Vitez

Figlio di un anarchico, solo dopo i vent’anni Antoine Vitez scopre la sua vocazione teatrale salendo per la prima volta su di un palcoscenico come attore al Teatro quotidiano di Marsiglia. Intanto però ha cominciato a lavorare sia come traduttore (fra l’altro Il placido Don di Šolokov) che come segretario del grande poeta francese L. Aragon. Solo nel 1966 V. firma, a Caen, la sua prima regia, Elettra , alla quale seguirà ben presto Il bagno di Majakovskij (1967), autore che il regista, che parla perfettamente il russo, contribuisce a fare conoscere in Francia. Trasferitosi a Parigi collabora al Teatro di Nanterre inventando i `teatri quartiere’ nella `banlieu’ parigina, luoghi dove rappresentare spettacoli che si possono fare sotto i tendoni, nelle palestre. Nel 1972 J. Lang lo chiama accanto a sé al Théâtre National de Chaillot come consulente artistico. Qui firma alcuni fra gli spettacoli più importanti degli anni ’70 a cominciare dalla Fedra di Racine (1975).

Fra gli autori che gli sono più cari il primo posto lo occupa probabilmente Molière: a V., infatti, si deve una tetralogia molieriana (La scuola delle mogli, Tartufo, Don Giovanni, Il misantropo) presentata ad Avignone nel 1978 con enorme successo («Vitez, ti amo» sta scritto sui muri di Avignone) che, interpretata quasi interamente da giovani, ha il merito si svecchiare l’approccio a Molière. Nominato nel 1981 direttore del Teatro Nazionale di Chaillot mette in scena Britannico di Racine (1981) e Amleto con R. Fontana (1983). Accanto a Molière, Cechov e Goethe (di cui dirige e interpreta il Faust , 1981) propone: Hugo (Lucrezia Borgia, per esempio, con la bravissima N. Strancar, 1985), Claudel, di cui firma, fra l’altro, la regia di una strepitosa versione integrale di Le soulier de satin (1987), fino alla Celestina di de Rojas messo in scena al festival d’Avignone nel 1989 per J. Moreau. Intanto, nel 1988, diventa amministratore della Comédie-Française, dirige al Piccolo di Milano Il trionfo dell’amore con M. Crippa (1986). Ed è sotto la sua direzione che Brecht con Vita di Galilei (1990) viene rappresentato per la prima volta nella casa di Molière, pochi giorni prima della sua morte. In sintonia con un’ipotesi di teatro alla quale è connessa l’idea del rischio, V. si avventura spesso nei territori della drammaturgia contemporanea.

Maestro, anzi pigmalione, di intere generazioni d’attori ai quali come docente al Conservatoire insegna a concepire il teatro come una missione, Vitez, regista raisonneur, spesso controcorrente, si è scelto i suoi maestri in L. Jouvet e in Mejerchol’d. In sintonia con questa scelta ha sempre perseguito l’idea di un teatro non di evasione, non di magia, ma specchio inquieto del mondo e dei tempi in cui viviamo. Muore a Parigi lasciando nel teatro francese un vuoto incolmabile.

Mazzucco

I testi di Roberto Mazzucco, molti dei quali rappresentati anche all’estero, sono incentrati su satira politica e di costume e il suo impegno civile si sviluppa in testi vicini nello stile al teatro dell’assurdo. Lo testimoniano, ad esempio, gli atti unici: Come si dice (1966), dove i personaggi parlano attraverso le loro didascalie; Lei dice, lui dice (1974); Dieci giorni senza far niente (1979); e la commedia La formidabile rivolta (1982), nel quale immagina che tutte le malattie si incontrino per complottare contro l’uomo. M. ha lavorato trasversalmente in tutti i generi della scrittura drammatica. Con L’avventura del cabaret , pubblicato nel 1976, ha scritto una vivace intelligente storia di un genere da lui amato.

Coppola

Luca Coppola ha firmato la regia di pochi spettacoli, fra i quali Elettra o la caduta delle maschere (1986), Dialogo nella palude di Marguerite Yourcenar (1987), che gli aveva riservato l’esclusiva delle traduzioni dei suoi testi, e Dialogo di Natalia Ginzburg (1987). Delle grandi scrittrici femminili contemporanee era appassionato frequentatore, a cominciare da Elsa Morante. Stava lavorando alla messinscena della Pasifae di Henry de Montherlant, quando fu ucciso in circostanze misteriose su una spiaggia della Sicilia occidentale, assieme a Giancarlo Prati, anch’egli attore e traduttore. La vivacità e la curiosità intellettuali avevano fatto conoscere Coppola, nonostante la giovanissima età, al di là e prima di quei pochi spettacoli. Era stato assistente di Giancarlo Cobelli e Carlo Cecchi, e aveva conosciuto il lavoro di Luca Ronconi attraverso il sodalizio con Prati, interprete di quasi tutti gli spettacoli del regista romano (a partire dal Candelaio di Giordano Bruno nel 1968). Insieme avevano firmato la traduzione di Tutto il teatro di Yourcenar. Coppola aveva scritto diversi saggi di argomento letterario e teatrale, apparsi tra l’altro sulla rivista “Paragone” diretta da Cesare Garboli.

D’Amico

Figlio di un grande musicologo, Fedele D’Amico, e della più celebre sceneggiatrice del cinema italiano, Suso Cecchi D’Amico, Masolino D’Amico ha da sempre respirato l’aria dello spettacolo. Per questo, la sua attività di anglista, ricca di numerosi studi, traduzioni di romanzi (tra cui i fluviali Pamela e Clarissa di Richardson), di epistolari (Byron) e di altro, rileva dall’universo del teatro la sua vena più felice. È infatti come traduttore uno tra i più apprezzati da registi e produttori, non soltanto per la competenza linguistica, ma anche per la resa scenica delle sue traduzioni teatrali. Che sono numerosissime, una quarantina circa, la più parte rappresentate. E svariano da Shakespeare a Ayckbourn, a parte Tennessee Williams e Arthur Miller, dei quali diventa l’interprete ideale e autorizzato. Un equilibro delicato di E. Albee, rappresentata da Zeffirelli nel 1968, è la sua prima pièce tradotta. Da allora molte ne sono seguite: sempre di Albee, Tre donne alte (regia di Squarzina, 1996); Una bomba in ambasciata (Don’t Drink the Water) di Woody Allen (regia di Monicelli, 1997); Les liaisons dangereuses di C. Hampton, da Laclos, messe in scena una prima volta da Calenda, nel 1989, poi da Monicelli, con D. Sanda, nel 1994. Per Lavia ha tradotto Il servo di scena di Ronald Harwood e Il sottoscala di C. Dyer. Importanti sono le sue traduzioni shakespeariane: Molto rumore per nulla , per la regia di S. Sequi; La bisbetica domata, con M. Melato e Come vi piace , entrambe per la regia di M. Sciaccaluga; Il mercante di Venezia , con la regia di O. Costa; Antonio e Cleopatra , diretto da Missiroli. Di T. Williams rammentiamo Un tram che si chiama desiderio , nell’edizione di De Capitani; La dolce ala della giovinezza , diretto da G. Patroni Griffi; La rosa tatuata , di Vacis con V. Moriconi (1996); Estate e fumo di Pugliese e Zoo di vetro di Bordon; di A. Miller, Erano tutti miei figli e Broken Glass , entrambi per Missiroli, e La discesa da Monte Morgan , per M. Sciaccaluga. E sempre per Sciaccaluga, nel 1998, traduce una commedia classica, Il ventaglio di Lady Windermere di Oscar Wilde.

D’Amico

Silvio D’Amico rappresenta uno dei cardini attorno al quale è nato il nuovo teatro italiano del Novecento. Critico attivissimo, inizia come ‘vice’ di D. Oliva nell’ottobre del 1914 alla redazione di “Idea Nazionale”; scrive, poi, su “La Tribuna”, il “Giornale d’Italia” e, dal 1945 al 1955, su “Il Tempo”. Tiene anche rubriche teatrali su diversi periodici: “La festa” (1923-28), “La fiera letteraria” (1925-26), “L’illustrazione italiana” (1947-48 e 1952-55), “L’approdo” (1952-54). Dal 1945 è titolare delle cronache drammatiche alla Rai, per la rubrica “Chi è di scena”, poi raccolte nel volume Palcoscenico del dopoguerra (1953). Figura completa di critico, Silvio D’Amico oltre che cronista è storico di raro acume, firmando un’imponente Storia del teatro drammatico (1939-40), e grande organizzatore culturale: a lui si deve, infatti, la fondazione della Accademia d’arte drammatica di Roma, prima scuola di recitazione e regia in Italia, che porta ora il suo nome (1935-38), e l’ideazione e direzione dell’ Enciclopedia dello Spettacolo , pubblicata in nove volumi tra il 1954 e il 1962 (con un decimo volume di aggiornamento, impresa ancora unica in ambito europeo. Particolarmente attento a quanto avveniva all’estero, in particolare Germania e Francia, Silvio D’Amico sin dagli inizi della carriera prende posizione per un rinnovamento radicale della scena italiana, che doveva porsi al livello delle altre arti e del resto d’Europa, introducendo, per la prima volta, l’idea di un ‘teatro di regia’. Dopo Il teatro dei fantocci (1920) in cui esamina i maggiori contemporanei, Shaw e Benavente, chiarisce la sua idea di teatro in Tramonto del grande attore (1929), dove si schiera apertamente contro la figura del mattatore, contro il nomadismo e il dilettantismo del teatro. Una riforma che concerne, quindi, soprattutto la scena, gli attori e i capocomici: già nel 1914 indica in Ermete Novelli la figura paradigmatica dei pregi e dei difetti degli attori italiani, mentre inneggia alla compagnia di Benini quale modello artistico e organizzativo, o a Ruggeri come attore di stile moderno. Con Silvio D’Amico si profilano, dunque, l’idea di regista e di teatro d’arte (come già in Pirandello e nel suo lavoro di capocomico dal 1925 al 1928), in scritti come La crisi del teatro (1931), Invito a teatro (1935, sui rapporti tra Stato e teatro), Il teatro non deve morire (1945) e Mettere in scena (1954). Capostipite di una famiglia di studiosi e critici, D’A., di profonda fede cattolica, è stato caloroso polemista: celebri le dispute con M. Praga sul teatro borghese e con A.G. Bragaglia, giudicato eccessivamente avanguardista.

Lodovici

Cesare Vico Lodovici fu tra le personalità di spicco dell’attività letteraria fra le due guerre. Il suo nome è legato soprattutto alla traduzione dell’opera scespiriana, completata negli anni ’60. Oltre che di Shakespeare, fu traduttore anche di Aristofane, Plauto, Calderon, Tirso da Molina, Cervantes, Racine, Molière, Becque, Claudel, Camus, Eliot e O’Neill. Per il teatro scrisse anche alcuni testi, tra i quali vanno segnalati La donna di nessuno (1919), Ruota (1933) e L’incrinatura (1937), attraverso i quali si rivelò un fine conoscitore dell’animo femminile. Gli allestimenti di questa trilogia ebbero un buon successo in Italia e all’estero, tanto da essere considerati alcuni tra gli esempi più significativi del repertorio italiano moderno. L. si confrontò anche con il dramma storico ( Vespro siciliano , 1940) e con il dramma sacro ( Caterina da Siena , 1950), senza però ottenere riscontri particolarmente soddisfacenti, poiché andò a toccare temi a lui non congeniali. Fu anche sceneggiatore per il cinema e autore di libretti per il teatro in musica.