Lopez

La sua carriera è intrecciata dal 1983 con quella del ? Trio, insieme ad Anna Marchesini e Tullio Solenghi. Inizia il suo apprendistato di attore al Teatro Stabile di Genova. Dopo diverse esperienze in ruoli tradizionali, è con Amleto in trattoria di Achille Campanile che inizia ad interpretare ruoli comici. Conclusasi l’esperienza con lo Stabile, trova l’occasione di interpretare un ruolo comico in Non ci ha fatto effetto affatto , rivisitazione in chiave ironica di Romeo e Giulietta diretta da Tonino Pulci. Sarà nelle sale di doppiaggio (lavoro a cui si dedica per due anni) che incontra Anna Marchesini, da lì il Trio fino al 1990. In tv, oltre ad aver condotto programmi di varietà ( Massimo ascolto , 1994; Scherzi a parte , 1995; I guastafeste , 1996), è stato il popolarissimo testimonial per la Telecom (il condannato a morte che chiede di fare un’ultima, interminabile, telefonata).

Le Clercq

Si forma presso la School of American Ballet, per entrare poi nella Ballet Society (1946), dove resta come solista di spicco, quando la compagnia diventa New York City Ballet. Colpita dalla poliomielite durante una tournée europea (1956) deve abbandonare le scene, dove si era distinta in Quattro temperamenti (1946), Divertimento (1947), Orpheus (1948), Bourrée fantasque (1949), La Valse (1951), Caracole (1952), Western Symphony, Ivesiana (1954) di Balanchine; in Illuminations di Ashton (1950); in The Pied Piper (1951), Afternoon of a Faune (1953) e The Concert (1956) di Robbins. Autrice del libro Mourka, the Autobiography of a Cat (1964) e del manuale Ballet Cookbook (1967), è tra le muse ispiratrici di Balanchine, di cui è stata anche moglie (1952-1969).

Lopez

Precocissimo, iniziò a scrivere appena dodicenne, componendo una commedia ( Casigliani ) per Novelli. E, quando di anni ne aveva sedici, un suo atto unico fu letto da Zacconi. Si laureò in lettere. Durante la prima guerra mondiale fu tra i fondatori del Teatro del Soldato e, successivamente, diresse il Teatro del Popolo di Milano presso la Società Umanitaria. Assai legato allo stile tardo ottocentesco, compose una quarantina di lavori, apprezzati dal pubblico della piccola borghesia. Tra questi vanno ricordati: La morale che corre (1904), Bufere (1907), La buona figliola (1909), Sole d’ottobre (1916), Ombre (1917) e Pigrizia ( 1932). Ottenne un buon successo come autore in vernacolo con Schiccheri è grande (1920) e, soprattutto, con La signora Rosa (1928), dove creò il personaggio di Zazzera.

Lifar

I primi rudimenti della danza Serge Lifar li apprese a Kiev da Bronislava Nijinska. All’epoca in cui faceva parte dei Balletti Russi di Diaghilev ebbe l’opportunità, nei primi anni ’20, di studiare con il grande Enrico Cecchetti ed anche con Pierre Vladimirov. In seno a quella compagnia fu il primo interprete dei balletti Les Pâcheux e Le Train bleu di B. Nijinska (1924); Zéphire et Flore e Les Matelots (1925), Pas d’acier (1927) e Ode (1928), tutti di L. Massine; Barabau (1925), La Chatte (1927), Apollon Musagète (1928), Le Bal e Le Fils prodigue (1929) di Balanchine. Il suo debutto come coreografo avvenne con una nuova coreografia del Renard di Stravinskij (1929). Proprio nel 1929, per una defezione di Balanchine, ammalatosi, all’Opéra di Parigi, L. si trovò ad assumere il ruolo protagonista e la coreografia del balletto Le creature di Prometeo di Beethoven. Da quel momento iniziò la carriera di L. al quale furono affidate le sorti della danza al Palais Garnier con una lunga successione di creazioni, quale più, quale meno riuscita. Icare (1935) colpì per l’originalità dell’impianto coreografico composto su ritmi appositamente creati per lui dal musicista su richiesta del coreografo. Fra i numerosi balletti doveva avere lunga vita Les Mirages (musica di Herni Sauguet, 1944) ma anche Suite en blanc (musica di E. Lalo, 1943) entrava subito nel repertorio e vi rimaneva (ancora recenti le riprese), chiaro esempio di balletto d’alta scuola affidato a quella che è sempre stata la netta preferenza del coreografo: la `danse d’école’ secondo uno schema di balletto concertante che doveva poi essere sublimato da Balanchine.

Accusato di collaborazionismo al termine della seconda guerra mondiale, L. fondò il Nouveau Ballet de Monte-Carlo per il quale metteva in scena molte nuove creazioni, tra il 1946 e il ’47. Tornava all’Opéra di Parigi dal 1947 al ’58 come coreografo ospite in Francia e all’estero. Il più importante lavoro di quel periodo è stato Phèdre (1950), libretto di Jean Cocteau, musica di Georges Auric. Molti i lavori collaterali e densa l’attività di scrittore con un lungo elenco di opere storico-critiche. Purtroppo, in generale, le sue coreografie non suscitano più l’interesse del pubblico come un tempo ma il ruolo di L. è importante nel balletto di questo secolo. Notevole la qualità del ballerino dovuta, in particolare, alla bellezza della figura e delle linee che sfruttò soprattutto in tutti i ruoli di danseur noble, principale fra i quali è stato quello dell’ Apollon Musagète creato sulla sua personale misura da Balanchine. Fra le sue pubblicazioni, circa una trentina, è da ricordare Le Manifeste du Chorégraphe (1935). Numerosi i riconoscimenti. Per la bibliografia si veda l’omaggio dedicatogli dalla rivista “Les Saisons de la Danse” con l’elenco completo dei ruoli e delle attività sul numero del febbraio 1970. Nel 1990 uscita, postumo, l’ultimo suo libro Les Mémoires d’Icare , testimonianza di una vita tumultuosa e celebratissima.

Lodi

Michele Galdieri cucì addosso a Delia Lodi (1941-42: È bello qualche volta andare a piedi ) il ruolo della soubrette `Signora Elegante’ e fu contrasto netto con i due nomi in ditta, Virgilio Riento e Tina Pica, famosi caratteristi `plebei’ e dialettali. Nel 1937, sempre in uno spettacolo di Galdieri, con Totò scatenato protagonista ( Eravamo sette sorelle ), la L., in un fantastico finale `a sorpresa’, veniva letteralmente proiettata, su un divano, fra le prime file di poltrone (posto assai ambito nelle repliche, allorché si sparse la notizia…). Nel 1938-39 fu con Nuto Navarrini e Isa Bluette in Il ratto delle cubane di Bel Ami. In Chicchirichì di Gelich-D’Anzi-Bracchi (1947-48), la rivista che consacrò Dapporto, l’elegante L. ben s’intonava con il maliardo. Nel copione, figura una parodia di Lucky Luciano, il gangster rispedito in Italia dagli americani: e proprio Lucky Luciano assistette a Napoli più volte allo spettacolo. Divertendosi, pare. Nella stagione successiva (1949-50), si ripeté il sodalizio con Dapporto, in Buon appetito : apoteosi dei vari personaggi del comico ligure, dal `maliardo’ a `Monsieur Verdoux’ all’elegantissimo Petronio, che per vestirsi spende un patrimonio. Dopo qualche anno d’oblio, la L. rispunta accanto a Dapporto nella stagione 1953-54 in Baracca e burattini di Amendola e Mac; in compagnia, anche Lauretta Masiero. Nel 1954-55, eccola in un fortunato spettacolo Errepì: Siamo tutti dottori di Age, Scarpelli e Verde, con Billi e Riva nel ruolo di due spazzini in cerca di laurea. Musiche di Trovajoli interpretate dal Quartetto Cetra, con Diana Dei, la rivelazione Franca May, e il balletto delle Bluebell.

Lattuada

Diplomata all’Accademia Filodrammatici, Laura Lattuada si mette in luce con uno sceneggiato televisivo centrato sulla figura di una ragazza tossicodipendente ( Storia di Anna , 1981, regia di S. Nocita); in seguito è Rossana nel Cirano di Dumas con G. Proietti, poi nel primo film di C. Delle Piane, Ti amo, Maria . Dopo una Pamela di Goldoni diretta da B. Navello e un monologo di B. Strauss ( Lettera allo sposo ), nel 1995 recita in Io e mia figlia di F. Dorin con M. Placido. Nella stagione 1997-98 è in Uscirò dalla tua vita in taxi di Waterhouse e Hall, con G. Zanetti e la regia di P. Rossi Gastaldi.

Lanzetta

Alla fine degli anni ’70 esordisce nel cabaret all’Osteria del Gallo di Napoli con altri artisti partenopei. Attento alle problematiche giovanili, nel 1983 il suo spettacolo Napoletano pentito prosegue sul filone sociale e più precisamente sul tema dell’emarginazione; seguono Bombatomica e Roipnol (entrambi nel 1984). Il confronto tra Secondigliano e New York sarà lo spunto per Lenny , omaggio a Lenny Bruce in versione poetica (1988). Prima di apparire in tv, dedica alla fine di una storia d’amore sospesa tra un sì e un no Caro Achille ti scrivo , che debutta nel 1990. Con un buon successo cinematografico (è uno dei protagonisti de L’amore molesto di Mario Martone), mostra anche doti di musicista scrivendo per James Senese, Enzo Avitabile, Tullio de Piscopo e Roberto Murolo. È autore inoltre di racconti e romanzi: Una vita postdatata (Lampi e tuoni dal Bronx Napoletano), Figli di un Bronx minore , Messico napoletano , Un amore a termine . Il gallo cantò è la sua più recente produzione teatrale.

Luce

Angela Luce «non fa parte del facile mondo piccolo-borghese di certi artisti napoletani. Angela è attrice e cantante verace, autentica figlia del popolo, aggressiva e imbarazzante come la faccia vera di Napoli». Sono parole di Giuseppe Patroni Griffi. E, in effetti, proprio sotto la guida di Patroni Griffi la Luce dà le prove più importanti e persuasive della sua carriera teatrale. Aveva cominciato giovanissima con Eduardo De Filippo (da citare, per esempio, una sua comparsa, a appena sedici anni, in un memorabile allestimento di `Na santarella di Scarpetta, al fianco di attori del calibro di Pupella Maggio, Ugo D’Alessio, Franco Sportelli, Pietro Carloni, Pietro De Vico, Enzo Cannavale e Antonio Casagrande), ma ad imporla sono, rispettivamente nel ’67 e nel ’70, i due grandi allestimenti vivianei diretti per l’appunto da Patroni Griffi: Napoli: notte e giorno e Napoli: chi resta e chi parte . E i suoi ritratti delle due prostitute Ines (colei che canta la celeberrima “So’ Bammenella `e copp’ ‘e Quartiere”) e Celeste sono, senza alcun dubbio, da collocare in un’ideale antologia del grande teatro napoletano.

Luotto

Laureato in cinematografia all’Università di Boston e trasferitosi in Italia, Andy Luotto dopo alcune esperienze in televisioni locali viene lanciato da Renzo Arbore all’interno del programma L’altra domenica (1976), in cui è ospite fisso, interpretando il personaggio dell’italo-americano, capace di sentenziare per ogni cosa solo `bbuono’ o `no bbuono’. Sull’onda del successo, L. gira l’Italia con spettacoli di cabaret e prova la carta del cinema. Nel 1979 esce SuperAndy , film che non ha lasciato traccia. Sarà ancora la televisione a riportarlo in auge, grazie al successivo programma di Arbore, Quelli della notte (1985), in cui interpreta l’improbabile arabo Harmand. Tale caratterizzazione gli procurò dei problemi con la comunità musulmana. Tra le altre partecipazioni televisive: Pronto è la Rai (1988), Fantastico 10 (1990) e Il viaggiatore (1997). La sua unica partecipazione nel teatro tradizionale è con la regia di Gigi Proietti in La pulce nell’orecchio di Feydeau (1991).

Letestu

Studia alla Scuola di danza dell’Opéra di Parigi e entra a sedici anni nell’omonimo corpo di ballo, dove nel 1988 debutta come solista interpretando la Sirena nel Figliol prodigo di Balanchine. Vincitrice del Gran Prix de l’Eurovision (1989) e della medaglia d’oro al Concorso di Varna (1990) è nominata prima ballerina della compagnia nel 1993 e étoile nel 1997. Perfetta incarnazione della ballerina accademica `imperiale’, di grande bellezza e tecnica smagliante primeggia in ruoli del repertorio classico ( La bella addormentata ) e neoclassico ( Quattro temperamenti di Balanchine), mettendo non di meno in risalto un forte temperamento drammatico in titoli di Petit ( Notre-Dame de Paris ) e MacMillan ( Manon ).

Lavelli

Di origine argentina, ma figlio di italiani, Jorge Lavelli è tra i più incisivi registi della scena europea, caratterizza la sua ricca produzione, non soltanto teatrale ma anche lirica, con scelte audaci sia nel repertorio sia nello stile. Mescola sapientemente il realismo al grottesco, al surreale e alla fantasmagoria, con risultati ironici e rivoluzionari. Dopo studi di economia e alcune esperienze di teatro indipendente in Argentina, arriva a Parigi nel 1960 con una borsa di studio per i corsi di Lecoq. Allestisce il suo primo spettacolo ( Le tableau di Ionesco), e nel 1963 vince con Il matrimonio di W. Gombrowicz il concorso delle giovani compagnie teatrali: uno spettacolo tragico-grottesco, di un’ironia violenta, che fa di lui un regista riconosciuto. La scelta dei due autori è sintomo dei suoi interessi soprattutto verso il repertorio contemporaneo. Contribuisce infatti con i suoi allestimenti a far conoscere in Francia drammaturghi come Arrabal ( La torre di Babele , 1979) e Copi. Su testi di quest’ultimo realizza Una visita inopportuna e Quatre jumelles . Parallelamente al lavoro in teatro, ha anche una intensa attività come regista di opera lirica, soprattutto tra gli anni ’80 e ’90. In questo ambito le sue regie più significative sono: L’heure espagnole e L’enfant et les sortilèges di Ravel (1975) al Teatro alla Scala, Pelléas et Mélisande di Debussy (1977), Madama Butterfly (1978), Al gran sole carico d’amore di L. Nono (1982), Les arts florissants di M.A. Charpentier (1982), Le nozze di Figaro (1979), Il flauto magico (1989) e Il ratto dal serraglio (1990) di Mozart. Alla guida del Théâtre de la Colline dal 1988 al ’96, dove debutta con un’opera poco nota di García Lorca, El publico , impronta l’attività del teatro ad allestimenti di testi contemporanei, tra cui Alla greca (1990) e Décadence (1995) di S. Berkoff, Heldenplatz di T. Bernhard (1991) e Slaves di T. Kushner (1996).

Lebreton

La biografia artistica di Yves Lebreton lo vede allievo e poi collaboratore di Decroux (dal 1964 al ’68), per fondare nel 1969 a Holstebro l’atelier Studio 2, all’interno del Teatro laboratorio interscandinavo per l’arte dell’attore di E. Barba. Si dedica allo studio degli insegnamenti di Decroux, spostando il proprio interesse verso il carattere del mimo tragico astratto; di questo periodo sono gli spettacoli I quattro elementi e Ostinazione . Nel 1971 Lebreton si mette alla prova nelle riprese del film dedicato al metodo di Decroux (Il mimo corporale), prodotto dall’Odin Teatret e diretto da Torgeir Wethal. Con il canadese Gilles Maheu nel 1973 lavorerà a Possessione seguendo le indicazioni del mimo corporeo di Decroux, ma subito inizierà la carriera di artista solitario, rivolgendosi al comico e alla comunicazione diretta con lo spettatore. Nascono spettacoli che avranno molta fortuna di pubblico per lungo tempo, in cui il gesto media la propria portata simbolica con un plot narrativo che ha al centro la figura di Monsieur Ballon (Eh? O le avventure del Sig. Ballon, del 1973; Boh! O le disavventure del Sig. Ballon, del 1981). Nel 1976, dopo la parentesi danese, si sposta a Parigi dove fonda la compagnia Théâtre de l’Arbre, diventata nel 1981 L’Albero: Centro internazionale di formazione, ricerca e creazione teatrale, con sede in Italia. Benché il suo interesse continui a ripercorrere soluzioni sceniche che uniscono tecnica del gesto e comicità ( Flash è del ’91), la ricerca di Lebreton ha avvicinato immaginari surrealisti (Droit de regard , del ’78; La cage, del ’79), fino a convertire le impennate del comico in storie tragiche dallo sfondo moralistico, come in S.O.S. del 1986.

Lavia

Gabriele Lavia esordisce nel 1963 e si segnala in spettacoli quali Edipo re di Sofocle (Teatro alla Scala, 1969) e Re Lear di Shakespeare, con la regia di Strehler (Piccolo Teatro di Milano, 1973). Il suo debutto come regista risale al 1975, con Otello di Shakespeare. Artista inquieto, particolarmente attento alla grande drammaturgia classica, L. affronta i testi (anche come interprete) in letture registiche dalle tinte sovente fosche, drammatiche e attente alle patologie dell’uomo contemporaneo. Si ricordano, tra i numerosi allestimenti, i suoi lavori su Strindberg (Il padre, 1976 e 1990; Il pellicano, 1980; Delitto e delitto, 1983; La signorina Julie, 1992-93) e sull’amato Shakespeare, cui dedica molta attenzione (Amleto, 1978, 1981 e 1984; Tito Andronico, 1982; Macbeth, 1987; Riccardo III , 1989; Otello, 1994); su Kleist (Anfitrione, 1979; Il principe di Homburg , 1982; Il duello, con un suo adattamento, 1993), Dostoevskij (Il sogno di un uomo ridicolo, 1981 e 1994), Cechov (Il gabbiano, 1979; Zio Vanja, 1990; Il giardino dei ciliegi, 1995; Platonov, 1997) e Schiller (I masnadieri, 1982; Don Carlos, 1983). Affascinato da scritture particolari ed efficaci, Lavia dirige anche Servo di scena, di Harwood (1980), Miele selvatico di M. Frayn (1985), Il diavolo e il buon Dio di J.-P. Sartre (1985), Oreste di V. Alfieri (1993), Il nipote di Rameau di D. Diderot (1976 e 1991), Bergman (Scene da un matrimonio, 1997). Codirettore del Teatro Eliseo di Roma dal 1980 al 1987, direttore del Teatro stabile di Torino dal 1997, Lavia è anche autore di regie cinematografiche, spesso interpretate dalla moglie Monica Guerritore (Il principe di Homburg, 1983; Scandalosa Gilda, 1984; Sensi ,1986; La lupa di G. Verga, 1995) e di regie liriche (Gluck, Verdi, Donizetti, Mascagni, Leoncavallo).

Lavrovskij

Leonid Michailovic Lavrovskij si è diplomato all’Istituto coreografico di Leningrado ed è stato ballerino del teatro d’opera e balletto di Leningrado (Kirov) dal 1922 al 1935 (danzando nei ruoli di protagonista in Giselle, Le fiamme di Parigi, La bella addormentata, Il lago dei cigni) e interprete della danza sinfonica (La grandezza dell’universo di F. Lopuchov). Dal 1935 al 1938 è stato direttore artistico del Corpo di Ballo del Teatro Malyj di Leningrado (per il quale ha coreografato Fadetta , sulla musica di Sylvia di Delibes) e dal 1938 al 1944 del Kirov. Sono di questo periodo le sue coreografie più importanti: Il prigioniero del Caucaso (1938, musica di Boris Asaf’ev) e Romeo e Giulietta (1940, musica di Prokof’ev). Dal 1944 al 1964, con piccole interruzioni, è stato direttore artistico del balletto del teatro Bol’šoj di Mosca, dove ha coreografato Raymonda (1945), Romeo e Giulietta (1946), Il papavero rosso (1949), La notte di Valpurga (1949), Fadetta (1952), La fiaba del fiore di pietra (1954), Paganini (1960), Città di notte sulla musica del Mandarino meraviglioso di Bartók e Pagine di vita su musica di Balancivadše, entrambi del 1961. Nel 1959 ha creato la prima compagnia sovietica di balletto sul ghiaccio, per la quale ha coreografato Fantasia d’inverno (1959) e Sinfonia di neve (1959). La maggior parte delle sue coreografie è caratterizzata da una grande attenzione all’azione drammaturgica, e al profilo psicologico dei personaggi. L’attività di L., fra gli anni ’30 e ’50, si situa fra il massimo sviluppo e la decadenza del `drambalet’ (il balletto drammatico sovietico), genere al quale sono già estranei i suoi ultimi lavori, in cui si orienta verso le forme della sinfonia coreografica. Suo figlio, Michail Leonidovic L. (Tbilisi 1941) è stato dal 1961 al 1988 primo ballerino del Bol’šoj di Mosca. Medaglia d’oro a Varna nel 1965, è stato il primo interprete dello Schiaccianoci nella coreografia di Jurij Grigorovic.

Laurents

Si affermò affrontando in La patria dei prodi (Home of the Brave, 1945) il difficile processo d’adattamento di un soldato ebreo fra compagni d’arme che lo considerano un diverso. Scrisse poi opere imperniate su donne condannate alla solitudine da gravi problemi psicologici, come Il tempo del cuculo (The Time of the Cuckoo, 1952, da cui trasse anche un musical per R. Rodgers) e, meno riuscita, Una radura nei boschi (A Clearing in the Woods, 1957). Ma si fece soprattutto apprezzare come librettista di musical: suo è il testo di West Side Story (1957) di L. Bernstein.

Lift

Il Lift (London International Festival of Theatre) è una manifestazione londinese biennale nata nel 1981, intesa a portare al pubblico i migliori esempi delle rappresentazioni teatrali contemporanee elezionate in tutto il mondo per la loro forza espressiva, per le capacità innovative e per l’avanguardistica combinazione delle più diverse risorse formali. Come dice lo slogan, per accedere a questo festival occorre essere guidati dai sensi: «See, hear, taste and feel». Insieme al Royal Court vengono organizzati dibattiti e incontri con registi, attori e compagnie, ma le iniziative che ruotano intorno all’evento sono innumerevoli: conferenze, letture, proiezione di film, ecc. Gli spettacoli vengono allestiti un po’ dovunque a Londra: nei teatri, Royal Court Theatre, Ica, Lyric Theatre Hammersmith; in edifici di importanza storica per lo più in disuso, come The Mary Ward House, Trinity Buoy Wharf, Three Mills Island Studios; oppure in spazi aperti (Battersea Park, Highbury Fields).

Luzzati

Emanuele Luzzati ha studiato a Losanna alla École des beaux arts e des arts appliqueès. Inizia l’attività di scenografo collaborando con A. Fersen per Salomone e la regina di Saba (1945) e inaugurando, sempre con Fersen, la sala Eleonora Duse al Teatro stabile di Genova con L’amo di Fenisia di Lope de Vega e il Volpone di Jonson. Come illustratore pubblica in questi anni il suo primo libro per bambini I paladini di Francia . Questo amore per le illustrazioni di libri per l’infanzia si trasmette sulla scena dove i personaggi e le ambientazioni teatrali sono trasformati in immagini straordinariamente creative che appartengono a un mondo fiabesco. A partire dal Flauto Magico di Mozart, realizzato al Festival di Glyndebourne per la regia di F. Enriquez (1978), sviluppa una preferenza verso l’opera buffa. Con Il Turco in Italia (1983) inizia la sua collaborazione al Rossini Opera Festival di Pesaro, dove fra l’altro realizza La scala di seta per la regia di M. Scaparro (1987). Nell’ambito della prosa si dedica alla progettazione scenografica di commedie: ne sono un esempio La donna serpente di C. Gozzi, regia di E. Marcucci (Teatro stabile di Genova 1979) e, per la regia di De Bosio, La Piovana del Ruzante (Venezia 1987) e La Mandragola di N. Machiavelli (1989). Fonda nel 1976 il Teatro della Tosse con A. Trionfo e T. Conte, con i quali collaborerà a numerosissimi spettacoli. Con la messinscena di Ubu re di Jarry (1976), per la regia di T. Conte, inaugura il nuovo spazio teatrale, dove nel 1983 apre e dirige la scuola di scenografia. Nel corso della sua carriera di scenografo affronta anche la progettazione scenica di opere del teatro musicale del ‘900: Il sogno di una notte di mezza estate di Britten (English Opera Group 1976) con la regia di C. Graham; La tarantella di Pulcinella , musica di G. Negri, testo di Luzzati (Piccola Scala di Milano 1974). Per l’Aterballetto di Reggio Emilia collabora alla messinscena dei balletti L’istoire du soldat di Stravinskij (1982), Coppelia di Delibes entrambi con la coreografia di A. Amodio. Fra i suoi ultimi allestimenti, L’asino d’oro da Apuleio regia di P. Poli (1994). In L. l’invenzione della scena si sviluppa attraverso il gioco drammaturgico di pedane, piattaforme, trabocchetti, stoffe dipinte che esprimono, con la loro precarietà, il senso dell’effimero in teatro e l’illusione fantastica. Il segno grafico pittorico di L. diventa il motivo conduttore di tutti i suoi originali spettacoli. I suoi bozzetti realizzati attraverso collage di carta, dipinti e disegnati con estro di artista, ci permettono di entrare in quella scatola magica che è il suo teatro fantastico e personale.

Living Theatre

Living Theatre è gruppo teatrale americano fondato a New York nel 1948 da Julian Beck e Judith Malina. Il più importante e il più influente (non solo negli Stati Uniti ma in Europa) fra quelli che, opponendosi radicalmente a Broadway e a tutto ciò che esso rappresentava, compreso il sistema politico, economico e culturale di cui era più o meno direttamente l’espressione, aprirono al teatro nuove vie, suscitando consensi appassionati e dure ostilità e fornendo ispirazione a giovani teatranti irrequieti di ogni parte del mondo. Legati da un lato alla tradizione anarchico-pacifista della sinistra americana, dall’altro ai movimenti artistici d’avanguardia dell’immediato dopoguerra, all’inizio i due fondatori si proponevano soprattutto di affrontare i problemi del linguaggio e di allestire testi americani e stranieri di elevato contenuto poetico. Il primo spettacolo, che comprendeva atti unici di Paul Goodman, della Stein, di Brecht e di Lorca, fu allestito nel loro appartamento nell’estate del 1951. Pochi mesi dopo, con la messinscena di Doctor Faustus Lights the Light, una rielaborazione del tema faustiano scritta nel 1938 da Gertrude Stein, iniziò, stavolta in un teatro, quella che potremmo definire la fase Off-Broadway della storia del Living Theatre, durante la quale venne presentato, con inconsueto rigore e con criteri radicalmente differenti dal neo-naturalismo dominante, un repertorio alternativo a quelli delle scene commerciali. Fra gli autori in cartellone erano Jarry e Cocteau, Strindberg e ancora Goodman, ma anche il Racine di Fedra e il Pirandello di Questa sera si recita a soggetto .

I luoghi nei quali agivano furono per un anno un teatrino lontano da Broadway, per altri quattro un magazzino in disuso vicino a Broadway, e finalmente dal 1959 al 1963, dei locali che avevano appositamente ristrutturato, dove Living Theatre divenne il nome non solo di un gruppo ma di un vero e proprio teatro. In questa sede furono ancora messi in scena testi letterari preesistenti (da Many Loves di W.C. Williams a due opere di Brecht, Nella giungla delle città e Un uomo e un uomo ), ma vennero anche presentati i due spettacoli che segnarono l’inizio di una nuova fase: The Connection (1959) e The Brig (1963). Avevano entrambi un autore – rispettivamente Jack Gelber e Kenneth Brown – ma nascevano di fatto da esercizi d’improvvisazione collettiva che sviluppavano situazioni (nel primo caso un gruppo di tossicodipendenti in attesa di chi dovrà portar loro la droga, nel secondo le angherie quotidiane in una prigione di marines) più che costruire drammi nell’accezione tradizionale del termine. Mancavano infatti, soprattutto in The Brig, sia un vero intreccio sia una reale definizione dei personaggi. Attraverso la ripetitività delle azioni, perfettamente coreografate, si trasmetteva un messaggio di denuncia della brutalità dell’uomo sull’uomo e dei meccanismi implacabili escogitati dal sistema per distruggere chi non si piegava alle sue regole. Il discorso politico, presente in filigrana anche nell’attività precedente, diventava sempre più esplicito in un’America che s’accingeva a vivere i grandi movimenti di protesta degli anni Sessanta, da quelli dei neri e degli studenti alle manifestazioni contro l’intervento nel Vietnam. Il L. T. li visse in parte in Europa dopo che nell’ottobre del 1963 Beck e la Malina, accusati di evasione fiscale e condannati a pene detentive che avrebbero scontato più avanti, erano stati costretti a chiudere il loro teatro.

E fu nei quattro anni dell’esilio europeo, dal settembre 1964 all’agosto 1968, che portarono a maturazione la loro posizione ideologica – “Vita, rivoluzione e teatro” – avrebbe detto Beck – “sono tre parole che significano una sola cosa: un no categorico alla società attuale” – perfezionarono il loro modo di fare teatro, fondato sull’improvvisazione, sulla fisicità e sul coinvolgimento degli spettatori nell’azione scenica con l’eliminazione pressocché totale di scene, costumi ed effetti, e presentarono quegli spettacoli ai quali soprattutto rimase legata la loro fama. Il primo fu Mysteries and Small Pieces (1964), una serie di scene a se stanti, di chiara ispirazione artaudiana, che, rinunciando quasi del tutto alla parola, si rivolgevano contemporaneamente a tutti i sensi degli spettatori, scuotendoli e turbandoli. Il secondo, dopo una messinscena delle Serve di Genet interpretate da tre uomini, fu Frankenstein (due differenti versioni, l’una nel 1965, l’altra nel 1966), che partiva dal romanzo di Mary Shelley e mostrava, alternando effetti di grande suggestione rituale e momenti di sconvolgente ferocia, lo smembramento dell’uomo e il suo rimontaggio come un gigantesco robot. Seguirono un libero adattamento dell’ Antigone di Brecht (1967) trasformata in un grido disperato di libertà, e infine, al festival d’Avignone del 1968, Paradise Now , definito “un viaggio spirituale e politico per attori e spettatori”, destinato a proseguire nelle strade, che era certamente più vicino a una grande cerimonia rivoluzionaria collettiva che a una vera rappresentazione teatrale.

Dal teatro, in effetti, (quello dell’autore come quello del regista) il gruppo si era sempre più allontanato, con questi spettacoli rivolti a un pubblico del tutto compartecipe che ne condividesse i messaggi spesso semplicistici. A questo radicalismo, politico e artistico, s’accompagnava uno stile di vita che contribuì alla loro fama (o alla loro notorietà): `tragici dell’arte’, li definì qualcuno, alludendo alla loro natura di nomadi vagamente scalcinati e alla serietà profonda del loro impegno. E tali rimasero anche negli anni del declino, coraggiosamente fedeli alle proprie scelte e utopisticamente decisi a influire su una società che, in America e altrove, stava andando in direzioni differenti. Produssero ancora spettacoli – da Sette meditazioni sul sadomasochismo politico (1973) a Prometeo (1978) – e continuarono a girare il mondo, dall’Europa al Brasile, dove rimasero per tredici mesi, per trasmettere il loro messaggio anarchico-pacifista e per esprimere la loro attiva solidarietà ai movimenti di protesta politica e sociale. Dopo la morte di Beck (1985), il Living Theatre, sotto la guida della Malina affiancata da Hanon Reznikov, continua la sua attività, soprattutto a New York, presentando spettacoli, partecipando alle lotte dei diseredati e organizzando manifestazioni di teatro di strada.

Los Angeles Ballet

La Los Angeles Ballet viene fondata nel 1974 da John Clifford, nato a Hollywood e danzatore di spicco del New York City Ballet, di cui è stato direttore artistico, coreografo stabile e primo ballerino. Il repertorio, sotto la sua guida, comprendeva numerose creazioni proprie, come Pavane (1974), Beethoven Variations (1980) e Walse Scherzo (1983), e titoli di Balanchine. All’inizio degli anni ’80 il gruppo era formato da venticinque danzatori, fra cui Gelsey Kirkland. La compagnia ha smesso l’attività nel 1985 per difficoltà economiche.

Lindsay

Anche attore e regista, diede alle scene copioni scritti con vari collaboratori, in particolare con Russel Crouse (1893 – 1966). È a loro che si devono due massimi successi della storia di Broadway, la commedia Vita col padre (Life with Father, 1939), sulle manovre per convincere un ricco newyorkese fine secolo a farsi battezzare, e il musical The Sound of Music (1959) di Rodgers e Hammerstein. Ebbero rispettivamente 3224 e 1443 repliche, troppe per i loro modesti meriti. Fra gli altri titoli si ricorda Lo stato dell’unione (State of the Union, 1945), una commedia ambientata nel mondo della politica.

Lefèvre

Dopo essersi rivelata eccellente danzatrice presso l’Opéra di Parigi al Ballet-Studio di Descombey, Brigitte Lefèvre lascia l’importante istituzione per seguire strade più nuove, aperte alla sperimentazione coreografica. A La Rochelle, con il collega Jacques Garnier, crea alla fine degli anni ’60 il Théâtre du Silence, che per primo propone in Francia lavori di Cunningham e dei suoi allievi postmoderni, ma anche coreografie di autori francesi segnate da un lucido rigore cartesiano. Ne sono espressione balletti come Fiat Lux, Il disent parteciper, La Nuit (tutti di Garnier) e, da lei firmati, Microcosmos (1972) e Instantanément (1977). Successivamente diviene operatrice culturale, prima al fianco di Jack Lang, come delegata alla danza del suo Ministero della cultura, e poi come amministratrice di Palais Garnier. Nel 1996 succede a Dupond come direttrice artistica del Balletto dell’Opéra di Parigi.

Landi

Pirandello; Roma 1895 – ivi 1972), autore drammatico e pittore. Sceneggiatore, regista teatrale, figlio di Luigi Pirandello. Il nodo centrale dei suoi lavori fu il contrasto tra padre e figlio, trattato accenti spesso paradossali e difficili. Arrivò così a toccare più l’intelletto che i sentimenti del pubblico. Fondò nel 1930 a Roma il Teatro dei Giovani, che vide nascere al Salone Margherita una proficua collaborazione tra autori e attori. Tra i suoi testi si ricordano Un padre ci vuole (1936), L’innocenza di Coriolano (1939), Un gradino più giù (1942), Sacrilegio massimo (1953) e La scuola dei padri (1955).

Laguna

Ana Laguna studia danza classica con Maria de Àvila, debuttando con la sua compagnia `Ballets de Barcelona’. Dopo alcuni anni in formazioni classiche spagnole, nel 1975 si trasferisce in Svezia ed entra a far parte del Cullberg Ballet dove interpreta Signorina Giulia e Romeo e Giulietta di B. Cullberg e si impone per il mutevole e intenso talento interpretativo in ruoli appositamente ideati per lei da Mats Ek, come la Servetta in La casa di Bernarda Alba (1978), la Sposa in La sagra della primavera (1985), il Cigno ne Il lago dei cigni (1987), ma soprattutto Giselle (1982), cui conferisce un emozionante e originale ritratto psicologico, sorretto da una tecnica classico-moderna rigorosa, scattante e piena di energia. Dopo il ritiro dalle scene nel 1995 si è dedicata prevalentemente all’attività teatrale, tornando però a interpretare il ruolo di Carmen , che Mats Ek creò per lei nel 1991, nella ripresa allestita dal Balletto dell’Opéra di Lione (1998).

Lepage

Il padre tassista e la madre casalinga sono testimoni precoci della vocazione teatrale di Robert Lepage. Entrato a diciassette anni al Conservatoire d’Art Dramatique e conquistata subito la patente di ragazzo prodigio, sceglie di approfondire il proprio talento in Europa e studia a Parigi con Alain Knapp. Nel Québec ritorna all’inizio degli anni ’80, riconquistando notorietà con il lavoro per la Ligue National d’Improvisation, pronto ad affiancarsi a Jacques Lessard nella direzione del Théâtre Repère. Il suo primo spettacolo, En attendant si ispira a un disegno giapponese, ma da regista aspira anche all’esercizio sui classici ( Coriolano , 1983). Circulations (1984) avvia la serie dei premi e dei riconoscimenti, che culmina in questa prima fase con il `solo’ Vinci (1985): autore, produttore, impresario e protagonista dello spettacolo, Robert Lepage comincia qui a manifestare doti di magnetico narratore e assemblatore di linguaggi. La sua interpretazione stimola l’interesse di Denys Arcand che lo vuole attore nel film Jésus de Montréal. Mentre la tournée di Vinci gli prepara una notorietà internazionale, più consapevole si fa in lui la matrice québecoise, utilizzata però come trampolino per interessi cosmopoliti e aperture su paesaggi transnazionali. È dal gioco nomade fra i continenti che comincia a nascere nel 1985 La trilogia dei dragoni, kolossal sull’emigrazione asiatica in Canada e saga generazionale recitata in tre lingue per una durata di sei ore (Parigi e Milano nel 1989 godranno della versione integrale). Polygraph (1987) e Tectonic plates (1988-90) rilanciano una passione per l’intreccio, magari sentimentale e investigativo insieme, mentre la scena dispiega un’inventiva di spazi e di strumenti, ricca di soluzioni assolutamente inedite, attente, ma non schiave, della tecnologia.

All’imponenza di queste produzioni Lepage sa anche alternare lavori più ridotti, dove recupera una personale sensibilità d’interprete: le pene d’amore di Jean Cocteau e Miles Davis, ma anche le proprie, sono narrate Gli aghi e l’oppio (1991), un `solo’ a lunga tenitura che accompagna, a metà degli anni ’90, la fondazione di Ex Machina (1994), la sua compagnia, che ha sede in una vecchia caserma dei pompieri a cavallo a Montréal. Ha avuto modo intanto di allestire opere musicali (Il castello di Barbablù, Erwartung) e di preparare il Secret World Tour del musicista Peter Gabriel. Occasione per un altro kolossal sono I sette bracci del fiume Ota (1995), spettacolo che riallaccia fili presenti in precedenti lavori commemorando il 50º anniversario della bomba di Hiroshima in un’organizzazione complessa di nessi narrativi e visivi, cortocircuito continuo di storie e di geografie. Nel filone dei “solo” si iscrive invece la esercitazione sul personaggio di Amleto presentata in Elsinore (1995). Mentre già prende corpo il nuovo lavoro sull’architettura di Frank Lloyd Wright, Les geometries des miracles (1998), il suo film Il confessionale viene proiettato a Cannes (1995) e dai materiali dello spettacolo su Hiroshima nasce la sceneggiatura di un altro film, No.

Loche

Dal 1991 al ’94 Pierfrancesco Loche partecipa ad Avanzi e in seguito a Tunnel (1994) trasmissioni televisive nate dall’esperienza della Tv delle ragazze , in cui seppe guadagnarsi una discreta popolarità, interpretando un giornalista falso e truffaldino. Nel 1992 partecipa a Non chiamarmi Omar, film di Sergio Staino e al film-tv In fuga per la vita, che vedeva come protagonista Gianni Morandi. In seguito lavora ne Gli scoppiati (1996) di Marco Bertini e Valter Lupo (anche regista) insieme a Francesca Reggiani e Armando De Razza, al Teatro Parioli di Roma. Nel 1997 è ancora in televisione nel serial televisivo Linda e il brigadiere , protagonisti Nino Manfredi e Claudia Koll e come autore e interprete della sit-comedy Disokkupati.

Lionello

Nel 1954 Oreste Lionello compie i primi passi all’interno della compagnia Radio-Roma, in cui si distingue come brillante autore e interprete. È sempre di questi anni il suo esordio come doppiatore. In questa veste darà la voce ad attori del calibro di Jerry Lewis, Peter Sellers, Charlie Chaplin e soprattutto Woody Allen. Il suo terreno prediletto è il cabaret nel cui ambito, insieme a Pingitore, Castellacci, Cirri e Palumbo, ha fondato la celebre compagnia del Bagaglino, contribuendo in gran parte al successo dell’omonima sala romana. Con questo gruppo ricordiamo: nel 1987 Allegoria di famiglia , nel 1988 Viva viva San culotto e Tre tre giù Giulio a cui seguono Kekkasino (1989), Patapunfete (1991), Scondominio Italia (1994) e Mavaffanlopoli (1995). A teatro ha lavorato in Il Bosendorfer, ovvero il pianoforte e il telefono (1989), presentato al festival Settembre al Borgo di Caserta e nel 1992 nelle Nuvole di Aristofane al Giardino dei Boboli di Firenze. Numerose le sue partecipazioni televisive in varietà che riproponevano la formula dell’avanspettacolo come Dove sta Zazà (1973), Mazzabubù (1975), Palcoscenico (1980) e Al Paradise (1983). Partecipa anche a tutte le trasmissioni di satira politica televisiva prodotte dal Bagaglino come Biberon (1987), Crème Caramel (1991), Saluti e baci (1993), Bucce di banana (1994), Champagne (1995) e i recenti Rose rosse (1996) e Viva l’Italia (1997-98).

Lemaitre

Studia presso la scuola del Théâtre du Châtelet, entrando poi a far parte del Corpo di ballo del teatro. In seguito danza con diverse compagnie europee, fra cui il Ballet de Paris di Roland Petit. Dal 1983 è insegnante presso lo Scapino Ballet. Nel 1991 il suo progetto di creare una compagnia per danzatori maturi, di oltre quarant’anni, viene accolto all’Aja da J. Kyrián che così inaugura il Nederland Dans Theater 3. L. ne è menbro sin dalla fondazione e nel 1998 ottiene l’Ordine delle Arti e della Lettere francese.

Little Theatre Movement

Little Theatre Movement è movimento fondato a Chicago a partire dal 1901 da Jane Addams e Laura Dainty Pelham, con la certezza che buone rappresentazioni allestite da dilettanti potessero esercitare un’influenza positiva sulla comunità. Immediate risultano le analogie con le nostre filodrammatiche. Nel giro di un decennio il movimento si allarga a comprendere The Players a Providence (1909), la Wisconsis Dramatic Society di H. Dickinson a Madison e a Milwaukee (1911), il Boston Toy Theatre di Lyman Gale (1912), il Little Country Theatre di Alfred Arvold a Fargo (1912) e il Chicago Little Theatre di Maurice Brown (1912). Questo fenomeno di improvviso e simultaneo sviluppo di tanti `piccoli teatri’ trova ragione, oltre che nella ferma convinzione della grande opportunità rappresentata dall’arte teatrale per dilettanti ambiziosi e desiderosi di confrontarsi con il palcoscenico, anche nella generale insoddisfazione per il tradizionale teatro commerciale, nonché nell’appello per un costruttivo impiego del tempo libero contenuto nel libro di Percy MacKaye The Civic Theatre e nella costituzione della Lega del Teatro (1909). Già attorno agli anni ’20 nel paese sorgono oltre cinquanta nuovi Little Theatre, che allestiscono i propri spettacoli nelle situazioni più inaspettate (residenze familiari, chiese, centri comunitari) o sopra piccolissimi e provvisori palcoscenici. Essi mettono in scena prevalentemente atti unici, per i quali non dovevano essere necessarie molte prove, e usano una scenografia essenziale. I più ambiziosi tra loro si cimentano anche con testi di Shaw, Ibsen e Strindberg. Tuttora i Little Theatre, annoverabili in oltre cinquemila unità, sono diventati parte integrante della vita culturale delle loro comunità, dotandosi spesso di veri e propri edifici teatrali e trasformandosi talvolta in organismi professionisti o incrementando a tal misura il bilancio, oltre che il cartellone, da poter a stento essere ancora definiti piccoli.

L’Herbier

Nel 1917 scrive L’enfantement du mort , dramma d’ispirazione simbolista, che dedica a Oscar Wilde. Il testo è rappresentato alla fine della prima guerra mondiale dal gruppo `Art et Action’ diretto da Autant-Lara. Intanto L’H. ha deciso di dedicarsi interamente al cinema, dove sfrutta in senso antirealistico la possibilità di deformazione delle immagini, attraverso la sovraimpressione e la dissolvenza. Nel 1924 per il film L’inhumaine raccoglie intorno a sé Darius Milhaud, autore delle musiche, Fernand Léger e Claude Autant-Lara, a cui sono affidate le scene. Grande successo ottiene la riduzione cinematografica del Fu Mattia Pascal di Pirandello (1925). Con l’avvento del sonoro firma la versione cinematografica di alcune pièces teatrali, tra cui ricordiamo: Bonheur di Bernstein (1934); Histoire de rire di Salacrou (1941). Ma il maestro del cinema muto, tende in questa seconda fase a privilegiare il parlato rispetto all’immagine; da qui il rimprovero di produrre film eccessivamente `teatrali’.

Leonetti

Si avvicina al mondo del teatro dopo l’incontro con Lucia Poli; poi, la collaborazione con Lella Costa, che la vede regista in due produzioni, Repertorio cioè l’orfana e il reggicalze (1981) e Ahi mamma (1982). Sempre nel 1982 fonda, insieme a Flavio Ambrosini, la cooperativa Nuove Parole con cui gestisce, a Milano, il Teatro della Piccola Commenda. Nella sala di via Reggio si alterna ad Ambrosini firmando spettacoli come Metamorfosi, cuore di sedia (1986). Nel 1987 lascia la cooperativa per dedicarsi all’ideazione di radiodrammi.

Lloyd

Dopo gli studi con Helen Webb a Città del Capo, si trasferisce a Londra nel 1927. Danzatrice di grande sensibilità ed eleganza, studia alla Scuola Rambert ed entra nella compagnia, creando importanti ruoli in balletti di Ashton e Tudor, compresi Jardin aux lilas , Dark Elegies e Gala Performance dello stesso Tudor. Collabora con il marito (il critico d’arte Nigel Gosling) ad articoli e libri sotto lo pseudonimo di Alexander Bland.

Longoni

Diplomato alla Scuola d’arte drammatica ‘P. Grassi’ di Milano, Angelo Longoni dopo alcune esperienze come attore e autore-regista sia in teatro ( Necronomicon , L’età dell’oro ) sia in televisione (la serie Atelier ) e radio (i gialli Brivido italiano ) alla fine degli anni ’80 vince alcuni premi – in occasione di festival anche all’estero – con il suo dramma Naja (1987, nuovo allestimento con E. Lo Verso) da cui realizza anche un film. In seguito è autore e regista di Money , Uomini senza donne , Testimoni (questi due ultimi con A. Gassman e G. Tognazzi), Caccia alle mosche (dal suo romanzo omonimo), Hot line (con I. Di Benedetto), Bruciati. Ha adattato e diretto I ciechi di Maeterlinck. Tra i temi affrontati nella sua produzione, la vita quotidiana e i problemi sociali dei giovani, dal servizio militare al rapporto con il partner e le crisi di coscienza.

Leigh

Dedita al teatro e fin da principio al cinema, Vivien Leigh affronta le due carriere con uguale successo, facendosi apprezzare per il suo fascino e per la sensibilità e precisione della sua recitazione. Nel 1935 si fa notare in La maschera della virtù di A. Dukes e successivamente, insieme al celebre marito (1940-60) Laurence Olivier, dà corpo ad alcune tra le sue più notevoli interpretazioni, per la maggior parte shakespeariane: Amleto a Elsinore (1937), Romeo e Giulietta a New York (1940), Antonio e Cleopatra a Londra (1951), e nel 1955 La dodicesima notte , Macbeth e Tito Andronico al festival di Stratford-Upon-Avon. Nel 1948-49 insieme a Olivier contribuisce a dar lustro alla stagione dell’Old Vic, in particolare in Riccardo III , ne La scuola della maldicenza di Sheridan e nell’ Antigone di Anouilh. Tra i successi personali si ricordano Blanche in Un tram che si chiama desiderio (1949); Cleopatra in Cesare e Cleopatra di Shaw (1951) e Mary in Il principe e la ballerina di Rattigan (1953). Tra le sue interpretazioni cinematografiche la ricordiamo indimenticabile protagonista in Via col vento di Fleming (1939) e in Un tram che si chiama desiderio di Kazan (1951).

Lelli

Noto anche con lo pseudonimo Kir-Loe, Renato Lelli ha prodotto testi sia in italiano che in dialetto bolognese. Direttore del teatro Minimo di Bologna, nel 1955 ottenne il premio Riccione con la commedia Sulle strade di notte, la cui versione cinematografica del 1957 prese il titolo I colpevoli. Tra le opere dialettali più riuscite spiccano – V’avcurdav? rappresentata dalla compagnia Gandolfi nel 1929 e O la vétta o la mort , rappresentata nel 1950. La commedia che gli valse il maggior successo fu All’insegna delle sorelle Kadar interpretata da Emma e Irma Gramatica nel 1938 (rappresentata anche in dialetto bolognese col titolo El surel Bentivoglio).

Lampe

Dopo gli studi di recitazione con Eduard Marks ad Amburgo, Jutta Lampe inizia a lavorare in teatro a Wiesbaden e a Mannheim; scritturata al teatro di Brema, nel 1969 interpreta il ruolo di Elisabetta nel Don Carlos di Schiller con la regia di K. Hübner. Inizia a lavorare anche con P. Stein sin dal 1967, sempre con un ruolo schilleriano, la Lady Milford di Kabale und Liebe e poi come Leonora nel Torquato Tasso (1969). Nel 1971 entra a far parte della compagnia della Schaubühne a Berlino. Qui, diretta da P. Stein, recita in ruoli importanti come quello di Solvejg nel Peer Gynt , Atena nell’ Orestea (1981), Fedra nella Fedra di Racine (1987). Interpreta anche Elizabeth Bergner in Cavalcata sul lago di Costanza (1971), di P. Handke, con la regia di C. Peymann (1971); è la protagonista di Ella di Achternbusch, con la regia di M. König (1978) e, diretta da K.M. Grüber, Marianne in Storie del bosco viennese di Horváth e Ofelia nell’ Amleto . È padrona di una tecnica vocale elaborata con sensibilità quasi musicale che impiega in rapporto al linguaggio del corpo per scavare a fondo nei personaggi che interpreta. Tra i suoi successi più recenti sono da ricordare la parte di protagonista in Orlando , dal romanzo di V. Woolf, con la regia di R. Wilson alla Schaubühne di Berlino nel 1990 e il ruolo della contessa ne I giganti della montagna di Pirandello, messo in scena da Ronconi a Salisburgo nel 1994.

Lormeau

Dedicatosi dodicenne alla danza, vincitore giovanissimo del primo premio al Concorso di Parigi, nel 1977 Jean Yves Lormeau entra nel corpo di ballo dell’Opéra di Parigi, dove diventa presto primo ballerino e dove rimarrà fino al 1996. Diventa étoile nel 1981. Le sue grandi doti tecniche lo hanno sovente portato a cimentarsi nei grandi ruoli classici (Sigfrido, Albrecht, ecc.), ma è stato anche l’interessante protagonista di lavori di R. Petit (in particolare ne Il fantasma dell’Opera ) e di M. Béjart, del quale ha goduto grande stima. Rilevanti le sue interpretazioni in Bolero , Uccello di fuoco , Ne serait ce la mort . Più volte Lormeau è stato guest star di grandi compagnie internazionali, ivi compreso il New York City Ballet.

Lunari

Il contributo di Luigi Lunari al teatro ha spaziato dall’insegnamento universitario alla critica, alla saggistica, alle sceneggiature televisive. A partecipato attivamente alla rinascita del cabaret milanese, scrivendo due spettacoli storici dei Gufi: Non spingete, scappiamo anche noi e Non so, non ho visto, se c’ero dormivo. È autore delle commedie Il senatore Fox (1986), La bella e la bestia , Arlecchino e gli altri (adattamento con la regia di F. Soleri, nella stagione 1989-90), Tre sull’altalena , e del compendio Cento drammi italiani , pubblicato nei primi anni ’90. Ha collaborato a lungo con il Piccolo Teatro, prima di entrare in polemica con la direzione di Strehler (la polemica è diventata anche un libro, Il Maestro e gli altri ). Lunari gode di maggior successo all’estero che in Italia: la commedia Tre sull’altalena è stata tradotta in tredici lingue; ha suscitato un interesse internazionale anche per i suoi lavori precedenti, come Il senatore Fox .

Lacarra

Dopo i primi studi a San Sebastian, Lucia Lacarra si perfeziona con Victor Ullate, José Ferran e Rosella Hightower, entrando nel 1992 nel Ballet Victor Ullate. Qui si mette in evidenza interpretando numerosi balletti di Ullate (Simoun, Arraigo, Concerto para Tres ), di Balanchine (Concerto Barocco ) e Hans Van Manen (In the Future, In and Out ) che la segnalano all’attenzione internazionale. Su invito di R. Petit nel 1994 entra come prima ballerina nel Ballet national de Marseille e interpreta i maggiori ruoli della sua produzione (Esmeralda in Notre, Dame de Paris , Carmen , Le jeune homme et la mort , Ma Pavlova), oltre ad alcune creazioni concepite per lei ( Il Gattopardo , 1995; Et la Lune descend sur le temple qui fut 1995; Bolero , 1996). Lasciata la compagnia marsigliese, nel 1997 debutta nel suo primo grande ruolo del repertorio classico accademico, Il lago dei cigni , con il Corpo di Ballo della Scala; nello stesso anno entra come solista al San Francisco Ballet. Considerata una delle più interessanti ballerine classiche dell’ultima generazione, si distingue per la sensuale presenza scenica unita a una tecnica raffinata e a una luminosa bellezza.

Lowell

Nel 1964 Robert Lowell fece rappresentare col titolo The Old Glory , che faceva riferimento alla bandiera degli Usa, una trilogia drammatica in versi, comprendente due adattamenti da racconti di Hawthorne: Endecott e la Croce Rossa (Endecott and the Red Cross), e Il mio parente, maggiore Molyneux (My Kinsman, Major Molyneux,) e, soprattutto, un eccellente rifacimento del Benito Cereno di Melville, dove con grande forza poetica e drammatica si riesaminava, riandando alle sue radici storiche, l’atteggiamento degli americani nei confronti dei neri e dello schiavismo. Tradusse inoltre la Fedra di Racine e il Prometeo incatenato di Eschilo.

Limón

Interprete dalla spiccata personalità e creatore di uno stile dai movimenti fluidi, eleganti e respirati più che di una tecnica, José Limón è stato uno degli esponenti più illustri della modern dance e il discepolo più famoso di Doris Humphrey. Da giovane studiò pittura a Los Angeles, ma una volta arrivato a New York venne folgorato da uno spettacolo di H. Kreutzberg e Y. Georgi e decise di dedicarsi alla danza. Nel 1930 iniziò a studiare presso lo studio di Humphrey-Weidman, di cui divenne presto membro della compagnia. Fisico scultoreo, volto dai tratti nobili e austeri e un talento magnetico, L. fu l’interprete preferito dalla Humphrey che per lui disegnò coreografie su misura come Day on Earth (1947), Lament for Ignacio Sanchez Mejiás (1947) – il suo cavallo di battaglia -, Night Spell (1951) o Ritmo Jondo (1953). Fin dagli anni ’30 manifestò un istinto coreografico, influenzato nelle strutture da quello di Humphrey ma dai contenuti inclini più al misticismo e alle passioni umane, ma solo a partire dal 1946 vi si dedicò interamente. Nel 1945 – dopo aver prestato servizio militare per due anni – fondò la sua compagnia, della quale facevano parte Betty Jones, Pauline Koner, Lucas Hoving, e chiese a Humphrey, ritiratasi dall’attività di danzatrice, di esserne la direttrice artistica. Una decisione che si rivelerà felice per entrambi, dando la possibilità a Humphrey di continuare a esprimersi e a L. di assorbirne l’eredità coreografica. Lontano dagli astrattismi concettuali che fermentavano nei lavori dei suoi contemporanei, L. preferì aderire a una danza emozionale e rappresentativa. Grande umanista della modern dance creò il suo capolavoro con The Moor’s Pavane , del 1949, efficace sintesi del dramma della gelosia di Otello in quattro personaggi, entrato in repertorio anche presso l’American Ballet. Orchestrato armonicamente, sovrapponendo alla struttura della pavana e di altri balli di corte i modelli formali della modern dance, The Moor’s Pavane è un ingranaggio perfetto che esplora la dinamica delle passioni, dall’amore all’odio, dalla gelosia alla vendetta. Tra gli altri suoi lavori: La Malinche (1949), drammatico trio basato sulla vera storia di un’india al tempo di Cortez, The Unsung (1970), danzato da soli uomini in silenzio in omaggio ai guerrieri indiani. Dalla tensione mistica di L. viene il mosaico circolare di There is a Time (1956), ispirato a un passo dell’ Ecclesiaste , la corale maestosità della Missa Brevis (1958), il duetto biblico di The Exiles . L’intensità dell’operato di L. è stata tale che anche dopo la sua morte la compagnia è rimasta unita sotto la direzione di Carla Maxwell, una delle sue interpreti predilette, prodigandosi per il mantenimento e la diffusione delle sue coreografie.

Landi

Diplomatosi in regia all’Accademia d’arte drammatica nel 1944, Mario Landi si dedicò al teatro rivolgendosi a un repertorio che rappresentava il dramma della guerra (nel 1945 Gioventù malata di Bruckner e La frontiera di L. Trieste, nel 1946 Cronaca di L. Trieste). Trasferitosi nel 1946, frequentò il circolo culturale Diogene di Milano dove affrontò in particolar modo testi italiani (Capuana, Pirandello, Moravia, Squarzina, Jovine, Chiesa, Cicognani, De Benedetti, Viola, P. Levi, Sollima). Sin dal 1952 si dedicò esclusivamente alla televisione (fu, nel 1954, uno dei primi registi di originali tv), dirigendo un centinaio di commedie e molti sceneggiati dal 1955 al 1979 (famosi i sedici episodi tratti dalle Inchieste del commissario Maigret di G. Simenon, interpretati da G. Cervi). Nel cinema esordì nel 1949 con un film musicale e continuò firmando qualche film di consumo e collaborando ad alcune sceneggiature.

Lombardi

Esponente dell’avanguardia, fece parte del Gruppo ’63 e proprio in occasione dell’incontro del movimento a Palermo debuttò il suo primo lavoro, Quartetto , una riscrittura da Ruzante. Successivamente andò in scena I sigari di Juppiter (1966). Con la regia di M. Perlini e su un palcoscenico galleggiante sul Tevere nel 1982 venne rappresentato Il vecchio Garibaldi . Spesso i personaggi dei suoi libri divennero protagonisti di monologhi per il teatro, come Chi è Beatrix (1975) e Ipotesi del mercante Ezelin Sherif sul cane a sei zampe (1980). Del 1988 è il testo del Barry Lindon .

La Fosse

Formatosi presso la School of American Ballet, entra all’American Ballet Theatre (1977), dove diventa primo ballerino (1983) ed è protagonista di The Wild Boy e Romeo e Giulietta di MacMillan. Entra poi al New York City Ballet (1986), dove interpreta balletti di Balanchine ( Donizetti Variations , Prodigal Son , Scotch Symphony ) e di Robbins ( Afternoon of a Faun , Dances at a Gathering , Other Dances ). Coreografo di Woodland Sketches , Waltz Trilogy , Danses de Cour (1994), Concerto in Five Movements (1997), scrive Nothing to Hide: A Dancer’s Life (1987). È danseur noble per eccellenza e brilla nell’ Apollon balanchiniano.

Littlewood

Formatasi alla Royal academy of dramatic art (Rada), Joan Maudie Littlewood sviluppa e mantiene per tutta la carriera un atteggiamento fortemente polemico nei confronti dell’establishment teatrale del West End londinese. Si trasferisce a Manchester dove lavora dapprima per la radio e successivamente – insieme al marito Ewan McColl, cantante, attore e drammaturgo – dà origine al Teatro Azione di Manchester (1932), gruppo impegnato nella ricerca e sperimentazione teatrale, all’avanguardia nel filone agit-prop. Nel 1935 il gruppo diviene una compagnia itinerante (Theatre Union) che offre un repertorio di classici poco rappresentati in allestimenti apertamente `impegnati’, che mantengono gli elementi dell’agit-prop, sostituiscono l’immediatezza degli spettacoli di strada con l’improvvisazione e uniscono il commento politico alla musica e alle canzoni. Dopo la guerra Littlewood organizza, sempre a Manchester, un altro gruppo di lavoro (Theatre Workshop) e nel 1953, dopo anni di spettacoli di strada e di precarietà, ottiene una sede per la sua compagnia in una vecchia struttura nell’East End londinese. Qui porta avanti un programma di rivisitazione dei classici, uno sui testi di Brecht (Il buon soldato Schweik, Madre Coraggio in cui Littlewood è allo stesso tempo attrice e regista), ed uno sulla promozione della nuova drammaturgia (tra gli altri si ricordano L’ostaggio di B. Behan, Sapore di miele di S. Delaney e il musical di F. Norman Le cose non sono più come una volta (Fings Ain’t Wot They Used T’Be). Il festival di Edinburgo nel 1955 la invita a mettere in scena due sue produzioni di successo, Arden di Feversham e Volpone di Ben Jonson. Dopo un lungo soggiorno in Tunisia, nel 1963 torna a Londra per curare la regia di uno dei suoi più famosi lavori, Oh, che bella guerra (Oh, What a Lovely War): una satira documentata sulla Prima guerra mondiale, allestita all’interno di un party con concerto sul mare. Alla fine degli anni ’60, nonostante le fortunate regie di Il diario della signora Wilson (Mrs Wilson’s Diary) e La storia di Marie Lloyd (The Marie Lloyd Story, 1967) e l’indiscussa influenza esercitata su registi, compagnie e movimenti teatrali, Littlewood perde l’entusiasmo e l’energia che l’avevano guidata in tutte le sue imprese, riducendo drasticamente la sua attività. Produce il suo ultimo spettacolo (So You Want To Be in Pictures?) nella sede di Stratford nell’East End di Londra nel 1973 e si congeda dal pubblico nel 1994 con la sua autobiografia Joan’s Book .

Langhoff

Figlio di rifugiati tedeschi in Svizzera, Matthias Langhoff rientra in Germania nel dopoguerra, quando il padre è nominato direttore del Deutsches Theater di Berlino Est. Inizia la sua attività come assistente al Berliner Ensemble con Hanns Eisler, collaboratore di Brecht, e qui conosce Manfred Karge, con il quale stabilirà un lungo sodalizio artistico. Tra il 1962 e il 1969 Langhoff e Karge allestiscono tra l’altro Das kleine Mahagonny di Brecht e Sette contro Tebe di Eschilo. Nel 1969 Langhoff lascia il Berliner per la Volksbühne di Berlino Est, dove mette in scena lavori di Ostrovskij (La foresta, 1969 e Zurigo 1976), Shakespeare, Schiller, Ibsen, Goethe e Müller. Dopo aver lavorato ad Amburgo, Ginevra e Rotterdam, nel 1980 (per cinque anni) è regista allo Schauspielhaus di Bochum, dove dirige Caro Georg di T. Brasch, Il giardino dei ciliegi di Cechov e testi di Heiner Müller.

Sul finire degli anni ’80, torna in Svizzera: dal 1989 al 1991, dirige il Théâtre Vidy, centro drammatico nazionale di Losanna, dove firma regia e scenografia di Macbeth (1990, portato anche al Théâtre National de Chaillot) e di La duchessa d’Amalfi di Webster. Premiato e applaudito da pubblico e critica, Langhoff è una delle figure più significative del panorama registico europeo. Particolarmente attento a un teatro che, pur partendo da solide strutture classiche, sappia mettere in discussione le tradizionali convenzioni teatrali, lo stile di Langhoff si segnala per l’estrema concretezza registica, per una visione globale che sviluppa la narrazione non solo attraverso l’abituale strumento della parola, ma anche su idee scenografiche originali, nelle quali si articolano suoni e e immagini. Condirettore del Berliner Ensemble, incarico che ricopre per due anni (1993-95), L. lavora frequentemente in Francia: al festival d’Avignone, dove è presente con Riccardo III di Shakespeare (1995), alla Comédie-Française ( Danza di morte di Strindberg nel 1996), al Théâtre National de Bretagne di Rennes, di cui è consulente artistico dal 1996. Accostatosi alla tragedia greca, L. affronta Le baccanti di Euripide a Epidauro (1998) e conclude una trilogia classica, iniziatasi con Filottete di H. Müller (1994), proseguita con L’île du Salut (tratto da Nella colonia penale di Kafka, 1996), con Donne di Troia (Femmes de Troie), da Euripide, al Teatro di Rennes (1998).

Lauzi

Bruno Lauzi è tra i fondatori della canzone d’autore italiana. Esordisce nel 1961 all’Intra’s Derby club di Milano con il quintetto jazz di Intra e Cerri. Lo stesso anno debutta con “O’ frigideiro”, primo esperimento di commistione tra musica brasiliana e dialetto genovese. I suoi primi successi sono “Il poeta” e “Ritornerai”. Tra il 1963 e il 1968 si esibisce al Derby con spettacoli di cabaret musicale; nel 1964 si esibisce al Cab 64. Partecipa a un unico festival di Sanremo, nel 1965, con “Il tuo amore”. Tra il 1966 e il 1970 viene premiato a diversi festival canori. È tra i primi cantautori a scrivere canzoni per altri (Battisti, Dalla, Conte, Fossati, Vecchioni). Dal periodo del cabaret nasce lo spettacolo Il dorso della balena , che L. ripropone dagli anni ’70, nel quale intervalla i suoi successi con monologhi comici.

Lommel

Dopo gli studi all’Académie des Beaux Arts di Liegi, Daniel Lommel ha iniziato a danzare al Théâtre Royal della medesima città. Successivamente, a Parigi, è stato scritturato dalla compagnia di J. Charrat e quindi dall’Opera di Amburgo dove è rimasto fino al 1967, anno in cui viene accolto dal Ballet du XXéme Siècle. Danzatore di grande eleganza e prestanza, Béjart lo valorizza nei suoi più significativi lavori degli anni ’60 e ’70 (Bakthi, Messe pour le temps présent, Baudelaire, Les Vainquers, Pli selon pli ma anche Romeo e Giulietta, Nona sinfonia, I trionfi ). Accanto a J. Donn, appare anche in Canto di un compagno errante . Lasciata la celebre compagnia, dove per un certo periodo assunse la carica di direttore aggiunto, è stato ospite in varie altre compagnie europee.

Leroy

Giunto all’esordio cinematografico dopo una serie di singolari attività quali paracadutista e ginnasta (tra i film più noti, Sette uomini d’oro e Il portiere di notte ), dopo importanti sceneggiati tv ( Vita di Leonardo e Sandokan ) è approdato in teatro diretto da Strehler in L’isola degli schiavi di Marivaux. Nel 1998, per i 200 anni del Comunale di Ferrara, è protagonista con D. Sanda di Donna del mare , il dramma di Ibsen nel rifacimento di S. Sontag, con la regia di R. Wilson.

Lodovici

Cesare Vico Lodovici fu tra le personalità di spicco dell’attività letteraria fra le due guerre. Il suo nome è legato soprattutto alla traduzione dell’opera scespiriana, completata negli anni ’60. Oltre che di Shakespeare, fu traduttore anche di Aristofane, Plauto, Calderon, Tirso da Molina, Cervantes, Racine, Molière, Becque, Claudel, Camus, Eliot e O’Neill. Per il teatro scrisse anche alcuni testi, tra i quali vanno segnalati La donna di nessuno (1919), Ruota (1933) e L’incrinatura (1937), attraverso i quali si rivelò un fine conoscitore dell’animo femminile. Gli allestimenti di questa trilogia ebbero un buon successo in Italia e all’estero, tanto da essere considerati alcuni tra gli esempi più significativi del repertorio italiano moderno. L. si confrontò anche con il dramma storico ( Vespro siciliano , 1940) e con il dramma sacro ( Caterina da Siena , 1950), senza però ottenere riscontri particolarmente soddisfacenti, poiché andò a toccare temi a lui non congeniali. Fu anche sceneggiatore per il cinema e autore di libretti per il teatro in musica.

Lagerkvist

Sotto l’influsso di Strindberg Paulmr Lagerkvist si fece promotore di un rinnovamento del linguaggio teatrale in chiave espressionista, scontrandosi con la scuola naturalista. Figlio di un ferroviere, ebbe un’infanzia difficile, che interviene come sfondo della sua prima produzione teatrale: L’ultimo uomo (1917) , dove un treno, raffigurante l’umanità, va verso la distruzione, mentre i personaggi cantano liricamente la loro storia e Il mistero del cielo (1919) , in cui all’interno di una calotta sferica, collocati a diverse altezze, sono posti vari personaggi tra cui un giovane appena morto che non vuole credere di trovarsi in cielo. L’atto unico Tunnel (1919),poi i drammi L’invisibile (1923) e Colui a cui fu dato di rivivere la sua vita (1928), che mettono l’uomo a tu per tu con un Dio che è solo un’immagine consolatoria per sfuggire alla disperazione. Il carnefice (1933) , L’uomo senz’anima (1936) e Vittoria nelle tenebre (1939) sono il frutto di una violenta repulsione per il nazismo. Con il romanzo Barabba (1950), il cui successo internazionale contribuì a fargli vincere il premio Nobel (1951) racconta emblematicamente le vicende del primo uomo salvato dal Messia e i dubbi e i perché della sua sorte.