Svevo

L’interesse e il lavoro per il teatro sono stati costanti nel corso della vita di Italo Svevo. Un’attenzione testimoniata non solo dalla creazione di tredici testi – non tutti arrivati a noi in versione definitiva – ma anche da una fitta serie di varianti, appunti, annotazioni critiche su opere altrui, vissute da spettatore o da lettore. Un’attenzione e un amore peraltro poveri di soddisfazioni: una sola delle sue opere, Terzetto spezzato, venne portata sulle scene nel 1927 da Anton Giulio Bragaglia che, frettolosamente, cercava un atto unico col quale completare la serata; tutte le altre opere teatrali rimasero inedite durante la vita del loro autore. È stato notato (fra tutti da Odoardo Bertani) quanto grave sia risultato per la drammaturgia italiana il silenzio che gravò su S., almeno sino alla fine degli anni ’60. Gli allestimenti che da questa data cominciarono a giungere con regolarità (estendendosi anche alla drammatizzazione delle maggiori opere di narrativa) non colmano comunque lo iato.

Il teatro di Svevo è il testimone della crisi delle coscienze a cavallo tra i due secoli. Il vuoto interiore, la fiacchezza esistenziale, il deserto del sentimento sono resi attraverso la creazione di una teoria di anti-eroi, personaggi svuotati di progettualità, inclini a seguire torbidamente la superficie delle cose fino a quando un evento non programmato spezza la routine. Il quadro di riferimento delle commedie di Svevo, il circuito in cui egli fa agire i suoi personaggi, è quello della borghesia mercantile triestina, incapace di memoria, rispettosa delle forme e visceralmente ancorata alla legge del denaro. In particolare, il luogo dove meglio giungono a maturazione le contraddizioni di un’esistenza vuota di sensi è la coppia, colta sempre nel suo inevitabile deflagrare sotto i colpi di adulteri vissuti (o immaginati) con il piglio di chi cerca un’avventura per `consistere’, anche a costo di perseguire la strada obbligata dell’inganno. Le ire di Giuliano, Una commedia inedita ma, soprattutto, Terzetto spezzato, L’avventura di Maria, La verità, Un marito e Con la penna d’oro (riproposta col titolo Le cugine da M. De Francovich nel 1970) fanno tutte perno su questo tema, rappresentandolo con una capacità di penetrazione psicologica via via crescente.

A parte questa, l’opera forse più riuscita di Svevo, La rigenerazione, ruotante attorno al vecchio Giovanni che, insieme al Federico Arcetri di Un marito , è uno dei pochi personaggi teatrali sveviani capaci di gettare lo sguardo al di sotto della superficie, scrutandosi davvero dentro. Giovanni, convinto dal nipote (studente in medicina) a sottoporsi a un’operazione per tornare giovane, e poi disposto a fingere con se stesso anche per dimostrare di non aver buttato via il denaro, dà infatti un senso alla vita accettandola per quello che è, con tutti i suoi pesi e le sue insoddisfazioni.