Viviani

Raffaele Viviani esordisce giovanissimo come bambino prodigio nei teatrini popolari di Napoli, ma alla morte del padre, agiato attrezzista e impresario, è costretto ad una dura gavetta nei teatri di varietà. Si afferma nel 1904 con una personalissima interpretazione di una macchietta del repertorio di P. Villani, Lo scugnizzo di G. Capurro e F. Buongiovanni. Viviani, coniugando le sue doti acrobatiche e mimiche ad un impietoso realismo venato di amaro umorismo, crea una propria maniera che lo distingue dal bozzettismo di moda tra gli artisti di varietà e costituisce la premessa stilistica più cospicua della sua futura opera drammaturgica. L’elaborazione del repertorio macchiettistico è per il giovane analfabeta Viviani una vera e propria scuola di scrittura. Infatti quando nel 1917, in seguito alla crisi del caffè concerto, esordisce con una propria compagnia di prosa, trasforma i suoi numeri di varietà in pièce teatrali: `O vico (1917), Tuledo `e notte (1918), Scugnizzo (1918), Eden teatro (1919), La festa di Piedigrotta (1919). Sviluppa così una scrittura particolarmente sensibile alla rappresentazione dell’ambiente sociale in cui la narrazione procede coralmente attraverso un equilibrato contrappunto delle individualità di ciascun personaggio. Con Circo equestre Sgueglia (1922) Zingare (1926) e Napoli in frack (1926), si accentuano gli spetti drammatici del suo teatro d’ambiente napoletano che, nonostante l’avversione del fascismo, sono apprezzati in tutta la penisola e danno vita ad una produzione ricchissima tra cui ricordiamo: Morte di Carnevale (1928), Guappo `e cartone (1932), I vecchi di S. Gennaro (1933), L’ultimo scugnizzo (1932), La tavola dei poveri (1936-1954), Siamo tutti fratelli (1941). La attività di attore e capocomico di Viviani è particolarmente originale, si distingue infatti per una concertazione scenica accuratissima dove gesto musica e parola si fondono armonicamente.