Valentin

Karl Valentin si colloca nella tradizione del cabaret bavarese al quale conferisce portata internazionale. Cresce in un sobborgo di Monaco abitato da contadini immigrati che aspirano a diventare artigiani o impiegati. A questi Valentin si ispira per creare i personaggi del suo teatro. Dopo aver frequentato una scuola di varietà a Monaco, nel 1907 si esibisce come clown musicale sotto lo pseudonimo di Charles Fey e nel 1908 ottiene una scrittura da un locale di Monaco, il Frankfurter Hof. Nel 1911 conosce L. Karlstadt che, dapprima sua allieva, diverrà poi sua partner. Assieme a lei Valentin scrive più di quattrocento sketch e farse, alcune delle quali verranno filmate. A partire dal 1915 si esibiscono in tutti i più noti cabaret e, dal 1922 anche ai Kammerspiele di Monaco. A Berlino vengono ospitati dal Kabarett der Komiker. Con le loro figure, lei piccola e grassottella, lui secco e longilineo, offrono l’immagine dei conflitti nell’ambito della famiglia, del lavoro e delle relazioni commerciali, rovesciando e distruggendo il conformismo con geniale spirito di complicazione.

Nel 1934 Valentin apre nei sotterranei dell’Hotel Wagner a Monaco una sorta di orrido e scurrile gabinetto delle curiosità o Panoptikum che dopo il 1938 viene trasferito al numero 33 del Faulmbergraben dove, sino al 1940, offre una combinazione di gabinetto delle curiosità, taverna e cabaret. In quel periodo sua partner è la giovane attrice A. Fischer. Negli anni ’40, Valentin tenta inutilmente di ripetere i suoi primi grandi successi. Dal 1941 al 1946 smette di esibirsi, ma redige numerose scenette, canzonette e monologhi. L’ultima esibizione è del 1948, al Simple di Monaco, ancora con L. Karlstadt come partner. Muore in un lunedì grasso per i postumi di un raffreddore.

Valentin, che si considera un cantore dl popolo, è uno dei più importanti comici di lingua tedesca. Benché abbia operato e vissuto soprattutto a Monaco e i suoi sketch fossero riferiti ai costumi della popolazione bavarese, la sua comicità non rimane limitata a una dimensione regionale, ma si spinge sino a toccare le corde di una filosofia del linguaggio e, attraverso i toni dell’assurdo, sino a distruggere la logica consueta del reale. K. Tucholsky riconosce nei testi di Valentin «una danza infernale della ragione ed entrambi i poli della follia»; Brecht lo considera allo stesso livello di Chaplin. Per molto tempo, dopo la sua morte, si è pensato che non avesse senso rappresentare i suoi testi senza la sua interpretazione. Oggi si contano numerose messe in scena delle sue opere, sia in Germania sia all’estero.

De Carmine

Dopo aver frequentato l’Accademia d’arte drammatica inizia a lavorare nel cinema. Renato De Carmine debutta in teatro allo Stabile di Napoli; recita al Flaiano di Roma in O di uno o di nessuno di Pirandello in coppia con Mario Maranzana, poi è scritturato da Strehler e inizia una collaborazione col Piccolo milanese che dura tuttora e con il quale ottiene le più vive affermazioni. È il candido, indimenticabile Frate Fulgenzio in Vita di Galileo , un perfetto re Enrico VI nel Gioco dei potenti , il protagonista delle Notti dell’ira di Salacrou e del Caso R. Oppenheimer di Kipphardt, il Conte dei Giganti della montagna, sempre diretto da Strehler ; con lui e nel gruppo Teatro e Azione (1970-71) in Nel fondo di Gor’kij (il Barone) e nello spettacolo su Walter Reder del quale assume il ruolo. Col ritorno di Strehler al Piccolo, contrapposto a Tino Carraro (Lear), è un autorevole, straziante Gloucester, un mascherato Vescovo nel Balcon di Genet, l’acquaiolo Wang della seconda Anima buona di Sezuan ; perfetta la costruzione del suo Otto Marvuglia (un misto di miserevole, amara guitteria unita a una disincantata ironia) nella Grande magia di Eduardo, nelle tre edizioni dell’opera (con Parenti nella stagione 1984-85, e con Dettori nel 1990 e ’98). Lavora anche con F. Zeffirelli ( La città morta ), interpreta Il guardiano di Pinter (regia G. De Monticelli (stagione 1988-89) ed è Malvolio in una discussa Dodicesima notte di Shakespeare, messa in scena da J. Savary nel 1991 al teatro Carcano di Milano. Attore di grande mestiere, di duttile sensibilità, capace di abbandoni trasognati e di grande statura scenica, nel 1997-98 ha interpretato Pericle, principe di Tiro di Shakespeare.

Paolini

Marco Paolini è una delle figure più interessanti e originali del teatro di questo ultimo scorcio di secolo: reinventa il linguaggio della narrazione prendendo spunto dalla tradizione degli affabulatori e dal teatro di Dario Fo, raccontando vicende autobiografiche e della sua terra d’origine. Una sintesi a cui approda dopo diversificate esperienze raccolte da autodidatta, in molti settori del teatro: da quello politico a quello di strada, alla clownerie, alla commedia dell’arte. Inizia a lavorare partecipando all’esperienza del teatro politico (1974) e fino al 1982 fa parte dei gruppi Teatri di Base, prosegue in seguito nell’area chiamata del `terzo teatro’, lavorando con il gruppo di Pontedera e con Eugenio Barba. Fa parte del Tag Teatro di Venezia (1984-86). Dal 1987 al 1986 è con il Teatro Settimo diretto da G. Vacis nelle vesti di attore e coautore. A farlo conoscere è il suo spettacolo sul romanzo di L. Meneghello Libera nos a malo. Recita anche La storia di Romeo e Giulietta e La trilogia della villeggiatura in una originale e un po’ gigionesca interpretazione di Filippo. Si incammina in una scelta di lavoro autonomo di opere a-solo, con la cooperativa teatrale Moby Dick-Teatri della Riviera. I primi spettacoli sono Gli Album di Marco Paolini, dove nella parte del suo alter-ego Nicola (dal nome del protagonista del Petit Nicolas di Goscinny) mescola ricordi autobiografici, storie, memorie e personaggi della sua terra d’origine. Da Adriatico a Tiri in porta a Liberi Tutti (scritti con G. Vacis che ne ha curato anche la regia) e Aprile ’74 e 5 sono tappe di una crescita dall’infanzia alla giovinezza, e nello stesso tempo un affresco dell’Italia dal 1964 in poi. Lo ha reso famoso Il racconto del Vajont , la cronaca della frana di Longarone, con il quale vince il Premio Speciale Ubu 1995 e il premio Idi (diventato un evento televisivo nel 1997 nell’adattamento di Felice Cappa e Gabriele Vacis che ne è coautore e ne ha curato la regia teatrale). Prosegue il racconto di viaggio: Il milione, quaderno veneziano di Marco Paolini (1997). Realizza in tre puntate su opere di poeti veneti (Zanzotto, Meneghello, Marin): Bestiario in Brenta , Bestiario Parole Matte e L’orto per l’Olimpico di Vicenza (1998).

Covatta

Giovanni, detto Giobbe Covatta ha debuttato come cabarettista in coppia con Victor Hugo Satta, il nome del duo era il Bagagliaio, esibendosi nei villagi turistici e arrivando al Derby nelle ultime stagioni. È allo Zelig che da solo, indossando un saio, coglie uno strepitoso successo grazie alla sua particolare interpretazione della Bibbia (il suo libro Parola di Giobbe ha venduto un milione di copie), l’attore alterna le sue apparizioni tra tv e teatro. Dopo Parabole iperboli (Teatro Ciak, Milano 1991) e il seguente Aria condizionata (1992), in collaborazione con Greenpeace riprende il precedente Aria condizionata con l’aggiunta del nuovo monologo-argomento del sottotitolo: e le balene da mo’ che stanno incazzate… . La sua attività teatrale prosegue poi con Primate assoluto (1995) e con Io e Lui (Teatro Parioli, Roma 1996) in coppia con Francesco Paolantoni e la regia dell’autore Vincenzo Salemme. Nella stagione 1996-97 è in tournée con lo spettacolo Art diretto da Ricky Tognazzi. Dal 1994 è membro dell’Amref (Fondazione africana per la medicina e la ricerca).

Schall

Dopo gli studi presso lo Schauspielstudio di Magdeburgo, dal 1948 al 1951 Ekkehard Schall è scritturato dal Teatro di Francoforte. Nel 1952 inizia a lavorare al Berliner Ensemble dove gli vengono affidati ruoli sempre più importanti e ne diviene uno dei primi attori. Dal 1977 sino all’inizio degli anni ’90 vi lavora anche come vice intendente. Tra i ruoli più importanti da lui interpretati vanno ricordati il protagonista in La resistibile ascesa di Arturo Ui (la prima è del 1959); Rigault in I giorni della Comune di Brecht (1962); protagonista nel Woyzeck di Büchner (1970); Herakles nell’ Omphale di Hacks con la regia di Ruth Berghaus (1972); Iwagin in Zement di Gladkow e Heiner Müller (1973). Tra i suoi maggiori successi si ricorda l’interpretazione di Papa Urbano VIII in Vita di Galilei di Brecht (1971): la critica rilevò come, per mezzo dell’esplosiva, espressionista arte interpretativa di Schall, figure pur diversamente delineate da Brecht come quella di Hitler e quella di Papa Urbano, rivelavano un’inquietante affinità. Nel 1974 debutta come regista con La vita di Edoardo II d’Inghilterra di Marlowe e Brecht. Schall ha recitato anche in diversi film e produzioni televisive. È stato insignito di diversi premi tra i quali il premio Nazionale della RDT. nel 1962 e nel 1979. Si ritira dall’Akademie der Künste di Berlino nel 1991. È sposato con la figlia di Brecht, Barbara.

Calonghi

Dopo il diploma all’Accademia dei Filodrammatici lavora al Piccolo Teatro, diretto da Strehler (Il gioco dei potenti da Shakespeare), Paride Calonghi collabora anche con lo Stabile di Torino in Se questo è un uomo di Primo Levi (1966, regia di G. De Bosio). In questo spettacolo incontra Riccardo Pradella, con cui nel 1970 riapre il teatro dei Filodrammatici, che era rimasto chiuso dopo la distruzione del 1943. Insieme con Lorenzo Grechi e Miriam Crotti fonda la Compagnia stabile del teatro Filodrammatici, dove diventa il primo attore al fianco della Crotti, prima attrice, e di Grechi e Pradella, registi e caratteristi. Per dieci anni recita in un repertorio italiano (una precisa scelta della compagnia); tra i molti allestimenti spicca Giuditta di C. Terron, dove ha il ruolo del generale, Ma non è una cosa seria di Pirandello nella parte di Mimmo Speranza, Il benessere di Brusati dove è Giacomino, Corruzione a Palazzo di Giustizia di U. Betti (il giudice Grosz), Così è (se vi pare) con la regia di Puggelli, Nina di Roussin. Ha recitato molto in tv ed è stato per lungo tempo doppiatore, e fondatore della cooperativa doppiatori di Milano. È morto in un incidente motociclistico.

Jolson

Figlio di un rabbino, Al Jolson ha sette anni quando segue la famiglia emigrata negli Usa. Inizia a cantare nelle sinagoghe di Washington ancora ragazzino: è questa la prima palestra per la sua voce acuta e avvolgente. A Washington debutta anche su una vera ribalta, quella di un vaudeville di terz’ordine, e ottiene una scrittura a New York in Children of the Ghetto (1899) di Zangwill. Dopo l’esperienza del trio formato nel 1901 con il fratello Harry e con il comedian Joe Palmer, viene scritturato da Lew Dockstader per i suoi Minstrel shows (1909), incominciando così ad apparire in pubblico con quel volto truccato da nero dalle grosse labbra destinato a renderlo leggendario. Diventa ben presto star di prima grandezza del vaudeville e della commedia musicale con successi come La Belle Paree (1911), Vera Violetta (1911), Whirl of Society (1912), The Honeymoon Express (1913), Robinson Crusoe jr. (1916), Bombo (1921) e Big Boy (1925), ottenuti spesso lavorando per Lee Schubert al New York Winter Garden.

Quando la Warner lo scrittura per la prima pellicola della storia del cinema parzialmente sonorizzata con dialoghi e canzoni, Il cantante di jazz (1927), è uno dei più acclamati nomi di Broadway, con un teatro a lui intitolato. In seguito al trionfo del film incide su disco alcune canzoni tratte dalla colonna sonora come “Toot, Toot, Tootsie! (Goo’ Bye)”, “My Mammy” e “Blue Skies”, di cui vengono vendute milioni di copie in tutto il mondo. Il successo cinematografico viene replicato pochi mesi dopo con Il cantante pazzo (1928), film che lancia il brano evergreen “Sonny Boy”. Prosegue la carriera cinematografica fino al 1945 interpretando altri undici film musicali – due dei quali, Big Boy (1930) e Wonder Bar (1934), tratti da suoi precedenti lavori teatrali – fino a interpretare se stesso in Rhapsody in Blue (1945). Mentre è ancora in attività, Hollywood gli rende omaggio con due pellicole biografiche, Al Jolson (1946) e Non c’è passione più grande (1949), in cui la sua voce viene usata per doppiare nei numeri musicali l’attore Larry Parks che interpreta il suo personaggio.

Negli ultimi anni ’40 è ospite fisso della Nbc nel programma Kraft Music Hall. Durante il suo show radiofonico settimanale si esibisce con molte star della canzone e dello spettacolo che a loro volta lo invitano alle rispettive trasmissioni. Di tali reciproche ospitalità rimangono memorabili registrazioni, tra cui gli straordinari duetti con Bing Crosby. Nella sua vita colleziona quattro matrimoni: nel 1906 con Henrietta Keller, nel 1922 con Alma Osborne, nel 1928 con Ruby Keeler e nel 1947 con Erle Cheannault Galbraith. Alla sua morte le strade di Broadway in segno di lutto spengono metà delle luci e bloccano il traffico. Passa alla storia dello spettacolo con l’appellativo di ‘The World’s Greatest Entertainer’.

Iacchetti

Enzo Iacchetti inizia la sua carriera come cabarettista nel 1979, debuttando al Derby club di Milano e passando poi allo Zelig. Nel 1986 incontra il piccolo schermo: lo ricordiamo come ospite assiduo del Maurizio Costanzo Show , dove raggiunge una vasta popolarità grazie alle canzoni ‘bonsai’, e dal 1994 al ’98 come conduttore, con Ezio Greggio, in Striscia la notizia . Nel frattempo continua la sua attività di attore teatrale, iniziata nel 1989 come protagonista di due farse di Dario Fo: seguono Troppa salute (1991), Don Chisciotte, la vera storia di Guerino e suo cugino di Daniele Sala e Francesco Freyrie, spettacolo del 1992 ripreso nel ’97, Il colore del miele (1995) e Il grande Iac, in scena dal febbraio 1998.

Viganò

Fondatore del teatro La ribalta di Merate, in coppia con M. Fiocchi e spesso in collaborazione con R. Rostagno, Antonio Viganò ha creato per il teatro-ragazzi alcuni degli spettacoli più innovativi e affascinanti degli anni ’90 ( Samarcanda , Scadenze , Fratelli , Ali ) mescolando, in modo suggestivo e ricco di richiami, la narrazione con la danza e la gestualità. Dal 1995 lavora in Francia con un gruppo professionista formato da disabili mentali, per il quale ha curato la regia di due spettacoli ( Exusez le , 1995; Personnages , 1998). Ha inventato e organizzato il suggestivo festival di Campsirago nell’omonima località in provincia di Lecco.

Zucchi

Diplomatosi attore nel 1968 presso la scuola del Teatro stabile di Genova e regista nel 1971 presso l’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’, Augusto Zucchi ha diretto e interpretato numerosi spettacoli, tratti da testi classici e contemporanei, collaborando con cooperative, compagnie e teatri stabili. È autore di testi teatrali e di sceneggiature cinematografiche. Ha fondato insieme al critico e scrittore I. Moscati una compagnia teatrale che si è occupata per alcuni anni di teatro d’impegno civile.

Tra le sue numerose regie si ricordano: L’adulatore (1972), La pupilla (1976), Il teatro comico (1980), La vedova scaltra (1981), I due gemelli veneziani (1982), Un curioso accidente (1983), Il giocatore (1988) di Goldoni; A morte Roma di R. Mainardi e M. Moretti (1976), La mafia non esiste di N. Saponaro (1984), Il senatore Fox di L. Lunari (1986), Stravaganza di D. Maraini (1987), Eva contro Eva di J. Denham (1991), Caro Goldoni di Zucchi (1992), Don Giovanni e il suo servo di R. Familiari (1997), La Memoria e l’Oblio – (1998) di cui è anche autore. Dal 1979 al ’81 è stato con A. Fersen, condirettore dello Stabile di Bolzano.

Nel 1982 ha vinto il premio Idi per la regia di Terroristi di M. Moretti. Nel 1987 ha organizzato in collaborazione con l’Eti il progetto Dramma Italia: una rassegna di teatro italiano contemporaneo. Intensa anche la sua attività quale regista televisivo e radiofonico. Con C. Lizzani ha scritto la sceneggiatura del film Caro Gorbaciov e in qualità di attore ha partecipato a numerosi film (tra cui Il caso Moro di G. Ferrara, Assicurazione sulla morte di C. Lizzani).

Scimone

Giovane rivelazione del teatro dialettale di ricerca siciliano, arrivato alla notorietà con Nunzio (premio Idi autori nuovi, 1994), messo in scena da Carlo Cecchi che lo ha presentato per la prima volta al teatro Niccolini di Firenze e coprodotto da Taormina Arte. Interprete insieme a Francesco Sframeli (Messina 1964) , Spiro Scimone è stato anche premiato con il premio Idi per la drammaturgia (1989). Artista di notevole sensibilità è autore di Bar (1995) e Festa (1997). La caratteristica di S. è una scrittura drammaturgica asciutta e nervosa di arcaica sicilianità, sospesa tra verismo e naturalistico ottocentesco e modernità che si esprime mirabilmente in Bar e Nunzio , in cui lo stretto rapporto di amicizia tra i due protagonisti riflette intime inquietudini e disagio sociale. Grande, vera forza è il dialetto messinese che si impone come una lingua a sé con le sue spigolosità ma anche con dolci mollezze che scavano nella psicologia dei personaggi. Nelle pieghe della lingua si annidano infatti significati nascosti; nelle iterazioni, ma anche in un dialogo non formalizzato da parole, che usa il registro dei gesti e degli sguardi, c’è tutta la tragicità di personaggi al limite dell’emarginazione e della solitudine esistenziale. Nei brevi spazi drammaturgici (le pièce non superano i cinquanta minuti), uno spaccato di realtà siciliana tra Pinter e Beckett: i protagonisti si muovono in un’atmosfera rarefatta senza tempo, fissati in un immaginario che trova radici in un teatro di grandi tradizioni. S. ha vinto il premio Ubu nuovi autori 1997 e ha recitato inoltre in Amleto (1996), Sogno di una notte di mezza estate (1997) e Misura per misura (1998) di Shakespeare con la regia di Carlo Cecchi.

Corsini

Attilio Corsini è tra i fondatori, nel 1977, della compagnia Attori e Tecnici, con cui mette in scena tutti i suoi spettacoli. Il suo lavoro si caratterizza per l’ampia collaborazione richiesta a tutti i partecipanti alla messa in scena e per l’apertura agli attori più giovani. C. ha diretto: Intrighi d’amore di Torquato Tasso, adattato da C. e Lucignani (1977); La furiosa di Della Porta (1979); I due sergenti (Serata d’onore all’antica italiana) , commedia con musiche di Anonimo e altri comici (Firenze, 1981); Pantalone impazzito di Francesco Righelli, libero adattamento e regia di Corsini(1981); La pulce nell’orecchio di G. Feydeau (1982); Il Galateo di Monsignor Della Casa, musicato recitato cantato secondo i nostri usi e costumi (1982) ; Varietà in varie… età di Anonimo e altri comici (1982); Rumori fuori scena di M. Frayn, traduzione di Filippo Ottoni, (1983); Flaiano al Flaiano di C. e Favari, con Cochi Ponzoni (1985); La nonna di Roberto Cossa, (1986), `commedia argentina sulla nevrosi del cibo’ che nasconde un grottesco apologo contro le tirannie; …Semplicemente Faust , libero adattamento di Corsini da La quarta parete di N. Evreinov (1986); Amleto o non Amleto , da Amleto o le conseguenze della pietà filiale di J. Laforgue, traduzione di E. Flaiano, rielaborazione di L. Luciniani e C., con Cochi Ponzoni (1987); Traversata burrascosa di T. Stoppard (1988); Vita e morte di Cappuccetto rosso , commedia con musiche liberamente ispirata a Il mondo alla rovescia di L. Tieck, adattamento di C. e della compagnia (1989); Spettattori di M. Frayn, adattamento di C. e Ottoni (1990); Accademia , copione da un soggetto di U. Marino, scritto dalla compagnia (1990); Calcio di rigore di C. e Ambrogi (1990); La scoperta dell’America di C. Pascarella (1990); Amleto in salsa piccante (o altro tipo di salsa) di A. Nicolaj (1991); Caviale e lenticchie di Scarnicci e Tarabusi – anche interprete – (1992); Panni sporchi show di Bagnasco e C., sul cinismo di alcune trasmissioni televisive, La crisi del teatro di A. Campanile (1993); Donne sull’orlo di una crisi di nervi da P. Almodovar, adattamento di Pippo Cairelli (1994); Il sosia di E. Elice e Roger Rees, con Daniele Formica (1995); Il giardino dei ciliegi di Cechov – C. anche interprete – (1995); 57 quaranta 170 (06 per chi chiama da fuori Roma) di C. (1996); Al cuoco al cuoco di Vittorio Caffé (1996); 57 quaranta 598 (il numero é leggermente cambiato) – 1996; Black Comedy di P. Shaffer (1997).

Calabresi

Oreste Calabresi cominciò a recitare nella filodrammatica `P. Cossa’ a Roma. Dal 1881 lavorò con diverse compagnie come generico primario (Cesarina Ruta, Lollio, Salvini-Serafini). Ottenne rilevanti successi nella compagnia di comici Vitaliani, ma la vera e propria fortuna iniziò con Giovan Battista Marini accanto a Virginia Marini. In seguito fu con Francesco Garzes, Paladini e Zampieri (1895), Claudio Leigheb e Virginia Reiter (ricordiamo nel 1897 La gelosa di A. Bisson). Nel 1900, insieme a Virgilio Talli e Irma Gramatica, fondò una compagnia che per cinque anni fu tra le più in vista in Italia, spaziando in un vasto repertorio che comprendeva, oltre a opere di autori quali Verga e Giacosa, anche testi di nuovi autori italiani come C. Bertolazzi, R. Bracco e G. Rovetta. Nel 1906 fu in compagnia con Elisa Severi, nel 1909 direttore della Mariani-Calabresi e nel 1912 con la Calabresi-Sabbatini-Ferrero. Si distinse sia come attore drammatico che comico. Ricordiamo la sua più celebre interpretazione come Lazaro di Roio alla prima rappresentazione de La figlia di Iorio di D’Annunzio (1904).

Sarti

Dopo aver frequentato la Scuola d’arte drammatica ‘P. Grassi’, Renato Sarti lavora al Piccolo Teatro di Milano con Giorgio Strehler e poi, dal 1979 al 1987, al teatro dell’Elfo, con regie di Gabriele Salvatores ed Elio De Capitani. Come drammaturgo, consegue il premio Idi nel 1987 con Carla Nicoletti e il premio Vallecorsi nel 1988 con Ravensbrück rappresentato nel 1989 da Valeria Moriconi con la regia di Massimo Castri. Nel 1991 e nel ’95 consegue due segnalazioni al premio Riccione rispettivamente con Filax Anghelos e I me ciamava per nome 44787, presentato nel 1997 al Teatro di Porta Romana di Milano con la sua regia. Nel 1989 scrive Libero, andato in scena con Giuliana De Sio come interprete per la regia di Strehler. Altre regie sono: Il magnifico Barella con la Filarmonica Clown e La testa nel forno (1998).

Ayckbourn

Ha debuttato come attore allo Stephen Joseph’s Theatre di Scarborough (Yorkshire), dove ha messo in scena i suoi primi lavori e dove è ritornato nel 1970 come direttore stabile. La comicità delle sue opere scaturisce dalla vivacità della trama e da un dialogo ricco di sfumature e sottintesi; i personaggi provengono dalla media borghesia, non sono mai più di otto, e i colpi di scena non vanno al di là del tradimento coniugale o di piccole rivalità tra i protagonisti. Il talento psicologico e sociologico di Alan Ayckbourn rende perfettamente la vita del ceto medio inglese, creando personaggi di un certo spessore che non scadono mai a macchiette. Il primo lavoro rappresentato a Londra è Mr Whatnot , e il primo grande successo Relatively Speaking (1967), cui sono seguiti How the Other Half Loves (1970), Time and Time Again (1972) e Absurd Person Singular (1972): tre atti, corrispondenti a tre successive vigilie di Natale di tre coppie appartenenti a tre diversi livelli della borghesia. Al 1974 risale The Norman Conquest , trilogia composta da Table Manners , Living Together e Round and Round the Garden , che si svolgono rispettivamente nella sala da pranzo, nel soggiorno e nel giardino della stessa casa: in realtà, è la stessa commedia vista da tre angolazioni diverse. Seguono Absent Friends (1975), Confusions (1976), Bedroom Farce (1977, rappresentata al National Theatre), Just Between Ourselves (1977), Ten Times Table (1978), Joking Apart (1979) e, ancora per il National, Sisterly Feelings (1980). Di recente, dopo aver sperimentato accenti più drammatici Woman in Mind (1985) e Henceforward (1987) – ambientato in una sorta di medioevo elettronico dominato dalla violenza – Ayckbourn è ritornato alla commedia-farsa degli anni ’70 con Man of the Moment (1990): nel contrasto tra un mite bancario e un criminale affarista Ayckbourn materializza l’Inghilterra thatcheriana, pronta a premiare il successo comunque ottenuto e a punire la mancanza di competitività, anche se alla fine è il bancario ad averla vinta. Ayckbourn è stato spesso rappresentato in Italia, soprattutto grazie al forte interesse e all’entusiasmo di G. Lombardo Radice che (per lo più a Roma, Teatro della Cometa) ha curato la regia di vari suoi lavori: Camere da letto (1986), Confusioni (1988), Detto tra noi (1990), In cucina (1990), Una donna nella mente (1992), Sinceramente bugiardi (1993).

Longoni

Diplomato alla Scuola d’arte drammatica ‘P. Grassi’ di Milano, Angelo Longoni dopo alcune esperienze come attore e autore-regista sia in teatro ( Necronomicon , L’età dell’oro ) sia in televisione (la serie Atelier ) e radio (i gialli Brivido italiano ) alla fine degli anni ’80 vince alcuni premi – in occasione di festival anche all’estero – con il suo dramma Naja (1987, nuovo allestimento con E. Lo Verso) da cui realizza anche un film. In seguito è autore e regista di Money , Uomini senza donne , Testimoni (questi due ultimi con A. Gassman e G. Tognazzi), Caccia alle mosche (dal suo romanzo omonimo), Hot line (con I. Di Benedetto), Bruciati. Ha adattato e diretto I ciechi di Maeterlinck. Tra i temi affrontati nella sua produzione, la vita quotidiana e i problemi sociali dei giovani, dal servizio militare al rapporto con il partner e le crisi di coscienza.

Dapporto

Figlio di un padre calzolaio («ero di famiglia malestante») e di una madre casalinga astigiana, fonte delle inflessioni piemontesi del suo classico Agostino, Carlo Dapporto è un ‘self made actor’: prima di arrivare sul palcoscenico fa un po’ di tutto, il barman, il cameriere, il battutista, lo chaperon e il tanghista al Savioli di Riccione, sempre osservando il mondo; nel 1927 viene perfino assunto come fantasista in un circo. Viene notato da V. D’Arys, signora soubrette che lo scrittura con A. Campanini nella compagnia di avanspettacolo, dove i due ragazzi si prodigano nel ’35 in un’imitazione di Stanlio e Ollio. D. passerà poi con la Fougez e D. Maggio, reciterà Visi e maschere (1937-38), Chissà che penserà di me (1938-39), Se ne vedono delle belle e Sono un tipo fatto così (1941-42). Diventa amico inseparabile dei fratelli De Rege, tanto che, dopo la morte di Guido, nel 1945, tenterà di rilanciare, facendogli da spalla, Ciccio in Ba bi b, il primo show del dopoguerra a Milano, dopo la Liberazione. Finché una sera del 1941, al Supercinema di Milano, W. Osiris, teatralmente neoseparata da Macario, seduta in platea ride alle trovate del giovane attore sanremese e lo scrittura nel grande spettacolo Sogniamo insieme di Nelli, tema dei sogni, indispensabili al periodo bellico. La ditta Osiris-Dapporto diventa una affiatata garanzia di botteghino anche in altri spettacoli, Sognate con me (1943-44), il fastoso Che succede a Copacabana (1943-44) e L’isola delle sirene di Bracchi e Danzi (1945-46). Ma Dapporto recita anche, in pieno coprifuoco, Si chiude quasi all’alba (1944-45) con la Paolieri, U. Tognazzi e l’orchestra di G. Kramer; Ohilalà di M. Marchesi (1944-45) con la Maresca e due show di beneficenza, per i partigiani e gli internati in Germania, con tutte le star in locandina.

Dapporto è dal primo dopoguerra uno dei grandi caratteri della rivista, in equilibrio delicato tra la vecchia maschera e il nuovo conversatore-barzellettiere che parla un gustoso e ironico francese, stupendo il pubblico con un infinito repertorio di doppi sensi, sintonizzati sul comune senso del pudore. Ha almeno due volti, entrambi simpatici: quello impomatato e in frac del Maliardo, del seduttore a tempo pieno che le donne sa come conquistarle, in regime di macho con vestaglia di seta e con l’occhio sempre rivolto a Montecarlo, come un D’Annunzio reso ridicolo e grottesco; dall’altra parte è irresistibile nella macchietta regional popolare del baffuto, ingenuo Agustino che parla e storpia in piemontese, personaggio nato nel 1950 nella rivista Buondì zia Margherita di Galdieri, in cui fa da soubrette E. Giusti, così come farà poi con lui la passerella D. Lodi. Riviera follies di D’Anzi e Marchesi, nel ’47, è lo show in cui pare si facesse per la prima volta uno strip-tease; seguono Chicchirichì (1947-48), in cui il comico fa la parodia di un gangster, Snob di Galdieri, nel 1950-51, con ricche coreografie, Sul cocuzzolo del tuo cuore (1951-52) con Carletto in Napoleone e La piazza (1952-53) sempre di Galdieri, suo autore di fiducia. E ancora Baracca e burattini nel 1953-54 con L. Masiero (in cui si fa il verso anche a Cantando sotto la pioggia ), Buon appetito : spettacoli di rivista molto tradizionali imperniati sulla doppia personalità di D., viveur della passerella e talent scout di soubrette, mentre in privato scrive anche poesie. Ma lo spettacolo che lo rilancia è il suo debutto con la ditta Garinei e Giovannini e il primo che, a furor di pubblico, fu replicato per due stagioni dal 1954 al ’56: con Giove in doppiopetto nasce il primo musical italiano, con D. nella parodia di un Giove donnaiolo che fa infuriare la moglie Giunone (prima L. D’Albert, poi L. Zoppelli) e s’innamora, complice un `doppio’ Gianni Agus, di una neomogliettina che è Delia Scala, prototipo della nuova soubrette: alla fine tutti riuniti a cantare “E le cicogne van…”. Lo spettacolo, ispirato a Plauto, è diverso, spiritoso, fatto di equivoci classici, ma nel secondo tempo D., pur mantenendo il filo conduttore, trova spazio anche per il suo Agustino. G. Kramer ha composto un’ottima partitura con motivi famosi (“Ho il cuore in paradiso” e “Il bacio con le pere” in cui debutta la formosa F. Gandolfi, poi signora Modugno). Sempre con i due `G’ D. si lancia in una parodia delle nozze di Ranieri e G. Kelly in Carlo non farlo (1956-57), con la Masiero che canta “Luna sanremese”, L. Nava, il Quartetto Cetra e il Charley Ballett: un ruolo perfetto e un pizzico di attualità.

La coppia felice con Delia Scala, un po’ edipica e un po’ maliarda, torna in L’adorabile Giulio di Garinei, Giovannini e Kramer (1957-58), con un Teddy Reno confidenziale e romantico che intona “Simpatica” e “Dillo con le rose”: musical ambientato nella New York in cui un maturo attore galante viene messo in crisi da una giovane figlia. Il periodo felice di D. finisce quando lascia Garinei e Giovannini; ma l’attore si ricicla nel suo classico personaggio insieme ad altre primedonne, la `vecchia’ E. Giusti e M. Scaccia nel Diplomatico di Scarnicci e Tarabusi (1958-59), o la `nuova’ Marisa Del Frate che sarà con lui in due spettacoli inizio anni ’60: Monsieur Cenerentolo e Il rampollo . Da aggiungere anche altri titoli di stampo tradizionale, come Il tiranno di Scarnicci e Tarabusi, in cui D. è doppio, un principe cinquecentesco dei Medici ma anche un contadino, lanciando la giovane Claudia Mori, non ancora coniugata Celentano; e inoltre appare in Babilonia (1962-63) di Maccari, show `ancien régime’ con la Merlini e Carlini, La gioia di Galdieri (1963-64) con Agus e la Folchi, in cui il comico fa lo strangolatore e il professore di spogliarello. La sua ultima scoperta sulla passerella sarà Miranda Martino, con lui in I trionfi , nel 1964-65, rivista classica sui vizi dell’uomo moderno, e L’onorevole (1965-66) di Scarnicci e Tarabusi, storia fin troppo tipica di uno sdoppiamento per equivoci. L’ultimo show musicale lo vede già anziano in passerella in Yo Yo Ye Ye , 1966-67, un’operazione nostalgica con Aldo Fabrizi. L’ultimo tempo della sua carriera – che ebbe anche qualche sporadica apparizione al cinema, quasi autobiografica, come Ci troviamo in galleria di M. Bolognini, finché E. Scola con La famiglia non gli fece vincere un Nastro d’argento – lo vede impegnato nella prosa, accanto a P. Quattrini (Mi è cascata una ragazza nel piatto), M. Sannoner (Un papà perfetto) e con R. Pavone in tv. Ripresi anche in palcoscenico alcuni dei successi di Govi come Pignasecca e Pignaverde, in cerca di una affinità elettiva che va alle radici linguistiche; ma senza tradire mai quella maniera che piaceva a B. Hope e M. Chevalier, segno della sua internazionalità.

Tumiati

Gualtiero Tumiati si laureò in giurisprudenza ma abbandonò la carriera forense per dedicarsi al teatro. Debuttò nel 1906 come `generico’ nella compagnia De Sanctis, anagrammando il nome in Ugo Mautti Altieri. Il successo arrivò due anni dopo, quando, con la compagnia dei Grandi Spettacoli si impose nei Napoletani di Cossa e ne La maschera di Bruto di Benelli. Fu attore dalle affascinanti sonorità vocali e di elegante presenza. Con sua moglie, Beryl Hight T., pittrice e scenografa, fondò nel 1924 a Milano un teatro d’avanguardia che chiamò Sala Azzurra. Per il Teatro Greco di Siracusa curò la regia e fu interprete applaudito di una serie di spettacoli tra il 1927 e il 1928 (Le nuvole di Aristofane, Il ciclope e Medea di Euripide, Antigone di Sofocle). A Taormina fu protagonista, invece, del Giulio Cesare di Corradini (1928), del Miles gloriosus di Plauto (1929), mentre alle Terme di Caracalla diresse Oreste di Alfieri (1929). Veri e propri trionfi furono nel 1931 L’annuncio a Maria di Claudel e nel 1938 Adelchi di Manzoni, presentato al Lirico di Milano. Dopo la seconda guerra mondiale rivolse la sua attenzione soprattutto al cinema, riservando al teatro l’interpretazione di ruoli secondari. Per il grande schermo vanno ricordate le partecipazioni a Malombra diretto da Soldati (1942) e a Il Cristo proibito di Malaparte (1951). Fu costretto dalla cecità a ritirarsi dalle scene nel 1958, ma ciò non gli impedì di interpretare, nel 1969 a novantatrè anni, il ruolo di Tiresia dell’Edipo re di Sofocle alla Scala. T. diresse anche l’Accademia nazionale d’arte drammatica (1936) e l’Accademia dei Filodrammatici di Milano (1940).

Sbragia

Giancarlo Sbragia si diploma nel 1947 all’Accademia d’arte drammatica di Roma e nella stagione 1947-48 esordisce al Piccolo Teatro di Milano con Don Giovanni di Molière. Successivamente passa al Piccolo Teatro di Roma e poi lavora in grandi compagnie private tra le quali Pagnani-Cervi poi nella Compagnia del Teatro Nazionale diretta da Guido Salvini in testi di Anderson (Anna per mille giorni), Kingsley (Detective story), Betti (Ispezione), Shakespeare (Sogno di una notte di mezza estate) dove ha modo di farsi notare per la sua recitazione estremamente essenziale e sobria, ma sempre molto incisiva. Tornato al Piccolo di Milano (1952-54) recita in Sei personaggi in cerca d’autore, Elisabetta d’Inghilterra, L’ingranaggio, Sacrilegio massimo, Appuntamento nel Michigan, Le nozze di Giovanna Phile e Il giardino dei ciliegi . Poi è con Renzo Ricci e Eva Magni in Lunga giornata verso la notte di E. O’Neill.

Affronta la sua prima regia con Ricorda con rabbia di J. Osborne con Giuliana Lojodice, Nino Dal Fabbro e Angela Cavo. Con Volonté, Salerno, Garrani, Valeria Valeri mette in scena testi importanti e di denuncia sociale (Sacco e Vanzetti). Risale alla metà degli anni Sessanta la sua ultima collaborazione con il Piccolo di Milano (Duecentomila e uno ,1966 di S. Cappelli e L’istruttoria, 1966-67 di P. Weiss. La seconda parte della sua carriera si apre nel 1960, con la fondazione unitamente a Garrani e a Salerno della compagnia Gli Associati, complesso per il quale cura diverse e importanti regie, anche con esempi di teatro-cronaca. Dopo il nuovo periodo al Piccolo (Enrico V e Il fattaccio di giugno , di cui fu autore, attore e regista) interpreta per Gli Associati, riformatisi nel 1969, Caligola (1970) di Camus, l’Urfaust – di Goethe, Edipo re (1973), Strano interludio di O’Neill nel 1972, di cui cura anche regia e musiche. Tra i continui impegni in teatro s’inserisce anche l’esperienza della televisione con grande successo di pubblico con sceneggiati come Delitto e castigo e Cime tempestose mentre in coppia con Enrico Maria Salerno riscuote unanimi consensi con la lettura a leggio del Concerto di prosa. Dell’ultimo periodo sono Faust di Goethe e La morte e la fanciulla di Dorfman al festival di Taormina.

Bellei

Diplomatosi all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’ nel 1959, Mino Bellei ha debuttato nell’ Adelchi di Manzoni, con la compagnia Gassman (1960). Il primo ruolo di coprotagonista nel 1961 lo vede accanto a Renzo Ricci ed Eva Magni ne Il cardinale di Spagna di H. de Montherlant. Ha recitato con Randone, Parenti, Salerno e nei teatri Stabili di Palermo, Roma e Trieste. Nel 1968 costituisce con Fabrizio Vanni, Mario Bussolino e Laura Rizzoli la Compagnia del Malinteso, dal testo di Camus, Il malinteso, presentato per primo, cui fanno seguito, in sette anni, autori quali Feydeau, Brancati, Pirandello, Svevo e Moravia che segna anche con Gli indifferenti la prima regia di Bellei. Nel 1974 entra a far parte della compagnia De Lullo-Valli con cui per quattro stagioni interpreta, fra gli altri, Manvolio ne La dodicesima notte di Shakespeare. Nel 1979 scrive, dirige e interpreta Bionda fragola (da cui nel 1980 è stato tratto anche un film) a cui seguono La vita non è un film di Doris Day e Pacchi di bugie. Per due stagioni insegna al Centro sperimentale di cinematografia. Nel 1989 firma la regia di Vortice di N. Coward per il Teatro Eliseo con Rossella Falk. Dopo quattro anni di inattività, dal 1992 al 1996, ritorna al teatro con Candida di G.B. Shaw e Can Can di Cole Porter. Ha lavorato molto anche in televisione e nel cinema interpretando ruoli di secondo piano in sei film dei quali l’ultimo con la regia di Zeffirelli, Tè con Mussolini .

Foschi

Interprete versatile, dopo il diploma alla ‘Silvio D’Amico’, e il debutto allo Stabile di Torino (1962), Massimo Foschi dà vita nel corso della sua carriera ad alcuni personaggi chiave del teatro con una forza interpretativa intensa e una notevole autorità scenica, spaziando in un repertorio classico con registi importanti, anche dell’area della ricerca. Con Orazio Costa è Don Giovanni . È Orlando ne l’Orlando furioso di L. Ronconi (1969), con cui recita nell’ Orestiade nel ruolo di Oreste e Agamennone. Dal 1972 è con G. Lavia Otello , e il padre di Strindberg nell’opera omonima (1976), Giove in Anfitrione (1979) e il Grande Elettore ne Il principe di Homburg di Kleist (1982). Memorabile è il suo Calibano ne La tempesta con la regia Strehler (1978-79). Dall’80 è al Teatro di Roma, diretto da Squarzina in Misura per misura e Casa cuorinfranto di Shaw. È un Edipo re con la regia di O. Costa. Ha una assidua collaborazione con L. Puggelli che lo dirige nel 1981 in Andromaca di Racine (nella parte di Pirro), Pilade di Pasolini (1983), All’uscita di Pirandello, e ne Il libro di Ipazia di Luzi. È diretto anche da Brokhaus, G. Cobelli e Sequi. Lavora anche con G. Vasilicò, G. Salvatores, è protagonista di Pazzo d’amore di Shepard (1985), con la regia di Chérif (1985). Nella sua carriera c’è anche del cinema sia in veste di attore (Petri, Giordana, Zeffirelli) che di doppiatore.

Zanetti

Dopo l’Accademia d’arte drammatica a Roma (tra i suoi insegnanti S. Tofano), Giancarlo Zanetti debutta in teatro nel 1961 con C. Pavolini. Il primo vero successo gli arriva nel 1964 con L’Anconitana del Ruzante che riprenderà nel ’71. Di Goldoni interpreta Una delle ultime sere di Carnovale e I due gemelli veneziani, entrambi per la regia di L. Squarzina (1967 e 1968). Nel 1985 interpreta Peccato che sia una sgualdrina di J. Ford e nel 1988 un insolito Capitan Fracassa al fianco di L. Patruno. L’anno dopo sceglie di dedicarsi quasi completamente all’attività di produzione teatrale con la Sagittarius, da lui fondata dieci anni prima.

Bernardi

Dopo aver studiato prima matematica e medicina, poi contrappunto e composizione, Nerio Bernardi si è dedicato al cinema e al teatro. Ha recitato in compagnie di prestigio, debuttando con il Teatro degli Italiani di Roma, diretto da Lucio D’Ambra, nel 1922-23 in qualità di attor giovane. Poi nel ruolo di primattore con la compagnia Maria Melato (1928-31) a cui seguono le interpretazioni con le compagnie Tatiana Pavlova, Carini-Capodaglio-Betrone, Solbelli-Calò-Bernardi (1938-39), Ermete Zacconi, Dina Galli, Maltagliati-Ninchi (1948-49). Ha lavorato con registi quali Max Reinhardt (si ricordano il Sogno d’una notte di mezza estate nel 1933 e Il mercante di Venezia nel 1935 di Shakespeare), Copeau, Simoni, Pavolini e Visconti. Dal 1919 ha interpretato molti ruoli cinematografici sia in Italia che all’estero. Dal 1952 ha insegnato trucco e comportamento all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’.

Millo

Achille Millo studia con Wanda Capodaglio e debutta a Roma nel 1945 con la compagnia De Sica-Gioi-Stoppa in Catene di A.L. Martin, diretto da E. Giannini. Prima di formare una propria compagine nel 1950, la Scelzo-Ninchi-Porelli-Ninchi-M., lavora con diverse formazioni primarie e collabora con Luchino Visconti come assistente alla regia. Nel 1954 è chiamato al Piccolo Teatro da G. Strehler per recitare la parte di Florindo nell’ Arlecchino servitore di due padroni . Torna a Roma nel 1957 per inaugurare il Teatro dei Servi con De Pretore Vincenzo , scritto appositamente per lui da Eduardo De Filippo, il quale nel 1959 lo chiama a interpretare Pulcinella in Pulcinella che va in cerca della sua fortuna per Napoli di P. Altavilla. Definitivamente affermato, negli anni ’60 e ’70 partecipa come protagonista a importanti messe in scena: Liolà di L. Pirandello, regia di V. De Sica; L’uomo, la bestia e la virtù di L. Pirandello, regia di P. Giuranna. Nel 1975 torna al Piccolo per Il campiello di Goldoni con la regia di Strelher. Nel 1970 cura la regia di una fortunata rivisitazione del repertorio vivianesco in Io Raffaele Viviani, che riprenderà più volte nell’arco di un ventennio. M. ha dedicato parte considerevole della sua attività di interprete alla poesia. Ha partecipato come attore e regista a numerose trasmissioni radiotelevisive.

Zago

Dopo essere stato in compagnie di guitti, Emilio Zago nel 1876 entrò nella formazione di Moro Lin dove, eccellendo in personaggi goldoniani, rimase fino allo scioglimento della stessa (1883). Successivamente formò una propria compagnia recitando testi di G. Gallina, F.A. Bon, R. Selvatico, ma soprattutto dell’amato Goldoni. Con costante successo fu sulle scene fino agli anni ’20 (apparve l’ultima volta, ne Il bugiardo, 1927), formando anche una brava schiera di giovani attori dialettali. Sommo interprete goldoniano, seppe anticipare i tempi rompendo, nelle sue compagnie, lo schema che imponeva ruoli fissi.

Tedeschi

Gianrico Tedeschi debutta nel 1947, sotto la guida di Giorgio Strehler, in Sotto i ponti di New York di Maxwell Anderson. Si diploma all’Accademia nazionale d’arte drammatica di Roma e nel 1950 entra nella compagnia Cervi-Pagnani dove interpreta con successo Quel signore che venne a pranzo di George Kaufman e Moss Hart e Harvey di Mary Chase, diretti entrambi da Alessandro Brissoni. L’incontro con Luchino Visconti, nel 1952, rappresenta una svolta significativa per l’esperienza professionale di Tedeschi che, sotto la guida del regista, interpreta il ruolo di Kulygin in Tre sorelle di Cechov e recita nella celebre e tanto discussa edizione de La locandiera di Goldoni.

Dopo aver interpretato La vedova scaltra di Goldoni, proposta da Strehler alla Biennale di Venezia del 1953, e La dodicesima notte di Shakespeare diretta da Costa e Renato Castellani, approda alla compagnia dello Stabile di Genova (Anfitrione di Plauto diretto da Mario Ferrero; Ondina di Jean Giraudoux realizzato da Edmo Fenoglio). Ormai forte dell’esperienza acquisita, nella seconda metà degli anni ’50, Tedeschi si misura con generi diversi passando dal teatro di rivista e dalla commedia musicale, dove ottiene i maggiori riconoscimenti del pubblico e della critica, al teatro francese ottocentesco e d’avanguardia (I capricci di Marianna di Alfred de Musset; Amedeo o Come sbarazzarsene di Eugène Ionesco diretti da Luciano Mondolfo). Per la regia di Strehler, nel 1961, interpreta il ruolo di Pantalone nell’ Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni, prendendo parte alla tournée in Russia e negli Usa.

Nel 1963 impersona il professor Higgins nella commedia musicale My Fair Lady di Alan Jay Lerner diretta da Sven Aage Larsen; quindi, sotto la guida di Giuseppe Patroni Griffi recita ne La governante di V. Brancati (1965) ed è protagonista di Io, l’erede di E. De Filippo (1968). Nel 1973 Strehler lo chiama al Piccolo Teatro per interpretare il ruolo di Peachum ne L’opera da tre soldi di Brecht e nel 1976 recita nell’ Antonio von Elba di Mainardi diretto da Mondolfo. Il 1980 segna l’inizio della felice intesa artistica con L. Squarzina per la regia del quale interpreta Casa Cuorinfranto di Shaw (1980), Il Cardinal Lambertini di Alfredo Testoni (1981), Timone d’Atene di Shakespeare (1982), La rigenerazione di Italo Svevo (1986), Tutto per bene di Pirandello (1989).

Il 1990 lo vede nuovamente interprete di La rigenerazione di Svevo diretto da M. Bernardini, l’anno dopo recita nella commedia Plaza Suite di Neil Simon realizzata da G. Solari; nel 1992 interpreta Il maggiore Barbara di G. B. Shaw per la regia di M. Bernardi, quindi nel 1995 è diretto da L. De Fusco ne Il piacere dell’onestà . È ancora presente sulle scene nel 1998 con Il riformatore del mondo di T. Bernhard diretto da P. Maccarinelli.

Billi

Riccardo Billi esordì a vent’anni come fine dicitore alla Casina delle Rose di Roma. Abile fantasista, dotato di una buona voce tenorile ed imitatore di talento creativo venne subito notato e scritturato dalla compagnia di operette di Lydia Johnson in cui cantò e recitò fino al 1931 quando entrò a fianco di Wanda Osiris nella compagnia Maresca. Tornò quindi al varietà in duo con Romigioli dando vita ad un piacevole genere umoristico-musicale prima di cimentarsi con la prosa (Stabile di Napoli, 1936) e di mettere in scena l’anno seguente, in veste di capocomico, la commedia musicale di Bassano Il vedovo allegro. Nel 1943 fu scritturato come primo comico accanto a Paola Borboni nella rivista di Galdieri Mani in tasca e naso al vento. La grande svolta della sua carriera avvenne quando, nell’immediato dopoguerra, conobbe casualmente Mario Riva, il presentatore ed intrattenitore col quale formò per un decennio una coppia comica assortita e calibrata. Il loro successo prese il via con la rivista radiofonica di Garinei e Giovannini La Bisarca (1950), il cui clamoroso successo popolare indusse gli autori ad adattarla a quella scena teatrale che ancora per molti anni vide premiata la ditta B. e Riva in numerose altre riviste quali Alta tensione (1951-52), I fanatici (1952-53), Caccia al tesoro (1953-54) e Siamo tutti dottori (1954-55). L’inevitabile approdo televisivo (ad Un, due, tre) della coppia ormai così famosa non cambiò però l’atteggiamento di diffidenza che B. nutriva nei confronti del nuovo mezzo di comunicazione, tanto che nel 1956 l’attore tornò al teatro con le riviste Billi e pupe e Doppio rosa al sexy , nuovamente con la Osiris. È di questi anni anche l’attività cinematografica del comico toscano che adottato da Roma s’impose, sempre al fianco di Riva, in una fortunata serie di film commerciali, prima di concludere la sua carriera artistica con il teatro per ragazzi che dal 1968 al 1975 lo vide protagonista di un repertorio di favole come Cenerentola , Il gatto con gli stivali e Pollicino . Billi, seppur volontariamente, incarna con il suo rifiuto televisivo il suicidio consapevole di quella forma di varietà cui il piccolo schermo è riuscito a togliere la vita e la vitalità smembrandolo via via nelle reiterate manifestazioni musicali e nella disarmante antipatia di gran parte della moderna comicità.

Salerno

Enrico Maria Salerno giovanissimo segue la compagnia della famiglia Rame, alternando la carriera con il tentativo di frequentare l’università. Nel 1949 però sceglie definitivamente la sua strada dedicandosi con tutto se stesso al mestiere e alla vocazione di attore. Viene quasi subito scritturato dalla compagnia Tofano-Adani-Cimara. Nel biennio 1950-1951 approda al Piccolo Teatro di Milano dove interpreta con successo Morte di Danton di Büchner. Tra il 1954 e il 1955 lo ritroviamo nella compagnia del Teatro Stabile di Genova, compagnia in cui lavora per alcuni anni consecutivi interpretando, tra le altre, parti nei Demoni di Dostoevskij con la regia di Squarzina e in Liolà di Pirandello diretto da A. Fersen; anche come regista Ondina di Giraudoux, Ivanov, Oreste, Una donna quasi onesta di Salacrou, La moglie ideale di Praga. Nel 1960 fonda con Ivo Garrani e Giancarlo Sbragia (con quest’ultimo sarà molto attivo in televisione proprio negli anni successivi con una trasmissione molto nota intitolata Concerto di prosa ) la nuova Compagnia degli Associati , molto attenta al teatro di ricerca e di denuncia sociale, allestendo spettacoli come Sacco e Vanzetti di Roli e Vincenzoni con la regia dello stesso Sbragia.

Numerose le sue partecipazioni a spettacoli straordinari, tra cui La bisbetica domata a Verona nel 1953 con la regia di F. Enriquez, Ifigenia in Tauride a Taormina nel 1959 per la regia di O. Costa. Nel 1963 recita in Chi ha paura di Virginia Wolf? di Albee, con Sarah Ferrati e diretto da Zeffirelli, uno dei suoi maggiori successi in cui fa valere la sua recitazione controllata e moderna; sempre con Zeffirelli è un Padre straordinario in Sei personaggi in cerca d’autore nel 1991. Dopo il fortunato spettacolo Le rose del lago di Franco Brusati dove recita al fianco di Paolo Stoppa, all’inizio degli anni Ottanta, S. debutta nella regia cinematografica con Anonimo veneziano , opera prima ben accettata dalla critica. Nel cinema ha dato interpretazioni sempre impeccabili e misurate: tra gli altri titoli La lunga notte del ’43 (1960), Odissea nuda (1961), Smog (1962), Violenza segreta (1963), L’armata Brancaleone, Le stagioni del nostro amore e L’ombrellone tutti del 1966; La violenza: quinto potere (1971). Torna poi in teatro sotto la direzione dell’amico Sbragia in una versione dell’ Otello di Shakespeare. L’ultima interpretazione di rilievo da ricordare è quella del protagonista di Morte di un commesso viaggiatore di Miller.

Brachetti

Trasformista per vocazione, Arturo Brachetti ha imparato il mestiere dalla biografia di Fregoli, ma ad aiutarlo è stato un sacerdote conosciuto durante gli anni trascorsi in seminario dai salesiani per volontà del padre. Dopo i successi ottenuti in Francia (diciottenne a Parigi, è già la vedette di famosi locali come il Paradis Latin e perfino l’Olympia), Germania, Gran Bretagna e Austria, approda in Italia nel varietà tv (1984). Dell’anno successivo è lo scatenato Varietà di Scaparro, del 1986 Amami, Arturo di cui è autore assieme a F. Crivelli. Nel 1990 è la volta di I Massabilli di Aymée, quindi Madama Butterfly in cui recita una parte `en travesti’ al fianco di U. Tognazzi. Ottiene uno strepitoso successo col musical Fregoli nella stagione 1994-1995, in cui cambia una trentina di ruoli, mutando costume in tempi rapidissimi. Da allora lavora con la Compagnia della Rancia. Lo spettacolo più recente, con la regia di S. Marconi, è Brachetti in Technicolor , in cui interpreta 100 personaggi di 100 anni di cinema. Tra le sue regie c’è quella dello spettacolo I corti con Aldo Giovanni e Giacomo (1996).

Spadaro

Odoardo Spadaro esordì nel 1912, a soli 17 anni, nella compagnia teatrale di Alfredo De Sanctis e Alda Borelli, un ruolo di `generico’. Lontano, per temperamento e doti, da drammi e tragedie, lasciò la prosa (dove però ritornerà sporadicamente: nel 1944 al Teatro Romano di Verona in Romeo e Giulietta di Shakespeare, regia di Guido Salvini) per dedicarsi al varietà, nel ruolo di chansonnier, fantasista, imitatore. Divenne simbolo canterino della sua Firenze, adottò la paglietta come Maurice Chevalier, che sostituì alle Folies Bergère ed ebbe successo accanto a Mistinguette all’estero: oltre che a Parigi, a Londra e a Berlino. Nel 1927 si esibì al Moulin Rouge, tempio mondiale del music-hall: nello spettacolo c’erano anche Jean Gabin e Viviane Romance. Nel 1932 compì una lunga tournée nelle due Americhe e in Africa.

Nel 1939, fece rivista con Paola Borboni a Napoli, in Mani in tasca e naso al vento di Michele Galdieri, una “rivista fastosa con satira d’attualità” con Spadaro “malizioso con i suoi stornelli”. Nella stagione successiva, all’Olimpia di Milano, nella rivista 41 ma non li dimostra di Sandro Dansi e Luciano Ramo, Spadaro canta, suona l’arpa e la fisarmonica, racconta storielle, recita scenette comiche, su un palcoscenico per la prima volta allungato verso la platea con piattaforma luminosa e orchestra in scena. Nel cast, l’esordio di un trio comico femminile, le Sorelle Nava. Col cappello sulle ventitré va in scena nel 1944-45 a Roma, copione di Riccardo Morbelli (con Angelo Nizza, autore della riduzione radiofonica dei Tre moschettieri in parodia: un successo storico legato alle figurine Perugina, con l’introvabile Feroce Saladino); accanto a S. brillano Enrico Viarisio, Dina Galli, Elena Giusti, per la regia di Camillo Mastrocinque.

Nel 1945, a Milano, S. è in ditta con Lucy D’Albert nella rivista Molto bene signor Protti di Mario Amendola. Il successo è tale che in compagnie minori impegnate nell’avanspettacolo circolano `falsi’ Spadaro, imitatori con paglietta e pipa spenta tra i denti, che cantano “La porti un bacione a Firenze”. (Di `copie’ d’attori famosi ne circolavano parecchie: Totò, la Magnani, Macario, la Osiris i più imitati. Con un accorgimento malandrino sulle locandine: in caratteri minuscoli, il nome della `copia’ e la dicitura “nell’imitazione di”; seguiva in lettere cubitali il nome del divo ricopiato. Con la speranza, spesso fondata, di turlupinare lo spettatore disattento). Su Spadaro c’è, rimarchevole, un ricordo del critico teatrale Roberto De Monticelli: “Sarà stato nel 1930, chissà nel ’31, al vecchio cinema Odeon di Milano c’era Milly, bruna e lucente, minuta e squillante, tutto ritmo e melodia. Girava come una trottola intorno a un aitante e insieme tarchiato, elastico e insieme greve dondolone sulle scarpe con ghette, tutto denti e cappello floscio, Odoardo Spadaro. Che coppia, gente”.

Spadaro tornerà in scena, richiamato da Garinei e Giovannini, nella stagione 1956-57, nel ruolo del suocero della coppia Walter Chiari e Delia Scala nella commedia musicale Buonanotte Bettina . Nel film Divorzio all’italiana di Pietro Germi (1961), scolpì il ritratto di un anziano nobile siciliano attratto da Stefania Sandrelli. Ispirò, per Spadaro Varietà in scena a Roma (1938-39) una recensione in versi: “Spadaro Odoardo! Che gioia /Basta lui solo per scacciar la noia! / Dalla sua bocca in prosa e in poesia / esce a getto continuo l’allegria!”.

Ninchi

Annibale Ninchi frequentò la scuola di Luigi Rasi a Firenze, dietro incoraggiamento di Carducci. Fu primo attor giovane nella compagnia Stabile di Milano ed in quella dell’Argentina di Roma, con Irma Gramatica e Ruggeri. Dal 1914 fu direttore di compagnia e capocomico. Interprete di grande personalità e forza comunicativa grazie ai suoi mezzi fisici e vocali, si cimentò in un vasto repertorio, passando dai greci a Shakespeare, da Morselli (nel cui Glauco riscosse uno straordinario successo) a Shaw, da D’Annunzio (del quale fece vivere sulla scena memorabili personaggi) ad una serie di autori poco conosciuti. Come autore drammatico debuttò con Caino al Teatro della Pergola di Firenze nel 1922.Vanno ricordati poi l’ Orfeo , L’altra verità (1923), La ballata degli impiccati (1927), Il poeta malandrino (1929) e Maschera d’oro (1931). La sua carriera cinematografica cominciò nell’era del muto con una Carmen del 1909. Poi fu applaudito interprete di Scipione l’Africano (1937) e, con Fellini, girò La dolce vita (1960) e Otto e mezzo (1963).

Micheluzzi

Tonino Micheluzzi entrò nel 1940 nella compagnia del padre Carlo, dove rimase fino al 1957, con una breve incursione nel teatro in lingua italiana del 1944. Fu autore di commedie ( Si salvi chi può , rappresentata nel 1954, e Buongiorno, allegria! nel 1955). Ha partecipato anche ad alcuni film e a qualche spettacolo del Festival veneziano. Le sue doti di attore brillante lo portano, dal 1957-58, a recitare in rivista e nella stagione d’operetta triestina.

Cucciolla

Laureatosi in giurisprudenza, Riccardo Cucciolla ha esordito nel teatro in una filodrammatica di paese. Grazie alla particolare qualità della sua voce (un timbro plastico, profondo, pastoso) si è conquistato un posto di rilievo, anche come doppiatore, nel panorama radiofonico e cinematografico italiano. Dal 1948 al ’60 ha fatto parte della compagnia di prosa della Rai di Roma, partecipando a molte produzioni su testi di autori classici e contemporanei: un repertorio vasto, che spaziava da La locandiera di Goldoni a Corruzione al Palazzo di Giustizia di U. Betti a Le anime morte di Gogol’. In palcoscenico lo si ricorda in Piccola città di T. Wilder, a fianco di Elsa Merlini e Alberto Lupo. Al di là degli impegni televisivi (Il segreto di Luca da I. Silone, 1969), nel cinema ha legato il suo nome ad alcune interpretazioni di rilievo (palma d’oro a Cannes nel 1971 per Sacco e Vanzetti).

De Filippo

Eduardo De Filippo nasce da una relazione amorosa tra Eduardo Scarpetta e Luisa De Filippo, nipote della sua legittima moglie. Debutta a quattro anni come giapponesino in La geisha di E. Scarpetta. Sarà Peppiniello in Miseria e nobiltà . Nel 1920 viene chiamato alle armi e presta servizio militare nel corpo dei bersaglieri a Roma. Comincia nel frattempo a scrivere i primi sketch e un atto unico: Farmacia di turno. Nel 1922 scrive la prima commedia in tre atti, Uomo e galantuomo, il cui titolo originario è Ho fatto il guaio? Riparerò. Nel 1923, insieme al fratello Peppino, rientra nella compagnia di Vincenzo Scarpetta. Avverte le prime insoddisfazioni nei riguardi di un certo repertorio e si interessa maggiormente al teatro di S. Di Giacomo, di R. Bracco e R. Viviani. Tra il 1924 e il 1925 comincia a scrivere Ditegli sempre di sì e Chi è cchiù felice ‘e me?, che troveranno la via del palcoscenico solo qualche anno più tardi. Nel 1929 fa parte della Compagnia Molinari, cui collaborano anche Titina e Peppino. L’anno successivo diventa coautore della rivista Pulcinella principe in sogno di M. Mangini, con l’atto unico Sik-sik, l’artefice magico (scritto con lo pseudonimo Tricot). Il successo è clamoroso e nel 1931 decide con i fratelli di dar vita alla Compagnia del teatro umoristico ‘I De Filippo’, che si esibisce in avanspettacoli presso il cine-teatro Kursaal (oggi Filangieri). Negli stessi anni intensifica la scrittura degli atti unici, tra i quali Natale in casa Cupiello (1931, successivamente sviluppato in tre atti). Nell’autunno del 1932 avviene il debutto della Compagnia al Sannazzaro, con la commedia Chi è cchiù felice ‘e me?. Anche Pirandello si interessa ai De Filippo, offrendo loro la versione napoletana di Liolà . La collaborazione con il grande scrittore siciliano ha un seguito: sempre in edizione napoletana viene infatti rappresentato Il berretto a sonagli e, qualche anno dopo, L’abito nuovo , scritto da Eduardo e tratto dalla novella omonima di Pirandello, che assistette alle prove senza tuttavia poter intervenire alla prima, a causa dell’improvvisa scomparsa avvenuta nel 1936.

La compagnia ‘I De Filippo’ gira tutta Italia, sovvenzionata anche dai proventi dell’attività cinematografica, intrapresa a partire dal 1932 con i film Tre uomini in frack , Il cappello a tre punte (1935, regia di M. Camerini) e Quei due (1935, regia di G. Righelli). Nel 1938 i successi dei De Filippo diventano unanimi in tutta Italia; le commedie preferite sono: Sik-Sik , Ditegli sempre di sì , Chi è cchiù felice ‘e me?, Gennariello e Natale in casa Cupiello. Nel 1940 l’Italia entra in guerra; le difficoltà per `I De Filippo’ sono tante. De F. scrive, nel 1942, Io, l’erede . Nel 1944 i rapporti tra Eduardo e Peppino si deteriorano, fino allo scioglimento della Compagnia del teatro umoristico. Nel 1945 scrive Napoli milionaria , e dà vita alla Compagnia di Eduardo, che rappresenta Questi fantasmi nel 1946, senza un grande successo di pubblico; in pochissimo tempo Eduardo la rimpiazza con Filumena Marturano : un trionfo e, per Titina, un grande successo personale. La commedia viene recitata anche dinanzi a Pio XII. Dopo Filumena Marturano , nascono altri capolavori: Le bugie con le gambe lunghe (1947), La grande magia (1948), Le voci di dentro (1948), La paura numero uno (1951). Si arriva agli anni ’50. Eduardo, intanto, per ricostruire il teatro San Ferdinando svolge un’intensa attività cinematografica. Così ad Assunta Spina , interpretata da Anna Magnani, fa seguire Fantasmi a Roma , L’oro di Napoli , Napoli milionaria , Filumena Marturano , Il marchese di Ruvolito , Ragazza da marito , Napoletani a Milano. Nel 1954 regolarizza l’unione coniugale con Thea Prandi, dalla quale ha avuti i figli Luca e Luisella. Dopo la morte della Prandi, si legherà a Isabella Quarantotti. Nel 1958, a Mosca, con la regia di R. Simonov viene rappresentata Filumena Marturano ; nel 1962, Il sindaco del rione Sanità . Le ingiustizie della situazione teatrale italiana vengono riproposte in L’arte della commedia (1964), che dai critici è ravvicinata a L’improptu di Molière e al Teatro comico di Goldoni. Tra il 1965 e il 1970 scrive Il cilindro , Il contratto e Il monumento. Nel 1972 riceve dall’Accademia dei Lincei il premio Feltrinelli; nel 1973 rappresenta Gli esami non finiscono mai e, nello stesso anno, all’Old Vic di Londra viene rappresentata Sabato, domenica e lunedì , con la regia di F. Zeffirelli e l’interpretazione di L. Olivier. Il 1977 è un anno particolarmente importante: sposa I. Quarantotti, presenta al Festival dei due mondi di Spoleto Napoli milionaria , adattata a libretto d’opera per Nino Rota e, dopo un’anteprima presso il Teatro di Norwich, la sua Filumena Marturano trionfa, messa in scena al Lyric di Londra, nell’interpretazione di J. Plowright. Il 15 luglio riceve la laurea in lettere honoris causa all’università di Birmingham, per i suoi meriti di drammaturgo, attore e regista.

Nel novembre del 1980, nell’aula magna dell’università degli Studi di Roma, gli viene conferita la laurea in lettere honoris causa, insieme all’accademico francese H. Gouthier, mentre nel settembre del 1981, a Palazzo Madama, la Repubblica Italiana lo onora con la nomina di senatore a vita. Il primo intervento in senato avviene il 23 marzo 1982 ed è proprio sui fanciulli abbandonati: Eduardo ritorna alle origini. Il teatro di Eduardo spazia su cinquant’anni di storia italiana (1920-1973), attraverso una serie di protagonisti nei quali si riflette lo stesso autore, «col suo difficile rapporto con quel contesto sociale su cui egli innesta la propria ricerca drammaturgica, oltre che la tecnica espressiva che attinge, in un evolversi continuo, alla farsa, alla comicità di carattere, all’umorismo, ben diverso da quello pirandelliano, attento a scomporre, piuttosto che a comporre o a rapportare, la natura storica dell’uomo. Per intenderci, i sofismi pirandelliani in Eduardo si concretizzano, diventano realtà sofferta, non più a livello di pensiero o di logica, ma a livello di vita. Eduardo rende lineare tutto ciò che in Pirandello si doppia; la sua maschera non è nuda, ma strettamente legata alla storia del personaggio; alla stessa maniera, la finzione diventa `trucco’ premeditato. Eduardo sa che il mondo è il luogo dove l’errore umano maggiormente si esplica, dove la verità viene facilmente offesa; da questo mondo egli ha tratto il suo repertorio, l’umor comico, che spesso si trasforma in accusa e in invettiva. Dinanzi alle colpe, agli errori, all’ingiustizia, Eduardo assume un atteggiamento di denuncia con mezzi ora tipicamente teatrali (la magia, il gioco, il trucco), ora con un’analisi approfondita dei caratteri e quindi dei personaggi che ne sono invischiati. La vita, per Eduardo, cambia continuamente volto; è necessario, quindi, adattarsi alle sue trasformazioni, che sono sempre contemporanee all’uomo. Proprio l’uso di questa contemporaneità e il modo di trasferirla sulla scena, hanno sempre reso attuale e `rivoluzionario’ il suo teatro.

Ponzoni

Cochi Ponzoni inizia a fare cabaret nel 1964, al Cab 64 di Milano insieme a Renato Pozzetto con cui forma lo scintillante sodalizio, durato fino al 1974, che li rende popolari come Cochi e Renato. Dal 1965 i due si esibiscono al Derby Club con Jannacci, Toffolo, Andreasi e Lauzi. Dal 1968 comincia la loro carriera televisiva con Quelli della Domenica , seguito da È domenica, ma senza impegno ; intanto continuano a consolidare nel cabaret le loro gag, anche con l’esperienza al Derby, diventando pionieri di una forma di spettacolo per piazze e discoteche. Nel 1972 è nella messinscena di La conversazione continuamente interrotta di E. Flaiano. Dopo aver partecipato a Canzonissima i due si dividono. P. dal 1974 al 1979 si dedica al cinema con Telefoni bianchi di D. Risi, Il comune senso del pudore di A. Sordi, Bruciato da cocenti passioni di Capitani e Sturmstruppen di Samperi. Dal 1979 lo vediamo a teatro non più soltanto nelle vesti di cabarettista. Lo troviamo protagonista di alcuni spettacoli prodotti dallo Stabile di Trieste, in testi che vanno da Shakespeare a Plauto. Riappare in tv nel 1993 in Su la testa con Paolo Rossi. Nel 1999 ritornerà insieme a Renato in una serie tv, Nebbia in val Padana.

Jannacci

Esempio di cabarettista-musicista-chirurgo. Artista sensibile e di talento, Enzo Jannacci è uno degli animatori delle notti milanesi dalla fine degli anni ’50, sempre in compagnia del pianoforte o di una chitarra tenuta di sghembo a tracolla. Dopo aver frequentato assieme a Giorgio Gaber – formavano il duo `i Corsari’ – il Santa Tecla, l’Aretusa e la Taverna Mexico, club che alternavano jazz e cabaret, è fra i primissimi a esibirsi al Derby club, sia da solo sia al fianco di altri due comici allora esordienti, Cochi e Renato. Grazie alle sue doti di intelligente intrattenitore viene notato da Dario Fo, con il quale debutta in teatro in 22 canzoni ; tra i due nasce una lunga amicizia e una collaborazione che col tempo produce brani indimenticabili: “El portava i scarp de tennis”, “L’Armando” e “La linea è una lampadina”. Nel 1962 il regista Filippo Crivelli lo vuole come cantante folk in Milanin Milanon, accanto a Tino Carraro e Milly. Nel 1968, dopo una deludente esperienza alla Rai (è censurato a Canzonissima, dove lo costringono a cantare “Vengo anch’io no tu no” – che entra poi nella hit-parade – al posto di “Ho visto un re”), Jannacci decide di allontanarsi dall’Italia per sei anni, durante i quali fa vari lavori e si specializza in cardiochirurgia con Barnard. Nel 1975, con le canzoni dello spettacolo Quelli che (ispirata a Prévert), la sua vena poetica si tinge di sarcasmo, l’ironia tagliente fotografa perfettamente una società cinica e disillusa – atteggiamento che caratterizza tutta la produzione successiva: “Ci vuole orecchio” (1980, scritta con Gino e Michele), “Discogreve” (1983), “Se me lo dicevi prima” (1989). La coppia Jannacci-Gaber si riforma nel 1990, per un deludente Aspettando Godot.

Herlitzka

Diplomato all’Accademia d’arte drammatica ‘S. D’Amico’, Roberto Herlitzka si forma artisticamente alla scuola di Orazio Costa, per il quale interpreta, fra gli altri, ruoli tormentati in Francesca da Rimini di D’Annunzio (1960), Episodi e personaggi del poema dantesco (1966) e Don Giovanni di Molière (1966). Significative anche le sue prove in spettacoli diretti da Ronconi (Il candelaio di Giordano Bruno, 1968; Le mutande di C. Sternheim, 1968). L’incisiva presenza scenica gli consente un’esplorazione profonda dei classici, guidata da registi quali A. Calenda (Come vi piace, Sogno di una notte di mezza estate, Prometeo, Senilità), L. Squarzina (Il ventaglio , Misura per misura ), G. Lavia ( Otello , Zio Vanja ) e W. Pagliaro (un memorabile, monologante Misantropo di Molière recitato tutto da solo). Alla scena affianca un’intensa attività cinematografica, collaborando con registi quali L. Wertmüller ( Film d’amore e d’anarchia , 1973; Pasqualino settebellezze , 1975; Notte d’estate con profilo greco , 1986), N. Michalkov (Oci Ciornie, 1987), L. Comencini (Marcellino pane e vino, 1991), R. Faenza (Marianna Ucria , 1997).

Bourseiller

Antoine Bourseiller esordisce giovanissimo, a metà degli anni ’50. Vincitore del Concours des jeunes compagnies nel 1960, dirige, fino al 1965, lo Studio des Champs-Élysées. Uno dei primi spettacoli è dedicato a Pirandello (Come tu mi vuoi, 1960), autore che Bourseiller riprenderà più tardi alla Comédie-Française (Sei personaggi in cerca d’autore, 1978). Fra i testi messi in scena nei primi anni ’60, si ricordano quelli di Ionesco, Billetdoux, Jean Vauthier, Barbey d’Aurevilly e, segno di un interesse per la musica che andrà crescendo negli anni, l’opera in due atti di Gian Carlo Menotti La Medium (Opéra di Parigi e Marsiglia, 1963). Nel 1965-66, al Théâtre de Poche-Montparnasse, Bourseiller fa conoscere al pubblico francese LeRoi Jones e Mrozek.

Nel 1973, al festival di Avignone, presenta Onirocri (musica di Jean Prodomidès). Tra il 1966 e il 1975 è a Marsiglia, al Centre Dramatique National du Sud-Est, dove cura la regia di Il balcone di Jean Genet. La torre di Hugo von Hofmannsthal è il fiore all’occhiello della sua triennale esperienza al Théâtre Récamier (1975-1978). Dopo il 1980 B. si dedica soprattutto all’allestimento dell’opera, dapprima al Teatro d’Orléans, poi, tra il 1986 e il 1996, all’Opéra-Théâtre di Nancy: Wozzeck, Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk, L’angelo di fuoco, Lohengrin, Don Giovanni, ma anche i meno conosciuti King Priam di Tippett, Billy Budd di Britten, Kátya Kabanová di Janácek.

Pandolfi

Elio Pandolfi frequenta l’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’ dove si mette subito in luce per l’eclettismo di interprete, mimo e cantante tanto che il suo ingresso nel teatro di rivista appare come un naturale approdo. È al fianco di W. Osiris in Festival (1954) prima che Garinei e Giovannini gli affidino un ruolo di rilievo in Carlo non farlo (1956). Nel frattempo inizia a lavorare nel cinema sia come doppiatore che in veste di caratterista ( Altri tempi , 1952). Negli studi radiofonici della Rai fa coppia con A. Steni con cui partecipa anche ai primi varietà televisivi come “I cinque sensi sono sei” (1954). Sempre con la Steni è in palcoscenico negli spettacoli musicali Scanzonatissimo (1963) e Che brutta epoque (1969), mentre continua la loro comune carriera nel varietà televisivo. Intensifica l’attività cinematografica accettando ruoli di secondo piano in numerose commedie di scarso valore come Sexy proibito (1963) e La coppia più bella del mondo (1968). Nel 1967 è tra i protagonisti della serie televisiva “Triangolo rosso”. In teatro gli viene affidato il ruolo principale nella versione italiana di Il vizietto (1979), in cui riporta un brillante successo personale.

Corso

Arturo Corso inizia a quattro anni nella compagnia dei Piccoli dello stato fascista; a sette entra nel coro delle voci bianche della Fenice. La carriera teatrale inizia a Milano con Franco Enriquez, che lo aveva visto tra i mimi di Venezia, e lo porta in compagnia con la Moriconi; poi, nel 1968, l’incontro con Dario Fo. Da allora Corso si lega indissolubilmente o quasi al genio dello sberleffo. Lavora in Real Politique di U. Simonetta, poi smette di fare l’attore e passa alla regia. Lo troviamo al fianco di Fo in tutti i suoi maggiori spettacoli; ad Avignone, per la prima volta in Europa, allestisce il Mistero buffo con quattordici attori. Al Teatro nazionale di Gand cura la regia di Amleto. Contemporaneamente porta avanti la direzione artistica del Derby di Milano, contribuendo a far conoscere i migliori talenti comici degli ultimi anni. Sceglie Marco Columbro come protagonista di Arlecchino scegli il tuo padrone, che debutta al festival di Nancy. Di Corso ricordiamo inoltre alcune regie liriche, sempre al fianco di Fo, come L’italiana in Algeri (1994). Autonomamente allestisce molti lavori di U. Simonetta.

Taiuti

Tonino Taiuti si avvicina al teatro coinvolto da Antonio Neiwiller: da lui diretto e per la Cooperativa Teatro dei Mutamenti di Napoli debutta come attore nel 1978, nel doppio ruolo di Pulcinella e Margherita in Don Fausto di A. Petito, al quale seguono nel 1979 Anemic Cinema (regia A. Neiwiller) e Kabarett da K. Valentin (regia R. Carpentieri). Negli anni ’80 forma con Silvio Orlando `La coppia comica’: insieme sono autori, interpreti e registi degli spettacoli La stanza (1981), Due uomini e un armadio (1983). Nel 1985 prende parte a Ragazze sole con qualche esperienza , testo di E. Moscato, regia M. Santella, nel 1986 a Eldorado , regia G. Salvatores, al Teatro dell’Elfo di Milano; nel 1991 è tra i protagonisti di Il giardino delle delizie di G. Barberio Corsetti.

Attore comico di sottile e raffinata ironia, legato all’esperienza di Teatri Uniti, è tra i protagonisti della nuova scena napoletana partecipando agli spettacoli più significativi, numerosi dei quali destinati a lunghe tournée europee: Coltelli nel cuore da B. Brecht, regia M. Martone (Falso Movimento, 1987), Partitura di E. Moscato, regia T. Servillo (1988), Rasoi di E. Moscato, coregia M. Martone e T. Servillo, dove interpreta il memorabile vagabondo cieco (Teatri Uniti, 1991), Zingari di R. Viviani, regia di T. Servillo (Teatri Uniti, 1993), il varietà musicale Soirée Viviani , regia P. Scialò (1995). Nel 1997 è Felice Sciosciammocca in Il medico dei pazzi di Scarpetta, regia L. Angiulli, quindi è a fianco al cantante Nino D’Angelo nel suo Core pazzo . Come `one man show’ scrive, interpreta e dirige se stesso in spettacoli memori della grande lezione della tradizione (attoriale e di scrittura) napoletana, e con ampi riferimenti alla musica jazz: Sorsi di passione (1986), Squame giù e I am black (1987), Song nero (Teatro Nuovo, 1989), Natura morta (regia R. Carpentieri, 1989), Scugnizzo d’Oriente con il trio Jazz Mediteranée (1990, Festival di Polverigi), Duet e Riso frizzante (1998). Sue le regie degli spettacoli firmati da A. Fiore Zero (1987-88) e Tycoon zero (1989). Per l’attività di attore nel 1987 vince il Premio Teatro Gennaro Vitiello. Partecipa ai film Morte di un matematico napoletano (1992) e Rasoi (1993) di M. Martone, Sud di G. Salvatores (1993), Pianese Nunzio 14 anni a maggio di A. Capuano (1995), I vesuviani (protagonista dell’episodio Sofialoren di A. Capuano, 1997) Polvere di Napoli di A. Capuano (1997), Mare largo di Visentini Orgnani (1998).

Capolicchio

Considerato un ‘enfant prodige’ del teatro italiano, Lino Capolicchio debutta nelle Baruffe chiozzotte (1965) diretto da Strehler, con cui reciterà anche nel Gioco dei potenti . Poco dopo è in tv con G. Landi e al cinema in Escalation di R. Faenza (1968), ma il successo internazionale arriva con il film Il giardino dei Finzi Contini di De Sica (1970). Interprete soprattutto di personaggi timidi, sfuggenti, un po’ anime candide ma anche ambigui, recita in altre pellicole celebri del cinema italiano (Il giovane normale , Amore e ginnastica ). A quarant’anni torna in teatro con la regia di Petri in L’orologio americano di A. Miller (1981) e prosegue l’attività con altri registi (W. Pagliaro, G. Patroni Griffi). Sul fronte cinematografico folgorante è l’incontro con Pupi Avati, con il quale instaura un lungo e fortunato sodalizio, da La casa dalle finestre che ridono (1976) a Fratelli e sorelle (1992), compresi due sceneggiati tv (Jazz band e Cinema!). Apprezzato interprete televisivo, al Conte di Montecristo nei panni di Andrea Cavalcanti hanno fatto seguito, negli anni ’90, Carlo Magno e Casa Ricordi . Nel 1998 ha debuttato nella regia lirica con La bohème.

Marconcini

Dario Marconcini dopo essersi formato attraverso diverse esperienze come il teatro universitario di Pisa, il Teatro di Livorno e la Filodrammatica di Pontedera negli anni ’60 fonda, sempre a Pontedera, il Piccolo Teatro in cui tiene anche corsi di recitazione. A metà degli anni ’70 è nel gruppo che fonda il Centro di sperimentazione teatrale di Pontedera che si dedica alla ricerca di forme di teatro dimenticate come il teatro delle marionette napoletane o i `pazzarielli’ della tradizione di strada. Dagli anni ’80 al Centro di Pontedera coordina la scuola di teatro che cerca di saldare la tradizione con la ricerca e che ha avuto tra i suoi docenti M. Fabbri, J. Stuhr, R. Cieslak. Nel 1984 comincia la sua collaborazione con Paolo Billi con il quale, a Buti (in provincia di Pisa), comincia una ricerca sulle possibilità di contaminazione tra il patrimonio della tradizione popolare di canto in ottava – il maggio – e alcune forme di sperimentazione teatrale contemporanee. In questo ambito ha curato in coppia con Billi la messa in scena di numerosi spettacoli tra i quali: Gerusalemme liberata (1987) con T. Servillo, P. Casale e la Compagnia del Maggio, Medea (1988) opera in Maggio di P. Frediani e Madre Courage (1988) di Brecht con M. D’Amburgo, M. Salviati e la Compagnia del Maggio. Dal 1987 è direttore artistico del Teatro Francesco di Bartolo di Buti, per il quale cura le stagioni, la rassegna `Piccoli Fuochi’ e le produzioni. Tra le sue regie ricordiamo: Scene da Peer Gynt (1989) con la Compagnia del Maggio di Buti; In Tauride (1991) da Euripide, Goethe, Fassbinder; Santa Oliva (1992), opera in Maggio presentata al Festival di Volterra; Madelon (1993) da Viaggio al termine della notte di Céline e ancora con il Maggio Letture dall’Inferno di Dante (1995). Recentemente ha allestito: Textes pour rien (1996), Mise en espace da Beckett e Justine (1998) cronache da De Sade. Al cinema è apparso in due film, Confortorio (1992) e Tiburzi (1997) di P. Benvenuti, che ha anche filmato alcuni spettacoli della Compagnia del Maggio.

Santagata

Prima di fondare una delle compagnie più interessanti del teatro di ricerca italiano, Alfonso Santagata è stato allievo alla scuola del Piccolo Teatro di Milano e ha lavorato per anni con D. Fo e C. Cecchi. Con quest’ultimo in particolare ha recitato in L’uomo la bestia e la virtù di Pirandello, nel Borghese gentiluomo e nel Don Giovanni di Molière. Dieci anni di palcoscenico, un’istintiva e magnetica caratura di interprete, e la preziosa `scuola’ di Cecchi che rielabora in termini moderni la tradizione, consentono a Santagata il grande salto dell’autonomia creativa che comincia nel 1979, quando fonda con Claudio Morganti la compagnia Katzenmacher. Con lo stesso titolo dell’associazione culturale debutta il primo, commovente e abrasivo spettacolo della coppia che fin dall’inizio del sodalizio esplora e rielabora la marginalità e la devianza, raggiungendo, attraverso autori come Büchner, Cervantes, Dostoevskij, Beckett, con riscritture e elaborati work in progress autonomi e originali, vertici di alto valore poetico e comunicativo.

La consacrazione avviene nel 1984, dopo Büchner Mon Amour (1981) e En Passant (1983), con il premio Ubu e il Premio della critica per Il calapranzi di Pinter diretto da Cecchi. Mucciana City (1984), Hauser Hauser (1986) e Dopo (1987) precedono il lavoro con i detenuti della casa circondariale di Lodi ( Andata e ritorno, del 1987), esperienza-spettacolo da cui è tratto il video Un giorno qualsiasi (Rai di Milano). A cavallo tra gli anni ’80 e ’90, la coppia, di cui Santagata è spesso anche autore e regista oltre che attore, è ormai conosciuta in Italia e all’estero e Nanni Moretti lo vorrà nel cast di Palombella Rossa. Dopo Saavedra ispirato a Cervantes, Pa Ublié, Omsk , Redmun, Finale di partita di Beckett e Il guardiano di Pinter (quest’ultimo del 1992), la coppia decide di sciogliersi.

Santagata resta direttore artistico della compagnia Katzenmacher e prosegue la propria ricerca con un gruppo di giovani attori, tra cui Massimiliano Speziani e Giuseppe Battiston, entrambi premio Ubu 1997 per la singolare interpretazione in Petito strenge del 1996. Il lavoro che con Terra sventrata e Polveri (1994), Tamburnait e King Lear (1996) coniuga, attraverso una ricerca shakespeariana, la vocazione alla trasmissione del mestiere dell’attore con la produzione artistica vera e propria, si indirizza nelle ultime stagioni verso la rivisitazione della farsa (Petito) e del teatro di Jarry (Ubu scornacchiato del 1997 e Ubu `u pazz del 1998), prodromi di una esplorazione a venire sugli archetipi della tragedia.

Hope

All’età di quattro anni Bob Hope è trasferito con tutta la sua famiglia a Cleveland, Ohio, dove cresce, vince un concorso (a dieci anni) con un’imitazione di Chaplin, pratica la boxe e molti lavori casuali. Si accosta all’arte dell’attore per caso e nel vaudeville: un numero di canto, imitazioni, `eccentric dances’ per cui viene notato da “Variety”; nel 1929 è a New York; nel 1933 è fra i protagonisti di Roberta . Fra il 1934 e il ’36 gira a New York otto brevi commedie per il cinema. Nel 1936 è presente a Broadway, prima nelle Ziegfeld Follies di quell’anno e poi, in ottobre, in Red, Hot and Blue di Cole Porter: terzo nome dopo Jimmy Durante e Ethel Merman, con un onorevole score di 183 repliche e un onorevole piazzamento per il nostro comico. Sarà la radio (mezzo di massimo successo alla fine degli anni ’30) a condurlo a Hollywood: The Big Broadcast of 1938 è un film tratto da una trasmissione di successo. Negli anni ’40 H. raggiunge il successo assoluto con i vari film Road to… ( Singapore, Zanzibar, Morocco, ecc.), formando un terzetto indimenticabile con Bing Crosby e Dorothy Lamour vittima casuale delle macchinazioni del suo partner maschile.

Sullo schermo Bob Hope caratterizza amabilmente la figura dell’anti-eroe un po’ timido e talora meschino, che bilancia l’insicurezza innata con una sfumatura di arguzia: personaggio in grado di suscitare la tenerezza e il sentimento amoroso anche di donne bellissime come Shirley Ross, Betty Hutton, Jane Russell e Lucille Ball in film come Parata di stelle (1947), Viso pallido (1948), Come divenni padre (1949), Arrivan le ragazze (1953). Bob Hope non tornerà più al teatro, ma le sue apparizioni personali (`one man shows’) si moltiplicheranno lungo gli anni: non solo special televisivi, di grandissimo successo (ha debuttato in tv nel 1950), ma anche le tournée sui vari teatri di guerra dove erano presenti soldati americani, dalla seconda guerra mondiale alla Corea, al Vietnam, addirittura all’assembramento delle truppe in Arabia Saudita per la crisi Iraq-Kuwait (1990-91). Altre celeberrime apparizioni di H. sono state infinite presentazioni agli Oscar, gli Academy Awards. Personalmente, H. di Oscar ne ha vinti cinque (1940, ’44, ’52, ’59 e ’65), tutti per le sue attività umanitarie o i contributi alle attività dell’Academy. Infine va ricordato che dal 1941 al 1953, con l’eccezione del ’48, H. è stato presente nella lista dei dieci attori di maggiore incasso del cinema. Ha sempre dedicato molto del suo tempo e del suo massiccio patrimonio ad attività benefiche. Infine ha scritto dieci libri di viaggi, di golf o autobiografici, l’ultimo uscito nel 1990.

Volontè

Interprete tra i più originali del cinema italiano, con il suo viso scavato e lo sguardo severo, Gian Maria Volonté fu una maschera indecifrabile, fortemente espressiva e ricca di mimetismo. Ha sempre caratterizzato la sua attività legandola a doppio filo con il suo impegno politico e civile, seguito con estrema coerenza. È stato l’incontrastato protagonista del cinema politico degli anni ’60 e ’70. Le sue prime prove teatrali sono all’interno dei Carri di Tespi; in seguito, si diploma giovanissimo all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’. Il successo lo ottiene però grazie allo sceneggiato televisivo L’idiota di Dostoevskji nella parte di Rogozin, che gli permette di lavorare con Sequi, Prosperi, Squarzina e Enriquez. Lo stesso Enriquez lo dirige in Romeo e Giulietta dove incontra Carla Gravina, sua compagna anche nella vita. Si impegna con gli Artisti Associati e interpreta Sacco e Vanzetti con la regia di Sbragia.

Nel 1963 insieme alla Occhini e Pani, con la regia di L. Ronconi, lavora in una sintesi de La putta onorata e La buona moglie , dove recita con una vena satirica il personaggio del Marchese di Ripaverde. Prosegue con scelte controcorrente e, nel 1965, mette in scena il Vicario di Hochhuth, uno spettacolo sui rapporti tra la Chiesa (Pio XII) e il nazismo, la cui anteprima è interrotta dalla polizia. Nel 1981 torna a teatro anche in veste di regista in uno sfortunato Girotondo di Schnitzler. La sua attività in tv è ridotta: ne viene allontanato nell’era Bernabei, in un periodo in cui aveva notevole successo, per il suo dichiarato impegno a favore della sinistra.

Ma è nel cinema che ottiene il maggior successo: nel 1964, con lo pseudonimo di John Wells, nei film di Sergio Leone Per un pugno di dollari e Qualche dollaro in più. Ha lavorato con Rosi in cinque film. È protagonista de Il caso Mattei (1972), Lucky Luciano nel film omonimo (1973), Cristo si è fermato a Eboli (1978). Significativo anche l’impegno con Petri in Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970), La classe operaia va in paradiso (1971), Todo modo (1976), La morte di Mario Ricci (1983). Muore sul set del film Lo sguardo di Ulisse di T. Anghelopolus.

Tarascio

Enzo Tarascio approda al Piccolo di Milano nel 1951, dove comincia una lunga collaborazione che lo porterà a recitare in numerosi spettacoli tra i quali L’oro matto (1951) di Giovaninetti, La giara (1954) di Pirandello, Il giardino dei ciliegi di Cechov (1955), L’anima buona di Sezuan di Brecht e Platonov e gli altri (1959) di Cechov. Dopo aver interpretato testi di autori classici e contemporanei come Squarzina, Genet, Bertolazzi e Brecht nel 1974 sostituisce Matteuzzi nel ruolo di Balanzone nell’ Arlecchino servitore di due padroni con la regia di Strehler. Pur inizialmente non sentendosi portato per un personaggio del genere in breve diverrà per lui una seconda pelle, tanto che lo ricoprirà ininterrottamente fino al 1988 nei vari allestimenti andati in scena. Fra gli ultimi spettacoli al Piccolo di Milano I giganti della montagna e Come tu mi vuoi di Pirandello.

Oida

Dopo aver studiato filosofia all’università di Kelo Yoshi Oida inizia a interessarsi al teatro tradizionale del suo paese: frequenta le scuole Nô, Kyogen, Buyo (danza Kabuki), studia il Gidayu sotto la guida del maestro Juzo Tsuruzawa (diventa narratore del teatro delle marionette, il Bunraku). Intraprende così una fortunata carriera d’attore in Giappone nel teatro moderno, in televisione e al cinema. Nel 1968 accetta l’invito di J.L. Barrault e si trasferisce in Francia, dove comincia la sua straordinaria collaborazione con Peter Brook. Con il suo lavoro si integra perfettamente con le attività del Centre international de recherches théâtrales (Cirt) e appare in molte produzioni atipiche e non convenzionali. Ricordiamo una Pièce expérimentale sur La tempête (1968), da Shakespeare; Orghast (1971) di T. Hughes, messo in scena da Brook a Persepoli (Iran); La conférence des oiseaux (1973) a New York, Les Iks (1975) per C. Turnbull, il Mahabharata (1985) con Brook al festival di Avignone e la versione de La tempête (1990) con debutto a Zurigo. Nel 1993 a Parigi è L’homme qui in una pièce adattata da O. Sachs, sempre con la regia di Brook. Fin dal 1975 però O. ha affiancato alle sue collaborazioni un’intensa attività teatrale con una sua personale compagnia, con cui ha battuto i sentieri di quasi tutti i generi, sempre all’insegna della ricerca. Della Yoshi and Company si ricordano Hannya Shingyo (1975) , Le sac ridicule (1978), adattamento da Molière, Ame Tsuchi (1978) sulla mitologia giapponese di M. Takahashi, Le livre des morts tibétain (1982), La Divine Comédie (1982), Über den Berg kommen (1983), una pièce del teatro nô di K. Komachi a Monaco, La marche du caméléon (1988) ispirata al folklore africano, L’histoire de Kantan (1989) da un testo nô, Madame de Sade (1995) di Y. Mishima. Sempre nel 1995 lavora con P. Greenaway al film The Pillow Book. Nel 1997 O. ha messo in scena Fin de partie di Beckett in Olanda, Molly Swoeney di B. Friel e La femme de sable , tratto dal romanzo di Kobo Abe. Nel 1992 viene nominato cavaliere dell’Ordine delle arti e delle lettere dal ministero francese della cultura e della comunicazione. O. dirige dal 1975 laboratori di formazione sulla tradizione giapponese e vanta diverse pubblicazioni di rilievo tradotte in diverse lingue, come L’acteur flottant e L’acteur invisible .

Bosetti

Nato sopra l’allora Teatro Duse fatto costruire dal nonno impresario, Giulio Bosetti si iscrive a Scienze politiche e all’Accademia d’arte drammatica ‘S. D’Amico’, scegliendo in seguito la carriera teatrale. L’esordio avviene nella stagione 1950-51 con La Moscheta di Ruzante, con la regia di G. De Bosio. Dopo una breve esperienza al Piccolo Teatro di Milano con Strehler, affianca Gassman nell’ Oreste di Alfieri, quindi si sposta tra gli stabili di Genova, Trieste (che dirigerà dal 1967 per cinque anni) e Torino. Forma la prima compagnia nel ’64 per Le notti bianche da Dostoevskij con G. Lazzarini, debutta come regista teatrale nel 1970 ( Zio Vanja di Cechov) e allestisce opere liriche (Lucia di Lammermoor , Tokyo, 1974). Forma quindi la Cooperativa Teatro Mobile e, negli anni 1980, la Compagnia Giulio Bosetti. Tra gli autori interpretati, Brecht (Un uomo è un uomo), Sofocle (Edipo Re), Shakespeare (Vita e morte di Re Giovanni ), Pirandello. Ha diretto lo Stabile del Veneto ‘Carlo Goldoni’ dal 1992 fino all’estate del ’97. È stato attore goldoniano in Le massere, La bottega del caffé e Il bugiardo (con regia di G. De Bosio), La famiglia dell’antiquario (regia di M. Sciaccaluga); dopo aver affrontato Molière in Don Giovanni, Tartufo e L’avaro è stato quindi protagonista del Malato immaginario con la regia di J. Lassalle; ha inoltre interpretato Spettri di Ibsen e Se i no xe mati no li volemo di G. Rocca, di cui ha curato anche la regia, così come per Le ultime lune di F. Bordon, ritorno e addio al teatro di M. Mastroianni. Dalla stagione 1997-1998 è direttore artistico del Teatro Carcano di Milano, per il quale ha progettato la versione teatrale, assieme a Tullio Kezich, di Un amore di Buzzati, mentre si appresta a interpretare Aspettando Godot di Beckett. Se la prestanza giovanile l’ha dirottato sui classici, la maturità ha favorito una naturale predisposizione ai contemporanei, da Ionesco (Il re muore, La lezione e un insuperato Béranger di Assassino senza movente) a Kafka (Il processo) a Svevo (La coscienza di Zeno e Zeno o la cura del fumo) e soprattutto all’amato Pirandello del quale era stato il Figlio nei Sei personaggi in cerca d’autore (1953, regia G. De Bosio), al Teatro dell’Università di Padova. Dell’autore agrigentino, per tappe successive affronta Ma non è una cosa seria (1957, Stabile di Trieste), Vestire gli ignudi (Taormina, 1958), La morsa (con Giulia Lazzarini e Antonio Salines, 1966, Teatro Club di Catania) e finalmente Romei Daddi di Non si sa come e il Martino Lori di Tutto per bene , un’interpretazione giocata sui mezzi toni dell’introversione senza nessuna concessione all’effetto facile, banco di prova dopo alcune sofferte maturate riprese dei Sei personaggi (ora nel ruolo del Padre) per l’ Enrico IV (1989) regia M. Sciaccaluga.

Pisu

Nel dopoguerra Raffaele Pisu si ritrova a condurre trasmissioni di varietà ai microfoni di Radio Bologna, nello stesso periodo (1945-47) in cui è tra i fondatori del Teatro La Soffitta di Bologna. Entra poi, per due stagioni, nella compagnia di Memo Benassi (1947-49). Ma il teatro serio non lo soddisfa e nel 1950 è nuovamente in conduzione in uno studio di Radio Roma. L’occasione di un grande debutto nell’amata rivista gli arriva con Festival (1954), megaproduzione di Remigio Paone, ma lo spettacolo si rivela un insuccesso, salvato a stento da Wanda Osiris. Va meglio il seguente SPQM al fianco di Gino Bramieri e Lisetta Nava (1955), ma il primo tributo alle sue doti di comico lo raccoglie con la rivista da camera Tre e simpatia (1956) dove è il protagonista maschile accanto a F. Rame e A. Steni. Nel frattempo ha modo di mettersi in luce anche sullo schermo cinematografico nel film di M. Monicelli Padri e figli (1957) e su quello televisivo nel varietà “Lui, lei e gli altri” (1956) e nel teleromanzo musicale “Valentina” (1958).

La vera popolarità gli arriva dalla TV, dallo show del sabato sera “L’amico del giaguaro” (1961) dove, insieme a Bramieri e M. Del Frate, ha modo di esibire tutte le sue qualità di intrattenitore, canto compreso. È il momento di sfruttare in teatro la notorietà acquisita e per un paio di stagioni torna alla rivista con la Del Frate in Sembra facile (1961) e Trecentosessantacinque (1963); poi ricostituisce il trio con Bramieri e la Del Frate in Italiani si nasce (1964). Al cinema è tra i protagonisti della grande commedia italiana degli anni ’60 in film come Italiani brava gente (1964) e L’ombrellone (1965). Dopo La trottola (1967) e Vengo anch’io (1968) la Rai lo conferma come presentatore di trasmissioni popolari di grande consenso, Senza rete” (1968) e “Che domenica amici” (1969), grazie alle quali conquista anche il pubblico infantile dando voce al pupazzo Provolino. Poi scompare improvvisamente in un lunghissimo e immotivato periodo di oblio (la conduzione di “Gran Bazar” nel 1978 su Telecentro è nota limitatamente all’area bolognese), interotto soltanto nel 1989 quando A. Ricci lo richiama all’attività sui teleschermi di Canale 5 nella trasmissione “Striscia la notizia” .