Durante

Dopo i primi tre anni di studio presso la scuola dell’Opera di Roma passa alla Royal Ballet School di Londra, dove si diploma nel 1984. Entrata nel Royal Ballet, è nominata solista nel 1987 e prima ballerina nel 1989. Qui danza tutto il repertorio classico ( La bella addormentata ) e neoclassico, segnalandosi per la purezza delle linee e la musicalità in lavori di G. Balanchine ( Violin Concerto ) e F. Ashton ( Rapsody ). Il suo temperamento drammatico la mette in luce in lavori di K. MacMillan ( Mayerling ), che per lei e il partner Irek Mukhamedov crea The Judas Tree (1992). Ospite di numerose compagnie internazionali (New York City Ballet), ha partecipato in Italia a Cabiria di A. Amodio con il Balletto dell’Arena di Verona (1994) ed è stata Aurora in una Bella addormentata al Teatro dell’Opera di Roma (1998).

Vitrac

Poeta, giornalista, regista, ma non teorico. Roger Vitrac viene considerato una figura di secondo piano del surrealismo, ancorché un precursore del `Théâtre Nouveau’. Il suo lavoro è difficile da classificare perché le sue rare rappresentazioni in teatri d’avanguardia hanno offerto spettacoli insoliti, talvolta scandalosi, ma in ogni caso in anticipo sui tempi. Nel 1922, durante una manifestazione dadaista, Vitrac incontra L. Aragon e A. Breton e con essi il surrealismo (A. Breton, tuttavia, per le sue tendenze anarcoidi, lo mette all’indice una prima volta nel 1925). Del 1923 sono Les Mystères de l’amour (un `drame surréaliste’ ambientato nell’universo intemporale del sogno, fatti salvi i riferimenti a Mussolini e a Lloyd George); nel 1926 con A. Artaud e R. Aron, fonda il Théâtre Alfred Jarry (che, curiosamente, nasce in contemporanea al Cartel di L. Jouvet, C. Dullin, G. Baty e G. Pitoëff): «Il nostro tema sarà: l’attualità intesa in tutti i suoi sensi; come mezzo: l’umorismo in tutte le sue forme; come scopo: il riso assoluto, il riso che va dall’immobilità inebetita allo scoppio del pianto». Agli inizi di giugno del 1927 sono messi in scena i primi spettacoli del Théâtre Alfred-Jarry, Humoristiques e Cruautés de la nuit .

I programmi successivi ricordano ancora, per commistione di generi e per audacia, i manifesti dadaisti: sono esposti i quadri concepiti dai tre fondatori, è rappresentato il terzo atto di Partage du midi di Claudel (senza che l’autore ne abbia dato l’autorizzazione); è proiettato, nel 1928, un film di Pudovkin che era stato censurato (La madre). Sempre nel 1928 sono messi in scena Il sogno di Strindberg e, soprattutto, Victor ou les Enfants au pouvoir, uno dei primi grandi tentativi di regia moderna e insieme l’ultimo spettacolo del Théâtre Alfred-Jarry. Teso a trascrivere «la vita come essa è», a sondare la difficilissima estetica del quotidiano, questo «dramma borghese in tre atti» (che si svolge a Parigi nel 1909, in un appartamento, dalle otto di sera a mezzanotte) raggiunge una tesissima drammaticità per l’isocronia della storia, della fabula e della rappresentazione, resa ancor più stridente dal linguaggio assolutamente anarchico utilizzato (in polemica non soltanto col linguaggio convenzionale, ma anche con quello quotidiano) e dal paradosso rappresentato dalla fisicità dei personaggi (Victor, bambino-gigante che cresce sempre più sulla scena; I. Mortemart, sorta di sfinge `modern’style’, incarnazione del destino o della morte che attende in abito da sera).

Se è possibile assimilare Vitrac alla corrente che va da E. Lear a A. Jarry, da E. Satie a B. Vian e a R. Queneau, egli annuncia sicuramente, con trent’anni di anticipo, ciò che E. Ionesco porta alle estreme conseguenze. Victor viene pubblicato nel 1929 e riceve una consacrazione postuma, nel 1962, da parte di J. Anouilh, che considera Vitrac «padre del teatro moderno». Tra le altre pièces di Vitrac, Le Coup de Trafalgar (1934, Théâtre de l’Atelier per il Rideau de Paris); Le Camelot (1936, Théâtre de l’Atelier); Les Demoiselles du large (1938, Théâtre de l’Oeuvre); Le Loup-Garou (1940, Théâtre des Noctambules, scene di R. Rouleau); Le Sabre de mon père (1951, Théâtre de Paris); Médor (1966, Théâtre du Studio des Champs-Elysées, in contemporanea con L’Air du Large di René de Obaldia); Entrée libre (1967, Théâtre Daniel-Sorano). L’ultima pièce di V., Le condamné, esce postuma nel 1964.

Macedonio

Dopo una breve attività amatoriale, Francesco Macedonio incomincia la sua attività di regista al Teatro stabile del Friuli Venezia Giulia, nel 1967, con il suo primo allestimento, un testo scritto e interpretato da Vittorio Franceschi, e in seguito dirigendo la Compagnia dei Dodici, e gli attori fissi dello Stabile. Il repertorio di opere scelte da M. alterna classici come Sior Todero Brontolon , I rusteghi e La donna di garbo di Goldoni, Casa di bambola di Ibsen e Vecchio mondo di Arbuzov con Lina Volonghi, ad autori contemporanei come Fulvio Tomizza e Furio Bordon. Celebre la trilogia in dialetto triestino di Carpinteri e Faraguna: Le Maldobrie , Noi delle vecchie provincie , L’Austria era un paese agitato . Ha collaborato inoltre con la compagnia di burattini de `I piccoli’ di Podrecca e con la Cooperativa Nuova Scena di Bologna, creando un sodalizio con l’attore e autore Vittorio Franceschi, di cui mette in scena Cerco l’uomo (1975), L’idealista (1976) e Questo Amleto non si può fare (1977). Nel 1976 fonda a Trieste il teatro popolare `La contrada’.

Marinetti

Dopo i primi successi letterari a Parigi, con alcune raccolte di liriche modellate sulla poesia di Rimbaud e Verlaine, dopo l’attività letteraria, conclusasi col Manifesto del futurismo del 1909, dopo Mafarka il futurista (1910), La battaglia di Tripoli (1911), Il bombardamento di Adrianopoli (1913), Filippo Tommaso Marinetti intensificò l’attività teatrale (iniziata nel 1909 con Poupées élétriques ), non solo con una serie di Manifesti , ma anche con una cospicua produzione, che solo recentemente è stata raccolta in tre volumi da Giovanni Calendoli. I suoi lavori drammatici ebbero subito gli onori della scena: La donna è mobile fu rappresentata al Teatro Regio di Torino (1909) dalla compagnia Suvini-Zerboni; Le roi bombance al Théâtre de L’Oeuvre (1909); col titolo di Il re baldoria venne rappresentata soltanto nel 1929 in Italia al Teatro degli Indipendenti di Bragaglia. Seguirono: Elettricità , Compagnia Betti-Masi (1915); Simultaneità , Compagnia Fumagalli (1922); Il tamburo africano (Teatro Verdi di Pisa, 1922); Bianco e rosso (Teatro degli Indipendenti, 1923); Prigionieri (Teatro di villa Ferrari, 1925); Fantocci elettrici (Teatro degli Indipendenti, 1925); Vulcano (Teatro d’Arte diretto da Luigi Pirandello, 1926); L’oceano del cuore (Teatro Argentina, 1927); Il suggeritore nudo (Teatro degli Indipendenti, 1929); Simultanina (Teatro Argentina, Compagnia Fontana-Benassi, 1931). Alcune di queste opere ebbero successo in Germania, Francia, Russia e Cecoslovacchia; ebbe grande risonanza la messinscena di Prigionieri (1933) al Teatro Wielki di Leopoli, regia di Z. Radulski. Poco nota è la sua attività di autore radiofonico; M. scrisse per la radio otto sintesi raccolte in: Sintesi radiofoniche e Violetta e gli aeroplani. La `teatralità’ di Marinetti va certamente intesa in senso lato, come forma di espressione e di comunicazione; doveva essere coerente con l’estetica futurista invocata nei Manifesti dedicati al teatro: Manifesto dei drammaturghi futuristi (1911); Il teatro di varietà (1911); Il teatro futurista sintetico ; Scenografia e coreografia futurista (1915); La declamazione dinamica e sinottica (1916); Il teatro aereo futurista (1919); Il teatro della sorpresa (1921); Il teatro totale per le masse (1933). Dopo i clamori e gli scandali del primo decennio, il teatro di M., fra il disconoscimento della critica e il successo contrastato del pubblico, divenne un punto di riferimento per chi voleva sperimentare nuove forme e nuovi linguaggi. La sua scrittura scenica si scontrò con quelli che erano stati i consueti parametri teatrali della tradizione di fine Ottocento e si avviò verso soluzioni ardite, che soltanto dagli anni ’60 il teatro italiano ha riscoperto, con il movimento delle avanguardie.

Preetorius

Laureato in giurisprudenza, bibliofilo ed esperto d’arti grafiche, fondatore di una scuola d’illustrazione e professore presso prestigiosi istituti tedeschi d’arte grafica, Emil Preetorius esordisce come scenografo solo nel 1921 ( Ifigenia in Aulide di Gluck, regia di W. Wirk; Monaco, Teatro Nazionale). Due anni più tardi è chiamato ufficialmente ai Kammerspiele di Falckenberg, iniziando una felice produzione che lo conduce ben presto ai maggiori teatri europei (a Berlino è collaboratore abituale dell’Opera di Stato). Grazie a un’impostazione stilizzata, ma monumentale e fastosa, diventa un amato interprete di Mozart ( Don Giovanni , Monaco 1936; Così fan tutte , Berlino 1941; Il flauto magico , 1949), di R. Strauss ( Ariadne auf Naxos , Berlino 1929; Elettra , Berlino 1940; Salome , Tolosa 1952), di Gluck ( Orfeo ed Euridice , Londra 1937; Ifigenia in Tauride , Berlino 1941; Don Juan , 1949), e soprattutto di Wagner ( Lohengrin , Berlino 1928; Tristano e Isotta , Parigi, Théâtre des Champs-Elysées, 1937; Sigfrido , Amsterdam 1946; Tannh&aulm;user , Monaco, 1950). Tra il 1933 e il 1944 accanto al regista H. Tetjen riforma il Festival di Bayreuth, producendo ampie ripercussioni su tutta la scenografia wagneriana contemporanea (celebre l’allestimento de L’anello del Nibelungo , ripetuto ogni anno dal 1933 al 1944).

Ferri

Esponente di punta della canzone romanesca. Esordisce nel 1963 all’Intra’s Club di Milano e in seguito (1965) si afferma al Bagaglino di Roma con un repertorio di stornelli e canzoni popolari romane. Si fa notare per la sua prorompente romanità, tanto da essere definita `romana de Roma’. Approda presto in tv, partecipando a diversi spettacoli: Questa sera Gabriella Ferri (1971), Senza rete (1972), Dove sta Zazà (1973), Il circo delle voci (1974). Il suo repertorio comprende principalmente stornelli, ninne nanne e canzoni della malavita romana, ma non mancano aperture alla canzone napoletana e latino-americana. La maggior parte dei suoi spettacoli teatrali e televisivi vengono incisi su disco. Nel 1975 propone lo spettacolo Mazzabubù ; nel 1980 è di nuovo in tv con Giochiamo al varietà . In seguito si trasferisce negli Usa, abbandonando la tv e il cabaret per dedicarsi alla musica. Ricompare in Italia nel 1987 interpretando la sigla del varietà televisivo Biberon . Nel 1996 partecipa al premio Tenco con alcuni musicisti della Piccola Orchestra Avion Travel; nel 1997 esce il suo disco Ritorno al futuro .

Castellucci

Fondatore nel 1981, insieme alla sorella Claudia e ai fratelli Chiara e Paolo Guidi, della Socìetas Raffaello Sanzio. La prima regia teatrale di Romeo Castellucci è quella di Santa Sofia – Teatro Khmer (1985), manifesto del teatro iconoclasta. Seguono nel 1990 Gilgamesh e nel ’91 Amleto – la veemente esteriorità della morte di un mollusco, opere che esprimono il carattere mitico del corpo dell’attore. Autore di scritti teorici, Castellucci opera con fantasia dissacratoria una radicale risignificazione del teatro secondo gli elementi della visione e della figura. In Amleto , testo chiave della compagnia, l’opposizione originaria del dubbio amletico viene negata e risolta successivamente in una coesistenza di essere e non essere. Nell’ Orestea di Eschilo del 1995 Castellucci compie un viaggio a ritroso verso le origini della nostra cultura e del teatro. In un impasto di materia organica e tecnologia avanzata le immagini sconvolgenti rievocano riti dionisiaci e recuperano tutti i protagonisti della favola arcaica. Con Giulio Cesare (1997), ultima produzione della Socìetas che porta la firma di Castellucci, si assiste a una riesumazione dell’ ars oratoria. La forza di questa messa in scena è quel la della retorica, arte della persuasione che resiste e sorpassa l’avvicendarsi del tempo.

Guida

Si impone nel filone sexy del cinema italiano degli anni ’70 con il ruolo della giovane ninfetta disinibita, che provoca intenzionalmente l’uomo maturo. Dopo una serie di pellicole di serie B di cui è protagonista, Garinei la chiama a lavorare per la prima volta in teatro e le affida il personaggio della bellissima Leila nella commedia musicale Accendiamo la lampada (1979), accanto a J. Dorelli, dove le spettano anche canzoni da solista come “Non sono Sherazade”, “Come è bella la vita”, e “Filo, filo”, tutte composte da A. Trovaioli.

Thesmar

Ha intrapreso i primi studi di danza classica a L’Avana, dove il padre era diplomatico; poi, sotto la guida di S. Schwarz, ha seguito corsi regolari al Conservatorio di Parigi. Non ancora diciottenne, ha debuttato nella compagnia del Marchese De Cuevas, diventando presto solista. L’incontro, nella stessa formazione, con R. Nureyev valse ad aprirle una luminosa carriera che la portò anche tra le file del New York City Ballet. Danzatrice di rara eleganza e dallo stile infallibile, ha saputo farsi apprezzare per grazia e leggerezza nei grandi ruoli classici. Accanto a Nureyev è stata anche protagonista in Marco Spada , celebre balletto ottocentesco ricostruito dal marito, il coreografo P. Lacotte. Archetipo della ballerina romantica, si è distinta anche come preziosa interprete balanchiniana.

Palma di Cesnola

Ginnasta, studia alla School for New Dance Development di Amsterdam con Julyen Hamilton, Steve Paxton e Paoline De Groot e come danzatrice collabora con l’inglese Laurie Booth e con gli italiani Lucia Latour e Alessandro Certini. La sua ricerca coreografica, derivata dalla contaminazione tra vari linguaggi contemporanei, tra i quali la contact improvisation , si sviluppa attraverso assoli e piccoli lavori originali e surreali come Ti con Zero (1988), Lybra (1992), Orpheus Mecanique (1994), Nuvens (1998).

Ghiglia

Lorenzo Ghiglia esordisce al Teatro delle Novità con Il Prof. King di B. Rigacci (regia E. Rugoni, Bergamo, 1956), dimostrando una spiccata predilezione per soluzioni sintetiche a impianto fisso. Dedicandosi al balletto e all’opera, lavora a Napoli, a Venezia, a Catania e a Milano, dove conosce alla Piccola Scala F. Enriquez, con il quale realizza una nutrita serie di spettacoli (tra cui La Bohème di Puccini, 1960-61e Il Trovatore di Verdi, 1962-63). Le sue scenografie inventano dimensioni fantastiche, preferendo realizzazioni senza precisi riferimenti storico – ambientali, come il fortunato Candido di R. Guicciardini da Voltaire (1972), che conferma la collaborazione con il regista, proseguita per Suor Angelica (Milano, Teatro alla Scala 1972-73); Antonio e Cleopatra di W. Shakespeare (Vicenza, Teatro Olimpico, 1977); Le Troiane di Euripide (Catania, Teatro Verga, 1981); Porcile di P.P. Pasolini (Roma, Teatro dell’Orologio, 1989)e il più recente Empedocle di F. Holderlin (Segesta, Teatro Antico, 1993). Altre figure importanti sono A. Piccardi ( Ifigenia in Aulide di Euripide, Borgio Verezzi, 1992; La strana coppia di N. Simon, Torino, Teatro Erba, 1993; Il caso Notarbartolo di F. Arriva, Catania, Teatro Verga, 1994) e A. Martini, con la quale realizza anche i suoi ultimi lavori, come i felici Soldati a Ingolstad e Purgatorio a Ingolstad di M. Fleisser (Roma, Teatro dell’Orologio, 1992; Borgio Verezzi, 1994), e Letteratura di A. Schnitzler (Roma, Giardini della Filarmonica, 1995).

Guthrie

Nel 1926-27 Tyrone Guthrie è stato regista degli Scottish Nation Players; ha partecipato attivamente al festival di Cambridge con alcuni allestimenti (1929) e nel 1931 ha presentato L’anatomista di Bridie. È stato a più riprese regista dell’Old Vic (1933-34; 1936-37; 1951-52). Eccentrico e geniale, è uno dei pochi registi che ha saputo imporre la propria personalità agli spettacoli, comunicando un forte magnetismo agli attori. Durante la guerra è stato direttore del Sadler’s Wells Opera, oggi English National Opera. Nel 1947 ha inaugurato il festival di Edimburgo con King John di Bale. Fondatore del festival shakespeariano di Stratford nell’Ontario, G. ha dedicato la sua carriera alla messa in scena delle opere di Shakespeare e degli elisabettiani, seguendo tecniche sperimentali e innovative.

MacIntyre

Tom MacIntyre debutta in teatro nel 1972 come drammaturgo con The Eye-Winker, Tom-Tinker, dramma politico messo in scena al Peacock Theatre. Erede della passione di Yeats per la sperimentazione formale, nel corso degli anni ’70 produce quattro lavori fortemente influenzati dalla danza moderna e dal cinema, ma privi di alcuna specificità irlandese. Nel 1983 con La grande carestia (The Great Hunger), dramma basato sul poema religioso di Patrick Kavanagh, si affianca al Peacock Theatre e in collaborazione con l’attore Tom Hickey e il regista Patrick Mason inaugura una nuova stagione, in cui si dedica a esplorare i lati nascosti dell’Irlanda sfruttando come punto di partenza per i suoi testi storie irlandesi, folclore o miti che uniti a movimenti, mimica e suoni lo conducono alla creazione di un teatro evocativo, onirico e a tratti surreale. Tra gli altri suoi lavori si ricordano: La donna barbuta (The Bearded Lady, 1984), Balla per il tuo papà (Dance for to Daddy, 1987), Biancaneve (Snow White, 1988) e, negli anni ’90, Chickadee (1993), Latte di capra bollente (Sheep’s Milk on the Boil, 1994) e Buonasera signor Collins (Good Evening, Mr Collins, 1995).

tragedia

Nel 1911 l’esercito italiano organizza la sua prima spedizione aerobellica contro l’esercito turco sul fronte libico: l’evento fu a lungo preparato e lungamente commentato sui giornali dell’epoca. Nello stesso anno Ettore Petrolini debuttò con la celebre parodia dell’Amleto scritta in coppia con il poeta Libero Bovio, rischiando l’arresto con l’accusa di vilipendio alle patrie lettere (l’Amleto originale era stato attribuito dai gendarmi presenti in sala a Vittorio Alfieri). In questa singolare ma non casuale coincidenza si condensa il rapporto del secolo Ventesimo con la tragedia teatrale. Tutto il Novecento è segnato da una relazione che si potrebbe definire ‘industriale’ con la morte e con la tragedia: la crudezza dei conflitti bellici internazionali (che hanno appunto il loro prologo con la guerra italo-turca), il regime fascista, nazista e stalinista, le guerre coloniali e, infine, il diffondersi, sul finire del secolo, del cosiddetto principio della ‘pulizia etnica’ hanno imposto al mondo occidentale un radicale ripensamento del valore di ciò che era considerato `tragico’ nella tradizione culturale e teatrale dalle epoche greca e romana fino a tutto il secolo Diciannovesimo.

In buona sostanza si può riassumere il senso tragico tradizionale nella contrapposizione fra un individuo e un’entità sociale, divina o spirituale collettiva. Da Eschilo a Shakespeare a Manzoni la tragedia assume stilisticamente i connotati di questo conflitto in cui, almeno da un lato, l’elemento individuale è assolutamente indispensabile. La storia sociale del Novecento consta sostanzialmente nell’impossibilità di questo conflitto: il ruolo dell’individuo, le specificità che ne fanno qualcosa di unico e irripetibile sono negati dalla riproducibilità industriale della morte di fronte alla quale non si è esseri individuali ma numeri di una massa più o meno indistinta. La coscienza o la percezione di questa mutata realtà è ciò che caratterizza e segna profondamente la sopravvivenza del senso tragico, a teatro, nel Novecento. Essa, infatti, avviene soprattutto attraverso la rielaborazione di tragedie classiche: vuoi sotto forma parodistica vuoi sotto forma di riscrittura tout-court.

Il caso del processo intentato da Gabriele D’Annunzio contro Eduardo Scarpetta, autore di una parodia della Figlia di Iorio, rappresenta il primo sintomo di una situazione nuova e inedita sulla quale si apre il Novecento. L’ Amleto di Petrolini-Bovio è invece il segno dell’avvenuto cambiamento e l’esempio più significativo di tutto quanto accadde dopo. Petrolini, irridendo le `disgrazie’ del principe danese, irride tanto la pochezza del dubbio di un uomo di fronte ai tormenti di una società intera, quanto l’abitudine del teatro tradizionale di rappresentare Amleto come l’eroe irraggiungibile di un conflitto immenso. Mentre nella realtà Amleto veniva percepito dal pubblico come un ometto turbato da un dubbio da due soldi: com’è possibile rovinarsi la vita chiedendosi se è lecito uccidere un patrigno se con una bomba aerea o un cannone ben puntato si può eliminare un’intera comunità di patrigni? La parodia shakespeariana di Petrolini va nel solco, assai fecondo del Novecento, aperto da Ubu re di Jarry e perseguito poi da Ionesco nel suo Macbeth e portato alle estreme conseguenze da Beckett con Catastrofe, la più alta tragedia autenticamente novecentesca e, contemporaneamente, la più terribile parodia della tragedia classica.

L’altro fenomeno, quello delle riscritture dei classici, si offre come maggiormente interlocutorio nei confronti della tradizione: da Anouilh a Testori, molti autori teatrali del Novecento si sono interrogati sulla possibilità di dare nuove vitalità e attualità al conflitto individuo/entità superiore. Ma, in ogni caso, si tratta di domande e risposte sommamente (quando non esclusivamente) legate alla contemporaneità che le produsse. Analogo rilievo andrebbe fatto a quanti tentarono di riprodurre senza particolari aggiornamenti i meccanismi della tragedia classica (T.S. Eliot); o, ancora, a quanti pensarono di contestualizzare all’interno delle vicende della seconda guerra mondiale il tradizionale conflitto (Sartre o Fabbri). Solo a Samuel Beckett può essere attribuito il merito di aver tentato un superamento consapevole della classicità mediante l’invenzione del `tragicomico’, ossia di un effetto contrastante, tragico e comico allo stesso tempo, prodotto dalla rappresentazione di tragedie individuali comicamente piccole (`relative’) se riferite alla complessità del mondo.

Manfredi

Laureato in Giurisprudenza e allievo dell’Accademia d’arte drammatica nella mitica annata dei Panelli, dei Buazzelli e delle Falk, Nino Manfredi prima di ottenere il vasto successo nazional popolare cinematografico e televisivo, e di passare poi alla commedia in prosa, ha avuto un inizio di carriera segnato dal teatro di varietà. Anche se il debutto ufficiale avvenne nel classico, perché fu scritturato addirittura dallo Stabile di Roma, da Gassman, da Costa e da Strehler nella Tempesta e nel Riccardo III scespiriani allestiti al Piccolo Teatro. Furono la Osiris e l’impresario Elio Gigante che gli cambiarono la vita, il carattere e lo stile di attore drammatico che combatteva con la sua natura. Il produttore propose a lui e ad altri giovanotti di bella presenza teatrale (Gianni Bonagura, Paolo Ferrari e Pier Luigi Pelitti, che uscì poi dall’ambiente) di formare un inedito quartetto comico, con facoltà di andare a soggetto secondo l’attualità, in una nuova rivista delle popolari tre sorelle Nava intitolata Tre per tre Nava , stagione 1953-54. Fu un successo diviso per quattro e una svolta per l’attore che venne per la prima volta a contatto con un pubblico che mostrò di gradire la sua comunicativa, la sua caratterizzazione comica, la sua inedita vena ironica, il modo nuovo di stare in scena e di dividere lo sketch con dei coevi compagni di lavoro. Insomma la rivista salvò Manfredi da un destino accademico e serioso che forse non avrebbe lasciato spazio neppure all’attore e al regista della commedia italiana anni ’60.

Il successo personale di Mandredi, come vuole una legge dura del teatro, non fu molto gradito dalle capocomiche romane e l’attore prese così altre strade, fu accanto a Billi e Riva in Gli italiani sono fatti così, spettacolo di varietà tradizionale, scritto da Marchesi, Metz e Verde nella stagione 1956-57, ancora con gli amici Ferrari e Bonagura. In precedenza, nella stagione 1954-55, Manfredi ebbe l’onore di essere scelto come giovane promettente, insieme ad Alberto Lionello, Pisu e Pandolfi, dalla regina delle soubrette, Wanda Osiris che preparava Festival , di Age, Scarpelli, Verde, Vergani (e poi anche Marchesi). Che fu un grande, fastoso, ma non fortunatissimo spettacolo nonostante la supervisione artistica di Luchino Visconti, un neofita della passerella. Il salto di qualità Manfredi lo deve naturalmente al fiuto di Garinei e Giovannini che lo misero nel ricco cast del musical alla greca Un trapezio per Lisistrata, nel 1958-59. Nella buffa e riuscita riduzione del famoso sciopero delle mogli raccontato da Aristofane, Delia Scala è l’agitatrice di animi femminili, e con lei in scena c’erano il Quartetto Cetra, Ave Ninchi, Paolo Panelli, Mario Carotenuto e Manfredi primo attore giovane e comico di bella presenza, marito in gonnellino e in balìa di spartani e ateniesi, visti come i russi e gli americani. L’anno dopo M. diventò un volto tra i più amati dagli italiani nella storica edizione di Canzonissima dove, come barista ciociaro di Ceccano, l’attore coniò lo slogan amatissimo «fusse che fusse la vorta bbona».

Dopodiché Manfredi assume il ruolo che lo consacrerà teatralmente e per tutta la vita, portandolo anche in tournée a Broadway e in Sudamerica, quello di Rugantino nell’omonimo musical scritto con Festa Campanile e Franciosa (e la collaborazione di Luigi Magni), andato trionfalmente in scena al Sistina nel ’62 e ambientato nella Roma papalina del 1830. È la prima volta che il testo assume un’importanza preminente nel musical, che i raccordi narrativi sono rispettati e sintonizzati con la musica e la coreografia, ed è la prima volta – benché anche in Rinaldo in campo morisse il coprotagonista risorgimentale Panelli – che Garinei e Giovannini si permettono un finale non lieto, mandando a morte sotto la ghigliottina l’eroe tipicamente romano, vigliacco e proletario, il bighellone della Storia. Il cast è eccezionale, figurano in scena Lea Massari (sostituita l’anno dopo da Ornella Vanoni), Bice Valori e il memorabile boia mastro Titta di Aldo Fabrizi, che ripeterà il suo ruolo anche nell’edizione con Montesano nel ’78, mentre nella stagione 1998-99 Rugantino (impersonato nella riduzione cinematografica da Celentano con la moglie Claudia Mori) torna in scena per la terza volta a furor di pubblico nel `suo’ Sistina con Valerio Mastrandrea, Sabrina Ferilli, Simona Marchini e Maurizio Mattioli. Per Manfredi musical e riviste finiscono qui, mentre proseguirà negli anni ’90 la sua attività di attore brillante, scrivendosi da solo i testi e occupandosi anche della regia (Gente di facili costumi ). Collaterale alla sua attività teatrale, copiosa e importante è stata la sua attività cinematografica: Anni ruggenti , 1962; Straziami, ma di baci saziami , 1968; Lo chiameremo Andrea, 1972; Brutti, sporchi e cattivi, 1976. Come regista, infine, si è diretto nell’episodio calviniano del soldato in L’amore difficile (1962) e nel notevole Per grazia ricevuta (1971).

Fo

Dario Fo frequenta l’Accademia di belle arti di Brera a Milano e si iscrive alla facoltà di architettura del politecnico senza laurearsi mai (ma nel corso della carriera sono molte le lauree Honoris causa ). Studia per diventare pittore. Nel ’52 conosce Franco Parenti che lo introduce alla Rai dove per diciotto settimane scrive e recita per la radio la trasmissione satirica Poer nano, i cui testi vengono presentati nello stesso anno al Teatro Odeon di Milano. Nel ’53 sempre con Parenti e Giustino Durano firma e interpreta Il dito nell’occhio che rompe il cliché della rivista tradizionale, cui seguirà l’anno dopo Sani da legare. Il passaggio al teatro e al mondo dello spettacolo è ormai ufficiale; scrive con altri e interpreta il film Lo svitato di C. Lizzani e firma varie sceneggiature. Nel ’57 mette in scena per Franca Rame Ladri manichini e donne nude e l’anno dopo Comica finale. Dal ’59 si mette in compagnia stabile con la Rame e altri. L’attività si svolge ancora nel cosiddetto teatro borghese nonostante lo spirito provocatorio, farsesco e di impegno civile dei suoi testi. Sono di questo periodo: Gli arcangeli non giocano a flipper (1959), Aveva due pistole con gli occhi bianchi e neri (1960), Chi ruba un piede è fortunato in amore (1961), Isabella, tre caravelle e un cacciaballe (1963), Settimo ruba un po’ meno (1964), La colpa è sempre del diavolo (1965), La signora è da buttare (1967).

In questo decennio risulta fondamentale la partecipazione nel 1963 a Canzonissima, la più popolare trasmissione tv dell’Italia anni ’60, dove con Franca Rame mette in ridicolo i luoghi comuni del qualunquismo imperante e le magagne del sistema politico, denunciando le morti bianche. Per non piegarsi all’intervento della censura, abbandoneranno la trasmissione e per oltre un ventennio saranno esclusi dalla Rai. Prosegue invece l’attività teatrale e di autore, firmando i testi di canzoni di alcuni cantautori dell’epoca a cominciare da Enzo Jannacci per cui scriverà “Prete Liprando e il giudizio di Dio” e “L’Armando”. È del ’66 la prima raccolta di Ci ragiono e canto sulla musica popolare italiana, cui seguiranno nel ’69 Ci ragiono e canto n.2 e nel ’73 Ci ragiono e canto n.3 . Nel ’68, sulla spinta degli avvenimenti politici italiani ed europei fonda un collettivo teatrale indipendente: l’associazione Nuova Scena, che girerà l’Italia soprattutto in circuiti alternativi, al di fuori del teatro ufficiale (Case del popolo e capannoni come quello di via Colletta a Milano). Va in scena con Grande pantomima con bandiere e pupazzi piccoli e medi (1968), L’operaio conosce 300 parole, il padrone 1000, per questo lui è il padrone (1969), Legami pure, tanto io spacco tutto lo stesso (1969) e soprattutto con il monologo che lancia a livello mondiale il suo leggendario grammelot (una lingua che mescola dialetti antichi padani al linguaggio moderno): Mistero buffo (1969). Sempre nel ’69 fonda con la Rame il collettivo teatrale La Comune con cui mette in scena nel ’70 Vorrei morire anche stasera se dovessi sapere che non è servito a niente e Morte accidentale di un anarchico, cui seguiranno Morte e resurrezione di un pupazzo (1971), Tutti uniti! Tutti insieme! Ma scusa quello non è il padrone? (1971), Fedayn (1971), Ordine per Dio.ooo.ooo.ooo (1972), Pum pum, chi è? La Polizia (1972), Guerra di popolo in Cile (1973) per cui viene arrestato durante una tournée a Sassari. Nel ’74 La Comune occupa a Milano la Palazzina Liberty che raccoglierà 80mila abbonati in poco tempo e che fino agli inizi degli anni ’80 resterà uno dei luoghi centrali del teatro politico e della cultura di controinformazione. Qui va in scena Non si paga, non si paga (1974), Il fanfani rapito (1975), La marijuana della mamma è sempre più bella (1976), Storia di una tigre (1979), Clacson, trombette e pennacchi (1981).

Inizia in questi anni una frenetica attività di tournée all’estero e nel ’79 viene chiamato alla Scala di Milano dove dirige L’histoire du soldat di Stravinskij. Nell’82 scrive e mette in scena L’opera dello sghignazzo cui seguirà Il fabulazzo osceno e Patapunfete, un testo per i due clown Colombaioni. Sempre alternando l’attività di attore e regista tra Italia e estero (nell’87 viene chiamato a dirigere per l’Opera di Amsterdam Il Barbiere di Siviglia di Rossini e nel ’90 due testi di Molière alla Comédie-Française: Il medico per forza e Il medico volante), continua a scrivere e a mettere in scena nuove commedie: Quasi per caso una donna: Elisabetta (1984), Dio li fa e poi li accoppa (1985), Arlecchino (1985), presentato alla Biennale di Venezia, Parti femminili (1986), Il ratto della Francesca (1986), Il papa e la strega (1989), Zitti, stiamo precipitando (1990), il monologo Johan Padan a la descoverta de le Americhe (1991), Settimo ruba un po’ meno n.2 (1993), Dario Fo incontra Ruzante (1993), Mamma i sanculotti! (1994), La Bibbia dei villani (1996), Il diavolo con le zinne (1997), Marino libero!. Marino innocente! (1998). Nel ’97 vince il premio Nobel per la letteratura e nella motivazione viene sottolineato, oltre alla multiforme attività di scrittore, anche il suo impegno civile di attore capace di dar voce ai più deboli.

Cantarelli

Dario Cantarelli inizia la sua attività teatrale nel 1973 con il Granteatro di Carlo Cecchi, partecipando a spettacoli quali Woyzeck di Büchner, A morte dint”o lietto ‘e Don Felice di A. Petito, La cimice di Majakovskij. Lavora con il Gruppo della Rocca dal 1974 al ’79 ( 23 svenimenti di Cechov, Il mandato di Erdman e Pulcinella capitano del popolo di Compagnone e Lazzarino, regia di E. Marcucci). Tornato al Granteatro, realizza con Cecchi Don Giovanni (1980) e Il Borghese gentiluomo di Molière, L’uomo, la bestia e la virtù di Pirandello (1980-81) e Il ritorno a casa di Pinter (1981).

Diretto da E. Job, interpreta a Spoleto Trionfo e caduta dell’ultimo Faust di Ceronetti. Lavora con Glauco Mauri in Il signor Puntila e il suo servo Matti di Brecht (1981) e all’Ater per alcuni allestimenti di Marcucci. Per sette anni collabora con la compagnia di V. Moriconi, interpretando Filumena Marturano di E. De Filippo, Pompeo in Antonio e Cleopatra di Shakespeare (regia di G. Cobelli), mentre in Oblomov è Zacar diretto da F. Bordon. La sua recitazione si segnala per la pronunciata fisicità, e i suoi personaggi si distinguono per una marcata caratterizzazione di segno grottesco. Con Marcello Bartoli e Egisto Marcucci fonda la compagnia `I fratellini’ (Le sedie di Ionesco, 1996; Una burla riuscita di Svevo, 1997). Nel cinema collabora con molti registi italiani: M. Bellocchio ( Marcia trionfale ), N. Moretti (Sogni d’oro, Bianca, La messa è finita), i Taviani (La notte di San Lorenzo), Luchetti (Il portaborse e Domani accadrà ) e Pupi Avati (Il testimone dello sposo).

Arniches

Giornalista de “La vanguardia” a Barcellona, Carlos Arniches si impose a Madrid a partire dal 1885 come autore di teatro minore (`género chico’), di ambiente madrileno, con acuta anche se bonaria e, a volte, poetica rappresentazione delle classi popolari. I suoi testi spesso erano scritti appositamente per attori famosi del momento. Dopo il 1910, con la decadenza del `género chico’, elaborò una sorta di tragicommedia grottesca, questa volta in tre atti, con una mescolanza di comico e tragico, con risvolti grotteschi e alcuni accenni di critica sociale. I suoi tioli più famosi sono: La señorita de Trévelez (1916) e ¡ Que viene mi marido! (1918).

Varisco

Laureato presso la facoltà di architettura del Politecnico di Milano nel 1937, Tito Varisco frequenta la Scuola di scenografia di P. Reina all’Accademia di Brera a Milano. Si dedica negli anni successivi e sino al 1968 all’attività didattica presso la facoltà di architettura. Insegna alla scuola di scenografia dell’Accademia di Brera dal 1954 sino al 1980 diventandone anche direttore. Durante la sua lunga carriera professionale alterna l’attività di architetto (progettando importanti costruzioni tra cui il rifacimento del Teatro Vittorio Emanuele di Messina) con quella di scenografo. Partecipa all’attività della televisione sperimentale realizzando le prime scenografie televisive per uno spettacolo di prosa e di lirica. Sua è la creazione del Monoscopio di apertura e chiusura dei programmi televisivi trasmesso giornalmente sino al 1984. È chiamato alla Scala alla direzione dell’allestimento scenico negli anni dal 1970 al 1978 dove fonda, inoltre, la Scuola per giovani scenografi. V. caratterizza la sua attività professionale dedicandosi al coordinamento e alla realizzazione del lavoro altrui, pur non tralasciando l’ideazione scenica di opere liriche tra cui la Turandot di Puccini per la regia di F. Enriquez (Sferisterio di Macerata, 1970); la Favorita di Donizetti (Scala, 1974) e la Gioconda di Ponchielli (Bordeaux, 1976), entrambi con la regia di M. Wallman; Madama Butterfly di Puccini per la regia di A. Trionfo (Opera di Roma 1987) e la realizzazione dell’ Aida con la regia di M. Bolognini (Sfinge – Piramidi, Il Cairo 1987).

Clerici

Formatasi alla Scuola del Teatro alla Scala sotto la guida di Fausta Mazzucchelli e Cia Fornaroli, Milly Wanda Clerici si è diplomata nel 1943 entrando immediatamente nell’omonimo Corpo di Ballo e interpretando ruoli principali in balletti di Aurel Milloss (Coppélia 1946; Petrushka 1947) e Serge Lifar (La Valse, 1948). Dotata di una tecnica brillante, perfetta espressione della danse d’ecole italiana, anche come insegnante ha trasmesso la nostra tradizione accademica agli allievi della Scuola di Ballo del Teatro San Carlo di Napoli, dove ha insegnato fin dai primi anni ’50.

Sofronov

Scrive versi e testi di canzoni popolarissime e, durante la guerra, è corrispondente dal fronte del quotidiano “Izvestija”. Debutta come autore drammatico con In una città (1947), dove descrive con solido realismo la situazione dei reduci di fronte alla distruzione della guerra (premio Stalin 1947). Ripete il successo con il secondo lavoro, Un carattere moscovita (1948, altro premio Stalin per lo stesso anno), scontro tra ottusa mentalità burocratica e coraggiosa iniziativa giovanile. Uomo di sicura fede comunista, dirige dal 1953 al 1986 la popolare rivista settimanale “Ogonek”. Ampia la sua produzione drammaturgica, circa quaranta lavori, tutti perfettamente in linea con la politica culturale di partito: La carriera di Beketov (1948), per esempio, appoggia l’oscurantistica campagna contro il cosmopolitismo. I suoi principali lavori sono: Cuore non perdona (1955) , Soldi (1956) , L’uomo in pensione (1957) , l’antiamericano Emigranti (1967) , Labirinto (1968), che inneggia alla partecipazione sovietica nella guerra in Vietnam, Operazione al cuore (1981). Enorme successo hanno le sue commedie, ben costruite anche se banali: Un milione per un sorriso (1958), la trilogia La vivandiera (1959), La vivandiera sposata (1961), Pavlina (1964), a cui più tardi si aggiunge La vivandiera nonna (1981).

Tambone

Dopo gli studi alla scuola della Scala e all’Istituto coreografico di Mosca entra nel corpo di ballo milanese nel 1982, diventandone primo ballerino nel 1984. Danzatore brillante, si distingue in ruoli di mezzocarattere nei classici ottocenteschi ( Coppélia ) e nei balletti narrativi del Novecento (Mercuzio in Romeo e Giulietta di John Cranko, Lescaut in L’histoire de Manon di Kenneth MacMillan). Dal 1994 è anche insegnante della Scuola di ballo della Scala.

Fratelli Capitoni

Debuttano in teatro nel 1989 con lo spettacolo Non venite mangiati . Partecipano a numerose trasmissioni radiofoniche e televisive, tra cui Via Asiago tenda (1989), Giochi senza frontiere (1990), S.P.Q.R. con E. Montesano (1991) e a trasmissioni radiofoniche. Nel 1990 partecipano al Funny film festival; nel 1991 allestiscono lo spettacolo Vi faremo sapere che continuano ad aggiornare e portare in tournée.

Valle-Inclán

Ramón María del Valle-Inclán è considerato uno degli autori maggiori del teatro spagnolo moderno. Originario della Galizia, in questa regione ambienta molti dei suoi testi, tra cui le Commedie barbare (Comedias bárbaras), una trilogia scritta tra il 1907 e il 1922, sorta di saga tragica e violenta della famiglia del protagonista, Juan Manuel de Montenegro, scritta in versi, come in versi sono le successive farse che culminano nella Farsa e licenza della regina autentica (Farsa y licencia de la reina castiza, 1920). Allo stesso anno risalgono Divine parole (Divinas palabras), tradotta nel 1941 da E. Vittorini, e Luci di bohème (Luces de bohemia), testi questi che entrano nel ciclo degli esperpentos, tragedie grottesche che ritraggono l’umanità in generale, ma soprattutto la realtà spagnola, attraverso «un’ estetica sistematicamente deformata», secondo le parole dell’autore. A questo genere, più vicino forse all’espressionismo tedesco che agli altri movimenti d’avanguardia europei, appartengono Le corna di Don Friolera (Los cuernos de don Friolera, 1921), I vestiti del defunto (Las galas del difunto, 1926) e La figlia del capitano (La hija del capitán, 1927). Luci di bohème è stato riproposto in Italia nel 1976 alla Biennale di Venezia e nel 1984 dalla Cooperativa Teatri di Sardegna con R. Vallone come protagonista.

Gelber

Nel 1959 Jack Gelber fece rappresentare dal Living Theatre, che ne trasse uno dei suoi migliori spettacoli (e il primo con il quale si fece ammirare in Europa), un testo dal titolo Il contatto (The Connection), su un gruppo di tossicodipendenti in attesa dell’uomo che dovrà portar loro la `roba’. Fu un evento di grande importanza, anche perché introduceva tutta una serie di tecniche tipiche del teatro d’avanguardia dell’epoca, dall’uso sistematico delle improvvisazioni al coinvolgimento provocatorio del pubblico. G. scrisse poi altri drammi (fra i quali The Apple , 1961, ancora per il Living) e fece anche il regista.

Pomare

Formato alla High School of Performing Arts di New York e con Horst, Jooss e Limón, si esibisce in Europa (1962-64) con un suo gruppo fondato ad Amsterdam e insegna in Olanda e Danimarca. Tornato negli Stati Uniti, crea per la sua compagnia Blues for the Jungle, Phoenix, Roots, Missa Luba , Las Desamoradas (1970) , Back to Bach , (1971), Serendipity , Radiance in the Dark , Queens Chamber , Lament for Visionaries , Narcissus Rising , Local Stops on a Full Moon. Nel suo lavoro la modern dance convive con temi e ritmi latini e neri.

Schwarzkogler

Figura mitica dell’Azionismo viennese con H. Nitsch, G. Brus e O. Muehl. Dopo aver frequentato la Scuola di arti grafiche di Vienna (1957-1961) e le prime esperienze pittoriche, sotto l’influenza dell’informale e del gestualismo (`tachisme’), S. compie, in un periodo brevissimo tra il 1965 e il 1966, le performance che gli daranno notorietà internazionale. Sono sei Aktionen, la prima denominata Wedding e l’ultima Aktion Sketch . Non si tratta di veri happening o azioni con il pubblico, ma semplicemente di foto-sessioni in cui l’artista mette in posa il suo modello (Heinz Cibulka) in una scenografia simbolica da sala operatoria: il corpo è avvolto da bende e rattrappito su oggetti-simboli sferici (tra l’alchimia e Jung), il volto è sempre coperto, con siringhe ipodermiche infilzate sugli arti, lame che fendono la carne, pesci squartati (il pesce rappresenta Cristo); tutto ciò ha dato modo ai critici di parlare di sadomasochismo e crudeltà fine a se stessa, continuando a citare la presunta automutilazione del pene (completamente simulata). In realtà S. è un grande esteta, che vede l’arte come terapia e rituale purificatorio del corpo-medium, immerso in un Caos organico-inorganico di ancestrale bellezza e sensualità. Nel 1969 si suicida o forse è vittima di un incidente.

Nikulin

Si diploma nel 1950. Allievo di Karandash, buona espressività, sguardo accattivante, clown anche parlatore, maestro della pantomima. Popolare e famosissimo in Russia anche per le sue numerose partecipazioni a film di successo e a trasmissioni televisive, diventa celebre grazie al duo formato con Mikhail Ivanovitch Sciudin. Sarà poi direttore del vecchio Circo di Mosca che conduce con profitto attraverso i profondi cambiamenti degli anni ’90, riuscendo a dare maggiore agilità alla struttura e a inviare numerosi artisti all’estero. Capisce la necessità di una nuova tendenza con Valentin Gneushev. Alla sua morte la direzione viene presa da un consiglio presieduto dal figlio.

Diana

Nel 1980 è tra i fondatori del Laboratorio Teatro Settimo, di cui cura gli spettacoli non solo in veste di scenografo e costumista, ma lavora anche come grafico, pittore e scultore. Tra gli allestimenti più significativi si ricordano: Esercizi sulla tavola di Mendeleev (1984), Elementi di struttura del sentimento (1985), Riso amaro (1986), Nel tempo tra le guerre (1988), Libera nos (1989), Dei liquori (1993), Bzz Bzz Bzz (1993), Novecento (1994), Tartufo (1995), Canto per Torino (1995), Uccelli (1996), Napjevi gradova canto delle città (1996), Totem (1997), Antenati (1998). Dal 1990 ha esteso la sua collaborazione ad altre compagnie, provandosi anche in allestimenti di opere liriche, e ha inoltre ampliato l’attività di mostre e installazioni.

Nemirovic-Dancenko

Fondatore con Stanislavskij del Teatro d’Arte di Mosca, Vladimir Ivanovic Nemirovic-Dancenko inizia come brillante e acuto critico teatrale su quotidiani e riviste (“La sveglia”, “L’artista”, “Il corriere russo”, “Novità del giorno”) e come scrittore di romanzi, racconti e drammi ( L’ultima volontà , 1888; Un nuovo affare , 1890; L’oro , 1895; Il prezzo della vita , 1896; Sogni , 1901: tutti rappresentati con grande successo ai teatri Aleksandrinskij e Malyj, con i migliori attori del tempo). Nel 1896 rifiuta il premio Griboedov per Il prezzo della vita , ritenendo ingiustamente sottovalutato il coevo Il gabbiano di Cechov. Dal 1891 al 1901 insegna alla Scuola musicale-drammatica moscovita, formando una generazione di attori di grande futuro, che di lì a poco chiamerà a far parte del suo teatro. Nel 1898 incontra l’attore e regista Stanislavskij, di cinque anni più giovane di lui: insieme progettano un teatro davvero rivoluzionario, dove ogni routine, ogni convenzione viene rifiutata. Studio attento, rigoroso del testo, lunghi periodi di prove (mesi, rispetto ai pochi giorni delle normali compagnie), estrema, dettagliatissima cura nella preparazione ed esecuzione di scene, costumi, oggetti (rispetto all’uso di materiali già pronti e generici), collaborazione continua con scenografi, costumisti, sarti, trovarobe, per un risultato globale di armonia ed equilibrio del tutto nuovo nel teatro del tempo. Al termine di un lungo, `storico’ colloquio, Nemirovic-Dancenko e Stanislavskij decidono la fondazione del Teatro d’Arte. La compagnia è composta in parte dai colleghi della precedente compagnia di Stanislavskij, in parte dai migliori allievi di Nemirovic-Dancenko: O. Knipper, Vs. Mejerchol’d, I. Il’inskij.

Nonostante le prime regie vengano firmate insieme, la divisione dei ruoli è molto precisa: Nemirovic-Dancenko si assume l’onere delle scelte letterarie, Stanislavskij della preparazione artistica degli attori. Entrambi discutono l’impostazione del testo, lavorano all’approfondimento del discorso dell’autore. È Nemirovic-Dancenko comunque che decide quali autori inserire nel repertorio e che riavvicina Cechov al teatro, ottenendo da lui non solo l’autorizzazione a riprendere Il gabbiano dopo l’insuccesso di due anni prima, ma l’esclusiva di tutti i lavori successivi, da Zio Vanja (1899) al Giardino dei ciliegi (1904); è lui che convince Gor’kij a scrivere per il teatro, che porta al successo i suoi primi lavori ( Piccoli borghesi e Bassifondi , 1902) e mette in scena (sempre con Stanislavskij) I figli del sole (1906), in aperta polemica con il mondo borghese e l’ intelligencija , passivi, incerti, assenti negli anni `caldi’ seguiti alla rivoluzione del 1905. La sua attività di regista si rende lentamente autonoma da Stanislavskij, dimostrando solida maturità con spettacoli come Quando noi morti ci destiamo di Ibsen (1900), Giulio Cesare di Shakespeare (1903), Le colonne della società (1903) e Rosmersholm (1908) di Ibsen, I fratelli Karamazov da Dostoevskij (1910), Il cadavere vivente di Tolstoj (1911), Pane altrui di Turgenev (1912), Nikolaj Stavrogin da I demoni di Dostoevskij (1913), La morte di Pazuchin di Saltykov-Scedrin (1914), Il convitato di pietra di Puškin (1915). Dopo la Rivoluzione d’ottobre, mentre Stanislavskij compie tournée all’estero con grande successo, Nemirovic-Dancenko riorganizza il teatro, dimostrandosi disponibile alla nuova realtà sovietica. Sempre più indipendente da Stanislavskij, di cui non condivide l’esasperata lentezza che le ricerche del `sistema’ impongono alla preparazione degli spettacoli, introduce nel repertorio del teatro, fino allora dominato dai classici, interessanti testi sovietici, come Pugacëvscina di Trenëv (1925), Il blocco di Vs. Ivanov (1929), Ljubov’ Jarovaja di Trenëv (1936). Accanto alla scoperta di nuovi talenti, Nemirovic-Dancenko coltiva i classici che sono certamente più affini alla sua personalità e di cui coglie con sempre maggior ampiezza la complessità: oltre a Gor’kij, di cui mette in scena i più recenti lavori (Egor Bulycëv e altri , 1934; Nemici, 1935), e a Cechov, di cui riprende con grande sensibilità e intelligenza Tre sorelle (1940), si dedica a Tolstoj (riduzione di Resurrezione, 1930 e Anna Karenina, 1937), Ostrovskij (L’uragano, 1934), Griboedov (Che disgrazia l’ingegno!, 1938). Regista di solido impianto realistico, di ampia cultura e di grande professionalità, mantiene costantemente una posizione di autorevole prestigio, tenendosi lontano sia da facili sperimentalismi sia dal grigiore della politica culturale di partito. Ottiene notevole successo anche come regista d’opera.

Caccialanza

Allieva di Enrico Cecchetti alla scuola dell’American Ballet, Gisella Caccialanza danza con il Ballet Caravan di Lincoln Kirstein e con la Ballet Society di George Balanchine; con lui interpreta ruoli principali in Le baiser de la fée (1937), Ballet Imperial (1941), I quattro temperamenti (1946). Ritiratasi dalle scene, si è dedicata all’insegnamento, operando tra l’altro come direttrice e maître de ballet del San Francisco Ballet in collaborazione con il marito, il ballerino Lew Christensen.

Cambieri

Giuditta Cambieri studia danza classica a Milano e contemporanea a Roma, perfezionandosi a Essen. Debutta nel 1983 come danzatrice con Enrica Palmieri; nel 1985 è nella compagnia Vera Stasi. Contemporaneamente sviluppa una ricerca coreografica imperniata su una teatralità ironica e surreale, in lavori come Cercatori d’ombre (1990), Qual dolor, qual? (1991), Miss Dance (1994), Di cosa abbiamo paura quando… (1996), Telemitica me (1997).

Kammerspiel

Con il termine Kammerspiel nei Paesi di lingua tedesca si indica un particolare `teatro da camera’ che, rispetto a quello tradizionale, predilige l’analisi dei moti interni dell’animo e delle dinamiche psicologiche in un’atmosfera intima e raccolta. Proponendosi di trasferire il carattere della musica da camera nella drammaturgia, il Kammerspiel nasce come `teatro di poesia’ che si oppone radicalmente a tutte le logiche di un teatro inteso come impresa commerciale; ne deriva il rifiuto del divismo e degli eccessi di protagonismo degli attori, che in scena devono abbandonare la recitazione a piena voce per lasciar posto a un dialogare sommesso, ricco di sottili sfumature vocali, nel rispetto della omogeneità e dell’equilibrio d’insieme. Inteso come stile registico, il Kammerspiel  si impone con M. Reinhardt che nel 1906 inaugura i Kammerspiele del Deutsches Theater a Berlino con Spettri di Ibsen.

Esplorando in tale direzione (chiaroscuro psicologico dei personaggi, toni discreti e velati), Reinhardt giunge a costruire un vero e proprio contrappunto intimista alla sua cifra registica sontuosa e spettacolare; l’espressività mimica lieve e sfumata si sostituisce ai movimenti coreografici fastosi e alle scenografie imponenti, con il compito di evocare intense atmosfere poetiche. Inteso invece come genere drammatico, il Kammerspiel presenta un repertorio estremamente vario nello stile e nelle intonazioni; accanto a testi di carattere psicologico o spirituale se ne trovano altri di impegno e polemica sociale, dai Kammerspiele di Strindberg a Risveglio di primavera di Wedekind, da Periferie di Frantisek Langer (1925) alla caustica Revue zu Vieren di Klaus Mann (1927).

decentramento teatrale

In origine il termine decentramento teatrale si riferiva alla situazione teatrale della Francia, un Paese la cui vita culturale e artistica si svolgeva tradizionalmente soprattutto a Parigi. Per quanto riguarda l’Italia, dove da sempre esiste un gran numero di palcoscenici capillarmente sparsi lungo il territorio, il concetto di d. assunse per forza di cose altre connotazioni: si impose intorno alla fine degli anni ’60, sulla scorta del clima ideologico e dell’attenzione sociale dell’epoca, e denotò sostanzialmente il bisogno delle istituzioni e dei gruppi teatrali di cercare un nuovo pubblico più popolare nei quartieri, nelle scuole, nelle fabbriche, insomma lontano dai luoghi in cui si consumavano i riti culturali delle platee colte ed eleganti. Il fenomeno riguardava dunque quasi esclusivamente le grandi città, e specilamente Milano, dove Paolo Grassi – temporaneamente da solo alla guida del Piccolo Teatro – promosse una frenetica attività promozionale nelle zone della periferia più disagiata, sotto tendoni da circo che di volta in volta si spostavano da un quartiere all’altro. Messa in discussione per la sua precarietà strutturale, la politica dei tendoni lasciò spazio, in seguito, all’insediamento di teatri in muratura, come il Teatro Uomo di via Gulli, ugualmente situato in luoghi impervi. Ma l’idea del d. in quanto tale andò in crisi dopo poco meno di un decennio, quando ci si avvide che il pubblico preferiva accollarsi i disagi dello spostamento nei teatri del centro, rifiutando alla lunga il principio – ritenuto forse ghettizzante – della `ribalta sotto casa’.

travesti

Il travesti è disciplina del varietà che consiste nell’interpretazione in abiti femminili da parte di artisti uomini, di numeri di danza, canto o arte varia. Il travesti classico generalmente non è un numero volgare o grottesco, ma si basa sull’eleganza dei costumi e della gestualità, tanto che spesso l’attrazione maggiore sta nel dubbio sul reale sesso dell’artista. Il più celebre travesti del secolo è probabilmente il trapezista Barbette, adorato da Jean Cocteau. Oggi tale arte è conservata soprattutto dall’italiano Arturo Brachetti. Il travesti ha particolare popolarità nei varietà tedeschi.

Giacosa

Giuseppe Giacosa iniziò la sua attività di drammaturgo a ventisei anni, quando presentò al pubblico La partita a scacchi , che fu poi recitata, con grande successo, da Adelaide Tessero. Nel 1887 assunse la direzione della scuola di recitazione dell’Accademia dei Filodrammatici. Nel 1888 ebbe il suo primo grande successo con Tristi amori , che può considerarsi il risultato ultimo di una serie di testi che avevano caratterizzato la sua avventura teatrale: Affari di banca (1873); Figli del marchese Arturo (1874); Sorprese notturne (1875); Trionfo d’amore (1875); Teresa (1875); Acquazzoni in montagna (1876); Il marito amante della moglie (1877); Il fratello d’armi (1878); Gli annoiati (1879); Luisa (1880); Il conte rosso (1881); La scuola del matrimonio (1883); La zampa del gatto (1884); L’onorevole Ercole Melladri (1886); Resa a discrezione (1887); La tardi ravveduta (1887); La signora Challant (1894); Diritti dell’anima (1894); Come le foglie (1900); Il più forte (1904). Come librettista ricordiamo: La bohéme , Tosca, Madama Butterfly, scritti per Puccini. Nel panorama teatrale italiano, l’opera di Giacosa segna il passaggio dalla drammaturgia tardoromantica a quella del realismo borghese, che guardava soprattutto a Ibsen, ma con risultati alquanto inferiori. Forse Tristi amori e Come le foglie (certamente i suoi capolavori) ebbero più presente le istanze naturaliste francesi, soprattutto per il triangolo denaro-amore-onore che G. sviluppa ora con l’occhio al teatro intimista, ora con una certa attenzione al `teatro da camera’. Come le foglie è, ancora oggi, una commedia di sicuro successo, specie se affidata a una compagnia di complesso. Il teatro di Giacosa, in tempi recenti, ha interessato studiosi come Roberto Alonge e Anna Barsotti, quest’ultima gli ha dedicato una monografia (1973). L’analisi specifica sulle opere ha certamente aperto delle nuove prospettive evidenziando, sempre più, il rapporto tra natura e società, ovvero tra ‘ideale’ e ‘reale’; tra piccola e grande drammaturgia. L’attenzione, pertanto, si è spostata verso il significato di ‘crisi’ di fine ‘800, e sui modi in cui il drammaturgo è riuscito a portarla sulla scena, non solo assecondando e, nello stesso tempo, stravolgendo certi dogmi morali, ma intervenendo sulla stessa struttura del dramma, limitandone l’azione reale (la vicenda) e rivalutando l’azione scenica. Certamente Tristi amori e, successivamente, Come le foglie, costituiscono un momento di rottura nella storia della drammaturgia italiana.

Aubin

Il rapporto tra danza e musica, tra immagine e suono sta soprattutto al centro della sua attività coreografica. Dal 1985 Stéphanie Aubin dirige la compagnia Larsen; tra i titoli più significativi, Sixtole , Dévoilé , Dedoublé (1986), Les feuilletons (1988), Dédicace (1993), Suites pour l’année 1996 (1996). Di rilievo un suo allestimento di Orfeo ed Euridice di Gluck per l’Opéra du Rhin (1992, poi ripreso). Negli ultimi anni con la sua compagnia ha promosso manifestazioni originali, in cui ha coinvolto altri artisti e coreografi, al servizio dell’arte e alla ricerca del suo nuovo cammino (L’art en scène , Soirées d’Ariane).

Höflich

Dopo aver lavorato dal 1903 al 1932 al Deutsches Theater di Berlino, si dedicò all’insegnamento. Sposata con l’attore E. Jannings, dal 1946 al ’50 diresse il teatro di Schwerin e recitò occasionalmente in diverse sale berlinesi. Formatasi con M. Reinhardt, si distinse per la sua abilità naturale e la sua istintiva semplicità. Interpretò ruoli quali Franziska nella Minna von Barnhelm di Lessing (1905), Cordelia in Re Lear (1908), Margherita nel Faust (1909), Nora in Casa di bambola (1917) e la signora Alving ne Gli spettri (1927). La critica apprezzò in lei la capacità di liberare dagli schemi i ruoli sentimentali del teatro classico, per ricondurli con naturalezza alla loro umanità. Tra le sue ultime interpretazioni si ricorda La casa di Bernarda Alba di García Lorca, con la regia di Stroux (Düsseldorf 1952).

Nattino

Laureatosi all’Università Bocconi di Milano nel 1971, fonda nello stesso anno il Magopovero, collettivo teatrale di base diventato poi organismo professionista nel 1978. Dal 1985 si dedica interamente al teatro curando la scrittura e la regia dei principali lavori teatrali della compagnia Magapovero, oggi Alfieri. I suoi testi Van Gogh e La fortezza vuota sono finalisti ai Premi Riccione e Vallecorsi. È tra i fondatori, nel 1990, della Casa degli Alfieri, centro di studi e di ricerche teatrali, situata su una collina nel cuore del Monferrato. Nel 1995 il lavoro teatrale Maudie e Jane , con Judith Malina e Lorenza Zambon, lavoro di cui cura regia e drammaturgia, gli vale il Premio dell’Associazione Nazionale dei Teatri di Ricerca e dei Teatri Ragazzi/Giovani (Premio Quarta Area Agis). Nella stagione 1997-98 il suo Chisciotte viene portato in scena dalla Casa degli Alfieri e dal Living Theatre con Judith Malina.

Hernández

Dopo gli studi di balletto classico, danza moderna e flamenco con la Argentinita, inizia a lavorare come maestra e coreografa di danza moderna all’Istituto delle arti di Città del Messico, per poi fondare (1952) la sua compagnia di danza folclorica, il Ballet Folclorico del Messico, divenuto in seguito la più importante formazione coreutica del suo Paese, con oltre duecento danzatori, un grande centro didattico e un proprio teatro. Negli anni ’80 ha fondato anche il Balletto classico nazionale del Messico.

Carrè

Il circo C. è fondato nel 1854 a Belgrado da Wilhelm, uno dei tre figli dell’acrobata Joseph C.; famoso in tutta l’Europa centro-orientale per i suoi numeri equestri, il circo di Oscar C., figlio di Wilhelm, è in concorrenza con Renz all’Esposizione di Vienna. L’ultimo dei C. è il celebre cavallerizzo Albert (morto nel 1932). Esiste ancora ad Amsterdam il teatro C., costruito da Wilhelm nel 1865 col nome di Circo reale olandese; tale edificio, uno dei pochi circhi stabili rimasti in Europa, ospita importanti circhi nel periodo invernale e commedie musicali per il resto dell’anno.

Candeloro

Allievo di M. Besobrasova, Tony Candeloro danza con il corpo di ballo dell’Arena di Verona, il Ballet de Nancy e il Balletto di Zurigo; qui, dal 1987 al ’91, si impone per personalità e tecnica in balletti di Uwe Scholz, Pierre Wyss (Ikarus) e in classici del ‘900 (Romeo e Giuliett). Passato poi all’Opera di Bonn, interpreta molti balletti di V. Panov (Petruška, 1993). Ospite di numerose compagnie internazionali, danza con étoile come Carla Fracci, Galina Panova, Lorna Feijo, apparendo in recital coreografici (Omaggio a Fokine, 1995) e in novità su musiche di Sylvano Bussotti (Nuit d’un faune, 1991) e Luca Veggetti (La nascita di Orfeo, 1996).

Green

Di fede attolica profondamente influenzato dal senso di mistero trasmesso da tanta parte della cultura simbolista sulla quale si è formato, Julien Green trasfonde nella sua produzione teatrale la convinzione che gli uomini siano «i personaggi di un romanzo di cui non sempre riescono a capire il senso». Attraverso la scrittura, sia di romanzi che di opere per il teatro, Green si propone a sua volta di «trovare un senso»: segnale di questo percorso di ricerca sono le tre pièces Sud (1953), L’ennemi (1954), e L’ombre (1956). Di origine americana, Green appare ossessionato dal tema dello `straniero’, un individuo venuto dall’esterno a rompere un precario equilibrio, cui si accosta il tema-problema della ‘rivelazione’, ovvero l’impossibilità di `dire’, di rivelare un segreto. Due temi, questi, che trovano nel suo teatro una realizzazione evocativa e ricca di suggestione.

Wague

Professore al Conservatorio, dal 1893 Georges Wague ottiene una certa fama interpretando il ruolo di Pierrot. Nel primo decennio del Novecento si dedica al mimodramma, riscuotendo un buon successo sui palcoscenici dei music-hall e avendo come partner interpreti importanti fra le quali Colette (La Chair, 1907), Caroline Otéro (La nuit de Noël), Polaire (Zubiri). Figura significativa nell’ambito del mimo, Wague è fra gli autori del passaggio dalla pantomima ottocentesca, ancora legata a stereotipi e all’esagerazione delle espressioni corporee e facciali, al mimo moderno, caratterizzato da semplicità, gestualità sintetica, modalità espressive non convenzionali.

tip tap

Il tip tap è una forma di danza popolare spontanea, in seguito teatralizzata, con una doppia derivazione, bianca (dalla danza degli zoccoli di legno irlandese e inglese) e nera (dai ritmi dei balli percussivi di origine africana). È praticata con speciali scarpe dotate di rinforzi metallici sotto le punte e i tacchi per amplificare la sonorità dei passi battuti sul pavimento. Dagli artisti afroamericani del Minstrel Show di fine Ottocento ai divi hollywoodiani del cinema musicale come Ginger Rogers, Fred Astaire e Gene Kelly, si è evoluto in numerose e diversificate forme spettacolari, fino a emigrare anche in Australia, con i Tap Dogs che lo propongono in un contesto metalmeccanico da officina industriale urbana.

Gallacher

Debutta nel 1969 al Citizens’ Theatre di Glasgow con La nostra cortesia per cinque persone (Our Kindness to Five Persons). Si afferma negli anni ’70 con drammi esplicitamente legati alla filosofia: Kierkegaard compare in diversi suoi lavori e in particolare come influenza critica sul protagonista di Revival! (1972), e successivamente nelle vesti di personaggio in La parola d’onore di Don Juan (The Parole of Don Juan, 1981). Influenzato dalla metafisica di Hegel e dal pensiero di Koestler, G. costruisce personaggi dal forte egoismo: in Il signor Joyce lascia Parigi (Mr Joyce is Leaving Paris, 1970) propone un individuo tagliato fuori dal mondo, che si rifiuta di assumersi la responsabilità degli effetti delle sue azioni sugli altri. Dopo la sua rivisitazione de La tempesta di Shakespeare, dal titolo La metamorfosi del mare (The Sea Change, 1976), G. si è dedicato alla traduzione (in lingua inglese) di autori moderni, arricchendo il repertorio dei teatri scozzesi: Cyrano de Bergerac (1977), Il padre di Strindberg (1980); e di Ibsen Un nemico del popolo (1979), Casa di bambola (1980), L’anitra selvatica (1987).

Occhini

Ilaria Occhini coltiva, fin da bambina, la sua passione per lo spettacolo, divertendosi ad allestire piccole rappresentazioni in casa. Nel 1954 debutta al cinema con Terza liceo di L. Emmer, quindi si diploma all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’. Approda al teatro nel 1957, ottenendo un ruolo importante nell’ Impresario delle Smirne di Goldoni diretto da Visconti; dallo stesso regista e suo primo grande maestro viene guidata, nelle due stagioni successive, in Uno sguardo dal ponte di Miller (1958) e in Figli d’arte di D. Fabbri (1959). Intanto inizia a lavorare per la televisione, acquistando grande popolarità con sceneggiati quali Jane Eyre da C. Brontë e Delitto e castigo da Dostoevskij (1963), entrambi per la regia di A.G. Majano. Nella stagione 1960-61 lavora con Gassman in Un marziano a Roma di Flaiano e Edipo re di Sofocle. Nel 1965-66 si cimenta nella commedia musicale prendendo parte a Ciao Rudy di Garinei e Giovannini, accanto a Mastroianni. Una tappa importante della sua carriera è rappresentata dall’incontro con O. Costa che, dopo averla diretta in Francesca da Rimini di D’Annunzio (1960) e in Dialoghi delle Carmelitane di Bernanos perla televisione (1962), la chiama a interpretare Tre sorelle di Cechov (1974) e Le allegre comari di Windsor di Shakespeare (1976). Nel 1977 ottiene i riconoscimenti del pubblico e della critica per la sua interpretazione in William Shakespeare di A. Dallagiacoma. Negli anni ’80 un altro incontro importante con Patroni Griffi la porta a recitare due testi di Pirandello (Sei personaggi in cerca d’autore 1988 e Ciascuno a suo modo 1989) all’interno del progetto ‘Trilogia del teatro nel teatro di Pirandello’ dello stesso regista. Ancora con Patroni Griffi interpreta, nel 1991, La moglie saggia di Goldoni. Attrice che ama studiare il testo nelle sue sfumature, affascinata dalla `parola’ capace di creare il personaggio, nella sua ultima interpretazione si è confrontata con l’opera di Gadda Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (1996, ripreso nel 1997) con la regia di Ronconi con il quale assieme a Corrado Pani, Nora Ricci, Carla Gravina, Sergio Fantoni e Gianmaria Volontè aveva costituito negli anni Sessanta una sfortunata cooperativa al Valle di Roma presentando Castello in Svezia di F. Sagan e il dittico La putta onorata e La buona moglie di Goldoni.

De Rossi

Esordisce nell’ambito del teatro di ricerca nel doppio ruolo di attore e regista, privilegiando testi contemporanei, non solo italiani. Si conquista per l’interpretazione dello spettacolo Melampo di E. Flaiano, di cui è anche regista, il premio Idi maschera d’oro 1988. È uno stizzoso, altero e dolente Leopardi in Giacomo il prepotente di G. Manfridi con la regia di P. Maccarinelli (1988-89). Con quest’ultimo, E. Pozzi, F. Però e W. Le Moli fonda l’associazione culturale Tea (Teatro e autori) per promuovere nuovi testi. Dirige e interpreta Il sorriso di David di V. Haim (1990), Valentin , commedia musicale su testi di K.Valentin (1992-93), La notte e il momento di C. Fils (1993-94) e Giudizio universale di V. Alfieri. Dal 1995 fa parte della compagnia dello Stabile di Roma diretta da L. Ronconi: interpreta Kent nel Re Lear , Ruy Blas di V. Hugo, il commissario Fumi nel Pasticciaccio di Gadda (1996), Davila Roa , I fratelli Karamazov (1998). Cura la regia di Memorie del sottosuolo da Dostoevskij, e interpreta L’Alcesti di Samuele di A. Savinio (1998-99).

soubrettina

Il diminutivo soubrettina stava a indicare la posizione nel cast: meno rilevante di quella della soubrette, primadonna assoluta con nome in `luminosa’, più importante di quello delle ballerine di fila. Svolgeva precisi compiti nella rappresentazione. Recitava in piccoli ruoli (l’infermiera nello studio dentistico, la fidanzatina che il comico abbandonava per la `fatalona’ soubrette, la camerierina piccante nel saloon). E un ruolo obbligato a fine recita: le soubrettine erano `sipariste’, specializzate cioè nell’accompagnare i due lembi del sipario nel suo chiudersi e dischiudersi durante i ringraziamenti e le sfilate in passerella. Le più note, in questa bisogna, furono Magda Gonnella e Wilma Baschetti, le `bimbe atomiche’. Le soubrettine erano di solito due: furono addirittura quattro in La granduchessa e i camerieri di Garinei e Giovannini, 1955-56, con Wanda Osiris e Billi e Riva: Franca Gandolfi (avrebbe sposato Domenico Modugno), Ondina di San Giusto, Franchina Cerchiai e Primarosa Battistella.

Prima caratteristica della soubrettina era il corpo statuario, «con più curve del tracciato delle Mille Miglia». Corpo che andava esibito senza veli o quasi: un reggiseno spesso formato da due stelline argentate e uno slip uguale a un «triangolino luccicante, posto molto più in giù dell’ombelico e molto più su delle anche». Non si chiamava ancora tanga, ma era proprio quello. Baby Scruggs, creola, nella rivista Il terrone corre sul filo con Nino Taranto e Tina De Mola, aveva sui capezzoli due fiocchetti che faceva roteare vorticosamente. Gilda Marino, soubrettina di Caccia al tesoro di Garinei e Giovannini (rivista mutuata da famosa trasmissione radiofonica) al Teatro Mercadante di Napoli, la sera del 19 gennaio 1954, venne multata in scena dal capitano dei carabinieri. Luogo per `atti osceni in luogo pubblico’: durante un balletto, era saltato il bottoncino del reggipetto (forse non casualmente, trattandosi di incidente a ripetizione…). La s. aveva concluso il numero a seno scoperto, tra applausi scroscianti.

Analogo `imprevisto’ accadde una sera a Flora Lillo, nella rivista Buon dì zia Margherita , 1950. La s. venne convocata in commissariato. Nella rivista Il cielo si coprì di stelle di Rubens, 1945-46, con Antonio Gandusio e Lilla Brignone, il recensore sentenziò: «Si salvano solo tre cose: la comicità nuova di Walter Chiari e le cosce di Marisa Maresca, opulente come un teatro esaurito». Lilly St. Cyr al posto dello slip indossò, in un `burlesque’, una cintura di castità, e si immaginino le battute sulla chiave. In qualche caso, siamo in clima `È nata una stella’: nella rivista Un juke-box per Dracula, con il trio Sandra Mondaini, Gino Bramieri e Raimondo Vianello, il rinforzo `cinematografico’ di Carlo Ninchi e i balletti di Paul Steffen interpretati da Evelyn Greaves, stagione 1959-60. La prima ballerina si ammala e viene sostituita da Marisa Ancelli, soubrettina che conserverà il ruolo di soubrette e prima ballerina in Hobbyamente, 1965-66, con Bramieri e M. Del Frate, e soprattutto in molti show televisivi (“Vengo anch’io…”), là dove però le proibiscono di indossare costumi succinti, perché `troppo avvenente’. In teatro, i confini del pudore erano più ampi. Il costume della soubrettina si definiva `puntino’. E tale doveva essere.

Fascilla

Allievo della Scuola di ballo della Scala, Roberto Fascilla si diploma nel 1956; l’anno dopo è già impegnato nel corpo di ballo in parti solistiche. Promosso primo ballerino nel 1964, interpreta tutti i balletti del repertorio ottocentesco (Giselle, Il lago dei cigni) e neoclassico (Allegro Brillante di Balanchine), segnalandosi soprattutto come sicuro partner e ‘porteur’. Dagli anni ’70 si dedica alla coreografia e allestisce nuove versioni di classici, sia per la Scala (Romeo e Giulietta, 1976) sia per la compagnia di Carla Fracci (Coppélia, 1973; La bella addormentata, 1976), nonché nuovi balletti drammatici di linguaggio neoclassico, ma non privi di spunti coreografici moderni (Il diario di Anna Frank, Verona 1983). Fondatore e coreografo della compagnia della Fondazione Piccinni di Bari (1978), dal 1990 al 1997 ha diretto con buoni risultati artistici il corpo di ballo del Teatro San Carlo di Napoli.