Paris all’ultimo film di Woody Allen: la crisi, i boicottaggi e la ribalta

Gli anni Duemila coincidono con una fase di crisi. Il ritorno alla ribalta, quando tutti ormai lo consideravano un regista sulla via del tramonto, avviene grazie a due film: Match Point, con Jonathan Rhys-Meyers e Scarlett Johansson, e Midnight in Paris. La trasferta francese è un successo al botteghino e permette all’autore di conquistare un Golden Globe per la miglior sceneggiatura originale e il suo quarto Oscar. 

Nel 2019 esce Un giorno di pioggia a New York realizzato con grandi difficoltà a causa delle pesanti controversie che il regista ha subito per delle accuse di abuso sessuale risalenti al 1992. L’anno successivo, Woody Allen porta al cinema Rifkin’s Festival. Nel film il regista si sofferma su uno dei suoi temi più caratteristici: il rispecchiarsi della vita nell’arte e dell’arte nella vita. Non è difficile, infatti, intravedere dietro Mort Rifkin, ex professore e fanatico di cinema sposato, il Woody Allen del tempo, emarginato dalla critica cinematografica e travolto dalle vicende giudiziarie.

Dopo tre anni, Allen torna ancora una volta al cinema con il suo primo film in francese, Un colpo di fortuna – Coup de Chance, presentato in anteprima fuori concorso all’80esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

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Vinogradov

Oleg Michajlovic Vinogradov si è diplomato all’Istituto coreografico di Leningrado e dal 1958 al 1965 danza al Teatro di Novosibirsk dove realizza le sue prime prove coreografiche ed è nominato coreografo sino al 1968. Dal 1968 al ’72 è coreografo al Teatro Kirov; dal 1973 al ’77 è coreografo al Malyj Teatr di Leningrado. Nel 1977 è nominato direttore artistico e coreografo principale del Balletto del Kirov. Nel periodo in cui è attivo al Malyj la sua più importante coreografia è Jaroslavna (realizzata con la regia di J. Ljubimov, 1974). Fra le sue coreografie Cenerentola (varie edizioni), La ballata dell’ussaro (1979), Il revisore (1980), Il cavaliere dalla pelle di tigre (1985) La corazzata Potëmkin (1986), Petruška (1990), Coppélia (1992), La fille mal gardée (1994). È negli anni ’50 e ’60 che mette in luce le sue qualità di coreografo innovatore della tradizione classica, mentre nei lavori più si riavvicina al genere ottocentesco del balletto pantomima. Durante la direzione del Kirov conserva meritoriamente il repertorio ottocentesco del teatro. Lascia la direzione del Teatro Marijnskij (così è chiamato il Kirov, dagli anni ’90) dopo uno scandalo per corruzione nel 1996; è attivo come coreografo e direttore di compagnie negli Usa e in Corea.

Manfridi

Giuseppe Manfridi dopo gli studi classici, svolge attività giornalistica per “La città futura” e “Il Dramma”, rivista di Diego Fabbri. Esordisce come autore, attore e regista nel 1976, allestendo Andromaca, la condizione estrema dell’urlo , ai teatri La Comunità e SpazioUno di Roma. Sin dai primi testi ( La leggenda della madre benedetta , 1979; Una stanza al buio , 1981), M. si segnala per l’originalità e l’intensità poetica della sua scrittura, sempre attenta al reale, al quotidiano, alle evoluzioni e le tendenze linguistiche non solo del contemporaneo. Autore particolarmente prolifico (oltre cinquanta i testi teatrali andati in scena), M. raggiunge notorietà grazie a Teppisti del 1985 (più volte ripreso); Una serata irresistibile (1986, premio Idi under 35); Liverani (1986, premio Riccione Ater); Anima bianca (1986, premio Idi); Giacomo il prepotente (1989, premio Taormina Arte e medaglia d’oro Idi), Ti amo, Maria (1989, premio Riccione Ater); Arsa (1989, 1993, 1995); La leggenda di San Giuliano (1991, presentato al festival d’Avignone); Zozòs (1994, ’96, ’97); La partitella (1995). Traduce in italiano le opere di Steven Berkoff e Jasmina Reza, firma le sceneggiature dei film Ultrà , regia di Ricky Tognazzi (1991, Orso d’argento al festival di Berlino), Vite strozzate (1996, regia R. Tognazzi); I maniaci sentimentali e Camere da letto (1996 e 1997, regia di Simona Izzo). I testi di M. sono tradotti e allestiti in Francia, Svezia, Grecia, Stati Uniti e Argentina.

Salce

Luciano Salce si diploma in regia nel 1947 all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’, ma inizia la sua carriera come attore, diretto in teatro da importanti registi come O. Costa, L. Visconti, A. Fersen, G. Strehler. Debutta nella regia teatrale con testi di Dumas padre, Bontempelli, Molière, Labiche e altri autori di teatro comico e leggero, che interpreta con una vena fortemente satirica, sottolineandone i risvolti nell’attualità. Partecipa con Franca Valeri e Vittorio Caprioli all’esperienza dei Carnets de notes, e collabora alla sceneggiatura di numerose commedie. Considerato uno dei migliori rappresentanti della commedia all’italiana, deve la sua fama alla regia cinematografica; tra i suoi film di maggior successo ricordiamo Il federale , che fu il trampolino di lancio per Ugo Tognazzi (1961), La voglia matta (1962), Le ore dell’amore (1963), Ti ho sposato per allegria (1967, dalla commedia di N. Ginzburg), Fantozzi (1975). È stato anche un ottimo regista televisivo, attività a cui si è dedicato soprattutto negli anni ’60 (Le canzoni di tutti).

Roli

Attento osservatore dei costumi contemporanei, Mino Roli denuncia nelle sue opere, con stile neoverista, i rappresentanti di una società ingiusta e senza scrupoli. Tra i titoli della sua produzione vanno ricordati Sacco e Vanzetti (1961), realizzato in collaborazione con L. Vincenzoni e rappresentato dalla compagnia Sbragia-Garrani-Salerno, e Le confessioni della signora Elvira (1965), messo in scena dalla Padovani-Garrani-Sbragia.

Pugliese

Laureato in giurisprudenza, Sergio Pugliese ricoprì un importante ruolo dirigenziale alla Rai, promuovendo i primi programmi sperimentali. Giovanissimo scrisse, in collaborazione con S. Gotta, una commedia dal titolo Ombra, la moglie bella (1932). Dopo il divertente lavoro Trampoli (1935, interpretato da D. Falconi), si dedicò a un teatro più pensoso e intimista, caratteristiche che lo accompagneranno nella successiva produzione. Tali elementi si ritrovano infatti anche nel Cugino Filippo (1937), Conchiglia (1937) e Vent’anni (1938). Il riferimento naturale di questo stile può essere individuato nel Giacosa di Come le foglie. La sua opera più nota è L’ippocampo (1942), nella quale si racconta con arguzia una vicenda coniugale: la commedia, che riscosse un grande successo, venne rappresentata in molte piazze europee e restò in cartellone un anno a Buenos Aires. Nel 1945 la stessa commedia ebbe una versione cinematografica. Sempre per il grande schermo, firmò la sceneggiatura, tra l’altro, di Gioco pericoloso (1942), L’angelo bianco (1943), Nebbie sul mare (1944-1945), Barriera a settentrione (1951).

Bertolucci

Fratello del regista Bernardo, Giuseppe Bertolucci per il teatro scrive con Roberto Benigni il monologo Cioni Mario di Gaspare fu Giulia di cui cura anche la regia nel 1975: lo spettacolo rappresenta il trampolino di lancio di Benigni che ne è l’interprete. Nel 1983 è regista di un altro suo monologo Raccionepeccui portato sulla scena da M. Confalone. Cura le regie di Il pratone del Casilino tratto da Petrolio di Pasolini (1994) e O patria mia di cui collabora anche al testo (con S. Guzzanti, D. Riondino, A. Catania, P. Bessegato; 1994). Si occupa della regia e dell’adattamento televisivi di Il pratone del Casilino (1995, da Petrolio di Pasolini); Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana (1997, regia di L. Ronconi); Ferdinando (1998, di A. Ruccello). Nel 1991 realizza il video teatrale Il congedo del viaggiatore cerimonioso dal corpus poetico di G. Caproni con gli allievi della Scuola d’arte drammatica `P. Grassi’. Delle sue regie cinematografiche si ricordano Berlinguer ti voglio bene in cui Bertolucci riprende lo spettacolo teatrale interpretato da Benigni (1977), Segreti segreti (1984), Tuttobenigni (1986), I cammelli (1988).

Zavattini

Rispetto all’entità e alla qualità della sua collaborazione col cinema (può essere considerato uno dei padri del neorealismo), il contributo offerto da Cesare Zavattini (20 settembre 1902 – 13 ottobre 1989) al teatro è decisamente più ridotto. Appositamente realizzata per le scene è Come nasce un soggetto cinematografico , commedia rappresentata per la prima volta alla Biennale di Venezia nel 1959 e riproposta al Piccolo Teatro, durante la stagione successiva, per la regia di V. Puecher. Con la regia di G. Dall’Aglio è stato allestito nel 1988 un altro soggetto di Z., Ligabue. Una carrellata in chiave teatrale di alcuni snodi della sua opera multiforme, incentrata sulla felice sintesi tra vocazione `pauperistica’ e disincantato umorismo, è stata effettuata da V. Franceschi nello spettacolo intitolato Monologo in briciole.

Cappelli

Indagatore attento dell’animo umano, Salvato Cappelli ricostruisce nelle sue opere gli enigmi e le tensioni della realtà, con l’intento di darne una spiegazione razionale. Il tema della morte, considerata soprattutto nella chiave del suicidio, fa da sfondo costante alla sua produzione. Scrittore elegante nello stile, filosofico nell’impostazione generale e complesso nell’elaborazione teorica degli argomenti, si avvale di un linguaggio capace di chiarificarsi con il procedere dell’azione scenica. Per il teatro ha scritto e fatto rappresentare sei commedie: Il diavolo Peter (1957), Incontro a Babele (1962), L’ora vuota (1963), Duecentomila e uno (1966), Morte di Flavia e delle sue bambole (1968) e La signorina Celeste (1976).

Sherriff

Robert Cedric Sherriff ottenne un grande, e mai rinnovato, successo con Il grande viaggio (The Journey’s End, 1929), rievocazione realistica e antiretorica della prima guerra mondiale. Continuò a scrivere per il teatro storie sull’Inghilterra provinciale sempre adottando la tecnica naturalista: Miss Mabel (1948), A casa per le sette (Home at Seven, 1950), Il garofano bianco (The White Carnation, 1953), Telescopio (The Telescope, 1957, tratto da un suo racconto). Le sceneggiature cinematografiche più interessanti sono Uomo invisibile (The Invisible Man, 1933), per la regia di James Whale, e Addio Mr Chips (Goodbye Mr Chips, 1939), con la regia di Sam Wood.

Bolt

Robert Bolt è giunto al successo grazie a Un uomo per tutte le stagioni (A Man for All Seasons, 1960), nato come radiodramma successivamente da lui ridotto per la televisione, il teatro e il cinema, regista Fred Zinnemann (1966). Il film, interpretato da Paul Scofield, Orson Welles e Vanessa Redgrave, fu premiato con cinque Oscar, tra cui quello per la miglior sceneggiatura (andato allo stesso B.). La vicenda ricalca il capitolo di storia inglese del Cinquecento che vide il conflitto tra ragion di stato (Enrico VIII) e coscienza morale (il cancelliere Thomas More, che pagò con la vita il suo rifiuto di piegarsi alla volontà del re). Tra le opere teatrali: Il critico e il cuore (The Critic and the Hearth, 1957), Il ciliegio in fiore (Flowering Cherry, 1957), La tigre e il cavallo (The Tiger and the Horse, 1960), Dolce Jack (Gentle Jack, 1963), Fratello e sorella (Brother and Sister, 1967), Vivat, vivat Regina (1970, su Elisabetta e Maria Stuarda) e Stato di rivoluzione (State of Revolution, 1977, su Lenin, per il National Theatre). Oltre al già citato Un uomo per tutte le stagioni , sono da ricordare le sceneggiature cinematografiche di Lawrence d’Arabia , Il dottor Zivago e La figlia di Ryan , tutte per la regia di David Lean; mentre ha diretto personalmente Peccato d’amore (Lady Caroline Lamb, 1972).

Rattigan

Secondogenito del diplomatico Frank R. e di Vera Houston, Terence Rattigan nacque a ridosso dell’incoronazione del re George V. Trascorse con i genitori solo i brevi periodi di licenza del padre e crebbe insieme al fratello con la severa nonna Lady R. a Lanarkslea in Cornovaglia. Il suo amore per il teatro fu estremamente precoce (a sette anni si considerava già un assiduo spettatore), così come la sua convinzione di divenire un giorno drammaturgo. Cominciò a divorare la letteratura teatrale (apprezzando W.S. Maugham e disprezzando Shaw) e a scrivere commedie sin dalla prima infanzia; continuò durante gli anni del college, ma di questa imberbe produzione non resta che il dramma Integer Vitae . A soli venticinque anni debuttò nel West-End londinese ottenendo un grande successo con French without Tears. Rattigan visse il teatro con profonda passione e trasformò la sua esperienza di spettatore entusiasta nella scrittura, rispettando e soddisfacendo l’esigenza di un pubblico medio di assistere a una performance `normale’. Per questo continuò per tutta la sua carriera a proporre le classiche commedie ben costruite, a produrre in sostanza pièce da intrattenimento. Tra i suoi lavori, si ricordano le commedie: White the Sun Shines (1943), Love in Idleness (1944) e The Sleeping Prince (1953); tra i drammi: The Winslow Boy (1946), che vinse diversi premi della critica; Separate Tables (1954), che replicò per oltre settecento volte e divenne un film con Burt Lancaster, David Niven e una sfiorita Rita Hayworth; e infine tra i drammi biografici Ross (1960) su Lawrence d’Arabia e Bequest Nation (1970) su Nelson.

Manzari

Dopo il trasferimento a Roma nel 1930, Nicola Manzari ha esercitato la professione di avvocato. Tale occupazione ha influenzato alcuni suoi lavori, nei quali i personaggi vengono posti davanti al tribunale della propria coscienza, come in Pudore (1950) e Tabù (1983). M. si è cimentato anche con il teatro leggero e di costume. Alcuni titoli: Tutto per una donna (1939, testo d’esordio diretto al cinema da M. Soldati), I poeti servono a qualcosa (1939), Partita a quattro (1946), Miracolo (1948).

Missiroli

Figlio di un impresario Mario Missiroli si diploma nel 1957 all’Accademia d’arte drammatica ‘S. D’Amico’ e esordisce nella regia l’anno successivo con Tristi amori di Giacosa. Nella stagione 1958-59 è a Milano come direttore di sala del Teatro Gerolamo. Dal 1959 al 1962 è assistente alla regia di Strehler al Piccolo Teatro, collaborando ad alcune celebri messe in scena quali El nost Milan di Bertolazzi e L’opera da tre soldi e Schweyk nella seconda guerra mondiale di Brecht. Significativi, in questo periodo, gli allestimenti di La Maria Brasca di Testori (1961) novità italiana e prima assoluta e Tornate a Cristo con paura , da laudi perugine del Trecento nella basilica di Sant’Ambrogio. Tornò a Roma e si dedicò al cinema collaborando alla sceneggiatura e alla regia di Estate violenta (1962) e Cronaca familiare (1962) di V. Zurlini e girando il film La bella di Lodi (1962), tratto da un soggetto di A. Arbasino, con il quale scrive anche il varietà teatral-musicale Amate sponde (1962). Nel 1963 cura la regia di Assassinio nella cattedrale di Eliot per il Piccolo, poi per alcuni anni si dedica al teatro d’opera. Del 1968 è l’incontro e la significativa esperienza con il gruppo d’avanguardia Il Porcospino, con cui mette in scena Il matrimonio di Gombrowicz e Commedia ripugnante di una madre di Witkiewicz. Nel 1971 è la volta di Eva Peron di Copi e di Recitazione della controversia liparitana dedicata ad A.D. di Sciascia, mentre nel 1972 comincia la collaborazione con il Teatro insieme: L’ispettore generale di Gogol’ e A proposito di Liggio spettacolo-documento tratto dagli atti della commissione parlamentare antimafia (scritto con V. Sermonti, 1973). Seguono La locandiera di Goldoni, L’eroe borghese di Sternheim, La signorina Giulia di Strindberg, Vestire gli ignudi di Pirandello (1975), Il processo di Kafka nell’adattamento di Ripellino (1975). Dal 1976 al 1984 è direttore del Teatro stabile di Torino dove realizza testi quali Verso Damasco di Strindberg, La trilogia della villeggiatura di Goldoni, I giganti della montagna di Pirandello, concludendo con La mandragola di Machiavelli (1985). Nella stagione 1986-87 propone il suo testo Tragedia popolare , seguito da Chi ha paura di Virginia Woolf? di Albee e Giorni felici di Beckett. Successivamente lavora per il Teatro di Roma allestendo: Capitano Ulisse di Savinio (1990), Lulu di Wedekind (1991), Nostra Dea di Bontempelli (1992/93) e Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello (1993-94). Ultimi spettacoli significativi sono la Medea di Euripide rappresentata a Siracusa nel 1996 e Il pellicano di Strindberg nella stagione 1997-98. Può essere considerato il più eclettico dei registi italiani, capace di affrontare le commedie come i drammi con una sensibilità che spesso sfocia nel grottesco. Se da una parte la sua curiosità lo spinge a cercare sempre nuovi stimoli da autori diversissimi, dall’altra parte i suoi allestimenti hanno avuto gli esiti migliori negli spettacoli più leggeri in cui la sua dissacrante ironia ha potuto scaturire liberamente sulla scena.

Schiller

Leon Schiller debutta come critico in “The Mask”, rivista di E.G. Craig nel 1908. Nel 1913 organizza a Varsavia una mostra di pittura e bozzetti scenici. Direttore letterario e regista del Teatr Polski (1917-21), della Towarzystwo Teatrow Stolecznych (Compagnia dei Teatri della Capitale) a Varsavia (1920-21), regista dei teatri Reduta e Ateneum a Varsavia, Miejski a Lodz, dei teatri cittadini di Leopoli prima della guerra, è fatto prigioniero ad Auschwitz nel 1940 e a Murnau nel 1944. Dopo la guerra ha diretto i teatri Wojska Polskiego (dell’esercito polacco) a Lodz e Polski a Varsavia, ha fondato e diretto la rivista “Pamietnik Teatralny” (Memorie teatrali) è stato tra i fondatori dell’Istituto internazionale di teatro e ha fatto parte del comitato di redazione di “La Revue Théâtrale”. Nella sua attività è possibile distinguere un primo periodo, legato alle messe in scena dei drammi monumentali del romanticismo (Mickiewicz, Slowacki) e del modernismo polacco (Wyspianski, Micinski), nonché dei classici del repertorio internazionale (Shakespeare, Hasek), un altro, più legato all’attualità politica e sociale (Zeittheater) e un terzo incentrato sulla messa in scena di opere (Moniuszko) e sulla composizione di rappresentazioni musicali basate su testi e spartiti della letteratura popolare o antico-polacca. Definito `poeta della scena’, Schiller – che introdusse in Polonia le teorie sceniche e le tecniche di recitazione di Craig, Appia e Mejerchol’d – si è distinto per la varietà e l’espressività delle sue messe in scena, capaci di unire con armonia parola, gesto (celebre la sua direzione delle scene di massa), musica, luci e scenografia.