Platel

A quarant’anni Alain Platel è già uno dei nuovi maestri della scena europea ed è tra i pochissimi a aver assorbito la lezione di Pina Bausch ma per reinventarla in un teatrodanza che lui stesso definisce `postrealista’. Vi si rintracciano e elaborano sentimenti e presenze nella ricca Europa di fine secolo, con un interesse particolare e talvolta impertinente, per quanto, e quanti, ne stanno ai margini. La sua formazione è assai curiosa: prima di ottenere la laurea in pedagogia, segue corsi di mimo e arte circense e lavora con adolescenti difficili e abbandonati. Quindi incontra la coreografa Barbara Pearce che, a Parigi, lo ingaggia come danzatore non professionista in una compagnia di danza moderna di cui diviene la mascotte. Sembra dunque destinato a abbandonare la missione pedagogica, invece, tornato in Belgio, dà corso a un’attività di teatro amatoriale con un gruppo di amici in cui comincia a applicare metodi pedagogici. Nasce una sorta di `teatro d’appartamento’ che, tuttavia, già nel 1984 (con la pièce Stabat Mater ) viene giudicato sufficientemente professionale per entrare in un piccolo circuito di festival locali.

Ma il 1984 è anche l’anno ufficiale di nascita dei Ballets C. de la B. (Balletti contemporanei del Belgio: un nome ironico che richiama le compagnie storiche del Novecento, come i Ballets Russes). È il gruppo di artisti- dilettanti (ma anche registi come Hans Van de Broeck o Christine De Smedt) che per molti anni si identifica in Platel, anche se egli non ama esserne considerato il coreografo e tanto meno il direttore artistico. Fedele al principio che sulla scena non vi debba essere alcun tipo di interpretazione, ma piuttosto la vita di persone che vogliono raccontare liberamente, senza sottomettersi ai dettati di un regista o di un coreografo, la loro storia, P. si afferma comunque, come metteur en scène della sua compagnia, con lo spettacolo Emma (1988). Ma sono Bonjour Madame (1993) e La tristeza complice (1995) a sbalzarlo, con Les Ballets C. de la B., sulla scena internazionale. Interessato a lavorare anche in strutture diverse, allestisce, assieme al drammaturgo Arne Sierens, Moeder en Kind (1995) e Bernadetje (1996): quest’ultima originale e visionaria rievocazione della Santa di Lourdes che si materializza in una vera pista di autoscontro ben si addice ai giovani attori, danzatori e non professionisti del gruppo belga `Victoria’. Con Hildegard De Vuyst, sua abituale drammaturga-regista, firma, ancora per Les Ballets C.de la B, Iets op Bach (1998) in cui stigmatizza, nel confronto con la musica perfetta di Bach, un mondo in cui la miseria spirituale e culturale è ancor più devastante che la povertà materiale. Il suo teatrodanza non nasce da progetti predeterminati a tavolino, ma dalla scelta delle persone selezionate per dar corpo ai suoi spettacoli: si tratta in genere di personalità molto forti, diverse per esperienza e preparazione nell’ambito della danza, per cultura ed età (spesso sono bambini anche di pochi anni). L’obiettivo è creare un mondo di differenze dal quale lievitino desideri, pensieri, frustazioni, nostalgie: il pedagodo-coreografo-regista ne è il suscitatore e in fine diviene organizzatore `bruitista’ del caos.

Vachtangov

Dopo aver frequentato la scuola teatrale di A. Adasev, dove insegna L. Sulerzickij, collaboratore di Stanislavskij, nel 1911 Evgenij Bogratjonovic Vachtangov viene assunto al Teatro d’Arte di Mosca e diventa uno dei più accesi sostenitori del `sistema’ di educazione dell’attore che Stanislavskij sta mettendo a punto. Nel 1912, per volere di Stanislavskij, viene fondato il Primo Studio, dove un gruppo di giovani, fra cui appunto Vachtangov, senza il peso di prove e spettacoli, può liberamente sperimentare i nuovi principi. Anima dello Studio è L. Sulerzickij, che impone agli allievi una ferrea disciplina e imposta il lavoro su basi rigidamente etiche: alla bravura antepone la correttezza e la generosità, alle doti artistiche quelle umane. Il lavoro si svolge in un’atmosfera severa e appassionata. In una stanza dell’appartamento in cui si svolgono le lezioni viene allestito un minuscolo palcoscenico, con il pubblico a pochi metri dagli attori.

I primi spettacoli (Il grillo nel focolare, tratto da un racconto di Dickens; Il diluvio di Berger; La dodicesima notte di Shakespeare) vedono Vachtangov impegnato più come attore che come regista e le sue interpretazoni si segnalano per intelligenza e originalità. A partire dal 1913 guida un gruppo di studenti che gli si rivolgono per consigli e per lezioni, spinti dalla comune passione per il teatro. Nonostante la diffidenza di Stanislavskij, sostenitore della professionalità e nemico di ogni dilettantismo, Vachtangov si lancia con entusiasmo nell’impresa, dimostrando una straordinaria vocazione pedagogica. I testi scelti per le prime esercitazioni, che diventano poi spettacoli, sono edificanti parabole come Il miracolo di sant’Antonio di Maeterlinck o raffinate ricerche sul ritmo e sul grottesco come Le nozze di Cechov.

Dopo la rivoluzione d’Ottobre aderisce con slancio al nuovo regime e aumenta fortemente la sua attività pedagogica, in vari gruppi studenteschi e operai. Contemporaneamente, continua brillantemente la sua collaborazione con il Primo Studio, dove firma la regia di alcuni tra i più riusciti spettacoli del gruppo come Hedda Gabler di Ibsen (1920), trionfo del `metodo’ psicologico stanislavskiano, con la partecipazione straordinaria nel ruolo della protagonista di Ol’ga Knipper-Cechova, e Erik XIV di Strindberg (1921), dove riesce a trasmettere tutta l’angosciosa insicurezza degli anni rivoluzionari, grazie anche all’interpretazione allucinata che del sovrano dà Michail Cechov, nipote del grande scrittore. Con il maturare della sua prassi registica, si allontana dalla stretta osservanza del `sistema’: ai rigidi dettami del metodo psicologico sostituisce una più libera ricerca di teatralità, una più espressiva indagine sulla gestualità.

Chiamato dallo Studio teatrale ebraico Habima, dirige nel 1921 Il Dibbuk di An-ski in cui decide di utilizzare il testo in lingua ebraica antica, del tutto incomprensibile alla maggioranza del pubblico. Sempre per questo lavoro adotta per gli attori trucchi violenti e ritmi gestuali talora lenti talora sfrenati per esprimere l’intensa drammaticità della vicenda, che alterna misticismo e violenta polemica sociale. In questo periodo elabora nel suo Studio una messinscena di Principessa Turandot di Gozzi. Anche in questo spettacolo la prima preoccupazione è la libertà creativa dell’intero gruppo. Le scene sono costruite con materiali di recupero, i costumi fatti di stracci e oggetti casuali, la recitazione basata sull’improvvisazione, sulla libera espressione dell’indole di ciascun attore. L’effetto è sconvolgente: Gozzi sembra un autore contemporaneo, tanta è la scioltezza con cui viene letta l’antica fiaba. Gli interpreti utilizzano la loro acerba tecnica per esaltare l’invenzione e la fantasia e gli scenografi e costumisti si allontanano da ogni canone costituito.

Lo stesso Stanislavskij, così lontano, nella sua impostazione, da quel tipo di lavoro, applaude e si dichiara entusiasta. Con Vachtangov nasce una nuova linea di ricerca, che ha le sue radici nel `sistema’ e tuttavia si nutre di antiche tradizioni come quelle della Commedia dell’Arte. Minato da un male incurabile, Vachtangov muore poche settimane dopo la trionfale prima rappresentazione della sua Turandot, che rimane il suo testamento teatrale e la più perfetta e libera realizzazione del suo lungo cammino di regista.