Robert Wilson nasce in una famiglia di ceto medio, suo padre è avvocato e diventerà amministratore della cittadina natale, una delle tante perse al centro del Texas. La nonna materna, Mrs. Hamilton – che in seguito lo affiancherà in performance e spettacoli come The Life and Times of Sigmund Freud, The Life and Times of Joseph Stalin, A Letter for Queen Victoria – è una straordinaria compagna di giochi; con lei e altri bambini, dall’età di otto anni, organizza piccoli spettacoli nel garage di casa. Durante gli anni della scuola media partecipa alle rappresentazioni organizzate dal Waco Children’s Theatre (con la regia di Jearnine Wagner) e dal Teenage Theatre della Baylor University. Questo, nonostante l’handicap della balbuzie da cui guarirà solo a 17 anni grazie alla signorina Byrd `Baby’ Hoffman. Miss Hoffman è un’insegnante di danza di Waco che, stimolandolo a praticare movimenti lenti ( slow motion ), farà sì che Wilson impari a sciogliere la tensione del proprio corpo.
Si diploma alla High School nel 1959 e, per assecondare la volontà dei genitori, si iscrive a un corso di laurea in economia aziendale ad Austin, all’Università del Texas, che abbandonerà nel 1962, un anno prima di laurearsi. Sono fondamentali per questo cambiamento radicale l’esperienza con i bambini disabili e i laboratori di teatro per l’infanzia in cui Wilson trasmette la terapia appresa da Miss Hoffman. Wilson decide così di seguire la propria vocazione: le arti figurative. Si trasferisce a New York (autunno 1962) per iscriversi ad architettura e progettazione d’interni al Pratt Institute di Brooklyn dove, grazie all’elasticità del piano di studi può frequentare corsi di pittura e design. A New York avviene l’incontro decisivo con gli spettacoli di Martha Graham, Merce Cunnigham e Alwin Nikolais.
Folgorato dalla Graham le scrive per ringraziarla e in cambio viene invitato ad assistere alle prove della sua scuola. Con Nikolais e il suo gruppo nasce immediatamente una collaborazione tanto che nel 1964 Wilson disegnerà le scene per Junk Dances e Landscape, due coreografie di Murray Louis, assistente di Nikolais. Alla ricerca di una sua strada continua a studiare al Pratt, a lavorare con i bambini handicappati e a fare esperienze: nel 1963 gira un cortometraggio cinematografico astratto, Slant (10′), per WNET-TV; nell’estate del 1964 va a studiare pittura a Parigi dove si è trasferito George McNeil, un docente del Pratt che faceva parte della corrente pittorica dell’espressionismo astratto; nel 1965, oltre a presentare alcune sue performance (Duricglte & Tomorrow a New York; Modern Dance, una parodia del concorso per Miss America, a Waco; Silent Play, a San Antonio), gira il film (incompiuto) The House e crea scene e costumi per America Hurrah! di Jean Claude van Itallie messo in scena dal gruppo del Café La Mama; nel 1966 presenta due spettacoli di danza, Clorox e Opus 2 ed è invitato da Jerome Robbins all’American Theatre Laboratory.
Nell’estate dello stesso anno si unisce alla comunità dell’architetto utopista Paolo Soleri che a Scottsdale, in Arizona, aveva cominciato dieci anni prima a costruire la città di Arcosanti seguendo un metodo compositivo che andava a recuperare forme simboliche e miti arcaici (soprattutto quelli degli indiani nordamericani). Al grande attivismo di questi anni segue una violenta crisi esistenziale che lo costringe a curarsi per alcuni mesi in una clinica per malattie mentali. Ristabilitosi dal crollo nervoso ritorna a New York dove prende in affitto un locale al 147 di Spring Street, ex sede dell’Open Theatre. Il loft diventa un luogo di ritrovo non solo per artisti, ma anche per artigiani, uomini d’affari, casalinghe, pensionati, studenti, insegnanti e portatori di handicap. Tra gli altri troviamo la coreografa e compositrice Meredith Monk, la nonna di Wilson e il futuro critico Stefan Brecht.
Il gruppo prende il nome di Byrd Hoffman School of Byrds e Wilson quello di Byrd o Byrdwoman. L’attività è soprattutto quella del workshop che viene interrotta da performance come Baby Blood , nel 1967, e l’anno dopo da: Alley Cats (un duetto di W. con Meredith Monk), Theatre Activity 1 e 2 e ByrdwoMAN, una `rappresentazione’ itinerante che comincia nello spazio di Spring Street – dove accadono semplicissime azioni (i `Byrds’ salgono su e giù da assi, si appoggiano a fili) – e continua nella Jones Alley dove il pubblico viene trasferito a bordo di camion scoperti e si trova al centro di un’azione creata dai `Byrds’ sui tetti degli edifici circostanti. Tutta questa attività laboratoriale, che è agita in contesti non convenzionali e si nutre delle suggestioni del clima culturale newyorkese, prelude a una svolta.
Con The King of Spain del 1969 – che Wilson considera il suo primo spettacolo – il suo lavoro si sposta in un teatro, il fatiscente Anderson Theatre. Wilson comincia a elaborare quella visione bidimensionale dello spazio e quell’originalissima dimensione del tempo teatrale che diventerà la cifra inconfondibile del suo stile e lo porterà a preferire gli spazi tradizionali. Allontanandosi dai presupposti della ricerca a lui contemporanea: la dominante centralità del corpo, che si esprimeva attraverso il teatro gestuale, e il coinvolgimento diretto dello spettatore, Wilson giunge a un’idea di composizione dallo straordionario impatto visivo. The King of Spain con le sue tre sorprendenti e contraddittorie ambientazioni (una spiaggia, un salotto vittoriano e una caverna), in cui non accade sostanzialmente nulla, e con il collage ricchissimo di oggetti, persone, luci e forme apparentemente casuali rimanda a un gioco neo-dadaista che colpisce e ammalia riscuotendo un inatteso successo. Quello stesso anno la Brooklyn Academy of Music invita Wilson a creare una nuova opera, The Life and Times of Sigmund Freud, che altro non è che una ricomposizione e un ampliamento della precedente in cui la misteriosa alchimia dello sguardo si ripete.
Alla fine del 1970 debutta all’Università dello Iowa Deafman Glance, `un’opera del silenzio’, nella quale la partitura visiva scorre davanti agli occhi di un sordomuto. Il ritmo acquista per la prima volta quella scansione lenta che recupera quel `tempo naturale’ che sulla scena appare dilatato ed estenuante, ma che fa scattare lentamente una dimensione ‘altra’ nella quale immergersi e fluire sull’onda delle immagini. Con questo spettacolo, nel 1971, scoppia in Europa il caso Wilson; rapidamente diventerà un regista di culto. Dal 2 al 9 settembre del 1972 per 7 giorni e 7 notti sulle 7 montagne attorno a Shiraz-Persepoli si svolge il monumentale KA MOUNTAIN AND GUARDenia TERRACE, rappresentazione sulla ‘storia di una famiglia e di alcune persone che cambiano’, come recita il sottotitolo, che mette in sequenza vicende della cultura orientale e occidentale, ma anche episodi biografici (i giorni che W. ha appena passato in carcere a Cipro per detenzione di hashish).
E come se non bastasse la durata straordinaria, l’opera è preceduta da un’ Ouverture già in parte montata a New York e poi rimontata e ampliata per il Festival d’Automne a Parigi: 24 ore ininterrotte di spettacolo in cui hanno spazio anche pièce autonome di alcuni `Byrds’. La più intensa è la liberatoria mise en espace della crisi depressiva di Cindy Lubar, collaboratrice storica del gruppo. Altro prezioso apporto è offerto da Christopher Knowles che, oltre a mettere in scena `naturalmente’ il suo handicap in Ouverture, scriverà in seguito con W. importanti brani di Einstein on the Beach , T.S.E. e creerà insieme a lui numerosi duetti (The $ Value of Man, i vari DiaLog). A Letter of Queen Victoria (presentato al festival di Spoleto nel 1974) sembra interrompere i precedenti esercizi di espressione fisica dello stato psichico; qui a essere in gioco è il tempo, a partire dalla diseguale estensione dei quattro atti, volutamente contrapposti l’uno all’altro; e acquista sempre maggiore spazio la musica, che nel successivo Einstein on the Beach (1976, festival d’Avignone) non è più semplice accompagnamento ma elemento imprescindibile dell’azione scenica. La ripetitività della partitura di Philip Glass (che è mira di accese contestazioni) scandisce ossessivamente la personale ricostruzione biografica che il regista dedica al più famoso fisico del nostro secolo. Gli attori (tra cui Patricia Hearst, figlia di un magnate dell’editoria, con trascorsi da terrorista, che in una serie di `istantanee’ ispirate alle fotografie delle pagine di cronaca dei quotidiani impersona se stessa) si muovono seguendo le coreografie di Andrew Degroat, in intima relazione con uno spazio scenico ridotto a pochi oggetti caricati di valore emblematico, fino alla conclusiva apparizione di una macchina del tempo, simbolo dell’interiorizzazione delle teorie di Einstein trasposte in una riflessione sui tempi e i luoghi della scena.
In I was Sitting On My Patio This Guy Appared I Thought I Was Allucinating (1977) W., anche interprete accanto a Lucinda Childs, induce lo spettatore a concentrarsi sulle minime varianti in una trama di ripetizioni di parole e gesti. Con Death Destruction & Detroit (1979) comincia la fortunata serie delle sue produzioni tedesche. Con questo spettacolo di cinque ore denso di autocitazioni che si presenta come l’inconfessabile biografia di un criminale nazista mai pentito, Wilson offre una sorta di riassunto del proprio teatro. La parola è sfruttata per il suo valore sonoro, sostenuta armonicamente dalle musiche composte da Alan Lloyd, Keith Jarret e Randy Newman. L’importanza della luce e l’originale ricostruzione scenica della vita di alcuni celebri personaggi storici si saldano in Edison (1979), una seriosa celebrazione degli Stati Uniti, composta di `cartoline’ che riproducono i quadri di Hopper oppure le tipiche architetture vittoriane, avvicendandosi nell’immancabile ritmo dato dalla musica di Michael Riesman, fermo restando che visione e ascolto devono rimanere contrapposti e indipendenti.
Il teatro di Wilson non racconta, ma esibisce una struttura di rimandi visivi e uditivi; caratteristica che non smarrisce nemmeno quando privilegia decisamente la parola nella sua materialità sonora, come avviene in Die Goldenen Fenster ( Le finestre d’oro , 1982), dove il testo arriva a determinare con precisione la gestualità dell’attore. Progettato per essere presentato in contemporanea in cinque città diverse – con l’intento di stabilire una continuità spaziale autoreferenziale – ma andato in scena solo a Monaco, si prolunga idealmente in CIVIL warS, a Tree is Best Measured When it is Down, ideato per le Olimpiadi di Los Angeles del 1984, che consiste in sei parti affidate a duecentocinquanta interpreti coinvolgendo sei città di tre differenti continenti. Un’opera globale, `il più grande spettacolo del mondo’, utopico campionario degli episodi della storia umana `raccontati’ alla maniera di Wilson, probabilmente irrappresentabile per la sua complessità, ma che vive anche di tutti i tentativi che Wilson fa per riuscire a portarlo a termine. Delle sei previste solo quattro sezioni sono state effettivamente completate: quella di Rotterdam (1983), quella di Colonia (gennaio 1984) – che segna l’inizio della collaborazione con Heiner Müller -, quella di Roma (marzo 1984) e quella di Minneapolis (aprile 1984), i Kneeplays , con David Byrne come autore delle musiche e narratore.
La tensione di Wilson verso lo spettacolo totale si ritrova nel successivo rivolgersi alla tragedia classica; nascono così le due versioni operistiche di Medea (di Charpentier e di Bryars, 1984) e, soprattutto, di Alcesti di Euripide (1986), con un intenso monologo scritto da Müller, di cui W. porterà poi in scena Hamletmachine (sempre del 1986) e Quartett (1987), rivisitazione di Le relazioni pericolose di Laclos, oltre a collaborare con lui in Death, Destruction & Detroit II e in The Forest (1988). Death, Destruction & Detroit II (1987) riprende il progetto di otto anni prima, proponendosi come sua continuazione – ancora una volta incidendo sul concetto di tempo della rappresentazione – per contrapposizione più che per analogia, incentrata sulla rielaborazione di alcune opere di Kafka.
È l’inizio di una nuova fase del lavoro di Wilson che, senza abbandonare la dimensione visiva del suo teatro, si accosta ad alcuni testi scenici – Cechov (l’atto unico Il canto del cigno ), Ibsen (Quando noi morti ci ridestiamo, testamento dell’autore e di tutto l’Ottocento), Büchner (La morte di Danton) – o narrativa come nella trasposizione scenica del romanzo di Virginia Woolf, Orlando , in un monologo affidato a Jutta Lampe (nell’edizione tedesca del 1989), a Isabelle Huppert (in quella francese del 1993, presentata anche a Milano nel 1994) e a Miranda Richardson (in quella inglese, presentata al festival di Edimburgo nel 1996).
Nel 1990 ad Amburgo va in scena The Black Rider (1990) che riunisce tre grandi artisti americani, affini per la loro capacità di sperimentare: oltre a Wilson, lo scrittore William Burroughs e il musicista Tom Waits. È un musical ispirato a Il franco cacciatore di Weber, un’opera rock affidata all’esecuzione di un’orchestra di soli otto elementi, che gioca abilmente con l’ironia, muovendo gli attori travestiti e truccati in modo grottesco, innescando una serie di allusioni cinematografiche (che vanno dai film muti a Guerre stellari ) e marionettistiche. Il felice esito di questa collaborazione non si rinnova nel successivo Alice (1992), sempre con Waits, mentre Wilson riesce a offrire una divertente ricapitolazione della storia del rock in Time Rocker (1996), con le musiche di Lou Reed. Nel 1992 prende avvio il progetto Doctor Faustus Lights the Lights, su libretto di Gertrude Stein, musica per l’occasione da Hans Peter Kuhn; recitato in inglese dai giovanissimi allievi della scuola di teatro dell’ex Rdt, sfruttando la particolare musicalità del loro accento tedesco.
I progetti misti di musica e recitato avvicinano naturalmente Wilson alla regia lirica; è chiamato da molti teatri, anche se le sue realizzazioni non mancano di sollevare contestazioni: è il caso della Salome di Strauss alla Scala (1987, con Monserrat Caballé nel ruolo del titolo), del Martyre de Saint Sébastien di Debussy (1988, commissionato da Rudolph Nureyev per il teatro di Bobigny), in cui Wilson firma un originale montaggio operando tagli e aggiunte di scene e del Doktor Faustus di Giacomo Manzoni (ancora alla Scala nel 1989). Tra gli altri importanti allestimenti ricordiamo: Il flauto magico di Mozart (1991); Lohengrin e Parsifal di Wagner (1991); Madama Butterfly di Puccini (1993). A Gibellina nel 1994 porta T.S.E.: `Come in Under the Shadow of this Red Rock’ (il titolo è l’acronimo del poeta T.S. Eliot, dove la biografia si colora di tracce autobiografiche per assurgere infine alla dimensione atemporale del mito).
Wilson sostiene costantemente, fin dall’inizio della sua carriera, l’ostilità al naturalismo opponendo una personale e suggestiva maniera di `raccontare’ che si evidenzia con particolare forza nel confronto con un testo narrativo, come avviene in La mite , tratto dal romanzo di Dostoevskij (1994), dove i tre personaggi maschili (tra cui lo stesso regista) recitano ognuno nella propria lingua madre – inglese, tedesco e francese – intrecciando un dialogo senza comunicazione, avvolti dalla presenza muta della ballerina Marianna Kavallieratos.
Wilson Torna in scena in prima persona in Hamlet: A Monologue (1995), come protagonista unico dello spettacolo in cui gli altri personaggi sono presenze oniriche evocate da costumi vuoti, animati dalla voce del solo interprete, che sulla scena esibisce con lucidità le lacerazioni della condizione umana. Nella fittissima teatrografia degli ultimi anni W. alterna spettacoli calligrafici come La maladie de la mort di Marguerite Duras con Michel Piccoli e Lucinda Childs (1991, ripreso nel 1996) a coreografie come Snow on the Mesa , commissionato dalla Martha Grahm Company (1995), opere contemporanee come Hanjo/Hagoromo: dittico giapponese di Yukio Mishima e Zeami (musiche e libretto di Marcello Panni e Jo Kondo, 1994) a opere del Novecento storico Il castello di Barbablù di Bartók e Erwartung di Schönberg (presentate assieme a Salisburgo, 1995); e Oedipus Rex di Stravinskij (1996).
E ancora, Wilson passa dalla continua ricerca sui giochi testuali di Gertrude Stein ( Four Saints in Three Acts, 1996 e Saints&Singings, su musiche di H.P. Kuhn, 1997) alla riscoperta di testi poco frequentati di Brecht (il radiodramma Der Ozeanflug ovvero il volo di Lindberg, al Berliner Ensemble, con Bernhardt Minetti, 1997) o alla rilettura di classici come Il piccolo Principe di Saint-Exupery (Wings on Rock, musiche di Pascal Comelade, 1998). È del 1998 il primo allestimento in italiano, La donna del mare di Ibsen, riscritta da Susan Sontang, con Dominique Sanda e Philippe Leroy. Infine, sempre nel 1998 ha debuttato una ambiziosa opera multimediale in 3D, Monsters of Grace , con cui si ricompone la coppia Glass-Wilson (i testi sono tratti dalle liriche del poeta sufi Rumi).
Ripercorrendo i primi 35 anni della ricerca artistica di Wilson affiora immediatamente un’idea di teatro come `spettacolo’ in cui il formalismo – basti pensare all’esasperata ricercatezza delle luci o all’estrema precisione di ogni gesto sulla scena – si ricongiunge con una coscienza critica che anziché trattare problemi e avvenimenti in modo diretto, secondo canoni narrativi, affronta la contemporaneità frantumandola e presentandola nelle sue mille compresenti sfacettature. Wilson scompone i contenuti della storia per ricomporli in una nuova sintesi dell’immaginario che invece di procedere per sequenze lineari di causa-effetto scandisce il nostro tempo interiore e rilegge il calendario sociale secondo un processo elicoidale. Il cerchio di Wilson si chiude su un piano sempre più alto, i temi – da quelli individuali (legati al rapporto corpo-psiche), a quelli universali, dettati dalle grandi vicende umane (l’avventura del progresso, la tragedia della guerra, …) – vengono ripensati secondo un’estetica raffinatissima che trasforma i grandi interrogativi etici in perfette e cristalline visioni. Porre domande, più che dare risposte è, forse, la tensione del Novecento e Wilson è riuscito a farlo con le immagini così come Beckett lo ha fatto con le parole.