Brusati

Franco Brusati ha cominciato a lavorare nel cinema come sceneggiatore e come regista. Ma nel 1959, al Teatro Valle di Roma, ottiene un grande successo con Il benessere, scritta in collaborazione con Fabio Mauri, che lo rivelò come autore dai dialoghi raffinati, dalla scrittura per immagini, ricca di tensioni interiori. Seguì un altro successo: La fastidiosa, che vinse il premio Idi nel 1963, con al centro anche qui una figura femminile che cerca di inserirsi nella vita del marito e del figlio, con premure e sollecitudini che finiscono per infastidirli. Nel 1966 scrive Pietà di novembre, la vicenda di un giovane mediocre che, nella disperata ricerca di identità, approda al delitto. Seguirono: Le rose del lago (1974); La donna sul letto (1984), Conversazione galante (1987). La drammaturgia di Brusati ha un vero respiro europeo; abile nella scrittura come nelle metafore, ricca di ‘immagini’ borghesi, si caratterizza per l’uso raffinato dei dialoghi. Come regista cinematografico ottiene un discreto successo con I tulipani di Haarlem (1971) e Pane e cioccolata (1974); non ripetuto con Il padrone sono me (1956), da un romanzo un tempo famoso di Panzini e Il disordine. Divertente e feroce, aperto alla commedia brillante, a volte tenera, a volte disperata, Brusati è certamente uno dei nostri migliori commediografi, non solo per la qualità dello stile, ma per aver svecchiato la nostra drammaturgia dalla tradizionale barriera del naturalismo. Le sue commedie hanno avuto grandi interpreti e grandi registi, da L. Adani ad E. Magni; dalla Proclemer, alla Aldini, da Ricci a Randone, da Albertazzi a Ferzetti, da Squarzina a Missiroli.

Sanguineti

Professore universitario di letteratura italiana dal 1970 (a Salerno e Genova), l’opera di Edoardo Sanguineti nasce e si sviluppa sotto il segno della nuova avanguardia a cui partecipa collaborando al “Verri” e al Gruppo 63. Le raccolte poetiche Laborintus (1959), Erotopaegnia (1961), Purgatorio de l’inferno (1964), T.A.T . (1968), Winwarr (1972), Bisbidis (1987), Senza Titolo (1992) testimoniano l’ossessione filologica, il pluriliguismo in funzione onirica e grottesca, la contaminazione tra ricerca scenica, musicale, pittorica. Rilevante nella sua opera la produzione di testi per il teatro (per il quale ha tradotto anche numerosi classici): K e altre cose (1962), Teatro (1969), in cui giunge a una totale desemantizzazione della parola, usata in maniera strumentale sul modello di una partitura musicale. La collaborazione di Sanguineti con musicisti, in modo privilegiato con L. Berio (Passaggio, Laborintus Due) data dai primi anni ’60. Prosegue fino ad accostare il linguaggio poetico alla musica di largo consumo e legata alla cultura giovanile, come nel lavoro sul rap con A. Liberovici (le sceneggiature-partiture Rap, Sonetto, Macbeth Remix , Festival di Spoleto 1998), dove il rap è tecnica ritmica, musicale e del discorso verbale, «modo paradossale per recitar cantando». Sono inoltre di Sanguineti le sceneggiature-drammaturgie-testi di Orlando furioso per la regia di L. Ronconi, di Commedia dell’inferno per i Magazzini Criminali, con la regia di Tiezzi.

Yacine

Kateb Yacine si accostò al teatro dopo l’amara esperienza della prigione (1946) subita per la sua adesione al movimento d’indipeùndenza. Dopo lo scoppio della guerra d’Algeria, nel 1954 si trasferì in Francia, dove fece il giornalista. L’opera che lo rese famoso fu Le cercle des représailles , una trilogia drammatica pubblicata a Parigi nel 1959. Seguono altri testi di forte impegno politico Le Cadavre Encerclé (1964), Les Ancêtres Redoublent de Férocité (1967, messo in scena al Théâtre National Populaire) e una pièce in omaggio di Ho Chi Minh, L’Homme aux Sandales de Caoutchuc che, allestita da Maréchal al Teâtre National de Lyon nel 1971 fu censurata dal sindaco della città. Nello stesso anno Yacine tornò in Algeria per fondare la compagnia Action Culturelle des Travailleurs, con la quale mise in scena alcune opere in dialetto algerino (Mohamed, Prends ta valise). Un anno prima di morire si trasferì definitivamente in Francia.

Osborne

Dopo un breve apprendistato come giornalista, poeta, attore in compagnie di provincia, John Osborne scrisse le prime commedie, Il diavolo dentro di lui (The Devil Inside Him, 1948) e Nemico personale (Personal Enemy, 1955, in collaborazione con A. Creighton). Nel 1955-1956 la English Stage Company diretta da George Devine iniziò la sua attività al Royal Court Theatre; rispondendo a un annuncio di Devine pubblicato su “The Stage”, O. inviò Ricorda con rabbia (Look Back in Anger, 1956), a cui resta legata la sua fama e la rinascita del teatro inglese degli anni ’50 e ’60. Il protagonista, Jimmy Porter, divenne il simbolo di uno scontento e di un disagio abbastanza indeterminato, ma che rispecchiava la reale condizione di larghe fasce sociali, conseguente anche alla crisi economica e d’identità della Gran Bretagna, decaduta dal rango di grande potenza mondiale; le novità furono l’ambientazione popolare, la giovane età dei personaggi, la violenza del linguaggio colmo di urla, insulti e oscenità, mentre la struttura restava quella tradizionale del well-made-play . Le opere successive hanno ridimensionato l’autore ad abile artigiano, capace di aggiornare le formule e le convenzioni della tradizione. L’istrione (The Entertainer, 1957, portato sulle scene da Laurence Olivier) alterna momenti della vita privata di una famiglia di attori (i Rice) a numeri di music-hall, recitati da Archie Rice, che non hanno la forza straniante dei songs brechtiani ma restano all’interno dell’illusione scenica. La denuncia del declino e dell’impoverimento del music-hall non si traduce in termini di vera critica, bensì in nostalgia dell’Inghilterra edoardiana. Seguono Epitaffio per George Dillon (Epitaph for George Dillon, 1958, in collaborazione con Creighton), Il mondo di Paul Slickey (The World of Paul Slickey, 1959) e il dramma tv Un argomento di scandalo e preoccupazione (A Subject of Scandal and Concern, 1960), dove si riaffaccia il tema del ribelle, nella figura di George Holyache, l’ultima persona a essere condannata per ateismo in Inghilterra.

La qualità dell’opera di Osborne dopo il 1960 è stata molto discontinua. Accanto a drammi inferiori quali Le commedie per l’Inghilterra : Il sangue dei Bambergh e Per pacco postale (Plays for England: The Blood of The Bambergh, Under Plain Cover, 1962), Patriota per me (A Patriot for Me, 1965), Tempo presente (Time Present, 1968), Hotel Amsterdam (The Hotel Amsterdam, 1968), A ovest di Suez (West of Suez, 1971), ci sono momenti positivi e di ripresa: Lutero (Luther, 1961) e Prova inammissibile (Inadmissible Evidence, 1964). O. è affascinato da Lutero per la sua lotta solitaria contro l’epoca e la società in cui vive, ma non lo interessano le ragioni storiche e ideologiche della sua ribellione. Prova inammissibile è l’ultimo lavoro in cui sia presente una certa ricerca teatrale. Il protagonista Bill Maitland è un avvocato in crisi che nel corso del dramma perde via via il contatto con la realtà. I dialoghi, e soprattutto i monologhi di Bill, passano da un livello naturalistico a una progressiva stilizzazione linguistica fino a toccare toni quasi surreali. Di O. sono da ricordare anche alcuni adattamenti: Impegno mantenuto (1966, da Lope de Vega), Hedda Gabler (1972, da Ibsen), Il ritratto di Dorian Gray (1973, da Wilde). Ha ridotto per lo schermo i suoi Ricorda con rabbia (1959, regia di Tony Richardson, protagonista Richard Burton) e L’istrione (1960, regia di Richardson, protagonista Laurence Olivier). Sempre per la regia di Richardson ha scritto la sceneggiatura di Tom Jones , dal romanzo di Henry Fielding (1963, protagonista Albert Finney). Dopo l’insuccesso di Watch It Come Down (1976) non ha più scritto nulla per il teatro, limitandosi a qualche lavoro televisivo. Nel 1992 il Teatro Parioli di Roma ha allestito Ricorda con rabbia trentacinque anni dopo di e con O., che in un’intervista al `Corriere della Sera’ ha dichiarato: «È il seguito di Ricorda con rabbia , dove i personaggi sono ormai invecchiati. Non c’è più rabbia ma solo nostalgia per ciò che si è perduto».

Fabre

Jan Fabre è nipote del grande entomologo Jean-Henri Fabre. Fin da giovanissimo è protagonista di ‘soli’ di arte performativa. A ventun anni dirige il suo primo spettacolo (Theatter geschreven met een K is een kater , ad Anversa) cui segue, nel 1982, This is theatre like it was to be expected and foreseen (Bruxelles). Celebre per l’uso della Bic blu con cui disegna soggetti onirici e colora carta, stoffe, legno e altri materiali, nella sua carriera d’artista espone, crea installazioni, rielabora ambienti in tutto il mondo. Nel 1984 debutta alla Biennale di Venezia con The power of theatrical madness e, a Documenta 8 (a Kassel) presenta Dance Sections, uno studio preliminare alla realizzazione di Das Glas im Kopf wird vom Glas (coreografia del 1990 per la De Vlaamse Opera di Anversa, musiche di Eugeniusz Knapik). Dopo Prometheus Landscape (1988), nel 1989 mette in scena The interview that dies, The Palace at four o’clock in the morning e The reincarnation of God , scritti nella seconda metà degli anni ’70. Su frammenti musicali di Knapik, Bernd Zimmermann e i Doors, nel ’90 allestisce il balletto The sound of one hand clapping (Francoforte). Tra il ’91 e il ’97 lavora, tra l’altro, a Silent Screams, Difficult Dreams (Documenta IX, Kassel, 1992) e alla trasfigurazione concettuale del corpo umano con la trilogia Sweet Temptations , Universal Copyright 1 & 9 e Glowing Icons . Interdisciplinare e irriducibile sperimentatore, contamina con spregiudicata e originale sintesi le sintassi dei diversi generi espressivi a cui si accosta sulla scorta delle suggestioni surreali di Magritte e Dalì e della lezione di Duchamp. Con gli scarabei e gli insetti che ricorrono in tutte le sue produzioni (dal teatro alla performance alle suggestioni figurative degli inchiostri o penne biro su vari materiali) lavora sulle qualità percettive e ri-creative di archetipi come il labirinto e la metamorfosi, alla ricerca della vita e della libertà rigenerativa sprigionata dall’elaborazione del deteriore e degli scarti.

Vian

Il suo carattere inquieto l’ha portato a sperimentare diverse forme artistiche: Boris Vian è stato anche attore, ballerino, cantante, librettista, musicista, critico e giornalista. Il suo debutto come autore drammatico avviene nel 1948 con l’adattamento del suo romanzo J’irai cracher sur vos tombes . Nel 1950 la rappresentazione di Equarrissage pour tous è un insuccesso. A questa seguono altre pièces: Le goûter des généraux (1951), farsa antimilitarista; Le chevalier de neige (1953), ispirato alla leggenda dei cavalieri della Tavola Rotonda; Les bâtisseur de l’empire ou le Schmürz (1959), storia di una famiglia sconvolta dall’intrusione di uno strano essere – lo Schmürz del titolo – che forse rappresenta la cattiva coscienza dell’uomo contemporaneo. Vian, poco conosciuto in vita, è stato rivalutato dopo la sua prematura scomparsa. Ricordiamo la sua attività di compositore di testi musicali e di librettista: nel 1958 ha scritto l’opera Fiesta, per Darius Milhaud.

Hacks

Figlio di un avvocato socialdemocratico, Peter Hacks studia filosofia, germanistica e scienze teatrali a Monaco. Nel 1951 inizia a lavorare per il teatro, il cabaret e la radio. Nel 1955, grazie al successo del suo primo lavoro teatrale, L’inizio dell’era indiana (Die Eröffnung des indischen Zeitalters), messo in scena ai Kammerspiele di Monaco, è invitato da Brecht a collaborare con il Berliner Ensemble. A Berlino lavora anche con il Deutsches Theater dove, nel 1956, viene allestita un’altra sua opera, La battaglia di Lobowitz (Die Schlacht bei Lobowitz). Scrive numerosi saggi sul teatro e la letteratura: Das realistische Theaterstück (1957), Aristoteles, Brecht oder Zwerenz (1957), Das Poetische (1972). Si impone, soprattutto a partire dagli anni ’60, per il suo stile che riconcilia in modo nuovo realismo e fantasia. Altre opere teatrali sono Il mugnaio di Sanssouci (Der Müller von Sanssouci), satira del dispotismo di Federico il Grande, e Gli affanni e il potere (Die Sorgen und die Macht), critica del concetto di lavoro nella Rdt, entrambe del 1958; Moritz Tassow (1965), dove vengono messe a confronto realtà e utopia del comunismo, e La festa del mercato a Plundesweilern (Das Jahrmarktfest zu Plundersweilern, 1975), una critica dell’industria culturale nella Germania Est. Il suo teatro ha un rapporto diretto con il dramma didattico brechtiano, ma si emancipa dal modello consueto di realismo. Opere più recenti sono La morte di Seneca (Senecas Tod, 1978) e Pandora , da Goethe (1982).

Polacci

Alfredo Polacci ha scritto copioni per l’avanspettacolo e per la rivista, testi per caroselli; fu attore con Petrolini (prima scrittura nel 1926, ruolo `generico utilité’, paga venticinque lire al giorno), pianista jazz su navi da crociera, scrittore (oltre a testi sul varietà, tra cui Il teatro di rivista: tutto quello che gli altri non sanno ; un romanzo, Gli occhi del buio , edito nel 1917). L’ultimo successo fu Risata in salotto , stagione 1976-77, con C. Dapporto e R. Pavone. Per Dapporto scrisse anche le scenette per il dentifricio Durban’s, Diario di un viveur . Autore di quaranta riviste, inventò per R. Rascel il personaggio del `Corazziere’ per Rascel scrisse Ma non è successo niente , 1949, con M. Landi e K. Urbani; l’anno successivo, Il cielo è tornato sereno , con T. De Mola Successi importanti: Com’era verde la nostra valle (1946-47), per N. Taranto, e Forse che Sud forse che Nord (stagione 1950-51) con F. Sportelli, B. Maggio e la comica toscana P. Renzi. Sua l’idea di mettere insieme due comici complementari, R. Billi e M. Riva, in Settecolli , con il famoso sketch Riva-Rossellini e Billi-Anna Magnani (1947-48), e Centocittà . Affrontò il genere rivista-cabaret nella stagione 1955-56 con Scale ; nel cast, G. Durano, P. Renzi, L. Gazzolo (la voce del vecchietto del West) e F. May. A Parigi incontrò Maurice Chevalier, scrisse per lui alcune canzoni e il divo francese gli regalò, come ricordo, il suo baule personale, che per i teatranti è un surrogato di casa viaggiante. Musicista oltre che paroliere, per T. De Mola, in Il cielo è tornato sereno , scrisse “Veleno”, canzone famosa, con versi che l’autore spiega: «Veleno, se mi baci ti do il mio veleno – o una rosa scarlatta sul seno…». Che c’entra la rosa scarlatta? «È una pugnalata. Nella rivista, la De Mola impersonava Lucrezia Borgia, che non si limitava ad avvelenare le pietanze». È tornato alla ribalta, nel 1993, con Tangentopoli: ammiratore del giudice Di Pietro, protagonista dell’inchiesta sulla corruzione, scrive in versi un commento ironico sullo scandalo: «La tangente? È potenza divina / di metallo / sonante è sottile manfrina / che arricchisce all’istante» E poi: «È arrivato Di Pietro / che sotto tiro tiene / qual giusto giustiziere / e a romper ora viene / le uova nel paniere!».

Priestley

John Boyton Priestley si arruola nel 1914 e nel 1919 riceve dall’esercito una borsa di studio con la quale si iscrive al Trinity Hall a Cambridge. Svolge un’intensa attività critica e saggistica e, dopo aver rifiutato diverse offerte nell’ambiente accademico, nel 1922 si trasferisce a Londra, dove ottiene un notevole riconoscimento come studioso e scrittore e l’attenzione internazionale con i romanzi I buoni compagni (The Good Companions, 1929) e La via dell’angelo (Angel Pavement, 1930). Negli anni ’30 e ’40 acquista una notevole fama grazie alla prolifica quanto eterogenea produzione teatrale (i drammi sono in tutto quarantanove), che va dalla commedia leggera a sfondo sociale, alla farsa politica in chiave metaforica, fino al dialogo filosofico.

Comunemente indicati con l’etichetta `Time Plays’ (tra gli altri si ricordano La svolta pericolosa, Dangerous Corner, 1932, la più rappresentata; Il tempo e la famiglia Conway, Time and the Conways, 1937; Un ispettore in casa Birling , An Inspector Call, 1946), la maggior parte dei suoi drammi cela sotto le convenzioni di un naturalismo ormai ben accetto al pubblico, il ribaltamento dei suoi presupposti al fine di muovere verso un aperto simbolismo. La particolare passione di Priestley per il problema del tempo si alimenta delle speculazioni del mistico P.D. Ouspensky e del matematico J.W. Dunne. Il primo propone la coesistenza di un numero quasi infinito di sequenze alternate di tempo; il secondo sostiene che ci sia un piano temporale su cui passato, futuro e l’ora di ogni dato momento siano simultaneamente presenti. La sperimentazione drammaturgica di P. tende a confrontarsi con diversi modelli stilistici alternativi, prendendo spunto, di volta in volta, da T. Wilder, E. Rice e dall’espressionismo tedesco ( Music At Night , 1938; Johnson Over Jordan , 1939; Ever Since Paradise , scritto nel 1939 e rappresentato nel 1947).

Miller

Cresciuto negli anni della Depressione e permanentemente segnato da queste esperienze, Arthur Miller cominciò a scrivere drammi (soprattutto per la radio) quando ancora frequentava l’università; debuttò a Broadway nel 1944 con il testo L’uomo che aveva tutte le fortune (The Man Who Had All the Luck), che non ebbe alcun successo ma che già conteneva alcuni dei temi fondamentali dell’intera sua opera: la difficile difesa della dignità dell’uomo di fronte alle domande che gli pongono il lavoro e la famiglia, il senso di colpa e le conseguenze individuali e collettive dell’economia capitalistica. Il successivo Tutti miei figli (All My Sons, 1947) segnò l’inizio del suo periodo migliore. Mostrava, in una struttura di tipo ibseniano, una famiglia della classe media turbata e poi sconvolta dalla scoperta che il padre industriale, per accrescere i suoi profitti, aveva venduto parti d’aereo difettose all’aeronautica militare. Seguì, nel 1949, l’opera più famosa, Morte di un commesso viaggiatore (Death of a Salesman), una sorta di melodramma sociale fra il realistico e l’espressionistico (ma con evidenti ambizioni tragiche) di un altro padre, vittima inconsapevole di una società fondata sul mito del successo e della propria incapacità di raggiungerlo. Poi, dopo aver presentato un proprio adattamento di Un nemico del popolo di Ibsen (1951), abbandonò apparentemente l’America contemporanea per evocare in Il crogiuolo (The Crucible, 1953) il famoso processo celebrato alla fine del Seicento contro le streghe di Salem, alludendo chiaramente alla cosiddetta caccia alle streghe del maccartismo, ma raccontando soprattutto la storia di un uomo combattuto fra le proprie convinzioni morali e ciò che richiedeva da lui la società. Un tema analogo era al centro di Uno sguardo dal ponte (A View from the Bridge, nato come atto unico nel 1955 e sviluppato in due atti l’anno dopo), dove uno scaricatore siciliano pagava con la vita il rifiuto di sottostare alla legge dell’omertà che dominava il suo ambiente. Erano al centro di queste opere, con le preoccupazioni di ordine sociale, i personali sensi di colpa, spesso legati al sesso, che contribuirono a farne testimonianze significative del malessere di un’intera classe, anche se inficiate da risvolti melodrammatici e non sorrette da una particolare eccellenza di scrittura. I testi successivi non aggiunsero molto alla sua fama. Furono, fra questi: Dopo la caduta (After the Fall, 1964, successo di scandalo perché vi si lesse una sorta di cronaca del tempestoso matrimonio dell’autore con Marilyn Monroe); Incidente a Vichy (Incident at Vichy, 1964); Il prezzo (The Price, 1968); L’orologio americano (The American Clock, 1980) e Vetri infranti (Broken Glass, 1994). Per il cinema ha sceneggiato Gli spostati di Huston, di cui era interprete anche M. Monroe (e fu il suo ultimo film, come di Clark Gable). Ha scritto inoltre saggi sulla natura della tragedia moderna raccolti in volume nel 1971 e una bellissima autobiografia, Svolte, La mia vita (1991).

Mercer

David Mercer esordì in televisione prima che in teatro: Generazioni (Generations: three television plays , 1964) trilogia che esamina i conflitti della working-class nel passaggio a middle-class, Un uomo da curare (The brued Man, 1962), In due menti (In two Minds , 1967), Uccidiamo Vivaldi (Let’s murder Vivaldi , 1968). Per il teatro ha messo in scena La signora del governatore (The Governor’s Lady , 1965), Cavalca un cavallo a dondolo (Ride a cock Horse, 1965), Il caso Belcher (Belcher’s Luck, 1965), Sangue sul tavolo (Blood on the table, 1971), Cugino Vladimir (Cousin Vladimir, 1978). M. crea con grande acume una galleria di caratteri, spesso sull’orlo della disperazione e pervasi dal sentimento di totale impotenza, che si dibattono nel mezzo delle contraddizioni spesso causa della loro pazzia. Dominano nell’opera l’opposizione alla repressione politica e psicologica, l’ideologia marxista e l’interesse psicopatologico che porta M. a esaminare l’origine, lo sviluppo e la manifestazione della malattia mentale. Nelle prime pièce M. si attiene a uno stile realistico, che successivamente abbandona per tecniche più ardite, che meglio si adattano al suo pessimismo molto vicino a quello di Beckett, che coinvolge tutto: nascita, morte e ricerca dei significati; come nel film Providence (1977) scritto per A. Resnais, commedia surreale in cui il protagonista compie un viaggio nella vita della mente.

Billetdoux

François-Paul Billetdoux scrive a diciannove anni la sua prima sceneggiatura per la radio e poi ne diventa responsabile del settore varietà (a lui si deve il debutto di Yves Robert e di Jeanne Moreau). Scrive sketch e monologhi per il cabaret. Il suo primo lavoro teatrale è del 1955, À la nuit la nuit , rappresentato al Théâtre de l’Oeuvre. Il grande successo arriva nel 1959 con Tchin-Tchin, rappresentato al Théâtre de Poche-Montparnasse, di cui Billetdoux è anche interprete accanto all’attrice Katarina Renn. Il testo racconta dell’incontro di Pamela e Romero, che, abbandonati dai rispettivi coniugi, si abbandonano alla disperata dissoluzione nell’alcolismo.

Nel 1984 lo spettacolo è stato allestito al Théâtre Moderne, interpretato da Marcello Mastroianni e Natasha Parry. Altri suoi lavori sono: Le Comportement des époux Bredburry (1960); Va donc chez Törpe (1961); Les chemises de nuit (1962, questa pièce fa parte di una trilogia a cui collaborano anche Ionesco e Vauthier); Comment va le monde, môssieu? Il tourne, môssieu (1964, che ottiene il premio Ibsen); Il faut passer par les nuages (1964); Silence! L’arbre remue encore (1967, presentato al festival d’Avignone, con la regia di Antoine Bourseiller e l’interpretazione di Serge Reggiani); Femmes parallèles (1970); Ne m’attendez pas ce soir (1971). Seguono alcuni anni in cui Billetdoux interrompe la sua attività teatrale, che riprende nel 1988 con Réveille-toi, Philadelphie, rappresentato al Théâtre de la Colline; lo spettacolo è un successo di pubblico e critica. Nel 1989 vince il premio Molière come migliore autore drammatico e il grand prix dell’Académie Française.

Usigli

Anche critico e teorico, Rodolfo Usigli è forse l’autore più importante del teatro messicano del Novecento. Esordì alla fine degli anni ’20, e nel 1940 fondò il gruppo sperimentale Teatro de medianoche. Tra i suoi testi più noti Il bambino e la nebbia (El niño y la niebla, 1936), Mezzo tono (Medio tono, 1937) e Il prestidigitatore (El gesticulador, 1937), andato in scena nel 1945 con grande successo e suscitando molte polemiche. Questo dramma affrontava il tema della corruzione politica e più in generale quello dell’autenticità. Ancora temi politici e sociali sono al centro delle sue opere successive, nelle quali spesso vengono incorporati anche elementi autobiografici: Jano è una ragazza (Jano es una muchacha, 1952) sulla libertà sessuale; Corona d’ombra (Corona de sombra, 1947), dramma storico sull’infelice imperatore Massimiliano d’Austria.

Rostand

Dopo una raccolta poetica e due pièce in versi per Sarah Bernhardt, La princesse lointaine (1895) e La samaritaine (1897), Edmond Rostand arrivò inatteso il grande successo con Cyrano de Bergerac (1898), commedia eroica in cinque atti, composta in versi alessandrini, ancora oggi è rappresentata nei teatri di tutto il mondo. Cyrano, poeta e capitano di ventura, è innamorato di sua cugina Roxane ma, convinto di non poter essere ricambiato a causa del suo grande naso, si limita a dichiararsi a lei per voce del giovane e bel Christian. Quando questi muore in battaglia, Cyrano decide di restare accanto a Roxane, a cui rivela il suo amore solo in punto di morte. Rostand cercò di replicare il successo con L’Aiglon (1900) e con Chantecler (1910) ma, se la prima fu accolta bene dal pubblico, la seconda si rivelò un clamoroso fiasco. Rostand, acclamato universalmente a ventinove anni, eletto accademico di Francia a trentatre, visse il resto della sua vita ricchissimo, ma incapace di ritrovare quell’abile mistura di romanticismo storico, fantasia e sentimentalismo patetico, che decretarono il successo del suo capolavoro.

Coward

Noël Pierce Coward ha esordito con Ti lascerò questo (I’ll Leave It To You, 1919) e La giovane idea (The Young Idea, 1922). Il successo del suo teatro, cui Coward ha contribuito anche come perfetto interprete, è iniziato con Vortice (The Vortex, 1924, rappresentato al Teatro Valli di Reggio Emilia nel 1990, regia di M. Bellei), cui sono seguiti Angeli caduti (Fallen Angels, 1925) e La febbre del fieno (Hay Fever, 1925), dove i Buss, una famiglia di artisti, invitano per il week-end un gruppo di amici e li ossessionano con le loro manie (andato in scena a Roma, Teatro Ghione 1992, regia di S. Blasi). In Vite private (Private Lives, 1930) due divorziati s’incontrano durante la luna di miele con i rispettivi nuovi coniugi e decidono di rimettersi insieme: una soluzione che si ripeterà in L’allegra verità (Present Laughter, 1942). Pur legato alla formula della commedia brillante e sofisticata, come Partita a quattro (Design for Living, 1932), Coward ha saputo rendere bene anche l’atmosfera crepuscolare in Vita tranquilla (Still Life, 1936), entrambi tradotti in film, il primo da Ernst Lubitsch (1933), il secondo da David Lean con Breve incontro (Brief Encounter, 1945). Anche Spirito allegro (Blithe Spirit, 1941) ha avuto una versione cinematografica (1945, regia di Lean). Coward resta sostanzialmente fedele alla commedia da salotto, di cui ha attualizzato i contenuti con una carica di superiore spregiudicatezza. Ne esce un quadro disincantato della borghesia inglese tra le due guerre. Ma il dialogo, dove la comicità scaturisce dal contrasto tra la banalità delle battute e il contesto in cui vengono pronunciate, e l’uso sapiente delle pause ne fanno per certi versi un precursore di Pinter.

Tanguy

François Tanguy fonda, nel 1979, la compagnia del Théâtre du Radeau a Le Mans. Dopo aver rappresentato Molière e Shakespeare, si dedica alle creazione di opere, tra le quali si ricordano L’Eden et ses cendres, Le Retable de Séraphin e, nel 1986, Mystère Bouffe, che sarà dapprima ripreso a Parigi, al Théâtre de Bastille, e poi portato in tutta la Francia e all’estero. Dal 1987 comincia una ricerca sul linguaggio che tende a restituire al teatro la sua oracolare poeticità e a recuperarne le origini mitiche. Vanno in questa direzione gli spettacoli Jeu de Faust (Atelier lyrique du Rhin, 1987), Woyzeck-Büchner-Fragments forains (1989) e Chant du bouc (1991), ispirato all’ Agamennone di Eschilo, ma costellato da frammenti di autori tedeschi, francesi e, soprattutto, da lunghe pause di assoluto silenzio. Nel 1994, schierandosi per la cessazione delle ostilità nella ex Jugoslavia, presenta Choral, in cui la scena buia, popolata di figure femminili avvolte in tuniche bianche e di uomini alati, è tesa a restituire l’angoscia di una situazione claustrofobica in cui si muovono esseri umani che non sono più che ombre.

Ricci

Prima di consacrarsi al piccolo schermo Antonio Ricci insegnava lettere al liceo `Pascoli’ di Albenga e contemporaneamente frequentava e animava i cabaret liguri. Autore di molti testi dell’esordio di Beppe Grillo, sia nei recital cabarettistici sia negli ‘one man show’ teatrali, esordisce in televisione nel 1980 col comico genovese (Te la do io l’America e Te lo do io il Brasile), affermandosi in seguito sempre in televisione con programmi che costituiscono di fatto il volto dissacrante, demenziale e autoironico, necessario all’interno del palinsesto delle reti Mediaset: da Drive in a Odiens, da L’araba fenice a Striscia la notizia. Ha firmato molti spettacoli e recital di comici di formazione televisiva.

Vildrac

Nel 1906, con alcuni amici scrittori e artisti (tra cui G. Duhamel, di cui sposa la sorella), Charles Vildrac fonda il gruppo Abbaye. I componenti del gruppo scelgono di vivere in comune in un casolare a Créteil e di allestire una tipografia in proprio, per garantirsi la massima libertà d’espressione. Il primo testo di V. per il teatro è L’indigent (1912), rappresentato dai Pitoëff solo nel 1923, quando il nome dell’autore è già noto in seguito al successo di Le Paquebot Tenacity (messo in scena da J. Copeau al Vieux-Colombier nel 1920). Vildrac è un artista che non cede al facile successo commerciale; lo dimostra il contenuto numero delle sue pièces, che egli sottopone a una paziente correzione, prestando maggiore attenzione alla verità della scena piuttosto che al suo effetto sul pubblico. I suoi personaggi non vivono situazioni eccezionali: l’amore per una donna che contrappone due amici in Le Paquebot Tenacity ; il desiderio di evasione di una giovane donna in Le pèlerin (1926), le piccole incomprensioni che si possono nascondere al di sotto di un’amicizia apparentemente perfetta in La brouille (1931). Vildrac si cimenta, inoltre, con la commedia Trois mois de prison (1934, rappresentata nel 1942), Poucette (1936), Les pères ennemis (1946) e con il teatro per ragazzi (Milot, 1954).

Martini

Cresciuto nella cerchia dei giovani romani che faceva capo a Corazzini, dal quale fu influenzato nella stesura dei suoi primi versi, Fausto Maria Martini partecipò alla prima guerra mondiale, restando gravemente ferito. Dalla sua produzione teatrale emerge un intimismo vicino alla poetica crepuscolare, con venature di inquietudine. I personaggi che creò furono spesso senza caratteri accentuati e le trame delle sue opere prive di forte struttura drammatica, tanto che egli stesso le definì «drammi dell’insignificante», così come recita anche il titolo di una raccolta di scritti per la scena pubblicata nel 1928. Tali caratteristiche si ritrovano anche nella sua produzione letteraria e poetica. Tra le sue opere vanno ricordati Il giglio (1914), Ridi, pagliaccio! (1919), Il fiore sotto gli occhi (1921), Altra Nanetta (1923), La facciata (1924), La sera (1926). Scrisse anche per il cinema: nel 1915 realizzò il soggetto di Rapsodia satanica , film musicale influenzato dal movimento futurista, che venne diretto da Oxilia e che si avvalse dell’interpretazione di Lyda Borelli.

Catalano

Formatosi come mimo, negli anni Antonio Catalano ha sviluppato una personale sintesi tra gesto e parola, rivelandosi come uno dei più interessanti protagonisti del teatro di ricerca. Ha fondato e lavorato con Alfieri Società Teatrale (ex Teatro del Magopovero) lavorando in Pietre (1986), testo e regia di L. Nattino, Balena (1988) di L. Nattino, spettacolo di cui ha curato la regia, e più recentemente in Nella nebbia (1994) di D. Mamet e nel suo testo (scritto insieme a Nattino) Moby Dick (1995). Ha recitato nell’allestimento di De Berardinis de I giganti della montagna (1996) e, nella stagione 1997-98, insieme agli attori del Living Theatre, ha interpretato da protagonista il Chisciotte di Nattino. Da alcuni anni svolge un’attività seminariale di formazione dei giovani attori.

Cinieri

Fin dagli inizi il percorso artistico di Cosimo Cinieri è segnato dalla ricerca e dalla sperimentazione teatrale: si prova così nelle forme più diverse di spettacolo, spaziando dal `teatro di strada’ ai `grandi palcoscenici’. Nel solo 1965 si susseguono spettacoli come Aspettando Godot, Finale di partita, Atto senza parole, Zip, Lip, Vap, di Scabia, La fantesca di Della Porta, Libere stanze di Lerici, tutti per la regia di Quartucci. Dal 1968 al ’72 realizza una serie di messe in scena di cui è anche autore; si ricordano titoli come Onan (1968), Domenico del mare (1968), Chez Mignot (1969), Alleluja Requiem (1970), San Sebastiano (1971, teatro di strada, in collaborazione con la coppia De Berardinis-Peragallo), Vietnam (1972).

Nel 1974 è sulle scene del Teatro Manzoni di Milano con Sade: libertinaggio e decadenza del complesso bandistico della gendarmeria salentina di Bene, con il quale lavora anche nell’ Otello (1979). Dal 1978 dirige, con Irma Palazzo, la Compagnia Cinieri-Palazzo, percorrendo tre strade parallele di ricerca: la teatralizzazione della poesia, la reinvenzione dei classici, la drammaturgia breve, con allestimenti come La Beat Generation. Show in versi (1978), Cosimo Cinieri è/o Macbeth di Shakespeare (1982-83) e un repertorio di trenta atti unici dei più vari autori (Pinter, Schnitzler, Strindberg, E. De Filippo, García Lorca, Ionesco, Feydeau, Pirandello, Cechov e altri), che vanno in scena dal 1985 al 1989. Nell’ultimo decennio poesia e musica sono le protagoniste assolute degli spettacoli di C., come appare già dai titoli: Canzoniere italiano. Poesia in concerto (1991), García Lorca in flamenco (1993), `Luoghi della memoria’ dei Sepolcri (1994), Giocar di versi. Café della voce (1996-97). Nell’ultima stagione interpreta La mandragola (regia di Missiroli) e Giovanna d’Arco. Donna armata di L. Fontana. Alla sua attività teatrale alterna partecipazioni in produzioni cinematografiche, televisive e radiofoniche; è voce recitante in opere musicali e si dedica, inoltre, a stage di recitazione e psicotecnica.

Spadaro

Laureatosi in giurisprudenza, Ottavio Spadaro fondò nel 1942 il Teatro universitario di Bolzano. Nel 1948 si diplomò all’Accademia nazionale d’arte drammatica con un allestimento del Cane del giardiniere di Lope de Vega. Tra le sue molte regie vanno ricordate quelle legate al teatro pirandelliano, quella di Corruzione al Palazzo di Giustizia di U. Betti (1956) e quelle di testi contemporanei. Nei suoi spettacoli dedicò un’attenzione particolare alla cura della recitazione, considerandola l’elemento primo e fondante di ogni messa in scena. Scrisse anche alcuni importanti saggi sul teatro di Betti.

Hampton

Il primo testo importante di Christopher Hampton, Quando hai visto mia madre per l’ultima volta? (When Did You Last See My Mother?, 1966), debutta al Royal Court Theatre di Londra facendo scalpore per la sincerità e l’ironia con cui tratta il tema dell’omosessualità. Seguono: Eclissi totale (Total Eclipse, 1968); Il filantropo (The Philantropist, 1970), su un uomo incapace di reali convinzioni che tenta di sopravvivere dando ragione a tutti – ma i suoi rapporti finiscono ugualmente male; I selvaggi (Savages, 1973), sullo sterminio degli indigeni in Brasile; Festa (Treat, 1976). Successivamente H. si dedica a adattamenti da Cechov, Ibsen, Molière, Feydeau, intervallati da testi di alterno valore, tra cui Racconti da Hollywood (Tales from Hollywood, 1983): protagonista è lo scrittore austriaco Ödön von Horváth che, fuggito negli Usa dopo l’Anschluss, incontra altri espatriati come Brecht e Mann. L’adattamento per la scena delle Liaisons dangereuses di Laclos (1985) – da cui Stephen Frears nel 1988 ha tratto l’omonimo film – è stato ripreso da A. Calenda (Roma, Teatro Eliseo 1988) e da M. Monicelli (Marina di Pietrasanta, La Versiliana 1994).

Vallone

Raf Vallone esordisce in teatro nel 1957 con Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller per la regia di Peter Brook, ma, all’epoca, è già nella rosa degli attori più affermati del cinema italiano (Riso amaro di De Sanctis, Il cammino della speranza di Germi, Thérèse Raquin di Carné). L’esperienza del dramma milleriano, che segna la sua maturazione artistica, lo spinge a dedicarsi quasi totalmente al teatro, non solo nella recitazione, ma anche nella regia e nella scrittura drammaturgica. Alla fine degli anni Sessanta è impegnato nuovamente nel dramma di Miller di cui cura anche la regia e poi la messa in scena de Il prezzo. Nel 1970 debutta come autore con Proibito? Da chi?, che però non viene accolto molto positivamente dalla critica. Nel corso degli anni Settanta si divide fra gli impegni teatrali (Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello con la compagnia di J. Bertheau nel 1973, Il costruttore Solness di Ibsen diretto da F. Piccoli nel 1975) e quelli televisivi; si dedica anche alla regia lirica nella quale ottiene un buon successo con Norma di Bellini nel 1974. Nel 1980 torna a dirigere e interpretare una nuova edizione di Uno sguardo dal ponte. Negli anni successivi è impegnato con due registi tedeschi: K. M. Grüber (Nostalgia di Franz Jung, 1984 e La medesima strada di Eraclito, Empedocle, Parmenide, Sofocle, 1988, al Piccolo Teatro di Milano) e P. Stein (Tito Andronico di Shakespeare allo Stabile di Genova, 1989). Nel 1991 dirige Frankie & Johnny di Terence Rattigan, l’anno seguente interpreta Il presidente di Rocco Familiari (testo a lui dedicato) per la regia di K. Zanusi. Nel 1993 è impegnato nella elaborazione e interpretazione di Tomaso Moro dall’apocrifo scespiriano che viene presentato all’Estate teatrale veronese con la regia di Ezio Maria Caserta.

Petrolini

Figlio di un fabbro e nipote di un falegname, era stato destinato dalla famiglia alla pialla o al mantice. Invece, fin da ragazzo, Ettore Petrolini improvvisava per sé scenette e monologhi, sia lavorando nella bottega del nonno, sia per strada, seguendo un funerale con un’aria così afflitta che lo faceva apparire per un parente del morto, oppure trasformandosi in turista, con la giacca rivoltata, un libro utilizzato come baedeker e inventandosi una lingua astrusa. Anticipava così il carattere derisorio e empio di un’arte che non sarebbe esplosa subito, ma avrebbe avuto la sua incubazione nel café chantant e nelle più sgangherate compagnie di prosa romane. Scuola dura in quei locali pieni di fumo, sorvegliati dalla polizia e con un pubblico sguaiato ma esigentissimo, difficile da domare. Recitando e `guitteggiando’, Petrolini cominciava a uscire dalla convenzionalità della vecchia macchietta; cavava, soprattutto dal varietà minore napoletano, gli spunti per i primi numeri del suo repertorio: Canzone guappa, La caccavella, Fortunello e soprattutto Il bell’Arturo, parodia buffonesca del decadente dannunziano dal quale sarebbe nato Gastone.

A Roma l’attore imparò a domare il pubblico, a Milano conquistò la critica. Tuttavia la vera scoperta di Petrolini avvenne all’estero, nella tournée del 1907 in Uruguay, Argentina, Brasile. Tornato in Italia, era un idolo. Tutta la critica si occupava di lui, ma lui, pur solido nella sua posizione, non smetteva di lavorare al repertorio, approfondiva i numeri ( Fortunello , I salamini ). Allo scoppio della guerra (1915) si sentì maturo per lo spettacolo organico, basato su un copione. Costituì una compagnia che debuttò al Teatro Cines (l’attuale Eliseo) con la rivista Venite a sentire . Ma la rivista non gli bastava, né era congeniale al suo talento. Arrivarono i primi bozzetti (47, morto che parla ; Nerone ; Amori di notte ); i più acclamati autori del momento (A. Testoni, L. Chiarelli, R. Simoni) scrissero per lui; ma fu con le proprie commedie che P. mostrò di essere un grande attore: Gastone, Benedetto fra le donne e soprattutto Chicchignola, il suo capolavoro, nel quale si avverte l’influsso del Berretto a sonagli .

Pirandello e Petrolini: è curioso che l’uno non abbia mai scritto per l’altro, e che l’altro non lo abbia mai interpretato. Furono i due più importanti artisti fra le due guerre, entrambi specchio di una `sgradevolezza’ e di una `crisi’ che non sempre venivano ben tollerate. P. fece un adattamento di Lumie di Sicilia, a cui cambiò il titolo (Agro di limone) e le caratteristiche del personaggio, facendolo arrivare non dalla Sicilia, ma dell’Abruzzo. Ma furono gli unici contatti. L’ultima fase della carriera fu segnata dalle trionfali tournée a Londra e a Parigi. Alla Comédie Francaise portò uno dei suoi capolavori interpretativi, Il medico per forza di Molière: pur violentando il testo, conquistò il pubblico. Da tempo Petrolini aveva trasformato la violenza, la derisione e l’assurdità in stile. Con la sua andatura dinoccolata, il naso che spioveva a becco sulla bocca, la voce in falsetto, era diventato il `disconsacratore’ (A. Cecchi), i futuristi lo avevano aggregato al teatro `meccanico e motorico’ e P. Pancrazi era diventato l’esegeta della sua `scemenza’ («ha avuto il coraggio di essere idiota»). P. era minato dal male. L’angina pectoris gli consumava le forze. Dopo avere `salaminizzato’ l’Italia, ci lasciò alcuni documenti filmati della sua arte, fra cui Nerone (1930) con i numeri più celebri del suo repertorio. Preziosi i due volumi della sua autobiografia: Modestia a parte e Un po’ per celia e un po’ per non morire.

O’Casey

Di famiglia operaia e protestante, la carriera di Sean O’Casey si apre all’Abbey Theatre nel 1922 con Il falso repubblicano (The Shadow of a Gunman), cui seguono Juno e il pavone (Juno and the Paycock, 1924) e L’aratro e le stelle (The Plough and the Stars, 1926), trilogia sul proletariato irlandese durante la guerriglia per l’indipendenza dall’Inghilterra. L’indirizzo realistico è evidente sia nella scelta del linguaggio, che ricalca cadenze, ritmi e gergo della realtà urbana di Dublino, sia per le minuziose indicazioni di scena. Nella Tazza d’argento (The Silver Tassie, 1929) O’Casey usa, per raccontare l’esperienza di tre giovani irlandesi arruolatisi nell’esercito inglese, un forte espressionismo carico di simboli, evocando la guerra sotto forma di una tetra messa dove i soldati venerano il dio cannone. L’opera fu rifiutata dall’Abbey Theatre per il contenuto ardito; O’Casey fu costretto a un esilio volontario a Londra dove, nelle successive opere, affiancò ai temi sociali e politici irlandesi una forma nuova e sperimentale, senza smarrire il suo talento linguistico. Le opere più interessanti di questa fase sono: Dentro i cancelli (Within the Gates, 1933), La stella diventa rossa (The Star Turns Red, 1940), Polvere di porpora (Purple Dust, 1940), Rose rosse per me (Red Roses for Me, 1942), Il bel chicchirichì (Cock-a-double Dandy, 1949), Il falò del vescovo (The Bishop’s Bonfire, 1955) e I tamburi di padre Ned (The Drums of Father Ned, 1956). O’C. continuò a scrivere per il teatro fino al 1960, senza più ritrovare il successo iniziale: l’ideologia marxista gli alienò il pubblico borghese del West End, mentre l’anticattolicesimo gli rendeva difficile un ritorno in patria.

Kaiser

Figlio di un commerciante, dal 1898 al 1901 Georg Kaiser è impiegato in un ufficio della Aeg a Buenos Aires e, in seguito, in Spagna e in Italia. Rientrato in Germania, vive come scrittore indipendente a Magdeburgo e poi a Berlino. Nel 1933 gli viene interdetta la rappresentazione e la pubblicazione delle sue opere; nel 1938, attraverso l’Olanda, emigra in Svizzera dove muore, quasi dimenticato e in indigenza, nel 1945. Nel 1933 era stato uno degli autori più rappresentati. È considerato fra i protagonisti dell’espressionismo tedesco del quale, con i suoi settantaquattro drammi, sperimenta le forme stilistiche più diverse: particolarmente interessante quella del `dramma a stazioni’, concepito in analogia con la tecnica del montaggio cinematografico. Le sue tematiche favorite sono la meccanizzazione e la tecnologizzazione della vita, con la conseguente spersonalizzazione degli esseri umani. Di dieci anni più anziano della maggior parte degli autori della generazione espressionista, Georg Kaiser si ricollega alla loro linea programmatica con una lucidità particolare, sino a intravedere in essa la possibilità di un’ultima tragica illusione: nella sua opera, pur con un forte fondamento etico, l’azione e l’idea sono spinte sino alle ultime conseguenze.

La sua opera di maggior successo è Dalla mattina fino a mezzanotte (Von morgens bis mitternachts, 1912; rappresentato nel 1916), in cui il protagonista, definito ai limiti della sua personalità, attraversa un mondo ossessionato dal denaro, sino all’esaltata immagine della propria crocifissione. Terminato l’anno seguente, I cittadini di Calais (Die Bürger von Calais) riprende un argomento storico: vi si avverte maggiormente l’eredità del teatro classico. La trilogia formata da Il corallo, Gas I e Gas II (Die Koralle, Gas, Gas. Zweiter Teil), scritta tra il 1916 e il ’19, presenta l’industrializzazione moderna come destino folle e minaccia apocalittica dell’umanità. Altre opere significative: Nebeneinander (1923); Lo zar si fa fotografare (Der Zar l&aulm;ßt sich photographieren, 1927), atto unico con musiche di Kurt Weill; la `fiaba invernale’ Der Silbersee (1933), ancora in collaborazione con Weill; Il soldato Tanaka (Der Soldat Tanaka), dramma antimilitarista scritto fra il 1939 e il ’40.

Verga

Giovanni Verga nacque da una famiglia di piccola ma antica nobiltà terriera di Vizzini. Ricevette una formazione romantico-risorgimentale. Partecipò al corpo della Guardia Nazionale (1861-62). Annessa la Sicilia all’Italia, si trasferì a Firenze e a Milano, ma nel 1893 tornò definitivamente a Catania. Nel 1920 venne nominato senatore. Durante il periodo milanese pubblicò i romanzi e le raccolte di novelle che costituiscono i suoi capolavori (I Malavoglia, 1881; Mastro Don Gesualdo, 1888; Vita dei campi, 1880; Novelle rusticane, 1883) e che segnano la sua adesione alla poetica del verismo.

La produzione drammatica verghiana si distende per un ampio arco di anni e comprende indiscussi capolavori  (Cavalleria rusticana , 1884; In portineria , 1885; La Lupa , 1896). Nel 1901 scrisse e fece rappresentare due bozzetti scenici, Caccia al lupo , tratto da un suo racconto e Caccia alla volpe, con l’intenzione di ritrarre tipiche situazioni di triangolo amoroso a diverso livello: elementare e contadino il primo, più mondano il secondo. Del 1903 è Dal tuo al mio , che affronta la realtà dinamica del mondo economico in cui si trovano in conflitto la vecchia aristocrazia, la nuova borghesia della ‘roba’ e la piccola folla degli zolfatari affamati ma già uniti in un’embrionale organizzazione. Tra questi contrasti si delineano le vicende sentimentali dei personaggi. Il dramma venne interpretato in chiave antisocialista e reazionaria, in realtà l’opera non rivela l’ideologia, ma piuttosto la visione pessimistica dell’autore. Consapevole del carattere ambiguo che il lavoro teatrale aveva assunto alla sua rappresentazione, Verga lo pubblicò in forma di romanzo, premettendovi una dichiarazione di sfiducia nei confronti del teatro.

García Lorca

Federico García Lorca coltivò fin da bambino svariati interessi artistici: musica, disegno, tradizioni popolari, teatro dei burattini. Importante per la sua formazione fu l’amicizia con Manuel de Falla. Laureatosi in legge nel 1923, si trasferì a Madrid nella Residencia de estudiantes, dove ebbe modo di frequentare altri giovani artisti che insieme a lui formeranno la `Generazione del ’27’: R. Alberti, S. Dalí, L. Buñuel. Nel 1921, contemporaneamente all’uscita del suo primo volume di poesie, Libro de poemas , venne messo in scena Il maleficio della farfalla (El maleficio de la mariposa), commedia lirico-simbolica con insetti come personaggi, che si risolse in un fiasco. Amareggiato da questo primo insuccesso, Federico allestirà in seguito delle rappresentazioni private dei suoi testi. Nel 1927 andò in scena a Barcellona, interpretato da Margarita Xirgu, il dramma storico Mariana Pineda . Intanto era uscito Canzoni (Canciones) e l’anno successivo sarà pubblicato Romanzero gitano ( Romancero gitano ), seguito da Poema del cante jondo , opere che gli procurarono una grande popolarità. Nel 1929 si recò con una borsa di studio a New York e poi a Cuba. Il viaggio lascerà tracce profonde nella sua produzione (si veda la raccolta Poeta en Nueva York ). Al ritorno in Spagna, il teatro lo assorbì quasi completamente: fece rappresentare La calzolaia ammirevole (La zapatera prodigiosa, 1930) e nel ’33 Amor de don Perlimplín , Donna Rosita nubile (Doña Rosita la soltera), Nozze di sangue (Bodas de sangre) e nel ’34 Yerma . Nel 1931 aveva scritto Quando saranno trascorsi cinque anni (Así que pasen cinco años), dramma sperimentale, appartenente insieme a El público a quel teatro che lo stesso autore giudicava `irrappresentabile’, almeno in quel momento. Dal 1932 gli era stata affidata la direzione del teatro universitario, che egli chiamò La Barraca, un gruppo sperimentale e itinerante che doveva far conoscere il teatro classico spagnolo nei luoghi più sperduti. Con questo gruppo allestì testi di Cervantes, Lope de Vega, Calderòn, intervenendo in tutte le fasi della messa in scena, dalle musiche alle coreografie, dai costumi alle scenografie e spesso recitando egli stesso. Allo scoppio della guerra civile, nel luglio del 1936, la decisione di tornare a Granada gli sarà fatale. Arrestato dai falangisti con imprecisate accuse di comunismo, venne fucilato il 19 agosto. Poco prima di lasciare Madrid, aveva concluso e letto agli amici la sua ultima opera drammatica, La casa de Bernarda Alba. I testi teatrali di Garcìa Lorca, che affrontano temi fondamentali legati all’amore, alla morte, alla repressione, al senso della vita, espressi attraverso simboli e metafore ricorrenti, con un linguaggio altamente evocativo e iscritti in strutture drammaturgiche forti e di grande suggestione, hanno ispirato innumerevoli versioni, soprattutto danzate. Vasta eco suscitò in Italia la prima mondiale de El público – testo rimasto incompiuto e inedito alla morte dell’autore – al Teatro Studio del Piccolo di Milano nel dicembre del 1986, con la regia di Lluis Pasqual.

Martinelli

Marco Martinelli è fondatore insieme alla moglie Ermanna Montanari, Luigi Dadina e Marcella Nonni del Teatro delle Albe. La sua attività ha inizio nel 1977 quando insieme a Montanari avvia il suo apprendistato teatrale lavorando in diversi gruppi e allestendo testi di Beckett, Büchner, Campanile. La sua drammaturgia è caratterizzata da una forte narratività che attinge dai registri del comico e del tragico per riscrivere la realtà quotidiana e calarla in personaggi autentici. I suoi testi infatti sono spesso scritti quasi su misura degli attori. Autore di notevole sensibilità artistica, M. è caratterizzato da una scrittura di una levità quasi ingenua ma al contempo incisiva e di grande forza espressiva. Tra i lavori più significativi Ruh. Romagna più Africa uguale (1988), Siamo asini o pedanti? (1990), I refrattari (1992) e I ventidue infortuni di Mor Arlecchino (1993), rielaborazione goldoniana che ha avuto molta risonanza in Italia e in Europa e tradotta in diverse lingue, centrata sulla singolare figura di un Arlecchino africano. Operazione significativa, voluta da Martinelli, è stata l’acquisizione nella compagnia delle Albe di attori senegalesi e la collaborazione con altre realtà teatrali quali il Kismet Opera di Bari e Tam Teatromusica di Padova con cui ha realizzato All’Inferno (1996), un affresco da Aristofane, splendido esempio di meticcio teatrale nel quale musiche, lingue e dialetto si sposano in una sintesi di alto valore artistico-comunicativo. Con instancabile vitalità espressiva, Martinelli ha partecipato a numerosi progetti e convegni internazionali di teatro, a Lisbona, Copenaghen, Stoccolma, Cambridge. Nel 1991 è stato nominato direttore di Ravenna Teatro, centro per la ricerca teatrale attivo al Teatro Rasi di Ravenna, in cui opera stabilmente il Teatro delle Albe, insieme alla Compagnia Drammatico Vegetale. Nel 1995 vince il premio Drammaturgia In/Finita, promosso dall’università di Urbino, con il testo Incantati , una parabola sul gioco del calcio nella periferia romagnola. Nel 1996, in qualità di direttore artistico, ritira per Ravenna Teatro il premio Ubu per l’impegno e la ricerca linguistica, mentre nel 1997 vince il premio Ubu per la drammaturgia di All’Inferno . Il suo ultimo lavoro, Perhinderion , di cui è coautore insieme al poeta Nevio Spadoni, ha debuttato nel luglio 1998 al Teatro Rasi di Ravenna. Sospeso tra il libero esercizio del fantastico e la cruda realtà della terra di Romagna, il testo di M. ha per tema principale l’ossessivo rapporto tra madre e figlio. Sacralità e senso del profano per questa ultima operazione di M. nata sotto l’ala di Alfred Jarry a cui si è ispirato (Les jours e les nuits e L’amour absol) e nei continui rimandi al dialetto, che rendono mirabilmente il nucleo emotivo dei luoghi in cui è ambientato. Spettacolo onirico in cui il triplice omicidio `officiato’ sulla scena dai figli, amanti sacrileghi, di madri-Madonne, riconduce al bisogno iterativo di ogni uomo di liberarsi dai retaggi infantili e al contempo prende le distanze dall’assunto teologico cristiano.

Santella

Mario Santella esordisce giovanissimo come attore, assieme alla sorella Maria Luisa. Con lei anima il Gruppo Teatro Vorlensungen (di cui fa parte anche Renato Carpentieri) e quindi fonda la compagnia Teatro Alfred Jarry, che contribuisce alla diffusione del teatro sperimentale in Italia. Dalla metà degli anni ’60 partecipa attivamente ai fermenti del panorama teatrale napoletano con: I due carnefici (1966); Ciò che conta non è interpretare il mondo, ma trasformarlo (1968); Prova per una messainscena dell’Amleto (1969); Majakovskij-Uomo (1972); Verga: storie di uomini e lupi (1978); La Medea di Portamedina (1980). A S. si devono gli allestimenti di pièce dell’avanguardia francese – La cantatrice calva e Le sedie di Ionesco (1983); Le serve di Genet (1983); Giorni felici (1984), Atti senza parole e L’ultimo nastro di Krapp (1989, anche interprete), Aspettando Godot (1989, anche interprete e scenografo) di Beckett – e di testi del teatro partenopeo – Il romanzo di un farmacista di Edoardo Scarpetta (1986); Ragazze sole con qualche esperienza (1986) e Don Fausto di Antonio Petito (1987) -, oltre a confrontarsi con classici come: La dodicesima notte di Shakespeare (1989), Frammenti di un sogno interrotto da Euripide (1990), Candido di Voltaire (1990); spettacoli di cui cura la versione scenica e la regia, oltre ad esserne interprete.

Berrini

Seguace di Sem Benelli, Nino Berrini tentò di fondere lo stile dannunziano con quello tardottocentesco. Il dramma che gli diede la fama (più di diecimila rappresentazioni nel mondo) fu Il beffardo, `fresco dugentesco’ che metteva in scena il personaggio di Cecco Angiolieri, raffigurato attraverso i suoi sonetti. Altre opere: Rambaldo di Vaqueiras (1921), Francesca da Rimini (1923), La nuda del Cellini (1928), Teresa Casati Confalieri (1938) e il soggetto del film Il sogno d’amore (1922), realizzato da Gennaro Righelli.

Anton

Figlio del giornalista e autore teatrale Luigi Antonelli. Edoardo Anton esordì giovanissimo con il fortunato dramma poliziesco Il serpente a sonagli (Milano, 1935) da cui R. Matarazzo avrebbe tratto un film. Ad esso seguirono Mulini a vento (Milano, 1938), Un orologio si è fermato , interpretato da Emma Gramatica, Non è ancora primavera (Milano, 1943). È del 1960 La fidanzata del bersagliere (Roma, 1960, protagonista Ornella Vanoni). A. fu inoltre sceneggiatore, autore e critico radiofonico e televisivo. In veste di regista, portò in scena diversi lavori di Pirandello, Barry e Synge.

Travers

Le opere di Ben Travers rientrano nel genere della ‘Aldwych Farce’, un tipo di commedia vivace con meccanismi comici di sicuro effetto, così chiamata dal nome dell’Aldwych Theatre, gestito da Ralph Lynn e Tom Walls, dove questo genere ha dominato tra il 1925 e il ’33. Tra le più interessanti, Il cucù nel nido (A Cuckoo in the Nest, 1925), Rookery Nook (1926), Thark (1927), Saccheggio (Plunder, 1928, riproposto nel 1976 dal National Theatre) e Un po’ di test (A Bit of the Test, 1933). La sua ultima opera, Il letto prima di ieri (The Bed before Yesterday, 1975), ha avuto successo nel West End, confermando la sua abilità di costruttore di meccanismi comici. Interessante è la sua autobiografia, ironicamente intitolata La valle del ridere (Vale of Laughter, 1957), dove espone la sua teoria sullo spettatore e i procedimenti tecnici per provocare la sua ilarità.

Mamet

David Mamet fu nella sua generazione l’autore che seppe meglio adattare il proprio talento alle esigenze delle scene commerciali, riuscendo spesso a farsi apprezzare sia dalla critica sia dal pubblico. Esordì nel 1971 nella natia Chicago e nel giro di pochi anni vide rappresentare i suoi testi prima nei teatrini off-off, poi off-Broadway, infine a Broadway. Erano testi minimalisti, i cui meriti maggiori consistevano nella capacità di creare personaggi attendibili, di riprodurre il lessico e i ritmi del linguaggio contemporaneo, oscenità comprese, di svolgere esili trame in scene brevi e compatte che finivano per renderle singolarmente suggestive. Il suo mondo di piccoli uomini senza spessore, visti nella loro solitudine disperata e nella loro impotenza che cercavano di esorcizzare atteggiandosi da duri, trovò la prima espressione importante in Perversione sessuale a Chicago (Sexual Perversity in Chicago, 1974), una serie di variazioni a quattro personaggi sul tema del sesso, più discusso che praticato. Vennero poi i successi di American Buffalo (1977), il primo dei suoi drammi approdato a Broadway, nel quale tre criminali di mezza tacca progettavano, del tutto a vuoto, un furto importante; di A Life in the Theatre (1977), composto di incontri e scontri in scena e fuori di due attori, l’uno vecchio e in declino, l’altro giovane e in ascesa; di Glengarry Glen Ross (1983), sulle inquietudini e le frustrazioni di un gruppo di impiegati in un’azienda che progettava una riduzione del personale; di Speed the Plow (1988); di Oleanna (1992) e di Il crittogramma (The Cryptogram, 1994), dove un ragazzo di undici anni non riusciva a distinguere il mondo dei suoi sogni dalla realtà della sua vita. Dai tardi anni ’80, Mamet alternò all’attività di drammaturgo quella di sceneggiatore e occasionalmente regista cinematografico ( La casa dei giochi, 1987; Homicide, 1991).

Guzzanti

Corrado Guzzanti debutta come autore con le trasmissioni televisive Non stop e Proffimamente, entrambe del 1986, scrivendo i testi per la sorella Sabina (con lei e David Riondino debutta in Il fidanzato di bronzo, 1989-90). Come attore il suo debutto in televisione risale al 1989 con Scusate l’interruzione . Dal 1990 è autore e attore di tre edizioni di Avanzi , nel 1993-94 lo rivediamo in Tunnel ; è grazie a queste trasmissioni che giunge a una grande popolarità, lo ricordiamo in questi anni nelle vesti di Rocco Smitherson, Lorenzo, Emilio Fede, Gianfranco Funari. Nel 1995-96 è attore e co-autore (insieme a S. Dandini e S. Guzzanti) del Pippo Chennedy Show. Seguono i successi teatrali: nel 1996 Millenovecentonovantadieci e, l’anno successivo (con i nuovi personaggi del Pippo Chennedy Show), La seconda che hai detto , al suo fianco la `spalla’ M. Marzocca.

Castiglioni

Nel 1973 Silvio Castiglioni è tra i fondatori sia del Centro di Ricerca per il Teatro di Milano, nel cui ambito matura le prime esperienze formative, sia del Teatro di Ventura, uno fra i gruppi più significativi nell’ambito del ‘Terzo Teatro’, con il quale ha realizzato in dieci anni numerosi spettacoli: Il detto del Gatto Lupesco (1977), La tragedia dell’arte (1978). Dal 1987 al 1990 ha realizzato con il regista cileno Raul Ruiz Lo schiavo del demonio, I maghi, Edipo iperboreo, La scoperta dell’America. Di particolare rilievo lo sviluppo del suo lavoro sulla maschera di Arlecchino, che si distacca dagli stereotipi correnti, e la sua ricerca drammaturgica, che culmina nel rigore espressivo e nelle visioni intime dei due monologhi a più voci Corpi estranei (1995), assolo dedicato a Heinrich von Kleist, e Remengòn ; segue Voci dalla guerra (1997), ispirato a un racconto di Nuto Revelli. In collaborazione con François Khan ha scritto e interpretato Il sogno e la vita. Una fantasia sul signor Hoffmann (1998). Dal 1998 è direttore artistico del festival di Santarcangelo dei Teatri.

Schnitzler

Nella produzione narrativa e drammaturgica di Arthur Schnitzler la dissoluzione dell’Impero austro-ungarico fa da sfondo alla crisi dell’individuo, sempre più chiuso tra le pareti di un io confuso e velleitario; ma se in ambito narrativo Schnitzler si trova all’avanguardia – con il racconto Il tenente Gustl (Leutnant Gustl, 1901) introduce per la prima volta nella letteratura in lingua tedesca il flusso di coscienza, non altrettanto può dirsi in campo teatrale, dove il suo contributo è stato forse meno radicale. Laureatosi in medicina, cominciò a frequentare il `Caffè Grienstadl’, dove lo scrittore Hermann Bahr diffondeva la nuova letteratura francese. Qui Schnitzler incontrò i bei nomi della gioventù letteraria austriaca (Hofmannsthal, Kraus, Polgar, Altenberg), con alcuni dei quali strinse una duratura amicizia.

Nel 1888, a sue spese, fece pubblicare l’atto unico L’avventura della sua vita, in cui compaiono per la prima volta i personaggi di Anatol e Max. Gli atti unici di Anatol sono i primi a vedere la luce: nel 1889 pubblica Episodio , nel 1890 esce in rivista il poema drammatico in un atto Il canto di Alkandi ; nell’ottobre del 1892 viene dato alle stampe l’intero ciclo, con un prologo di Hugo von Hofmannsthal (Loris). Il successo giunge nel 1895, con la rappresentazione al Burgtheater di Amoretto (Liebelei), storia dell’infelice amore di una ragazza di periferia per un giovane e insensibile borghese, destinato a rimanere in cartellone fino al 1910. L’attenzione di S. andava sempre più concentrandosi sugli atti unici. In questi anni sono allestiti Paracelso (1899), l’interessante esperimento di `teatro nel teatro’ del Pappagallo verde (Der grüne Kakadu, 1899), Res nullius, L’una e mezzo (ispirato dall’attrice Adele Sandrock, con la quale S. aveva una relazione), Acquisti di Natale a Vienna (del ciclo di Anatol), Il velo di Beatrice (Der Schleier der Beatrice, 1900).

Nel 1901 va in scena lo spettacolo Marionette, incentrato sul tema della precarietà dell’esistenza; quando verrà dato alle stampe, comprenderà anche Il burattinaio e Il valoroso Cassian . Sempre dello stesso anno è la prima rappresentazione, a Berlino, dell’atto unico Le nozze di Anatol e la pubblicazione del dialogo La notte di san Silvestro . Il ciclo di atti unici Ore di vita (comprendente l’atto omonimo, La donna col pugnale, Le ultime maschere, Letteratura), imperniato sull’analisi del difficile rapporto arte-vita, viene rappresentato nel 1902. L’anno successivo è la volta di Girotondo (Reigen; sono allestiti solo due dei dieci dialoghi che lo compongono: soltanto nel 1920 e con grande scandalo verrà rappresentato tutto il ciclo), che indaga il delicato territorio dei rapporti di coppia. La strada solitaria (Der einsame Weg) viene rappresentato a Berlino nel 1904: forse il suo capolavoro. Negli anni successivi prosegue febbrile l’attività, con due commedie Intermezzo (Zwischenspiel, 1905) e Il richiamo della vita (Der Ruf des Lebens, 1906), e con l’atto unico Il gran teatro dei burattini.

Nel 1909 viene rappresentata la commedia in un atto La contessina Mizzi (Komtesse Mizzi). Nel 1910 a Dresda viene realizzata la pantomima Il velo di Pierrette, con musica di Ernö von Dohnanyi; nello stesso anno a Vienna si rappresenta la `storia drammatica’ Il giovane Medardo (Der junge Medardus). Le tragicommedie L’ampio paese (1911) e Il professor Bernhardi (1912), storia di un medico ebreo che fatica a imporre i propri principi etici, introducono alla seconda parte della vita letteraria di Schnitzler, in cui si fa prevalente l’analisi dell’io e la volontà di «tracciare quanto più decisamente possibile i confini tra conscio, semiconscio e inconscio»; proprio a partire da questo snodo, del resto, si fa meno incisiva la drammaturgia rispetto alla narrativa.

Del 1915 è la rappresentazione degli atti unici Commedia delle parole, i cui personaggi sono, come scrisse lo stesso autore, «privi di nucleo e vegetano in una solitudine terribile, di cui però non diventano mai del tutto coscienti». Nel 1916 scrive l’atto unico Lapidi (fa parte del ciclo di Anatol ) e nel 1917 pubblica la commedia in versi Le sorelle ovvero Casanova a Spa (Die Schwestern oder Casanova in Spa). Nel 1924 viene rappresentata La commedia della seduzione. Nel 1929 si allestisce l’ultimo lavoro teatrale di S., Brezza d’estate, nato dopo una elaborazione più lunga del consueto, segnata anche dal suicidio della figlia Lilli; paradossalmente si tratta dell’opera più serena dell’autore. Nel 1931 viene rappresentato il poema drammatico Il sentiero del laghetto, concluso dieci anni prima.

Rolland

Filosofo, umanista e musicologo, Romain Rolland è noto soprattutto per il romanzo-fiume Jean-Christophe (1904-1912), biografia simbolica di un musicista renano, e per una minuziosa e copiosa monografia su Beethoven. Pacifista convinto, è stato un polemico e vivace assertore della necessità della fratellanza e amore tra gli uomini, espressa in varie forme e in varie opere, spesso in modi ingenui. Nel 1915 gli fu conferito il premio Nobel. In un `credo’ artistico (pubblicato postumo nel 1956, ma anteriore agli inizi del secolo) si trova la sua prima formalizzazione teorica e organica di un teatro progressista, dove Rolland rinnega l’idea dell’`arte per l’arte’ e auspica un teatro per le masse. Ma è solo nei primi del Novecento, grazie alla collaborazione con la rivista “Revue d’Art Dramatique” e alla pubblicazione del saggio Le théâtre du peuple, essai d’esthétique d’un théâtre nouveau (1903), che le sue teorie iniziano a essere conosciute in Francia. Il ‘teatro per il popolo’ dovrebbe, nell’opinione dell’autore, ispirarsi alle epopee nazionali e trasmettere ideali eroici e egalitari. Seguendo queste convinzioni, R. realizza dal 1898 (in seguito a Les loups, ispirato al caso Dreyfuss) una sorta di `Iliade del popolo francese’ – così la definì l’autore – in otto drammi: un `preludio’, ispirato a J.J Rousseau, dal titolo Pâques fleuries, seguito dalla rievocazione di fatti storici centrali nella storia francese, come Le 14 juillet, Le triomphe de la raison sul periodo del Terrore (sarà messo in scena da Lugné-Poe), Le jeu de l’amour et de la mort, Danton e Robespierre, vasti affreschi dominati dall’ideologia dell’eroismo e del sacrificio.

Radok

Uscito dalla scuola di Burian, Alfréd Radok debuttò nella regia con L’isola del grande amore di F. Sramek (1942). Dopo il silenzio degli anni dell’occupazione nazista, curò diverse regie per alcuni dei principali teatri di Praga e dal 1958 al 1960 è direttore del Teatro comunale. Il suo nome è associato soprattutto a La lanterna magica (1958), grandiosa rappresentazione che ebbe un successo internazionale. Presentato all’Expo di Bruxelles, lo spettacolo era una complessa messa in scena ispirata alla Cecoslovacchia contemporanea, che affiancava la recitazione dal vivo con l’uso di effetti speciali cinematografici, come lo schermo panoramico e la duplicazione dell’immagine dell’attore. Dopo il 1968 si esiliò volontariamente in Svezia e in Austria, dove però la sua vena creativa mal si adattava alle tendenze locali. Radok fu regista teatrale versatile, ricco di inventiva scenica. Orientato verso l’eclettismo del `teatro sintetico’, approfondì col tempo l’interesse e la capacità d’indagine psicologica del personaggio, senza mai cadere nello psicologismo. Al centro della sua pratica registica c’era sempre un intenso lavoro con l’attore. Alla sua attività si ispirò la successiva generazione di registi cechi fra cui Milos Forman (suo collaboratore in Lanterna magica).

Cicognani

Legato al filone della tradizione veristica toscana, Bruno Cicognani compose per il teatro soltanto due lavori, realizzati a più di vent’anni di distanza l’uno dall’altro. Nel 1927 vide la luce Bellinda e il mostro , un testo che racchiude gli elementi caratteristici della fiaba tradizionale, portato in scena dalla compagnia diretta da Luigi Pirandello. L’altra opera teatrale fu Jo, el Rej: scritta nel 1949, narra in chiave psicologica le vicende della tragedia di Filippo II e di Don Carlos.

Schéhadé

Georges Schéhadé ha dato vita a una serie di opere teatrali animate da una notevole unità d’ispirazione: un mondo poetico che nasce dall’accostamento dell’astratto con il concreto, che diventano espressione e misura drammatica in atto. In Monsieur Bob’le (1951) l’eroe eponimo è un essere favolistico, remoto e concreto al tempo stesso. Quest’opera pone in primo piano uno dei temi centrali del teatro di Schéhadé: il tema della perdita di un valore assoluto, naturale, semplice ma sempre più lontano da noi, e il contrasto tra la vita e l’immagine della vita stessa. Su quest’ultimo aspetto è imperniata La serata dei proverbi (La soirée des proverbes, 1954), opera dall’andamento aforistico e lieve, stemma stilistico anche della Storia di Vasco (Histoire de Vasco, 1956), commedia antimilitarista, scritta nel periodo della guerra d’Algeria e portata in scena da Jean-Louis Barrault. Se con Le violette (Les violettes, 1960) l’attualità continua a essere fonte di ispirazione, con L’emigrato di Brisbane (L’émigré de Brisbane, 1965) e L’abito fa il monaco (L’habit fait le prince, 1973), Schéhadé ritorna a quella poeticità del testo teatrale che aveva caratterizzato le sue prime produzioni e che fa pensare, per affinità di toni e di ispirazione, alla poesia di García Lorca, di Valle-Inclán, di Audiberti.

Pressburger

Giunto in Italia nel 1956, a seguito dei fatti d’Ungheria, Giorgio Pressburger si diploma in regia all’Accademia d’arte drammatica di Roma. Il suo esordio come regista avviene nel 1962, con Antonello capobrigante calabrese , cui fanno seguito Esecuzione (su suo testo, 1963) e Zizim di B. Joppolo. Tra i tanti lavori allestiti, testi di Goldoni ( La guerra , 1970; Il teatro comico , 1974; L’adulatore , 1986), Pasolini ( Calderon , 1980, anche regia cinematografica nel 1981) Eschilo ( Le coefore , 1996). Particolarmente attento alla cultura mitteleuropea, P. mette in scena anche B. Hrabal ( Una solitudine troppo rumorosa , 1992, anche drammaturgia), P. Handke ( L’ora in cui non sapevamo nulla l’uno dell’altro , 1994), C. Magris ( Danubio , 1997). Intensa la sua attività per la radio e la televisione: dalla elaborazione di orginali (da Il mattatoio , 1967, a Gli ebrei , 1976, a Il formaggio e i vermi , 1979), alle regie radiofoniche (negli anni ’60 e ’70) e televisive (ad esempio Woyzeck , di Büchner, 1983; All’uscita , di Pirandello, 1985). Nella lirica si ricordano regie quali La donna senz’ombra di Strauss (debutto, Teatro La Fenice,1977), Il castello di Barbablù di Bartók (Scala di Milano, 1978 e 1995), Macbeth di Verdi (Opera di Roma, 1987) Elektra di R. Strauss (Taormina, 1992) Carmen di Bizet (Spoleto, 1993). Scrittore prolifico (da ultimo i romanzi I due gemelli , 1996 e La neve e la colpa , 1998), docente di regia all’Accademia di Roma dal 1968 al 1976, P. dirige, dal 1991, il Mittelfest di Cividale del Friuli e dal 1998 è Direttore dell’Istituto Italiano di Cutura di Budapest.

Parise

Cresciuto come romanziere nel solco del tardo neorealismo (Il ragazzo morto e le comete, 1951; Il prete bello, 1954), una volta scoperta la portata delle teorie darwiniste e freudiane, Goffredo Parise si situa in zone letterariamente ben diverse (Il padrone, 1965; Il crematorio di Vienna, 1969; Sillabario I e Sillabario II, 1972 e 1982) Rare sono state le sue esperienze teatrali: La moglie a cavallo (atto unico, Milano, Teatro Gerolamo 1960), La donna è realtà (Roma, Teatro delle Muse 1964), L’assoluto naturale (Prato, Teatro Metastasio 1968, con Valeria Moriconi e Renzo Montagnani e regia di Franco Enriquez). Quest’ultimo lavoro è certamente il più denso di significati. Si tratta di un dialogo tra uomo e donna, in cui sentimenti, pulsioni, interessi di coppia sono notomizzati alla luce raziocinante della scienza, che li sottrae all’impressionistico dominio delle sensazioni, tanto soggettive quanto poco esplicative. Non sempre adeguatamente calibrata, l’opera – recentemente ripresa a Milano – non ha sempre incontrato il gradimento del pubblico, proprio per l’originalità della sua impostazione.

Tagore

Nel 1913 a Rabindranath Tagore fu attribuito il premio Nobel per la letteratura. Fondamentale il suo apporto al teatro indiano moderno. Fu anche attore e musicista e si occupò di tutte le forme di spettacolo, dalla canzone alla danza, dalla commedia brillante alla tragedia. Le sue opere spaziano fra i generi e gli stili: dal realismo di Sanyasi (1939), in cui il serrato impegno civile del poeta è volto a diffondere il suo ideale umanitario e a combattere la divisione in caste e le superstizioni della società indiana, fino ai drammi allegorico-mistici di ardua interpretazione, da Dak-ghar (1913), considerata una delle sue opere più riuscite, al più classico dramma di sapore shakespeariano Chitrangada (1891). Tra le altre opere citiamo anche Rakta-karabi (1924) e Syama (1939), suo ultimo lavoro. Personalità ricchissima, Tagore si impegnò per fondere nel suo teatro poesia e passione spirituale, congiunte ad una forte aspirazione di libertà e giustizia sociale.

Sciascia

L’avvicinamento al teatro da parte di Leonardo Sciascia avviene negli anni ’60: si tratta di un approdo spontaneo, data la struttura intimamente dialogica della narrativa di Sciascia. In tal senso si giustifica la riduzione di numerosi romanzi (presso lo Stabile di Catania sono stati messi in scena gli adattamenti, curati da Ghigo De Chiara, di A ciascuno il suo , Il consiglio d’Egitto e Candido). Significativo – perché di fatto segna il debutto teatrale di un’opera di S. – l’adattamento di Il giorno della civetta , curato da Giancarlo Sbragia al Teatro stabile di Catania nel 1963; dell’anno successivo è la traduzione-capovolgimento de I mafiusi alla Vicaria di Palermo di Rizzotto e Mosca, allestita al Piccolo Teatro di Milano nel 1966. I due testi scritti direttamente per il teatro sono L’onorevole (Torino 1966) e Recitazione della controversia liparitana (Catania, Teatro delle Muse 1970; ripresa nel 1971 con la regia di M. Missiroli): il primo, incentrato sulla trasformazione di un professore perbene in un politico corrotto, nasce dal bisogno di «misurare le censure istituzionali, ambientali e psicologiche del nostro Paese»; il secondo propone, in chiave storica, il conflitto tra potere ecclesiastico e statale. Il lavoro di Sciascia si è anche rivolto alla televisione: nel 1971 viene trasmessa la commedia Gioco di società (da cui ha successivamente tratto l’atto unico Il sicario e la signora , allestito nel 1985). Nel 1972 è la volta del film Bronte. Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato di F. Vancini, per cui collabora alla sceneggiatura (insieme a N. Badalucco, B. Benedetti, F. Carpi e lo stesso Vancini). Del 1989 è l’atto unico, realizzato con la collaborazione di Antonio Di Grado, Quando non arrivano i nostri .

Conte

Nel 1966 Tonino Conte scrive il suo primo testo teatrale, Gargantua opera tratto da Rabelais, e nel 1968 firma la sua prima regia, Ubu re di Alfred Jarry. Per anni si è occupato soprattutto di teatro per ragazzi, lavorando nei più importanti teatri ed enti lirici italiani. Nel 1975 è tra i fondatori del Teatro della Tosse di Genova, di cui ancora oggi è direttore artistico. Ha firmato oltre cento regie e scritto innumerevoli testi teatrali rappresentati. Tra le sue opere pubblicate è da ricordare Facciamo insieme teatro , scritto con Emanuele Luzzati e pubblicato nel 1976. Particolarmente riusciti e originali sono alcuni spettacoli di ispirazione musicale tra cui Recitarcantando (1978), prodotto in collaborazione con l’Opera di Genova, Il trovator… io fremo (1981) su musiche verdiane, Opera buffa (1983) da Rossini, al Maggio musicale fiorentino. A partire dal 1988 inventa con la compagnia del Teatro della Tosse spettacoli estivi di grande successo, tra i quali Molo magico nel porto antico di Genova e Il mistero dei tarocchi , rappresentato anche a Roma nel 1993: eventi `itineranti’ in cui gli attori, collocati nelle loro postazioni, ripetono la loro storia agli spettatori che a piccoli gruppi si accostano ad ascoltarla. Particolarmente interessante la scelta dei luoghi in cui questi spettacoli vengono proposti, tra i quali il Forte Sperone di Genova e Apricale, antico borgo medioevale in provincia di Imperia, così trasformato in un grande palcoscenico naturale. Il suo lavoro di autore e regista si basa su una ricerca non intellettualistica, con un uso a tutto campo di scene, musiche, costumi e luci, e sviluppa con ostinazione, intelligenza e fantasia il rapporto tra attore e spettatore.

Zweig

La produzione teatrale di Stefan Zweig si richiama alle tendenze del gruppo della Giovane Vienna. Oltre alle tragedie Tersite (Tersites, 1907) e Geremia (Jeremias, 1917), Zweig scrisse diversi altri drammi quali Il volo verso Dio (Die Flucht zu Gott, 1928), ispirato agli ultimi anni della vita di Tolstoj, il divertimento L’amore nasce dall’occasione (Gelegenheit macht Liebe, 1928) e la tragicommedia L’agnello del povero (Das Lamm des Armes, 1930), elegante satira sociale. Le due opere di maggiore impegno sono Volpone (1926), rifacimento in chiave psicologica dell’omonimo lavoro di B. Jonson, e il libretto La donna silenziosa (Die schweigsame Frau, 1935), definito da R. Strauss, per il quale era stato scritto, «il miglior testo per opera comica dopo Le nozze di Figaro». La collaborazione con R. Strauss, che si preannunciava fruttosa, fu bruscamente interrotta dall’avvento del nazismo: la sera della prima la censura impose di togliere il nome di Zweig dalle locandine, essendo egli di madre ebrea; il che non avvenne per volontà del musicista. Ma in seguito l’opera fu bandita dalle sale di Austria e Germania fino al secondo dopoguerra. Dopo aver accettato di lavorare per un breve periodo in incognito, Zweig fu costretto a emigrare, prima a Londra, poi a Parigi e infine in Brasile, dove, incapace di adattarsi alla nuova situazione di esule e, soprattutto, alla fine della sua felix Austria, descritta nella sua accorata autobiografia Il mondo di ieri, si tolse la vita.

Salemme

Dopo una prima esperienza in palcoscenico con Tato Russo, nel 1977 Vincenzo Salemme approda nella compagnia di Eduardo De Filippo, con cui partecipa a una ripresa televisiva di Il cilindro accanto a Monica Vitti e Ferruccio De Ceresa. L’intensa collaborazione con Luca De Filippo, che durerà fino al 1992, lascia un segno profondo nel suo lavoro registico e drammaturgico. Gli argomenti delle sue commedie sono legati agli ambienti e al repertorio partenopeo, e prendono spunto dalla cronaca e da temi sociali: l’handicap in Passerotti e pipistrelli?, la malattia mentale in E fuori nevica, la vendita degli organi in Premiata pasticceria Bellavista. Regista versatile, talora eccede in interpretazioni bozzettistiche e parodistiche. Al cinema partecipa a Sogni d’oro, Bianca e La messa è finita di N. Moretti.

Musil

Laureatosi in ingegneria a Brno e successivamente in filosofia e psicologia a Berlino, Robert Musil rinuncia sia alla carriera scientifica sia alla carriera di funzionario per dedicarsi all’attività letteraria. Tali scelte, che rimandano alla sua sostanziale contestazione dei valori familiari e borghesi del `probo servitore dello stato’, gli procurarono però costanti preoccupazioni economiche: fino alla morte è costretto a vivere degli scarsi proventi del suo lavoro di scrittore e pubblicista, e soprattutto dell’aiuto di amici e estimatori. Le sue opere maggiori sono i romanzi I turbamenti del giovane Törless (Die Verwirrungen des Zöglings Törless, 1906) e L’uomo senza qualità (Der Mann ohne Eigenschaften). Per il teatro scrisse un dramma e una farsa. Il dramma I fanatici (Die Schwaulmrmer), i cui personaggi costituiscono per la maggior parte un’anticipazione delle figure di L’uomo senza qualità , viene pubblicato nel 1921 e riceve nel 1923, grazie ad Alfred Döblin, il premio Kleist. Ma a una positiva accoglienza dei critici letterari corrispose una totale indifferenza del mondo teatrale. Venne infatti rappresentato soltanto nel 1929 a Berlino con numerosi tagli, per iniziativa di un giovane regista. A determinare questo insuccesso vi sono sicuramente il venir meno di due elementi determinanti per la cultura dell’epoca: l’assenza di una tensione drammatica – i motivi che spingono i personaggi all’azione vengono esposti sin dal principio, i protagonisti recitano una tragedia interiore che si esteriorizza in poche azioni , e la scomparsa di uno dei personaggi principali, Anselm, alla fine del secondo atto. Migliore fortuna teatrale ebbe la farsa Vinzenz e l’amica di uomini importanti (Vinzenz und die Freundin bedeutender Maulmnner) rappresentata a Berlino nel 1923, nuovamente a Berlino nel 1924 (con tournée a Praga) e poi sulle scene a Vienna. Un elemento importante che contraddistingue queste due opere, e che segna una svolta nell’attività letteraria di Musil, è la rappresentazione satirica della realtà. Agli `uomini importanti’, strettamente legati alle `qualità’ che hanno fatto il loro successo, che si integrano senza disagio nel mondo delle convenzioni, i non-visionari su cui Musil riversa la sua satira, egli contrappone `l’uomo della possibilità’, che non si adatta a vivere nella realtà e ha in sé il germe di un altro ordine.