Billi

Riccardo Billi esordì a vent’anni come fine dicitore alla Casina delle Rose di Roma. Abile fantasista, dotato di una buona voce tenorile ed imitatore di talento creativo venne subito notato e scritturato dalla compagnia di operette di Lydia Johnson in cui cantò e recitò fino al 1931 quando entrò a fianco di Wanda Osiris nella compagnia Maresca. Tornò quindi al varietà in duo con Romigioli dando vita ad un piacevole genere umoristico-musicale prima di cimentarsi con la prosa (Stabile di Napoli, 1936) e di mettere in scena l’anno seguente, in veste di capocomico, la commedia musicale di Bassano Il vedovo allegro. Nel 1943 fu scritturato come primo comico accanto a Paola Borboni nella rivista di Galdieri Mani in tasca e naso al vento. La grande svolta della sua carriera avvenne quando, nell’immediato dopoguerra, conobbe casualmente Mario Riva, il presentatore ed intrattenitore col quale formò per un decennio una coppia comica assortita e calibrata. Il loro successo prese il via con la rivista radiofonica di Garinei e Giovannini La Bisarca (1950), il cui clamoroso successo popolare indusse gli autori ad adattarla a quella scena teatrale che ancora per molti anni vide premiata la ditta B. e Riva in numerose altre riviste quali Alta tensione (1951-52), I fanatici (1952-53), Caccia al tesoro (1953-54) e Siamo tutti dottori (1954-55). L’inevitabile approdo televisivo (ad Un, due, tre) della coppia ormai così famosa non cambiò però l’atteggiamento di diffidenza che B. nutriva nei confronti del nuovo mezzo di comunicazione, tanto che nel 1956 l’attore tornò al teatro con le riviste Billi e pupe e Doppio rosa al sexy , nuovamente con la Osiris. È di questi anni anche l’attività cinematografica del comico toscano che adottato da Roma s’impose, sempre al fianco di Riva, in una fortunata serie di film commerciali, prima di concludere la sua carriera artistica con il teatro per ragazzi che dal 1968 al 1975 lo vide protagonista di un repertorio di favole come Cenerentola , Il gatto con gli stivali e Pollicino . Billi, seppur volontariamente, incarna con il suo rifiuto televisivo il suicidio consapevole di quella forma di varietà cui il piccolo schermo è riuscito a togliere la vita e la vitalità smembrandolo via via nelle reiterate manifestazioni musicali e nella disarmante antipatia di gran parte della moderna comicità.