Scimone

Giovane rivelazione del teatro dialettale di ricerca siciliano, arrivato alla notorietà con Nunzio (premio Idi autori nuovi, 1994), messo in scena da Carlo Cecchi che lo ha presentato per la prima volta al teatro Niccolini di Firenze e coprodotto da Taormina Arte. Interprete insieme a Francesco Sframeli (Messina 1964) , Spiro Scimone è stato anche premiato con il premio Idi per la drammaturgia (1989). Artista di notevole sensibilità è autore di Bar (1995) e Festa (1997). La caratteristica di S. è una scrittura drammaturgica asciutta e nervosa di arcaica sicilianità, sospesa tra verismo e naturalistico ottocentesco e modernità che si esprime mirabilmente in Bar e Nunzio , in cui lo stretto rapporto di amicizia tra i due protagonisti riflette intime inquietudini e disagio sociale. Grande, vera forza è il dialetto messinese che si impone come una lingua a sé con le sue spigolosità ma anche con dolci mollezze che scavano nella psicologia dei personaggi. Nelle pieghe della lingua si annidano infatti significati nascosti; nelle iterazioni, ma anche in un dialogo non formalizzato da parole, che usa il registro dei gesti e degli sguardi, c’è tutta la tragicità di personaggi al limite dell’emarginazione e della solitudine esistenziale. Nei brevi spazi drammaturgici (le pièce non superano i cinquanta minuti), uno spaccato di realtà siciliana tra Pinter e Beckett: i protagonisti si muovono in un’atmosfera rarefatta senza tempo, fissati in un immaginario che trova radici in un teatro di grandi tradizioni. S. ha vinto il premio Ubu nuovi autori 1997 e ha recitato inoltre in Amleto (1996), Sogno di una notte di mezza estate (1997) e Misura per misura (1998) di Shakespeare con la regia di Carlo Cecchi.

Sole, teatro del

Il T. del S. ha deciso fin dalla sua prima produzione, La città degli animali (1971, nata da un corso della scuola del Teatro Stabile di Torino in collaborazione con un gruppo di attori del Piccolo Teatro di Milano, di scegliere i ragazzi come spettatori privilegiati. Seguono poi, tra gli altri, Vieni nel mio sogno (1974), Felice e Carlina (1975), Giochiamo che io ero (1976), Dudù dadà il disperato vincerà (1977), spettacoli tutti giocati nel segno didattico brechtiano della semplicità inventiva che Carlo e Iva Formigoni infondono al gruppo. All’uscita di Formigoni, la compagnia si indirizza, dopo una serie di progetti legati all’uso dello spazio ( Ey de net , 1982; Horton , 1984; Dilemma lirico , 1985), verso un teatro antropologico che guarda alle culture orientali ( Riksciò, frammenti d’Oriente , 1988; Aso una storia africana , 1992). Dal 1995 la direzione è di Renata Coluccini.

Spoleto,

Nel 1958 Giancarlo Menotti diede vita a ciò che per molto tempo gli stava a cuore ed era stato un suo sogno: l’istituzione di un festival che prese subito il titolo Festival dei Due Mondi di Spoleto. Lo scopo principale del festival, delineato subito nelle sue grandi linee, è stato di far conoscere ed eventualmente di lanciare i talenti teatrali giovani nelle arti dello spettacolo. Ad aprire il festival quell’anno (giugno 1958) fu chiamato Luchino Visconti, che provvide alla regia del Macbeth di Verdi. In seguito Visconti avrebbe provveduto alla regia di altri capolavori della scena lirica, come La Traviata, Salomé e una memorabile Manon Lescaut (1973). Molti registi, all’inizio della loro carriera, diedero prova convincente del loro talento allestendo messinscene abbastanza rivoluzionarie, che destarono enorme scalpore soprattutto per la novità dell’ambientazione, delle scene e dei costumi, come fu quella dell’Italiana in Algeri di Rossini con la regia di Patrice Chéreau. Nello stesso tempo Menotti volle dare un impulso a opere liriche di rara esecuzione. Particolarità e attrattiva di uno spettacolo del festival derivavano principalmente dal modo con il quale esso veniva realizzato: non grandi nomi di direttori d’orchestra, ma destinati a diventarli (Thomas Schippers `in primis’, Christian Badea, Spiros Argiris). Così anche per i cantanti. A Spoleto hanno cantato i più grandi artisti della lirica degli ultimi decenni, senza essere portati sull’onda del divismo o della celebrità.

Un grande spazio Giancarlo Menotti volle subito dedicare al balletto, ben conscio del posto che quest’arte è andata occupando nel teatro. Sin dal 1958 Menotti ha voluto fare appello a un grande coreografo, Jerome Robbins; e fu subito con i Ballets Usa, una sorpresa per il pubblico, un qualcosa che non si era ancora visto: il balletto jazz elevato a espressione d’arte, le realtà del nostro tempo trasfigurate dal tocco di un maestro. Robbins per tanti anni è stato la guida di serate memorabili nel segno del buon gusto, dell’invenzione liberata a se stessa; dapprima, dopo i balletti al Teatro Nuovo (Afternoon of a faun, The Concert, New York Export: Opus jazz, Moves, Events) Robbins si limitava (nel Teatrino delle Sette) ai `petits riens’, piccoli saggi di coreografie scherzose, intelligenti. Al pubblico internazionale di Spoleto piacque molto l’idioma di Robbins, che sapientemente mescolava tutti i generi di danza: accademico, modern, jazz, danza di sala.

Addirittura una grande parata era allestita nel 1973: Celebration: l’arte del pas de deux, gala di celebri ballerini internazionali. Tornava Robbins in più d’una occasione ed erano ospiti del festival le più grandi star, le compagnie più prestigiose. Due formule particolarmente legate a Spoleto ribadivano l’importanza e l’interesse assunti dalla danza al festival: i Concerti di Danza con giovani solisti al Teatrino delle Sette, poi delle Sei; e le Maratone di Danza, nazionali per le due prime edizioni del 1977 e ’78, con le partecipazioni straordinarie di Carla Fracci e Paolo Bortoluzzi per la prima e di Elisabetta Terabust con Patrice Bart per la seconda. Dal 1980 ogni due anni la Maratona diventava internazionale, e la direzione passava dall’ideatore Alberto Testa allo stesso e a Vittoria Ottolenghi, spettacoli di grande richiamo popolare. Nella prosa Guido Davico Bonino riusciva a riunire gruppi di teatro drammatico con molte novità e regie particolarmente innovatrici, non esclusa di volta in volta la partecipazione di alcuni attori illustri.

Il settore lirica era il più curato, con opere di repertorio ma anche con altre di rara esecuzione, come il teatro di Richard Strauss, Janácek, Alban Berg, Stravinskij e anche novità di Berio, Nono, Rota, Petrassi, Menotti. Autentiche perle della manifestazione i Concerti di Mezzogiorno: ogni giorno alle 12 una specie di `Concerto aperitivo’ al Teatro Caio Melisso, occasione di conoscere eccellenti solisti e alcuni complessi, molti dei quali rivelati proprio da S. e lanciati nel mondo. Basterebbe ricordare la violoncellista Jacqueline Du Pré, troppo presto strappata alla vita e già diventata un mito. Del resto, s’è detto, scopo del Festival dei Due Mondi è sempre stato quello di mettere in luce gli artisti che hanno cercato e cercano una collocazione nel mondo dell’arte.

Quella libertà da tendenze estetiche e ideologiche, politiche o religiose, che ha favorito l’accostamento di autori e artisti diversi nella musica, la ritroviamo anche nella prosa, da Ronconi e Grotowski a Wilson. Abbiamo assistito così ai Fogli d’album con testi di Flaiano, Gaipa, Wilcock fra gli altri, diretti da S. Sequi; ai Carabinieri di B. Joppolo messi in scena da R. Rossellini, con le scene e i costumi di R. Guttuso; all’O’Neill postumo di Una luna per i bastardi ; a D’amore si muore di Patroni Griffi, regia di G. De Lullo, che ha curato anche uno splendido Malato immaginario di Molière (con R. Valli); alla coppia Morelli-Stoppa in Caro bugiardo di Kilty, dal carteggio tra G.B. Shaw e la Campbell; alle Diavolerie di Fersen, che ha portato anche l’angoscioso Leviathan ; al giovanissimo Chéreau con La finta serva di Marivaux e al vibrante e rivoluzionario Orlando furioso di Ronconi.

Sarti

Dopo aver frequentato la Scuola d’arte drammatica ‘P. Grassi’, Renato Sarti lavora al Piccolo Teatro di Milano con Giorgio Strehler e poi, dal 1979 al 1987, al teatro dell’Elfo, con regie di Gabriele Salvatores ed Elio De Capitani. Come drammaturgo, consegue il premio Idi nel 1987 con Carla Nicoletti e il premio Vallecorsi nel 1988 con Ravensbrück rappresentato nel 1989 da Valeria Moriconi con la regia di Massimo Castri. Nel 1991 e nel ’95 consegue due segnalazioni al premio Riccione rispettivamente con Filax Anghelos e I me ciamava per nome 44787, presentato nel 1997 al Teatro di Porta Romana di Milano con la sua regia. Nel 1989 scrive Libero, andato in scena con Giuliana De Sio come interprete per la regia di Strehler. Altre regie sono: Il magnifico Barella con la Filarmonica Clown e La testa nel forno (1998).

Sbragia

Giancarlo Sbragia si diploma nel 1947 all’Accademia d’arte drammatica di Roma e nella stagione 1947-48 esordisce al Piccolo Teatro di Milano con Don Giovanni di Molière. Successivamente passa al Piccolo Teatro di Roma e poi lavora in grandi compagnie private tra le quali Pagnani-Cervi poi nella Compagnia del Teatro Nazionale diretta da Guido Salvini in testi di Anderson (Anna per mille giorni), Kingsley (Detective story), Betti (Ispezione), Shakespeare (Sogno di una notte di mezza estate) dove ha modo di farsi notare per la sua recitazione estremamente essenziale e sobria, ma sempre molto incisiva. Tornato al Piccolo di Milano (1952-54) recita in Sei personaggi in cerca d’autore, Elisabetta d’Inghilterra, L’ingranaggio, Sacrilegio massimo, Appuntamento nel Michigan, Le nozze di Giovanna Phile e Il giardino dei ciliegi . Poi è con Renzo Ricci e Eva Magni in Lunga giornata verso la notte di E. O’Neill.

Affronta la sua prima regia con Ricorda con rabbia di J. Osborne con Giuliana Lojodice, Nino Dal Fabbro e Angela Cavo. Con Volonté, Salerno, Garrani, Valeria Valeri mette in scena testi importanti e di denuncia sociale (Sacco e Vanzetti). Risale alla metà degli anni Sessanta la sua ultima collaborazione con il Piccolo di Milano (Duecentomila e uno ,1966 di S. Cappelli e L’istruttoria, 1966-67 di P. Weiss. La seconda parte della sua carriera si apre nel 1960, con la fondazione unitamente a Garrani e a Salerno della compagnia Gli Associati, complesso per il quale cura diverse e importanti regie, anche con esempi di teatro-cronaca. Dopo il nuovo periodo al Piccolo (Enrico V e Il fattaccio di giugno , di cui fu autore, attore e regista) interpreta per Gli Associati, riformatisi nel 1969, Caligola (1970) di Camus, l’Urfaust – di Goethe, Edipo re (1973), Strano interludio di O’Neill nel 1972, di cui cura anche regia e musiche. Tra i continui impegni in teatro s’inserisce anche l’esperienza della televisione con grande successo di pubblico con sceneggiati come Delitto e castigo e Cime tempestose mentre in coppia con Enrico Maria Salerno riscuote unanimi consensi con la lettura a leggio del Concerto di prosa. Dell’ultimo periodo sono Faust di Goethe e La morte e la fanciulla di Dorfman al festival di Taormina.

Scarpetta

Eduardo Scarpetta si forma nel celebre Teatro San Carlino, a contatto con la grande tradizione popolare napoletana incarnata da Antonio Petito. Una volta impadronitosi dei meccanismi drammaturgici della farsa e della recitazione a soggetto, nel ruolo del `mamo’ Felice Sciosciammocca che non abbandona più, lavora con compagnie proprie. Ben presto ottiene grandi successi sia a Napoli sia in Italia, grazie al suo genio imprenditoriale e alle sue capacità drammaturgiche. Scarpetta realizza infatti una vera e propria riforma, innestando sulla tradizione farsesca partenopea il teatro del boulevard parigino.

Il suo teatro non si rivolge più al popolare pubblico del San Carlino di Petito; le messe in scena sono attentamente curate sia nella recitazione degli attori sia nella studiata eleganza delle scene, mentre le commedie satireggiano la borghesia umbertina di Napoli: «La plebe – scrive Scarpetta- è troppo misera per poter comparire ai lumi della ribalta». È precisamente questo che gli rimproverano intellettuali come S. Di Giacomo, L. Bovio, R. Bracco, F. Russo, i quali polemizzano più volte con l’autore, in nome di un teatro d’arte in cui il verismo è tradotto in bozzettismo di ispirazione sentimental-popolare. Le commedie di Scarpetta contaminano pièce di Hennequin, Labiche, Feydeau, Meilhac e Halévy, ma adattandole a tal punto al ‘milieu’ napoletano da diventarne immagini esemplari, come Lo scarfalietto (1881), `E nepute d”o sinnaco (1885), `Nu turco napulitano (1888), `Na santarella (1889), ‘O balcone `e Rusinella (1902), `O miedeco d”e pazze (1909); felice eccezione il suo capolavoro Miseria e nobiltà (1888).

Sempre attento alle novità del mercato teatrale, tenta con alterno successo anche la rivista, con Allegrezza e guaie (1895, con E. Bartolin) e L’ommo che vola (1909, con R. Galdieri); e il genere delle parodie, con un memorabile Figlio di Jorio (1904) che scatena una chiassosa polemica, conclusasi con la vittoria in un processo per plagio intentatogli dalla società degli autori. Si ritira dalle scene nel 1909, ma continua a dirigere la compagnia del figlio Vincenzo, erede del suo teatro in cui si sono formati attori come i fratelli De Filippo, A. Salvietti, E. Passarelli, M. Gioia e F. Sportelli.

Salerno

Enrico Maria Salerno giovanissimo segue la compagnia della famiglia Rame, alternando la carriera con il tentativo di frequentare l’università. Nel 1949 però sceglie definitivamente la sua strada dedicandosi con tutto se stesso al mestiere e alla vocazione di attore. Viene quasi subito scritturato dalla compagnia Tofano-Adani-Cimara. Nel biennio 1950-1951 approda al Piccolo Teatro di Milano dove interpreta con successo Morte di Danton di Büchner. Tra il 1954 e il 1955 lo ritroviamo nella compagnia del Teatro Stabile di Genova, compagnia in cui lavora per alcuni anni consecutivi interpretando, tra le altre, parti nei Demoni di Dostoevskij con la regia di Squarzina e in Liolà di Pirandello diretto da A. Fersen; anche come regista Ondina di Giraudoux, Ivanov, Oreste, Una donna quasi onesta di Salacrou, La moglie ideale di Praga. Nel 1960 fonda con Ivo Garrani e Giancarlo Sbragia (con quest’ultimo sarà molto attivo in televisione proprio negli anni successivi con una trasmissione molto nota intitolata Concerto di prosa ) la nuova Compagnia degli Associati , molto attenta al teatro di ricerca e di denuncia sociale, allestendo spettacoli come Sacco e Vanzetti di Roli e Vincenzoni con la regia dello stesso Sbragia.

Numerose le sue partecipazioni a spettacoli straordinari, tra cui La bisbetica domata a Verona nel 1953 con la regia di F. Enriquez, Ifigenia in Tauride a Taormina nel 1959 per la regia di O. Costa. Nel 1963 recita in Chi ha paura di Virginia Wolf? di Albee, con Sarah Ferrati e diretto da Zeffirelli, uno dei suoi maggiori successi in cui fa valere la sua recitazione controllata e moderna; sempre con Zeffirelli è un Padre straordinario in Sei personaggi in cerca d’autore nel 1991. Dopo il fortunato spettacolo Le rose del lago di Franco Brusati dove recita al fianco di Paolo Stoppa, all’inizio degli anni Ottanta, S. debutta nella regia cinematografica con Anonimo veneziano , opera prima ben accettata dalla critica. Nel cinema ha dato interpretazioni sempre impeccabili e misurate: tra gli altri titoli La lunga notte del ’43 (1960), Odissea nuda (1961), Smog (1962), Violenza segreta (1963), L’armata Brancaleone, Le stagioni del nostro amore e L’ombrellone tutti del 1966; La violenza: quinto potere (1971). Torna poi in teatro sotto la direzione dell’amico Sbragia in una versione dell’ Otello di Shakespeare. L’ultima interpretazione di rilievo da ricordare è quella del protagonista di Morte di un commesso viaggiatore di Miller.

Sparti

Fondatrice e direttrice del Gruppo di Danza Rinascimentale (1974-1988) compie un accurato lavoro di recupero e ricostruzione delle danze storiche basandosi sulla trattatistica umanistica e rinascimentale e proponendo musiche del periodo in allestimenti quanto più possibile fedeli all’originale ( Le Gratie d’amore , 1978). Importante anche la sua opera di saggista e studiosa con pubblicazioni di numerosi articoli in riviste del settore ( Choregraphie ).

Schwartz

Si dedica alla carriera di musicista soltanto a ventisei anni: benché portato alla musica, i suoi genitori gli proibiscono di dedicarsi a questa professione. Egli allora (pagandosi gli studi con i proventi delle sue esecuzioni come pianista in vari locali, tra cui i cinematografi) frequenta la Columbia University, laureandosi in attività artistiche e poi in giurisprudenza. Lavora come avvocato in uno studio legale di New York per un paio d’anni, componendo intanto canzoni nel tempo libero. Infine, dopo aver incontrato il paroliere Howard Dietz – abile pubblicitario, oltre che autore di libretti: è lui a imporre il leone ruggente come marchio della M.G.M. – si dedica sistematicamente alla composizione di canzoni su suoi versi (la prima canzone pubblicata si intitola Baltimore M.D. You’re the Only Doctor For Me. Contribuisce fra l’altro a First Little Show (1929), con la collaborazione di Dietz per il libretto (questi resterà il suo librettista principale per i lavori a seguire), spettacolo che noi definiremo `rivista da camera’, seguito nel 1930 da Second Little Show . Alcuni esiti teatrali cui S. collabora sono rappresentati a Londra, come Here Comes the Bride ; poi si succedono risultati realizzati interamente con sue canzoni. Fra questi si ricordano: Princess Charming , `musical comedy’ vera e propria (in collaborazione con Albert Sirmay), libretto di Jack Donahue (1930); Three’s a Crowd , rappresentata con successo da Fred Allen, Clifton Webb, Libby Holman e Fred McMurray (1930: rimarchevole la canzone Something to Remember You By ); e il lavoro cui maggiormente è legata la fama di questo musicista, The Band Wagon (1931). Basato su un libretto (di George S. Kaufman, versi di H. Dietz) che riguarda il mondo del teatro, questa commedia musicale comprende eccellenti numeri romantici come Dancing in the Dark e New Sun in the Sky , numeri comici come I Love Louise e balletti grotteschi come The Beggar Waltz . Rappresentata al New Amsterdam Theatre, regno dell’impresario Florenz Ziegfeld (regia Hassart Short, coreografia Albertina Rasch, interpreti Fred e Adele Astaire, Frank Morgan, Tillie Losch), The Band Wagon merita l’enorme successo che riscuote. Seguono fra l’altro, per la scena: Flying Colors (1932, canzoni “Alone Together” e “Louisiana Hayride”); Revenge with Music , 1934, dalla commedia di Pedro de Alarcón Il cappello a tre punte (canzoni “You and the Night and the Music”, “That Fellow Manuelo”); At Home Abroad , 1935 (che annovera un bel balletto, Love is a Dancing Thing ); Virginia , 1937 (libretto Lawrence Stallings e Owen Davis); Between the Devil , 1938 (canzone “I See Your Face Before Me”); Stars in Your Eyes (1939, libretto J.P. McAvoy, versi Dorothy Fields, protagonista Etle Merman, comico Jimmy Durante, prima ballerina Tamara Toumanova). Si succedono negli anni ’40, alternati a contributi al cinema (S. è anche produttore di film, come Fascino (Cover Girls, 1944, di C. Vidor) e Notte e dì (Night and Day, 1946, di M. Curtiz, biografia di Cole Porter); i seguenti spettacoli: American Jubilee , 1940 (libretto di Oscar Hammerstein II) su commissione della New York World’s Fair; Park Avenue (1946, libretto G.S. Kaufman e N. Johnson, versi Ira Gershwin; satira del divorzio facile); A Tree Grows in Brooklyn , 1951 (dal romanzo omonimo di Betty Smith, sulla vita di una famiglia di immigrati irlandesi a Brooklyn, con punte drammatiche: ottime la regia di George Abbott e la coreografia di Herbert Ross); By the Beatiful Sea , 1954 (libretto di Dorothy e Herbert Fields); The Gay Life , 1961 (dalla commedia Anatol di Schnitzler, ridotta per la scena musicale da Fay e Michael Kanin); Jenny , 1963. S. lavora anche per la radio. Per il cinema compone canzoni legate a diversi film, fra i quali: That Girl from Paris (1936, di L. Bacon); Navy Blues (1941, di L. Bacon); Avventura al Cairo (Cairo 1942, di W.S. Van Dyke); Thank Your Lucky Stars (1943, di D. Butler: vi appartiene una delle più note canzoni di S., quella che porta lo stesso titolo del film); L’ora, il luogo e la ragazza (The Time, the Place and the Girl, 1946, di D. Butler); Largo, passo io! (Excuse my Dust, 1951, di R. Rowland); Nebbia sulla Manica (Dangerous when Wet, 1953, di C. Walters); La maschera e il cuore (Torch Song, 1953, di C. Walters); Il nipote picchiatello (You’re Never Too Young, 1955, di N. Taurog). Dalla commedia musicale The Band Wagon sono tratti due film, ambedue però da considerare libere variazioni del risultato scenico: Ho incontrato l’amore (Dancing in the Dark, 1949, di I. Reis) e il più noto e più riuscito Spettacolo di varietà (The Band Wagon, 1953, di V. Minnelli, che presenta numeri aggiunti appositamente da S., fra cui la canzone a esaltazione dello spettacolo “That’s Entertainment”). S. non si presenta come un innovatore della scena musicale, inserendosi nella produzione consolidata di Broadway e seguendone i canoni, ma si afferma per la limpidezza delle sue melodie e per la brillantezza dei ritmi.

Spadaro

Odoardo Spadaro esordì nel 1912, a soli 17 anni, nella compagnia teatrale di Alfredo De Sanctis e Alda Borelli, un ruolo di `generico’. Lontano, per temperamento e doti, da drammi e tragedie, lasciò la prosa (dove però ritornerà sporadicamente: nel 1944 al Teatro Romano di Verona in Romeo e Giulietta di Shakespeare, regia di Guido Salvini) per dedicarsi al varietà, nel ruolo di chansonnier, fantasista, imitatore. Divenne simbolo canterino della sua Firenze, adottò la paglietta come Maurice Chevalier, che sostituì alle Folies Bergère ed ebbe successo accanto a Mistinguette all’estero: oltre che a Parigi, a Londra e a Berlino. Nel 1927 si esibì al Moulin Rouge, tempio mondiale del music-hall: nello spettacolo c’erano anche Jean Gabin e Viviane Romance. Nel 1932 compì una lunga tournée nelle due Americhe e in Africa.

Nel 1939, fece rivista con Paola Borboni a Napoli, in Mani in tasca e naso al vento di Michele Galdieri, una “rivista fastosa con satira d’attualità” con Spadaro “malizioso con i suoi stornelli”. Nella stagione successiva, all’Olimpia di Milano, nella rivista 41 ma non li dimostra di Sandro Dansi e Luciano Ramo, Spadaro canta, suona l’arpa e la fisarmonica, racconta storielle, recita scenette comiche, su un palcoscenico per la prima volta allungato verso la platea con piattaforma luminosa e orchestra in scena. Nel cast, l’esordio di un trio comico femminile, le Sorelle Nava. Col cappello sulle ventitré va in scena nel 1944-45 a Roma, copione di Riccardo Morbelli (con Angelo Nizza, autore della riduzione radiofonica dei Tre moschettieri in parodia: un successo storico legato alle figurine Perugina, con l’introvabile Feroce Saladino); accanto a S. brillano Enrico Viarisio, Dina Galli, Elena Giusti, per la regia di Camillo Mastrocinque.

Nel 1945, a Milano, S. è in ditta con Lucy D’Albert nella rivista Molto bene signor Protti di Mario Amendola. Il successo è tale che in compagnie minori impegnate nell’avanspettacolo circolano `falsi’ Spadaro, imitatori con paglietta e pipa spenta tra i denti, che cantano “La porti un bacione a Firenze”. (Di `copie’ d’attori famosi ne circolavano parecchie: Totò, la Magnani, Macario, la Osiris i più imitati. Con un accorgimento malandrino sulle locandine: in caratteri minuscoli, il nome della `copia’ e la dicitura “nell’imitazione di”; seguiva in lettere cubitali il nome del divo ricopiato. Con la speranza, spesso fondata, di turlupinare lo spettatore disattento). Su Spadaro c’è, rimarchevole, un ricordo del critico teatrale Roberto De Monticelli: “Sarà stato nel 1930, chissà nel ’31, al vecchio cinema Odeon di Milano c’era Milly, bruna e lucente, minuta e squillante, tutto ritmo e melodia. Girava come una trottola intorno a un aitante e insieme tarchiato, elastico e insieme greve dondolone sulle scarpe con ghette, tutto denti e cappello floscio, Odoardo Spadaro. Che coppia, gente”.

Spadaro tornerà in scena, richiamato da Garinei e Giovannini, nella stagione 1956-57, nel ruolo del suocero della coppia Walter Chiari e Delia Scala nella commedia musicale Buonanotte Bettina . Nel film Divorzio all’italiana di Pietro Germi (1961), scolpì il ritratto di un anziano nobile siciliano attratto da Stefania Sandrelli. Ispirò, per Spadaro Varietà in scena a Roma (1938-39) una recensione in versi: “Spadaro Odoardo! Che gioia /Basta lui solo per scacciar la noia! / Dalla sua bocca in prosa e in poesia / esce a getto continuo l’allegria!”.

Snake Theatre

Francisco in California. Lo S. T. è nato per volontà di Laura Farabough e Chris Hardman che in passato aveva lavorato con Peter Schumann del Bread and Puppet, di cui assumerà in parte le tecniche, elaborandole secondo uno stile personale. Negli spettacoli allestiti dallo S. T., gli interpreti, tutti mascherati, non parlano (una sorta di painter’s theatre -teatro pittorico come essi l’hanno definito): i loro pensieri vengono spesso espressi da voci fuori campo o proiettati su uno schermo come didascalie, supportati spesso da musica dal vivo, creata dal gruppo e basata su forme seriali asiatiche. Le performance sono allestite in spazi convenzionali oppure in `spazi trovati’ – come la spiaggia e le scogliere del Pacifico di Somewhere in the Pacific o il deserto di 24th Hour Cafè – e trattano di avvenimenti quotidiani ambientati nella zona occidentale degli Usa ma attraverso uno stile astratto che, facendo perno sul meccanismo della ripetizione, li pone in una prospettiva nuova. Il pubblico, in questo modo, viene indotto a concentrarsi da un lato sugli elementi concreti dell’ hic et nunc scenico, dall’altro sulla presenza illusoria di personaggi immaginati in un tempo e in un luogo differente.

Spoerli

Dopo gli inizi dell’attività lavorativa come apprendista pasticcere, nel 1958 Heinz Spoerli inizia lo studio della danza classica con Walter Kleiber, entrando due anni dopo nel Corpo di ballo dell’Opera di Basilea, dove danza fino al 1963. Dal 1963 al 1966 lavora con Tod Bolender al Balletto di Colonia, in seguito è solista al Royal Winnipeg Ballet (1966-97), Grand Ballets Canadiens (1967-69 e 1970-71) e del Balletto di Ginevra (1971-73) dove debutta come coreografo con Le Chemin. Direttore del Balletto di Basilea dal 1973 al 1991 vi crea oltre settanta balletti tra i quali ricordiamo i concertanti Chas, Wendung, Trois Gnossiennes. Thundermove, le sue versioni di Giselle, Lo schiaccianoci, e i nuovi balletti drammatici Sogno di una notte di mezza estate e La Belle Vie, cui affianca creazioni per molte compagnie internazionali, come La Fille Mal Gardée (Opéra di Parigi 1981, La Scala 1987) e Child Harold (Opera di Berlino 1984). Nominato direttore artistico del Balletto dell’Opera di Düsseldorf nel 1991 continua a consolidare la sua fama di autore con Szenen, La Bella addormentata, Goldberg Variationen . In seguito assume la direzione del Balletto di Zurigo (1996) per cui crea tra l’altro Patently Unclear ; è inoltre invitato dalla Scala a firmare le coreografie dell’opera inaugurale della stagione 1996-97, Armide di Gluck. Coreografo neoclassico, particolarmente versato nei balletti di impostazione narrativa, è autore di una danza fluida e musicale, contraddistinta da una delicata vivacità e un umorismo leggero.

Semënova

Terminato l’Istituto coreografico di Leningrado, danza dal 1925 al 1929 al Teatro d’Opera e Balletto di Leningrado. Successivamente si trasferisce al Teatro Bol’šoj dove danza sino al 1952. Interprete di balletti ottocenteschi ( Don Chisciotte , Bella addormentata , Lago dei cigni , Bajadera , Figlia del Faraone , Il cavallino gobbo, Esmeralda, Giselle ) è inteprete di balletti di Zacharov ( Il prigioniero del Caucaso , La ballerina contadina, Il cavaliere di Bronzo). Una delle massime interpreti della scuola russa unisce femminilità, eleganze, a profondità intepretativa e alto virtuosismo tecnico.

Salerno

Marinella Salerno studia danza moderna con Traut Faggioni, perfezionandosi al Cunningham Studio di New York e alla School for New Dance Development di Amsterdam. Dopo aver collaborato con alcune formazioni del teatro di ricerca (Parco Butterfly, Mascarà Teatro), nel 1991 crea l’assolo Ruwe Bineda, cui segue nel 1993 Chioma di Drago su musica originale di Stuart Rabinowitsch. Dal 1995 collabora con la coreografa e danzatrice Angela Torriani Evangelisti, con la quale realizza due brani per Progetto Tabucchi (Interni-Reves) e Progetto per Sheherazade (1996).

Scalfi

Da sempre si dedica soprattutto a spettacoli che affrontano tematiche di attualità al Teatro La Maddalena di Roma, intorno al quale si è formato un gruppo di attrici e scrittrici (Dacia Maraini, Maricla Boggio, Annabella Cerliani) che pratica un’idea di teatro `al femminile’. Ha collaborato anche con Alessandra Casella come interprete di Casa Matrix. Madri affittansi , monologo sull’affettività difficile tra le generazioni (1995).

Survival Research Laboratories

Con collaboratori come Matt Heckert, Monte Cazazza ed Eric Werner Survival Research Laboratories crea spettacoli di particolare violenza e distruttività, con bio-macchine (o `macchine organiche’) e robot ibridati con cadaveri di animali e scorpioni meccanici, gatti copulanti con centrifughe, artigli d’acciaio insanguinati che sventrano capre, ragni con zampe-lame affilatissime che battagliano tra loro in mezzo a esplosioni, in uno scenario apocalittico (John Reiss ha girato video su alcune delle più famose performance); gli unici esseri umani in scena sono i tecnici-operatori. I mostri meccanici dei Survival Research Laboratories sono strutturalmente alquanto complessi, composti da residuati militari trovati nei depositi della Marina o da scarti di officine automobilistiche. Come ha detto Mark Pauline: «Le macchine hanno qualche cosa da dirci… Macchine annoiate, deluse, disperate… I nostri spettacoli non sono per gli uomini, sono per le macchine. Non ci chiediamo come le macchine ci divertiranno, ma come noi possiamo divertire loro. Ecco cosa sono i nostri spettacoli. Divertimento per macchine».

Serreau

Fra i pochi uomini di teatro francesi che abbiano conosciuto bene Brecht, Jean-Marie Serreau è considerato l’`anello mancante’ fra il teatro critico brechtiano e il Nouveau Théâtre. Dopo aver collaborato con Charles Dullin, Maurice Delarue e Pierre-Aimé Touchard, nel 1949 fonda una compagnia con la quale monta L’eccezione e la regola di Brecht (è il primo che porta l’autore tedesco alla Comédie-Française con Vita di Galilei) e poi testi di Kafka e Jarry. L’anno seguente allestisce Adamov (La Grande et petite manoeuvre) con scene di Jacques Noël.

Tra il 1950 e il 1954 è direttore del Théâtre de Babylone, dove rappresenta Aspettando Godot di Beckett. Firma la regia di alcune opere di Ionesco e di Adamov, ma soprattutto fa conoscere al pubblico nuovi autori: nel 1957 mette in scena Les Coréens di M. Vinaver; nel 1958, durante la guerra d’Algeria, osa presentare Le Cadavre encerclé di Kateb Yacine; nel 1960 La diga sul Pacifico di Marguerite Duras e Biedermann e gli incendiari di Max Frisch. Nei primi anni ’70 si rivolge nuovamente al teatro francofono allestendo La tragédie du roi Christophe di Aimé Césaire, insistendo, per quest’ultimo, sugli aspetti connessi alla ritualità voodoo; ma S. non si limita a indagare culture diverse da quelle europee scegliendo testi di autori quasi sconosciuti nel vecchio continente: affida, per esempio, ad attori antillesi e africani la recitazione di Jean Genet. Fino alla fine (nel 1971 assume la direzione del Théâtre de la Tempête a Vincennes), Serreau è impegnato a dar voce al teatro della marginalità.

Stoppard

Nato in Cecoslovacchia, Tom Stoppard (vero nome Tomáš Straüssler) si è trasferito con la famiglia a Singapore e, dopo la morte del padre, ha vissuto in India con la madre e il suo nuovo marito, un ufficiale inglese, di cui ha preso il cognome. Nonostante l’inglese sia la sua seconda lingua, Stoppard ne è diventato un maestro, uno sperimentatore raffinato, come già Conrad e Nabokov. Caratteristici della sua opera sono il gioco del `teatro nel teatro’, attraverso citazioni e parodie dei grandi classici, e il gioco linguistico che presenta una sistematica sfasatura tra significato e significato (Dogg’s Hamlet, Cahoot’s Macbeth, 1979). Dopo alcuni drammi radiofonici e televisivi (per “The Albert’s Bridge” gli fu assegnato nel 1968 un premio Italia), l’opera d’esordio che impone Stoppard fu Rosencrantz e Guildestern sono morti (R. and G. are Dead, 1967), allestita dal National Theatre. I due personaggi minori della tragedia shakespeariana assistono, chiacchierando e filosofeggiando, alla vicenda di Amleto, pedine in un gioco più grande di loro che li porterà alla morte: di questo testo, nel 1990, Stoppard ne ricaverà un film, che vinse il Leone d’oro a Venezia. Sull’onda di questo successo.

Stoppard ha rielaborato per la scena un suo lavoro televisivo, “Enter a Free Man” (1968), e ha scritto l’atto unico Il vero ispettore Hound (The Real Inspector H., 1968), in cui due critici teatrali mentre assistono a un dramma giallo vengono coinvolti nell’azione e uccisi. Seguono Dopo Magritte (After M., 1970) e Dogg’s Our Pet (1971). In Acrobati (Jumpers, 1972), allestita da Peter Wood al National Theatre, due professori di filosofia disquisiscono nel corso di una conferenza sull’esistenza di Dio con acrobazie intellettuali che non dimostrano e non significano nulla. I mostri sacri (Travesties, 1974), scritto per la Rsc, è una parodia dell’ Importanza di chiamarsi Ernesto di Wilde. Seguono Panni sporchi (Dirty Lines, 1976), che segna un avvicinamento al teatro politico, e Ogni bravo ragazzo merita un favore (Every Good Boy Deserves Favour, 1977), scritto in collaborazione con Previn e la Symphony Orchestra ed eseguito dalla Royal Festival Hall. Stoppard ritorna alla commedia classica con Notte e giorno (Night and Day, 1978) e La cosa reale (The Real Thing, 1982), in seguito si dedica per alcuni anni a lavori di adattamento da Havel, Ibsen, Schnitzler e da Molnár con Traversata burrascosa (Rough Crossing, 1984) che A. Corsini ha messo in scena per il Teatro La Pergola di Firenze (1988). In quell’anno Stoppard è tornato al teatro con Hapgood, una specie di summa degli stilemi stoppardiani.

Nel 2012 ha debuttato in “prima” nazionale al Carignano di Torino – coprodotto da Fondazione del Teatro Stabile di Torino, Teatro di Roma e Zachàr Produzioni di Michela Cescon – The Coast of Utopia, fluviale opera in tre parti terminata da Stoppard nel 2002, dedicata a ripercorre attraverso le vicende di alcuni celebri personaggi russi, le radici e il milieu culturale in cui crebbe l’utopia socialista e rivoluzionaria. Regista dell’allestimento è stato Marco Tullio Giordana, che ha guidato per l’occasione una troupe composta da trentuno interpreti e altrettanti tecnici.

Schiller

Leon Schiller debutta come critico in “The Mask”, rivista di E.G. Craig nel 1908. Nel 1913 organizza a Varsavia una mostra di pittura e bozzetti scenici. Direttore letterario e regista del Teatr Polski (1917-21), della Towarzystwo Teatrow Stolecznych (Compagnia dei Teatri della Capitale) a Varsavia (1920-21), regista dei teatri Reduta e Ateneum a Varsavia, Miejski a Lodz, dei teatri cittadini di Leopoli prima della guerra, è fatto prigioniero ad Auschwitz nel 1940 e a Murnau nel 1944. Dopo la guerra ha diretto i teatri Wojska Polskiego (dell’esercito polacco) a Lodz e Polski a Varsavia, ha fondato e diretto la rivista “Pamietnik Teatralny” (Memorie teatrali) è stato tra i fondatori dell’Istituto internazionale di teatro e ha fatto parte del comitato di redazione di “La Revue Théâtrale”. Nella sua attività è possibile distinguere un primo periodo, legato alle messe in scena dei drammi monumentali del romanticismo (Mickiewicz, Slowacki) e del modernismo polacco (Wyspianski, Micinski), nonché dei classici del repertorio internazionale (Shakespeare, Hasek), un altro, più legato all’attualità politica e sociale (Zeittheater) e un terzo incentrato sulla messa in scena di opere (Moniuszko) e sulla composizione di rappresentazioni musicali basate su testi e spartiti della letteratura popolare o antico-polacca. Definito `poeta della scena’, Schiller – che introdusse in Polonia le teorie sceniche e le tecniche di recitazione di Craig, Appia e Mejerchol’d – si è distinto per la varietà e l’espressività delle sue messe in scena, capaci di unire con armonia parola, gesto (celebre la sua direzione delle scene di massa), musica, luci e scenografia.

Sellars

Peter Sellars è unanimamente riconosciuto come uno dei maggiori registi contemporanei. Giunto al successo molto giovane, anche grazie alle sue scelte decisamente anticonformiste e iconoclaste, Sellars è fautore di uno stile registico radicale, innovativo e al tempo stesso estremamente rigoroso. Particolarmente attento ai nuovi linguaggi, ai conflitti e alle contraddizioni della contemporaneità, Sellars ha affrontato testi e opere classiche e nuove creazioni, lavorando nella prosa, nell’opera lirica, nel cinema e nel video. Laureato ad Harvard, Sellars ha approfondito la propria formazione in Cina, Giappone e India, ha diretto la Boston Shakespeare Company e, nel 1983, è nominato direttore dell’American National Theatre di Washington.

Sul finire degli anni ’80, Sellars si segnala grazie a lavori come Nixon in China (1987), spettacolo con musiche di John Adams e coreografie di Mark Morris, o come la trilogia di Mozart-Da Ponte: nel 1989, con la direzione musicale di Craig Smith, suo costante collaboratore, Sellars scandalizza e colpisce il pubblico ambientando Don Giovanni tra i neri del Bronx; Le nozze di Figaro in un convulso grattacielo di New York e Così fan tutte in una specie di postribolo. Le opere, divertenti e coinvolgenti, sono ospitate dai maggiori festival internazionali, come Salisburgo e Glyndebourne.

 

Sellars ha diretto, tra l’altro, Giulio Cesare in Egitto da G. F. Haendel (1990), La morte di Klinghoffer spettacolo tratto dalla cronaca del sequestro dell’Achille Lauro, San Francesco d’Assisi di Olivier Messiaen (1992, direzione musicale di Esa-Pekka Salonen), I Persiani di Eschilo, in una lettura che richiamava, senza esitazioni, la situazione della Guerra del Golfo. Nel cinema, oltre ad aver lavorato con J.L. Godard, Sellars ha diretto, nel 1993, The cabinet of dr. Ramirez, film muto ispirato a Il gabinetto del dottor Calligari, con John Cusack, Peter Gallagher e Michail Barišnikov. Sempre fedele alla sua immagine giovanile e irriverente da punk, Sellars è professore ospite alla Ucla e dirige il festival di Los Angeles, appuntamento interculturale e interdisciplinare di altissimo livello.

 

 

 

 

 

 

Semizorova

Studia presso l’Istituto coreografico di Kiev e danza dal 1975 al 1978 col Balletto del Teatro Sevcenko di Kiev. Nel 1978 entra a fare parte del Balletto del Teatro Bol’šoj dove interpreta balletti contemporanei sovietici ( Spartaco , La leggenda d’amore ) e i principali titoli del repertorio ottocentesco. La sua danza è caratterizzata dalla bellezza e perfezione delle linee, dalla leggerezza del movimento e dalla precisione stilistica.

Schumann

La dinastia S., specializzata in numeri equestri, si afferma nell’Ottocento in Germania, dove a Berlino fonda il circo stabile S. capace di cinquemila posti (che servirà anche alle regie di Max Reinhardt e ai comizi di Hitler), bombardato negli anni ’40. Il circo S. giunge in Svezia nel 1872 e vi resta attivo fino al 1969. Negli anni ’60 e ’70 gli S. sono considerati tra i migliori cavallerizzi del mondo, in particolare Albert e Max. Katia S., figlia di Max, continua la tradizione equestre al Big Apple Circus ( v. ) di New York.

Santagata

Prima di fondare una delle compagnie più interessanti del teatro di ricerca italiano, Alfonso Santagata è stato allievo alla scuola del Piccolo Teatro di Milano e ha lavorato per anni con D. Fo e C. Cecchi. Con quest’ultimo in particolare ha recitato in L’uomo la bestia e la virtù di Pirandello, nel Borghese gentiluomo e nel Don Giovanni di Molière. Dieci anni di palcoscenico, un’istintiva e magnetica caratura di interprete, e la preziosa `scuola’ di Cecchi che rielabora in termini moderni la tradizione, consentono a Santagata il grande salto dell’autonomia creativa che comincia nel 1979, quando fonda con Claudio Morganti la compagnia Katzenmacher. Con lo stesso titolo dell’associazione culturale debutta il primo, commovente e abrasivo spettacolo della coppia che fin dall’inizio del sodalizio esplora e rielabora la marginalità e la devianza, raggiungendo, attraverso autori come Büchner, Cervantes, Dostoevskij, Beckett, con riscritture e elaborati work in progress autonomi e originali, vertici di alto valore poetico e comunicativo.

La consacrazione avviene nel 1984, dopo Büchner Mon Amour (1981) e En Passant (1983), con il premio Ubu e il Premio della critica per Il calapranzi di Pinter diretto da Cecchi. Mucciana City (1984), Hauser Hauser (1986) e Dopo (1987) precedono il lavoro con i detenuti della casa circondariale di Lodi ( Andata e ritorno, del 1987), esperienza-spettacolo da cui è tratto il video Un giorno qualsiasi (Rai di Milano). A cavallo tra gli anni ’80 e ’90, la coppia, di cui Santagata è spesso anche autore e regista oltre che attore, è ormai conosciuta in Italia e all’estero e Nanni Moretti lo vorrà nel cast di Palombella Rossa. Dopo Saavedra ispirato a Cervantes, Pa Ublié, Omsk , Redmun, Finale di partita di Beckett e Il guardiano di Pinter (quest’ultimo del 1992), la coppia decide di sciogliersi.

Santagata resta direttore artistico della compagnia Katzenmacher e prosegue la propria ricerca con un gruppo di giovani attori, tra cui Massimiliano Speziani e Giuseppe Battiston, entrambi premio Ubu 1997 per la singolare interpretazione in Petito strenge del 1996. Il lavoro che con Terra sventrata e Polveri (1994), Tamburnait e King Lear (1996) coniuga, attraverso una ricerca shakespeariana, la vocazione alla trasmissione del mestiere dell’attore con la produzione artistica vera e propria, si indirizza nelle ultime stagioni verso la rivisitazione della farsa (Petito) e del teatro di Jarry (Ubu scornacchiato del 1997 e Ubu `u pazz del 1998), prodromi di una esplorazione a venire sugli archetipi della tragedia.

Sokolova

Ha studiato alla Stedman Ballet Academy, poi con Pavlova, Mordkin, Clustine e Cecchetti. Ha danzato in tournée con Mordkin nel 1911 ed è entrata, nel 1913, nei Ballets russes di Diaghilev (che scelse personalmente il suo nome d’arte), alla prima inglese della compagnia: vi è rimasta fino alla sua chiusura, nel 1929. Eccellendo in ruoli di carattere, ha creato diversi ruoli in balletti di Massine, fra i quali quello principale nella sua versione del Sacre du printemps (1920) e la Tarantella ne La boutique fantasque (1919). Il delizioso libro Dancing for Diaghilev (Londra 1960) è uno dei migliori sull’argomento.

Scholz

Dopo precoci studi in danza e musica, Uwe Scholz nel 1973 si iscrive alla Scuola del balletto di Stoccarda e nel 1979 entra nell’omonima compagnia, della quale, nel 1982, è nominato coreografo stabile. Nel 1985 assume la direzione del Balletto di Zurigo e per questa compagnia crea diversi lavori tra i quali La creazione (musica di J. Haydn, 1986), L’uccello di Fuoco (1987), Il Rosso e il Nero (1989, presentato al teatro alla Scala nel 1994); nel 1991 passa alla guida del Balletto di Lipsia e qui firma tra l’altro Settima sinfonia (musica di Beethoven, 1992), Amerika (1994), Il mandarino meraviglioso (musica di Bartók, 1996), Sinfonia Classica (musica di Prokof’ev, 1997). Ospite di molte compagnie internazionali ha allestito tra l’altro Airs (MaggioDanza 1985), Jeunehomme (1990) e la Seconda sinfonia di Schumann (1993) per il Balletto di Montecarlo. Dotato di una grande sensibilità musicale e di un forte senso teatrale, è autore di una danza neoclassica di notevole bellezza formale e intensa espressività.

Silone

I due testi scritti per il teatro, Ed egli si nascose (1944; rappresentato all’Aquila nel 1965) e L’avventura di un povero cristiano (1968; allestito l’anno successivo a San Miniato, con la regia e l’adattamento di Valerio Zurlini), ispirati a precedenti romanzi, non hanno conosciuto una particolare fortuna sui nostri palcoscenici. Entrambi sviluppano una tematica cara a S., quella dell’esclusione dalla società di quanti siano depositari di valori – cristiani e umanitari – in totale disaccordo con le logiche dominanti, guidate dal desiderio di potere e di profitto. Se in Ed egli si nascose questa sorte tocca agli umili proletari della Marsica, ne L’avventura di un povero cristiano la vittima è papa Celestino V (l’eremita della Maiella, Pietro da Morrone), incapace di adattare i suoi principi di giustizia e di amore alle prospettive politiche del soglio pontificio, e dunque costretto all’abdicazione e alla successiva prigionia.

Somes

Dopo studi locali e con Espinosa, entra nella Sadler’s Wells School e nella compagnia (1936). Si fa notare subito per l’eccezionale `élévation’ e il lirismo stilistico. Crea molti ruoli per Ashton, a partire da Horoscope (musica di Lambert, 1938) con Margot Fonteyn, di cui sarà partner regolare negli anni’ 50, creando con lei, tra gli altri, Symphonic Variations , Daphnis et Chloé , Sylvia e Ondine . Sempre amato dalla Fonteyn, interpreta con lei anche tutti i grandi classici. Un autentico danseur noble, in veste di répétiteur noto per la pignoleria nella riproduzione dei balletti ashtoniani, con risultati però meravigliosi.

Schaubühne

Schaubühne è un teatro privato fondato nel 1962 a Berlino ovest, dapprima scena studentesca, noto per l’impegno politico e sociale delle sue produzioni. Sin dall’inizio contribuisce ad accrescere l’interesse per Brecht con la messa in scena di opere poco rappresentate come Un uomo è un uomo (1962), con la regia di Hagen Müeller-Stahl, e delle opere di P. Weiss del quale viene proposto in prima assoluta Cantata di un fantoccio Lusitano (1967). Si instaurano rapporti di lavoro con personalità emergenti della cultura teatrale della RDT, come il drammaturgo H. Lange, e dell’Europa orientale, come il regista polacco K. Swinarski.

Nel 1970 si forma una compagnia stabile in base ad accordi tra J. Schitthelm, K. Weiffenbach e il regista P. Stein, con sovvenzioni del senato di Berlino. Ne fanno parte attori che già in passato avevano lavorato con Stein quali B. Ganz, E. Clever e J. Lampe. Il nuovo programma della Schaubühne è ardito e contraddittorio: la messa in scena di opere di chiaro impegno politico (La madre di Brecht) contrasta con quella di altre, raffinate e intellettualistiche (Cavalcata sul lago di Costanza di P. Handke). Tuttavia, contrasti di questo tipo, che caratterizzano la S. anche in seguito, fungono da stimolo per il lavoro di personalità tra loro alquanto diverse come, i registi Stein, Grüber e Bondy; del drammaturgo D. Sturm e B. Strauss (per alcuni suoi particolari progetti).

Nel corso degli anni ’70 il lavoro trae ulteriore impulso da ricerche e progetti di gruppo sul teatro rivolto ai bambini, sul teatro shakespeariano ed elisabettiano e anche sulla tragedia greca (Le baccanti, messo in scena da Grüber nel 1974 e l’Orestea diretta da Stein nel 1980). Inoltre, a partire dal 1980, vengono organizzate anche rappresentazioni dirette a un pubblico particolare di lavoratori nonché di immigrati (turchi, per esempio). Alla fine degli anni ’70, grazie all’intervento del senato di Berlino, la S. ottiene una nuova sede, più grande e meglio attrezzata di quella, nel quartiere di Kreuzberg dove aveva iniziato l’attività: un grande cinema costruito da Mendelsohn a Lehniner Platz, appositamente ristrutturato. Da allora vi hanno operato ancora Stein, Grüber, Bondy, J. Gosch e, dal 1991, la regista A. Breth il cui lavoro viene seguito dalla critica con particolare interesse.

Sanjust

Conclusi gli studi classici, Filippo Sanjust scopre la propria vocazione per lo spettacolo con un’occasionale collaborazione al film Beatrice Cenci di R. Freda (1956), esordendo in teatro come costumista a fianco di Visconti (Don Carlos, Londra, Covent Garden, 1958) ed imponendosi grazie ad allestimenti realistici, scaturiti dal minuzioso studio storico e stilistico che caratterizza la linea espressiva del regista (per il Duca d’Alba di Donizetti, Festival dei di Spoleto, 1959, vengono riattivate le ottocentesche scenografie originali; per Le nozze di Figaro, Roma, Teatro dell’Opera, 1964, si ricorre ad una splendida ricostruzione storica). Pur senza rinnegare lo stile viscontiano, lavorando accanto a E. De Filippo (Barbiere di Siviglia, Roma, Teatro dell’Opera, 1965 ), G. R. Sellner ( Nabucco, Berlino, Deutsches Opera, 1979) e V. Puecher (Il giovane Lord di Henze, Roma, Teatro dell’Opera, 1965), preferisce una scenografia più pittorica, quasi bidimensionale, che raffina con i Bassaridi di Henze (Francoforte, 1966), Il trovatore (regia di A. Anderson, Londra, Covent Garden, stagione 1977-78) e I maestri cantori di Norimberga (regia di W. Eichner, Roma, Teatro dell’Opera, 1979). Per il Flauto magico di Mozart (Francoforte, 1968) cura anche la regia, come per Armida (Palermo, Teatro Massimo, 1974) e Tancredi (Roma, Teatro dell’Opera, 1978 ).

Simoni

Il Premio R. Simoni, assegnato nell’ambito dell’Estate teatrale veronese, rappresenta una sorte di consacrazione degli attori e i registi della tradizione: il 1 1958, Lucio Rideni; 1959, Emma Gramatica; 1960, Renzo Ricci; 1961, Cesco Baseggio; 1962, Antonio Saviotti; 1963, Wanda Capodaglio; 1964, Guido Salvini; 1965, Annibale Ninchi; 1966, Sergio Tofano; 1967, Gualtiero Tumiati; 1968, Paola Borboni; 1969, Eduardo De Filippo; 1970, Sarah Ferrati; 1971, Elsa Merlini; 1971, Elsa Merlini; 1972, Gino Cavalieri; 1973, Tino Carraro; 1974, Edda Albertini; 1975, Nina Vinchi; 1976, Orazio Costa Giovangigli; 1977, Paolo Grassi; 1978, Gianfranco de Bosio; 1979, Raul Radice; 1980, Lilla Brignone; 1981, Paolo Stoppia; 1982, Gianni Santuccio; 1983, Ivo Chiesa; 1984, Giovanni Testori; 1985, Luca Ronconi; 1986, Lina Volonghi; 1987, Emanuele Luzzati; 1988, Giorgio Strehler; 1989, Annamaria Guarnieri; 1990, Dario Fo; 1991, Ernesto Calindri; 1992, Valeria Moriconi; 1993, Aroldo Tieri; 1994, Anna Proclemer; 1995, Turi Ferro; 1996, Franca Nuti; 1997, Vittorio Gassman; 1998, Gianrico Tedeschi.

Schneider-Siemssen

Allievo di E. Preetorius all’Opera di Monaco, nella stessa città Gunther Schneider-Siemssen diventa, nel 1947, direttore degli allestimenti, iniziando una carriera che lo conduce a Salisburgo (dove firma le scene per Il console di Menotti, regia di P. Stanchina, 1952, e si occupa di tutti gli spettacoli delle celebri Salzburger Marionetten) ed a Brema. La vera svolta avviene però nel 1962, quando viene ingaggiato al Burgtheater ed all’Opera di Stato di Vienna, dove avvia una felice collaborazione con Karajan (Pelléas et Mélisande di Debussy, costumi di G. Wakhewitch, e Fidelio di Beethoven, 1962; La donna senz’ombra di R. Strauss, 1964), che gli consente di partecipare anche al prestigioso Festival di Salisburgo (Boris Godunov di Musorgskij, 1965) ed al Festival di Pasqua (Valchiria di Wagner, 1967). Con uno stile dai cromatismi fortemente accentuati, trasferisce la carica drammatica della musica, delle parole e dei movimenti nella luce, spesso sfruttando gli effetti delle proiezioni, che possono fondere in una sola unità ottica attori e scenografia, in una scena-inquadratura che parte dalla realtà rappresentata approfondendo i nessi concettuali sotto la superficie della vicenda. Attivo anche a Londra, allestisce una molto discussa Tetralogia di Wagner e un Eruwartung di Schonberg (Covent Garden 1961), per il quale lavora con P. Ustinov; artista versatile, opera pure in campo televisivo e cinematografico.

Severini

Pittore del movimento futurista, si volse in seguito a una visione classicistica dove le maschere della Commedia dell’Arte furono tra i suoi soggetti preferiti in pittura e nella scenografia. La prima committenza nel teatro risale al 1929 con il fondale per Facade di W. Walton. Tra i vari lavori ricordiamo Pulcinella di Stravinskij, Arlecchino di Busoni, entrambi per il Festival di Venezia del 1940 e Amphiparnaso di Orazio Vecchi per il Maggio fiorentino del 1938, dove collaborò di nuovo per i costumi di La strega di Lasca (1939) e Deliciae populi di A. Casella (1951).

Scala,

Dopo gli splendori ottocenteschi, il Balletto del Teatro alla Scala entrò nel nuovo secolo in una situazione di crisi creativa. Si rimasticano stancamente i moduli del vecchio ballo manzottiano e, quando si tentano novità, sorgono grotteschi titoli come Bacco e Gambrinus dell’epigono Giovanni Pratesi, rappresentato nel 1904 e nel ’12, in quest’ultima ripresa addirittura con la pseudo-danzatrice e autentica avventuriera Mata Hari. La rinuncia alla primogenitura ballettistica è particolarmente dolorosa alla Scala: l’ha evidenziato la gelida accoglienza riservata ai Ballets Russes di Diaghilev nel 1927, così come era avvenuto anni prima con la compagnia di Ida Rubinstein, che presentava il medesimo repertorio coreografato da Fokine. L’illusione di tornare ai vecchi fasti fu alimentata dal ballo Vecchia Milano, ancora su coreografia di Giovanni Pratesi e musica di Franco Vittadini, andato in scena nel 1928 con notevole successo, con altre riprese negli anni successivi.

Ancora nell’ambito del kolossal, nel 1932, Belkis, regina di Saba su musica di Respighi, con coreografia di Massine e scene di Nicola Benois: un’occasione di lancio per una delle maggiori ballerine della Scala dell’epoca, l’allora giovanissima allieva di Cecchetti Attilia Radice. Quest’ultima, unitamente a Cia Fornaroli, è stata la stella più fulgida tra le due guerre nel teatro milanese. La scuola di ballo della Scala fu riaperta nel 1921 dopo un periodo di crisi e fu illustrata, dal 1925 alla morte nel ’28, dal grande Enrico Cecchetti, chiamato da Toscanini a reggere la gloriosa Accademia che era stata di un altro sommo didatta, Carlo Blasis. Alla morte del maestro Cia Fornaroli ne assunse la direzione, mentre si prodigava anche come interprete in alcune importanti creazioni (Petruska di Stravinskij, diretto dallo stesso autore, con Enrico Cecchetti nel ruolo del Ciarlatano).

Una breve stagione di successi a cavallo tra gli anni ’30 e ’40 è quella della giovane ballerina e coreografa Nives Poli, con la sua formula dei `Balletti sinfonici della Scala’, una sorta di anticipazione di altre creazioni di Balanchine e di Massine. Ma è con l’avvento di Aurelio Milloss nel 1942 che si verifica un’autentica svolta e una sostanziale rinascita del ballo scaligero. Nel corso di una serata dedicata a opere contemporanee il coreografo italo-ungherese allestisce la prima esecuzione del Mandarino meraviglioso di Bartók (1942), di cui è protagonista accanto ad Attilia Radice. La guida del ballo scaligero da parte di Milloss porta al rinnovamento completo degli organici, con una salutare immissione di elementi maschili come Ugo Dell’Ara, Giulio Perugini e Mario Pistoni, importati da Roma. Tra le memorabili creazioni di Milloss alla S., La follia d’Orlando su musica di Petrassi (1947).

La riapertura della Scala dopo i tremendi danni bellici coincide anche con un’apertura artistica e culturale verso i grandi complessi stranieri. Giungono il New York City Ballet di Balanchine, il Sadler’s Wells Ballet (poi Royal Ballet) di Londra, l’Opéra di Parigi. Alcune importanti stelle di questi complessi partecipano alle successive stagioni, come Margot Fonteyn e Serge Lifar, ai quali si aggiunge la presenza del grande danzatore spagnolo Antonio. Tra i coreografi ospiti più assidui Roland Petit, Massine, Balanchine e, più recentemente, Rudolf Nureyev. Quest’ultimo ha debuttato come interprete alla Scala accanto alla Fonteyn nel 1965; sarà poi assiduo nel duplice ruolo di esecutore e creatore, soprattutto con riproduzioni di classici come Schiaccianoci e Don Chisciotte .

Fra gli esecutori, soprattutto sul versante femminile, la Scala esprime notevoli personalità. Dopo Olga Amati, Luciana Novaro, Vera Colombo, nel 1955 si rivela la giovanissima Carla Fracci, che per quaranta e più anni sarà la stella assoluta del teatro in innumerevoli produzioni: dapprima nella tipologia romantica, soprattutto con Romeo e Giulietta di Prokof’ev e in numerose edizioni di Giselle, e quindi con molte creazioni spesso espressamente pensate sulla sua misura di interprete, come il recente Chéri di Roland Petit (da Colette). Seguono la tecnicamente forte Liliana Cosi, Anna Razzi, Oriella Dorella; si segnala la singolare personalità di Luciana Savignano, che Maurice Béjart predilige, ma non riesce a strappare alla Scala ove interpreta balletti di Pistoni, di Petit e dello stesso Béjart. Nel settore maschile da segnalare la breve stagione di Paolo Bortoluzzi come coreografo e anche direttore del ballo, con creazioni come Omaggio a Picasso e Cenerentola. Gli si affiancano ottimi danzatori di estrazione scaligera come Roberto Fascilla e Amedeo Amodio, quest’ultimo anche in qualità di coreografo.

La penuria di danzatori maschi, che ha lungamente caratterizzato la Scala, sembra vinta con l’avvento di Maurizio Bellezza, Davide Bombana e Marco Pierin ai quali seguiranno, più recentemente, Massimo Murru e Roberto Bolle. Quasi tutte queste personalità provengono dalla stessa scuola di ballo della S. retta, dal 1974, da Anna Maria Prina. Proveniente dalla scuola, anche se perfezionata a Londra, è la nuova stella ospite della Scala. Alessandra Ferri, che interpreta i maggiori classici a partire dal discusso Lago dei cigni di Zeffirelli nel 1985. Per lei Forsythe ha creato una novità, nell’ambito del suo primo ingresso nel teatro milanese nel 1998.

Shawn

Già studente di teologia, Ted Shawn si è formato con Hazel Wallack, debuttando a Denver (1891). Ha aperto poi una scuola a Los Angeles e ha dato vita a una compagnia itinerante (1914). Con Ruth Saint Denis, incontrata a New York, ha fondato la scuola e la compagnia Denishawn (1915-1932), dove hanno studiato Graham e Humphrey. Qui sono nate anche coreografie per il cinema ( Dance of the Ages , Intolerance ). Dopo il divorzio dalla Saint Denis, ha formato un suo gruppo, All-Male Dancers (1933) e ha acquistato una fattoria nel Massachusetts, il Jacob’s Pillow, per farne la sede di corsi e spettacoli, che saranno fondamentali nella vicenda della danza moderna americana. Ha continuato a esibirsi fino agli anni ’60, diffondendo un’immagine virile della danza maschile. Ha pubblicato Ruth Saint Denis , Pioneer and Prophet (1920), The American Ballet (1926), Gods Who Dance (1929), Fundamentals of a Dance Education (1935), Dance We Must (1940), Every Little Movement (risultato degli studi su F. Delsarte, 1954), 33 Years of American Dance (1959), One Thousand and One Night Stands (con Gray Poole, 1960). La sua danza, inventiva ed eclettica, spesso ispirata a temi religiosi o etnici, ne ha fatto un pioniere dell’arte del corpo negli Usa.

Signorelli

Maria Signorelli svolge dapprima un’intensa attività come scenografa e costumista teatrale, poi, nel 1937, incomincia ad affiancare a questo lavoro una ricerca sul teatro d’animazione, con sperimentazione di spettacoli con burattini da lei creati. Dieci anni dopo fonda l’Opera dei burattini, che diviene un importante punto di riferimento per le prime iniziative e sperimentazioni di nuovo teatro con marionette e burattini in Italia. Realizza quindi varie produzioni cinematografiche e televisive. A questa attività teatrale, Signorelli unisce un continuativo impegno di ricerca anche storica, oltre che tecnica ed espressiva, sul nostro teatro d’animazione e riunisce una collezione importante di burattini e marionette. Ha al suo attivo molte pubblicazioni sul teatro d’animazione, anche di carattere pedagogico; ha curato varie mostre di rilievo nazionale e, nell’assieme, il suo lavoro ha costituito un contributo di grande rilievo sia per la conoscenza e la conservazione della nostra tradizione del teatro di burattini e marionette sia per il suo rinnovamento.

Stomp

La compagnia Stomp è stata fondata nel 1991 e diretta da Luke Cresswell e Steve Mc Nicholas; in precedenza artisti di strada sotto il nome hippie di Pookiesnakenburger. Nell’intento di dar vita a un musical senza musica, senza scene e senza costumi, puntano esclusivamente sui protagonisti, danzatori-acrobati, impegnati a darsi il ritmo utilizzando come strumenti a percussione ogni sorta di oggetti, tubi, bidoni, scope, lavelli, sturalavandini, scatoloni, accendini, sacchetti di plastica, bicchieri. Il grande successo ottenuto determina ben presto la moltiplicazione dei gruppi che diffondono il nome e il repertorio degli S. Ispirandosi alla ricchezza musicale dei Tamburi del Burundi africani, il gruppo ne elabora una versione bianca, tra clownerie e tip tap, esprimendo un mondo poetico basato sulla drammaturgia del suono e sulla teatralità intrinseca della vita quotidiana.

Sastre

Alfonso Sastre è una delle figure chiave del teatro spagnolo del dopoguerra, non solo come autore drammatico, ma anche come teorico del teatro, saggista, polemista, militante politico e fondatore di gruppi teatrali; il tutto nel segno di un’aperta opposizione al regime franchista e in favore di un teatro realista di temi sociali. Benché spessissimo i suoi testi siano stati proibiti dalla censura e siano stati rappresentati in Spagna solo dopo la fine del regime, Sastre ha continuato a scrivere per il teatro, sperimentando nuove formule, tanto che attualmente la sua produzione è molto vasta e differenziata. In essa spiccano alcuni testi che corrispondono a un tipo di tragedia attuale, da lui teorizzata e definita `tragedia complessa’, svincolata dai canoni della tragedia classica, il cui protagonista è un `eroe irrisorio’. Raggiunge la notorietà nel 1953 con Squadriglia verso la morte (Escuadra hacia la muerte), testo autorizzato e poi proibito dopo poche rappresentazioni. Assente dai palcoscenici spagnoli dal 1967, Sastre vi riappare nel 1977 con Il sangue e la cenere (La sangre y la ceniza), `tragedia complessa’ intorno alla figura del riformatore catalano Miguel Servet, e ottiene poi un grande successo nel 1986 con La taverna fantastica (La taberna fantástica). Molti suoi testi sono stati tradotti in italiano e spesso pubblicati prima in Italia che in Spagna.

Schlomer

Studia danza e coreografia alla Folkwang Hochschüle di Essen, interessandosi anche alle danze etniche e antiche. Danzatore del Wuppertal Tanztheater per La Sacre du Printemps di Pina Bausch (1987), dal 1988 al 1991 ha fatto parte del Mark Morris Dance Group di Bruxelles; in seguito ha diretto la compagnia di Ulm (1992-94) e il Tanztheater di Weimar. Autore di lavori di teatrodanza dalle atmosfere misteriose, ispirate dalla musica e da testi letterari di riferimento, oltre che per la sua compagnia ha creato lavori per il Ballet Royale de Wallonie ( La mer en deux etages ), Mikhail Barišnikov White Oak Project ( Behind White Lilies), il Lyon Opera Ballet ( Petrouskha ). Nominato nel 1997 direttore del Balletto di Basilea, si dedica anche alla regia teatrale e operistica ( Parsifal ).

Scigliano

Eugenio Scigliano studia danza classica a Cosenza e per tre anni alla Scuola del balletto nazionale del Canada con Erik Bruhn. Dal 1986 nel Balletto di Toscana, si impone per tecnica brillante, presenza scnica e versatilità stilistica in lavori di Gianfranco Paoluzi (Elysios 1987) e Ed Wubbe (Pop Sense 1988) e in creazioni come Giulietta e Romeo (1989), Pinocchio (1990) di Fabrizio Monteverde, Pulcinella (1990) e Chi vuol esser lieto sia (1992) di Virgilio Sieni. Solista all’English National Ballet nel 1992-93, rientra poi nel Balletto di Toscana dove è protagonista di Otello di Monteverdi (1994) e Blue Note di Mauro Bigonzetti (1997) e dove debutta nella coreografia nel 1996.

Skené teatrodanza

Fondata nel 1983 a Bolzano dal coreografo Ugo Pitozzi e dalla danzatrice Simonetta Cola si dedica al genere del teatrodanza di ascendenza nordeuropea avviando una stretta collaborazione produttiva con molte istituzioni artistiche tedesche e austriache.

Svoboda

Dopo il liceo scientifico Josef Svoboda frequenta la scuola per falegnami e studia all’Accademia di architettura e arti applicate di Praga. Le sue prime scenografie risalgono al 1943, presso il teatro sperimentale praghese (Nuovo gruppo al museo Smetana), per La morte di Empedocle di Hölderlin. Si rileva in questi progetti l’influenza costruttivista russa, unita ai temi scenografici di Appia e Craig, che poi Svoboda svilupperà portando la sua scenografia a essere protagonista, componente essenziale, presenza polarizzante per la drammaturgia dello spettacolo. Le sue messinscene sono fatte di forme e di volumi architettonici, in contrasto con la visione pittorica della tradizione ottocentesca.

Nel 1946 Svoboda diviene direttore di produzione del Teatro 5 maggio a Praga, che nello stesso anno allestisce La sposa venduta di Smetana (regia di Václav Kaslík). Nel 1948 è nominato direttore tecnico-artistico del Teatro Nazionale di Praga e nel 1973 direttore artistico della Lanterna Magika; dal 1968 insegna all’università di Praga. Nel corso della sua fertile e lunga carriera partecipa a numerose, celebri produzioni teatrali, stringendo interessanti collaborazioni con registi di primo piano: A. Radok, per cui allestisce fra l’altro I racconti di Hoffmann di Offenbach (Praga 1946); K. Jernek, per cui cura l’allestimento della Tosca di Puccini (Praga 1947), V. Kaslík, con cui idea ancora la messinscena di Nabucco (Londra, Covent Garden 1972) e Macbeth di Verdi (Montreal 1983).

Interessanti tutte le sue produzioni wagneriane, tra le quali il Tannhauser (1973, regia di Kaslík) e il Ring con la regia di Götz Friedrich (1974-1976), entrambi al Covent Garden. Particolarmente incisivo, inoltre, il confronto con il teatro musicale del Novecento; ne sono un esempio gli allestimenti per due opere di Janácek, L’affare Makropulos (Hannover 1979, regia di Kaslík) e Jenufa (Ginevra 1980, regia di E. Schorm). Scenografo eminentemente `creativo’, S. si impone come innovatore del teatro lirico e di prosa, collaborando per quest’ultimo soprattutto con il regista Otomar Krejca ( Aspettando Godot di Beckett, Salisburgo 1970; Edipo re, Edipo a Colono, Antigone di Sofocle, Praga 1971): una scena `moderna’, attraverso l’impiego delle tecniche più sofisticate di illuminazione, attraverso giochi di luce e controluce che disegnano plasticità e forme dello spazio del palcoscenico.

Una caratteristica della sua scenografia è il movimento di tipo cinetico architettonico (usa proiettori, sipari di luce, specchi, laser, schermi multipli, audiovisivi): soprattutto nella prosa Svoboda continuò a sviluppare un teatro di tipo cinetico, non statico, avvalendosi dell’esperienza sviluppata alla `Lanterna Magika’. In Italia ha debuttato con Intolleranza 1960 di Luigi Nono (Venezia, La Fenice 1961; regia di Kaslík), continuando poi una fertile attività nell’ambito del teatro musicale (Cardillac di Hindemith; Scala 1964); con la regia di V. Puecher ideò successivamente le scene per Atomtod di G. Manzoni (Piccola Scala 1965). Particolarmente significativo per la concezione dello spazio è l’allestimento di L’albergo dei poveri , l’opera di Flavio Testi da Gor’kij (Piccola Scala 1966; regia di Kaslík): un insieme di materiali poveri crea l’atmosfera da bassifondi, dove tra un groviglio di fili e di lamiere vi è lo spazio per le diapositive.

Con K. Jernek progetta il Wozzeck di Berg alla Scala (1971; contemporaneamente allestisce il Woyzeck di Büchner allo Stabile di Torino, regista Virginio Puecher) e, nello stesso teatro, realizza Il mandarino meraviglioso di Bartók con la coreografia di Roland Petit (1980). Collabora con il Piccolo Teatro per Faust frammenti di Goethe (1989-1991, regia di G. Strehler) e La donna del mare di Ibsen (1991), con la regia di Henning Brockhaus, per il quale lavora a molteplici produzioni: Un ballo in maschera (Wuppertal 1991), La traviata (Macerata 1992, Roma 1993), Rigoletto (Macerata 1993), Macbeth di Verdi (Roma 1995), Biedermann e gli incendiari (Anversa 1991) e Andorra di Max Frisch (Saarbrücken 1996).

La scenografia definita da Svoboda è, come si è detto, una componente essenziale dello spettacolo: a volte può essere dominante, a volte quasi assente, ma non rinuncia mai alla funzione allusiva dell’immaginazione. Svoboda crea, nella costruzione dello spazio scenico, la metafora, la suggestione, trasformandone le forme con l’uso di materiali, tecniche e trucchi; costruisce nello spazio del palcoscenico, con la sua scenografia astratta, immagini visive e mentali da sogno.

Sciaccaluga

Dalla stagione 1975-76 Marco Sciaccaluga è regista stabile al Teatro di Genova, per il quale ha realizzato fra gli altri: Equus di P. Shaffer, Il complice di Dürrenmatt, Le intellettuali di Molière, E lei per conquistar si sottomette di O. Goldsmith, I due gemelli rivali di G. Farquhar, La brocca rotta di Kleist, Il padre di Strindberg, Rosmersholm di Ibsen, L’onesto Jago di C. Augias, Suzanna Andler di M. Duras, il dittico goldoniano La putta onorata e La buona moglie , L’egoista di Bertolazzi, Inverni di C. Repetti (da S. D’Arzo), Arden di Feversham di anonimo elisabettiano, I fisici di Dürrenmatt, Re Cervo di C. Gozzi, Roberto Zucco di Koltès, La resistibile ascesa di Arturo Ui di Brecht. Recita in Amleto di Shakespeare e in Io di Labiche, diretti da Benno Besson (stagioni 1994-95 e 1995-96) e ne La dodicesima notte di Shakespeare, diretto da Franco Branciaroli. Ha diretto, sempre per lo Stabile di Genova, Lapin Lapin di C. Serreau (1994-95) e Ivanov di Cechov (1995-96). Dirige e recita Un mese in campagna di Turgenev (1996-97). Ha diretto due spettacoli per il Teatro Stabile di Trieste e numerose produzioni per compagnie private (G. Mauri, C. Giuffrè, G. Bosetti, A. Tieri, M. Bellei). Nella stagione 1990-91 ha diretto al Teatro nazionale di Rotterdam Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello. Nell’ultima stagione ha firmato la regia di Rumori fuori scena di M. Frayn, il fortunato spettacolo con Zuzzurro e Gaspare.

Scarano

Figlia d’arte, all’età di nove anni Tecla Scarano debutta sulle scene a Palermo, nella parodia di una stravagante francese. L’anno successivo inizia la carriera professionale con uno spettacolo di varietà, allo Jovinelli di Roma. Le sue doti canore le consentono di proporsi nel numero di una canzonettista prodigio. Comincia a lavorare in proprio come sciantosa nei caffè-concerto e nei teatri di Napoli. La sua presenza, la sua fragrante bellezza e il suo charme la impongono ben presto all’attenzione del pubblico. La Scarano rivela il suo temperamento drammatico in Pupatella di Bovio e il successo ottenuto la porta a investire il suo talento artistico nella prosa. Entrata a far parte della compagnia dialettale di Raffaele Viviani, conquista rapidamente il ruolo di primadonna. La prima interpretazione drammatica con Viviani è del 1917 con Donna Nunziata `a cagnacavalle, a cui seguirono Tuledo `e notte e Bammenella `e coppa `e quartiere. Nel primo dopoguerra apparve in qualche film (La cantante napoletana; La regina della canzone) e tornò al canto, incidendo dischi di grande successo. Dopo una nuova, trionfale tournée nel 1930, con la compagnia che l’aveva lanciata, conobbe il maestro Langella che diventerà più tardi suo marito. Per lo Stabile del teatro Nuovo di Napoli, interpreta riviste di Galdieri, Guido di Napoli, Nelli- Mangini. Nel secondo dopoguerra lavora saltuariamente in spettacoli leggeri di varietà.

Sieni

Architetto, Virgilio Sieni studia danza moderna con Traut Faggioni e contemporanea ad Amsterdam e New York, debuttando come danzatore e coreografo con la compagnia teatrale Magazzini. Dal 1983 al 1991 con Julie Ann Anzillotti e Roberta Gelpi guida Parco Butterfly, per cui realizza Cocci aguzzi di bottiglia (1985), Shangai Neri (1986), Inno al rapace (1988), Il severo calcolo numerico dei babilonesi (1990); nel 1992 fonda la Virgilio Sieni Danza e elabora progetti coreografici contrassegnati da lavori come L’eclisse (1992), Cantico (1993), Rosso Cantato (1995), Orestea/Trilogia del Presente (1996), Canti marini (1997); collabora inoltre con il Balletto di Toscana (Apollo musagète, 1989; Pulcinella 1991), MaggioDanza (Jeux, 1990), Teatro alla Scala (Feroce Silenzio 1994), San Carlo di Napoli (Time, 1996). Autore di spettacoli di raffinata eleganza formale, spesso in collaborazione con musicisti contemporanei come Alexander Balanescu o Giorgio Battistelli, pone al centro della sua ricerca il valore semantico della danza e la forza metaforica del movimento affidando a complesse coreografie astratte la trascrizione simbolica di temi tratti da grandi opere letterarie.

semiologia,

La semiotica del teatro si sviluppa dalle riflessioni teoriche e analitiche del Circolo di Praga (1931-1941) e dello strutturalismo, con la finalità di studiare le strutture e i meccanismi linguistici di produzione di senso e comunicazione del teatro. Nel 1963 R. Barthes nel suo Littérature et signification indica nella `polifonia informazionale’ e nello `spessore dei segni’ il tratto distintivo del teatro e la sua vera sfida alla sistematicità analitica della semiotica. Nella sua prima fase, la semiologia del teatro punta il proprio interesse sull’elemento testuale del teatro, in particolare sul testo verbale scritto che costituisce il testo drammatico. Con i lavori di Tadeusz Kowzan (The Sign in the Theatre, 1968) nasce e si sviluppa tra il 1965 e il 1975 la semiotica del teatro come disciplina intesa a elaborare una codificazione specifica dei sistemi di segni che costituiscono il teatro e ad approntare dei sistemi esatti di analisi. Un tentativo di fondare teoricamente l’approccio della semiologia teatrale è compiuto da Patrice Pavis.

In opposizione alla concezione linguistico-strutturalista che considera il teatro come un linguaggio privilegiando il testo drammatico (in questa prospettiva Lire le théâtre, 1977 della Ubersfeld), Georges Mounin (Introduction à la sémiologie , 1970), Franco Ruffini (Semiotica del teatro: ricongizione degli studi , 1974) e soprattutto Marco De Marinis nel 1975 e poi con un intervento decisivo sulla rivista semiotica “Versus” (Lo spettacolo come testo, 1978) sottolineano la necessità di una modificazione radicale dell’approccio assumendo lo spettacolo concreto come vero oggetto dell’analisi semiotica. Ulteriori riflessioni sulla dimensione performativa del teatro vennero condotti da Michael Kirby, Keir Elam ( The semiotics of Theatre and Drama , 1980). La nascita della pragmatica di Peirce sposta gli interessi della semiotica verso l’analisi del contesto spettacolare – e in particolare della relazione attore-spettatore – e le modalità di funzionamento della ricezione teatrale (per l’Italia vedi gli studi di Serpieri e Bettetini). Gli studi più recenti (De Marinis, Capire il teatro , 1988) muovono verso una semiotica storica che concepisce il proprio oggetto come `reperto culturale’ (i riferimenti sono a Kristeva, Bachtin, Lotman) e lo indaga attraverso un’attenta analisi contestuale dello spettacolo.

Servillo

Fondatore nel 1977 del Teatro Studio di Caserta con cui ha diretto e interpretato Propaganda (1979), Norma (1982), Guernica (1985), Billy il bugiardo (1989). Nel 1986 Toni Servillo ha iniziato a collaborare con il gruppo Falso Movimento interpretando Ritorno di Mario Martone e mettendo in scena E… su testi di Eduardo De Filippo. Nel 1987 è stato tra i fondatori dei Teatri Uniti, continuando da attore e regista il lavoro sul tessuto poetico della lingua teatrale napoletana attraverso spettacoli quali Partitura (1988) di Enzo Moscato, Ha da passa’ a nuttata (1989), dall’opera di Eduardo De Filippo, Rasoi (1991) di Ezio Moscato, Zingari (1993) di Raffaele Viviani, di cui ha anche curato la regia, sapiente architettura teatrale e poetica.

Affrontando successivamente il testo di Molière nel 1995 ha messo in scena Il misantropo con intelligenza e particolare inventiva. In questo spettacolo Servillo compariva anche in veste di protagonista, un Alceste che prende le distanze dal teatro museificato fuggendo dal `carcere della rappresentazione’, verso la felice imprevedibilità del mondo. Nel 1997 al teatro Sao Joao di Oporto presenta Da Pirandello a Eduardo versione portoghese de L’uomo dal fiore in bocca (nel quale si allontana dalla dittatura psicologica del testo restituendo, contro gli schemi tradizionali, un’ottica surreale e visionaria) presentata insieme a Sik-Sik , l’artefice magico di Eduardo De Filippo. È stato inoltre protagonista in Eliogabalo (1991) diretto da Memé Perlini, nell’opera di Franco Battiato Il cavaliere dell’intelletto (1994) e, con Mariangela Melato, in Tango Barbaro (1995) diretto da Elio De Capitani. Artista versatile e aperto a nuove esperienze, Servillo si è cimentato con successo nel cinema diretto da Mario Martone in Morte di un matematico napoletano (1992), in La salita, episodio de I vesuviani (1997) e in Teatro di guerra (1998). Nel 1998-99 è impegnato nella regia di Le false confidenze di Marivaux.

Sofronov

Scrive versi e testi di canzoni popolarissime e, durante la guerra, è corrispondente dal fronte del quotidiano “Izvestija”. Debutta come autore drammatico con In una città (1947), dove descrive con solido realismo la situazione dei reduci di fronte alla distruzione della guerra (premio Stalin 1947). Ripete il successo con il secondo lavoro, Un carattere moscovita (1948, altro premio Stalin per lo stesso anno), scontro tra ottusa mentalità burocratica e coraggiosa iniziativa giovanile. Uomo di sicura fede comunista, dirige dal 1953 al 1986 la popolare rivista settimanale “Ogonek”. Ampia la sua produzione drammaturgica, circa quaranta lavori, tutti perfettamente in linea con la politica culturale di partito: La carriera di Beketov (1948), per esempio, appoggia l’oscurantistica campagna contro il cosmopolitismo. I suoi principali lavori sono: Cuore non perdona (1955) , Soldi (1956) , L’uomo in pensione (1957) , l’antiamericano Emigranti (1967) , Labirinto (1968), che inneggia alla partecipazione sovietica nella guerra in Vietnam, Operazione al cuore (1981). Enorme successo hanno le sue commedie, ben costruite anche se banali: Un milione per un sorriso (1958), la trilogia La vivandiera (1959), La vivandiera sposata (1961), Pavlina (1964), a cui più tardi si aggiunge La vivandiera nonna (1981).

Schwarzkogler

Figura mitica dell’Azionismo viennese con H. Nitsch, G. Brus e O. Muehl. Dopo aver frequentato la Scuola di arti grafiche di Vienna (1957-1961) e le prime esperienze pittoriche, sotto l’influenza dell’informale e del gestualismo (`tachisme’), S. compie, in un periodo brevissimo tra il 1965 e il 1966, le performance che gli daranno notorietà internazionale. Sono sei Aktionen, la prima denominata Wedding e l’ultima Aktion Sketch . Non si tratta di veri happening o azioni con il pubblico, ma semplicemente di foto-sessioni in cui l’artista mette in posa il suo modello (Heinz Cibulka) in una scenografia simbolica da sala operatoria: il corpo è avvolto da bende e rattrappito su oggetti-simboli sferici (tra l’alchimia e Jung), il volto è sempre coperto, con siringhe ipodermiche infilzate sugli arti, lame che fendono la carne, pesci squartati (il pesce rappresenta Cristo); tutto ciò ha dato modo ai critici di parlare di sadomasochismo e crudeltà fine a se stessa, continuando a citare la presunta automutilazione del pene (completamente simulata). In realtà S. è un grande esteta, che vede l’arte come terapia e rituale purificatorio del corpo-medium, immerso in un Caos organico-inorganico di ancestrale bellezza e sensualità. Nel 1969 si suicida o forse è vittima di un incidente.

soubrettina

Il diminutivo soubrettina stava a indicare la posizione nel cast: meno rilevante di quella della soubrette, primadonna assoluta con nome in `luminosa’, più importante di quello delle ballerine di fila. Svolgeva precisi compiti nella rappresentazione. Recitava in piccoli ruoli (l’infermiera nello studio dentistico, la fidanzatina che il comico abbandonava per la `fatalona’ soubrette, la camerierina piccante nel saloon). E un ruolo obbligato a fine recita: le soubrettine erano `sipariste’, specializzate cioè nell’accompagnare i due lembi del sipario nel suo chiudersi e dischiudersi durante i ringraziamenti e le sfilate in passerella. Le più note, in questa bisogna, furono Magda Gonnella e Wilma Baschetti, le `bimbe atomiche’. Le soubrettine erano di solito due: furono addirittura quattro in La granduchessa e i camerieri di Garinei e Giovannini, 1955-56, con Wanda Osiris e Billi e Riva: Franca Gandolfi (avrebbe sposato Domenico Modugno), Ondina di San Giusto, Franchina Cerchiai e Primarosa Battistella.

Prima caratteristica della soubrettina era il corpo statuario, «con più curve del tracciato delle Mille Miglia». Corpo che andava esibito senza veli o quasi: un reggiseno spesso formato da due stelline argentate e uno slip uguale a un «triangolino luccicante, posto molto più in giù dell’ombelico e molto più su delle anche». Non si chiamava ancora tanga, ma era proprio quello. Baby Scruggs, creola, nella rivista Il terrone corre sul filo con Nino Taranto e Tina De Mola, aveva sui capezzoli due fiocchetti che faceva roteare vorticosamente. Gilda Marino, soubrettina di Caccia al tesoro di Garinei e Giovannini (rivista mutuata da famosa trasmissione radiofonica) al Teatro Mercadante di Napoli, la sera del 19 gennaio 1954, venne multata in scena dal capitano dei carabinieri. Luogo per `atti osceni in luogo pubblico’: durante un balletto, era saltato il bottoncino del reggipetto (forse non casualmente, trattandosi di incidente a ripetizione…). La s. aveva concluso il numero a seno scoperto, tra applausi scroscianti.

Analogo `imprevisto’ accadde una sera a Flora Lillo, nella rivista Buon dì zia Margherita , 1950. La s. venne convocata in commissariato. Nella rivista Il cielo si coprì di stelle di Rubens, 1945-46, con Antonio Gandusio e Lilla Brignone, il recensore sentenziò: «Si salvano solo tre cose: la comicità nuova di Walter Chiari e le cosce di Marisa Maresca, opulente come un teatro esaurito». Lilly St. Cyr al posto dello slip indossò, in un `burlesque’, una cintura di castità, e si immaginino le battute sulla chiave. In qualche caso, siamo in clima `È nata una stella’: nella rivista Un juke-box per Dracula, con il trio Sandra Mondaini, Gino Bramieri e Raimondo Vianello, il rinforzo `cinematografico’ di Carlo Ninchi e i balletti di Paul Steffen interpretati da Evelyn Greaves, stagione 1959-60. La prima ballerina si ammala e viene sostituita da Marisa Ancelli, soubrettina che conserverà il ruolo di soubrette e prima ballerina in Hobbyamente, 1965-66, con Bramieri e M. Del Frate, e soprattutto in molti show televisivi (“Vengo anch’io…”), là dove però le proibiscono di indossare costumi succinti, perché `troppo avvenente’. In teatro, i confini del pudore erano più ampi. Il costume della soubrettina si definiva `puntino’. E tale doveva essere.

Saiu

Studia canto al Conservatorio di Cagliari e danza contemporanea nel Centro di Merce Cunningham a New York, dove si esibisce anche in concerti di canto barocco. Dal 1986, pur continuando l’attività musicale avvia una ricerca coreografica sull’interazione tra voce, danza e arti visive in lavori come Anghelus (1992), Squarci (1994), Generazione all’Aurora (1995), Tre atti per un contrabbasso (1998).