Salisburgo,

L’idea originaria di fondare un festival a Salisburgo venne, nel 1917, a due illustri personaggi della cultura tedesca: Max Reinhardt e Bernhard Paumgartner, a quel tempo direttore del Mozarteum. Nel 1921 si interessano alla gestione della manifestazione altri due giganti della cultura austro-tedesca, cioè la formidabile coppia Richard Strauss-Hugo von Hofmannsthal, che – assieme a Reinhardt – hanno propositi molto diversi da quelli di Paumgartner. L’idea, come si evince dalla lettura dell’interessantissimo epistolario Strauss-Hofmannsthal, era di instaurare nella cittadina austriaca una manifestazione dedicata sostanzialmente al teatro e alla musica contemporanea. Nei primi progetti concreti si discute di mettere in scena, con la regia di Reinhardt, Jedermann (Ognuno, la leggenda della morte del ricco) di Hofmannsthal, anche se la realizzazione fonale di tale proposito delude molto i due illustri maestri; citiamo dalla lettera di Strauss a Hofmannsthal del 19 agosto 1921: «Caro amico! È andata come temevo: il signor Paumgartner e il Mozarteum sono i responsabili della Salisburgo `festiva’, e poi, come aggiunta, anche il signor Reinhardt ha allestito Jedermann nella piazza del Duomo. Di questa vergogna non ci sbarazzeremo più – agli occhi del pubblico -, l’idea del festival è screditata per l’eternità». Invece, contrariamente a quanto profetizzato da Strauss, Jedermann – rappresentato proprio nella piazza del Duomo – è uno degli appuntamenti tradizionali della kermesse estiva. Assieme a Paumgartner – che nel 1929 fondò pure l’Orchestra del Mozarteum, oggi ospite fissa della manifestazione – e a Strauss, un altro interprete di eccezionale statura sempre presente nelle prime edizioni (in qualità di direttore d’orchestra) fu Franz Schalk, allievo di Anton Bruckner, eccezionale interprete wagneriano e cofondatore della manifestazione.

Con l’andar degli anni, però, il Festival perdette l’impulso `avanguardista’ che tentarono di imprimergli Strauss e Hofmannsthal (in parte anche Reinhardt), diventando una sorta di santuario intoccabile della tradizione. Salisburgo, così, abbandonò la musica nuova per dedicarsi unicamente (o quasi) al grande repertorio, in particolare a quello mozartiano. Tutte le maggiori figure di direttori d’orchestra austro-tedeschi sono transitate da Salisburgo: da Wilhelm Furtwaengler a Karl Böhm, da Hans Rosbaud a Herbert von Karajan. Proprio quest’ultimo fondò, nel 1967, il festival di Pasqua, sontuosa anticipazione dell’edizione estiva, della quale alla fine lo stesso Karajan assunse – fino alla morte, avvenuta nel 1989 – la responsabilità artistica. Il successivo direttore artistico – attualmente in carica – Gerard Mortier impresse alla pigra vita festivaliera una scossa radicale, con conseguenze che non sono state – per il tradizionalissimo pubblico salisburghese – ancora oggi assorbite completamente: sostanziale apertura (o meglio `riapertura’, come abbiamo visto) alla musica contemporanea, allargamento del repertorio operistico verso autori meno noti, maggiore attenzione alla qualità delle messe in scena. Così, se da un lato il festival ha perduto una considerevole fetta del suo consueto pubblico, ne sta acquistando un’altra non meno rilevante, composta però da giovani.

Se i grandi direttori non hanno mai latitato dalle sale salisburghesi, diverso è il discorso per i registi: oggi sono ospiti consueti a Salisburgo Bob Wilson, Peter Stein, Peter Sellars, Peter Mussbach, Herbert Wernicke, Luca Ronconi, Robert Lepage, Patrice Chéreau. Nonostante le fortissime contestazione, Mortier pare destinato a rimanere in sella anche per i prossimi anni, continuando nella sua opera di rinnovamento nel repertorio (sue sono le commissioni di opera ad autori quali Luciano Berio, Kaja Saariaho, Giacomo Manzoni, György Ligeti, ecc.) e nelle messe in scena. Della fortuna di Jedermann a Salisburgo (rappresentato in Italia da A. Moissi con W. Capodaglio nel 1934 e a Bergamo in piazza Vecchia da E. D’Alessandro nel 1952 con M. Benassi e P. Borboni) non c’è da dire se non che lo spettacolo, sul sagrato della piazza del Duomo si replica ancora inserendo attori tedeschi da Curd Jürgens a Karl Maria Brandauer e, qualche volta stranieri (è il caso di Maddalena Crippa inserita dalla regia di Peter Stein) con un successo che rispetta una tradizione ormai superata e logora: è diventato un appuntamento ormai irrinunciabile per quel pubblico che sfila alle 5 del pomeriggio in smoking e abito da sera e che assiste al dramma come si assiste alla sagra paesana.

Pure, per la prosa qualche spettacolo che ha lasciato il segno c’è stato, dall’ Arlecchino di Max Reinhardt (1925) a quello di Strehler (1973) che ha allestito nel grande spazio della Felsenreitschule in quello stesso anno la nuova edizione in lingua tedesca del Gioco dei potenti da Shakespeare in due giornate (oltre 100 interpreti, 9 ore di spettacolo) con i migliori attori di Berlino, Amburgo e Vienna a cominciare da Andrea Jonasson a Michael Heltau, da Maria Emo a Siegfried Lowitz a Rolf Boysen, Will Quadfrieg, Wolfgang Reichmann, Karl Paryla e Adolph Spalinger, replicato l’anno successivo. In quell’anno protagonista di Jedermann era C. Jürgens. Il festival di prevalenza musicale (celeberrimo per le varie edizioni delle opere di Mozart) registrerà nel 1974 il preparato insuccesso del Flauto magico firmato da Strehler e da Damiani (per le scene e i costumi). Intorno a Jedermann messe in scena di teatro classico, da Molière a Shakespeare a Pirandello: da ricordare almeno il Giulio Cesare di Stein e I giganti della montagna di Ronconi.

Santarcangelo,

Il Festival di Santarcangelo è una rassegna nazionale e un importante punto di riferimento per la cultura teatrale italiana, crocevia di linguaggi ed esperienze diverse nell’ambito della ricerca e della sperimentazione. Ha ospitato i maggiori rappresentanti del cosiddetto Terzo Teatro e in alcuni casi del teatro ufficiale, della danza e della musica, promuovendo e sostenendo i giovani gruppi ancora poco noti o alle prime ribalte, favorendo il loro inserimento nel panorama teatrale italiano e internazionale. Da qualche anno esplica anche attività di produzione. La storia del festival è stata attraversata dai nomi più significativi del teatro contemporaneo. Nelle splendide piazze, cortili, palazzi del piccolo borgo medioevale e nei paesini intorno sono stati allestiti innumerevoli spettacoli provenienti da ogni parte del mondo che hanno raccolto migliaia di spettatori e coinvolto negli allestimenti e nell’organizzazione della manifestazione, la gente del luogo che ormai sente il Festival come appartenente alla città.

Nel corso della sua lunga storia che ha segnato le tappe del teatro di ricerca italiano e internazionale, il Festival è passato sotto differenti gestioni e direzioni artistiche, purtroppo in alcuni casi in conformità a strategie politiche e non esclusivamente culturali. L’ultima edizione, ‘Santarcangelo dei Teatri del ’98’, è stata curata dal direttore artistico Silvio Castiglioni, già a fianco di Leo de Berardinis che ha guidato le precedenti edizioni dal 1994 al 1997. Il tema scelto dal neodirettore in continuità con la linea di De Berardinis è stato `L’orizzonte e la memoria’, a sottolineare l’importanza della tradizione e lo sguardo sempre proteso verso il futuro. Per la ventottesima manifestazione, che ha coinvolto anche alcuni comuni limitrofi, Castiglioni ha voluto percorrere e intrecciare quattro percorsi: il primo l’ha condotto alla tradizione dei grandi maestri del teatro contemporaneo come Hideo Kanze, artista giapponese del teatro nô considerato nel suo Paese opera d’arte vivente; Leo de Berardinis, direttore uscente che ha inaugurato la manifestazione con la sua magica Lear Opera; e Thomas Richards, testimone del teatro di Grotowski a Pontedera.

La seconda via l’ha portato all’incontro con le spigolosità e le dolcezze della terra di Sicilia con la poesia di Franco Scaldati, i riti funebri di greca memoria di Aura Teatro, l’estetismo caravaggesco di Segnale Mosso, la lingua antica di Spiro Scimone, la singolarità di Nutrimenti terrestri, i pupi di Mimmo Cuticchio. La drammaturgia contemporanea è stata rappresentata tra gli altri da Danio Manfredini e Claudio Morganti, da Ivano Marescotti con il dialetto romagnolo, da Marcido Marcidorjs, da Raffaella Giordano, la più interessante danzatrice italiana. L’ultima via ha recuperato invece l’anima del Festival animando teatri e piazza con spettacoli e interventi a sorpresa.

Nato nel 1971, il Consorzio della gestione Festival, vecchio organismo che ha dato origine al Festival, dopo ventitrè edizioni si è trasformato nel 1994 in Associazione Santarcangelo dei Teatri, con la possibilità di accesso di altri enti sia pubblici che privati. Ripercorrere la storia di S. significa andare a ritroso nella storia della cultura teatrale e sociale italiana, specchio dei tempi e delle influenze dei maestri stranieri. Da semplice rassegna teatrale, vetrina degli spettacoli, il Festival nel corso degli anni si è configurato sempre più come laboratorio, luogo di sperimentazione, fucina di giovani talenti. Dal primo Festival del teatro in piazza, diretto da Pietro Patino che trasformò la cittadina in un grande palcoscenico coinvolgendola in una grande festa collettiva con spettacoli di teatro danza e musica popolare, sono passati ormai molti anni.

Il `Teatro Politico’ di Patino nato sulla scia del ’68 fu sostituito dall’avvento del Terzo Teatro, il giovane teatro di ricerca e di sperimentazione internazionale voluto da Roberto Bacci, fondatore del Piccolo di Pontedera, direttore artistico del Festival dal 1978 al ’79 e responsabile altresì dal 1984 all’88 della Cittadella del Teatro, (la manifestazione estiva di Santarcangelo) nata dalla fusione dell’Istituto per la Ricerca Teatrale (organismo permanente dal 1980 all’82 delegato alla programmazione annuale di spettacoli sul territorio) con il Festival estivo. Il `Teatro dei Gruppi’ fu la prerogativa della direzione di Antonio Attisani (1981) che accostò accanto ai gruppi storici del Terzo Teatro, nomi di artisti alle prime esperienze e personalità di spicco del teatro ufficiale. La gestione Attisani suscitò molte polemiche da parte dei gruppi italiani e costui fu costretto a dimettersi, per riprendersi poi la gestione, dopo Bacci, nel 1989, guidando l’edizione dal titolo emblematico `Teatro Indipendente’. Attisani rimase nel Festival fino al 1993 caratterizzando il suo programma come `Lavoro d’arte’ nel quale la pluralità delle singole sensibilità artistiche potesse trovare spazio e luogo per esprimersi. L’ultima sua edizione si ricorda per l’attenzione posta all’ex Jugoslavia. `Voci umane sempre presenti’, titolo che diede volto alla disperazione dei popoli offesi dalla guerra e, alle voci `umane’ del nostro tempo che inseguono l’indipendenza artistica culturale e politica.

Il breve passaggio di Ferruccio Merisi alla direzione di Santarcangelo (1982-83) passa sotto l’etichetta di `anni di riflessione’ durante i quali l’ex responsabile dell’Istituto per la ricerca teatrale, già collaboratore del Teatro di Ventura, approfondì e rivide in termini di riflessione e ripensamenti il senso del teatro contemporaneo. Da qui il titolo delle sue edizioni `Oasi e miraggi’ e `Le vie che hanno un cuore’. Per Merisi il Festival rappresentava ancora un luogo di esperienze collettive, e per questo motivo egli invitò gruppi storici del Terzo Teatro ma anche compagnie nuovissime che esprimevano una certa tensione etica in maniera inedita e in alcuni casi irriverente, per una feconda dialettica tra generazioni differenti.

Con la direzione di Leo de Berardinis (1994-97) si assiste a un confronto concreto tra i vari saperi teatrali: dall’organizzazione all’arte attoriale, dalla tecnologia alla critica, dalle poetiche alla teoria; da Shakespeare, alla commedia dell’arte e al teatro dei burattini. Evento spettacolare di quell’anno è stato Centoattori, dal numero dei protagonisti dello spettacolo, ironico happening con molteplici frammenti teatrali montati da Leo come emblema di Santarcangelo ‘Novecento e mille’, il sottotitolo di Santarcangelo ’97 che con il suo alone millenaristico e quasi apocalittico, è emblematico del desiderio di De Berardinis di azzerare tutto e di ricominciare da zero, per incamminarsi verso un futuro nel quale il teatro torni ad interrogarsi sui grandi temi e cerchi realmente una sua nuova identità, e un nuovo rapporto con il pubblico, con la critica e le istituzioni. Eredità raccolta da Silvio Castiglioni, collaboratore di Leo negli anni passati, e riannodata con grande sensibilità alle scelte del programma del Festival del 1998.

Asti Teatro

Mimo e pantomima sono i primi generi accolti nel festival Asti Teatro, con i Colombaioni, Pierre Byland e Mareike Schnitker; vita la sua apparizione il Magopovero, giovanissima compagnia locale (oggi Casa degli Alfieri). Quindi la danza, con Lindsay Kemp, Wolfgang Neuhausen, Maurice Béjart; e, in parallelo, anche la prosa con Franco Parenti, il Gruppo della Rocca, Carlo Cecchi, Glauco Mauri, Benno Besson, Giorgio Albertazzi e una quasi esordiente Elisabetta Pozzi. In queste prime rassegne-confronto (non era ancora stata assunta la denominazione `festival’) passa di tutto: dal Magic Circus di Jérôme Savary ai giapponesi Sankai Juku, dal Boston Ballet alla ricerca di Remondi e Caporossi. A partire dal 1985, invece, e per i successivi quattro anni, Asti si caratterizza per la scelta monografica della drammaturgia contemporanea; qualche titolo: La serra di H. Pinter, La guida di B. Strauss, Festa al celeste e nubile santuario di E. Moscato, Naja di A. Longoni, La notte è madre del giorno di L. Noren, Alla meta di T. Bernhard, La missione di H. Müller, Regina Madre di M. Santanelli, Bent di M. Sherman, Vero West di S. Shepard. Tutto questo prosegue fino al 1990, quando il festival inaugura un nuovo periodo: è l’epoca del cabaret, delle serate di poesia, accanto alla proposta di testi quali L’aumento di G. Perec, Totò principe di Danimarca di L. de Berardinis, Passione secondo Giovanni di A. Tarantino, Jubil&aulm;um di G. Tabori, Lezioni di cucina di un frequentatore di cessi pubblici di R. D’Onghia e Novecento di A. Baricco. Negli ultimi due anni (1997-98), con la direzione della Casa degli Alfieri, si tenta una strada ancora diversa: quella della ricerca e dello sguardo alle produzioni teatrali internazionali, dagli sloveni Koreodrama alla meditazione zen di Yoshi Oida, dalla tradizione dei clown russi (Derevo e Slava Polunin) allo shock estetico del Giulio Cesare della Raffaello Sanzio, dalle suggestioni della danza katakhali ai canti ebraici di Moni Ovadia. È l’antica formula della rassegna-confronto che si arricchisce di nuovi elementi, che propone la contaminazione tra le arti della scena, che tenta di scrivere una storia ancora misteriosa.

Borgio Verezzi

Nella splendida cornice di piazza Sant’Agostino di Verezzi (divenuta poi il luogo deputato alla maggior parte delle successive rappresentazioni) il Festival di Borgio Verezzi è stato allestito come primo spettacolo Due volti del Medioevo , composizione scenica tratta da testi di Jacopasse da Todi, Folgore da San Gimignano e Francesco d’Assisi con la regia di Luciana Costantino e la partecipazione di Giampiero Becherelli e Adalberto Rossetti. Sin da questo primo appuntamento il Festival di Borgio Verezzi si è distinto per il rigore delle scelte artistico-culturali e per la forte spinta all’innovazione e alla riscoperta e valorizzazione di testi poco frequentati. Come grande animatore dell’evento estivo del borgo ligure, giunto ormai alla XXXII edizione (1998), si è dall’inizio distinto Enrico Rembado che del comune è sindaco oltre che direttore del festival. Dal 1967 a oggi sono stati presentati una trentina di lavori prodotti appositamente per la manifestazione e ne sono stati ospitati più di quaranta, legati al ricorrente tema `Il teatro classico per i nostri giorni’ o invitati appositamente (richiedendo la prima nazionale) e affiancati da un convegno critico. La letteratura frequentata maggiormente si situa in un ambito di ricerca al testo `minore’, ma non per questo meno significativo, dei grandi classici del teatro nazionale e internazionale. Non sono rimasti esclusi importanti richiami al teatro contemporaneo. Dal 1971 a ogni edizione del F. viene assegnato il premio `Veretium’ che ha visto come vincitori tra gli altri attori come E. Pagni, P. Micol, L. Vannucchi, R. Valli, G. Lazzarini, P. Degli Esposti e A. Jonasson. Tra gli spettacoli allestiti a B.V. ricordiamo L’impresario delle Smirne (1973) di C. Goldoni, con T. Schirinzi per la regia di G. Cobelli, Anfitrione (1979) di E. von Kleist regia di G. Lavia (anche interprete), Don Giovanni e Faust (1990) di Christian Dietrich Grabbe, con la regia di G. Zampieri e Purgatorio 98 (1998) tratto da Dante, regia di U. Gregoretti nell’affascinante cava dei fossili di B.V.

Milano Oltre

Milano Oltre è un festival internazionale di arti dello spettacolo e associazione che lo promuove e lo gestisce. Nato nell’autunno del 1986 – per iniziativa del Teatro dell’Elfo e del Teatro di Porta Romana – si presenta come una proposta alternativa ai circuiti usuali delle arti e dello spettacolo di Milano; questo progetto ha messo in risalto le componenti di novità, di approfondimento e di evoluzione delle varie forme di espressione, nel campo della prosa, della musica, della danza e delle arti. Alla manifestazione hanno partecipato artisti, registi, musicisti, compositori e compagnie teatrali provenienti da tutto il mondo come: Jean Claude Gallotta, Wim Mertens, Peter Gordon, Epigonen D.Z.W., Café La Mama, La Fura dels Baus e molti altri grandi nomi della scena internazionale. Il festival inoltre si distingue anche per il recupero allo spettacolo di spazi nuovi, dal padiglione 16 dell’Ansaldo, alla stazione ferroviaria di Porta Romana, a Villa Clerici ai quartieri dove hanno trovato postazione delle tensostrutture.

Edinburgh International Festival

Edinburgh International Festival, fondato nel 1947 dal City of Edinburgh Council e dallo Scottish Arts Council, diviene, fin dalle prime edizioni, una delle più importanti vetrine della scena contemporanea. Fra gli obiettivi della rassegna è proporre gli spettacoli dei migliori artisti internazionali, con lo scopo di promuovere la qualità della produzione teatrale, musicale e della danza, il confronto fra la proposta della scena scozzese e quella internazionale, «il benessere culturale ed economico della città e della popolazione di Edinburgo». Nel corso degli anni l’attività del festival è andata ampliandosi nel rispetto degli obiettivi originari, ospitando alcuni dei maggiori artisti anglosassoni ed europei, da Tyron Guthrie a Lawrence Olivier, da Peter Stein a Dario Fo per il teatro, da Claudio Abbado a Pierre Boulez per la musica. Oltre alla rassegna principale, che si svolge annualmente nelle ultime due-tre settimane d’agosto, il festival propone rassegne tematiche come il Fringe (diretto da Hillary Strong) dedicato al teatro d’avanguardia, il Military Tattoo (dedicato alle compagini orchestrali militari), il Jazz Festival, il Film Festival e il Book Festival, oltre a diverse iniziative culturali che si svolgono durante il resto dell’anno. Dal 1997 inoltre il Gateway Theatre riserva uno spazio alle giovani compagnie e agli autori esordienti.

Gibellina,

Tra i ruderi della vecchia Gibellina, distrutta dal terribile terremoto del Belice (gennaio 1968), si muove, ormai da quindici anni, la macchina del teatro delle Orestiadi di Gibellina. Nate da un’idea di Emilio Isgrò, che aveva tradotto in dialetto siciliano la trilogia di Eschilo (poi allestita, dal 1983 al 1985, per la regia di Filippo Crivelli e le macchine sceniche di Arnaldo Pomodoro), le Orestiadi rappresentano un momento fondante del progetto – fortemente voluto, tra gli altri, da Ludovico Corrao – di ricostruzione urbanistica e di rinascita artistica e culturale della città; un progetto che data almeno dal 1978, anno della mostra La città frontale di Pietro Consagra, artefice della grande `stella’ di pietra che segna l’ingresso alla nuova Gibellina, ricostruita a valle (mentre accanto ai ruderi, come presenza della memoria, si stende il bianco sudario del Cretto di Alberto Burri). Dal 1986 al 1990, sotto la direzione artistica di Franco Quadri, le Orestiadi si proiettano sulla scena internazionale come uno dei luoghi deputati a coniugare memoria e ricerca teatrale, attraverso progetti – presentati quasi sempre in anteprima assoluta – connotati da una forte carica di innovazione: Le Troiane di Euripide (1988), nella messa in scena del giovane e geniale regista belga Thierry Salmon; La creazione del Mondo o La conquista dell’America del cineasta e scrittore apolide, benché di origine cilena, Raul Ruiz (1990), che si svolge nell’arco di due giornate tra i ruderi e un altro suggestivo spazio scenico, il Baglio delle Case di Stefano; la trilogia Les Atrides, una grande produzione del Théâtre du Soleil, ideata e diretta da Ariane Mnouchkine (1991).

Ma già nel 1990, con la guida della sezione arti visive affidata ad Achille Bonito Oliva e con l’istituzione di una sezione cinematografica e di una dedicata alla musica etnica, Gibellina sperimenta in maniera sempre più forte la pratica della contaminazione tra i diversi linguaggi espressivi; nel frattempo, attraverso l’inaugurazione degli Ateliers del Mediterraneo (cui si affiancherà il Museo Officina diretto da Enzo Fiammetta), si pone come luogo privilegiato di transiti e di scambi culturali e artistici, con una particolare apertura verso il mondo islamico-mediterraneo. Dalla stretta collaborazione tra Bonito Oliva e Roberto Andò (scrittore e regista, chiamato a dirigere nel 1991 la sezione teatro) nascono, tra il 1992 e il ’94, due importanti eventi interdisciplinari: il progetto teatrale Metamorfosi di una melodia (1992), ideato e curato dal cineasta israeliano Amos Gitai (insieme allo stesso Andò e a Enrico Stassi), che trae ispirazione dalle cronache dell’assedio di Masada descritto nella Guerra giudaica di Flavio Giuseppe (nel cast il regista americano Samuel Fuller, Hanna Schygulla, Enrico Lo Verso; musica di Markus Stockhausen); e il progetto multimediale di Bob Wilson (musica di Philip Glass) T.S.E. – Come in under the shadow of this red rock, da La terra desolata di T.S. Eliot, che si articola in un lungo seminario-laboratorio nel 1993 e nell’allestimento definitivo – che rilegge in chiave contemporanea la tradizione dei ‘mistery plays’ medioevali – nel suggestivo Baglio delle Case di Stefano nel settembre 1994. Nonostante l’istituzione, nel 1992, della fondazione ‘Orestiadi’, i curatori del festival hanno dovuto superare, negli ultimi anni, i ritardi e gli ostacoli della burocrazia e della politica regionale, continuando peraltro a dispiegare capacità progettuali e produttive anche nella cornice del più giovane ‘Festival di Palermo – Sul Novecento’. Il cartellone teatrale dell’edizione 1998 ha segnato comunque il pieno rilancio del festival che ha ospitato, tra l’altro, il nuovo allestimento di Ruggero Cappuccio Il sorriso di San Giovanni e il laboratorio del grande regista lituano Eimuntas Nekrosius Verso Macbeth.

Théâtre National Populaire

Théâtre National Populaire è un’istituzione teatrale francese che nasce nel 1920, al Palais du Trocadero di Parigi, per volontà di Firmin Gémier (direttore fino al 1933). Ma il Théâtre National Populaire svolge il suo ruolo storico nella vita scenica francese e ottiene il pieno successo soltanto a partire dal 1951, anno in cui Jean Vilar ne assume la direzione (su proposta di Jeanne Laurent, responsabile del settore dei teatri nazionali e favorevole alla politica della decentralizzazione della vita teatrale francese).

Con Jean Vilar, le barriere fra teatro engagé e teatro borghese cadono, insieme al sipario e a tutti quegli elementi parateatrali (per esempio, il guardaroba a pagamento) che avevano sacralizzato il luogo della rappresentazione scenica allontanandolo dal pubblico. Il tempio si trasforma in casa, dove ci si riunisce per far festa, per incontrarsi, per ballare. Il Palais de Chaillot, la nuova sede, diventa un’alternativa alla Comédie-Française: qui Gérard Philipe e Maria Casarés recitano un nuovo repertorio classico (del 1951 è il trionfo di Madre coraggio e del Cid ; del 1955 La città di Claudel ), amatissimo da un pubblico non soltanto parigino (attraverso l’istituzione dell’associazione degli Amis du Théâtre National Populaire sono chiamati in alcuni teatri municipali della provincia francese i migliori spettacoli).

Il Théâtre National Populaire assume inoltre l’organizzazione del festival estivo di Avignone (cui Vilar si dedica a tempo pieno a partire dal 1963, cedendo la direzione del teatro a George Wilson che segue sostanzialmente le sue tracce). Nel 1972, in seguito alla decentralizzazione, il Théâtre National Populaire si trasferisce a Villeurbanne. Planchon e Chéreau (sostituito più tardi da Lavaudant) ne assumono la direzione. Nel repertorio, oltre a testi di Planchon stesso (che sarà a capo del Théâtre National Populaire fino al 1996) vengono rivisitati numerosi classici, sempre in chiave politica e didattica. Nel 1959, in ambito italiano, viene riproposto il modello del teatro itinerante: Gassman crea il Teatro Popolare Italiano, che porta alla creazione dell’ Orestiade di Eschilo per l’adattamento di Pasolini e di spettacoli tratti da Ennio Flaiano, Alfieri e Manzoni.

 

 

 

 

 

Estate Teatrale Veronese

Inaugurato nel 1948 sotto il segno della collaborazione di Salvatore Quasimodo, Giorgio Strehler e Renato Simoni, l’Estate Teatrale Veronese fa di Verona la ‘capitale’ italiana del teatro shakespeariano. Oltre agli allestimenti dei classici di Shakespeare, nella straordinaria cornice del Teatro romano reso di nuovo agibile, il festival, anno dopo anno, ha dilatato le produzioni e i linguaggi riscoprendo e riportando in auge il teatro goldoniano, introducendo nel suo cartellone i capolavori mondiali della `modern dance’ e della danza folclorica, portando sulle antiche scene gli ultimi leggendari maestri del jazz, a fianco dei nuovi miti della musica afro-americana.

Volterra Teatro

La direzione artistica della prima edizione del festival Volterra Teatro è affidata a Vittorio Gassman, che realizza una rassegna di spettacoli tradizionali e di recital di attori. È con la direzione artistica di Roberto Bacci e la conseguente produzione affidata al Centro per la sperimentazione e la ricerca teatrale di Pontedera, che il festival si apre ad artisti ed esperienze internazionali, caratterizzandosi come luogo di contatto tra diverse culture e generazioni di teatro. Si sostengono così nuove produzioni e si valorizza l’esperienza della Compagnia della Fortezza, composta da alcuni detenuti della casa circondariale della città guidati dal regista Armando Punzo. Si fa di Volterra, investita dal teatro in ogni suo spazio, la sede di attività anche formative, creando occasioni di incontro con alcuni grandi maestri europei. Sono presenti, nei sette anni di direzione del Csrt di Pontedera, artisti e gruppi quali: Jerzy Grotowski, l’Odin Teatret, Zingaro, Thierry Salmon, Raul Ruiz, Jan Fabre, Royal de Luxe, Gerald Thomas, Carlo Cecchi, Antonio Neiwiller, Enzo Moscato, Leo de Berardinis, Bruce Myers, Anatolij Vassil’ev e molti altri. Al percorso disegnato da Pontedera si somma ora un complesso di ricerche su forme di teatro considerate `impossibili’, come quella realizzata negli ultimi dieci anni dal regista Armando Punzo (fondatore di CarteBlanche) con i detenuti del carcere volterrano della Fortezza, ma estese anche ad altri ambiti oltre i limiti di una professionalità tradizionale.