Totò

Con la sua recitazione esilarante e la sua comicità a tratti surreale,Totò fu tra gli attori più amati del 900.

Totò, pseudonimo di Antonio De Curtis, è stato un attore, commediografo e sceneggiatore italiano. Tra i più famosi e amati attori italiani del Novecento, con la sua recitazione esilarante e la sua comicità a tratti surreale, ha rappresentato l’incontro tra la grande tradizione della commedia dell’arte, la spontaneità dell’avanspettacolo e l’anima malinconica della città di Napoli.

Totò, lo “scugnizzo” del rione Sanità

Totò, il cui vero nome era Antonio De Curtis, nacque a Napoli nel 1898. Fu cresciuto dalla madre in povertà nel popolare rione Sanità e concluse a fatica gli studi liceali. Si appassionò, invece, agli spettacoli di strada e al teatro dialettale napoletano, e ben presto, grazie al suo innato talento comico, si cimentò in esilaranti imitazioni attingendo al repertorio di artisti già affermati.

Dal 1917 lo troviamo a Roma, al teatro Jovinelli con un repertorio di imitazioni. Già da allora si esibisce in quel personaggio di marionetta disarticolata che diventerà un suo vero e proprio marchio. Tra il 1920 e il 1925 frequenta il palcoscenico dei principali caffè-concerto italiani, sempre con un repertorio di macchiette e parodie. Sembra fosse alla Sala Umberto la prima apparizione di Totò in quella che doveva diventare con gli anni la sua divisa. Bombetta malandata, redingote frusta e nera, pantaloni a righe, ma corti sulle caviglie, a scoprire certe inverosimili calze colorate. Totò aveva inventato delle macchiette che erano a metà tra il comico di avanspettacolo e il clown. Dal repertorio più tradizionale dei clown aveva ricavato infatti quella sua marionetta che pian piano si insinuò, trasformandosi, in molte sue apparizioni.

Dal teatro popolare al cinema d’autore

Nel 1926, accanto a Isa Bluette, è per la prima volta in rivista e lavora con Mario Castellani, che sarà la sua spalla di sempre. La sua popolarità è in ascesa, nel 1931 e nel 1932 partecipa a spettacoli di varietà e, finalmente, nel 1933, diventa capocomico e agisce con la sua formazione nell’avanspettacolo.

Il pubblico di Totò è un pubblico popolare che il comico porta all’entusiasmo e al delirio con doppi sensi, lazzi, trascinanti marce sulla scena, con la golosa ferocia infine della sua volgarità. Il pubblico popolare arriva di slancio a capire la genialità di Totò; per il pubblico borghese, invece, non solo ci vuole più tempo, ma serviranno anche illustri mediazioni. I primi ad accorgersi del potenziale di Totò (per poi sfruttarlo in cinema) furono Carlo Ludovico BragagliaCesare Zavattini.

Film Totò: il successo cinematografico con Totò, Peppino… e la malafemmina

Il successo cinematografico arrivò con I due orfanelli (1947) di Mario Mattoli, dieci anni dopo l’esordio in Fermo con le mani! di Gero Zambuto. Presto Totò dimostrò di saper far esplodere la comicità del suo personaggio, sia in film più leggeri – 47 morto che parla (1950) di Carlo Ludovico Bragaglia, Totò a colori (1952) di Steno e Mario Monicelli, Siamo uomini o caporali? (1955), Totò, Peppino… e la malafemmina (1956) e Tototruffa ’62(1961) di Camillo Mastrocinque; sia in opere più complesse, come Napoli milionaria (1950) di Eduardo De Filippo, Guardie e ladri (1951) di Steno e Monicelli, I soliti ignoti (1958) di Monicelli, sino al poetico Uccellacci e uccellini (1966) di Pier Paolo Pasolini.

Totò e Peppino in La Banda degli onesti
Totò e Peppino in La Banda degli onesti

L’avanspettacolo e il teatro di rivista

Ma il suo mondo più vero era il teatro. Lui stesso dichiarava che il pubblico, la sua presenza, gli dava una carica e voleva la sala abbastanza illuminata per vederlo, rispondergli, recitare per lui. Quando tornò a teatro, alla fine del 1940, l’avanspettacolo era già tramontato, sostituito dalla “rivista“. In un’Italia appena entrata in guerra e sotto la ferrea censura del fascismo, Totò debuttò al teatro Quattro Fontane di Roma insieme a Mario Castellani e una mirabile scatenata Anna Magnani in Quando meno te l’aspetti di Michele Galdieri. Totò strinse con Galdieri un sodalizio da cui presero vita Quando meno te l’aspetti, Volumineide, Orlando Curioso, Con un palmo di naso e Che ti sei messo in testa.

Proprio quest’ultima rivista creò problemi al comico napoletano, che dopo le prime rappresentazioni al teatro Valle di Roma, venne dapprima intimorito con una bomba all’entrata dal teatro, poi denunciato dalla polizia, insieme ai fratelli De Filippo. Si segregò in casa fino al 4 giugno, il giorno della liberazione della capitale.

Gli spettacoli del dopoguerra

Il 26 giugno riprese a recitare: tornò al teatro Valle con la Magnani nella nuova rivista Con un palmo di naso, in cui diede libero sfogo alla sua satira impersonando il Duce (sotto i panni di Pinocchio), e Hitler, che dissacrò ulteriormente dopo l’attentato del 20 luglio 1944, rappresentandolo in un atteggiamento ridicolo, con un braccio ingessato e i baffetti che gli facevano il solletico, e mandando l’intera platea in estasi.

Alla stagione 1947-48 risale C’era una volta il mondo: Totò al suo massimo, lo sketch del manichino, la carica dei bersaglieri, lo sketch inimitabile del vagone letto che dagli otto minuti di durata iniziale si dilatò, per la felicità del pubblico, fino a tre quarti d’ora. Nel 1949 Bada che ti mangio alternava a fastosi quadri coreografici lunghe scenette o monologhi di uno straordinario Totò, che stava per lasciare la rivista a favore del cinema. Più di trenta film in sei anni e, infine, un ritorno in palcoscenico, questo davvero l’ultimo, con la straordinaria rivista A prescindere nella quale il grande Totò recuperava il suo passato e rievocava i suoi migliori sketch e personaggi. 

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Sordi, Alberto

Alberto Sordi fu un perfetto esempio della commedia all’italiana e rappresentante di spicco della romanità.

Alberto Sordi fu uno dei più grandi interpreti della storia del cinema italiano, perfetto esempio della commedia all’italiana e rappresentante di spicco della romanità. Attore estremamente versatile, ha partecipato a circa 160 pellicole. Tra i film più rappresentativi della sua carriera cinematografica ricordiamo Un americano a Roma, I vitelloni, Il marchese del Grillo, La grande guerra, Lo sceicco bianco, Un borghese piccolo piccolo, Il vedovo, Il vigile, Il medico della mutua.

Alberto Sordi biografia: dalla gavetta all’incontro con Fellini

Alberto Sordi nasce il 15 giugno 1920 a Roma. Ultimo figlio di un professore di musica e di una maestra delle scuole elementari, coltiva la sua passione per la recitazione fin dalla tenera età e canta come soprano nel coro di voci bianche della Cappella Sistina. Nel 1936, Sordi incide un disco di fiabe per bambini per la casa discografica Fonit. Il ricavato di questa esperienza lavorativa gli consente di partire per Milano, dove si iscrive all’Accademia dei filodrammatici, da cui fu espulso a causa del suo accento romanesco.
Torna quindi a Roma l’anno successivo, lavorando come comparsa a Cinecittà. Straordinario attore di cinema, emblema dell’italiano medio e mediocre, ricettacolo di vizi e virtù del borghese piccolo piccolo, Alberto Sordi debutta nell’avanspettacolo e varietà, dove incrociò il suo destino con quello di Federico Fellini che lo scelse per i suoi primi film.

Film di Alberto Sordi: il successo degli anni Cinquanta

Dopo Lo sceicco bianco (1952) di Fellini, Alberto Sordi recita in I vitelloni (1953), Un giorno in pretura (1953), Un americano a Roma (1954) e Piccola posta (1955). In questi film assume il ruolo del ragazzo approfittatore, vigliacco, indolente e scansafatiche. E arriva così il grande successo, rendendo il volto di Sordi uno dei più conosciuti dagli spettatori italiani.

Con l’avvento della commedia all’italiana dà vita a una serie di personaggi che, secondo la critica, sono assimilabili all’italiano medio. Queste figure sono tendenzialmente prepotenti coi deboli e servili coi potenti. Da ricordare anche il suo ruolo in Bravissimo (1955) di Luigi Filippo D’Amico, in Venezia, la luna e tu (1958) di Dino Risi e in Il vedovo (1959) sempre di Dino Risi.

I ruoli drammatici e l’approdo alla regia

Negli anni Sessanta si verifica una svolta: Alberto Sordi si cala in ruoli drammatici, oltre che comici. Vanno ricordate le sue interpretazioni in La grande guerra (1959), Tutti a casa (1960), Una vita difficile (1961), Il boom(1963), Il medico della mutua (1968). Nel 1972 si aggiudica l’Orso d’argento al Festival di Berlino per il suo ruolo in Detenuto in attesa di giudizio (1971) di Nanni Loy.

Alberto Sordi e Monica Vitti in Aiutami amore mio
Alberto Sordi e Monica Vitti in Aiutami amore mio

Nel 1966 Alberto Sordi esordisce come regista con Fumo di Londra e Scusi, lei è favorevole o contrario?. Dirige poi altre sedici pellicole, delle quali in tre è anche co-protagonista insieme a Monica Vitti: Amore mio aiutami (1969), Polvere di stelle (1973) e Io so che tu sai che io so (1982).  Memorabili pure Un italiano in America (1967) e Finché c’è guerra c’è speranza (1974).

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Vittorio Gassman

Gassman, Vittorio

Soprannominato il Mattatore, Vittorio Gassman è ritenuto uno dei più grandi interpreti della commedia all’italiana.

Vittorio Gassman è attore, regista e sceneggiatore, protagonista del cinema e del teatro italiano del Novecento. Con Alberto Sordi, Ugo Tognazzi e Nino Manfredi, Gassman è ritenuto uno dei più grandi interpreti della commedia all’italiana. Soprannominato il Mattatore (dall’omonimo spettacolo televisivo da lui condotto nel 1959), è ricordato per l’assoluta professionalità (al limite del maniacale), per la versatilità e per il magnetismo.

Vittorio Gassman biografia: dagli esordi ai vertici della gerarchia di palcoscenico

Genovese di nascita ma romano d’elezione e formazione, Vittorio Gassman ha debuttato ventenne a Milano nella Nemica di Niccodemi con Alda Borelli. Si è affermato subito dopo all’Eliseo di Roma, tanto da associare ben presto il suo nome a quelli di Adani-Calindri-Carraro. Passa con pari bravura dal genere brillante al drammatico, dal divertimento sofisticato alla commedia borghese.

Vittorio Gassman è salito ai vertici della gerarchia di palcoscenico con la compagnia diretta da Luchino Visconti. Con lui Ruggero Ruggeri, Paolo Stoppa, Rina Morelli, Paola Borboni, Vivi Gioi. Esuberante Kowalski in Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams, è capace di trascorrere dagli shakespeariani Rosalinda o Come vi piace e Troilo e Cressida a un alfieriano Oreste. È stato poi protagonista, con il Teatro Nazionale diretto da Salvini, dell’ibseniano Peer Gynt, della Commedia degli straccioni di Caro, di Detective Story di Kingsley, del Giocatore di Betti.

Il Teatro d’Arte Italiano di Vittorio Gassman e Luigi Squarzina

Con Luigi Squarzina, Gassman ha fondato e co-diretto il Teatro d’Arte italiano (1952-53). Insieme misero in scena un Amleto in versione integrale, il fin allora mai ripreso Tieste di Seneca, I Persiani di Eschilo, Tre quarti di luna di Squarzina. Interprete tragico per antonomasia, in familiarità con i classici greco-latini, è stato particolarmente attratto da Shakespeare, contribuendo a rendere memorabile l’Otello (1956-57) in cui si scambiava con Randone i ruoli del Moro e di Jago.

Una professionalità al limite del maniacale

La sua esuberanza giovanile lo ha indotto talvolta a concedere un po’ troppo al virtuosismo del grande attore di matrice ottocentesca. Lo abbiamo visto moltiplicarsi, ad esempio, nei nove personaggi dei Tromboni di Zardi (quasi coevi alla serie televisiva Il mattatore). O lasciarsi tentare dal congeniale Kean nel suo O Cesare o nessuno (1975), specchio del genio e sregolatezza degli anni verdi, poi pienamente governato nella più sorvegliata maturità.

Fino all’ultimo fedele al teatro di parola, restìo ad avanguardismi di facciata, cresciuto con il culto della foné, ha avuto in odio il minimo difetto di pronuncia, un accento sbagliato, un’inflessione dialettale. Il suo credo artistico è rimasto sostanzialmente fedele a una drammaturgia di scrittura alta. Fino a cimentarsi nell’avventura generosa dell’Adelchi di Manzoni fatto conoscere a mezzo milione di spettatori, dal suo itinerante Teatro Popolare con ‘chapiteau’ circense (1960-63).

Vittorio Gassman film: dal teatro al cinema con I soliti ignoti e L’armata Brancaleone

Tentato dal cinema, Vittorio Gassman ha interpretato oltre cento film, riscuotendo particolare successo sul versante comico-farsesco con film come I soliti ignoti L’armata Brancaleone.

Vittorio Gassman film: I soliti ignoti
Vittorio Gassman film: I soliti ignoti

È tornato in palcoscenico a più riprese per riproporre Otello venticinque anni dopo, affrontare Macbeth (con la Guarnieri), inscenare un collage dostoevskijano con gli allievi della Bottega del teatro da lui fondata a Firenze e portare a Los Angeles e ad Avignone i sempre più prediletti assemblaggi di autori vari.

Con il figlio Alessandro Gassman avuto da Juliette Maynel, ha ripreso Affabulazione di Pasolini (1986);  è stato Achab nel Moby Dick tratto da Melville (1992); ha affrontato lo scontro generazionale nell’autobiografico Camper (1994), avversato dalle sue ricorrenti crisi depressive.

Particolarmente rilevante è stato lo spazio concesso, nei sempre più frequenti recital, a poeti d’ogni età e Paese, soprattutto alle consentanee cantiche dantesche. È stato sposato con le attrici Nora Ricci (da cui nel 1945 ha avuto la figlia Paola, anch’essa attrice), Shelley Winters, Diletta D’Andrea.

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Ruggero Ruggeri

Paolo Stoppa

Rina Morelli

Benigni, Roberto

Roberto Benigni è un attore, regista, scrittore e sceneggiatore italiano.

Roberto Benigni è un attore, regista, scrittore e sceneggiatore italiano. Numerosi i riconoscimenti che l’hanno portato fino alle vette più alte di Hollywood, diventando l’unico interprete maschile italiano a ricevere l’Oscar come Miglior attore protagonista. Sin dai suoi esordi, alterna le sue apparizioni su palcoscenici teatrali, set cinematografici e studi televisivi. Così Roberto Benigni si è imposto nel panorama dello spettacolo italiano come una figura di riferimento senza eguali, in virtù della sua esuberanza e gioiosa irruenza.

Roberto Benigni biografia: gli esordi tra teatro e televisione

Roberto Remigio Benigni nasce a Castiglion Fiorentino, un piccolo paese della Toscana, il 27 ottobre 1952, dai contadini Luigi Benigni e Isolina Papini. Dopo un’esperienza in seminario e il diploma da ragioniere, comprende che la sua vera passione è una sola: lo spettacolo. La decisione di tentare la carriera di attore avviene nel 1972. A vent’anni, con la sola chitarra per bagaglio, lascia la Toscana e si trasferisce a Roma, insieme agli amici fedeli, Donato Sannini, Carlo Monni e Lucia Poli.

Dopo alcune comparsate in televisione (Le sorelle Materassi) e in ruoli secondari, è Giuseppe Bertolucci a “scoprirlo”. Nel 1975, gli cuce addosso all’Alberichino di Roma, il teatro più off dell’epoca, il monologo Cioni Mario di Gaspare fu Giulia. Sotto la luce di una nuda lampadina, le mani in tasca, il giovane raccontava la sua grama vita di paese, il sesso, gli amici, il partito, la madre morta, con una smisurata esuberanza gestuale e soprattutto verbale.

Fu il successo immediato e crescente che, dalla saletta del teatro d’avanguardia, portò in tutta Italia il monologo di  Roberto Benigni. Bertolucci trasformò lo spettacolo in un film, Berlinguer ti voglio bene, divenuto nel tempo un vero e proprio cult. La popolarità più estesa però arrivò con la televisione, grazie a un programma domenicale di Renzo Arbore, L’altra domenica, in cui Roberto Benigni si fingeva critico di cinema.

Film Benigni: l’esordio alla regia, Nicoletta Braschi e Massimo Troisi

Per il suo debutto alla regia bisogna aspettare il 1983, quando dirige e interpreta Tu mi turbi. È durante le riprese di questo film che Roberto Benigni conosce Nicoletta Braschi che diventerà sua moglie nel 1991 e che da quel momento sarà praticamente presente in tutti i film diretti dal marito.

Da quel momento in poi Benigni recita sempre più spesso in film da lui stesso scritti e diretti. Nascono così Non ci resta che piangere, accanto a Massimo Troisi, Il piccolo diavolo, con Walter Matthau, Johnny Stecchino e Il mostro. Tutti film che ottengono un vasto successo tra il pubblico italiano.

Roberto Benigni in Il mostro
Roberto Benigni in Il mostro

Da allora Benigni alterna l’attività cinematografica a quella teatrale. Ed è ancora Giuseppe Bertolucci a filmare con Tuttobenigni un’antologia dal vivo delle esibizioni del comico condotte in varie piazze d’Italia. Un a solo a ruota libera, in cui sferzanti battute si susseguono impietose a colpire personaggi e fatti d’attualità, spaziando dagli aspetti della ritualità cattolica ai vizi e alle ipocrisie della società e del potere politico.

L’Oscar e il successo internazionale con La vita è bella

Nel 1998 firmerà il suo capolavoro, La vita è bella, la storia del cameriere ebreo Guido Orefice che finisce in un campo di concentramento con moglie e figlio e che cerca di mascherare volontariamente la realtà dei fatti al proprio bimbo. È un progetto ambizioso che gli assicurerà il successo internazionale. Grazie a La vita è bella, Roberto Benigni vince l’Oscar come migliore attore, premio che va a ritirare dalle mani di Sophia Loren, camminando sulle poltroncine della sala. Al film, in una notte indimenticabile per il cinema italiano, vanno anche altre due statuette: quella per il miglior film in lingua straniera e quella per la musica di Nicola Piovani.

Roberto Benigni e Nicoletta Braschi in La vita è bella
Roberto Benigni e Nicoletta Braschi in La vita è bella

Pinocchio, il film più costoso del cinema italiano

Nel 2002 porta sullo schermo la storia del burattino Pinocchio di Carlo Collodi, di cui è regista e attore protagonista. La pellicola si rivelerà il film più costoso della storia del cinema italiano (45 milioni di euro). In Italia il film ottenne ottime recensioni da parte della critica aggiudicandosi due David di Donatello,un Nastro d’argento e uno strepitoso successo al botteghino. Nel resto del mondo, e in particolare in Usa, il film fu invece un flop.

Il Dante Alighieri di Roberto Benigni

Benigni si è impegnato anche come lettore, interprete a memoria e commentatore della Divina Commedia di Dante Alighieri, in un tour Tutto Dante, spettacolo che parte da piazza Santa Croce a Firenze nell’estate 2006 per girare molte piazze e teatri italiane per approdare poi su RaiUno in 14 serate di grande successo. Nelle vesti di divulgatore ha, inoltre, recitato il Canto degli Italiani, i principi fondamentali della Costituzione della Repubblica Italiana e i dieci comandamenti biblici ricevendo consensi di pubblico e critica.

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Franco

Pippo Franco inizia la carriera a metà degli anni ’60 come musicista, animatore di complessi beat dai nomi zoologici, I gatti e successivamente I pinguini. È autore e interprete di canzoni che propone nei locali di cabaret di Roma e Milano. Il suo disco Vedendo una foto di Bob Dylan (1968) ottiene anche un buon risultato di vendite. Nel 1967 si mette in luce nel cast di Viola, violino e viola d’amore di Garinei e Giovannini. Esordisce intanto anche sullo schermo televisivo in spettacoli di varietà come Diamoci del tu (1967) e Roma quattro (1967). Nel 1969 entra stabilmente nella compagnia del Bagaglino di Castellacci e Pingitore dove recita e canta al fianco di Pippo Caruso, Enrico Montesano, Oreste Lionello, Gianfranco D’Angelo e Gabriella Ferri. Prosegue la carriera televisiva con La cocca rapita (1969) e molti altri varietà; ma è con Dove sta Zazà (1973) in coppia con Gabriella Ferri che raggiunge una vasta popolarità. Il successo dei due si ripete con Mazzabubù (1975) e viene immediatamente sfruttato dal cinema in Remo e Romolo-Storia di due figli e di una lupa (1976) e Nerone (1976). Al cinema partecipa a numerosissime commedie (tutte B-movie) come Scherzi da prete (1978), L’imbranato (1979), Il casinista (1980), Attenti a quei P2 (1982), Il tifoso, l’arbitro e il calciatore (1982), Sfrattato cerca casa equo canone (1983), Gole ruggenti (1992), quasi sempre con lo stesso staff di sceneggiatori, attori e registi con cui è attivo al Bagaglino; ma è anche nel cast di brillanti film d’autore come Che cosa è successo tra tuo padre e mia madre? (1972) di Billy Wilder. Nel 1989 insieme a Oreste Lionello e Leo Gullotta rispolvera gli ingredienti del vecchio avanspettacolo (caricatura dei difetti fisici dei politici più noti, scenette derisorie di vita coniugale, battute di scherno di spirito goliardico) per portare la cosiddetta satira politica in televisione nello spettacolo Biberon, programma che cambia titolo in tutte le successive stagioni pur rimanendo perfettamente identico, anche quando dal 1995 passa dalle reti Rai a quelle Fininvest. Ha all’attivo numerose incisioni discografiche sia di canzoni di cabaret come “I personaggi di Pippo Franco” (1968), “Cara Kiri” (1971), “Vietato ai minori” (1981), sia di canzoni per bambini come “Nasone Disco Show” (1981), sia di canzoni dialettali come “C’era una volta Roma” (1979), interpretato in coppia con la exmoglie Laura Troschel.

Navarrini

Con lo pseudonimo Isa Bluette, la giovanissima Teresa Ferrero, dopo il felice esordio a Torino, divenne, alla fine degli anni ’20, capocomica, scoprì Macario, importò lo sfarzo della rivista parigina. E da Parigi importò anche la passerella. In seguito, fece coppia, sulla scena e nella vita, con il comico milanese Nuto Navarrini, in una serie di riviste-operette di successo: Madama Poesia, Poesia senza veli, Il ratto delle Cubane. Nel 1936 va in scena Questa è la verità e il cronista annota: «Uno spettacolo coreografico che appaga l’occhio e suscita ammirazione per lo sfarzo e il buon gusto delle scene e dei costumi». Isa Bluette fu molto ammirata nei suoi ricchi costumi e applaudita vivamente quando cantò con grazia birichina. Navarrini seppe comporre alcune macchiette comiche e buffonesche assai piacevoli suscitando interesse e ilarità. Gran sorriso dentato e capelli impomatati di brillantina con scriminatura centrale, Navarrini, dall’operetta e dall’avanspettacolo – era stato con Gea della Garisenda – passò alla rivista; nel 1939 sposò in punto di morte Isa Bluette e la sostituì presto, come soubrette e come moglie, con Vera Rol. (Navarrini ebbe quattro mogli: la prima fu Sofia Laurenzi, danzatrice classica morta di parto; l’ultima, nel 1972, fu Milena Benigni). Ebbe in compagnia l’esordiente Franco Parenti. L’Italia fascista è in guerra e Navarrini confeziona spettacoli che piacquero assai ai nazifascisti: Il diavolo nella giarrettiera, I cadetti di Rivafiorita (1944-45), che gli meritarono una nomina ad honorem di capitano della milizia Muti. Il comico ringraziò con spettacoli e intrattenimenti extra in onore di repubblichini e agenti Gestapo, infiocchettando i teatri con addobbi propagandistici (Wanda Osiris aveva invece cautamente declinato l’invito ad esibirsi per militari tedeschi e fascisti italiani). L’ultimo, `fascistissimo’ spettacolo della compagnia Navarrini-Rol fu La gazzetta del sorriso con numeri assai graditi: Vera Rol, ballerina applaudita in numeri di nudo, impersonava la povera Italia molestata dagli americani (sotto l’aspetto di un negro violentatore); Navarrini cantava Tre lettere, una canzone di D’Anzi di intonazione violentemente antipartigiana. Venne la Liberazione, Vera Rol fu rapata e esibita come collaborazionista a cranio nudo per tutta Milano; la coppia venne processata e assolta per insufficienza di prove. Nuto alla meta commentarono i giornali, parafrasando il famoso slogan di Mussolini. Dopo anni di forzato riposo, la compagnia Navarrini-Rol si ripresentò in scena (a Roma però, non al Nord) in L’imperatore si diverte di Gelich e Bracchi. N. comparirà nel 1962-63 nella ripresa di Buonanotte Bettina di Garinei e Giovannini con Walter Chiari e Alida Chelli (al posto di Delia Scala). Negli anni precedenti N. aveva tentato un rilancio delle operette, genere teatrale dal quale proveniva.

Cecchelin

Vero attore satirico, Angelo Cecchelin interpretò e portò sulle scene la più genuina anima `batocia’ della sua Trieste. Negli anni ’20 diede vita ad una compagnia, La ganga de le macie, poi diventata La Triestinissima con la quale si esibì fino al 1939 avendo accanto Jole Silvani, uno dei più bei nomi del teatro leggero dell’epoca. Recitò soprattutto nei teatri Filodrammatico e Regina della sua città. Nel 1945 fece una lunga tournée in Italia con la fortunata rivista Trieste mia . Attraverso una serie di lavori sovente scritti in collaborazione (L’avvocato, Nino verzibotega, La festa di siora Aneta, ecc.), diede vita con la sua voce chioccia e una mimica inconfondibile ad una piccola folla di personaggi, vere macchiette (famosa quella del `mulo Carleto’) desunte in particolare dalla illegalità (piccoli truffatori, assidui frequentatori delle camere di sicurezza, balordi). Per la sua comicità caustica e pronta a sbeffeggiare ogni regime conobbe sotto il Ventennio anche il carcere. Pure nel dopoguerra però andò incontro ad amare vicissitudini al punto che gli venne impedito di calcare i palcoscenici triestini e fu costretto a rifugiarsi a Torino.

Franco & Ciccio

Franchi  Franco (Francesco Benenato; Palermo 1922 – Roma 1992) e Ingrassia Ciccio (Francesco I.; Palermo 1923) costituiscono il duo Franco & Ciccio. Hanno formato insieme una indissolubile coppia comica che ha attraversato, brevemente, il poco musical italiano degli anni ’60, e, invece, occupato un posto stabile nel cinema italiano con certe loro parodie, che pur essendo sommarie, e talvolta facili, erano riscattate dalla straordinaria verve dei due interpreti. A differenza delle solite coppie di amici, in cui è presente il comico propriamente detto e la cosiddetta `spalla’, qui, anche se, ufficialmente, la `spalla’ era Ingrassia, i due si muovevano su un altro equilibrio di coppia, basato sulle due differenti mimiche e su un certo tipo di reattività. Franchi, più vicino al clown tradizionale, si stravolgeva tutto in smorfie e cachinni e contorcimenti, I. opponeva a tanta furia fisica una sorta di immobilità vuoi malinconica, vuoi rancorosa. Franchi e Ingrassia, dopo un apprendistato rispettivamente di posteggiatore (cantante che gira per i ristoranti) e di spettacoli di piazza, si incontrarono nel ’57, a Palermo, ed entrarono insieme nel mondo, che ancora esisteva, dell’avanspettacolo e del varietà: quello stesso anno un impresario, Giovanni Di Renzo, li mise sotto contratto e li fece girare nei teatri del Sud. 1960: i due ottengono il premio per i migliori comici di varietà dell’anno. 1961: debuttano a Roma, e attirano l’attenzione di Garinei e Giovannini che li fanno debuttare, nel ’62, in Rinaldo in campo, a fianco di Domenico Modugno e Delia Scala: successo strepitoso. 1963: ancora una commedia musicale, Tommaso d’Amalfi , di Eduardo De Filippo, ancora con Modugno: Franco & Ciccio sono straordinari, ammirati, lodati dalla critica e osannati dal pubblico, ma il musical è un disastro e i due lasciano l’impresa. Dell’attività di Ciccio & Ingrassia restano testimonianze in qualche decina di film e di sketch inseriti in film a episodi, uno fra tutti Kaos dei fratelli Taviani. Per Ingrassia si ricorda anche la sua partecipazione in Amacord di Fellini e in palcoscenico la novella di Pirandello Effetti di un sogno interrotto (1995).

Boldi

Il battesimo di Massimo Boldi nel mondo dello spettacolo lo fa da batterista, suonando nelle sale da ballo di mezza Italia con suo fratello Fabio nel complesso ‘La pattuglia azzurra’. Nel 1969, grazie ad una fortunata coincidenza, è costretto ad accettare una sostituzione al mitico Derby Club. È qui che incontrerà, il duo Cochi e Renato e Teo Teocoli entrando nel cast della Tappezzeria di E: Jannacci e B. Viola. Dopo una partecipazione a Canzonissima (1974) il varietà televisivo che lo rende noto al grande pubblico è A tutto gag (1980). In questa trasmissione di Raidue B. interpreta alcuni dei suoi personaggi più famosi come Max Cipollino, un improbabile mezzobusto televisivo o il cuoco toscano «contrario alla pentola a pressione». Sempre in televisione, su Antenna 3, conduce il programma Non lo sapessi ma lo so (1982) dove si forma la coppia con Teo Teocoli per poi passare a Canale 5 nel fortunatissimo Drive in (1983). Se l’attività televisiva gli ha regalato la notorietà presso il grande pubblico, permettendogli di esprimere la sua comicità demenziale, intensa è stata anche la sua attività cinematografica. Già nel 1976 partecipa, insieme a molti dei cabarettisti del Derby di Milano, a Sturmtruppen di Salvatore Samperi, replicato da Sturmtruppen 2, debolissime trasposizioni cinematografiche delle strisce di Bonvi, che peraltro firma la sceneggiatura del secondo episodio. Il successo cinematografico per B. arriva con i film natalizi dei fratelli Vanzina e di Enrico Oldoini e la serie di A spasso nel tempo (1996). Da segnalare il tentativo di B. di proporsi come attore drammatico nel poco felice Festival (1997) di Pupi Avati.

Teocoli

Teo Teocoli inizia la sua carriera nell’ambiente della musica leggera e dopo aver girato diversi gruppi entra nel Clan di Celentano. Negli anni ’70 con la nascita del Derby, una fucina di grandi talenti capitanati da Cochi e Renato, Teocoli vive la fase determinante della sua formazione artistica e umana. Tra i mille aneddoti della sua carriera vale la pena ricordare la sua partecipazione come ballerino nella versione italiana di Hair. In coppia con Massimo Boldi raggiunge la popolarità e il successo oltre che nel mondo del cabaret anche in televisione e sul grande schermo. Il suo dinamismo, le doti canore e d’improvvisazione e l’irresistibile mimica fanno di lui a buon titolo uno dei comici italiani più amati dal pubblico di tutte le età. I suoi personaggi, con il loro slang e una mimica irresistibile, sono entrati nell’immaginario collettivo grazie alla tv (Drive in, Emilio, Mai dire gol): da Peo Pericoli a Felice Caccamo, da Gianduia Vettorello all’imitazione di Miguel Indurain e Ray Charles.

Banfi

Primo nome d’arte fu Lino (diminutivo di Pasquale) Zaga (cognome accorciato). Su indicazione di Totò, che riteneva malaugurante un cognome mutilato, Zaga venne sostituito da Banfi, pescato a caso in un registro di alunni da un insegnante nonché impresario d’avanspettacolo e marito di soubrette. Nato ad Andria e cresciuto a Canosa, sempre in provincia di Bari, Lino Banfi ha affidato e affida le risorse della sua comicità irruente e immediata a quel dialetto pugliese che divarica e stravolge le vocali, ereditando così un linguaggio portato al successo, sullo schermo e in palcoscenico, negli anni ’40-50 dal caratterista Guglielmo Inglese. Esordì come cantante di feste musicali e attore di fotoromanzi (vinse in gioventù un concorso di bellezza e fotogenia…). Poi, a diciotto anni, nel 1954, tentò senza fortuna, a Milano, l’avventura in teatro di varietà. Patì fame vera, se (lo scrive nel volume autobiografico Alla grande! , 1991) all’epoca si fece ricoverare in ospedale per farsi togliere le tonsille, pur di procurarsi per qualche giorno un letto e un pasto. Si trasferì a Roma nel ’57 e qui cominciò la carriera di comico di spettacoli di varietà: quattordici anni di avanspettacolo, in compagnie di `scavalcamontagne’, cioè sempre in disagiate tournée: formazioni composte da comico, soubrette, ‘spalla’ solista (cantante o virtuoso di qualche strumento, tromba o armonica o batteria) e infine ‘dodici belle gambe dodici’, il balletto. Per molti anni, impegnato solo negli ‘spezzati’: cioè nelle recite di fine settimana, il venerdì e il sabato tre rappresentazioni incastrate tra le proiezioni di un film, e la domenica ben quattro recite. Lino Banfi rievocherà efficacemente quel mondo interpretando, nella stagione 1993-94, la rivista Arcobaleno , scritta con Dino e Gustavo Verde e allestita dal coreografo Gino Landi; nel cast, Angiolina Quinterno e Gian (Gianfabio Bosco), anch’egli vecchia gloria, in coppia con Ric (Riccardo Miniggio), dell’avanspettacolo. Di notevole intensità è la sua interpretazione di Vespro della Beata Vergine di Antonio Tarantino diretto da Chérif (1995). Dopo il teatro e il cabaret, B. è diventato un personaggio della televisione, nel ruolo di conduttore di programmi di vasta audience, da Risatissima (1985) a Stasera Lino (1988), a Il Caso Sanremo (1990), con Renzo Arbore. Ha girato molti film `serial’, un mix di comicità e sexy, avendo come partner Edwige Fenech e altre maggiorate. Nel film Vieni avanti, cretino! (incipit delle scenette con i fratelli De Rege), diretto da Luciano Salce, ha rievocato con l’affetto della memoria la sua milizia sulle passerelle dell’avanspettacolo.

Macario

Interprete di una comicità dal candore surreale, Eminio Macario fu la maschera italiana che più si avvicinò all’ingenuità e ai modi di Charlot ma dotata, per il palcoscenico, della parola funambolica dei fratelli Marx. In realtà ogni definizione risulta riduttiva ed incompleta, sebbene lusinghiera, per l’uomo la cui testa, a detta di Petrolini, valeva un milione; e tanto valeva quella testa con il famoso ricciolino sulla fronte, da far erigere in onore di Macario quel monumento in vita che furono le vignette a lui ispirate pubblicate dal “Corriere dei piccoli”. Cominciò a recitare fin da bambino nella filodrammatica della scuola e a diciotto anni entrò a far parte della prima compagnia di `scavalcamontagne’ (così erano chiamate le formazioni di paese che recitavano drammi e farse nei giorni di fiera). A ventidue anni venne scritturato nella compagnia di `balli e pantomime’ di Giovanni Molasso col ruolo di secondo comico e debuttò al Teatro Romano di Torino con le riviste Sei solo stasera e Senza complimenti. Dal settembre 1924 fu a Milano con Il pupo giallo e Vengo con questa mia di Piero Mazzuccato, Tam-Tam di Carlo Rota e Arcobaleno di Mazzuccato e Veneziani. Nel 1925 compie il primo grande salto entrando nella compagnia di Isa Bluette col ruolo di comico grottesco debuttando a Torino con la rivista Valigia delle Indie di Ripp e Bel-Ami.

Macario rimase con la Bluette per quattro anni acquistando via via sempre maggior notorietà finché, ottenuto il nome in ditta, e avendo firmato nel 1929 la prima rivista come autore ( Paese che vai , in collaborazione con Chiappo), il comico torinese formò una sua compagnia di avanspettacolo con cui girò l’Italia dal 1930 al ’35. Nel 1937 scritturò Wanda Osiris e mise in scena una delle prime commedie musicali italiane, Piroscafo giallo , di Bel-Ami, Macario e Ripp, debuttando al Teatro Valle di Roma. A partire da questa data si ripresentò ogni anno con una nuova rivista dai cui palcoscenici fece conoscere i volti e le qualità di molte attrici brillanti tra cui Lily Granado, Marisa Maresca, Isa Barzizza, Lauretta Masiero, Dorian Gray e Sandra Mondaini. Parallelamente, ad una prima e sfortunata esperienza cinematografica con Aria di paese (1933), fece seguito nel 1939 il grande successo di Imputato alzatevi! per la regia di Mario Mattoli, recante nella sceneggiatura le firme della redazione del “Marc’Aurelio”, il bisettimanale umoristico che schierava nomi dal futuro luminoso quali Maccari, Mosca, Metz, Steno, Marchesi e Guareschi. Con questo film per la prima volta nella storia del cinema italiano si può parlare di comicità surreale.

«Mi dicono – dichiarò a tal proposito l’attore nel 1974 – che io facevo Ionesco quando Ionesco quasi non era nato, e d’altronde io lo so… sono sempre stato un po’ lunare». Seguirono poi in un’ideale trilogia dei tempi di tirannide: Lo vedi come sei… lo vedi come sei? (1939), Il pirata sono io (1940) e Non me lo dire! (1940). Ma la sua formula spettacolare, al di là del successo sul grande schermo che continuò ad arridergli con nuovi picchi, come nel campione d’incassi Come persi la guerra (1946), fu sempre più adatta al teatro di rivista e alla commedia musicale, là dove le prepotenze della sua spalla Carlo Rizzo esaltavano la sua candida genialità, e là dove il contrasto fra l’innocenza della propria maschera e il sottinteso erotico delle sue famose `donnine’, mostrava tutta la propria efficacia. Si ricordano fra le altre Amleto, che ne dici? (1944) di Amendola e Macario, Oklabama (1949) di Maccari e Amendola, La bisbetica sognata (1950) di Bassano con musiche di Frustaci, Made in Italy (1954) di Garinei e Giovannini, Non sparate alla cicogna (1957) di Maccari e Amendola, Chiamate Arturo 777 – (1958) di Corbucci e Grimaldi. Macario ha incarnato la maschera di una comicità innocente quanto lieve, poeticamente sospesa fra le pause, lo sbarrarsi stupito degli occhi e la salacità dissimulata delle battute, un caso pressoché irripetibile, per ragioni storico-geografiche, di humour piemontese assurto con meritato clamore a dimensioni nazionali.

Albanese

Dotato di grandi capacità mimiche ed espressive, Antonio Albanese ottiene successi sia in teatro che in cinema e televisione. Si forma alla Scuola d’arte drammatica ‘P. Grassi’ al fianco di registi teatrali appartenenti all’area della sperimentazione e della cultura meno tradizionale come Dario Manfredini, Gabriele Vacis, Jesus Carlos Martín, Santagata e Morganti e Giampiero Solari. Dopo una breve ma folgorante stagione al cabaret Zelig di Milano, A. raggiunge il grande pubblico televisivo grazie a Su la testa di Paolo Rossi (1993) nei panni dei suoi famosissimi personaggi Alex Drastico (il meridionale spocchioso) e Epifanio (il suo poetico e insicuro contraltare, eredità di un suo precedente studio teatrale), due tipi che si inseriranno ben presto per i modi di dire e di muoversi nel linguaggio comune. Anche a teatro i suoi personaggi ottengono grandi consensi di critica e di pubblico e il suo spettacolo Uomo (1992), che lo vede unico interprete in scena, verrà ripreso nel 1994 registrando il tutto esaurito in ogni piazza per ben due stagioni. Continua a alternare televisione (Mai dire gol) e palcoscenico: nel 1994 interpreta la commedia di Francesco Freyrie Salone meraviglia con Vito e Tita Ruggeri, diretto da Daniele Sala. Nel 1997, dopo essere stato protagonista del film Vesna va’ veloce di Carlo Mazzacurati, affronta al cinema nella doppia veste di regista e interprete Uomo d’acqua dolce e inizia una fortunata tournée con il nuovo spettacolo teatrale Giù al nord di cui firma, assieme a Michele Serra ed Enzo Santin, la drammaturgia, mentre la regia è di Giampiero Solari. A. è anche autore del libro Patapim e Patapam che raccoglie alcuni suoi monologhi.

Marenco

Scoperto da Boncompagni e Arbore nel 1965 come ospite del programma L’altra radio, nel 1970 Mario Marenco è entrato nella banda di Alto gradimento, in questo popolarissimo programma elaborò i personaggi del colonnello Buttiglione, del poeta surreale Marius Marencus e dell’insopportabile ragazzaccia da marito Sgarrambona. Nel 1976 apporda in tv sempre con Arbore, inventando telecronache improbabili nei panni di Mister Ramengo. Tutti i suoi personaggi arrivarono in teatro nel 1978 ma non ebbero fortuna. Il successo continuò invece in tv con il goffo Riccardino di Indietro tutta (1987-1988).

Gnocchi

Laureato in Giurisprudenza, Gene Gnocchi si esibisce fin da studente con il suo gruppo comico-musicale dei Desmodromici. La svolta avviene nel 1989, anno del suo arrivo allo Zelig di Milano (in coppia con il fratello Charlie) dopo aver vinto il concorso Zanzara d’oro a Bologna. Con le sue strampalate storie raccontate con la sua inconfondibile `erre’, l’attore rivela una comicità sottile, colta, con punte di cinismo e freddure degne della scuola inglese, diventando un’intelligente presenza degli ultimi anni. Dopo aver sfondato con contenitori televisivi ( Vicini di casa, Emilio, Il gioco dei nove in coppia con Teo Teocoli, Scherzi a parte), ritorna agli spettacoli dal vivo nelle vesti di comic-rocker nei gruppi Cuky & Domopaks, Gettons Boys, con cui incide un disco, e Gionni Rockstar & Snakes, mentre è un divertente `monologhista teatrale’ in Blackout, Tutta questa struttura è suscettibile di modifica (1995) e Decathlon (1996), performance che mettono in luce anche le sue doti di autore.

Bramieri

Con la sua aria di buon lombardo, con il suo sorriso a cinemascope, con la sua straripante voglia di divertire sempre e comunque, Gino Bramieri è stato l’ultimo paladino della risata liberatoria senza doppio fondo, l’ultima gloria del vecchio mondo del varietà e della rivista. Talento multimediale in anticipo sui tempi (teatro, radio, tv, rivista, prosa, quindici dischi e ventiquattro film di consumo comico usa e getta), Gino Bramieri nacque in via Madonnina e visse a Porta Garibaldi, nella Milano di ringhiera col naso all’insù verso il Teatro Fossati, tempio dell’avanspettacolo e della operetta. Incominciò con l’entusiasmo del dilettante e del dottor Jeckyll: impiegato di banca di giorno, intrattenitore alla sera, fin da subito portato per la barzelletta, dettaglio non secondario dell’arte di intrattenere il pubblico. Tempi eroici, anche perché Gino Bramieri, che ai tempi della guerra fu deportato in Austria, si salvò vestendosi da donna, proprio come in uno sketch che poi avrebbe ripetuto all’infinito e con sottile bravura, forse anche per affetto all’insolito destino. Una carriera iniziata dunque davanti ai volti truci delle SS e continuata poi a Milano, dove inizia a calcare l’avanspettacolo che è il 1945. Le compagnie erano quelle classiche: Tognazzi, Maldacea, Scotti, Di Napoli, Inglese. Nell’autunno del 1948, a parte il precoce matrimonio, il salto di qualità avviene con la scrittura per la compagnia di Macario, che l’aveva visto e preso, sua unica scoperta maschile: Votate per Venere ha grande successo in Italia e l’anno dopo, nella stagione 1949-50, fa una tournée di sette mesi a Parigi. È il via a una lunga carriera brillante che da allora non avrà più soste. Gino Bramieri si raffinerà nei tempi e nella tecnica, ma non conoscerà mai cali di popolarità, conquistando ogni pubblico disponibile al gran successo d’ilarità.

«In cinquanta anni di carriera’» disse il comico «ho contato trentadue combinazioni per far ridere, sempre quelle: basta metterle insieme in un certo modo». Al milanesone classico danno fiducia le romanissime sorelle Nava che nel ’50 lo scritturarono in Davanti a lui Tre Nava tutta Roma con un pool di giovani attori dotati e fra loro complementari: Pelitti, Conti, Cajafa, Pisu, Bonagura e lui, il Gino Bramieri extra large, costretto ad alcuni tempismi e sketch obbligatori, distinguendosi per la circonferenza: ma il peso non gli negò mai, miracoli della forza di gravità del palcoscenico, la grazia del suo famoso saltino da libellula. Una lista infinita di spettacoli di sicuro impatto: nel 1952-53 sta con Walter Chiari in una buona rivista da camera, Controcorrente ; nel 1954-55 è con Tognazzi e Dorian Gray in Passo doppio, cui segue l’ingresso nella ditta di Garinei e Giovannini con cui resterà legato per oltre vent’anni, dopo altre esperienze, in esclusiva. Il primo spettacolo è un’operetta musicale con Osiris-Billi-Riva, La granduchessa e i camerieri , in cui Gino Bramieri ha il classico ruolo del `cumenda’ lombardo che deve comprare una proprietà. Resta con la Wanda anche nelle stagioni seguenti, le meno fortunate della grande soubrette che rappresentava comunque un mito, formando un trio comico ben assortito con Vianello e Durano: Okay fortuna (1956-57) e I fuoriserie (1958-59), spettacoli non privi di alcune vicissitudini economiche. Forma poi un altro trio giovane con Vianello e la Mondaini (frattanto sposi) in un musical fortunato come Sayonara Butterfly (1958-59), seguito dal meno riuscito Un juke box per Dracula, rivista in cui un’innocente strofetta anti fanfaniana fece stare una notte sotto scorta i tre nomi `in ditta’: censura d’allora.

Attore anche di prosa comica, Gino Bramieri si allea poi con la Volonghi e Grazia Maria Spina in Un marito in collegio di Guareschi (1960). Seguì il primo boom di popolarità vera, nel sodalizio televisivo con la Del Frate e Pisu per il varietà di culto L’amico del giaguaro. In scena, dal 1964, il nuovo trio – struttura comica che si ripete e si rinnova nel tempo, adatta alla singolarità anche fisica del B. prima della dieta – porta in scena con allegria, in tournée capillari, con orchestra dal vivo, alcune riviste tradizionali: Italiani si nasce di Faele (1964-65), Hobbyamente (1964-65), L’assilllo infantile di Marchesi (1966-67) e La sveglia al collo (1967-68), prototipo del varietà con piccola satira politica e imitazioni incorporate. Gino Bramieri è irresistibile nella caricatura di Edith Piaf, alla fine della quale faceva volare in sala una parrucca: finì che una sera, una signora, partorì in teatro per il gran ridere. Nel 1969-70-71, accanto a Milva, col musical Angeli in bandiera , in cui è un divertente pappone, rientra con Garinei e Giovannini per vent’anni di esauriti in rivista e prosa: ed è subito un bel successo personale, uno strano binomio con Milva, un utilizzo diverso e più discreto della sua vis comica. Intanto Gino Bramieri dimagrisce di quaranta chili (e lo racconta in un libro), passa a interpretare non solo sketch con epicentro la Lombardia, ma anche traduzione di famose farse e commedie brillanti americane, cui aggiunge sempre un tocco della sua personalità: Lo sai che non ti sento mentre l’acqua scorre di Anderson, nel 1968; nel 1972 Povera Italia! di Bobrick e Clark, odissea di un padre piccolo borghese che si scopre un figlio gay. Ma tra i grandi successi che stanno in equilibrio tra la prosa e la rivista vanno citati Cielo, mio marito! , conferenza sull’adulterio di Marchesi e Costanzo (1973) con la Colli; Anche i bancari hanno un’anima , gustosa pochade inter-coniugale di Terzoli e Vaime, con la Tedesco e una brava Valeria Valeri (1977-79).

Ma lo spettacolo migliore della sua carriera, replicato ovunque con delirio di folla dal 1975 al 1977, è Felicibumta (felicità con un colpo di tamburo, come recitavano in coro alla fine le compagnie di avanspettacolo), sempre di Terzoli e Vaime, diretto, con la perfezione delle occasioni migliori, da Garinei e Giovannini. Si tratta di un amarcord dei tempi della rivista attraverso la confessione in flash back di un attore di varietà che fa rivivere i vecchi tempi e ringiovanisce per un attimo le sei soubrette della sua vita, ora attempate: in queste vesti nostalgiche ma complete di barzellette in passerella finale, Gino Bramieri è bravissimo e svolge un compito antologico comico e teatrale ad altri impossibile. Nel 1982-83, sempre con i fedeli Terzoli e Vaime, recita La vita comincia ogni mattina , cui segue un ambizioso, sfarzoso, curioso, ma poco gradito tentativo di musical settecentesco ispirato al Borghese gentiluomo: Pardon, Monsieur Molière , di cui Garinei lamenta oggi l’eccessivo scrupolo di fedeltà. Dal 1985 al 1987 è l’attore in crisi protagonista di Sono momentaneamente a Broadway , indi mette in scena Una zingara m’ha detto (1987-89), spesso testi interscambiabili, variazioni sul tema Bramieri. L’ultimo capitolo della sua carriera, sei anni di successo, sono dedicati alla coppia con il giovane entertainer e fantasista siciliano Gianfranco Jannuzzo, e per questo fortunato alunno l’ormai maestro B. mette in scena lo spiritoso Gli attori lo fanno sempre di Terzoli e Vaime, seguito dal mediocre Foto di gruppo con gatto e da Se un bel giorno all’improvviso (buona satira della tv che entra nel privato), due titoli in cui si inserisce la verve verace di Marisa Merlini. L’ultimissimo show di Bramieri, allestito sulle sue misure comiche e sul suo desiderio di comunicare ancora col pubblico dopo una lunga malattia, ma recitato solo in poche piazze prima della sua scomparsa, porta un titolo beneaugurante, Riuscite a farvi ridere . Garinei scrive per il suo attore preferito, per l’amico e fratello di scena, e per Enzo, il vero fratello, una `summa’ del teatro di varietà e dei numeri famosi di Gino, che ancora una volta, l’ultima, si veste da donna.

Bramieri ha alternato i generi e in prosa ha recitato anche la leggendaria farsa della Zia di Carlo, I dent dell’eremita di Terron, mentre in tv lavorò con Albertazzi, Calindri e la Toccafondi in Addio giovinezza, seguito da Una ragazza indiavolata , Esami di maturità con la Lazzarini, Ti conosco mascherina, Il signore delle cinque, Lieto fine, I tre Maurizii . Ma sul piccolo schermo interpreta nel 1971 anche versioni tv di celebri successi teatrali come Un mandarino per Teo e Mai di sabato, signora Lisistrata , entrambi accanto a Milva, che dava profondità di campo sonoro alle musiche di Kramer. Un record storico del varietà tv sono poi le settantadue puntate dell’Amico del giaguaro, le tre edizioni della Biblioteca di Studio Uno, le innumerevoli partecipazioni a serate, Batto quattro , che si replica alla radio per undici anni; e infine il mitico varietà `one man show’ G.B. Show , gioco di iniziali, in onda dal 1982 al 1988 sotto l’egida di Garinei, mentre nel ’92 partecipa anche al Festival di Sanremo . B. recupera le origini e le tradizioni culturali del teatro leggero con le sue belle retoriche di polvere di stelle (caffelatte e pailettes, come dice un refrain di una sua rivista). La sua specialità era il tu per tu col pubblico, quando il suo talento sfocia nel piccolo capolavoro dialettico che è il racconto delle barzellette. B. era un uomo felice solo quando arrivava l’ora dell’ingresso in scena: l’ultimo ad avere nel suo codice genetico i doni del Gran Varietà, l’eco di una risata senza tempo.

Roversi

Patrizio Roversi fonda insieme alla moglie Syusy Blady il Gruppo del Pavese con cui negli anni Ottanta produrrà una serie di spettacoli comici che saranno i prodromi della sua successiva carriera televisiva. Infatti, sarà la televisione, grazie a varietà come Lupo solitario (1987), a rendere celebre la coppia comica che raggiungerà il proprio culmine nel fortunato e intelligente Turisti per caso . Nato come una serie di reportage per Mixer (stagione 1994-95) il programma alterna a interessanti informazioni turistico-culturali, delle ironiche e sentite analisi social-politiche, curate da Roversi, sulle abitudini e sulle manie del turismo di massa.

Frassica

Nino Frassica raggiunge la popolarità con Renzo Arbore e la fortunata trasmissione televisiva Quelli della notte (1985) e poi con Indietro tutta (1986-87). Inventore di un linguaggio strampalato che sovverte ogni minima regola grammaticale e deforma le parole creando un linguaggio parallelo pubblica Sani Gesualdi , Terzesimo Libro Sani Gesualdi , Il manovale del bravo presentatore , e Come diventare maghi in 15 minuti . Sporadiche le apparizioni in teatro ( L’aria del continente 1987 diretto da Calenda e Le 23.20 per la regia di Quartucci a Taormina Arte), mentre sul fronte cinematografico si ricorda un adattamento di L’aria del continente (1993).

Luttazzi

Uno dei più acuti e brillanti autori-attori comici degli anni ’90. A soli 14 anni Daniele Luttazzi riceve una targa d’argento dll’Unesco per un cortometraggio animato dal titolo Flic sulla luna. Con un passato di vignettista a “Tango”,Luttazzi è anche uno dei fondatori di “Comix”. Vince `La zanzara d’oro’, il concorso per nuovi comici, con uno dei suoi esilaranti monologhi, in seguito è invitato come opinionista per un’estate a Maurizio Costanzo Show , ottimo trampolino di lancio per molti personaggi. Le sue battute, alcune dirette, altre più sottili, ma non per questo meno efficaci, colpiscono per la loro analisi lucida e spietata della realtà. Politica, pedofilia, pornografica, elezioni, chiesa, il Papa… Luttazzi alla sua prima partecipazione televisiva (Fate il vostro gioco Raidue 1989), viene censurato a causa di alcune battute sui socialisti, così come accade pure per il programma Banane (Telemontecarlo 1990) per la perfida parodia di Gigi Marzullo alle prese con un’intervista a Hitler, Gesù e la Morte. Con un grande successo sia in Radio ( Onde Comiche , Radiodue, 1992) che in tv con le rubriche contenute nel programma cult di Raitre Magazine 3 ( Sesso con Luttazzi , La Piccola Biblioteca , La cartolina di Luttazzi ). Luttazzi è anche autore di monologhi teatrali, tra cui: Non qui, Barbara, nessuno ci sta guardando (1990), Chi ha paura di Daniele Luttazzi? (1991), e Fate entrare i cavalli vuoti (1992). Con al suo attivo alcuni best sellers tra cui Va dove ti porta il clito , parodia del famoso libro di Susanna Tamaro Va dove ti porta il cuore , da cui trae un divertente spettacolo teatrale (1996-97), interpreta diversi personaggi di grande successo in tv nella tramissione Mai dire gol . (Italia 1). In parallelo alla pubblicazione di Tabloid, l’artista porta in tournée (1997-98) il suo omonimo spettacolo teatrale.

Storti

Dal 1985, anno di nascita dello storico Comedians di Gabriele Salvatores per il Teatro dell’Elfo, la carriera di Alberto Storti si divide tra teatro e tv. In teatro, oltre ad alcuni lavori drammatici, partecipa con Paolo Rossi a Le visioni di Mortimer e L’opera da due lire. In tv è nel cast di Su la testa! con Paolo Rossi (1992), in cui interpreta un improbabile orchestrale pugliese, e Cielito lindo con Claudio Bisio (1993), dove Storti è il nordico-leghista Alfio Muschio, il nero bergamasco che ama Bossi e conquista le piazze italiane all’urlo di «Drogati, comunisti!». Dopo il tour con i musicomici ‘C’è quel che c’è’, l’artista conferma la sua popolarità con il suo passaggio a Mai dire gol (1995-96) dove affianca al `leghista di colore’, suo cavallo di battaglia, un altro personaggio, il Conte Uguccione, un nobile fiorentino playboy dal linguaggio decisamente triviale, rielaborazione di un personaggio nato nello spettacolo Café Procope diretto da Salvatores, e la azzeccata parodia di uno scrittore pulp. Nel 1997-98 è tra i protagonisti di Scatafascio.

Covatta

Giovanni, detto Giobbe Covatta ha debuttato come cabarettista in coppia con Victor Hugo Satta, il nome del duo era il Bagagliaio, esibendosi nei villagi turistici e arrivando al Derby nelle ultime stagioni. È allo Zelig che da solo, indossando un saio, coglie uno strepitoso successo grazie alla sua particolare interpretazione della Bibbia (il suo libro Parola di Giobbe ha venduto un milione di copie), l’attore alterna le sue apparizioni tra tv e teatro. Dopo Parabole iperboli (Teatro Ciak, Milano 1991) e il seguente Aria condizionata (1992), in collaborazione con Greenpeace riprende il precedente Aria condizionata con l’aggiunta del nuovo monologo-argomento del sottotitolo: e le balene da mo’ che stanno incazzate… . La sua attività teatrale prosegue poi con Primate assoluto (1995) e con Io e Lui (Teatro Parioli, Roma 1996) in coppia con Francesco Paolantoni e la regia dell’autore Vincenzo Salemme. Nella stagione 1996-97 è in tournée con lo spettacolo Art diretto da Ricky Tognazzi. Dal 1994 è membro dell’Amref (Fondazione africana per la medicina e la ricerca).

Iacchetti

Enzo Iacchetti inizia la sua carriera come cabarettista nel 1979, debuttando al Derby club di Milano e passando poi allo Zelig. Nel 1986 incontra il piccolo schermo: lo ricordiamo come ospite assiduo del Maurizio Costanzo Show , dove raggiunge una vasta popolarità grazie alle canzoni ‘bonsai’, e dal 1994 al ’98 come conduttore, con Ezio Greggio, in Striscia la notizia . Nel frattempo continua la sua attività di attore teatrale, iniziata nel 1989 come protagonista di due farse di Dario Fo: seguono Troppa salute (1991), Don Chisciotte, la vera storia di Guerino e suo cugino di Daniele Sala e Francesco Freyrie, spettacolo del 1992 ripreso nel ’97, Il colore del miele (1995) e Il grande Iac, in scena dal febbraio 1998.

Trettré,

I Trettré iniziano alla fine degli anni ’70 nel cabaret – girando per i locali notturni e le discoteche della penisola – e approdano presto alla tv. Durante la gavetta hanno modo di riprendere e `riverniciare’ gli schemi dell’avanspettacolo, ma non sempre sono all’altezza. Partecipano nel 1980 ai programmi di Raitre Il barattolo , Lo scatolone e Il ponte sulla manica. La notorietà arriva nel 1983 con la partecipazione alla trasmissione Drive in (1983-1985). Nel 1986 approdano a Retequattro con Un fantastico tragico venerdì e Che piacere averti qui. Nel 1989 sono gli interpreti della sit-com I-taliani , scritta dallo stesso Setaro e da Lorenzo Beccati. Nel 1991 i tre sono al Tg delle vacanze di Retequattro e partecipano al Festival della canzone demenziale Sanscemo. Dal 1992 al 1994 partecipano a Buona domenica . Nel 1995 il trio è nel varietà Caro bebè . Lo stesso anno recitano in teatro nello spettacolo Avviso ritardo treno proveniente da…

Ponzoni

Cochi Ponzoni inizia a fare cabaret nel 1964, al Cab 64 di Milano insieme a Renato Pozzetto con cui forma lo scintillante sodalizio, durato fino al 1974, che li rende popolari come Cochi e Renato. Dal 1965 i due si esibiscono al Derby Club con Jannacci, Toffolo, Andreasi e Lauzi. Dal 1968 comincia la loro carriera televisiva con Quelli della Domenica , seguito da È domenica, ma senza impegno ; intanto continuano a consolidare nel cabaret le loro gag, anche con l’esperienza al Derby, diventando pionieri di una forma di spettacolo per piazze e discoteche. Nel 1972 è nella messinscena di La conversazione continuamente interrotta di E. Flaiano. Dopo aver partecipato a Canzonissima i due si dividono. P. dal 1974 al 1979 si dedica al cinema con Telefoni bianchi di D. Risi, Il comune senso del pudore di A. Sordi, Bruciato da cocenti passioni di Capitani e Sturmstruppen di Samperi. Dal 1979 lo vediamo a teatro non più soltanto nelle vesti di cabarettista. Lo troviamo protagonista di alcuni spettacoli prodotti dallo Stabile di Trieste, in testi che vanno da Shakespeare a Plauto. Riappare in tv nel 1993 in Su la testa con Paolo Rossi. Nel 1999 ritornerà insieme a Renato in una serie tv, Nebbia in val Padana.

Chaplin

Attorno al 1910 Groucho Marx è di passaggio in una cittadina di provincia per prendere un treno che lo deve portare, con i suoi fratelli, in un’altra piccola località dove ha uno spettacolo. Per ingannare il tempo si reca in un minuscolo teatro di vaudeville ed ha occasione di assistere all’esibizione di un giovane comico in un numero chiamato A Night in an English Music Hall. Strabiliato dal talento dello sconosciuto artista, si reca nei camerini per complimentarsi e fare la sua conoscenza: si tratta di Charlie Chaplin, in tournée in America con la troupe di Fred Karno. Charlie Chaplin è il personaggio che più di ogni altro ha rappresentato il passaggio dallo spettacolo dal vivo a quello riprodotto che ha sconvolto abitudini in precedenza fissate per millenni. Secondo Groucho Marx, e per molti recensori che hanno occasione di vederlo esibirsi dal vivo, è anche il migliore comico che abbia calcato le scene del vaudeville americano.

Charlie Chaplin ha sangue gitano nelle vene (la bisnonna era una zingara di nome Ellen Elizabeth Smith) ed è figlio d’arte. I genitori sono entrambi artisti del varietà inglese. La madre, Hannah Hill, è una cantante di scarso successo, ma il padre riesce ad affermarsi e far pubblicare il suo volto sulla copertina degli spartiti musicali delle sue canzoni, cosa che capita solo agli artisti di una certa notorietà. L`infanzia di Charlie Chaplin, come noto, ricorda un libro di Dickens, con la separazione dei genitori, l’indigenza, la pazzia della madre ed il continuo entrare ed uscire, con il fratello Sydney, dagli istituti di carità londinesi. Charlie Chaplin bambino è costretto a seguire la madre durante i piccoli contratti nei music-hall. Ed è in una di queste occasioni che fa il suo casuale debutto, sostituendola quando è colta da un malore al Canteen di Aldershot, nel novembre del 1894. Il suo entusiasmo nell’intonare una semplice canzoncina è tale da provocare sul palcoscenico una pioggia di monete, che lui si ferma a raccogliere. Invitato a continuare il pezzo risponde «Solo quando avrò tirato su tutto», provocando un altro diluvio di spiccioli. Viene subito attratto dalla personalità degli artisti del varietà. Soprattutto i giocolieri, dotati di una straordinaria resistenza ad ore e ore di prove e sacrifici. Intende dedicarsi alla giocoleria comica e, risparmiato quel tanto che basta per acquistare delle palle di gomma e dei piatti di stagno, passa ore e ore ad esercitarsi.

Il suo debutto ufficiale nel mondo dello spettacolo avviene però nel 1898 con gli Eight Lancashire Lads, un gruppo di otto ragazzini, diretti da William Jackson, impegnati in una vivace danza folkloristica con gli zoccoli. Con loro si esibisce fino al 1900, quando, pare all’Hippodrome di Londra, debutta come attore in Cenerentola, nella parte di un gatto. È un tirocinio importante per il giovanissimo Charlie Chaplin: sono gli anni d’oro del music-hall inglese, nei quali ogni singolo artista deve giocoforza apprendere come costruire alla perfezione il proprio numero, con un inizio, un nucleo centrale, un crescendo ed un coinvolgente finale. Da notare che già in quegli anni crea, con un compagno dei Lancashire Lads, il duo ‘Bristol e Chaplin, I vagabondi milionari‘, che sembra precorrere il personaggio che lo renderà immortale. Nel 1903 con un po’ di impudenza si iscrive ad una nota agenzia teatrale, la H. Blackmore, la quale ben presto gli procura la parte di Billy il fattorino in Sherlock Holmes, che interpreta prima accanto a H. A. Saintsbury e poi a William Gilette, apprendendo molto da entrambi. Sin da subito i critici colgono la sua capacità sottolineandola in pratica in ogni recensione dello spettacolo. Per un po’ rimane senza lavoro poi trova un ruolo in Repairs, uno sketch che racconta delle sfortunate vicende di un gruppo di tappezzieri, imbianchini e idraulici e che si può considerare, come altri del tempo, un precursore dello slap-stick delle prime comiche del film muto. In seguito prende parte a Casey s Court Circus , un numero in puro stile burlesque dove balla, canta e fa un pò di tutto. È molto attento alle figure note del vaudeville, e mette in scena la parodia del Dr. Waldorf Bodie, uno strano artista dell’epoca, ‘guaritore, operatore di miracoli, ipnotista’, che riscuote grande successo.

Nel 1908 entra a far parte degli Speechless Comedians di Fred Karno, un abile impresario ed uomo di spettacolo che eredita le tradizioni delle pantomime inglesi e forma diverse compagnie che girano contemporanemante Europa e Usa. Ricordiamo che la pantomima è particolarmente sviluppata in Inghilterra soprattutto a causa dei severi atti censori – come il Licensing Act del XIX secolo – che limitavano moltissimo le rappresentazioni di veri testi teatrali. Ottiene subito un buon successo affermandosi soprattutto nella parte dello spettatore ubriaco del citato A Night in an English Music-Hall. Con Karno va in tournée nel 1909 alle Folies Bergères di Parigi e nel 1910 in America con una compagnia della quale fa parte anche Stan Laurel. Anche oltreoceano è accolto subito benissimo, sebbene nella scarsa considerazione globale che riceve lo spettacolo. “Variety” scrive più o meno: «Chaplin farà grandi cose in Usa, ma non poteva presentarsi con uno spettacolo peggiore». Altri scrivono: «È il più grande interprete di ubriaconi e il comico più esilarante del vaudeville». Nel 1912 torna in Inghilterra, ma a fine anno è di nuovo in America, da dove non tornerà per parecchio tempo. Nel novembre del 1913 va infatti alla Keystone della New York Motion Picture Co. dove inizia il suo ineguagliabile percorso cinematografico. Appare evidente quanto la carriera di entertainer di Charlie Chaplin abbia influenzato la propria carriera di regista e di conseguenza tutta l’arte filmica del Novecento. Ed è interessante notare come il suo genio si sia servito più volte di quanto appreso nei difficili anni dello spettacolo itinerante. Non solo recuperando atmosfere e personaggi come in Il circo o in Luci della ribalta, ma soprattutto servendosi di precise tecniche corporee apprese duramente sulle tavole dei palcoscenici del music-hall e del vaudeville. Fino alla fine dei suoi giorni C. rimane un appassionato degli spettacoli di circo e varietà dai quali proviene. Frequenta Grock e la famiglia Knie e trasmette probabilmente parte del suo amore almeno alla figlia Victoria, che con Jean-Baptiste Thiérree, crea Le cirque imaginaire.

Hendel

Colto, ironico, graffiante con il suo accento fiorentino grazie al quale può permettersi di dire le battute più crudeli mantenendo sempre un tono gentile e raffinato, Paolo Hendel è l’espressione di una comicità attenta alla quotidianità che sa farsi satira politica e di costume. Comincia tardi, irrompendo sulla scena del cabaret accanto a David Riondino (l’aneddoto vuole che salga sul palco durante un recital di quest’ultimo e si rompa in testa dei cocomeri, 1986). Debutta come autore e interprete di Via Antonio Pigafetta navigatore (1987) e continua a scrivere e presentare recital, rigorosamente da solo: Caduta libera (1990), Alla deriva (1992) e Nebbia in val padana (1995). Contemporaneamente inizia una fortunata carriera televisiva con Mai dire gol (1996), dove dà vita a personaggi esasperati che diventano popolarissimi – basti citare Carcarlo Pravettoni – e che confluiranno nell’ultimo suo recital, Il meglio di Paolo Hendel (1996). Significative, infine, le sue apparizioni cinematografiche: Speriamo che sia femmina di M. Monicelli (1986), Domani accadrà (1988) e La settimana della sfinge (1990), entrambi di D. Lucchetti, e Il ciclone di L. Pieraccioni, campione d’incassi nel 1996.

Grillo

Beppe Grillo scopre il proprio talento nella sua città, debuttando all’Instabile cabaret aperto da Luigi De Lucchima alla fine degli anni ’60, ma è a Milano che trova il successo, grazie a un provino di fronte a una commissione Rai. Le sue armi sono, oltre a una notevole dose di intelligenza e grinta, un’ottima mimica e soprattutto la grande arte dell’improvvisazione. In grado di sconvolgere ogni canone televisivo e ogni schema professionale, l’attore raggiunge ben presto il top della popolarità. Con una comicità graffiante, sempre lucida e puntuale, Grillo è un ironico fustigatore di usi, costumi e consumi. La satira dell’attore, sempre più pungente e corrosiva, affronta temi scottanti di carattere politico e sociale che ben presto trasformano i monologhi dell’attore in veri e propri atti di pubblica denuncia. Con superbe doti di grande comunicatore, Grillo è anche autore e sceneggiatore al fianco di S. Benni (nello sfortunato Topo Galileo diretto da Laudadio rappresenta l’Italia al festival di Rio de Janeiro). Nel 1990, anno del divorzio con la tv, l’attore si dedica di nuovo al teatro con Buone Notizie, un notevole successo di critica e pubblico. Inventore della satira ecologica, l’attore torna dopo due anni sul palcoscenico con il suo nuovo recital che ha come bersagli della sua irrefrenabile e sempre divertente ironia non solo i politici, ma la gente comune con il suo irresponsabile atteggiamento soprattutto nei confronti dell’ambiente. I suoi spettacoli rigorosamente dal vivo, vedono raccogliere sempre più consenso da parte del pubblico (nel 1995 in quaranta città italiane gli spettatori sono più di 400.000). Mentre il suo nuovo recital spettacolo viene addirittura trasmesso da alcune reti televisive svizzere e tedesche, la Rai ne annulla, invece, la già prevista messa in onda.

Salvi

Architetto, come molti suoi conterranei, Francesco Salvi preferisce tentare la strada del cabaret piuttosto che avere la certezza di un lavoro `normale’. Debutta come cabarettista all’inizio degli anni ’80 al Derby Club di Milano, e nello stesso periodo prende parte a spettacoli teatrali tra cui In alto mare di Mrozek per la regia di Arturo Corso; in seguito interpreterà anche Uccelli da Aristofane con la Banda Osiris e la regia di Gabriele Vacis. Il passaggio in tv è con ;Studio 5, anche se la popolarità arriva grazie a Drive-in (1986-1988). Da allora è attivo in televisione in molti spettacoli. Al suo attivo anche un film ( Vogliamoci troppo bene ) e una serie di incursione nel mondo della canzone: sua la fulminante “C’è da spostare una macchina”. La sua comicità surreale e sopra le righe ne ha fatto uno dei comici più singolari degli anni Ottanta.