Ernest Hemingway

Ernest Hemingway è stato tra i romanziere più celebri del Novecento, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1954.

Ernest Hemingway è stato uno scrittore e giornalista statunitense. Romanziere tra i più celebri del Novecento, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1954, Hemingway inaugurò quella narrativa sconcertante (hard-boiled) che ha avuto tanti seguaci e imitatori. Fece parte della comunità di espatriati americani a Parigi durante gli anni 1920, conosciuta come la “Generazione perduta” e da lui stesso così chiamata nel suo libro di memorie Festa mobile. Autore del più importante romanzo sulla Prima guerra mondiale, Addio alle armi, tra le sue opere principali occorre citare anche Per chi suona la campana e Il vecchio e il mare.

Ernest Hemingway biografia: gli anni della Prima guerra mondiale

Fu una vita straordinariamente piena e avventurosa quella di Ernest Hemingway. Nato il 21 luglio 1899 a Oak Park, vicino a Chicago, ebbe un’infanzia serena, circondato dalla natura nella regione dei Grandi Laghi. Condivideva con suo padre la passione per la caccia, la pesca e la vita all’aria aperta,  esperienze che ispirarono profondamente i suoi romanzi. Fu già alle scuole elementari che, notata la sua attitudine alla scrittura, Hemingway venne spronato da alcuni insegnanti a scrivere molto, il che forgiò indelebilmente la sua nascente indole di scrittore.

Arrivò il 1917 e con quell’anno la Prima Guerra Mondiale per gli Stati Uniti d’America. Il giovane Hemingway decise di arruolarsi volontario per andare a combattere in Europa. Un difetto della vista lo tenne lontano dalla prima linea: fu invece impiegato come autista di ambulanze per la Croce Rossa Americana e inviato al fronte italiano nella città di Schio.

Agnes von Kurowsky, il primo amore di Hemingway che ispirò Addio alle armi

Il giovane Hemingway desiderava, però, assistere alla guerra da vicino. Fece domanda per essere trasferito sulla riva del Basso Piave come assistente di trincea, dove si recava quotidianamente tra le prime linee per distribuire generi di conforto ai soldati. Durante le sue mansioni fu colpito dalle schegge dell’esplosione di una bomba austriaca e venne trasferito a Milano per essere operato. Lì rimase tre mesi, durante i quali s’innamorò, ricambiato, di un’infermiera statunitense di origine tedesca, Agnes von Kurowsky, che però lo abbandonò alla fine del conflitto. Il suo rifiuto ispirerà, nel 1929, il racconto Addio alle armi.

Festa mobile: Ernest Hemingway e la Lost Generation a Parigi

Ritornato in America, Hemingway si trasferì a Toronto, città che lo introdusse al mondo del giornalismo. Rimase però molto deluso dalla società americana, che gli appariva troppo superficiale e incapace di comprendere la tragedia che aveva appena devastato l’Europa. Nel dicembre 1921 ottenne l’incarico di corrispondente e inviato speciale in Europa dal Toronto Star e decise di trasferirsi a Parigi, la capitale culturale dell’epoca. Con lui andò Hadley Richardson, pianista del Missouri con cui si era appena sposato.

In Francia la coppia frequentò la comunità di espatriati statunitensi che girava attorno a Gertrude Stein e che comprendeva i più grandi artisti del periodo: James Joyce, Ezra Pound, Francis Scott Fitzgerald, Pablo Picasso, Joan Miró. Nel suo libro di memorie Festa mobile, uscito postumo, fu Hemingway stesso a riunirli tutti sotto il nome di “Generazione perduta“.

L’inizio della carriera letteraria e il successo di Addio alle armi

A Parigi iniziò ufficialmente la carriera letteraria di Ernest Hemingway, dietro al grande sostegno di Gertrude Stein e agli insegnamenti del poeta Ezra Pound. Il suo primo romanzo, Il sole sorge ancora, gli valse un’immediata celebrità. L’opera ebbe un percorso editoriale tortuoso, durante il quale Hemingway fu aiutato da Pauline Pfeiffer, redattrice di moda di Vogue, che divenne presto la sua amante, provocando una frattura nel suo matrimonio. Nel giro di un anno, Hemingway divorziò da Richardson e sposò Pfeiffer, con cui andò a vivere a Key West, in Florida. Fu lì che iniziò a scrivere Addio alle armi, il suo romanzo più celebre.

Ernest Hemingway libri: la vita e le opere dello scrittore statunitense
Ernest Hemingway libri: la vita e le opere dello scrittore statunitense

Nel 1928, dopo la nascita del suo secondo figlio, l’autore restò profondamente segnato da un evento che lo tormenterà per il resto della sua vita: il suicidio del padre.

Secondo molti biografi fu allora che Hemingway cominciò a bere e a condurre un’esistenza ancor più spericolata. Il tema della sfida alla morte divenne una costante tanto nella sua vita, costellata di safari, corride, battute di caccia e di pesca, tanto nei romanzi parzialmente autobiografici Morte nel pomeriggio e Verdi colline dell’Africa.

La guerra di Spagna in Per chi suona la campana

Gli anni Trenta segnarono una svolta nella sua vita. Nel 1936, allo scoppio della guerra civile spagnola, lo scrittore partì per Madrid, dove lavorò come corrispondente di guerra. Questa esperienza gli fornì l’ispirazione e il materiale per il suo prossimo romanzo Per Chi Suona la Campana, ambientato durante la guerra civile spagnola e il cui protagonista, un partigiano americano combatte dalla parte dei repubblicani contro i fascisti. 

L’ultimo romanzo di Ernest Hemingway: Il vecchio e il mare

Nel 1941, quando gli Stati Uniti entrarono nella Seconda guerra mondiale, Ernest Hemingway lavorò di nuovo come corrispondente di guerra. Prese parte anche al D-Day, lo sbarco in Normandia il 6 giugno 1944, con le forze alleate e li seguì fino a Parigi, partecipando alla liberazione della città.

Dopo la guerra visse soprattutto a Cuba. Nel 1953 pubblicò Il Vecchio e il Mare che gli valse il premio Pulitzere nel 1954 ottenne il Premio Nobel per la Letteratura.

Negli ultimi anni della sua vita soffrì vari problemi di salute e depressione, temendo il declino fisico e mentale si uccide con un colpo di pistola nella sua casa in Idaho nel 1961.

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Hall

Peter Hall nutre fin da ragazzo un’innata passione per il mondo teatrale. Trasferitosi molto presto a Cambridge con la famiglia, frequenta instancabilmente il teatro, seguendo con grande entusiasmo ogni genere di manifestazione, dalla prosa ai concerti, dall’opera al balletto; approfittando di una zia, sfrutta ogni vacanza scolastica per recarsi a Londra e seguire la vita teatrale della capitale. Ottenuta una borsa di studio, H. accede all’università di Cambridge, dove consolida le sue aspirazioni artistiche cimentandosi da attore in alcuni ruoli (testi di Marlowe, Shakespeare e Shaw) e provandosi nella regia di La versione Browning di Rattigan, insieme al regista e attore John Barton. Nel 1953, terminata l’università, forma insieme al regista Peter Wood la Elizabethan Theatre Company, con cui porta in tournée testi shakespeariani curando in particolare la pronuncia elisabettiana. È dello stesso anno il suo primo incarico professionale, per la messa in scena di La lettera di W.S. Maugham al Theatre Royal di Windsor. Per tutto il 1954 è impegnato a dirigere l’Arts Theatre Club di Londra, subentrando a Alec Clunes; segue inoltre produzioni a Windsor, Worthing e all’Oxford Playhouse. Sono di questi anni, fra il 1954 e il ’55, le regie di alcuni storici debutti londinesi, tra cui la prima mondiale in lingua inglese di Aspettando Godot di Beckett, La lezione di Ionesco, Nozze di sangue di García Lorca e Il lutto si addice ad Elettra di O’Neill.

Sull’onda di tali precoci successi, nel 1956 viene invitato a Stratford-upon-Avon da Anthony Quayle e Glen Byam Shaw per curare la regia di parte delle produzioni stagionali al Shakespeare Memorial Theatre. Affermatosi con le messe in scena di Pene d’amor perdute (1956) e Cimbelino (1957), nel 1960 ottiene il posto di direttore artistico del teatro, che trasformerà in breve nella sede della prestigiosa Royal Shakespeare Company (Rsc). Delle sue produzioni per la Rsc vanno ricordate The Wars of the Roses (1963), trilogia realizzata in collaborazione con John Barton, tratta dalle tre parti dell’ Enrico VI e dal Riccardo III di Shakespeare; l’ Amleto con David Warner del 1965; le prime di alcuni lavori di Pinter ( La collezione , 1962; Ritorno a casa , 1965; Paesaggio e Silenzio , 1969). Nel 1968 lascia il suo posto alla Rsc, nelle mani di Trevor Nunn e si dedica alla libera professione, rivolgendo in particolare il suo interesse all’opera: già negli anni ’60 allestisce Mosè e Aronne di Schönberg (1965) e Il flauto magico di Mozart (1966) al Covent Garden, di cui nel 1970 diviene direttore artistico. Dal 1970 al ’73 si dedica quasi esclusivamente all’opera, lavorando anche al festival di Glyndebourne (di cui diverrà direttore artistico nel 1983, in concomitanza con il suo incarico al National Theatre), senza smettere tuttavia di collaborare con la Rsc per sporadiche messe in scena, tra cui Vecchi tempi di Pinter (1971) e Tutto finito di Albee (1972). Pur con qualche titubanza, nel 1973 affianca Laurence Olivier per succedergli, suo malgrado, alla direzione del National Theatre, incarico che gli darà l’opportunità di unire le due più importanti realtà teatrali nazionali (la Rsc e la compagnia del National) fino allora rivali, conducendole negli anni ’80 a un fecondo scambio di risorse tecniche e artistiche. Tra i suoi raggiungimenti al National, il difficile e molto atteso trasferimento nella sede a tre sale (Olivier, Lyttelton e Cottesloe) del South Bank; tra le produzioni si ricordano i successi ottenuti con Tamerlano il Grande di Marlowe (per l’inaugurazione dell’Olivier Theatre, 1976), Tradimenti di Pinter (1978), l’adattamento della Fattoria degli animali di Orwell (1984).

Peter Hall conclude il suo mandato al National nel 1988 – passando lo scettro a Richard Eyre – con un ciclo di tardi testi shakespeariani ( Il racconto d’inverno, Cimbelino e La tempesta), che porterà poi in tournée in Russia, Giappone e Grecia. Fonda quindi la Peter Hall Company, in associazione con Duncan Weldon; vi rimane fino al 1991, quando Jeffrey Archer gli offre il London Playhouse come sede stabile per la sua compagnia: occasione di breve durata, che lo vede peregrinare in seguito da un teatro all’altro, ritrovandosi nel 1997 all’Old Vic, prima sede del National Theatre negli anni ’70. Tra le produzioni della compagnia non si possono dimenticare l’allestimento inaugurale (1988) di Orpheus Descending di T. Williams con Vanessa Redgrave, Il mercante di Venezia con Dustin Hoffman (1989) e L’anitra selvatica di Ibsen (1990). Nel 1992 torna a lavorare alla Rsc mettendo in scena Tutto è bene quel che finisce bene allo Swan Theatre di Stratford (aperto nel 1986) e The Gift of the Gorgon di Peter Shaffer (Barbican Pit, 1993).

Hansberry

Si rivelò con Un grappolo di sole (A Raisin in the Sun, 1959), prima commedia di un’autrice nera rappresentata con successo a Broadway con la regia di un nero. Vi si raccontava, in una struttura drammaturgica convenzionale, di una famiglia della piccola borghesia di colore che andava ad abitare in un quartiere bianco, e dei problemi personali e sociali che questa scelta comportava. Se ne apprezzò soprattutto la sincerità e l’impegno, qualità che si ritrovarono nel successivo L’insegna nella vetrina di Sidney Brustein (The Sign in Sidney Brustein’s Window, 1964), su un gruppo di intellettuali bianchi del Greenwich Village.

Hamlisch

Precocemente portato per la musica, Marvin Hamlisch impara bambino a suonare il pianoforte e a sette anni diventa il più giovane studente ammesso alla Juilliard School. Scrive in quegli anni una canzone (“Travelin’ Man”) poi incisa da Liza Minnelli – amica di gioventù – per il suo album Liza, Liza . H. prosegue gli studi al Queen’s College, mentre è pianista, accompagnatore e arrangiatore in concerti e tournée teatrali per la Minnelli, nonché per Ann-Margret, Joel Grey, Groucho Marx (col quale incide il disco An Evening with Groucho, registrato alla Carnegie Hall). Compone canzoni: nel 1965 “Sunshine, Lollipops and Rainbow”, eseguita da Lesley Gore, si piazza tra gli hit dell’anno; nel 1966 un altro suo motivo è incluso nel film Sky Party di Alan Rafkin. Nel 1968 comincia a comporre per il cinema – con Un uomo a nudo (The Swimmer) di Frank Perry – e da allora, influenzato dal jazz e ricorrendo per lo più a piccole formazioni, lavora sistematicamente per Hollywood, componendo canzoni e partiture per un gran numero di film. Tra i suoi esiti più notevoli quelli, spiritosi e `mimetici’, per due film di Woody Allen, Prendi i soldi e scappa (1969) e Il dittatore dello stato libero di Bananas (1971), e i suoi interventi per il genere commedia. H. punteggia le vicende con canzoni sofisticate e motivi arguti, ma anche con più pungenti definizioni per storie amare sotto l’aspetto leggero: è il caso di Salvate la tigre di John G. Avildsen (1973), di Come eravamo di Sydney Pollack (1973: Oscar per il miglior commento musicale e per la migliore canzone, “The Way We Were”), di Il prigioniero della Seconda Strada di Melvin Frank (1975).

Tipico della sua personalità l’ondeggiare fra queste due dimensioni: mentre decisamente brillanti sono i suoi arrangiamenti della musica di Scott Joplin per La stangata di George Roy Hill (1973), è capace di musica dolorosamente impegnata in film come La scelta di Sophie di Alan J. Pakula (1982) e Città amara – Fat City di John Huston (1972). Notevoli i suoi adattamenti di Pachelbel, compositore barocco tedesco, in Gente comune di Robert Redford (1980), i suoi richiami a Debussy in Paura d’amare di Garry Marshall (1991), il suo lavoro (in collaborazione con Billy May) per il musical `triste’ Pennies From Heaven di Herbert Ross (1981). Dal 1975, intanto, H. si dedica anche al teatro musicale; il suo debutto in questo campo è il musical A Chorus Line , scritto e diretto da Michael Bennett: racconta dall’interno i sacrifici, le gioie, i piccoli drammi di un gruppo di cantanti-ballerini selezionati per uno spettacolo di rivista. Rappresentato nel 1975 allo Schubert Theatre di New York con Kelly Bishop e Pamela Blair, raggiunge le 6.137 repliche; inoltre riceve il premio Pulitzer, il Tony Award e il Premio dei critici drammatici di New York. Il cd con la colonna sonora dello spettacolo vende una quantità enorme di copie. A Chorus Line è rappresentato con successo anche in Italia, e conosce la via dello schermo nel 1985 ad opera di Richard Attenborough.

Il secondo exploit di Broadway è They’re Playing Our Song (1979): libretto di Neil Simon, versi di Carole Bayer Sager, interpreti Robert Klein e Lucie Arnaz. Mille repliche a New York, più le recite londinesi; il musical, che racconta la burrascosa relazione fra due autori di canzoni, arriva anche in Italia col titolo Stanno suonando la nostra canzone . Del 1983 è Jean Seberg (versi di Christopher Adler), ispirato alla vita tormentata dell’attrice americana suicidatasi quattro anni prima, rappresentato solo a Londra; del 1987 è Smile (versi di Howard Ashman) che si risolve in un fiasco. Esito impari alle attese ha anche The Goodbye Girl (testo di Neil Simon), rappresentato a Broadway nel 1993, per il quale H. è affiancato da un altro compositore, David Zippel. H. si occupa anche di televisione e ha scritto un’autobiografia intitolata The Way I Were . La sua produzione è vulcanica e interessa tutti i generi musicali, compresa la composizione di brani da concerto (come The Anatomy of Peace , da lui stesso diretto in Europa a capo della London Symphony Orchestra). La sua vena è copiosa ed elegante, capace di melodie sentimentali e salottiere, ma anche di qualche zampata drammatica; in ogni caso, nel campo della musica teatrale non ha più saputo eguagliare lo straordinario successo del suo debutto.

Hopkins

Anthony Philip Hopkins ha iniziato la sua carriera alla Royal Academy of Dramatic Art (Rada), passando successivamente al National Theatre sotto la direzione di L. Olivier. Attore di forte talento, spesso paragonato a R. Burton (pure del Galles), ha interpretato numerosissimi ruoli, da re Claudio nell’ Amleto (1969) a Andrej nelle Tre sorelle (1969), ad Astrov in uno Zio Vanja (1970) per la televisione, da Edmund Kean in una serie tv (1978) a Otello per la Bbc (1981). È stato premiato per la parte di B. Hauptmann in Il caso del rapimento Lindbergh (The Lindbergh Kidnapping Case, 1976) e di Hitler in Bunker (The Bunker, 1981), entrambi per la televisione, e ha ricevuto l’Oscar come miglior attore protagonista per Il silenzio degli innocenti 1991).

Horovitz

Dopo la laurea a Harvard Israel Arthur Horowitz si trasferisce in Gran Bretagna, dove studia alla Royal Academy of Dramatic Arts (1961-63) e collabora con la Royal Shakespeare Company (1965); tornato negli Usa, diviene presto un fecondo autore di copioni per i teatri di Off-Off Broadway (tra gli altri, The Line al Café La Mama, 1967). Si rivela nel 1968 con l’atto unico Gli indiani vogliono il Bronx (The Indian Wants the Bronx), un thriller psicologico nel quale due giovani teppisti torturano un adulto emigrato dall’India, interpretato al debutto newyorkese da Al Pacino. I temi della violenza urbana e di ciò che di torbido si nasconde sotto la rispettabilità della classe media informano anche le sue opere successive (fra le quali il ciclo delle Wakefield Plays, 1974-79), quasi sempre di carattere realistico, ma con occasionali puntate verso l’assurdo. La prolifica attività di drammaturgo continua per tutti gli anni ’80 con testi aggressivi e di grande impatto (The Good Parts, 1982; Firebird at Dogtown, 1987): emerge per forza espressiva The Widow’s Blind Date , in cui si compie la vendetta di una donna stuprata.

Howard

Stainer; Londra 1893 – Golfo di Biscaglia 1943), attore e regista inglese. Interprete perfetto in parti che non richiedano né particolari doti fisiche né uno speciale magnetismo, deve la sua fama a ruoli tipici del repertorio romantico: il poeta idealista di La foresta pietrificata (The Petrified Forest, 1935), l’aristocratico inglese che salva la vita ad altri nobili durante il Terrore de La primula rossa (The Scarlet Pimper, 1934), lo studente sedotto dalla cameriera di Schiavo d’amore (Of Human Bondage, 1934), il mite Ashley di Via col vento (Gone with the Wind, 1939). Attore capace di penetrare nella psicologia dei personaggi, H. è stato anche regista di sicuro mestiere in molte opere da lui interpretate. Tra gli esempi di questo doppio ruolo, il celebre Amleto del 1936 e, per il cinema, Pigmalione (Pygmalion, 1938, dalla commedia di G.B. Shaw; regia in collaborazione con A. Asquith), La primula Smith (Pimpernel Smith, 1941), Il primo dei pochi (The First of the Few, 1942). La morte tragica e prematura di H.(il suo aereo venne abbattuto dai tedeschi nel 1943) ha coronato la sua fama di un alone mitico, degno delle migliori interpretazioni di Londra, Broadway e Hollywood.

Hynd

Ronald Hynd studia alla scuola Rambert e danza con l’omonimo balletto dal 1949 al 1952; passa quindi al Sadler’s Wells, poi Royal Ballet, dove rimane fino al 1970. Interpreta numerosi ruoli principali con le due compagnie. Dopo aver creato una versione del Baiser de la fée per il Balletto nazionale olandese, lavora intensamente con il London Festival Ballet, dove allestisce Dvorcircák Variations e The Sanguine Fan (musica di Elgar), due tra le sue più importanti creazioni. La sua versione dello Schiaccianoci , come quella della Vedova allegra , è entrata nel repertorio di diverse compagnie. Crea Le Papillon (musica di Offenbach) per lo Houston Ballet. È stato direttore del balletto dell’Opera di stato bavarese dal 1970 al 1973.

Holz

Lavorò dapprima come giornalista e poi come scrittore indipendente, e collaborò con la rivista “Scena libera” (Freie Bühne). Annoverato fra i promotori del naturalismo, esercitò una significativa influenza sullo stesso G. Hauptmann; amico di Johannes Schlaf, scrisse con lui il dramma La famiglia Selicke (Die Familie Selicke, 1890). Fra le sue opere vanno ricordate Sozialaristokraten (1896), Traumulus (1904; in collaborazione con O. Jerschke), Eclissi di sole (Sonnenfinsternis, 1908) e Ignorabimus (1913), da cui Ronconi ha tratto uno dei suoi spettacoli più ambiziosi e importanti (Prato 1986).

happening

Nel 1959 l’artista americano Allan Kaprow usa per la prima volta il termine happening in un articolo apparso sulla rivista letteraria “The Antologist”, proponendolo come forma d’arte nuova affrancata da ogni legame con la tradizione. Successivamente, nell’ottobre dello stesso anno, la parola compare nel titolo di un’opera dello stesso Kaprow, 18 Happening in 6 parts, presentata alla Reuben Gallery di New York. Il termine entra così nel linguaggio comune, a indicare non una forma d’arte chiaramente individuata, bensì alcune esperienze caratterizzate da una pluralità di mezzi d’espressione artistici. Oltre Kaprow, a praticare l’h. sono gli artisti C. Oldebur, R. Grooms, J. Dine e R. Whitman; l’uso talvolta generico del termine creerà equivoci, a causa di associazioni con esperienze molto diverse tra loro, spesso di tipo comportamentale. L’happening è un evento che immette lo spettatore in contesti imprevedibili: immagini statiche o creazioni ambientali, altre volte pièce elaborate con una struttura vicina alla rappresentazione teatrale. Dalla quale, almeno intesa nel senso tradizionale, l’happening si distingue, in particolar modo, per l’assenza di un rigore temporale nello svolgimento delle azioni e per la negazione del confine tra platea e scena, e ancora per l’impossibilità di percepire, distinguendole, finzione e realtà.

Denominatore comune delle azioni è la simultaneità degli elementi in gioco, quali gli inserti sonori, spesso eseguiti dal vivo, un apparato gestuale libero da codici scolastici e la costruzione in diretta di scenografie dal segno evidentemente pittorico: generalmente presentati in una struttura a compartimenti, nei quali appunto si svolgono azioni che decostruiscono lo spazio e spostano la percezione dello spettatore, chiamato ad agire. Nell’happening dunque le azioni possono non avere rapporto di contiguità col suono (che ha un ruolo dominante), i rumori, i gesti e le declamazioni dell’attore (la parola non è recitata e l’attore non interpreta una parte, ma si configura come elemento scenico fra gli altri elementi), che avvengono seguendo un procedimento di creazione dove un certo margine è lasciato al caso, su una traccia disegnata dall’artista che il più delle volte partecipa direttamente all’azione. In ciò che è affidato o lasciato alla casualità rientrano quelle interferenze esterne determinate dalle peculiarità del luogo che ospita l’happening e dalle reazioni del pubblico. Quest’ultimo si trasforma da puro spettatore a oggetto dell’azione, fino a condividere particolari comportamenti con l’artista. Un ponte ideale lega l’h. ad alcune rappresentazioni dadaiste e futuriste (bruitismo), all’opera di Kurt Schwitters, alle esposizioni surrealiste e al `teatro dell’assurdo’, dove la linea narrativa, il personaggio, la trama e il dialogo perdono di importanza a favore della percezione globale dell’immagine. Una concezione estetica che si ritrova negli interventi di G. Matthieu nella Serata di poesia (Parigi 1950) e in Concerted action di J. Cage (1952), compositore d’avanguardia e direttore del Merce Cunningham Dance Company, che attraverso scritti e conferenze ha costituito la spina dorsale del movimento.

Hoyos

Cristina Hoyos si dedica alla danza spagnola fin da giovanissima, debuttando nell’ambito della Fiera mondiale di New York. Nel 1969 entra a far parte della compagnia di Antonio Gades; con lui nel 1974 interpreta la parte della protagonista in Bodas de sangre , ruolo che riprende anche nella versione cinematografica firmata da Carlos Saura nel 1978. Il sodalizio con Gades si consolida: nel 1978 diventa prima ballerina del Ballet Nacional Español, da lui diretto, e nel 1981 lo segue nella fondazione della nuova compagnia, Ballet Antonio Gades. Partecipa alla realizzazione del film Carmen Story (1983; regia di Carlos Saura, coreografie di Antonio Gades) e ne interpreta il ruolo principale nella versione teatrale (1984); è poi protagonista dell’ultimo film della trilogia spagnola di Carlos Saura, El amor brujo (1985). Lasciata la compagnia di Gades, nel 1988, dopo aver girato alcuni film ( La balena bianca , 1988; Montoyas y Tarantos , 1989) fonda nel 1989 il Ballet Cristina Hoyos, con il quale crea e interpreta numerosi spettacoli presentati nei maggiori teatri europei, da Sueños flamencos (1990) a Yerma ( 1992), Lo Flamenco (1992), Cuadro Flamenco (1995), Arsa y Toma (1996). Danzatrice di notevole intensità interpretativa, dalla personalità teatrale magnetica, arcana e sensuale, è considerata oggi tra le più significative presenze del teatro di danza spagnolo.

Horne

Lena Horne era figlia di un’attrice, e quindi fatalmente avviata a quella carriera. Ha debuttato come chorus girl al glorioso Cotton Club di Harlem, partecipando a spettacoli in cui si esibivano Duke Ellington, Cab Calloway, Billie Holiday e Harold Arlen nel 1933. Nel ’34 è a Broadway in Dance With Your God , un piccolo ruolo. Dal 1935 al ’36 è vocalist in un’orchestra tutta nera, la Noble Sissle Society Orchestra; poi passerà alla Charlie Barnet Band, con la quale ha dei numeri di canto tutti suoi. Durante le tournée in certi stati del Sud, Barnet giudica più prudente non far scendere la sua cantante dal bus dell’orchestra. 1938: prima apparizione in un film, The Duke Is Tops . Di nuovo a Broadway nel 1939 per una sfortunata edizione della rivista Blackbirds (of 1939) : solo nove repliche. Nel 1940 comincia la sua fortunata carriera nel circuito dei night-club e l’anno seguente, a Hollywood (Little Troc Club), viene notata dal supervisore musicale della Metro-Goldwyn-Mayer e presentata a Arthur Freed, specialista della casa per il genere musical: debutto nel 1942 in Panama Hattie (canta “Just One of Those Things” di Cole Porter).

Da quell’anno fino al 1950 Lena Horne sarà spesso presente nei musical della Mgm, ma le sue partecipazioni e i suoi numeri – in genere di gran qualità e molto curati – venivano inseriti nel montaggio in modo da poter essere tagliati in quegli stati del Sud che continuavano a essere insopportabilmente razzisti. Nel 1943, invece, Lena Horne è tra i protagonisti di due musical all negro , uno più straordinario dell’altro: Cabin in the Sky e Stormy Weather. Durante la seconda guerra mondiale ha tenuto molti recital per i soldati al fronte, ma rifiutava di cantare se gli ufficiali non permettevano alle truppe di colore di assistere allo spettacolo. Negli anni ’50 H. finisce nelle liste nere e non trova lavoro né a Hollywood né a Broadway, sicché torna con continuato successo ai suoi concerti nei night-club. Nel 1957 ottiene il suo primo e unico ruolo di star a Broadway in Jamaica , musica di Harold Arlen: 558 repliche. Ancora un paio di film, ultimo quel The Wiz (1978) che è il rifacimento all negro di Il mago di Oz. Nel maggio del 1981 è a Broadway, sola in scena, con un grande show autobiografico intitolato Lena Horne: The Lady and Her Music : diciotto mesi di repliche a teatro esaurito; sarà un gran successo anche a Londra nel 1984. Nel 1993, dopo molti anni di silenzio, Lena Horne ha di nuovo cantato in pubblico all’Us Jvc Jazz Festival. La sua discografia contiene infiniti successi, con le canzoni di tutti i grandi compositori che ha interpretato, nonché un introvabile Porgy and Bess con Harry Belafonte.

Houston Ballet

Houston Ballet nasce dal seno della Ballet Academy di Houston, finanziata dalla Houston Ballet Foundation e diretta da Tatiana Semenova (1955). Nel 1967 Nina Popova allestisce Giselle , riscuotendo tanto successo che la Fondazione appoggia la creazione di una nuova compagnia, sotto la direzione della stessa Popova. Il gruppo debutta nel 1968 con il nome di Houston Ballet, ampliando poi il corpo di ballo e il repertorio con titoli di Balanchine, Dolin, Lichine, Frederic Franklin, John Taras, Ronald Hynd e James Clouser, coreografo stabile dal 1974 e direttore artistico fino al 1976, quando gli è succeduto Ben Stevenson.

Hagenbeck

La tradizione familiare dell’ammaestramento di animali selvatici iniziò quando il padre, Gottfried Klaus (1810-1887), mercante di pesce, ricevette sei otarie a saldo di un vecchio debito. Gli Hagenbeck divennero mercanti di animali esotici, ammaestratori e proprietari di zoo e circhi. Karl Hagenbeck fu il più importante fornitore dei serragli dei circhi europei e americani nel secolo scorso; non solo, si può definire il fondatore dei moderni metodi di ammaestramento. Il suo sistema con premi e ricompense – un metodo molto più lento, ma che porta a risultati infinitamente migliori – rivoluzionò la disciplina, eliminando del tutto la brutalità. Karl Hagenbeck creò la gabbia circolare, dove gli animali non erano più solo esposti, ma potevano mostrare le loro abilità naturali portate ai massimi livelli. Fu un innovatore anche nella concezione architettonica degli zoo: il suo parco Stellingen ad Amburgo fu costruito con sistemi assolutamente inediti di stabulazione, in ambienti prossimi a quelli originari, senza gabbie o recinti ma con l’utilizzo di ampi fossati. Creò un proprio circo che, in società anche con altri impresari, girò l’Europa, le Americhe e persino l’Estremo Oriente. I figli Lorenz (1882-1945) e Heinrich (1875-1945) tentarono senza successo di proseguire il lavoro del padre; il fratello, Wilhelm, con i figli Karl Friedrich e Willy, diresse altri circhi, conquistando una certa notorietà come ammaestratore di orsi.

Holm

Hanya Holm ha studiato all’Istituto Dalcroze di Hellerau e dal 1921 con Mary Wigman, per la quale diventa interprete (Feier, 1921; Totenmal, 1930) e assistente coreografica, oltre che insegnante nel suo Istituto di Dresda. Nel 1931 è invitata a New York per aprire la sezione americana della Scuola Wigman che, sotto il nuovo nome di Hanya Holm Studio (1936), resta attiva fino al 1967, diventando ben presto uno dei maggiori centri newyorchesi per la danza moderna. Ha insegnato inoltre ai corsi estivi del Bennington College (1934-39) e dell’Università del Colorado (1943-83). Fondata la sua compagnia nel 1936, firma numerose coreografie, influenzate dalle tematiche della danza moderna americana di quel periodo e fortemente orientate verso la critica sociale ( Trend , musica di E. Varèse, 1937; Metropolitan Daily, musica di G. Tucker, 1938; Tragic Exodus , musica di V. Fine, 1939), ma grande popolarità le viene dall’allestimento delle danze di musical come Kiss me, Kate (1948), My Fair Lady (1956), Camelot (1960). Personaggio di riferimento per la prima generazione della `modern dance’ americana, ha saputo influenzare la formazione di danzatori e coreografi tra i più importanti degli anni ’50 e ’60, come Valerie Bettis, Glen Tetley, Alwin Nikolais. Il suo metodo didattico scaturiva dalla scuola moderna centroeuropea ed era basato non su una tecnica prefissata, bensì sull’incoraggiamento alla ricerca espressiva personale.

Handke

Dopo gli studi di legge a Graz, dal 1966 Peter Handke vive e lavora come scrittore indipendente a Düsseldorf, Berlino e Parigi e, dal 1979, a Salisburgo. Ha vinto diversi premi letterari, tra cui il premio Büchner nel 1973 e il Grillparzer nel ’91. Sin dai primi lavori H. propone una critica del linguaggio che è allo stesso tempo un’analisi critica della società. Scrive per il teatro senza interruzione fino al 1973: fra i primi testi Insulti al pubblico (Publikumsbeschimpfung, 1966). Quindi abbandona la scrittura drammatica, per tornarvi solo nel 1982 con Attraverso i villaggi (Über die Dörfer), per W. Wenders; nel 1986 viene presentata una sua traduzione del Prometeo incatenato al festival di Salisburgo. Nel suo testo teorico, Sono un abitante della torre d’avorio , Peter Handke dichiara di non aver mai voluto scrivere per un teatro che, così come è comunemente inteso (anche nel caso dell’opera di Brecht e di Beckett), resta una reliquia del passato.

Se la letteratura, anche quella teatrale, è fatta con la lingua e non con gli oggetti che questa descrive, la lingua del realismo non serve a svelare la realtà, bensì a occultarla. Pertanto, reinventare il teatro significa anzitutto partire dalla funzione del linguaggio: rifiutare cioè di raccontare una storia, di mettere in scena la favola. La pupilla vuol essere tutore (Das Mündel will Vormund sein, 1969) è una pièce muta, un atto privo di dialoghi e parole, che ha come intento quello di provocare una riflessione su cosa significhi veramente parlare di fronte a un pubblico. Gli attori fanno del teatro perché parlano su di una scena: è questo il gioco illusionistico del teatro? Cosa significa parlare? Il teatro di H. pone tali domande e tenta di trovare delle risposte. In Kaspar (1967) H. racconta la sofferenza che comporta il dover reinventare la parola: la lingua è una tortura, l’atto del parlare è legato alla condizione di colpa, poiché non esiste la parola innocente. Con Cavalcata sul lago di Costanza (1970) l’autore si spinge ancora oltre: gli attori non interpretano dei personaggi, ma sono coinvolti in una lunga conversazione, alla ricerca, attraverso lo strumento della lingua, di quello che sono e di ciò di cui è fatta la loro vita. Il loro sforzo risulterà vano: di fronte a una donna muta comprenderanno di essere tutti morti.

In Esseri irragionevoli in via di estinzione (Die Unvernünftigen sterben aus, 1973) la ricerca continua, ma questa volta nessuno, parlando, riesce a concentrarsi su di un tema, su di un soggetto che sempre sfugge, sempre svanisce; e la parola, nello spazio teatrale, deve rendere visibile ciò che si è perduto, riportare ciò che è stato dimenticato nel quotidiano. Tale idea viene approfondita in Attraverso i villaggi , in cui il testo teatrale è inteso come `poema drammatico’: voltando le spalle a tutto il teatro del quotidiano, H. dà agli operai del cantiere di un villaggio la luce di una parola poetica che inventa un altro modo di dire e di sentire, un altro modo di vivere. Tra i testi più recenti è da ricordare Il gioco delle domande o il viaggio verso laTerra Sonora (Das Spiel vom Fragen oder die Reise zum Sonoren Land, 1989).

Huppert

Interprete soprattutto cinematografica (ma nel suo carnet ha anche esperienze teatrali), Isabelle Huppert ha sempre affrontato i suoi personaggi con uno slancio e una dedizione assoluti, attraverso una recitazione in grado di prosciugare ogni residuo d’inessenziale. Esordisce al cinema in I primi turbamenti (Faustine et le bel été, 1971) di N. Companeez, per poi lavorare con registi affermati in tutta Europa e negli Usa. Tra i suoi film ricordiamo: Operazione Rosebud (1974) di O. Preminger, I cancelli del cielo (1980) di M. Cimino, Si salvi chi può – La vita (1980) di J.-L. Godard e Il buio nella mente (1995) di C. Chabrol. A teatro ha recitato in Con l’amore non si scherza di De Musset (1978, regia di Caroline Huppert), quindi in Un mese in campagna di Turgenev (1989, regia di B. Murat). Nel 1990 interpreta Isabella in Misura per misura di Shakespeare (regia di P. Zadek) e in seguito, nel 1992, è la protagonista nell’allestimento di Jeanne d’Arc au bûcher di Claudel-Honegger (Opéra-Bastille, regia di C. Régy). Più di recente è apparsa in Orlando , lo spettacolo di Bob Wilson tratto da Virginia Woolf, nella produzione del Théâtre Odéon (1993) presentata anche al Lirico di Milano.

hip hop

Nasce come forma spontanea di cultura di strada, nella cosiddetta Zulu Nation degli Afrika Bambaata nel Bronx (1975); si diffonde poi in Europa, particolarmente in Francia, importata dal dj Sidney all’inizio degli anni ’80.

Harrison

Rex Harrison ha avuto una carriera lunghissima, estremamente variegata e densa di successi. Ha debuttato in teatro a Liverpool nel 1924 ed è arrivato a Londra, nel West End, il 26 novembre del 1930 con Getting George Married di F. Kilpatrick. In quell’anno gira il suo primo film, in Inghilterra; proseguirà una luminosa carriera cinematografica, interrotta solo dalla guerra mondiale, di qua e di là dell’Atlantico, fino al 1979. Nel 1936 è per la prima volta a Broadway con Sweet Aloes ; nello stesso anno ottiene il suo primo grande successo negli Usa con Scuola di perfezionamento (French without Tears) di Terence Rattigan. Nel 1948 è Enrico VIII in Anna dei mille giorni (Anne of the Thousand Days) di Maxwell Anderson; nel 1950 è protagonista, prima a Broadway e poi a Londra, di Cocktail Party di T.S. Eliot. Nel 1952 Venus Observed di Christopher Fry, mentre nel 1953 è regista e attore in The Love of Four Colonels di Peter Ustinov a Broadway, e nel ’54 a Londra protagonista e regista di Bell, Book and Candle di John Van Druten; nel ’55, sempre a Londra, firma la regia di Nina di André Roussin. Nel 1956 H. incontra il ruolo della sua vita: Henry Higgins in My Fair Lady , tratta da Pigmalione di G.B. Shaw. My Fair Lady avrà 2.717 repliche a New York, 2.218 repliche a Londra, infinite edizioni e versioni discografiche; ne sarà tratto un film, sempre con Rex Harrison, premiato con l’Oscar nel 1964. A parte My Fair Lady, l’unico altro rapporto di H. con il musical sarà un bizzarro film, Doctor Dolittle (1967): uno dei più costosi disastri cinematografici. Negli anni ’70 e ’80 pochi film, ma un’intensa attività teatrale tra Broadway, il West End e tournée negli Usa: premiato a Londra per un Platonov di Cechov, protagonista a Londra e poi a New York di Casa Cuorinfranto di Shaw, nella primavera 1982 è a Broadway protagonista, insieme a Glynis Johns e Stewart Granger, di The Circle di W.S. Maugham.

Hernández

È tra le voci più importanti della lirica moderna del suo Paese. Di umili origini e autodidatta, divenuto comunista partecipò a Mosca al secondo congresso degli scrittori (1937). Arrestato nel 1939, alla fine della guerra civile, fu condannato a morte e successivamente graziato. Morì nel carcere di Alicante. Esordì come autore drammatico con un auto sacramental in versi, a cui seguirono due drammi sociali, I figli della pietra (Los hijos de la piedra, 1935) e Il bracciante migliore (El labrador de más aire, 1937), e un testo sulla resistenza di Madrid, Pastore della morte (Pastor de la muerte, 1937), oltre a pezzi brevi di propaganda destinati ai combattenti.

Hamel

Formatasi presso numerose scuole di danza (Copenaghen, Giava, L’Aja, Caracas e Toronto), entra poi a far parte del National Ballet of Canada, dove diventa solista (1963). Vincitrice della medaglia d’oro al concorso di Varna (1966), danza anche con il City Center Joffrey Ballet (1970) e l’American Ballet Theatre (1971), dove è nominata prima ballerina (1973). Si è esibita nella maratona di danza del festival di Spoleto nel 1980. Chiamata a rimontare alcuni balletti di Balanchine, collabora con il New York City Ballet come maître de ballet.

Hilar

H. Bakule; Sudomerice u Bechyne 1885 – Praga 1935), regista ceco. Dopo il debutto nel 1911, fu segretario e direttore artistico del Teatro comunale di Praga e, dal 1921, regista e drammaturgo presso il Teatro nazionale. A quest’ultimo periodo appartengono alcune delle sue migliori regie, come Romeo e Giulietta di Shakespeare (1922) – in cui alla forte passionalità della recitazione dei protagonisti si contrappongono i movimenti stilizzati, da marionette, dei personaggi secondari – e gli ultimi due lavori, Edipo re di Sofocle (1932) e Il lutto si addice ad Elettra di O’Neill (1934). Dopo l’esordio, che richiamava lo stile di M. Reinhardt, H. si avvicinò all’espressionismo, esasperando la corrispondenza fra articolazione spaziale della scena e dizione delle battute. Regista dispotico, fautore della supremazia assoluta di questo ruolo sugli altri, fu spesso accusato di «eclettismo volubile» (Honzl) a causa della prevalenza della componente spettacolare su quella poetica nelle sue scelte registiche. Fra coloro che si ispirarono al suo lavoro vi sono alcuni dei registi cechi più famosi del periodo, come Frejka e Burian.

Hayes

Brown; Nyack, New York, 1900 – New York 1993), attrice statunitense. Debuttò a Broadway a nove anni e continuò a recitare fin oltre i settanta, generalmente considerata una delle `first ladies’ della scena statunitense (dal 1955 un teatro di New York porta il suo nome). Piccola, non bella, ma dotata di grande comunicativa, si fece apprezzare, più che nei ruoli shakespeariani, in efficienti commedie di consumo come Coquette di G. Abbott, Ciò che ogni donna sa di J.M. Barrie e Mrs McThing di M. Chase (ma fu anche, a Londra, la protagonista di Zoo di vetro di T. Williams), e in copioni che le diedero modo di impersonare donne famose, come Maria Stuarda, la regina Vittoria e Harriet Beecher Stowe.

Hašek

Intellettuale bohémien, letterato anarchico, assiduo frequentatore delle osterie praghesi, trascorse gran parte della sua vita avventurosa vagabondando per la Boemia e l’Ungheria. Tra il 1910 e il 1914 si guadagnò da vivere come cabarettista improvvisatore, nelle bettole prima e più tardi nel cabaret praghese Cerevná Sedna. Durante la prima guerra mondiale fu soldato sul fronte austro-russo; fatto prigioniero, dopo la rivoluzione sovietica divenne commissario politico. Nel 1921 scrisse due commedie burlesche, Il ministro e il suo bambino , proibita dalla censura, e Da Praga a Bratislava in 365 giorni . L’opera per cui H. viene soprattutto ricordato è il romanzo Le avventure del buon soldato Švejk durante la guerra mondiale (1920-23); al testo incompiuto il giornalista Karel Vanek (1887-1933) aggiunse con poca fortuna una quinta e una sesta parte. Da Le avventure del buon soldato Švejk furono tratte diverse versioni teatrali: da ricordare quella di Max Brod e Hans Reimann, rappresentata a Berlino nel 1927 per la regia di E. Piscator (con maschere e fantocci creati da Grosz), e quella di Brecht (1943-44), ambientata durante la seconda guerra mondiale. Švejk rappresenta un furbo-sciocco che riesce a sopravvivere nelle retrovie del fronte grazie alla sua saggezza popolare e che, con la sua ostentata ubbidienza, mette in ridicolo il macchinoso sistema dell’esercito asburgico. Con una vena di umorismo tragico, la storia è una chiara condanna del militarismo e della guerra.

Houdini

Grande uomo di spettacolo, Harry Houdini è considerato il più celebre illusionista di tutti i tempi: specializzato nell’escapatologia, la capacità di liberarsi da qualsiasi manetta o uscire da qualsiasi cassa, baule o cella. Uno dei dieci figli di un rabbino ungherese emigrato negli Usa, H. è sin da giovanissimo appassionato praticante di attività sportive che fortificano il suo fisico. Debutta a diciannove anni, assieme a un partner, all’Esposizione colombiana di Chicago col nome The Brothers Houdini. Il nomignolo gli è ispirato da Eugene Robert-Houdin (1805-1871), celebre illusionista francese. Nel 1894 sposa Wilhelmina Beatrice Rahner, detta Bess, componente di una piccola compagnia teatrale itinerante, che diventa sua partner e compagna di tutta la vita. Nel 1895 riscuote i primi timidi successi riproponendo il vecchio trucco della `metamorfosi’: Bess viene chiusa ammanettata dentro un baule, sul quale viene sollevato un telo nero che, immediatamente abbassato, rivela l’artista libera e Harry Houdini incatenato al suo posto. Dopo una mezza dozzina d’anni in giro per piccoli circhi e side show , durante i quali frequenta altri personaggi destinati a fama duratura come i Keaton, nell’estate del 1899 Harry Houdini è scoperto da Martin Beck, uno dei più importanti agenti del mondo del vaudeville.

La sua carriera ha così un’impennata, che lo porta in un anno a essere considerato una stella di primo piano dell’ entertainment internazionale. Harry Houdini, dotato di notevole personalità e carisma scenico, comprende che deve trovare una strada per distinguersi nell’affollato panorama dei circuiti di varietà. Sceglie l’escapatologia e comincia a liberarsi da manette e camicie di forza portate dai componenti del pubblico. La grande notorietà arriva proprio all’alba del secolo, quando, il 5 aprile del 1900, nella prigione di Chicago, si fa perquisire e rinchiudere in una cella, dalla quale esce tre minuti dopo; la dimostrazione si ripete quasi a ogni città visitata. Harry Houdini ottiene così un enorme `ritorno’ pubblicitario: i suoi compensi crescono a dismisura, il suo nome diventa il primo in cartellone, i giornali lo intervistano e, da grande egocentrico e abile promotore di se stesso, modifica ad hoc il proprio passato. Nello stesso anno il primo tour europeo, che parte dall’Alhambra di Londra; in Inghilterra Harry Houdini fugge da celle che avevano trattenuto celebri criminali condannati a morte. Nel settembre del 1900, a Dresda, la polizia tedesca lo accusa di frode e lo denuncia. Inizia un processo che si conclude con la vittoria di Harry Houdini, il quale rivela, ma solo ai giudici, alcuni dei suoi trucchi di scena. In Germania viene chiamato `simbolo della libertà’ e `il Napoleone della réclame’.

Nel 1903 in Russia, nelle prigioni Butirskaja, viene legato e ammanettato dentro un carro destinato ai deportati in Siberia, dal quale esce in ventotto minuti. Il pubblico di ogni Paese è conquistato dalla miscela di sfida alle autorità costituite, mito del self-made man , illusionismo e culto del fisico e del bizzarro, oltre che dal fascino dell’assoluta segretezza delle sue tecniche. Nel 1905 torna negli Usa, dove firma un contratto di tre anni con il più grande circuito di teatri di varietà dell’epoca, il Keith-Albee. Alla ricerca di nuovi trucchi e trovate pubblicitarie, dopo lunghe prove per nuotare e resistere nell’acqua gelida, nel 1907 inizia a gettarsi nei fiumi dai ponti, ammanettato. Al primo lancio, il 6 maggio a Rochester (New York), assistono oltre diecimila spettatori. Da allora si getta in pratica in tutti i fiumi d’America, con incatenamenti che diventano sempre più complicati e spettacolari, fino a farsi rinchiudere in una cassa immersa nei corsi d’acqua. Lancia anche le `open challenges’, sfide aperte nelle quali invita gli spettatori a presentarsi con oggetti da dentro i quali prova a liberarsi. Con questo stratagemma riesce in realtà a farsi sponsorizzare da ditte che gli presentano oggetti di ogni tipo, come enormi palloni da rugby o gigantesche buste da lettera. Dimostra anche un interesse per la storia della magia, e comincia ad ammassare libri e altro materiale setacciando negozi di antiquariato. Scrive articoli e volumi di narrativa e saggistica; nel 1908 pubblica The Unmasking of Robert-Houdin , una storia della magia nella quale cerca di sconfessare il celebre illusionista dal quale ha preso il nome.

Appassionato pioniere dell’aeronautica, il 18 marzo 1910, durante una tournée in Australia, è il primo uomo a volare in quel continente. Nell’immaginario collettivo si afferma sempre più la sua figura di temerario. Ma anche in scena esegue trucchi spettacolari; resta celebre la `cella della tortura cinese’: l’artista si fa rinchiudere a testa in giù, con i piedi vincolati a un cavo e ammanettato, dentro un parallelepipedo di cristallo pieno d’acqua dal quale si libera in due minuti (esercizio ripreso anche nel famoso film di George Marshall con Tony Curtis: Houdini , 1953). L’esercizio è eseguito per la prima volta il 21 settembre 1912 al circo Busch, a Berlino. Inventa l’attraversamento di un muro di solidi mattoni, costruito in scena a piena vista. Nuova trovata da prima pagina: si fa appendere a testa in giù con una camicia di forza ai pennoni di altissimi grattacieli, con migliaia di spettatori a vederlo, nello spirito della cultura di massa del ventesimo secolo. Durante la prima guerra mondiale è molto attivo nell’organizzare spettacoli di beneficenza per le truppe; gli viene anche chiesto di dare ai soldati americani lezioni di sopravvivenza sott’acqua.

Nel 1918 inizia la carriera cinematografica con la serie The Master Mystery ; in seguito fonda due proprie compagnie di produzione, con alterna fortuna. Diventa famosissimo, è amico o conoscente di numerosi personaggi della cultura e della società del suo tempo; incontra i presidenti Theodore Roosevelt e Woodrow Wilson, frequenta Sarah Bernhardt, Jack London e la moglie Charmian. Nello stesso tempo scrive brevi racconti dell’orrore, alcuni in collaborazione con H.P. Lovecraft. Nel 1924, a cinquant’anni, inizia una crociata antispiritualista che gli porta una rinnovata, incredibile notorietà. Tutto nasce da una querelle con l’amico scrittore A. Conan Doyle (il noto creatore di Sherlock Holmes), convinto assertore delle capacità medianiche di Harry Houdini, il quale invece afferma di eseguire le proprie prodezze senza l’utilizzo di mezzi soprannaturali; pubblica così A Magician Among the Spirits , un libro contro le frodi dei finti medium, che allora andavano per la maggiore. Chiamato a far parte di un comitato della rivista “Scientific American”, smaschera gli inganni dei falsi medium riproponendo i presunti fenomeni paranormali nei propri spettacoli. La messe di articoli, editoriali e lettere prodotti da questi eventi sposta di fatto la figura di Harry Houdini dal campo dell’intrattenimento a un contesto sociale, religioso e scientifico.

Nel 1925 il suo spettacolo Houdini approda finalmente nel cartellone ufficiale di Broadway, in competizione con i maggiori attori dell’epoca. La rappresentazione dura due ore ed è divisa in tre parti: ‘Magic’, sessanta minuti di pura magia in omaggio ai grandi del passato (come Bartolomeo Bosco o il bistrattato Robert-Houdin); ‘Houdini Himself, in Person’, con esercizi che lo hanno reso famoso, dalla ‘metamorfosi’ alla ‘cella della tortura cinese’; ‘Do the Dead Come Back’, un’ora di forum sui falsi medium. Nello stesso periodo batte il record di Rahman Bey, un presunto fachiro che è riuscito a resistere un’ora all’interno di una cassa sigillata grazie a una ‘catalessi anestetica’; Harry Houdini rimane per un’ora e mezza in una bara, immersa nella grande piscina dell’hotel Shelton. È il suo primo esercizio di enterologia, piuttosto che di escapatologia: grande risonanza dei media, il “Times” titola «Houdini wins». Nell’ottobre del 1926, mentre è in tournée a Montreal, un fan entrato in camerino gli chiede se è vero che è in grado di sopportare qualsiasi forte colpo agli addominali e lo colpisce ripetutamente allo stomaco; il giorno dopo Harry Houdini si sente male durante lo spettacolo. Il 25 ottobre viene ricoverato a Detroit e operato; gli viene rimossa l’appendice, ma si è ormai prodotta una peritonite che, il 31 ottobre, lo porta alla morte.

Hikmet

Spirito inquieto e rivoluzionario, soggiornò a Mosca due volte (dal 1921 al ’23 frequentò un corso di sociologia all’università d’Oriente; dal 1923 al ’28 pubblicò i suoi primi versi in lingua turca), entrando in contatto con gli artisti dell’avanguardia russa (Esenin, Majakovskij). Tornato in patria si dedicò ad attività giornalistiche e cinematografiche, pubblicando nel frattempo alcune raccolte di poesie e tre opere teatrali ( Una casa di morto , 1932; Il teschio , 1932; L’uomo dimenticato , 1935) in cui si rilevano fantasia e uno spiccato spirito nazionalista. Nel 1938 fu arrestato sotto l’accusa di propaganda comunista e condannato a ventotto anni di carcere; liberato nel 1950, si stabilì l’anno seguente a Mosca, assumendo la cittadinanza sovietica. Nel 1956 fu rappresentata una sua commedia, Ma è poi esistito Ivan Ivanovic? , violentemente critica contro la burocrazia staliniana, che diede inizio al `disgelo’ culturale e alla revisione del culto della personalità.

Hellman

Lillian Hellman divenne famosa negli anni ’30 con due melodrammi di successo, solidamente costruiti e ricchi di colpi di scena, che affrontavano temi morali e sociali (in un’ottica scopertamente progressista) rifacendosi al modello drammaturgico ibseniano, depurato però da ogni ambiguità e utilizzato per esporre tesi, più che per dibatterle, e per presentare personaggi abilmente disegnati, ma inequivocabilmente divisi fra buoni e cattivi. Il primo di questi testi, La calunnia (The Children’s Hour, 1934), scandalizzò il pubblico di Broadway (che tuttavia affollò il teatro per 691 sere) e allarmò le censure di mezzo mondo, facendo delle vittime di una ragazzina malvagia due insegnanti accusate di lesbismo. Il secondo, Le piccole volpi (The Little Foxes, 1939), ambientato nel Sud come il precedente, s’imperniava su una donna che, con la sua avidità, distruggeva il marito e si alienava l’affetto della figlia. Fra le sue opere successive si possono citare La guardia al Reno (Watch on the Rhine, 1941), una dura presa di posizione contro il nazismo; L’altra parte della foresta (Another Part of the Forest, 1946), una sorta d’antefatto di Piccole volpi ; il cechoviano Il giardino d’autunno (The Autumn Garden, 1951); Giocattoli in soffitta (Toys in the Attic, 1960), dove si sfiorava il tema dell’incesto. Scrisse anche il libretto per il musical che L. Bernstein trasse dal Candide di Voltaire (1956) e lavorò per molti anni a Hollywood come sceneggiatrice, fin quando il maccartismo non la incluse nella sua lista nera. Pubblicò infine due volumi autobiografici, nei quali non parlava delle sue esperienze teatrali.

Houcke

Ancora attiva, è considerata una delle famiglie più nobili del circo: uno dei capostipiti, Jean-Leonard, fu régisseur del circo Franconi ai primi del secolo scorso. Attorno al 1860 un ramo degli H., apprezzati cavallerizzi, si stabilì in Svezia formando un celebre circo. Tra gli esponenti più noti: Hippolyte, negli anni ’10 direttore dell’Hippodrome de l’Alma a Parigi; Jean, marito di una Rancy e uno dei maggiori direttori di circhi del ‘900; Gilbert, domatore che attorno al 1960 aggiornò lo stile detto `in dolcezza’ per la presentazione di belve feroci; il fratello Sacha, addestratore di cavalli.

Horváth

Proveniente da una famiglia della piccola nobiltà ungherese, figlio di un diplomatico, Ödön von Horváth studiò filosofia, teatro e germanistica a Monaco. Pubblicò le prime poesie nel 1919 sulle riviste “Simplicissimus” e “Jugend” e, a partire dal 1923, visse come scrittore indipendente a Murnau. Il suo primo lavoro teatrale fu Belvedere (Zur schönen Aussicht, 1926); nel 1927 esordì sulle scene col dramma Revolte auf Côte 3018 . Nel 1929 la prima rappresentazione di Sladek (Sladek oder Der schwarze Reichswehrmann), che trattava dell’assassinio di un socialista a Weimar, provocò forti contrasti tra il pubblico. Nel 1931 gli venne conferito il premio Kleist, a conferma di una vasta popolarità e di un largo riconoscimento. Le sue commedie, in cui si può riconoscere l’influenza di Nestroy, sono animate da una raffinata ironia: il sentimentalismo è usato con un certo compiacimento, un certo gusto del kitsch, allo scopo di creare un contrasto tra le aspirazioni ideali della gente comune e la brutale realtà di una società in fase di disgregazione. La corruzione dei valori culturali viene rappresentata attraverso i cliché del linguaggio e i luoghi comuni che caratterizzavano l’epoca, come i valzer di Strauss e l’Oktoberfest. Horváth è considerato il primo esponente della commedia popolare (Volksstück) moderna. Opere come Notte all’italiana (Italienische Nacht, 1930), Storie del bosco viennese (Geschichten aus dem Wiener Wald, 1931), Kasimir e Karoline (Kasimir und Karoline, 1932) prefigurarono, a un tempo condannandolo, l’avvento ormai prossimo del regime dittatoriale, attirando su H. l’odio dei nazionalsocialisti. Nel 1934 fu costretto a emigrare a Vienna e nel 1938 in Svizzera. A Parigi, dove si trovava per la riduzione cinematografica del suo romanzo Gioventù senza Dio (Jugend ohne Gott), ultimato l’anno precedente, morì colpito dal ramo di un albero schiantatosi durante un temporale. La sua produzione drammatica, a lungo dimenticata, è stata poi riscoperta con numerosi allestimenti, soprattutto a partire dalla fine degli anni ’70.

Hippodrome

Nel 1905 l’architetto Frederic Thompson e il promoter Elmer S. Dundy – già creatori di `Luna Park’, un enorme parco di divertimenti di Coney Island, il cui nome diventa (ed è tuttora) sinonimo del genere – decidono di creare la più grande e imponente sala di spettacolo del tempo. Fondano così l’Hippodrome, non un normale teatro ma un enorme agglomerato con annesso zoo, sotto forma di edificio teatrale che occupa un intero isolato, fra la 43ª e la 44ª strada, all’incrocio con la Sesta, in piena Manhattan. Un edificio che si inserisce nella diffusa tendenza del kolossal americano d’inizio secolo e che ricalca le orme del vecchio Franconi’s Hippodrome, costruito anni prima accanto a Madison Square (ben presto soppiantato dal più celebre Garden). Da notare che numerosi edifici con lo stesso nome erano già presenti in altre importanti città, tra tutti quelli di Parigi o di Londra (dove debutta un giovanissimo Chaplin); ma è l’H. di New York a diventare celebre.

L’edificio viene a costare un milione e mezzo di dollari; è in grado di ospitare 5.200 spettatori (con palchi capaci di 40 persone e organizzati in modo da poter ospitare feste private). Il palcoscenico misura 13 metri per 32, ma il proscenio è ancora più vasto: ospita una grande vasca che permette spettacolari giochi d’acqua e la celebre scomparsa del corpo di ballo che vi si immerge. Pistoni idraulici consentono, oltre al rapido riempimento e svuotamento della vasca, lo spostamento verticale di una grande sezione del palco. Le quinte, grazie a moderni sistemi elettrici, permettono lo spostamento di innumerevoli ed enormi scenari. Lo stile architettonico, infine, contribuisce a fare dell’Hippodrome il simbolo del kitsch americano dell’epoca, con enormi stucchi rappresentanti teste di elefante, miriadi di insegne d’argento e oltre ottomila lampadine elettriche. Anche l’estetica degli spettacoli è in linea con questo stile non proprio sobrio. L’Hippodrome apre il 12 aprile 1905 con due enormi riviste (presentate contemporaneamente), A Yankee Circus on Mars e Andersonville. Le produzioni comprendono oltre mille fra artisti e animali; enormi cifre vengono spese per costumi, scenografie e coreografie, che debbono risaltare al massimo sull’immenso palcoscenico, scrutato da lontano dagli occhi degli spettatori.

L’Hippodrome ospita numerosi artisti celebri dell’epoca, da Vernon e Irene Castle a Anna Pavlova, e presenta per la prima volta la celebre `sparizione dell’elefante’ di Houdini. Proprio per le ingenti spese, l’attività dell’Hippodrome è caratterizzata da problemi economici e numerosi cambi di gestione. Negli anni la direzione passa in parecchie mani: a Lee e J.J. Shubert, che affermano le Hippodrome’s Extravaganzas, con parate di carri trainate da elefanti, dirigibili in scena e gare di auto sportive. Dal 1915 al 1923 tocca a Charles Dillingham (la gestione forse più elegante); ma nel 1923, con l’avvento del gruppo Keith-Albee, l’Hippodrome, privato della celebre vasca e di altri ornamenti che lo avevano reso celebre, comincia a perdere le proprie caratteristiche trasformandosi in teatro di vaudeville. Nel 1926 viene acquistato dalla Rko, che lo trasforma in un cinema; dal 1929 la sala rimane pressoché inutilizzata, per esser riportata temporaneamente allo splendore dei primi anni da Billy Rose con Jumbo (1935), diretto da George Abbott, con Jimmy Durante: bella produzione, che però provoca un nuovo fallimento finanziario. L’Hippodrome cessa la sua attività di luogo di spettacolo e viene trasformato in un enorme parcheggio. Nel 1952 l’edificio viene abbattuto.

Hepburn

Nonostante i successi nel nuoto e nell’atletica, Katharine Hepburn volle, volle sempre, fortissimamente volle essere attrice, sin dalla scuola, dove si esibì in molti spettacoli amatoriali. Due commedie nell’estate del 1928 e poi, nell’autunno di quell’anno, il debutto a Broadway: cacciata dai produttori alla generale di Those Days , poi protagonista, per otto giorni, di Holiday . Cinque anni e cinque commedie dopo, nel 1933, ebbe un clamoroso e sottolineato insuccesso con The Lake , che le fruttò però la chiamata a Hollywood, con il celebre provino diretto da George Cukor. Da qui inizia una delle più feconde carriere cinematografiche di un’attrice e di una star, ma H. non smetterà di amare il teatro e ci tornerà piuttosto spesso: The Philadelphia Story , nel 1939, è un trionfo e originerà un film di culto. Ma i critici continuano a non amarla: Brook Atkinson la distrugge per Without Love , nel 1942. Nel 1950 H. incontra il suo autore teatrale (Shakespeare) ed è una memorabile Rosalinda in Come vi piace ; nel ’52 è La miliardaria di G.B. Shaw. Nel 1957 (a cinquant’anni!) si permette Porzia in Il mercante di Venezia : trionfo assoluto; nella stessa stagione è Beatrice in Molto rumore per nulla , ovviamente perfetta. 1960: sempre al festival di Stratford nel Connecticut, è Viola in La dodicesima notte e Cleopatra in Antonio e Cleopatra . Celebra il suo sessantaduesimo compleanno in teatro, a Broadway, debuttando in un musical, Coco (la storia di Coco Chanel, assai romanzata) che raggiunge l’onorevole numero di 332 repliche. Tornerà ancora in teatro, a Broadway, per A Matter of Gravity di Edith Bagnold nel 1976, e poi ancora nel 1981 per The West Side Waltz di Ernest Thompson. Ha girato molte commedie per la tv: fra queste spiccano Amore fra le rovine (1975) e Il grano è verde (1979), entrambe per la regia di George Cukor.

Harkness Ballet

Harkness Ballet viene fondata a New York nel 1964, come vivaio di giovani talenti, con il supporto finanziario di Rebekah Harkness, già allieva di Fokine. Debutta a Cannes nel 1965 sotto la guida di George Skibine ed è in seguito diretta da Brian Mac Donald e Benjamin Harkarvy. Sciolta nel 1970, viene sostituita dalla Youth Company, formata prevalentemente dagli allievi della Harkness House for Ballet Arts, sotto la direzione di Ben Stevenson e poi di Vicente Nebrada. Nel 1974 riapre a New York l’Harkness Theatre, ma l’annessa compagnia di balletto si scioglie nuovamente l’anno seguente. Tra i coreografi che hanno collaborato con il gruppo: John Butler, Stuart Hodes, Rudi van Dantzig, John Neumeier, Margo Sappington.

Hayden

Formatasi con B. Volkoff, A. Vilzak e L. Schollar, entra a far parte del Ballet Theatre (1945) e poi del New York City Ballet (1950), dove è prima ballerina fino al 1973. Danza ruoli da protagonista in Age of Anxiety , The Pied Piper , In The Night di Robbins, Illuminations di Ashton, Il mandarino meraviglioso di Todd Bolender e in numerosi balletti di Balanchine. Interprete della ballerina in Luci della ribalta di Chaplin (1952) e autrice dei testi Off Stage and On (1963) e Dancer to Dancer (1981), ha insegnato fino al 1983 presso la propria scuola newyorkese.

Havel

Václav Havel si accosta alla scena dapprima come tecnico delle luci presso il teatro Na Zábradlí (Alla balaustra) di Praga, di cui diviene in seguito segretario, consulente per il repertorio e poi drammaturgo stabile. I primi drammi risalgono agli inizi degli anni ’60: Festa in giardino (1963) e Memorandum (1965) tentano di smascherare, coi toni della satira, il linguaggio disumanizzante e i meccanismi del potere. A partire dal 1968, con l’occupazione russa di Praga, Václav Havel e le sue opere vengono bandite dai teatri e dalle librerie della Cecoslovacchia. Aperto oppositore degli abusi del regime, Václav Havel (che si è sempre rifiutato di lasciare il proprio Paese) viene ripetutamente imprigionato: nel 1977, in seguito alla formazione del movimento dissidente `Charta 77′ per la difesa dei diritti umani; dall’ottobre 1979 al febbraio 1983, quando scrive delle condizioni di vita in carcere nelle Lettere ad Olga (portate in scena nel 1989 a New York); infine nel gennaio 1989, a causa della sua adesione alle manifestazioni per il ventesimo anniversario della morte di Jan Palach, un giovane studente datosi fuoco per protestare contro il regime sovietico. Il 29 dicembre 1989, con le prime elezioni libere dopo la caduta del regime comunista, diventa presidente della Cecoslovacchia, accettando di rimanere in carica fino all’elezione di un nuovo parlamento. Il teatro di Václav Havel «pensa e fa pensare», cercando di coinvolgere lo spettatore, la sua immaginazione e la sua esperienza personale, con tematiche dal chiaro impegno civile. Fra i drammi successivi di Václav Havel sono da citare La difficoltà di concentrarsi (1968), I cospiratori (1971), L’udienza (1975), Largo desolato (1985), Tentazione (1987).

Hutchinson

Esperta del metodo di cinetografia appreso da Rudolf von Laban, studia anche con Jooss e Leeder, Holm, Graham, Limón, Tudor, Craske, frequentando inoltre corsi di danza folk, spagnola e indiana. È tra i fondatori del New York Dance Notation Bureau, che presiede dal 1940 al 1961. Cofondatrice dell’International Council of Kinetography Laban (1961), insegna notazione presso la School of Performing Arts di New York e la Juilliard School. Dal 1962 continua la sua attività didattica a Londra. È autrice del testo Labanotation .

Hodes

Margolies; New York 1937), ballerina e coreografa statunitense. Formatasi presso la Graham School, entra a far parte della compagnia nel 1953 e vi interpreta ruoli principali in diverse creazioni grahamiane: Seraphic Dialogue (1955), Clytemnestra (1958), Acrobats of God (1960), Phaedra (1962). Danza anche con Taylor e Tetley, a Broadway e in alcuni programmi televisivi. Insegna la tecnica Graham presso la Batsheva Dance Company (1964) e realizza la coreografia di The Act (1967). È fedele custode del magistero grahamiano.

Hamlyn

Allieva delle scuole Cone-Ripman e Sadler’s Wells (1941-42), dal 1943 al 1948 si è esibita come solista col Ballet Rambert. Dopo una serie di ingaggi, ha danzato in veste di ospite alla Scala (1956, 1957, 1966), a Colonia e all’Opera di Roma (1965). Ha aperto una scuola a Firenze nel 1964, specializzandosi nel metodo Cecchetti.

Hennequin

Scrittore del teatro boulevardier, le sue pièces sono spesso frutto di collaborazioni con altri autori: Le Paradis (1895) con P. Bilhaud; Place aux femmes (1898) con A. Valabrègue; Florette et Patapon (1903) e Madame la Présidente (interpretata con successo in Italia da Dina Galli) con P. Veber; La sonnette d’alarme (1923) con R. Coolus. Sono testi vivaci, ma che talvolta scadono nella volgarità, per la volontà di compiacere il gusto del pubblico del vaudeville.

Hintermann

Prima dell’incidente d’auto che gli è costato la vita in Sicilia, stava replicando il Pigmalione di Shaw diretto da Crivelli, che lo aveva già voluto all’inizio della carriera nel suo Milanin Milanon (1963) accanto a T. Carraro e Milly. Attore di televisione e cinema, la sua passione era sempre stata il teatro. Si mise in luce nel 1957 con alcuni monologhi all’Arlecchino di Roma, e subito Gassman, regista, lo volle per Irma la dolce (1958); seguirono ruoli importanti in Il giardino dei ciliegi (Lopakin) e in Giulio Cesare (Marcantonio). Negli anni ’80 è protagonista di Morte di un commesso viaggiatore di A. Miller e La ragazza di campagna di C. Odets, con la regia di O. Costa. Attore di grande mestiere, era limitato – più che favorito – da un fisico quasi teutonico, che aveva suggerito per lui parti di `duro’.

Hare

Nel 1968 David Hare fonda insieme a T. Bicat il Portable Theatre, uno dei gruppi di teatro alternativo più attivi soprattutto nella promozione della nuova drammaturgia, che come suggeriva il nome doveva essere: facilmente trasportabile, adattabile a spazi quasi sempre diversi dal teatro (palestre, sale ecc.) e dunque pensata con scenari del tutto essenziali. Dall’esperienza del Portable Theatre, H. coltiva la prolifica collaborazione con H. Brenton, per il quale cura la regia di Le armi della felicità (Weapons of Happiness; National Theatre 1976) e con il quale scrive alcuni testi: Lay By (1971), testo a cui collabora anche D. Edgar, sulle origini della pornografia nella società capitalistica, costantemente presa di mira nei suoi lavori; England’s Ireland (1972), ancora una collaborazione a tre sul tema dell’imperialismo britannico; Brassneck (1973), dramma sulla corruzione del governo; Pravda (1985), in cui analizza la deformazione delle notizie da parte dei giornali.

Nel 1970 e ’71 David Hare è drammaturgo residente al Royal Court Theatre, ed è anche tra i membri fondatori della compagnia Joint Stock. Nei suoi lavori, da Slag (1970) a The Great Exhibition (1972), a Plenty e Liking Hitler (1978), David Hare costruisce un suo stile fondato su un tipo di approccio storico, teso a rintracciare l’origine di fenomeni quali corruzione e oppressione attraverso i fatti documentati. Alla fine degli anni ’60 David Hare comincia una lunga collaborazione con il National Theatre che, dalla fine degli anni ’70, produce molti dei suoi lavori (nel 1984 diviene regista associato); sempre per il National Theatre, sotto la direzione di D. Eyre, David Hare lavora su commissione per l’ampio spazio dell’Olivier Theatre. Nasce una trilogia politica: Diavoli da corsa (Racing Demon, 1990) sulla chiesa anglicana, Giudici mormoranti (Murmuring Judges, 1991) sull’apparato giuridico inglese, e In assenza di guerra (Absence of War, 1993), sui motivi della sconfitta del partito laburista alle elezioni del ’92. In reazione a questi lavori, nel 1995 David Hare dà avvio a una trilogia d’amore con il dramma Skylight (contrasto sentimentale e ideale tra i valori di un imprenditore e la sua amante), in cui l’azione si concentra in un’unica stanza.

Considerato uno dei pochi drammaturghi contemporanei in grado di rivolgersi a un vasto pubblico, David Hare dimostra la sua forza sul campo: tra il 1997 e il ’98 il suo lavoro impegna più di un palcoscenico, dal piccolo spazio dell’Almeida Theatre – in cui allestisce un revival del testo di Shaw Casa cuorinfranto – al West End londinese, dove viene messo in scena il suo Il punto di vista di Amy (Amy’s View); per tornare di nuovo all’Almeida, dove nella primavera 1998 debutta il suo lavoro più recente, Il bacio di Giuda (The Judas’s Kiss), in cui H. rielabora una sceneggiatura di Wilde; mentre a New York va in scena la sua versione dell’ Ivanov di Cechov.

Haigen

Higgenbotham; Miami 1954), ballerino e coreografo statunitense. Formatosi presso la School of American Ballet e la American Ballet Theatre School, danza con l’American Ballet Theatre, lo Stuttgart Ballet e, come solista, all’Opera di Amburgo (1976-1983). Interpreta ruoli principali in Josephslegende (Vienna 1977) e Sogno di una notte di mezza estate di Neumeier (1977). Danza e insegna ai Ballets de Monte-Carlo (1984-85), al London Festival Ballet (1986), per il Béjart Ballet Lausanne (1987) ed è docente alla scuola dell’Opera di Amburgo. Fra le sue coreografie Beyond (1988), interpretato con Elisabetta Terabust a Spoleto.

Hubay

Miklós Hubay compie gli studi a Budapest e Ginevra, dove diviene ben presto un punto di riferimento per i letterati ungheresi e dove dirige la rivista “Nouvelle Revue de Hongrie”. Dal 1950 è docente di storia del teatro a Budapest. È autore di numerosi radiodrammi e testi teatrali, che manifestano un notevole impegno intellettuale e civile, insieme a una ricerca sul linguaggio, ricco ma sempre chiaramente comprensibile. Fra i drammi sono da ricordare La sfinge (allestito a Genova con la regia di Massimo Scaglione; Teatro della Tosse, 1975-76), Nerone è morto? (oggetto di un contestato allestimento di Aldo Trionfo per lo Stabile di Torino, 1974), I lanciatori di coltelli (prodotto e trasmesso dalla Rai nel 1969). Autore prolifico, H. ha continuato a scrivere per le scene coniugando arte e impegno civile, affrontando temi come l’escalation del terrorismo o l’incubo di una catastrofe nucleare. I titoli più importanti dell’ultimo periodo sono: Teatro sul dorso della balena (1974), Addio ai miracoli (1979) e la raccolta Drammi della fine del mondo (1984).

Hoffmann

Con Pina Bausch e Susanne Linke, Reinhild Hoffmann costituisce il nucleo storico del cosiddetto ‘neoespressionismo’ tedesco degli anni ’70 (o Tanztheater). Formatasi alla Folkwang Hochschule di Kurt Jooss, a Essen (1965-70), danza dal 1971 al ’73 nella compagnia del Teatro di Brema e inizia a creare sue coreografie alla Folkwang Hochschule (1974); ottiene così una residenza coreografica nella compagnia espressione della celebre scuola, il Folkwang Tanzstudio, e ne diviene direttrice artistica assieme alla Linke (1975-77). Dopo un periodo di studi negli Usa con Cunningham, Nikolais e la Monk, assume la direzione artistica del Tanztheater di Brema (1978): incarico che mantiene, accanto a Gerhard Bohner, fino al 1981, per poi estenderlo a direttrice unica. Nel 1986 la compagnia, che ormai porta il nome di Tanztheater Reinhild Hoffmann, cambia residenza e da Brema passa a Bochum (Schauspielhaus), restandovi fino al ’95, l’anno del suo scioglimento. Come free-lance viene eletta membro dell’Akademie der Künste di Berlino, e oltre ad allestire creazioni e a riprendere le sue più celebri coreografie (come Callas, ispirata al celebre soprano, allestita a Brema nel 1983) potenzia l’attività di coreografa nel teatro musicale, iniziata nel 1982 con l’allestimento di Erwartung e Pierrot lunaire di Schönberg, seguito dalle coreografie per il Diario di uno scomparso di Janácek (1994), La traviata (nell’edizione diretta da Muti al festival di Salisburgo, 1995) e Idomeneo (1996).

Solista di particolare forza espressiva, non stupisce che ancora oggi la si ricordi nell’intenso e ipnotico assolo, su musica di Cage, Solo mit Sofa (1979), un brano di raro rigore formale nel quale emersero le lacerazioni di una costrittiva condizione femminile e un drammatico autolesionismo, ma che in realtà già metteva in luce lo stretto rapporto con le arti visive nella simbiosi, di grande tragicità, con taluni elementi scenografici (come il divano, estensione del suo lungo abito e a cui la solista appariva indissolubilmente legata). Nel suo linguaggio scarno ed essenziale assi, croci, pietre e stoffe entrano a far parte di assoli e duetti come Bretter, Steine e Auch (1980), mentre nelle vistose e scenografiche coreografie di gruppo, allestite a Brema (Fünf Tage, Fünf Naulmchte, 1979; Hochzeit, 1980; Unkrautgarten, 1980; Dido und Aeneas , 1984; Föhn, 1985; Verreist, 1986), l’artista sceglie di utilizzare in pieno ogni mezzo che le viene offerto da una solida e ricca istituzione teatrale. Più crude e sanguigne, le opere del periodo di Bochum (Machandel, 1987; Zeche I, 1992; Zeche II, 1993; Denn ein für alle Mal ist’s Orpheus, wenn es singt, 1994; Folias, 1995) inaugurano il rapporto con la tragedia e il mondo antico. Ma la coreografa non rinuncia alla sua vocazione solistica: nel 1996 allestisce l’assolo Vor Ort e nel ’98 prepara in un duetto con l’amica e collega Susanne Linke, dopo una serie di allestimenti internazionali (come Sir Mekan e Spielraum ) in cui torna a farsi sentire la predilezione per gli oggetti in legno, in un linguaggio del corpo che, nella ritrovata essenzialità, esplora un ancor più ampio spettro di possibilità dinamiche ed espressive.

Hossein

Hosseinoff; Parigi 1927), attore e regista francese. Allievo di Tania Balachova, esordisce come attore in A porte chiuse di Sartre e Alta sorveglianza di Genet. Fonda, nel 1970, il Théâtre Ecole (presso il Teatro popolare di Reims), dove mette in scena testi di García Lorca, Hugo, Simenon, Hemingway, Bresson. H. vuole un teatro leggibile e fruibile dal maggior numero di persone; per questo si avvale della multimedialità, ricorrendo a messe in scena a dir poco fastose, in sale in grado di accogliere migliaia di persone. Nel 1975 riscrive e mette in scena a Parigi La corazzata Potëmkin . Dal 1977, tornato definitivamente nella capitale, allestisce grandi spettacoli a carattere storico e religioso, prestando talvolta il fianco all’accusa di demagogia: un Giulio Cesare con un centinaio di figuranti, Romeo e Giulietta , Danton e Robespierre , I miserabili , L’affaire du courrier de Lyon , Je m’appelais Marie-Antoinette e soprattutto, nel 1991, Un homme nommé Jésus . Nel 1992, al Théâtre Mogador, presenta I bassifondi di Gor’kij, con scene di Pierre Simonini e Jean Mandaroux.

Hochw&aulm;lder

Mentre i suoi genitori furono deportati e uccisi dai nazisti, H. riuscì a fuggire in Svizzera, dove rimase anche dopo la guerra. Amico di G. Kaiser, scrisse opere in cui un forte spirito critico riflette sulla propria epoca, sui temi del potere, del senso di colpa individuale e sui rapporti con il passato della storia tedesca. Nei suoi drammi, prevalentemente di struttura classica – Sacro esperimento (Das heilige Experiment, 1943), Il pubblico accusatore (Der öffentliche Ankl&aulm;ger, 1948), L’albergo (Die Herberge, 1956), La principessa di Chimay (Die Prinzessin von Chimay, 1981) – H. si ricollega alla tradizione del teatro popolare viennese, usando soggetti storici o politici con esiti anche satirici.

Hari

Dopo aver soggiornato nelle Indie olandesi, si ispirò allo stile giavanese per i suoi fantasiosi spettacoli, che destarono sensazione a Parigi, Vienna e Montecarlo. Nel 1912, alla Scala di Milano, partecipò (nel ruolo di Venere) al ballo di Marenco-Pratesi Bacco e Gambrinus : fu il momento più importante della sua carriera, unitamente alla partecipazione alle danze dell’opera Armida di Gluck nella stessa stagione. Presentatasi a Diaghilev, fu respinta e continuò a esibirsi in cabaret e locali notturni. Accusata di spionaggio dai francesi, fu fucilata al poligono di Vincennes nel 1917.

handicap

La fenomenologia dell’incontro tra teatro e handicap si presenta variegata e complessa. L’utilizzo stesso del termine h. porta con sé una equivalenza nata nel linguaggio comune, che confonde il deficit con l’h., vale a dire l’origine con le conseguenze, dovute alle risposte al deficit date dall’ambiente fisico e sociale e dalla psicologia della persona. Accogliendo questa precisazione, è evidente come l’esperienza di teatro handicap non si riassuma nella presenza di attori portatori di una disabilità fisica o mentale, ma coinvolga profondamente le istituzioni socio-educative, culturali, artistiche e politiche, gli operatori che in esse intervengono e, soprattutto, le rappresentazioni sociali e i vissuti collettivi che accompagnano e spesso originano l’handicap. L’orizzonte dell’esperienza di teatro handicap, nella situazione italiana degli anni ’90, si estende tra i due estremi della produzione artistica professionale e della teatroterapia. I ritmi dilatati, l’iper/ipotonicità muscolare, la naturalezza di azioni che coniugano profondità arcaiche e comportamenti socialmente denotati come devianti, le azioni in bilico tra ludico e gioco, e il corpo segnato da una mancanza che diviene ineludibile presenza, sono i segni delle disabilità che ci con-muovono nell’universo sospeso e delirante di Pippo Delbono, o che si fanno icone delle istanze di crisi profonda che attraversano la società, come per gli interpreti tracheotomizzati del coro della Socìetas Raffaello Sanzio, o che rappresentano la poetica del regista Enzo Toma.

In altri casi, come per Danio Manfredini, l’esito teatrale diviene il precipitato personale di intensi processi laboratoriali dove l’artista, nell’incontro con l’altro, ritrova un dialogo profondo con sé e con l’uomo. Sul confine che unisce l’esperienza teatrale alle sue matrici sociali e pedagogiche si colloca il lavoro di alcuni educatori che, nella quotidianità rigorosa e preordinata dei Centri diurni che ospitano disabili adulti, stanno introducendo, coadiuvati dall’esperienza teatrale di artisti come Giuseppe Badolato e Piera Principe, le metodiche laboratoriali del teatro; consapevoli della necessità del teatro, essi ricreano l’esperienza nell’incontro con il gruppo e il contesto, senza snaturare le metodiche per realizzare obiettivi terapeutici o riabilitativi. Sono, invece, proprio questi gli obiettivi di alcune esperienze teatrali, caratterizzate da una decisa impronta educativa o terapeutica. Per quanto compete le prime è, tra le istituzioni, soprattutto la scuola dell’obbligo a intuire le valenze `integrative’ dell’esperienza teatrale, situazione in cui esplorare e apprendere la diversità come componente fondativa dell’esistenza. Da un punto di vista terapeutico, vari servizi sociosanitari propongono attività di psicodramma, mentre sono rare le esperienze di dramatherapy, che stimolano la dinamica rappresentativa e ludico-immaginativa (Teatro Reginald di Torino).

Hacks

Figlio di un avvocato socialdemocratico, Peter Hacks studia filosofia, germanistica e scienze teatrali a Monaco. Nel 1951 inizia a lavorare per il teatro, il cabaret e la radio. Nel 1955, grazie al successo del suo primo lavoro teatrale, L’inizio dell’era indiana (Die Eröffnung des indischen Zeitalters), messo in scena ai Kammerspiele di Monaco, è invitato da Brecht a collaborare con il Berliner Ensemble. A Berlino lavora anche con il Deutsches Theater dove, nel 1956, viene allestita un’altra sua opera, La battaglia di Lobowitz (Die Schlacht bei Lobowitz). Scrive numerosi saggi sul teatro e la letteratura: Das realistische Theaterstück (1957), Aristoteles, Brecht oder Zwerenz (1957), Das Poetische (1972). Si impone, soprattutto a partire dagli anni ’60, per il suo stile che riconcilia in modo nuovo realismo e fantasia. Altre opere teatrali sono Il mugnaio di Sanssouci (Der Müller von Sanssouci), satira del dispotismo di Federico il Grande, e Gli affanni e il potere (Die Sorgen und die Macht), critica del concetto di lavoro nella Rdt, entrambe del 1958; Moritz Tassow (1965), dove vengono messe a confronto realtà e utopia del comunismo, e La festa del mercato a Plundesweilern (Das Jahrmarktfest zu Plundersweilern, 1975), una critica dell’industria culturale nella Germania Est. Il suo teatro ha un rapporto diretto con il dramma didattico brechtiano, ma si emancipa dal modello consueto di realismo. Opere più recenti sono La morte di Seneca (Senecas Tod, 1978) e Pandora , da Goethe (1982).

Helpmann

Iniziato alla danza da bambino, Robert Helpmann ha studiato con Laurent Novikoff nel complesso di Anna Pavlova in tournée in Australia. Arrivato a Londra nel 1933, è entrato, dopo brevi studi nella scuola, nel Vic-Wells Ballet, del quale è diventato primo ballerino e partner di Margot Fonteyn in molti balletti fino al 1950. L’eccezionale versatilità e la forte presenza scenica gli hanno permesso di alternare i ruoli di danseur noble a quelli drammatici o comici. Sono memorabili le sue interpretazioni, da un lato, nel ruolo di Albrecht e, dall’altro, in quelli del libertino in The Rake’s Progress di De Valois e della sorellastra più cattiva nella Cinderella di Ashton. Notevole anche il suo Don Chisciotte , nel film dal balletto omonimo nella versione di Nureyev. I suoi balletti, per i quali ha creato il principale ruolo maschile, sono ormai scomparsi dal repertorio del Royal Ballet, ma hanno avuto successo sia Hamlet (1942, musica di Ciaikovskij), sia Miracle in the Gorbals (1944, musica di Arthur Bliss); al Covent Garden, invece, ha creato l’ambizioso ma meno riuscito Adam Zero (1946). Si è esibito sul grande schermo in Scarpette rosse (Red Shoes, 1948) e I racconti di Hoffmann (The Tales of Hoffmann, 1951). Ha inoltre interpretato in teatro numerosi ruoli shakespeariani. Tornato in Australia nel 1964, è divenuto l’anno seguente direttore artistico (con Peggy van Praagh) dell’Australian Ballet, che ha diretto da solo nel 1975-76. È tornato più volte a Londra come artista ospite e nel 1970 ha presentato al Covent Garden la grande serata di gala per Ashton.

Haber

Dopo aver debuttato a diciotto anni in Tutto è bene quel che finisce bene di Ammirata e aver preso parte a Misura per misura diretto da Missiroli (1968), Alessandro Haber entra nell’ambiente delle `cantine romane’ partecipando a Il diavolo bianco di Webster (1973) e La principessa Brambilla di Hoffmann (1974), entrambi diretti da Giancarlo Nanni. Contemporaneamente inizia una ricca e interessante carriera cinematografica, lavorando con molti dei nuovi registi italiani (M. Bellocchio, i Taviani, B. Bertolucci, C. Maselli, N. Moretti) ma continuando a frequentare il palcoscenico. Molti i titoli della seconda metà degli anni ’70, di cui vanno citati Rosa Luxemburg con la regia di L. Squarzina allo Stabile di Genova, Dialogo della Ginzburg diretto da L. Salveti e Michele Pezza, duca di Cassano… messo in scena da A. Trionfo. Nel 1982 è Calibano nella Tempesta diretta da C. Cecchi, per tornare poi a lavorare con Missiroli, che sa valorizzarne il notevole vigore in Orgia di Pasolini (1984) e in Tragedia popolare (1989). Dopo una significativa presenza nella stagione del Piccolo Teatro come interprete dell’ Intervista di N. Ginzburg (1990, regia di C. Battistoni), trova in Nanni Garella un regista capace di dar voce alla sua esuberanza, prima con Jack lo squartatore (1993), poi con il premiato Arlecchino servo di due padroni (1995) e, infine, con Woyzeck di Büchner (1996), spettacolo che ha fatto discutere molto per la presenza, accanto a H., di due danzatori in carrozzella della compagnia CandoCo. Attore dalla recitazione travolgente, di grande generosità in scena, ha parafrasato la propria biografia artistica e umana nel film La vera vita di Antonio H.