Ferzetti

Giovanissimo Gabriele Ferzetti esordisce nel cinema come comparsa in Via delle cinque lune di L. Chiarini (1942); nel 1947 si iscrive all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’ che frequenta per soli due anni e poi abbandona per il Cut, il teatrino dell’università. In seguito si unisce alla compagnia del Teatro Nazionale di Salvini, con la quale debutta nel 1949 con gli spettacoli Anna Bolena e Detective Story. Negli anni immediatamente successivi interpreta alcune piccole parti in vari film, e in seguito emerge e si impone, come protagonista assoluto, in film di grande popolarità, ricevendo numerosi premi e intervallando l’attività teatrale con quella cinematografica. Nel 1948 prende parte a Rosalinda o come vi piace di Shakespeare, per la regia di Luchino Visconti. Nel 1951 avviene l’esordio come protagonista in Sogno ad occhi aperti di Rice, con la compagnia di Vivi Gioi. Nel ’56, diretto da Luigi Squarzina, interpreta Ma non è una cosa seria. Nel ’58 seguono: La professione della signora Warren di Shaw, per la regia di Ferrero, La gatta sul tetto che scotta di Williams, per la regia di Rouleau, Patata di Achard con la regia di Gino Cervi. Nel ’64 seguono due spettacoli diretti da Celi: L’occhio privato e L’amante e Vestire gli ignudi di Pirandello con A. Asti, regista G.P. Griffi allo Stabile di Roma (1965).

Nel ’70, accanto ad Anna Proclemer, interpreta Quattro giochi in una stanza , per la regia di Albertazzi. Dal ’76 all’82 si susseguono una serie di spettacoli tutti diretti da Missiroli: Vestire gli ignudi , Musik , Delitto e castigo . Nella stagione 1983-84, per lo Stabile di Genova, interpreta Terra sconosciuta , regia di O. Krejka. Tornato stabilmente al teatro, nella stagione 1985-86 è stato, in coppia con Anna Proclemer, protagonista di Chi ha paura di Virginia Woolf? di Edward Albee. Si susseguono poi spettacoli come Conversazione galante di Franco Brusati (1987), Lungo viaggio verso la notte di O’Neill (1988), Le rose del lago (1991), Danza di morte di A. Strindberg (1992) e L’avventura di Maria di Svevo (1995), per la regia di N. Garelle, La governante (1995) di Brancati per la regia di G. Albertazzi. Contemporaneamente proseguono le sue partecipazioni sia in ambito cinematografico che televisivo.

Giovampietro

Renzo Giovampietro frequenta l’Accademia nazionale d’arte drammatica, dove in occasione di un saggio viene notato da Paolo Stoppa che, a sua volta, lo segnala a Visconti. Sotto la direzione del grande regista, nel 1945, interpreta la parte del messaggero in Antigone di Anouilh. L’anno successivo è il ragazzo in Pick-up Girl di E. Shelley, per la regia di Strehler, che nel 1948 gli affida il ruolo dell’attor giovane in Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni e nel 1950 quello di Sebastiano ne La dodicesima notte di Shakespeare. Nei primi anni ’50 fa parte della prima cooperativa teatrale italiana, interpretando, con Sergio Tofano, Madre Coraggio e i suoi figli di Brecht (primo allestimento italiano, nel 1952, al Teatro dei Satiri) e La mandragola di Machiavelli, entrambi per la regia di Lucignani. Nel 1955 recita in Valentina , commedia musicale di Marchesi e Metz, e in seguito si dedica a un repertorio a lui più congeniale, partecipando a Veglia d’armi di Fabbri e a Le notti dell’anima di Vasile, per la regia di O. Costa (1957). Collabora con il Teatro Stabile di Genova interpretando Kirilov ne I demoni di Fabbri da Dostoevskij (1954) e Lucio in Misura per misura di Shakespeare (1958), per la regia di Squarzina. Dal 1961 si avvicina agli autori greci e latini, dando vita a un teatro `didattico’ per la divulgazione del mondo etico e ideale dell’antichità: cura personalmente le messe in scena di Processo per magia da Apuleio, I discorsi di Lisia e Il governo di Verre da Cicerone (che nel 1963 gli valgono il Premio Idi), Atene anno zero dagli oratori attici (1963) e Agamennone di Alfieri (1965). Altri suoi allestimenti di impegno civile sono Azione scenica sull’opera e la figura di Don Milani (1970) e Processo a Socrate , elaborazione drammaturgica dei Dialoghi di Platone scritta con G. Prosperi (1984). Del 1987 è il Processo ideale a Giacomo Leopardi . Due anni dopo è regista e interprete del testo di R. De Monticelli Signori, il teatro deve essere rauco ; nel 1991 recita in La scoperta dell’America di C. Pascarella, con la compagnia Attori e Tecnici, e cura la regia del suo Incompatibilità elettive: Croce e Pirandello , scritto insieme a E. Moscarelli. Più di recente, ha diretto e curato scene e costumi di un altro suo lavoro (questa volta scritto insieme a M. Prosperi), I discorsi di Lisia (1994).

Gazzolo

Figlio d’arte, il padre era Lauro Gazzolo, fratello maggiore di Virginio, Nando Gazzolo inizia a recitare molto giovane alla radio e a soli vent’anni, nel 1948, debutta in teatro accanto a Gandusio. È del 1951 il primo ruolo importante nell’allestimento dell ‘Antonio e Cleopatra di R. Ricci. Contemporaneamente intraprende il lavoro di doppiaggio e un’ottima carriera televisiva, complice la sua voce intensa e particolare che arricchiva le sue ottime doti recitative e spesso gli faceva impersonare personaggi alteri, come l’ormai leggendario Duca di Vallombrosa in Capitan Fracassa . Altre parti di rilievo sono: Freddi Hamson nello storico sceneggiato La cittadella (1964), e quella da protagonista nella serie televisiva Sherlock Holmes . Nel 1971 è Thomas nei Buddenbrook e il narratore de Il mulino del Po . Parallelamente al suo lavoro in televisione ha continuato a recitare in palcoscenico soprattutto in un repertorio di teatro classico. Memorabile e contrastato è stato l’allestimento della pièce di D. Fo, Chi ruba un piede è fortunato in amore (1970). Interessante il lavoro con S. Sequi: Il grande statista , e Come vi piace . Degno di nota L’ Anfitrione di H.von Kleist con la regia di Pagliaro. È diretto da W. Manfrè in Non si sa come e Il giuoco delle parti di Pirandello (1996). Nel 1998 ha avuto un notevole successo nella parte di Shylock ne Il mercante di Venezia. Ha allestito un recital shakespeariano, un collage di brani tratti da numerose commedie e tragedie del drammaturgo inglese.

Gleijeses

Geppy Gleijeses dirige la Gitiesse spettacoli e dirige il Teatro nazionale di Milano. Debutta in teatro nel 1974 in Il figlio di Pulcinella di E. De Filippo, regia di Bogdan Jerkovic in cui interpreta Pulcinella. Nel 1975 cura la regia di Chi è cchiù felice e’ me e Gennariello di E. De Filippo; seguono La famiglia dell’antiquario di Goldoni, regia di F. Bordon, Felicitas di M. Prosperi (1977-78), regia di A. Zucchi; Amore e commedia e La piazza di G. e Marco Mete, regia del collettivo Coop. Napoli Nuova 77; Il voto di Di Giacomo regia di V. Puecher (1980-81) e Quaranta ma non li dimostra di Peppino e Titina De Filippo (1982-83). La prima produzione di Gitiesse Spettacoli è Triatro d’avanquartia di Gleijeses, regia di Ugo Gregoretti (1983-84) a cui segue Vorticose passioni drammaturgia e regia di Gleijeses, Il malinteso di Camus (regia di S. Sequi, 1985-86); La cintura di Moravia, regia di R. Guicciardini; 1986-87 A porte chiuse da Sartre a Mishima, regia di S. Sequi; L’ispettore generale di Gogol’, regia di R. Guicciardini; Liolà di Pirandello, regia di Squarzina; 1991-92. Tra gli ultimi spettacoli Arancia meccanica di Burgess, regia di Cherif; Arsenico e vecchi merletti di Kesserling, regia di M. Monicelli; Cantata per la festa dei bambini morti di mafia di Luciano Violante, del quale è anche regista Geppy Gleijeses; e Una bomba in ambasciata di Woody Allen, diretto sempre da Monicelli. È interprete anche di film per la televisione e per il cinema (Così parlò Bellavista, 1984; Il sole anche di notte, 1990).

Marchetti

Dotato di una voce dal buon timbro tenorile Giulio Marchetti si mette in luce al fianco di Nino Taranto imitando Al Jolson con il volto truccato di nero nella rivista Com’era verde la nostra valle (1947). Michele Galdieri gli fa ripetere lo stesso numero nello spettacolo Snob (1950) affidandogli l’interpretazione di “Summertime” ( Porgy and Bess ) di Gershwin nel quadro delle piantagioni di cotone per il quale ottiene un successo personale quasi pari a quello del protagonista Carlo Dapporto. Successivamente è in compagnia con Tino Scotti in Agitatissimo (1953) e per due stagioni con Macario negli spettacoli E tu biondina… (1956) e Non sparate alla cicogna (1957). La vera popolarità gli arriva quando interpreta in veste di protagonista gli otto episodi televisivi trasmessi in diretta e firmati da Vittorio Metz della rivista musicale per ragazzi “Giovanna, la nonna del Corsaro Nero” (1961). Accanto alla grintosa piratessa Anna Campori e al balbuziente Pietro De Vico (il nostromo Nicolino) è il fedele maggiordomo Battista che combatte contro il crudele governatore spagnolo al ritmo di canzonette, balletti e duelli. Il successo si rivela di tali proporzioni che le imprese della terribile corsara e dei suoi due compagni continuano in altre due serie: “Le nuove avventure di Giovanna, la nonna del Corsaro Nero” (otto episodi, 1962) e “Giovanna alla riscossa” (sei episodi, 1966).

Barra

Peppe Barra nasce per caso a Roma, nel ’44. Ma, poi, davvero non è casuale il suo approdo al teatro, giacché ad esso sembra naturalmente destinato da quella faccia incredibilmente marcata ed espressiva, un po’ da Pulcinella e un po’ da `mamo’ della Commedia dell’Arte. Comincia prestissimo con Zietta Liù, famosa maestra di recitazione, prima come bambino attore e quindi come insegnante. Dopo alcune esperienze nell’ambito del teatro di ricerca al fianco di Gennaro Vitiello, risulta decisivo, per lui, l’incontro con Roberto De Simone. È tra i fondatori della Nuova Compagnia di Canto Popolare, con cui – affidandosi, fra l’altro, a una voce insieme potente e capace di raffinatissime sfumature – miete successi in ogni parte del mondo. Poi, la consacrazione definitiva con La gatta Cenerentola e, dopo la partecipazione ad altri quattro spettacoli di De Simone, la fondazione, nel 1982, di una propria compagnia, con la quale – accanto alla madre Concetta – s’impone da Parigi a Bombay. Intanto è Sancio nel – Don Chisciotte – di Scaparro. E nel ’93, con il suo primo disco da solista, `Mo’ vene’, vince subito il premio Tenco. Quindi, dopo la scomparsa di Concetta, alla quale dedica lo spettacolo-concerto del ’93 ( Ricordi d’amore ), prosegue nel teatro da solo, negli ultimi anni affiancandosi ad altri protagonisti della scena napoletana come Angela Pagano, Enzo Cannavale e Gianfelice Imparato. Fra i tanti premi attribuiti a Peppe, spicca la Maschera d’oro dell’Idi per il 1981.

Tranquilli

Diplomatosi all’Accademia Sharoff, Silvano Tranquilli comincia subito a collaborare con alcune delle più grandi compagnie italiane, recitando a fianco di S. Randone e V. Gassman. Nel 1959 esordisce in televisione dove parteciperà a più di cento sceneggiati, rimanendo nella memoria soprattutto per la sua interpretazione della figura del prete autorevole in I ragazzi di padre Tobia (1968). Ultimamente era ritornato al teatro nella compagnia dello Stabile del Giallo di Roma con cui ha lavorato in Delitto perfetto di N.J. Crisp (1994). Tra le sue partecipazioni cinematografiche ricordiamo I girasoli (1969) di V. De Sica e Amore mio aiutami di A. Sordi con M. Vitti (1969).

Graziosi

Iniziata la carriera a sedici anni, Franco Graziosi debutta con Strehler nel 1953 in Un caso clinico di Buzzati. È poi Foletto, lacché del Conte di Bosco Nero (Carraro), nella Vedova scaltra di Goldoni e Trebonio nel Giulio Cesare di Shakespeare. Da questo momento partecipa a quasi tutti gli spettacoli del Piccolo, fino al ’58: da La sei giorni di D’Errico a La mascherata di Moravia, da Arlecchino e La trilogia della villeggiatura goldoniani al Giardino dei ciliegi , dove è Iaša. Seguono il primo Nost Milan (Pasqualino), L’opera da tre soldi (Smith), Coriolano (Tullio Aufidio), e finalmente interpreta l’aviatore Iang Sun nell’ Anima buona di Sezuan accanto a Paola Borboni, Valentina Fortunato e Marcello Moretti. È il 1958 e lascia il Piccolo, sposa Esperia Pieralisi, sorella di Virna Lisi, ed entra nel complesso diretto da L. Squarzina, dove insieme a un folto gruppo di attori, dalla Adani a Tofano, da Maria Fabbri a Parenti, a Zora Piazza, a Sanipoli, recita nel Benessere di Brusati e Mauri e in Romagnola di Squarzina. Scioltasi la compagnia per i disordini politici intervenuti alle recite di Romagnola , recita al Teatro Olimpico di Vicenza, poi alla Cometa di Roma diretta da D. Fabbri in Un uomo per tutte le stagioni di Bolt e in La ragione degli altri di Pirandello. Gassman gli offre il ruolo di Verri (applauditissimo) nel suo Questa sera si recita a soggetto (1962) . Da Gassman alla Proclemer-Albertazzi, in Agamennone di Alfieri e Come tu mi vuoi ancora di Pirandello, per due stagioni in Italia e in Russia (1967-68); poi ancora con Strehler nel gruppo Teatro e Azione, in Cantata di un mostro lusitano di Weiss, Nel fondo di Gor’kij, Referendum per l’assoluzione o la condanna di un criminale di guerra (Walter Reder) di R. Pallavicini e G.F. Venè; dal ’73 torna al Piccolo, dove lega il suo nome ai personaggi di Gilles de Rais ( Barbablù di Dursi, regia di L. Puggelli), Florindo ( Arlecchino, 1973) , Lopachin ( Il giardino dei ciliegi , 1974 e 1977), Togasso ( El nost Milan , 1979) e finalmente Mefistofele ( Faust I e II ) e Cotrone ( I giganti della montagna, 1993 ), dove la sua recitazione innervata e controllatissima, ma ricca di sottolineature ironiche e dissacranti, ha modo di risplendere e di far lievitare i bagliori del testo. Fra le ultime prove, la lunghissima maratona del ronconiano Pasticciaccio de via Merulana di Gadda (il commissario Ingravallo), Spettri di Ibsen, al Piccolo Eliseo, regista G. De Monticelli con R. Falk e Nostre ombre quotidiane di Noren, regia S. Sequi.

Blanchar

Il temperamento istrionico di Pierre Blanchar lo rende un eccellente interprete del teatro brillante (recita testi di Achard, Pagnol, Salacrou, Maeterlinck, Bernstein, Obey), ma ciò non gli impedisce di cimentarsi anche nella tragedia (Edipo re, 1947). Nel 1935, al festival cinematografico di Venezia, ha vinto la coppa Volpi per Delitto e castigo di P. Chenal che l’ha diretto l’anno successivo in Fu Mattia Pascal di Pirandello con Irma Gramatica e Isa Miranda.

Keaton

La carriera di Buster Keaton sulle scene del vaudeville inizia a soli cinque anni, quando comincia a prender parte al numero comico acrobatico dei genitori Joe e Myra, che presto viene chiamato ‘The Three Keaton’. La prima dote per la quale si distingue è la resistenza alle botte prese dal padre, che lo scaraventa a destra e a sinistra, e che viene persino denunciato da varie associazioni di tutela dei diritti dei bambini. Ma il suo vero apporto di novità al vaudeville è l’introduzione della figura del ‘bambino terribile’, mentre gli altri innumerevoli infanti che calcano le scene del tempo sono presentati con connotazioni delicate e innocenti. Si distingue anche per la sua creatività: gli si attribuisce la gag dell’autostrangolamento con una mano dietro il sipario, poi copiata da centinaia di comici. Altra sua caratteristica è l’imitazione degli artisti in cartellone, fra le quali quella di Houdini alle prese con la liberazione dalla camicia di forza; è proprio il celebre illusionista ad affibbiargli il nomignolo ‘buster’, turbolento.

I Keaton, con la formazione allargata sino a cinque elementi, ottengono un grande successo, con scritture nei migliori teatri dell’epoca, fra cui l’Hammerstein Theatre (che diventerà il Palace) e buoni contratti anche in Inghilterra. Buster Keaton diventa poi celebre per l’attività cinematografica, che afferma la sua maschera di flemmatico. L’avvento del sonoro manda in crisi la sua carriera; Buster Keaton sfrutta il suo bagaglio di esperienze, anche teatrali, per diventare un buon gag maker per le stesse case di produzione che sino a pochi anni addietro lo avevano pagato profumatamente. In compagnia della moglie Eleanor, tra la fine degli anni ’40 e l’inizio dei ’50, fa diverse apparizioni come clown mimo al Cirque Medrano di Parigi dove, per un equivoco sorto con il direttore sull’entità del compenso, rischia persino di finire in carcere; è poi scritturato in diversi teatri di varietà europei, e per tre mesi anche in Italia. Punto di riferimento importante per lo sviluppo della clownerie nel Novecento, con la sua figura stralunata di pierrot moderno alienato dal mondo che lo circonda, nel 1965 Buster Keaton incarnerà anche le angosce di Samuel Beckett nel cortometraggio da lui sceneggiato, Film, con la regia di Alan Schneider.

Besson

Alla fine della Seconda guerra mondiale durante una tournée nella Germania occupata dalle truppe francesi collabora con il regista Jean-Marie Serreau. Assieme allestiscono a Parigi L’eccezione e la regola di Brecht (1949). L’incontro, avvenuto nel 1948, con Brecht segna la carriera di Benno Besson; nel 1949 lo raggiunge al Berliner Ensemble per iniziare con il drammaturgo tedesco una collaborazione che si interrompe solo alla morte di quest’ultimo, nel 1956. Tra gli allestimenti di questo periodo: Il processo di Giovanna d’Arco a Rouen 1431 di A. Seghers, adattato da Brecht (1952); Don Giovanni di Molière, in un adattamento di Brecht (1952, ripreso nel 1954); L’anima buona di Sezuan e I giorni della Comune di Brecht (1956). Benno Besson aderisce all’idea di teatro proposta da Brecht, a cui è vicino soprattutto nell’analisi della condizione umana, ma vi aggiunge il gusto per gli effetti spettacolari e la curata eleganza della messa in scena. Il confronto con il maestro tedesco continua negli anni successivi – Un uomo è un uomo (1958); L’opera da tre soldi (1959); Santa Giovanna dei macelli (Stoccarda, 1961); Turandot (Zurigo, 1969); L’anima buona di Sezuan (Roma, 1973); Il cerchio di gesso del Caucaso (Avignone, 1978); Un uomo è un uomo (Zurigo, 1988) – ma il regista affronta nel frattempo anche altri autori: Don Giovanni di Molière (Palermo, 1964); Horizons testo collettivo scritto da operai (andato in scena alla Volksbühne di Berlino nel 1969; nello stesso anno B. ne assume la direzione); Re cervo di C. Gozzi (1971); Amleto di Shakespeare (Berlino, 1971; ripreso al festival d’Avignone nel 1977); Edipo tiranno di Sofocle (nell’adattamento di E. Sanguineti, Reggio Emilia, 1980); Il drago di E. Švarc, nella versione francese dello stesso B. (1986, alla Comédie di Ginevra, di cui B. è direttore artistico dal 1982 al 1989); Il flauto magico di Mozart (Ginevra, 1988); Tuttosà e Chebestia di C. Serreau (Genova, 1993); Amleto di Shakespeare (Genova, 1994); Tartufo di Molière (Losanna, 1995); Moi di E. Labiche (Genova, 1995).

Giachetti

Gianfranco Giachetti si formò a Venezia dove dal 1914 recitò nella compagnia di F. Benini. Nel 1920 fondò una propria compagnia che contribuì a formare importanti attori quali C. Baseggio e i fratelli Cavalieri. Interpretò con successo opere di C. Goldoni, G. Gallina e G. Rocca. Dotato di raffinata intelligenza e cultura, G. seppe mostrare i lati più oscuri e meno sentimentali che si celano dietro personaggi patetici e apparentemente innocui (Buganza, il compositore fallito che aspira alla gloria in Nina, no far la stupida di Rossato e Gian Capo ne è un esempio). Lavorò anche per il cinema; tra i suoi film: Figaro e la sua gran giornata di Camerini nel 1931 e 1860 di A. Blasetti nel 1933.

Robledo

Pepe Robledo arriva in Europa nel 1977, esiliato dalla dittatura del suo paese. In Argentina, a partire dal 1970, fa parte del Libre Teatro Libre con cui lavora fino al 1976, anno in cui il gruppo si dissolve a causa del golpe militare. Sempre nel 1976 partecipa al primo incontro del teatro di gruppo di Belgrado. Rimane poi in Europa dove lavora come attore e insegnante di tecniche di improvvisazione, entrando nel 1980, su richiesta di Iben Nagel Rasmussen dell’Odin Teatret, a far parte del gruppo Farfa. Qui conosce, nel 1983, Pippo Delbono, con cui instaura un rapporto di collaborazione duratura seguendolo, dapprima, nell’incontro con Pina Bausch (1987) e partecipando, in seguito, a tutti i lavori diretti dallo stesso Delbono, da Il tempo degli assassini a La guerra. Nel suo lavoro con la Compagnia Pippo Delbono, Robledo non si identifica nel solo ruolo di attore, ma svolge nel contempo le funzioni di aiuto regista, assistente, collaboratore alla drammaturgia, tecnico e fonico.

Berkoff

Steven Berkoff frequenta la Hackney Downs Grammar School, nell’omonimo quartiere londinese; studia teatro e poi mimica a Parigi. Emerge negli anni ’70 nell’ambito del filone ‘fringe’ della controcultura teatrale, con la compagnia London Theatre Group. A differenza di altri gruppi analogamente impegnati in politica, la compagnia propone un tipo d’arte rappresentativa che impieghi tanto gli elementi visivi quanto quelli verbali. Nei suoi drammi (East, 1977; Greek, 1983) Steven Berkoff propone un linguaggio non standardizzato che smonti l’opinione consolidata, e che sia capace di suscitare risposte conflittuali e problematiche nella cooperazione tra gli individui. Artista fuori da ogni schema, istrione ecclettico e iconoclasta, Steven Berkoff è considerato un classico del teatro contemporaneo sperimentale; nella rassegna 1997 di Intercity London a Firenze, con lo spettacolo One Man (un assolo tratto da due suoi testi e da un adattamento di Il cuore rivelatore di E.A. Poe), ha riscosso un grande successo. Tra gli altri lavori si ricordano Lunch (1983), S ink the Belgrano (1986), Kvetch, presentato al festival di Edimburgo nel 1991; e ancora gli adattamenti per il teatro delle opere di Kafka: Nella colonia penale (1968), La metamorfosi (1969), Il processo (1970); Amleto di Shakespeare.

Micol

Laureato in legge, Pino Micol si trasferisce a Milano dove studia alla scuola del Piccolo Teatro. Nel 1975 è protagonista dello spettacolo Stefano Pelloni detto il Passatore , una regia di Maurizio Scaparro per lo Stabile di Bologna. Seguono anni shakespeariani con uno spoglio e intenso Amleto che replica per tre anni e passa anche dal piccolo schermo, e un Riccardo II . È anche un intenso Giasone al fianco di Irene Papas in Lunga notte di Medea di C. Alvaro. Nel 1978 interpreta Cirano di Bergerac di Rostand sempre con la regia di Scaparro. Nel 1983 è al fianco di Peppe Barra in Frammenti teatrali del Don Chisciotte . Ancora con Scaparro, interpreta Il fu Mattia Pascal da Pirandello al Teatro di Roma (stagione 1986-87) e Vita di Galilei di Brecht (stagione 1988-89). Nel 1989 al festival di Spoleto rievoca, in veste di difensore, alcuni clamorosi fatti di cronaca in La parola alla difesa . Seguono alcune produzioni targate Veneto Teatro: Le sorprese dell’amore di Marivaux, regia di Sequi, con Ottavia Piccolo (1990) e, nel 1991, a fianco di Gianna Giachetti, il nuovo Edipo di Renzo Rosso, ispirato al mito del re di Tebe, di cui è regista e interprete.

Giordana

Filgio d’arte la madre è Marina Berti, il padre Claudio Gora, Andrea Giordana diventa famoso molto giovane grazie all’interpretazione di Edmond Dantès, protagonista de Il conte di Montecristo , nella versione televisiva del romanzo di Dumas (1966). Ha proseguito la sua attività televisiva sia come attore nell’ Eneide (1971), in Sandokan (1972) e nello sceneggiato Quaranta giorni di libertà (1974), sia come conduttore: ha presentato tra gli altri programmi, l’edizione 1983 del festival di Sanremo. Torna a recitare in importanti sceneggiati: è Guido Speier in La coscienza di Zeno (1988) di S. Bolchi; recentemente ha preso parte alla serie di successo Piazza di Spagna . Anche il teatro lo ha visto impegnato in opere di classici e contemporanei, con registi come De Lullo, A Trionfo, M. Parodi, M. Bernardi. Ha formato una compagnia con G. Zanetti (Gli amori inquieti, La commedia degli errori, Come vi piace). È protagonista de Il seduttore di D. Fabbri diretto da G. Sepe.

Moretti

Dopo aver partecipato al Teatro delle Dieci alla fine degli anni ’60 Giovanni Moretti fonda e dirige il Teatro dell’Angolo, sviluppando attraverso spettacoli e saggi una nuova idea di teatro per ragazzi. Nel 1984 allestisce La caverna del teatro , un progetto ispirato al famoso mito di Platone, che lascia un segno importante nel teatro-ragazzi. In seguito, uscito dal Teatro dell’Angolo, fonda il Teatro del Mediterraneo. Con la sua voce dal timbro profondo ha caratterizzato molte trasmissioni radiofoniche.

Piccoli

Michel Piccoli deve la sua fama soprattuto al cinema: Dillinger è morto, La grande abbuffata, L’ultima donna di Ferreri; L’amante di Sautet, Bella di giorno di Buñuel, Milou a maggio di Malle e tanti altri. Tra gli spettacoli che ha interpretato a teatro ricordiamo: Celestina di F. Royas (1945); Tobacco road di Kirkland e Caldwell (1947); Androcles and the lion di Shaw (1952); Irene innocente di Betti (1953); Phèdre di Racine (1957, con il T.N.P.); Der Stellvertreter di Hochnuth (1963); Il giardino dei ciliegi di Cechov (1981 con la regia di P. Brook); Combat de nègres et de chiens di Koltès (1983, al Théâtre des Amandiers di Nanterre, con la regia di P. Chéreau); Terre étrangère (1984); Conte d’hiver di Shakespeare (1988); John Gabriel Borkman di Ibsen (1993, per il Théâtre d’Europe). I personaggi a cui ha dato vita nella sua lunga carriera corrispondono al ruolo che P. assegna alla recitazione, che deve dimostrarsi capace di far saltare l’ipocrisia che regola le relazioni sociali. Il suo aspetto gli consente con naturalezza di mostrare il lato oscuro dell’apparente rispettabilità borghese.

Vitali

Gli esordi di Alvaro Vitali mostrano un pedigree di tutto rispetto: tra il 1969 e il ’74 ha lavorato – anche se in piccole parti – con registi come Fellini, che Vitali ama citare come suo scopritore (in Roma fa l’imitazione di Fred Astaire), Polanski, Risi e Monicelli. Ha lavorato al Sistina nella ripresa di Rugantino con Montesano (1979-80), ma è diventato famoso tra il 1974 e il 1982 con una micidiale serie di Poliziotte , Liceali e Ripetenti varie, consacrandosi tra gli attori più pagati del momento con diversi film della serie dedicata a Pierino, di cui, se così si può dire, è la maschera originale. Caratterista un po’ monolitico, attende una riscoperta degli intellettuali e/o un repechage `à la Delle Piane’.

Anatrelli

Formatosi alla scuola della rivista e della sceneggiata napoletana, Anatrelli Giuseppe ha recitato insieme ai più grandi interpreti partenopei come Totò, Nino Taranto e Eduardo De Filippo, ritagliandosi qualche spazio come ‘macchiettista’ come per esempio in Nota’ Pettolone (1978), allestito dal Gran Teatro Comico di Napoli. La sua macchietta più famosa al grande pubblico è legata alle sue esperienze cinematografiche ed è quella dell’infingardo ragionier Calboni nella serie di Fantozzi.

Actors Studio

Aperto a New York nel 1947 dai registi Elia Kazan e Robert Lewis, dalla produttrice Cheryl Crawford, è in seguito diretto dal 1951 da Lee Strasberg, allontanatosi Lewis per dissensi artistici e poco presente Kazan per i molti impegni a Broadway e a Hollywood. Tutte queste persone avevano vissuto negli anni ’30 l’esperienza del Group Theatre e avevano improntato fin da allora la propria attività ai principi di Stanislavskij, appresi attraverso le lezioni del regista polacco Richard Boleslavski, emigrato dal Teatro d’Arte di Mosca agli Usa, e dalla pubblicazione in Europa e in America della prima parte del Lavoro dell’attore, la più importante opera teorica del Maestro. Scopo dell’Actors Studio era fornire agli attori (ammessi dopo una rigorosa selezione) uno spazio nel quale perfezionare i propri strumenti espressivi in esercizi non finalizzati alla produzione di uno spettacolo. Era la versione americana del ‘sistema’ del regista russo, il cosiddetto ‘metodo’ caratterizzato da una particolare accentuazione degli esercizi di ‘memoria emotiva’ passati attraverso il filtro della psicoanalisi. Strasberg ne divenne l’esponente principale e sotto la sua guida lavorarono molti attori destinati a diventare famosi sulle scene e sullo schermo (M. Brando, J. Dean, M. Clift, D. Hoffman, R. De Niro, A. Pacino, S. Winters, G. Page).

Vachtangov

Dopo aver frequentato la scuola teatrale di A. Adasev, dove insegna L. Sulerzickij, collaboratore di Stanislavskij, nel 1911 Evgenij Bogratjonovic Vachtangov viene assunto al Teatro d’Arte di Mosca e diventa uno dei più accesi sostenitori del `sistema’ di educazione dell’attore che Stanislavskij sta mettendo a punto. Nel 1912, per volere di Stanislavskij, viene fondato il Primo Studio, dove un gruppo di giovani, fra cui appunto Vachtangov, senza il peso di prove e spettacoli, può liberamente sperimentare i nuovi principi. Anima dello Studio è L. Sulerzickij, che impone agli allievi una ferrea disciplina e imposta il lavoro su basi rigidamente etiche: alla bravura antepone la correttezza e la generosità, alle doti artistiche quelle umane. Il lavoro si svolge in un’atmosfera severa e appassionata. In una stanza dell’appartamento in cui si svolgono le lezioni viene allestito un minuscolo palcoscenico, con il pubblico a pochi metri dagli attori.

I primi spettacoli (Il grillo nel focolare, tratto da un racconto di Dickens; Il diluvio di Berger; La dodicesima notte di Shakespeare) vedono Vachtangov impegnato più come attore che come regista e le sue interpretazoni si segnalano per intelligenza e originalità. A partire dal 1913 guida un gruppo di studenti che gli si rivolgono per consigli e per lezioni, spinti dalla comune passione per il teatro. Nonostante la diffidenza di Stanislavskij, sostenitore della professionalità e nemico di ogni dilettantismo, Vachtangov si lancia con entusiasmo nell’impresa, dimostrando una straordinaria vocazione pedagogica. I testi scelti per le prime esercitazioni, che diventano poi spettacoli, sono edificanti parabole come Il miracolo di sant’Antonio di Maeterlinck o raffinate ricerche sul ritmo e sul grottesco come Le nozze di Cechov.

Dopo la rivoluzione d’Ottobre aderisce con slancio al nuovo regime e aumenta fortemente la sua attività pedagogica, in vari gruppi studenteschi e operai. Contemporaneamente, continua brillantemente la sua collaborazione con il Primo Studio, dove firma la regia di alcuni tra i più riusciti spettacoli del gruppo come Hedda Gabler di Ibsen (1920), trionfo del `metodo’ psicologico stanislavskiano, con la partecipazione straordinaria nel ruolo della protagonista di Ol’ga Knipper-Cechova, e Erik XIV di Strindberg (1921), dove riesce a trasmettere tutta l’angosciosa insicurezza degli anni rivoluzionari, grazie anche all’interpretazione allucinata che del sovrano dà Michail Cechov, nipote del grande scrittore. Con il maturare della sua prassi registica, si allontana dalla stretta osservanza del `sistema’: ai rigidi dettami del metodo psicologico sostituisce una più libera ricerca di teatralità, una più espressiva indagine sulla gestualità.

Chiamato dallo Studio teatrale ebraico Habima, dirige nel 1921 Il Dibbuk di An-ski in cui decide di utilizzare il testo in lingua ebraica antica, del tutto incomprensibile alla maggioranza del pubblico. Sempre per questo lavoro adotta per gli attori trucchi violenti e ritmi gestuali talora lenti talora sfrenati per esprimere l’intensa drammaticità della vicenda, che alterna misticismo e violenta polemica sociale. In questo periodo elabora nel suo Studio una messinscena di Principessa Turandot di Gozzi. Anche in questo spettacolo la prima preoccupazione è la libertà creativa dell’intero gruppo. Le scene sono costruite con materiali di recupero, i costumi fatti di stracci e oggetti casuali, la recitazione basata sull’improvvisazione, sulla libera espressione dell’indole di ciascun attore. L’effetto è sconvolgente: Gozzi sembra un autore contemporaneo, tanta è la scioltezza con cui viene letta l’antica fiaba. Gli interpreti utilizzano la loro acerba tecnica per esaltare l’invenzione e la fantasia e gli scenografi e costumisti si allontanano da ogni canone costituito.

Lo stesso Stanislavskij, così lontano, nella sua impostazione, da quel tipo di lavoro, applaude e si dichiara entusiasta. Con Vachtangov nasce una nuova linea di ricerca, che ha le sue radici nel `sistema’ e tuttavia si nutre di antiche tradizioni come quelle della Commedia dell’Arte. Minato da un male incurabile, Vachtangov muore poche settimane dopo la trionfale prima rappresentazione della sua Turandot, che rimane il suo testamento teatrale e la più perfetta e libera realizzazione del suo lungo cammino di regista.

Mauclair

Jacques Mauclair è direttore del teatro Rive-Gauche dal 1971 al 1975; nel 1976 diventa direttore del teatro Marais. Dagli anni ’50 il suo nome è legato agli autori del Nouveau Théâtre, in particolare a Adamov – è regista di Comme nous avons été (1953) e di Ping-Pong (1955); recita in Il professor Taranne (1953), sotto la direzione di Planchon – e a Ionesco mette in scena Vittime del dovere (1953); Le sedie (1956) e Il re muore (1962); nel 1959 si avvicina al teatro di Brecht: Maurice Sarrasin, direttore del Teatro Grenier di Tolosa, lo invita ad allestire Madre Coraggio. Nel suo repertorio compaiono anche testi classici: Elettra (1977); L’avaro (1989, per cui gli è assegnato il premio Molière); La scuola delle mogli (1992). Nel 1982 riscrive un classico: Le Misanthrope chez Molière ou l’impromptu du Marais (ne è anche regista e attore). Negli ultimi anni ha curato la regia e ha interpretato diversi testi di Eduardo de Filippo: Antonio Barracano (1993); Natale a casa Cupiello (1995); Sik-Sik (1997).

Toffolo

Dopo studi musicali e una esperienza radiofonica, Lino Toffolo debutta in teatro con Baseggio. Da Venezia di trasferisce a Milano e inizia a lavorare al Derby (1963) – accanto ai cabarettisti storici Franco Nebbia, Jannacci, e Bruno Lauzi – dove nascono le sue macchiette, tra le quali l’ubriaco che canta Oh Nina , diventerà molto famosa in seguito, oltre alle altre sue canzoni in dialetto veneziano: Le carrozzelle, I chiericheti, la cafetiera, Gastù mai pensà. Nel 1968 incomincia la sua carriera cinematografica ne La chimera di L. Wertmüller, seguiranno poi altri ventiquattro titoli, molti dei quali con la regia di Samperi. È con Mastroianni in Culastrisce nobile veneziano. È con Gasmann in Brancaleone alle crociate di Monicelli. Lavora anche con Risi. Dopo una pausa torna in veste di attore teatrale e porta in scena un collage di testi di Goldoni, poi è protagonista in Sior Toni Bellagrazia (1993) e nel prologo de La moscheta (1998) di Ruzante con la regia di De Bosio. È il carceriere ne Il pipistrello di Strauss (1997) e voce recitante in Pierino e il lupo di Prokovief e nell’ Histoire du soldat di Stravinskij. Per il teatro ha scritto: Gelati caldi e Fisimat; ha pubblicato due libri: A remengo e A gratis. Ha svolto anche una intensa attività televisiva come conduttore.

Viviani

Raffaele Viviani esordisce giovanissimo come bambino prodigio nei teatrini popolari di Napoli, ma alla morte del padre, agiato attrezzista e impresario, è costretto ad una dura gavetta nei teatri di varietà. Si afferma nel 1904 con una personalissima interpretazione di una macchietta del repertorio di P. Villani, Lo scugnizzo di G. Capurro e F. Buongiovanni. Viviani, coniugando le sue doti acrobatiche e mimiche ad un impietoso realismo venato di amaro umorismo, crea una propria maniera che lo distingue dal bozzettismo di moda tra gli artisti di varietà e costituisce la premessa stilistica più cospicua della sua futura opera drammaturgica. L’elaborazione del repertorio macchiettistico è per il giovane analfabeta Viviani una vera e propria scuola di scrittura. Infatti quando nel 1917, in seguito alla crisi del caffè concerto, esordisce con una propria compagnia di prosa, trasforma i suoi numeri di varietà in pièce teatrali: `O vico (1917), Tuledo `e notte (1918), Scugnizzo (1918), Eden teatro (1919), La festa di Piedigrotta (1919). Sviluppa così una scrittura particolarmente sensibile alla rappresentazione dell’ambiente sociale in cui la narrazione procede coralmente attraverso un equilibrato contrappunto delle individualità di ciascun personaggio. Con Circo equestre Sgueglia (1922) Zingare (1926) e Napoli in frack (1926), si accentuano gli spetti drammatici del suo teatro d’ambiente napoletano che, nonostante l’avversione del fascismo, sono apprezzati in tutta la penisola e danno vita ad una produzione ricchissima tra cui ricordiamo: Morte di Carnevale (1928), Guappo `e cartone (1932), I vecchi di S. Gennaro (1933), L’ultimo scugnizzo (1932), La tavola dei poveri (1936-1954), Siamo tutti fratelli (1941). La attività di attore e capocomico di Viviani è particolarmente originale, si distingue infatti per una concertazione scenica accuratissima dove gesto musica e parola si fondono armonicamente.

Planchon

Originario della regione della Loira, negli anni ’50 Roger Planchon fonda a Lione il Théâtre de la Comédie, dove sono rappresentati testi di Courteline, Feydeau, Frédérique, Marlowe, Shakespeare, Adamov, Kleist, Ionesco, Calderón, Vitrac, ma soprattutto Brecht (che costituisce per Planchon un paradigma) e Michel Vinaver (Aujourd’hui ou les Coréens). Dal 1957 dirige il Théâtre de la Cité a Villeurbanne, dove stringe un sodalizio artistico con René Allio. Esordisce con l’ardita trilogia shakespeariana Enrico IV-Il principe-Falstaff ; prosegue con opere di Molière (George Dandin, del quale sconvolge le convenzioni, presentando un protagonista molto giovane, che ripropone più tardi in versione cinematografica; Tartufo ); mette in scena A. Dumas (I tre moschettieri che arricchisce di trovate brillanti ai limiti della cinematografia), Musset (On ne saurait penser à tout ) e Gogol (Le anime morte nell’adattamento di Adamov). Nel 1972 Planchon sarà condirettore del Théâtre National Populaire, dapprima con Chéreau (1971-1981), poi con Lavaudant tra il 1986 e il 1996, data in cui quest’ultimo lascerà il TNP per dirigere l’Odéon di Parigi. Nel suo repertorio, oltre ai contemporanei (Pinter, Ionesco), sono sempre presenti gli amati classici (Shakespeare, Molière, Racine, Corneille) rivisitati in chiave politica e didattica. Di Dumas rappresenta il poco conosciuto melodramma La Tour de Nesle (Nizza 1996). Le sue pièces sono talora intimiste (La Remise), talaltra a sfondo storico (Bleus, Blancs, Rouges ou Les Libertins, ripresa più tardi col titolo Les Libertins, Le radeau de la meduse) Da segnalare la decennale collaborazione artistica con Ezio Frigerio.

Ricci

Dopo le adolescenziali esperienze filodrammatiche incoraggiate dal padre, insegnante di recitazione all’Accademia dei Fidenti, Renzo Ricci ottenne la prima scrittura nella compagnia Borelli-Piperno, quando non aveva ancora 17 anni, per poi passare con Gandusio, che non metteva in scena solo pochade ma novità rischiose, come L’uomo che incontrò se stesso di Antonelli e Acidalia di Niccodemi, che al giovanissimo fiorentino valse l’incoraggiante `bravo Ricci’ dell’autorevole M. Praga. In seguito fu con Betrone, con E. Gramatica-Pilotto, con Talli, Zacconi, per formare poi compagnia con la moglie Margherita Bagni (1925-1928), allestendo testi di Paolieri, Ferrigni, Bernstein, Sardou, Deval. Passò quindi con le sorelle Gramatica e, dopo una parentesi nella mitica Za-Bum, capeggiò la Nuova compagnia della commedia (1933) che allineava i nomi di Cervi, Melnati, L. Adani, N. Gorini, E. Magni, cimentandosi in Pirandello, Coward, Guitry, Birabeau, Bourdet.

Più che della lezione verista di Zacconi aveva fatto tesoro della spiritualità di Ruggeri e di estrosi guizzi alla Benassi, costantemente alla ricerca di una modernità interpretativa, espressa appieno negli anni della maturità. Apprezzato per il disincanto che prestava ai protagonisti della commedia borghese, conseguì i vertici interpretativi nel frequentatissimo Shakespeare e sull’opposto versante nelle `maschere nude’ di Pirandello. Nel secondo dopoguerra ha dato vita con l’inseparabile E. Magni a una compagnia che, quasi sempre con le sue regie, ha allestito testi di O’Neill, Shaw, Anouilh, de Hartog, Rattigan, Odets, Maulnier. Ha partecipato inoltre agli spettacoli classici estivi di Boboli, Fiesole, Venezia, Vicenza, Verona, Siracusa con le regie di Reinhardt, Salvini, Simoni, Visconti. Memorabili restano le sue interpretazioni nel torbido Sottoscala di Dyer (accanto a Stoppa), nella Lulù di Wedekind (accanto a Carraro-Cortese) e infine nel Giardino dei ciliegi di Cechov (il vecchio Firs) e nel Balcon di Genet (il Plenipotenziario), entrambi con la regia di Strehler che tanti anni prima lo aveva voluto protagonista di Riccardo III al Piccolo Teatro. Fino all’ultimo restò fedele alla religione del `teatro di parola’, praticamente ignorando il cinema che lo ripagò di pari moneta.

Chaikin

Joseph Chaikin debuttò sulle scene nel 1958 e l’anno dopo entrò a far parte del Living Theatre, partecipando ad alcuni dei più importanti spettacoli del gruppo prima dell’esilio Questa sera si recita a soggetto, Many Loves di Williams, The Connection di Gelber e, nella parte di Galy Gay, Un uomo è un uomo di Brecht. Nel 1964 fondò a New York l’Open Theatre, una compagnia sperimentale che si proponeva di creare e rappresentare, nell’ambito del nascente movimento di Off-Off-Broadway, testi di autori nuovi, da elaborare attraverso esercizi di improvvisazione. A fondamento del suo metodo, teorizzato nel volume The Presence of the Actor (La presenza dell’attore, 1972), era la scelta di mettere in rilievo la figura dell’attore, la cui indipendenza dal personaggio veniva accentuata dal fatto che si prevedeva dovesse trasformarsi a vista durante la rappresentazione. Il successo di America Hurrah! di Van Itallie (1966) stabilì la sua reputazione in America e poi in Europa e fu confermato dagli spettacoli successivi – Viet Rock (1966), The Serpent (1968), Terminal (1969), The Mutation Show (1971) – ma finì per stravolgere in parte le intenzioni originarie trasformando quello che voleva essere soprattutto un laboratorio per attori in una macchina per produrre spettacoli. C. decise allora, nel 1974, di porre fine all’esperienza dell’Open Theatre e negli anni successivi svolse attività di regista non solo a New York, ma a San Francisco, a Los Angeles e perfino a Tel Aviv, dove riallestì all’Habimah Il Dibbuk , di An-ski, vale a dire il testo più famoso della drammaturgia ebraica.

Chaplin

Attorno al 1910 Groucho Marx è di passaggio in una cittadina di provincia per prendere un treno che lo deve portare, con i suoi fratelli, in un’altra piccola località dove ha uno spettacolo. Per ingannare il tempo si reca in un minuscolo teatro di vaudeville ed ha occasione di assistere all’esibizione di un giovane comico in un numero chiamato A Night in an English Music Hall. Strabiliato dal talento dello sconosciuto artista, si reca nei camerini per complimentarsi e fare la sua conoscenza: si tratta di Charlie Chaplin, in tournée in America con la troupe di Fred Karno. Charlie Chaplin è il personaggio che più di ogni altro ha rappresentato il passaggio dallo spettacolo dal vivo a quello riprodotto che ha sconvolto abitudini in precedenza fissate per millenni. Secondo Groucho Marx, e per molti recensori che hanno occasione di vederlo esibirsi dal vivo, è anche il migliore comico che abbia calcato le scene del vaudeville americano.

Charlie Chaplin ha sangue gitano nelle vene (la bisnonna era una zingara di nome Ellen Elizabeth Smith) ed è figlio d’arte. I genitori sono entrambi artisti del varietà inglese. La madre, Hannah Hill, è una cantante di scarso successo, ma il padre riesce ad affermarsi e far pubblicare il suo volto sulla copertina degli spartiti musicali delle sue canzoni, cosa che capita solo agli artisti di una certa notorietà. L`infanzia di Charlie Chaplin, come noto, ricorda un libro di Dickens, con la separazione dei genitori, l’indigenza, la pazzia della madre ed il continuo entrare ed uscire, con il fratello Sydney, dagli istituti di carità londinesi. Charlie Chaplin bambino è costretto a seguire la madre durante i piccoli contratti nei music-hall. Ed è in una di queste occasioni che fa il suo casuale debutto, sostituendola quando è colta da un malore al Canteen di Aldershot, nel novembre del 1894. Il suo entusiasmo nell’intonare una semplice canzoncina è tale da provocare sul palcoscenico una pioggia di monete, che lui si ferma a raccogliere. Invitato a continuare il pezzo risponde «Solo quando avrò tirato su tutto», provocando un altro diluvio di spiccioli. Viene subito attratto dalla personalità degli artisti del varietà. Soprattutto i giocolieri, dotati di una straordinaria resistenza ad ore e ore di prove e sacrifici. Intende dedicarsi alla giocoleria comica e, risparmiato quel tanto che basta per acquistare delle palle di gomma e dei piatti di stagno, passa ore e ore ad esercitarsi.

Il suo debutto ufficiale nel mondo dello spettacolo avviene però nel 1898 con gli Eight Lancashire Lads, un gruppo di otto ragazzini, diretti da William Jackson, impegnati in una vivace danza folkloristica con gli zoccoli. Con loro si esibisce fino al 1900, quando, pare all’Hippodrome di Londra, debutta come attore in Cenerentola, nella parte di un gatto. È un tirocinio importante per il giovanissimo Charlie Chaplin: sono gli anni d’oro del music-hall inglese, nei quali ogni singolo artista deve giocoforza apprendere come costruire alla perfezione il proprio numero, con un inizio, un nucleo centrale, un crescendo ed un coinvolgente finale. Da notare che già in quegli anni crea, con un compagno dei Lancashire Lads, il duo ‘Bristol e Chaplin, I vagabondi milionari‘, che sembra precorrere il personaggio che lo renderà immortale. Nel 1903 con un po’ di impudenza si iscrive ad una nota agenzia teatrale, la H. Blackmore, la quale ben presto gli procura la parte di Billy il fattorino in Sherlock Holmes, che interpreta prima accanto a H. A. Saintsbury e poi a William Gilette, apprendendo molto da entrambi. Sin da subito i critici colgono la sua capacità sottolineandola in pratica in ogni recensione dello spettacolo. Per un po’ rimane senza lavoro poi trova un ruolo in Repairs, uno sketch che racconta delle sfortunate vicende di un gruppo di tappezzieri, imbianchini e idraulici e che si può considerare, come altri del tempo, un precursore dello slap-stick delle prime comiche del film muto. In seguito prende parte a Casey s Court Circus , un numero in puro stile burlesque dove balla, canta e fa un pò di tutto. È molto attento alle figure note del vaudeville, e mette in scena la parodia del Dr. Waldorf Bodie, uno strano artista dell’epoca, ‘guaritore, operatore di miracoli, ipnotista’, che riscuote grande successo.

Nel 1908 entra a far parte degli Speechless Comedians di Fred Karno, un abile impresario ed uomo di spettacolo che eredita le tradizioni delle pantomime inglesi e forma diverse compagnie che girano contemporanemante Europa e Usa. Ricordiamo che la pantomima è particolarmente sviluppata in Inghilterra soprattutto a causa dei severi atti censori – come il Licensing Act del XIX secolo – che limitavano moltissimo le rappresentazioni di veri testi teatrali. Ottiene subito un buon successo affermandosi soprattutto nella parte dello spettatore ubriaco del citato A Night in an English Music-Hall. Con Karno va in tournée nel 1909 alle Folies Bergères di Parigi e nel 1910 in America con una compagnia della quale fa parte anche Stan Laurel. Anche oltreoceano è accolto subito benissimo, sebbene nella scarsa considerazione globale che riceve lo spettacolo. “Variety” scrive più o meno: «Chaplin farà grandi cose in Usa, ma non poteva presentarsi con uno spettacolo peggiore». Altri scrivono: «È il più grande interprete di ubriaconi e il comico più esilarante del vaudeville». Nel 1912 torna in Inghilterra, ma a fine anno è di nuovo in America, da dove non tornerà per parecchio tempo. Nel novembre del 1913 va infatti alla Keystone della New York Motion Picture Co. dove inizia il suo ineguagliabile percorso cinematografico. Appare evidente quanto la carriera di entertainer di Charlie Chaplin abbia influenzato la propria carriera di regista e di conseguenza tutta l’arte filmica del Novecento. Ed è interessante notare come il suo genio si sia servito più volte di quanto appreso nei difficili anni dello spettacolo itinerante. Non solo recuperando atmosfere e personaggi come in Il circo o in Luci della ribalta, ma soprattutto servendosi di precise tecniche corporee apprese duramente sulle tavole dei palcoscenici del music-hall e del vaudeville. Fino alla fine dei suoi giorni C. rimane un appassionato degli spettacoli di circo e varietà dai quali proviene. Frequenta Grock e la famiglia Knie e trasmette probabilmente parte del suo amore almeno alla figlia Victoria, che con Jean-Baptiste Thiérree, crea Le cirque imaginaire.

Randisi

Stefano Randisi si forma come attore al Teatro Daggide di Palermo. Partecipa come interprete a tutti gli spettacoli, tra cui Ubu re di Jarry nei panni di Re Venceslao e dello Zar Alessio. Questa esperienza caratterizza il suo lavoro teatrale di ricerca che si indirizza verso il teatro d’attore, l’improvvisazione e l’idea della drammaturgia collettiva indirizzata alla scrittura scenica. Insieme con Enzo Vetrano recita nello spettacolo di Leo De Berardinis, The connection di J. Gelber per la cooperativa Nuova Scena di Bologna di cui diventa socio, e all’interno della quale nel 1983 forma una compagnia. Prosegue il suo sodalizio con Enzo Vetrano: insieme allestiscono molte rappresentazioni, tra le tante, la trilogia dedicata alla Sicilia, loro terra d’origine: Principe di Palagonia , Mata Hari a Palermo , (premio Palermo per il Teatro 1988, L’isola dei beati (1988). Dirige Vetrano e Nestor Garay, in Giardino d’autunno di D. Raznovich (1989-1991). È aiuto regista di Nanni Loy in Scacco matto di V. Franceschi. Prosegue inoltre la collaborazione con Leo De Berardinis in L’impero della ghisa (1991), ne I giganti della montagna di Pirandello, con il quale vince il premio Ubu come spettacolo dell’anno 1993. È assistente alla regia di Leo De Berardinis in IV e V atto dell’ Otello di Shakespeare. Con Vetrano dirige e interpreta Diablogues (1994) e Beethoven nel campo di barbabietole (1996) di R. Dubbillard. Sempre in coppia con Vetrano, e in collaborazione con il musicista Giovanni Tamborrino, due spettacoli di musica contemporanea: Operette Morali di Leopardi e Gordon Pym di E.A. Poe. E ancora elabora e dirige La martogliata e L’arte di Giufà di Nino Martoglio. E attore e coregista dello spettacolo Mondo di carta dalle novelle di Pirandello. Ha avuto esperienze cinematografiche e televisive.

Grassilli

Raoul Grassilli frequenta dapprima l’ambiente universitario bolognese, in seguito, iscrittosi all’Accademia nazionale d’arte drammatica `Silvio D’Amico’ di Roma, si diploma nel 1948 e un anno dopo viene scritturato presso il il Piccolo Teatro di Firenze. La sua formazione si amplia grazie all’attività svolta con la compagnia Pavlova e quindi al Piccolo Teatro di Milano e di Genova. Verso la fine degli anni ’50 recita al fianco di Alida Valli, Memo Benassi e Gino Cervi. Attore dotato di forte senso scenico, nel 1962 riceve il Premio Saint-Vincent per l’interpretazione di Ritratto d’ignoto di Diego Fabbri, per la regia di O. Costa. Sebbene abbia interpretato con grande autorità personaggi di un certo rilievo all’interno di opere di autori come Goldoni, Gor’kij, Shakespeare, Büchner, Pirandello, Molière, Mauriac, tuttavia sarà l’attività televisiva – costituita soprattutto da partecipazioni a drammi e a teleromanzi in costume – a decretargli maggiore notorietà. Dal punto di vista cinematografico è da ricordare il ruolo sostenuto nel film Pelle viva (1962). Agli inizi degli anni ’70 cura la regia di numerose opere liriche, sia per alcuni teatri esteri sia per quelli di Roma, Bologna, Torino, Parma. Dal 1984 al 1994 è docente di arte scenica al Conservatorio Musicale di Bologna. Nell’arco della carriera svolge un’intensa attività radiofonica. Un nuovo riconoscimento giunge nel 1985 con il Premio Idi per lo spettacolo di D. Fabbri Incontro al parco delle terme.

Mauri

Gianfranco Mauri debutta al Piccolo Teatro di Milano nel 1955 con El nost Milan di Bertolazzi. Dal ’57 è Brighella poi Pantalone nell’ Arlecchino servo di due padroni di Goldoni. Seguono, sempre diretti da Strehler, molti degli spettacoli più noti del Piccolo, tra i quali L’Opera da tre soldi e Vita di Galilei di Brecht, Coriolano di Skakespeare, Il gioco dei potenti da Shakespeare, Questa sera si recita a soggetto di Pirandello e Giorni felici , di Beckett, fino alla ripresa de La storia della bambola abbandonata di Brecht/Sastre, appena prima della morte del regista. Ha lavorato anche con la Compagnia dei Giovani del Piccolo nell’ennesima edizione dell’ Arlecchino.

Kayssler

Friedrich Kayssler iniziò la carriera nel 1895 al Deutsches Theater diretto da Otto Brahm; venne poi scritturato a Görlitz e a Breslavia. Tornò quindi a Berlino, divenendo uno degli attori più importanti della prima metà del secolo. Dopo aver lavorato con Max Reinhardt nell’ambito del cabaret, con la sua regia ottenne il primo grande successo come protagonista del Principe di Homburg di Kleist (Deutsches Theater, 1907); sempre diretto da Reinhardt, fu anche il protagonista del Faust (prima e seconda parte, 1909-1911), e gli succedette alla direzione della Volksbühne, dove scritturò come regista l’ancora sconosciuto J. Fehling. Qui lavorò spesso assieme alla moglie, l’attrice Helene Fedmehr, dirigendo e interpretando opere come Verso Damasco di Strindberg (1922); dal 1923 fu attivo anche in altri teatri, a Vienna e Monaco. Nel 1933 iniziò a collaborare con G. Gründgens al Teatro Nazionale di Berlino. Scrisse anche drammi (Simplicius, 1905; Jan il magnifico, 1917; La lettera, 1927) e interpretò numerosi film. Un raffinato senso dell’umorismo improntava la sua arte; di fronte al suo lavoro di attore – è stato scritto – ci si chiedeva cosa fosse l’essenza del teatro, poiché era difficile stabilire dove iniziasse l’arte, tanto questa, in lui, si era fatta natura.

Maldacea

Il nome di Nicola Maldacea è legato al genere fortunato della ‘macchietta’, di cui fu inventore e massimo interprete dall’ultimo decennio del secolo scorso fino a tutti gli anni ’20. La macchietta è una canzone comica scritta in ottonari o endecasillabi, dove la rima gioca un ruolo fondamentale nel suggerire e smentire doppi sensi a volte volgari, a volte satirici, a volte comici. Ogni macchietta ha un suo sviluppo drammaturgico articolato, pur essendo centrata su un unico personaggio o carattere, oggetto di satira o semplice sfottò. Da notare che nell’immenso repertorio di macchiette sorto a partire dal successo di M. se ne conta una sola di carattere drammatico (Totonno `e quagliarella di Capurro e Bongiovanni per Viviani, storia di un ubriaco filosofo sconfitto dalla vita), per altro poco frequentata. Maldacea, a partire dal 1890, quando sperimentò il suo nuovo genere al Salone Margherita di Napoli, ebbe un successo a dir poco clamoroso per l’epoca: fu il vero trascinatore (a Napoli, a Roma ma anche più a Nord) del fulmineo sviluppo della moda del café-chantant. Ricevere uno sberleffo in versi da Maldacea era considerato il massimo onore ottenibile in società: in platea, durante i suoi spettacoli, era norma scommettere sul bersaglio reale di questa o quella macchietta.

All’apice del successo, Maldacea, che recitasse in abiti maschili o femminili, riuscì a sbeffeggiare anche i rappresentanti del clero e dell’esercito: una sua macchietta dedicata a un ufficiale della Cavalleria che non aveva saputo approfittare della disponibilità della moglie del proprio capitano (Il tenentino di Carlo Veneziani) fu in un primo momento censurata, ma subito dopo riammessa sulle scene per intervento diretto del conte di Torino che si recò di persona al Salone Margherita per verificare la situazione. Scrissero per M. alcuni tra i massimi poeti dell’epoca, da Rocco Galdieri a Ferdinando Russo, da Salvatore Di Giacomo a Trilussa, non tutti firmando i testi con il proprio nome ma tutti ottenendo lauti guadagni dalla collaborazione. Anche Maldacea si arricchì molto negli anni del successo, ma a partire dagli anni ’30 la sua fama scemò fino a scomparire del tutto: morì poverissimo, dopo aver cercato, senza fortuna, di ottenere qualche scrittura teatrale. Il cinema, invece, gli diede solo l’opportunità di qualche comparsata o ruolo minore, il più importante dei quali fu nel Feroce Saladino, film di enorme successo popolare girato nel 1937 da Mario Bonnard con Angelo Musco. Maldacea, infine, ha lasciato una lunga autobiografia godibilmente avventurosa ma sostanzialmente falsa, come tutte le autobiografie dei grandi attori.

Chiantoni

Nato in una famiglia di attori, Amedeo Chiantoni esordì con il padre Gaetano, capocomico di una piccola compagnia che rappresentava commedie e drammi popolari. Nel 1897, dopo essere stato secondo brillante, Alfredo De Sanctis lo scritturò come amoroso. Trovò la sua strada con la compagnia di I. Gramatica e E. Reinach (Spiritismo di Sardou). Fra il 1909 e il 1912 fu primattore della Stabile romana del Teatro Argentina, diretta da E. Paladini, e successivamente capocomico in società con Pagliara. Nel suo repertorio spaziò continuamente dal genere storico-romantico al leggero. Si ricorda in particolare la sua interpretazione di Neri nella Cena delle beffe di S. Benelli. Fra le interpretazioni di genere storico ricordiamo Orione di E.L. Morselli, Andrea del Sarto di V. Soldani, La giovane Italia di D. Tumiati, mentre, per il genere più popolare, Pietra fa pietre di H. Sudermann, La morte in vacanza di A. Casella, Vertigine di G. Gherardi.

Melazzi

Giorgio Melazzi si diploma alla scuola del Piccolo Teatro di Milano nel 1973 e nello stesso anno firma la regia di Ubu Roi di A. Jarry. Inizia contemporaneamente un lungo sodalizio con Franco Parenti, che lo dirige in Willibald e Oloferne di J. Nestroy (1974), La Betia del Ruzante (1975), La palla al piede di G. Feydeau (1976), Gran Can Can di F. Lemaitre (1981). Lavora inoltre con A. R. Shammah ( L’Ambleto , 1972; Macbetto , 1974; e L’Arialda di G. Testori, La doppia incostanza di Marivaux, Il malato immaginario di Molière), G. Lavia, M. Scaparro, M. Béjart (per cui è il lettore di Nietzsche in Dionysos , 1983). Dopo l’esperienza nel teatro classico, dal 1985 scrive e interpreta i suoi spettacoli (premiati in varie rassegne di Nuova Drammaturgia), dapprima commedie comiche di impianto tradizionale, quindi soggetti e meccanismi più innovativi dove si delinea ed emerge la sua vena amaro-ironica-surreale: Dopolavoro `Vincere!’ (1985), La pietra al collo (1987), L’arte della pizza (1987), Banana Konferenz (1991). Nel 1992 è coautore e cointerprete con Lella Costa del fortunato spettacolo Due ; del 1995 è il monologo Blues dei Cento Appunti . Partecipa a numerose commedie e varietà televisivi (gli ultimi: Scatafascio con Paolo Rossi, Zelig Facciamo Cabaret ) e radiofonici, al film Strane storie di A. Baldoni (1996); lavora intensamente nel doppiaggio (sue le voci di Richard Dreyfuss, Phil Collins, John Savage).

Valli

Laureatosi in giurisprudenza Romolo Valli si avvicina al teatro decidendo di seguire la compagnia itinerante di Fantasio Piccoli, passando poi con questa a lavorare allo Stabile di Bolzano. Nel 1952 verrà scritturato al Piccolo Teatro di Milano dove apparirà in diversi lavori firmati da Strehler. Conosce qui Giorgio De Lullo, che diverrà suo compagno di vita e di lavoro per tutto l’arco dell’esistenza. Con lui, insieme a Rossella Falk, Annamaria Guarnieri e Tino Buazzelli fonderà nel 1954 la Compagnia dei Giovani, costituendone assieme a De Lullo, l’anima artistica più profonda. La sua ricerca recitativa è un meticoloso lavoro di scavo all’interno del testo, con una vigile attenzione a tutte le possibilità di significato, attraverso un’intelligenza critica che illumina il senso più profondo della parola.

Valli incarna dunque la figura dell’attore intellettuale, dalla cultura vasta e raffinata, dalla curiosità mobile e inquieta, con un approccio al personaggio che non punta all’immedesimazione ma ad una radiografia esatta di tutti i moti dell’animo e di tutte le possibili sfaccettature fornite dal tracciato drammaturgico. Nonostante la sua versatilità in personaggi leggeri, troverà la più matura espressione della sua linea recitativa in Pirandello dove l’ansia di una ricerca umana e dell’intelletto sembra incarnarsi naturalmente in alcune figure create dall’autore agrigentino. Sarà il padre nella storica versione dei Giovani di Sei personaggi in cerca d’autore , nella stagione 1963-64, creando poi un lucidissimo e implacabile `raisonneur’ con il Leone Gala de Il gioco delle parti nel 1965-66, con un maggiore carico di angoscia nel Francesco Venzi de L’amica delle mogli nel 1968-69 e chiudendo la tetralogia pirandelliana dei Giovani con l’acuto e ironico Laudisi di Così è (se vi pare) nel 1971-72.

Terminata l’esperienza del gruppo continuerà a lavorare con De Lullo, approfondendo la sua analisi del personaggio con Il malato immaginario di Molière nel ’74 e tornando a Pirandello con Tutto per bene nel 1975-76 e poi con Enrico IV nel 1977-78. In quegli stessi anni si misurerà su altri territori della drammaturgia, da Pinter, con Terra di nessuno , accanto allo stesso De Lullo, a un ritratto di Oscar Wilde in Divagazioni e delizie di John Gay, fino alla sua ultima interpretazione, Prima del silenzio , scritto per lui da Giuseppe Patroni Griffi. Diverse e importanti le sue apparizioni cinematografiche, diretto da Visconti in Boccaccio ’79 , Il Gattopardo , Morte a Venezia , Gruppo di famiglia in un interno , da De Sica ne Il giardino dei Finzi Contini , da Bertolucci in Novecento , e ancora da altri importanti registi italiani e stranieri.

Cieslak

Dopo aver effettuato i propri studi alla Pwst di Cracovia (Scuola statale superiore di teatro), Ryszard Cieslak debutta come attore nel 1962 al Teatro delle tredici file di Opole, successivamente Teatr Laboratorium. A soli quattro anni dalla conclusione degli studi, la sua partecipazione alla messa in scena ad opera di Jerzy Grotowski di Il Principe costante di Calderón nella versione di Juliusz Slowacki (1965) viene salutata come un grande evento teatrale. Ryszard Cieslak è stato apprezzato per la sua capacità di rendere palese l’accezione iniziatica della percezione del mondo propria dei drammaturghi romantici e la scioccante drasticità del loro modo di vivere e sentire la realtà, nonché per la sua volontà di evidenziare la testualità e la fisicità di ciò che veniva considerato come metafora. Nelle sue interpretazioni Ryszard Cieslak è stato in grado di trasmettere il senso tragico dell’opprimente responsabilità che l’eroe romantico si addossa in nome della nazione, dell’umanità e del mondo, un peso destinato a condurlo alla follia come alla santità. La creazione di C. concentrava in sé il passaggio dalla disperazione al martirio, alla sottomissione, alla purificazione, «al sacrificio di se stesso nella sincerità degli impulsi e degli istinti».

Per Ryszard Cieslak nell’affrancarsi dalla paura il corpo diviene completamente disponibile e ricettivo: nel finale di alcuni monologhi il tremito delle gambe dell’attore, naturalmente indotto dal plesso solare, non veniva riprodotto artificialmente, ma nasceva spontaneo, in quanto il ruolo riusciva sempre a coinvolgere i centri di energia dell’organismo. Nella creazione del personaggio Ryszard Cieslak è passato dal rappresentare un prototipo di attore intellettule, dove il cervello condiziona e ostacola il corpo, al ricreare un uomo nella completezza della sua sensibilità. Tra i ruoli che successivamente hanno contribuito ad aumentare la fama del Ryszard Cieslak attore vi sono stati quello dell’Oscuro nell’ Apocalypsis cum figuris di Grotowski (1968), e soprattutto quello di Dhritarashtra nel Mahabharata di Peter Brook (1985), dove nella cecità del re – «un uomo potente, profondo e nobile che ha dovuto farsi strada tra le tenebre» (Brook) – Ryszard Cieslak ha riversato l’esperienza di un’intera vita di teatro.

Come regista Ryszard Cieslak debutta nell’ambito del Teatr Laboratorium di Breslavia nel 1981 con Thanatos polacca e, dopo aver abbandonato la Polonia per protesta contro l’introduzione della legge marziale nel dicembre 1981, continua la propria attività all’estero, in Italia (Aleph, Pontedera 1983), Danimarca (Il tempo dei lupi, Århus 1984; Peer Gynt, Århus 1986), Spagna (Notte oscura, Albacete 1984), Francia (Mio povero Fedia, Parigi 1986), Stati Uniti (Mercoledì delle ceneri, New York 1989).

Rouleau

Raymond Rouleau debutta in teatro a Bruxelles, ma si forma a Parigi sotto la guida di Jules Delacre, fondatore nel 1922 del Théâtre du Marais. Nel 1925 crea, assieme a Boris Balachov, il Groupe Libre, di cui assume la direzione dal 1926 al 1928. In questi anni con la sua compagnia mette in scena Rien qu’un homme di Max Deauville, con le scenografie di René Magritte. Dal momento che l’ambiente di Bruxelles si dimostra ostile alle sue sperimentazioni, R. decide di trasferirsi a Parigi, dove recita con Charles Dullin. Nel 1928 scrive una pièce, L’admirable visite , che firma con lo pseudonimo di Olaf Boot. Nel 1931 il suo spettacolo, Mal de jeunesse , ottiene un discreto successo. Si occupa di cinema, opera e televisione sia come attore sia come regista, ma è a teatro che raccoglie i maggiori successi: A porte chiuse di Sartre (1941); Un tram chiamato desiderio di T. Williams (1949); Cyrano di Rostand; Il crogiuolo di A. Miller (1954, con Y. Montand e S. Signoret); La gatta sul tetto che scotta di T. Williams (1956, con J. Moreau). Ha diretto due teatri parigini: il Théâtre de l’Oeuvre e il Théâtre Édouard VII.

Conti

Il debutto di Ettore Conti avviene con la compagnia di Renzo Ricci, 1942; è poi con Benassi e nel ’47 entra al Piccolo Teatro milanese interprete del ruolo di Silvio nell’Arlecchino servitore di due padroni, ruolo che cambierà per stadi successivi con quello di Florindo (1968) e di Pantalone (1979). Ha lavorato anche con Dario Fo dal 1963 al 1966 e con Bramieri (1967). Abile nei ruoli leggeri echeggianti la satira di costume anglosassone, ha figurato nel 1992 in I soldi degli altri di J. Sterner, con la regia di Maccarinelli. Nella stagione 1997-98 è stato diretto da Puggelli ne L’avaro di Molière con P. Villaggio.

Cialente

Renato Cialente esordì nel 1916 con la compagnia stabile del Teatro Argentina di Roma e nel 1917 fu accanto a E. Zacconi. Nel 1921 fu primattore giovane con A. Betrone e dal 1924 al ’33 con T. Pavlova, assimilando le teorie di Stanislavskij e di Nemirovic-Dancenko (Delitto e castigo da Dostoevskij, Il revisore di Gogol’). Nel 1934 fondò con E. Merlini una sua compagnia che, dopo alcuni drammi, si specializzò in un repertorio più leggero, raggiungendo il successo nel 1940 con Piccola città di T. Wilder. Si ricordano in particolare le sue attente interpretazioni di Una cosa di carne di Rosso di San Secondo, Il berretto a sonagli e Il gioco delle parti di Pirandello, Giorno di ottobre, L’incendio al Teatro dell’Opera di G. Kaiser.

Ricci

Marginalmente interessato ad alcuni aspetti del teatro, nel 1959 Mario Ricci si trasferisce a Parigi, dove come corniciaio lavora nell’atelier di Rona Weingarten e dove frequenta gli artisti della rive gauche. Nel 1961 è a Stoccolma, a lavorare al Marionetteatern di Michael Meschke. È di ritorno a Roma nel 1962 e, agli inizi del 1963, allestisce in casa del critico d’arte Nello Ponente il suo primo spettacolo: Movimento numero uno per marionetta sola . Seguono altri spettacoli di marionette e oggetti che Ricci rappresenta in case private o gallerie d’arte. È il 1964 quando trasforma un’ex stalla in un piccolo teatro: Orsoline 15 (medesimo nome avrà il gruppo di sperimentazione contemporaneamente fondato). La ricerca teatrale, fortemente influenzata dall’arte visiva, comincia attraverso la sperimentazione di materiali d’animazione: la scenografia non è più involucro dell’azione, ma viene integrata nell’episodio scenico. Atteggiamento che lo pone perfettamente in linea con i precetti del Bauhaus e del Gruppo ’63, ai quali egli appunto si riferisce. L’evoluzione del percorso artistico-creativo di R. è contrassegnata dall’introduzione del binomio gioco-rito, che porta con sé la rivalutazione del discorso poetico: nascono spettacoli come I viaggi di Gulliver (1966), Edgar Allan Poe (1967), James Joyce (1968), Re Lear (1970), Moby Dick (1971), Il lungo viaggio di Ulisse (1972), Amleto Majakovskij (1977). In seguito la sperimentazione si arricchisce di un nuovo elemento, la parola, alla cui introduzione è naturale conseguenza l’apparizione dell’attore sulla scena, parificato a tutti gli altri materiali scenici e drammaturgici. Questa via è l’unico itinerario possibile all’autore verso il recupero del mito, componente fondamentale del teatro di R., ravvisabile anche dagli stessi titoli degli allestimenti: Aiace per Sofocle (1978), Elettra (1980), Iperione a Diotima (1981), Pentesilea (1983). Nel 1989 conclude un ciclo di lavori con Cinque serate futuriste e Serate col teatro di boulevard. Nel 1991 è in scena con Il teatro a Roma dal Settecento al Belli.

Chevalier

Appassionato del varietà francese di fine secolo, Maurice Chevalier comincia a dodici anni ad esibirsi in un piccolo caffè concerto di Menilmontant, il Concert du Commerce, e lì canta le canzoni di Carlos o del grande Dranem; con questo repertorio gira i piccoli caffè concerto di Parigi e poi ottiene i primi contratti in provincia. Nel 1904 accede al Parisiane, un vero music hall, a Parigi; subito dopo una lunga tournée a Marsiglia e nel sud della Francia dalla quale torna con la sua immagine ormai stabilita: cravattino a farfalla, impeccabile dinner jacket e quel canotier impensabile su un abito da sera. Ha scoperto anche come supplire alle manchevolezze della sua voce `recitando’ il più possibile le canzoni e interpretandole, come dice lui stesso nella sua sterminata biografia (Ma route et mes chansons , 6 volumi tra il 1946 e il ’54, dieci volumi nella riedizione del ’72) «in un miscuglio di sport, di danza e di commedia». Negli anni che vanno fino al 1909 il suo successo cresce mentre si impone all’Eldorado, al Moulin Rouge, alle Folies Bergère finché incontra Mistinguett (1909) e forma con lei una celebre coppia nella vita come in scena, che dura diversi anni. Sembra che Mistinguett abbia avuto sul più giovane Maurice Chevalier una grande utilissima influenza. Il servizio militare nella guerra 1914-18, lo vede decorato, ferito e brevemente prigioniero in Germania dove si dice, avrebbe imparato l’inglese da un altro prigioniero di guerra. Fatto sta che nel 1916 torna in teatro a Parigi e poi debutta a Londra, al Palace.

Riviste e operette si alternano nella carriera di Maurice Chevalier insieme alle prime, non significative, esperienze cinematografiche. Le sue canzoni, “Valentine”, “Ma pomme”, “Prosper”, “Paris je t’aime” sono popolari ovunque e sono un successo tutte le sere al Casino de Paris, dove, nella primavera del ’28, capitano Irving Thalberg con la moglie Norma Shearer e propongono a Maurice Chevalier un provino. Questo provino sarà visto da Jesse Lasky (Paramount) che offre al cantante un sontuoso contratto cinematografico. Così comincia, alla fine del ’28, la straordinaria carriera cinematografica di Maurice Chevalier: accanto a Claudette Colbert o a Jeannette MacDonald, diretto da Rouben Mamoulian e da Ernst Lubitsch, è interprete di capolavori del genere musicale come Love Me Tonight (1932) e The Merry Widow (1934). Nel ’35 rompe il contratto con Hollywood e rientra a Parigi riprendendo la sua brillantissima carriera teatrale. Durante l’occupazione nazista ha dei grossi problemi per via di un’amica ebrea e subito dopo la liberazione viene accusato di collaborazionismo, ma poi riconosciuto innocente. Nel 1945 realizza il suo sogno: un grande `one man show’ fatto di canzoni e aneddoti che porterà in giro per il mondo (anche in Usa) e tre volte a Parigi in anni diversi, con grande successo. Nel 1947 trionfa nel film di Réné Clair Le silence est d’or.

Dieci anni dopo torna a Hollywood per Love in the Afternoon/Arianna, con Audrey Hepburn e Gary Cooper per la regia di Billy Wilder (1957); l’anno seguente ha un altro personale trionfo in Gigi , con Leslie Caron e Louis Jourdan, diretto da Vincente Minnelli; nel 1960, insieme a Frank Sinatra, Shirley MacLaine, Louis Jourdan è interprete di Can-Can , per la regia di Walter Lang; quello stesso anno sarà la voce narrante e in qualche modo il presentatore di un film che riunisce quattro balletti di e con Roland Petit: Croqueuse de diamants e Carmen con Zizi Jeanmaire, Cyrano de Bergerac , con Moira Shearer e infine Deuil en 24 heures , protagonista Cyd Charisse. Altri nove film, tra produzioni americane ed europee lo separano dal suo ultimo impegno cinematografico: la canzone dei titoli di testa per Gli aristogatti (1970). Ha registrato miriadi di dischi, anche se oggi è più facile trovare le colonne sonore dei suoi musical americani che una raccolta completa delle sue canzoni.

Brasseur

Figlio di Pierre Brasseur, Claude Brasseur esordisce nella commedia scritta dal padre, Un ange passe (1946). Studia recitazione a Parigi con René Girard e René Simon. A teatro ha interpretato testi classici – Britannicus di Racine (1966); Georges Dandin ou le mari confondu di Moliére (1987) – ma è soprattutto il teatro moderno che gli offre la possibilità di esprimere a pieno le sue potenzialità interpretative, passando da ruoli brillanti a parti drammatiche: Match (1964); Du côté de chez l’autre di A. Ayckbourn, adattato per le scene francesi da F. Veber (1971); Gli occhi della notte di F. Knott (1974); Le souper di J.C. Brisville (1989); Diner de cons (1993); La dernière salve di J.C. Brisville (1995, con la regia di M. Bluwal).

Volpi

Dopo aver frequentato l’Accademia dei Filodrammatici di Milano, Franco Volpi nel 1938 debutta nella compagnia Ricci-Adani. Interprete soprattutto di teatro leggero, dove è spesso attore protagonista, dal 1948 dà vita a una felicissima coppia con E. Calindri, sia in teatro che nella pubblicità. Nel repertorio brillante degli anni ’50 diventano titoli di grande cassetta Oh il matrimonio! di G.B. Shaw, L’importanza di chiamarsi Ernesto e Il marito ideale di O. Wilde e Vita felice di C. P. Taylor. Diventa noto al grande pubblico grazie a un duetto per il Carosello della China Martini; qui vestiva i panni di un gentiluomo preoccupato dalla modernità ed esclamava il leggendario `Dura minga!’ (1957). Il suo fare elegante e fascinoso lo consacrano come uno dei volti della tv degli anni ’60 e ’70. Nelle sue molte interpretazioni televisive passa con disinvoltura dai ruoli romantici del cattivo a quelli sentimentali (Il romanzo del giovane povero). A contribuire alla sua popolarità sono soprattutto due sceneggiati: La cittadella nel ruolo di C. Ivory e le Inchieste del commissario Maigret , con Gino Cervi, nella parte del giudice Camelieu, antagonista di Maigret (1964-65). Negli anni ’70 il personaggio di Lucius Lutzle, nelle riduzioni per il piccolo schermo dei romanzi di Dürrenmat, lo riporta alla notorietà.

Andreasi

Andreasi  Felice può essere considerato uno dei padri nobili del cabaret milanese nato verso la metà degli anni ’60 al Derby Club di Milano. Artista mai banale che sa venare d’assurdo la sua comicità sale alla ribalta con Jannacci, Toffolo, Lauzi, Cochi e Renato partecipando alla trasmissione televisiva Il poeta e il contadino , grande successo del 1972. Nel 1968, a teatro, interpreta Mercadet l’affarista di Balzac e nel ’73 interpreta una parte in Il sospetto film di C. Maselli con G.M. Volonté. Nel 1986 a teatro è protagonista in L’antiquario di Goldoni per la regia di G. Tedeschi. Ritorna al cinema nell’89 con Storie di ragazzi e ragazze di P. Avati. L’anno successivo lo ricordiamo in Aspettando Godot con Jannacci, Gaber e P. Rossi (debutto al Teatro Goldoni di Venezia) e nel ’92 nel film Un’anima divisa in due di Soldini. A. ha scritto anche diversi libri tra cui ricordiamo la raccolta di monologhi e racconti D’amore (diverso si muore). Oggi privilegia al teatro la sua attività di pittore.

Monti

Poliedrico artista dell’area milanese, Giangilberto Monti è presente sulla scena teatrale dalla fine degli anni ’70 con spettacoli teatrali, recital, videoclip e show comico-musicali tutti all’insegna della cultura alternativa. Alla collaborazione (e a volte la partecipazione come attore) con Dario Fo alterna suoi testi, prima in forma di performance con il gruppo milanese Poesie Metropolitane e poi scrivendo veri e propri spettacoli : La città è normale (1979-80) e Guardie e ladri (1983-84). Nella veste di autore e di attore è al fianco di artisti come Aldo, Giovanni & Giacomo, Paolo Rossi e Lella Costa. M. ha scritto inoltre i testi di alcune canzoni per Anna Oxa e Mia Martini e ha adattato in italiano le canzoni di Boris Vian.

Minetti

Figlio di un architetto, sin da giovanissimo Bernhard Minetti si appassiona al teatro e all’inizio degli anni ’20, incoraggiato da E. Busch, studia recitazione a Berlino seguendo i corsi di L. Jessner. Ottiene la prima scrittura nel 1926, presso il Teatro nazionale prussiano a Gera, e dal 1928 comincia a lavorare presso il Landestheater di Darmstadt, dove si specializza in ruoli classici (Shakespeare, Schiller, Lessing, Goethe, Kleist). La sua interpretazione di Amleto nel 1930, esaltata dalla critica, lo rende celebre. Nello stesso anno si trasferisce a Berlino, dove lavora presso lo Staatstheater soprattutto sotto la direzione di Jürgen Fehling, in ruoli quali quelli di Franz Moor ne I masnadieri e di Gessler nel Guglielmo Tell (1932). Nel 1933, nonostante il nazismo, non emigra e, diretto da Fehling e da G. Gründgens, può continuare a interpretare i grandi ruoli del suo repertorio, come Marinelli nell’ Emilia Galotti di Lessing (1937), Robespierre in La morte di Danton di Büchner (1939), entrambi con la regia di Gründgens; e ancora Bruto nel Giulio Cesare (messo in scena da Fehling nel 1941). Dopo il 1945 continua a lavorare nei teatri di Kiel (di cui diviene anche direttore), Amburgo, Francoforte, Düsseldorf e Berlino, riconosciuto come uno dei più grandi attori del suo tempo. Interpreta con grande maestria sia i classici sia i contemporanei, come Beckett, Genet, Anouilh e Pirandello. La profonda sensibilità e l’intelligenza con cui si accosta a ciascuno dei suoi ruoli gli guadagnano l’ammirazione di registi tra loro anche molto diversi, come P. Stein, P. Zadek, G. Strehler (con la regia del quale interpreta, nel 1958, I giganti della montagna di Pirandello) e soprattutto di K.M. Grüber che, nel 1982, gli affida il ruolo di protagonista nel Faust di Goethe, in una memorabile messa in scena presso la Freie Volksbühne di Berlino Ovest. È interprete privilegiato del teatro di T. Bernhard, che nel 1976 gli dedica una pièce, Minetti : un omaggio alla maschera dell’attore, al suo potere di illusione e alla sua debolezza. Sono da ricordare, tra le sue apparizioni più recenti, quelle al Berliner Ensemble in La resistibile ascesa di Arturo Ui , ultima regia di H. Müller nel 1994 e in Der Ozeanflug di Brecht , con la regia di B. Wilson, nel 1998.

Garrone

Riccardo Garrone frequenta l’Accademia d’arte drammatica ‘S. D’Amico’ nel 1949 e inizia a lavorare in Teatro l’anno dopo con la compagnia Gassman-Torrieri-Zareschi. Dopo un girovagare per diverse compagnie approda alla compagnia del Teatro Parioli di D. Verde dove inizia la sua carriera in ruoli brillanti, che prosegue al teatro Sistina dal 1984 fino al 1987. Seguirà, dal 1987 al 1991, la collaborazione con la compagnia di Antonella Steni; per tornare al Sistina in Aggiungi un posto a tavola . È molto intensa e significativa la sua attività cinematografica, soprattutto in ruoli di caratterista di primo piano; recita in 150 film con i più importanti registi italiani: Il bidone e La dolce vita (il proprietario delle casa dove si tiene l’orgia) di Fellini, Venezia la luna e tu di D. Risi, L’audace colpo dei soliti ignoti di N. Loy, Il successo di Risi.

Padovani

Luciano Padovani studia danza contemporanea a Venezia con C. Carlson e a Parigi con L. Ekson, P. Goss, R. Barnes. Dopo una collaborazione con le coreografe Susanna Beltrami e Laura Corradi, fonda la compagnia Naturalis Labor e debutta nella coreografia firmando, con Francesca Mosele, Taigà (1988, `migliore coreografia italiana’ al Concorso internazionale di Cagliari) e Poveri angeli, poveri diavoli (1989), cui fanno seguito Ciel de Fer (1991), Hotel Lux (1992), Laudabilis (1994), Tutte le mattine del mondo (1996) e Quando il viaggio fu interrotto (1997), nei quali definisce uno stile influenzato dal teatrodanza e da importanti suggestioni pittoriche.