Périer

Pillu; Parigi 1919), attore francese. Si fa conoscere con la commedia di Roger-Ferdinand Le 13 ou la nouvelle école (1943); successivamente interpreta: Les mains sales di Sartre (1948); Bobosse di Roussin (1950); Le ciel de lit di Hartog, nell’adattamneto di Collette (1954); Tartuffe di Molière (1959); La preuve pour quatre di Marceau (1963); Le diable et le bon dieu di Sartre (1968, regia di G. Wilson); Le tube di F. Dorin (1974, ne è anche regista); Coup de chapeau di Barillet e Gredy (1979); Amadeus di P. Shaffer (1982, nella parte di Salieri, diretto da R. Polanski); Chacun sa verité (1983); Heritage di R. Goetz da James (1992). È stato codirettore del teatro Michodière, dal 1951 al 1965. Ha recitato anche al cinema ( Il silenzio è d’oro , Gervaise , Le notti di Cabiria ). Nel 1988 gli è stato conferito il Molière d’honneur.

Hendel

Colto, ironico, graffiante con il suo accento fiorentino grazie al quale può permettersi di dire le battute più crudeli mantenendo sempre un tono gentile e raffinato, Paolo Hendel è l’espressione di una comicità attenta alla quotidianità che sa farsi satira politica e di costume. Comincia tardi, irrompendo sulla scena del cabaret accanto a David Riondino (l’aneddoto vuole che salga sul palco durante un recital di quest’ultimo e si rompa in testa dei cocomeri, 1986). Debutta come autore e interprete di Via Antonio Pigafetta navigatore (1987) e continua a scrivere e presentare recital, rigorosamente da solo: Caduta libera (1990), Alla deriva (1992) e Nebbia in val padana (1995). Contemporaneamente inizia una fortunata carriera televisiva con Mai dire gol (1996), dove dà vita a personaggi esasperati che diventano popolarissimi – basti citare Carcarlo Pravettoni – e che confluiranno nell’ultimo suo recital, Il meglio di Paolo Hendel (1996). Significative, infine, le sue apparizioni cinematografiche: Speriamo che sia femmina di M. Monicelli (1986), Domani accadrà (1988) e La settimana della sfinge (1990), entrambi di D. Lucchetti, e Il ciclone di L. Pieraccioni, campione d’incassi nel 1996.

Lommel

Dopo gli studi all’Académie des Beaux Arts di Liegi, Daniel Lommel ha iniziato a danzare al Théâtre Royal della medesima città. Successivamente, a Parigi, è stato scritturato dalla compagnia di J. Charrat e quindi dall’Opera di Amburgo dove è rimasto fino al 1967, anno in cui viene accolto dal Ballet du XXéme Siècle. Danzatore di grande eleganza e prestanza, Béjart lo valorizza nei suoi più significativi lavori degli anni ’60 e ’70 (Bakthi, Messe pour le temps présent, Baudelaire, Les Vainquers, Pli selon pli ma anche Romeo e Giulietta, Nona sinfonia, I trionfi ). Accanto a J. Donn, appare anche in Canto di un compagno errante . Lasciata la celebre compagnia, dove per un certo periodo assunse la carica di direttore aggiunto, è stato ospite in varie altre compagnie europee.

Sciaccaluga

Dalla stagione 1975-76 Marco Sciaccaluga è regista stabile al Teatro di Genova, per il quale ha realizzato fra gli altri: Equus di P. Shaffer, Il complice di Dürrenmatt, Le intellettuali di Molière, E lei per conquistar si sottomette di O. Goldsmith, I due gemelli rivali di G. Farquhar, La brocca rotta di Kleist, Il padre di Strindberg, Rosmersholm di Ibsen, L’onesto Jago di C. Augias, Suzanna Andler di M. Duras, il dittico goldoniano La putta onorata e La buona moglie , L’egoista di Bertolazzi, Inverni di C. Repetti (da S. D’Arzo), Arden di Feversham di anonimo elisabettiano, I fisici di Dürrenmatt, Re Cervo di C. Gozzi, Roberto Zucco di Koltès, La resistibile ascesa di Arturo Ui di Brecht. Recita in Amleto di Shakespeare e in Io di Labiche, diretti da Benno Besson (stagioni 1994-95 e 1995-96) e ne La dodicesima notte di Shakespeare, diretto da Franco Branciaroli. Ha diretto, sempre per lo Stabile di Genova, Lapin Lapin di C. Serreau (1994-95) e Ivanov di Cechov (1995-96). Dirige e recita Un mese in campagna di Turgenev (1996-97). Ha diretto due spettacoli per il Teatro Stabile di Trieste e numerose produzioni per compagnie private (G. Mauri, C. Giuffrè, G. Bosetti, A. Tieri, M. Bellei). Nella stagione 1990-91 ha diretto al Teatro nazionale di Rotterdam Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello. Nell’ultima stagione ha firmato la regia di Rumori fuori scena di M. Frayn, il fortunato spettacolo con Zuzzurro e Gaspare.

Derevianko

Studia all’Istituto coreografico di Novosibirsk e poi a quello di Mosca. Dal 1977 al 1983 danza al Bol’šoj di Mosca interprete di coreografie di V. Vasil’ev e di J. Grigorovic (Mercuzio in Romeo e Giulietta ) e di classici ( Schiaccianoci , Chopiniana ). Dal 1983 si stabilisce a Roma e avvia una carriera di star ospite nei principali teatri del mondo. Dal 1986 al 1990 fa parte del balletto dell’Opera di Zurigo sotto la direzione di Uwe Scholz, che crea per lui il ruolo di Julien Sorel in Il rosso e il nero (1986). In quegli stessi anni (1988-91) è interprete ad Amburgo del principe in Illusioni, come il lago dei cigni , la versione del Lago di John Neumeier. Spesso ospite dell’Aterballetto, è stato inteprete dei balletti di Amedeo Amodio: Mazapegul (su musica di A. Corghi) e Romeo e Giulietta (musica di Berlioz) nel ruolo di Mercuzio. Nel 1993 è stato nominato direttore del balletto all’Opera di Dresda, carica che ha ricoperto con pieni poteri a partire dal 1994. Come ballerino si distingue per le doti naturali uniche: ampiezza del salto, ballon, finezza stilistica. Particolarmente adatto per ruoli grotteschi o da `comèdien’.

Bataille

Il suo teatro nasce come reazione al naturalismo imperante sulle scene francesi negli anni che precedono la Prima guerra mondiale, rivendicando la centralità del sentimento. Due dei drammi di Henry Félix Bataille più riusciti, Mamam Colibri (1904) e La marche nuptiale (1905), scelgono come tema la delusione amorosa: nel primo a infrangersi è la speranza di una donna matura di poter ancora abbandonarsi alla passione; nel secondo sono i sogni romantici di alcune giovani fanciulle a rivelarsi amaramente ingannevoli. Le donne sono sempre protagoniste delle sue pièce, tra cui ricordiamo: Poliche (1907), La femme nue (1908), Le scandale (1909), La vierge folle (1910), Le phalèn e (1913), Tendresse (1921). Autore di successo in vita, nel primo dopoguerra non riesce più a accordarsi alla sensibilità del pubblico e i suoi testi sono sempre meno rappresentati.

Baldessari

La formazione artistica di Luciano Baldessari avviene a Rovereto sotto la guida di F. Depero e a Vienna, nel 1915, dove frequenta la Scuola reale. Termina gli studi a Milano laureandosi in architettura (nel 1922 al Politecnico) e frequenta il corso di Scenografia di Mentessi e Cattaneo a Brera. Dal 1923 al 1926 vive a Berlino dove conosce importanti artisti, registi, architetti dell’espressionismo tedesco e progetta per M. Reinhardt una serie di bozzetti non realizzati per Santa Giovanna di Shaw (1924). Dal 1926 è in Italia dove disegna bozzetti scenici e costumi per Giuliano di Zandonai (1927), Guglielmo Tell di Rossini (1929). A questo periodo seguono una serie di lavori fra i quali si ricordano Danse macabre su musica di Saint-Saens (1928), La scala di seta di Chiarelli (Milano 1929), I cavalieri di Ekebù di Zandonai (1929), La corte dei miracoli di Cavacchioli (1929). La sua attività di scenografo è fortemente influenzata nelle scelte dello spazio, del volume e del colore dalla sua professione di architetto, ed è evidente anche nei progetti scenici per Enrico IV (Milano 1930) e per i Sei personaggi in cerca d’autore (1932). Dal 1939 al 1948 vive a New York, rientra in Italia, a Milano, nel dopoguerra continuando al sua attività di architetto.

Howes

È da considerare la pioniera della danza classica in Sudafrica. Ha studiato a Londra con Webb, Crask e la Karsavina; danzò anche accanto ad Anna Pavlova, di cui subì l’influenza. Rientrata nel 1932 nel suo Paese d’origine, vi fondò l’University of Cape Town School Ballet. Molti dei suoi allievi sono poi divenuti star di prima grandezza al Sadler’s Wells Ballet e al Royal Ballet; tra essi Cranko, Doyle, Mosayal, Bosman.

Togni

Fondato nel 1872 da Aristide Togni, il circo Togni è l’unico in Italia a mantenere elevati livelli di qualità per cinque generazioni, pur sdoppiandosi in numerose imprese. Aristide nel 1880 sposa Teresa Bianchi e ha 8 figli, 4 dei quali, Riccardo, Ercole, Ugo e Ferdinando formano il complesso che viene proclamato Circo nazionale negli anni ’30 dal regime fascista, e nel dopoguerra si divide in tre principali nuclei: il circo di Cesare Togni (1924) attivo fino al 1992, il Circo Americano a tre piste diretto da Enis T. (1933) (negli anni ’60 intitolato anche Williams ed Heros), ed il circo Darix Togni divenuto nel 1991 Florilegio. Alla quinta generazione, i Togni continuano a distinguersi, oltre che come eccellenti imprenditori capaci di tournée mondiali, come artisti: in particolare trapezisti, cavallerizzi, addestratori di belve ed elefanti, clowns. Tra i più celebri dei Togni, oltre a Darix e Flavio: negli anni ’30 Ercole (1884-1959), pioniere dell’industria circense italiana e poi co-fondatore dell’Agis; Ferdinando (1899-1990), negli anni ’40 addestratore di cavalli (tradizione seguita dai figli Bruno, Enis, Willy, Adriana); il già citato Cesare, col fratello Oscar direttore di circhi a tre piste negli anni ’50 e ’60; negli anni ’90 Livio; i fratelli Holer (noto stuntman) e Divier (il maggior impresario italiano di teatri tenda).

Rosario

Studia con Realito e debutta con suo cugino Antonio a Liegi nel 1928, inaugurando una partnership destinata a diventare la più famosa dell’epoca. Conclusa la collaborazione con Antonio nel 1953, nello stesso anno danza con Roberto Iglesias; in seguito fonda una sua compagnia per la quale coreografa diversi balletti, tra i quali Capriccio spagnolo (musica di Rimskij-Korsakov), El diablo en la playa , Café de burrero.

Nitsch

Dopo il diploma all’Istituto grafico sperimentale di Vienna, nel 1957 Hermann Nitsch concepisce l’Orgien Mysterien Theater (Teatro delle Orge e dei Misteri) che sviluppa in una forma d’arte totale (Gesamtkunstverk) in cui si applica una mistica dell’essere verso una totalità esperita con tutti i sensi e una iniziazione abreattiva teatralizzata, collettiva, orgiastica e sacrificale. Nell’ Aktionstheater (Teatro d’Azione) l’artista viennese introduce sostanze organiche come la carne dei corpi di vitelli e pecore sventrati, liquidi corporali come il sangue e l’urina e paramenti liturgici come mitre cardinalizie, pianete, cotte, ostensori e croci. «Le opere d’arte più antiche sono nate, com’è noto, al servizio di un rituale, dapprima magico, poi religioso» (Walter Benjamin). N. fonda un ordine e ne redige le regole ne Il leitmotiv mitico del Teatro delle Orge e dei Misteri (Das Mythische des Orgien Mysterien-Theaters), così elencando i referenti mitologici e religiosi: «L’eccesso fondamentale sadomasochistico/L’uccisione dell’animale-totem e la sua consumazione rituale/Il regicidio rituale/L’evirazione di Attis/ L’uccisione di Adone/L’uccisione di Orfeo/La castrazione rituale/L’accecamento di Edipo/Lo sbranamento di Dioniso/La crocefissione di Gesù Cristo/L’eucarestia». Nel 1971 acquista come luogo cultuale delle sue Azioni il castello di Prinzendorf an der Zaya a sessanta chilometri da Vienna. Qui realizza performance della durata di tre giorni. In Italia è famosa una sua Azione nei dintorni di Napoli.

Cixous

Docente universitaria e voce fra le più interessanti nell’ampio panorama degli etudes féminines , C. – dalla particolare scrittura ricca di riferimenti letterari, di richiami culturali, di giochi linguistici – si afferma come romanziera nel 1969, vincendo con Dedans il prestigioso `Prix Medicis’. Accosta la drammaturgia negli anni Settanta con La pupille (1971) e Ritratto di Dora (1976, allestito nello stesso anno da Simone Benmussa al Teatro d’Orsay), in cui rilegge e mette in scena il noto caso clinico freudiano. Priva della consueta scansione in atti e scene, l’opera, attraverso la figura dell’isterica Dora, indaga sulla verità e sull’identità femminile. Nuovamente alla psicanalisi si ispira Le nom d’Oedipe (1978), che scandaglia con originalità il complesso e celebre rapporto tra l’eroe tebano e la madre Giocasta. Dalla scena dell’inconscio, C. si volge progressivamente alla scena della storia già con La prise de l’école de Madhubai (1984), drammatica vicenda della fanciulla indiana Sakundeva, ma soprattutto con le sue opere più recenti, drammi storici ispirati a fatti reali. Histoire terrible mais inachevée de Norodom Sihanouk, roi du Cambodge (1985) narra del principe Sihanouk e della sua lotta in difesa della Cambogia, paese tormentato da guerre sanguinose; Indiade ou l’Indie de leurs rêves (1987) è invece un affresco sul conflitto per l’indipendenza indiana dalla dominazione inglese e sui successivi scontri tra India e Pakistan. Dal 1984, l’autrice collabora con il Théâtre du Soleil, impegno che influenza e matura notevolmente la tecnica drammaturgica della C., e scrive a quattro mani con Ariane Mnouchkine la sceneggiatura del film La nuit miraculeuse (1987). Le riflessioni della C. sulla scrittura teatrale sono state recentemente pubblicate in italiano ( Il teatro del cuore , 1992).

Montanelli

La capacità di decifrare la vita contemporanea con spirito anticonformista e freschezza espressiva sono i segni distintivi dell’Indro Montanelli giornalista e storico che si ritrovano anche nelle sue opere per il teatro. Da giovane fu un grande estimatore e frequentatore di riviste (fece anche una comparsata nella compagnia di Nanda Primavera). Al teatro si è avvicinato molto presto ( L’idolo è del 1937, Lo specchio della vanità venne messo in scena al Teatro Carignano nel 1942, L’illustre concittadino – scritto con M. Luciani – fu allestito al Teatro Excelsior di Milano nel 1949), ma i suoi testi principali sono stati scritti tra gli anni ’50 e ’60: Resisté (Teatro Olimpia, Milano, 1955), Cesare e Silla (Teatro delle Maschere, 1956), Viva la dinamite (Teatro Sant’Erasmo, 1960), I sogni muoiono all’alba (1960), Kibbutz (1961), Il petto e la coscia (Teatro di via Piacenza, Roma, 1964), Il vero generale Della Rovere (Teatro Sant’Erasmo, 1965, scritto insieme a V. Talarico). Quasi tutte le pièce sono strettamente legate a eventi (soprattutto politici) ben determinati; col passare del tempo molte di esse sono inevitabilmente diventate meno immediate e più lontane dalla sensibilità del pubblico, per cui, negli ultimi anni, le riprese si sono fatte sporadiche. Nel 1992, a cura di Arturo Corso, si è avuto l’allestimento di I sogni muoiono all’alba (di cui esiste anche una versione cinematografica), storie parallele di cinque inviati di giornali italiani sorpresi a Budapest dalla repressione comunista.

Crast

Antonio Crast esordì nel 1932 e recitò nelle maggiori compagnie e formazioni stabili, tra l’altro con E. Zacconi, A. Moissi, G. Adami, T. Pavlova, il Piccolo Teatro di Roma. Interpretò diversi ruoli del teatro classico (Alfieri, Calderón, Shakespeare) e moderno (U. Betti, T. Pinelli, D. Fabbri, T.S. Eliot). Si affermò tra il 1949 e il 1953 lavorando con il regista O. Costa (Don Giovanni di Molière, Macbeth di Shakespeare), di cui divenne attore prediletto. In seguito lavorò con il Piccolo Teatro di Milano (Riccardo III e La dodicesima notte di Shakespeare). Dopo una lunga esperienza al Ridotto del teatro Eliseo a Roma con Giusi Raspani Dandolo e Mario Scaccia, si ritirò dalle scene ancora giovane per dedicarsi alla formazione di giovani attori.

Compania nacional de danza

Istituita nel 1979 a Madrid dal ministero della Cultura con l’intento di promuovere il repertorio classico-accademico e battezzata `Ballet nacional de España clasico’, dopo la prima direzione di Victor Ullate (1979-83) la Compania nacional de danza è stata guidata da Maria De Çvila (1983-87) e, con il nuovo nome di ‘Ballet del Teatro lirico nacional’, da Maja Plissetskaja (1987-90). Con la nomina di Nacho Duato (1990) la compagnia assume il nome attuale, modificando sostanzialmente la sua linea artistica e la sua struttura. Così, da un repertorio tradizionale, basato su mediocri riproduzioni di classici ed eseguito da un numeroso corpo di ballo, la rinnovata formazione, ora composta da una trentina di solisti di grande personalità scenica, passa alla presentazione di coreografie dello stesso Duato (Mediterrania, Por vos muero, Ciero sobre ciero, Romeo y Julieta), oltre a W. Forsythe, J. Kylián, H. Van Manen, con una particolare attenzione per le espressioni più attuali del balletto contemporaneo e imponendosi ben presto sulla scena internazionale come una delle più vivaci e interessanti compagnie del genere.

Cappuccio

Fautore della rinascita drammaturgica dei dialetti regionali, i dialetti di grande carica espressiva ed emozionale. Ritenendo la lingua italiana desintonizzata rispetto alle finalità sceniche del teatro, Ruggero Cappuccio nella sua scrittura rivaluta l’immediatezza delle lingue storiche, il gioco linguistico puramente sonoro tutto versato sul piano dell’emozione, prima ancora che su quello della comprensione. Fondatore nel 1988 del Teatro Segreto, un organismo in cui attori, musicisti e scenografi collaborano al lavoro dell’autore-regista, in una sintesi interattiva per la realizzazione di progetti teatrali autonomi. Laureatosi in lettere con una tesi su Edmund Kean, l’artista napoletano ha vinto nel 1993 il premio Idi selezione autori nuovi, con Delirio marginale. Messa in scena con la regia dell’autore, l’opera viene presentata in prima nazionale al Teatro Argot di Roma, segnando la prima tappa del suo crescente successo. Nello stesso anno l’Istituto del dramma italiano gli assegna la Medaglia d’oro per Delirio marginale. Ma le porte della notorietà si aprono nel 1994 quando Ruggero Cappuccio, con Shakespeare Re di Napoli (autore e regista), presentato al festival di Santarcangelo, vince il premio Fondi e il Biglietto d’oro Agis. Lo spettacolo – settanta minuti di irreale bisticcio tra Zoroastro e Desiderio, due comici vaganti perdutisi di vista e poi ritrovati durante la festa del carnevale – si conclude in un delirio mortale (tema tanto caro al Bardo). Una sorta di giallo letterario risolto nella nuova drammaturgia che, attraverso il napoletano seicentesco, rievoca i centocinquantaquattro sonetti che Shakespeare, in occasione della sua venuta a Napoli, aveva dedicato al giovane attore Desiderio: una scrittura scenica basata principalmente sulla musicalità della lingua. Nel 1996 Ruggero Cappuccio scrive e mette in scena Nel Tempo di un Tango , seguito da una scrittura scenica intorno al Re Lear di Shakespeare presentata in uno spettacolo-evento diretto dallo stesso regista, da Alfonso Santagata e Leo de Berardinis. Nel 1996 la grazia della miscellanea linguistica (francese, spagnolo, arabo e greco) confluita nella ricerca fonica dell’autore napoletano trova la sua massima espressione in Desideri mortali , un oratorio profano ispirato al mondo poetico di Tomasi di Lampedusa. In questo spettacolo di struggente bellezza l’impasto linguistico, con la sua forte carica di vita e di morte, pare uscito dal mare, luogo e metafora di spazi mentali infiniti nel cui orizzonte immaginario e ingannevole il protagonista, imbastendo un gioco di identificazioni e confronti con i personaggi chiave della sua vita e quelli della sua opera letteraria, ricerca la propria identità. La messinscena rappresenta un momento essenziale del lavoro di gruppo di attori, musicisti, costumisti e progettisti-luce che C. svolge da oltre dieci anni attraverso la sua compagnia. Nel 1998 Luca Ronconi lo chiama al Teatro stabile di Roma per la riscrittura e la direzione del Tieste di Seneca e Le Bacchidi di Plauto. Il suo ultimo spettacolo, Il sorriso di San Giovanni , ha inaugurato Orestiadi , il festival di Gibellina (1998).

Kalisky

Nato da genitori ebrei polacchi periti nei campi di sterminio, nei pochi anni della sua carriera René Kalisky si è distinto per una scrittura scenica analitica, capace di sondare tutti gli elementi necessari alla rappresentazione (precisa descrizione degli ambienti, degli spazi, delle luci, degli interventi musicali e addirittura delle modalità di recitazione degli attori). Ha scritto Trockij, ecc. (1969), indagine sui metodi staliniani; Skandalon (1970), in cui la vita di Volpi (Fausto Coppi) è travolta dall’azione dei mass-media; Jim il temerario (1971), che esplora il complesso rapporto fra Hitler e l’ebreo Chaim; Il picnic di Claretta (1973), dove una troupe teatrale realizza uno spettacolo sugli ultimi giorni di Claretta Petacci e di Mussolini; Dave in riva al mare (1975), testo in cui il contrasto biblico fra Saul e David è attualizzato nel confronto fra Dave, emigrato ebreo di New York, e Saul, ricco israeliano. Altri suoi lavori sono Europa (1972-76), dove un superstite di Dachau mostra, attraverso la sua vicenda, il declino del Vecchio Continente; La passione secondo Pier Paolo Pasolini (1977), in cui il regista inscena la propria morte in un film che sta girando; Sulle rovine di Cartagine (1979), che affronta i rapporti fra intellettuali e potere e ricerca le responsabilità delle grandi potenze nell’evoluzione dei processi storici; Falsch (1983), che scandaglia i ricordi di una famiglia ebrea.

Patti

Legato soprattutto alla forma del racconto, lungo e breve, intraprese anche la strada del teatro, tentando di dare efficacia drammatica alla sua narrativa. Scrittore a sfondo morale, soprattutto ne L’avventura di Ernesto (1971) riflette sul destino dell’uomo. Fra gli altri titoli: Il carosello (1923), Una sceneggiatura (1956), Carriera d’attrice (1959), Amore a Roma (1959), Un film per Brignazi (1962). Il romanzo più conosciuto di P. fu Giovannino (1954).

Polydor

Nato da famiglia circense – padre francese e madre bresciana , Ferdinando, con il fratello Natalino (che poi, trasferitosi in America, adotterà lo stesso pseudonimo, Polidor, creando qualche confusione), lasciò presto lo chapiteau e dal 1909 si esibì in locali di music-hall, in un numero rimasto famoso: i due fratelli entravano in scena uno appoggiando la testa su quella dell’altro, restando in verticale con i piedi in aria; entrambi impegnati a suonare il violino. Qui Ferdinando venne notato dai titolari della casa cinematografica Cines, agli albori, che gli proposero di girare alcune `comiche’, cortometraggi ovviamente muti incentrati su sketche appunto circensi: ruzzoloni, inseguimenti, torte in faccia, uova schiacciate in testa, tutto il repertorio di clown affermato. Scelse, come pseudonimo, Tontolini, che dovette abbandonare allorché cambio casa cinematografica e scoprì che la Cines aveva depositato appunto Tontolini come nome di sua proprietà. Divenne prima Cocciutelli in una quindicina di film girati a Milano, poi infine P. con la Pasquali film di Torino, all’epoca – anni 10-20 – la Hollywood europea. Un contratto d’oro: cento lire al giorno più una lira per ogni metro di pellicola. P. girò circa duecento `comiche’ per la Pasquali, come autore, sceneggiatore, regista, protagonista. Non solo: spesso interpretava un maggiordomo, un poliziotto o addirittura un bambino. La sua comicità, discreta e malinconica, unita alla straordinaria agilità di un corpo minuto, ne fece uno degli attori più amati, che sullo schermo precedette Chaplin, Mack Sennet. “Le famose ciabatte slabbrate di Charlot le ho invetate io, sin dal 1908”, sosteneva a ragione. Fu il primo Pinocchio cinematografico, applaudito all’anteprima anche dalla Regina Margherita. Nel 1923 vennero meno i finanziamenti al cinema, P. costituì una compagnia di rivista `Il teatro della risata’ e girò l’Italia, sui palcoscenici d’avanspettacolo, per 14 anni. Tornò sporadicamente al cinema: fu un buffo pirata ne La famiglia del corsaro verde , 1938, con Doris Duranti e Fosco Giachetti; poi in È sbarcato il marinaio , 1938, con Amedeo Nazzari. Dopo aver fatto compagnia nell’immediato dopoguerra (portando nella provincia la rivista), nel 1952 interpretò una scenetta in Cavalcata di mezzo secolo . Protagonista era Nino Taranto che riproponeva proprio i successi di P. Nel 1956 girò Lauta mancia di Fabio De Agostini, ed era al centro di una storia poetica con un cane e un bambino. Fellini gli affidò due ruoli: ne Le notti di Cabiria , 1957, era il fraticello che esorta Cabiria (Giulietta Masina) a confidare nella grazia di Dio; ne La dolce vita , 1960, in un night romano faceva la serenata a una fila di palloncini. Nel 1923, P. aveva organizzato un grande spettacolo d’arte varia. In compagnia, la diva del varietà interprete di canzoni napoletano Maria Bianchi (la madre di Regina Bianchi, illustre attrice con Eduardo). Ecco un ricordo di Maria Bianchi: “Quando arrivavamo in una nuova città, Polidor affittava delle carrozzelle per tutti e andavamo in corteo dalla stazione al teatro, con le valigie e i bambini in braccio. Era un uso del circo che Polidor aveva adattato anche alla sua numerosissima compagnia teatrale, per farsi pubblicità semplicemente con l’arrivare in un posto…”.

Leroy

Giunto all’esordio cinematografico dopo una serie di singolari attività quali paracadutista e ginnasta (tra i film più noti, Sette uomini d’oro e Il portiere di notte ), dopo importanti sceneggiati tv ( Vita di Leonardo e Sandokan ) è approdato in teatro diretto da Strehler in L’isola degli schiavi di Marivaux. Nel 1998, per i 200 anni del Comunale di Ferrara, è protagonista con D. Sanda di Donna del mare , il dramma di Ibsen nel rifacimento di S. Sontag, con la regia di R. Wilson.

APPI

Fondata nel 1986 da Paolo Zenoni, Giovanni De Lucia, Sandra Cristaldi ed Enrico Coffetti per sostenere quelle produzioni teatrali che scelgono come luoghi d’espressione specialmente il cabaret e lo spettacolo di piazza. A questo fine promuove la Borsa dello spettacolo , un’esposizione che serve a portare a conoscenza degli operatori del settore la produzione dei piccoli gruppi teatrali. È inoltre specializzata nella progettazione e realizzazione di grandi eventi urbani (ha curato diverse edizioni del Carnevale Ambrosiano e ha collaborato con l’organizzazione del festival di Santarcangelo).

Scarano

Figlia d’arte, all’età di nove anni Tecla Scarano debutta sulle scene a Palermo, nella parodia di una stravagante francese. L’anno successivo inizia la carriera professionale con uno spettacolo di varietà, allo Jovinelli di Roma. Le sue doti canore le consentono di proporsi nel numero di una canzonettista prodigio. Comincia a lavorare in proprio come sciantosa nei caffè-concerto e nei teatri di Napoli. La sua presenza, la sua fragrante bellezza e il suo charme la impongono ben presto all’attenzione del pubblico. La Scarano rivela il suo temperamento drammatico in Pupatella di Bovio e il successo ottenuto la porta a investire il suo talento artistico nella prosa. Entrata a far parte della compagnia dialettale di Raffaele Viviani, conquista rapidamente il ruolo di primadonna. La prima interpretazione drammatica con Viviani è del 1917 con Donna Nunziata `a cagnacavalle, a cui seguirono Tuledo `e notte e Bammenella `e coppa `e quartiere. Nel primo dopoguerra apparve in qualche film (La cantante napoletana; La regina della canzone) e tornò al canto, incidendo dischi di grande successo. Dopo una nuova, trionfale tournée nel 1930, con la compagnia che l’aveva lanciata, conobbe il maestro Langella che diventerà più tardi suo marito. Per lo Stabile del teatro Nuovo di Napoli, interpreta riviste di Galdieri, Guido di Napoli, Nelli- Mangini. Nel secondo dopoguerra lavora saltuariamente in spettacoli leggeri di varietà.

Vukotic

Milena Vukotic comincia danzando a Parigi, sotto la guida di Tania Balachova, poi nella compagnia del Marchese de Cuevas. Ma presto si dedica al teatro e soprattutto al cinema. Tra i suoi spettacoli di prosa ricordiamo Oh, che bella guerra di J. Littlewood e Così è (se vi pare) con la compagnia Morelli-Stoppa; L’anima buona di Sezuan per lo Stabile di Roma, diretta da B. Besson, e nel 1966 con Paolo Poli interpreta Il suggeritore nudo di T. Marinetti. Nel ’67 Strehler la chiama nella compagnia Teatro Azione per partecipare a Cantata di un fantoccio lusitano di P. Weiss. Segue Georges Dandin con Franco Parenti all’Olimpico di Vicenza. Ben presto si moltiplicano i ruoli cinematografici (è la mitica moglie di Fantozzi nell’omonima serie), ma non abbandona il teatro (la ritroveremo, ancora con Paolo Poli, nelle Relazioni pericolose del 1989 e ad Agrigento nella Madre di La favola del figlio cambiato di Pirandello, 1990).

De Vita

Si diploma alla Scuola del Piccolo Teatro nel 1958 e debutta l’anno successivo in L’anima buona di Sezuan di Brecht e in Coriolano di Shakespeare. Nel 1960-61 con V. Franceschi e S. Bajini scrive e recita in due spettacoli di cabaret e lavora con G. De Bosio allo Stabile di Torino. Nel 1963-64 collabora con lo Stabile di Trieste: come regista di Pinocchio maggiore di V. Franceschi e come attore in L’uomo senza qualità di Musil con la regia di A. Trionfo. A Bologna è tra i fondatori della compagnia Nuova Scena, con D. Fo, F. Rame, V. Franceschi, A. Bajini, (1968) dove lavora come attore fino al 1973. Due anni dopo entra a far parte del Teatro Officina, la cooperativa teatrale di cui diventa presidente e direttore artistico, e dove realizza in diciotto anni quindici regie e spettacoli. Tra le attività del gruppo, attento soprattutto alla realtà delle periferie con lo scopo di rivitalizzarle, il progetto `Memoria storica’, con ricerche e testimonianze sulle realtà locali ( Memorie di una terra contadina, un paese nel Pavese , 1997) e sul mondo operaio di Sesto San Giovanni (1998).

Müller

Figlio di un funzionario socialdemocratico, quando il padre con la famiglia abbandona la Rdt M. sceglie di restare. Nel 1958 a Berlino Est inizia una collaborazione con il Maksim Gor’kij Theater che durerà due anni. A Lipsia viene rappresentato per la prima volta Lo stakanovista (Der Lohndrücker), da lui scritto in collaborazione con la moglie Inge e che nel 1959 vincerà il premio Heinrich Mann. Lo stesso anno il regista B.K. Tragelehn mette in scena presso il teatro della Scuola superiore di economia di Berlino Est un’altro suo testo, La correzione (Die Korrektur) e, nel 1961, La trasferita o la vita in campagna (Die Umsiedlerin oder Das Leben auf dem Lande), le cui rappresentazioni vengono interrotte per ordine superiore del partito e degli organi statali; M. è espulso dall’associazione degli scrittori. Nel 1964 scrive La costruzione (Der Bau) e viene attaccato e criticato dal Comitato centrale del partito. Nel 1966 porta a compimento Filottete (Philoktet), Ercole 5 (Herakles 5) e Edipo tiranno (Ödipus Tyrann) da Sofocle (quest’ultimo testo viene messo in scena da Benno Besson al Deutsches Theater); nel 1968 Prometeo (Prometheus) da Eschilo, il dramma didattico Der Horatier e Drachenoper , libretto per l’opera Lancelot di Paul Dessau. Nel 1969 scrive, sulla base di un testo per la radio della moglie, La commedia delle femmine (Die Weiberkomödie) e, per la Volksbühne di Berlino Est, Horizonte . L’anno seguente inizia a lavorare come drammaturgo al Berliner Ensemble e porta a compimento Mauser , scritto in riferimento al dramma didattico di Brecht La linea di condotta (Die Massnahme). Del 1971 sono Germania morte a Berlino (Germania Tod in Berlin) e Macbeth da Shakespeare, che darà lo spunto a Wolfgang Harich per un articolo all’origine del dibattito sul cosiddetto pessimismo storico di M. Nel 1973 Ruth Berghaus mette in scena al Berliner Ensemble Cemento (Zement), ultimato l’anno prima da M. le cui opere, da questo momento in poi, verranno sempre più frequentemente rappresentate. La battaglia (Die Schlacht) e Trattore (Traktor) appaiono nel 1974 e sono montaggi di scene precedentemente scritte. Nel 1975 M. si reca negli Stati Uniti (presso l’università del Texas, a Austin) e in Messico. Nel 1976 è drammaturgo alla Volksbühne di Berlino Est e scrive Vita di Gundling Federico di Prussia sonno sogno urlo di Lessing (Leben Gundlings Friedrich von Preußen Lessing Schlaf Traum Schrei). Nel 1979 appare Die Hamletmachine che, come Quartett – scritto l’anno dopo sulla base dell’opera di Choderlos de Laclos Les liaisons dangereuses , diverrà uno dei testi di M. maggiormente rappresentati. Sempre nel 1979 gli viene conferito per Germania morte a Berlino il Mülheimer Dramatiker Preis. Nel 1982 scrive Costa depredata Materiale per Medea Paesaggio con Argonauti (Verkommenes Ufer Medeamaterial Landschaft mit Argonauten) e il brevissimo Pezzo di cuore (Herzstück), oltre a curare la regia del suo testo del 1979 La missione (Die Auftrag), scritto sulla base di un racconto di Anna Seghers. Nel 1983 diviene membro dell’Akademie der Künste della Rdt e all’Aia, nell’ambito del festival d’Olanda, diverse sue opere vengono messe in scena da compagnie di Belgio, Paesi Bassi, Bulgaria e Germania federale. Del 1984 sono Descrizione di una figura (Bildbeschreibung), allestito l’anno dopo a Graz, e Anatomie Titus Fall of Rome Ein Shakespeare Kommentar ; inizia inoltre la collaborazione con Bob Wilson (che metterà in scena diversi testi di M.) con il progetto the CIVIL warS a Colonia. Nel 1985 gli viene conferito il premio Büchner. Nel 1987 appare Wolokolamsker Chausse I-V ; M. riceve il Premio nazionale della Rdt per il complesso della sua opera. Nel 1988, nell’ambito delle manifestazioni per Berlino capitale della cultura europea, ha luogo la Heiner Müller Werkschau: ventun giorni di messe in scena dai più diversi Paesi, convegni e dibattiti dedicati alla sua opera; M. cura la regia di Lo stakanovista al Deutsches Theater. Qui, nel 1990, realizza uno spettacolo della durata di nove ore in cui l’ Amleto di Shakespeare è messo in rapporto con il suo Hamletmachine ; importante in entrambi i casi è la collaborazione con lo scenografo austriaco Erich Wonder. Lo stesso anno gli viene conferito il premio Kleist, e Francoforte gli dedica l’intero programma della manifestazione `Experimenta 6′. Nel 1991 gli viene conferito il premio Europa, consegnatogli a Taormina nel 1994. Cura quindi la regia di Mauser (con le scene di Jannis Kounellis) e Quartett e, a Bayreuth, quella del Tristan und Isolde di Wagner. Nel 1992, assieme a Peter Palitzsch, Peter Zadek, Matthias Langhoff e Fritz Marquardt, è direttore del Berliner Ensemble. Qui mette in scena una sua rielaborazione del Fatzer-Fragment di Brecht, con il titolo Duell Traktor Fatzer . Nel 1993 è l’ultimo presidente dell’Akademie der Künste/Ost. L’anno seguente realizza una nuova messa in scena di Quartett al Berliner Ensemble dove, nel 1995, cura anche la sua ultima regia: La resistibile ascesa di Arturo Ui di Brecht. Il suo ultimo lavoro è Germania 3 . M. intende il teatro come laboratorio dell’immaginario sociale. La sua opera è un complesso di materiali diversi, storici, letterari, mitici e drammatici, accostati e fatti reagire gli uni con gli altri secondo una scrittura che è contro le convenzioni della rappresentazione teatrale. Tale scrittura spesso si sviluppa sulla linea di un io che è diviso nelle sue funzioni di narratore e di interprete. In opere come Mauser , che con Filottete e Der Horatier compone un trittico riferito alla forma del dramma didattico, soggetto e coro sono interscambiabili in una struttura simile a quella della tragedia, dove il mondo è messo in questione senza che vengano fornite risposte. Di fondamentale importanza inoltre è la dimensione ritmica del testo. Ogni testo ha un suo ritmo, magari sotterraneo, ma percepibile al punto da poter essere assorbito dal corpo come una musica. Un bel testo vive di un ritmo proprio e irradia il suo messaggio attraverso questo ritmo, e non attraverso l’informazione. Ciò che M. vuole è un teatro collegato con la vita, senza intermediazioni. A tale proposito egli rileva che un atteggiamento consueto della cultura europea è il tentativo di disabituare l’uomo alla sua capacità di fare esperienze: ovunque si inseriscono frapposizioni affinché tra le cose e l’uomo non vi sia un rapporto diretto. Bisogna allora superare la struttura precostituita del teatro (che è politica) e l’idea di un testo trasposto come informazione. M. vede come un risultato negativo dell’illuminismo il fatto che la gente a teatro sia convinta di dover anzitutto capire qualcosa. Il talento dell’arte consiste soprattutto nel reagire al proprio corpo e nel trasportarne il ritmo nel mezzo corrispondente. L’arte deriva dal corpo e non da una testa divisa dal corpo. Ciò che è interessante è l’impatto dei corpi con le idee. Le idee infliggono ferite al corpo. Le indicazioni di M. per la messa in scena dei suoi lavori sono deliberatamente provocative, anche allo scopo di confondere i registi e i loro concetti prefabbricati. Ad esempio, nel caso di Descrizione di una figura dice che il testo è come dipinto sopra l’ Alcesti di Euripide, con citazioni dall’undicesimo canto dell’ Odissea , dal film Gli uccelli di Hitchcock e dal dramma nô Kumasaka ; precisa poi che vi si descrive un paesaggio al di là della morte, che l’azione è opzionale dal momento che le sue conseguenze sono trascorse, e che si tratta della esplosione di una memoria in una struttura drammatica atrofizzata. Nella nota a Costa depredata Materiale per Medea Paesaggio con Argonauti è indicato che la prima parte può essere rappresentata in un peep-show, la seconda sulle rive di un lago nei sobborghi di Berlino Est come in una piscina fangosa a Beverly Hills, mentre il paesaggio della terza potrebbe essere quello di una stella morta dove un’unità operativa di un’altra epoca e di un altro spazio sente una voce e scopre un cadavere. Gli argomenti che vengono sviluppati e le dimensioni che vengono sintetizzate nell’opera di M. riflettono comunque l’esperienza e il disorientamento dell’uomo nella storia. È un teatro violento, venato di una disperata quanto ironica necrofilia, senza alcuna traccia dell’ottimismo storico e dell’umanesimo sterilizzato sempre graditi in ogni regime. È nota la sua espressione «Schreiben aus Lust an der Katastrophe» («Scrivere per il piacere della catastrofe»). Polemicamente, nelle interviste raccolte nel 1990 sotto il titolo Sullo stato della nazione , M. rileva che il contributo europeo alla cultura mondiale è il museo, quello specificamente tedesco lo zoo, dove gli aspetti inquietanti e incontenibili della vita vengono ordinati secondo criteri apparentemente razionali. Il suo interesse per i materiali incompleti del Fatzer di Brecht è in relazione al fatto che essi costituiscono il solo esperimento nel quale Brecht non raggiunge mai un’articolazione razionale o ideologica della storia e di un modello rivoluzionario. La fine dell’idea di rivoluzione M. la vede rappresentata nella mummificazione del corpo di Lenin esposto in un mausoleo. Al museo e alla mummificazione contrappone la forza dirompente di un infinito morire («La rivoluzione è la maschera della morte, la morte è la maschera della rivoluzione» è uno dei suoi assiomi più noti), convinto che proprio dalla non accettazione e dalla rimozione della morte nasce il bisogno – tipico della nostra civiltà – di un’accelerazione sempre maggiore, che inevitabilmente conduce all’annullamento. La sua poetica proietta situazioni e immagini comunemente riconoscibili nel nostro quotidiano contemporaneo sullo schermo del mito universale. È una poetica di carattere comunque mitteleuropeo, attraverso la quale M., autore dell’Est per gran parte delle esperienze umane, storiche e culturali che la sua scrittura riflette, può venir sentito realmente e quasi intimamente vicino alla realtà della civilizzazione occidentale, da lui del resto conosciuta a fondo attraverso la problematicità di una impostazione critica sempre viva e sofferta, con reale anticonformismo e naturale senso dell’ironia.

Bonagura

Gianni Bonagura frequenta l’Accademia nazionale d’arte drammatica ‘S. D’Amico’ e alla fine degli anni ’40 inizia la propria carriera artistica nell’ambito del teatro di prose. Dapprima interpreta ruoli significativi in opere dei più importanti drammaturghi classici, in seguito affronta la drammaturgia contemporanea, lavorando con registi come Orazio Costa, Guido Salvini, Edmo Fenoglio, Mario Ferrero, Franco Zeffirelli, per il quale interpreta insieme a Anna Maria Guarnieri e Giancarlo Giannini, Black Comedy di P. Shaffer. Conosce il successo nel teatro leggero, ormai in fase di trasformazione da rivista in commedia musicale, e offre la sua prova migliore con: Uscirò dalla tua vita in taxi di Waterhouse e Hall. Nella stagione 1981-82 interpreta Applause accanto a Rossella Falk, e A piedi nudi nel parco ; nel 1984 La donna vendicativa , per la regia di Gabriele Lavia e, in coppia con Johnny Dorelli, Taxi per due ; l’anno successivo è in scena con lo spettacolo L’incidente , per la regia di Luciano Salce. Ha partecipato a numerose commedie, sceneggiati e film. Spesso accanto all’attività di attore accompagna quella di doppiatore cinematografico.

Grillo

Beppe Grillo scopre il proprio talento nella sua città, debuttando all’Instabile cabaret aperto da Luigi De Lucchima alla fine degli anni ’60, ma è a Milano che trova il successo, grazie a un provino di fronte a una commissione Rai. Le sue armi sono, oltre a una notevole dose di intelligenza e grinta, un’ottima mimica e soprattutto la grande arte dell’improvvisazione. In grado di sconvolgere ogni canone televisivo e ogni schema professionale, l’attore raggiunge ben presto il top della popolarità. Con una comicità graffiante, sempre lucida e puntuale, Grillo è un ironico fustigatore di usi, costumi e consumi. La satira dell’attore, sempre più pungente e corrosiva, affronta temi scottanti di carattere politico e sociale che ben presto trasformano i monologhi dell’attore in veri e propri atti di pubblica denuncia. Con superbe doti di grande comunicatore, Grillo è anche autore e sceneggiatore al fianco di S. Benni (nello sfortunato Topo Galileo diretto da Laudadio rappresenta l’Italia al festival di Rio de Janeiro). Nel 1990, anno del divorzio con la tv, l’attore si dedica di nuovo al teatro con Buone Notizie, un notevole successo di critica e pubblico. Inventore della satira ecologica, l’attore torna dopo due anni sul palcoscenico con il suo nuovo recital che ha come bersagli della sua irrefrenabile e sempre divertente ironia non solo i politici, ma la gente comune con il suo irresponsabile atteggiamento soprattutto nei confronti dell’ambiente. I suoi spettacoli rigorosamente dal vivo, vedono raccogliere sempre più consenso da parte del pubblico (nel 1995 in quaranta città italiane gli spettatori sono più di 400.000). Mentre il suo nuovo recital spettacolo viene addirittura trasmesso da alcune reti televisive svizzere e tedesche, la Rai ne annulla, invece, la già prevista messa in onda.

Torriani Evangelisti

Assistente di Micha Van Hoecke dal 1986 al 1988, debutta nella coreografia nel 1991 con Méfiez-vous des morceaux choisis (primo premio al Concorso internazionale città di Cagliari). Dal 1993 avvia un progetto sulla poetica di Antonio Tabucchi, creando Arebours, Chevalier de Pas (1994) e con Marinella Salerno Interni-Reves (1995) e Progetto per Sheherazade (1996). Nel 1997 firma un assolo per Luciana Savignano.

Brignone

Il capostipite della famiglia Brignone, Giuseppe (Torino 1854 – ivi 1937), dopo una dura gavetta di palcoscenico, fece coppia con Pia Marchi Maggi prima di autopromuoversi capocomico. Nel 1917 lasciò il teatro per dedicarsi esclusivamente al cinema, fino alle soglie del sonoro. La figlia Mercedes (Madrid 1886 – Roma 1967), dopo aver esordito bambina nella compagnia paterna, fu a quattordici anni con la Mariani, e poi con Sichel, Garavaglia e Palmarini (che sposò nel 1903). Allontanatasi dalle scene per una dozzina d’anni, vi ritornò a fianco di Ruggeri, Ricci, la Palmer; nel secondo dopoguerra fu con Maltagliati-Randone-Carraro, e con una serie di compagnie particolarmente versate nel genere brillante. Numerosissime le sue interpretazioni cinematografiche, in un arco trentennale dal muto al parlato. Suo fratello Guido (Milano 1887 – Roma 1958), dopo aver debuttato come attore cinematografico alla vigilia della Grande guerra, passò quasi subito alla regia, realizzando una ventina di film muti prima di lavorare prevalentemente in Francia e Germania. Negli anni ’30, tornato in Italia, realizzò pellicole di grande successo comeTeresa Confalonieri, Passaporto rosso, Vivere!, per dedicarsi infine a un repertorio di accentuato gusto drammatico-popolaresco (La sepolta viva, Il bacio di una morta, Core `ngrato).

Pinget

La carriera teatrale di Robert Pinget è, per certi versi, paradossale. Le sue opere sono state rappresentate dai più importanti teatri francesi, e dalle compagnie più illustri, ma a intervalli così distanziati da non metterne appieno in luce la crescita drammaturgica. Inoltre la sua immagine di autore teatrale ha probabilmente sofferto della sua reputazione di romanziere: Pinget ha in effetti cercato di trasporre sulla scena i temi e le tecniche del Nouveau Roman, corrente letteraria di cui è stato, con Alain Robbe-Grillet e Nathalie Sarraute, uno dei protagonisti. Le prime pièces sono infatti riduzioni di altrettante opere in prosa: Lettera morta (Lettre morte, 1959) , La manovella (La manivelle, 1960). Con l’invenzione del personaggio di Mortin ne L’ipotesi (L’Hypothèse, 1961) e Inchiesta su Mortin (Autour de Mortin), trasmessa alla radio nel 1965, Pinget mette in scena lo scrittore assorto nelle nevrosi del processo creativo.

I suoi tre ultimi lavori Identité, Abel e Bela (1971) formano una trilogia e costituiscono l’apporto più originale di Pinget alla teoria e alla pratica del teatro `di ricerca’, espresso attraverso interessanti esperimenti di linguaggio e attraverso un ripensamento delle convenzioni sceniche (scene speculari riprodotte serialmente, inserzione di proiezioni cinematografiche, parodie di stili di comunicazione settoriali, come quello giornalistico, ecc.). Nel 1975, Pinget darà ancora vita al personaggio di Mortin in Paralchimie , opera che cerca di riprodurre sulla scena la vita inconscia del protagonista, i suoi fantasmi e le sue ossessioni in un patchwork di citazioni. L’ambizione del primo teatro di Pinget non è tanto psicologica quanto antropologica: è un ritratto dell’uomo universale, della sua passività e della sua aspirazione all’unità. Una vera e propria allegoria dell’essere che non esita a ricorrere al mito e al simbolo per acquisire maggior pregnanza e significazione.

Graham

Figlia di un medico specializzato in malattie mentali, Martha Graham trascorse l’infanzia nella cupa Allegheny per poi trasferirsi con la famiglia nella solare California, terra ancora ricca di folclore messicano e di cerimonie multirazziali autoctone che ebbe modo di vedere e che influenzarono profondamente la sua danza, specie nel periodo creativo cosiddetto ‘pionieristico’. La sua formazione coreutica avvenne alla Denishawn School di Los Angeles, diretta da Ruth St. Denis, la sua prima musa ispiratrice che vide danzare nel 1911, e Ted Shawn che per lei creò, l’assolo Xochtil (1919), una danza ispirata alla cultura azteca, ufficiale debutto della sua carriera di danzatrice durata cinquantatre anni (il ritiro dalle scene avvenne il 20 aprile 1969). Entrata nelle file dei Denishawn Dancers, vi rimase sino al 1923, apprendendo vari stili di danza influenzati dai generi orientali e le teorie di François Delsarte. Dopo essersi esibita per un breve periodo con il Greenwich Village Follies, preferì approfondire una sua personale ricerca sulle possibilità cinetiche del movimento in relazione alle motivazioni psicologiche (leitmotiv di tutta la sua coreografia), creando, a partire dal 1926, una serie di assolo di cui fu interprete, culminanti in Lamentation (1930), su musica di Zoltán Kodály. Vi emergevano sia i residui della sua prima formazione che le suggestioni dei danzatori tedeschi Harald Kreutzberg e Mary Wigman, ammirati durante le loro prime esibizioni americane.

Tenace oppositrice della ‘danse d’école’, accettò di interpretare, nel 1930, il ruolo dell’Eletta nella stravinskiana Sagra della primavera di un coreografo di formazione accademica, Léonide Massine. Ma fu uno dei pochi episodi contraddittori in una carriera tutta volta a rimarcare la necessità di una danza nuova: grazie alle sue coreografie edificò un vocabolario proprio – la cosiddetta `tecnica Graham’ – ricco di movimenti altamente drammatici e spiraliformi, da eseguire a piedi nudi, in parte complementari, nella loro tensione verso il suolo, alla verticalità del balletto, in parte ad esso affini. Contrariamente a quanto si pensa, però, l’artista non ebbe come scopo l’affermazione di un nuovo codice coreutico ma soprattutto della sua personale poetica ed estetica di cui quella tecnica – messa a punto soprattutto dai futuri insegnanti della Martha Graham School of Contemporary Dance, fondata nel 1927 – fu strumento cangiante e operativo. In Heretic (1929), la sua prima coreografia di gruppo, intessuta sulla melodia ripetitiva di un canto bretone, si esibì con il Dance Group (la compagnia tutta femminile con la quale avrebbe lavorato sino al 1938), espressione del suo ribellismo nei confronti della società puritana discriminatrice della donna e ideale strumento del suo primo periodo creativo, cosiddetto dei `long woolens’, i lunghi abiti tubolari di maglia indossati dalle sue ballerine. Un altro assolo, Frontier (1935), che formalizzò la sua intensa collaborazione con il musicista Louis Horst e avviò la duratura partnership artistica con lo scultore giapponese Isamu Noguchi, diede inizio al suo periodo `americano’ o `nazionalistico’, culminante in Appalachian Spring (1944), su musica di Aaron Copland.

Negli anni ’40 la Martha Graham Dance Company era ormai una realtà molto lontana dal Dance Group. Oltre ad aver accolto interpreti maschili, tra cui Erik Hawkins che G. sposò nel 1948 – l’anno di nascita del solare capolavoro Diversion of Angels – ma dal quale si separò, dolorosamente, due anni dopo o Merce Cunningham, travolgente interprete di Every Soul is a Circus (1939), fu anche una delle prime compagnie americane ad accogliere danzatori di colore. Donna dal temperamento indomito e risoluto, G. continuò a esprimere il suo femminismo in Letter to the World (1940), ispirato alla vita della poetessa Emily Dickinson, e in Deaths and Entrances (1943), opere successive a quelle d’impegno politico, antimilitarista e pacifista come Chronicle (1936). Con Dark Meadow, Cave of the Heart, Errand into the Maze e Night Journey , creati tra il 1946 e il ’47, ha ufficialmente inizio il suo terzo periodo creativo, quello psicoanalitico. Ma già nel duetto Herodiade (1944), su musica di Paul Hindemith, l’artista si era inoltrata in un tormentato viaggio nei meandri della psiche e dell’inconscio. Sulle orme dell’esperienza paterna, ma ormai soprattutto influenzata da Freud e Jung e convinta, secondo gli insegnamenti platonici, che la mitologia esprimesse la dimensione psicologica dell’antichità, estese la sua ricerca agli archetipi tragici e biblici in Clytemnestra (1958), Alcestis (1960), Phaedra (1961), Circe (1963), Judith (1980), sino a Phaedra’s Dream (1983), su musica di George Crumb. Negli anni ’50 fu definitivamente riconosciuta come protagonista di spicco della cultura americana (nel 1959 firmò con il massimo esponente del neoclassicismo, George Balanchine, il balletto Episodes ) e la sua compagnia cominciò a farsi conoscere anche in Europa (debuttò in Italia nel 1954). La sua operatività non conobbe che rare pause e il suo repertorio si arricchì tra gli anni ’60 e ’80 di nuove opere, ispirate al mito e alla poesia, come Mendicants of Evening (1973), Myth of Voyage (1973), Lucifer (1975), i cui ruoli principali furono interpretati da Margot Fonteyn e Rudolf Nureyev, e soprattutto Acts of Light (1981), The Rite of Spring (1984) e l’ironico testamento, su musica di Scott Joplin, Maple Leaf Rag (1990). Nell’autobiografia Blood Memory (New York 1991)

La Graham rivela di aver riversato nella danza le passioni e i tormenti della sua lunga esistenza, e di aver vissuto nella consapevolezza di essere stata prescelta a svolgere la sua missione di danzatrice e coreografa: una parabola creativa che infatti l’apparenta alle grandi e longeve figure dei maggiori artisti del secolo come Stravinskij e Picasso, e avvolge e riflette quasi un secolo di `positivismo’ americano. Dalla democratica scoperta delle varie e ricche realtà etniche del Paese all’orgoglioso pionierismo, dall’acquisizione e rielaborazione delle scienze psicoanalitiche di derivazione europea all’affermazione di una cultura specificamente americana, basata sul sogno di un nuovo umanesimo, la sua arte è a un tempo espressionista e simbolista e in essa la tensione formale ha un peso altrettanto importante della spinta drammatica e interiore. Anche per questo il suo lascito (circa duecento coreografie) ha una statura ormai classica e riproducibile da compagnie di danza che non siano quella che porta ancora oggi il suo nome.

Sieni

Architetto, Virgilio Sieni studia danza moderna con Traut Faggioni e contemporanea ad Amsterdam e New York, debuttando come danzatore e coreografo con la compagnia teatrale Magazzini. Dal 1983 al 1991 con Julie Ann Anzillotti e Roberta Gelpi guida Parco Butterfly, per cui realizza Cocci aguzzi di bottiglia (1985), Shangai Neri (1986), Inno al rapace (1988), Il severo calcolo numerico dei babilonesi (1990); nel 1992 fonda la Virgilio Sieni Danza e elabora progetti coreografici contrassegnati da lavori come L’eclisse (1992), Cantico (1993), Rosso Cantato (1995), Orestea/Trilogia del Presente (1996), Canti marini (1997); collabora inoltre con il Balletto di Toscana (Apollo musagète, 1989; Pulcinella 1991), MaggioDanza (Jeux, 1990), Teatro alla Scala (Feroce Silenzio 1994), San Carlo di Napoli (Time, 1996). Autore di spettacoli di raffinata eleganza formale, spesso in collaborazione con musicisti contemporanei come Alexander Balanescu o Giorgio Battistelli, pone al centro della sua ricerca il valore semantico della danza e la forza metaforica del movimento affidando a complesse coreografie astratte la trascrizione simbolica di temi tratti da grandi opere letterarie.

Rizzo

Formatasi alla danza contemporanea e al teatro, dal 1990 al 1993 è a New York dove studia alla Graham School e lavora con gruppi indipendenti. Rientrata in Italia nel 1994, danza con Roberto Castello e il teatro della Valdoca; è inoltre tra i fondatori del gruppo interdisciplinare Kinkaleri con il quale realizza Doom (1995), Super (1997), 1.8 c.c. (1997). Ospite di vari festival internazionali, nel 1997 rimonta Doom per MaggioDanza.

Dursi

Tra i pochi autori autentici e significativi del dopoguerra italiano, Massimo Dursi fu ricco di estri immaginativi e umori pungenti. Scrittore nato (pur se laureato in chimica), nei suoi lavori riversò una tensione costante di ideali civili e morali, unita alle impennate di una fantasia brillante, capace di tradursi in una scrittura densa e vivace, in un fraseggiare elegante e originale. La sua drammaturgia puntò da un lato a una satira di costume legata alla contemporaneità, dall’altro a un registro definito da qualcuno `epopea degli umili’. Appartengono alla prima categoria commedie come la graffiante Caccia alla volpe (1948), La giostra (1950) e Fantasmi in cantina (1964). Del secondo gruppo fanno invece parte opere a sfondo storico come Bertoldo a corte (1957), La vita scellerata del nobile signore Gilles de Rais che fu chiamato Barbablù (1967), arrivata anche sulle scene del Piccolo Teatro di Milano, Stefano Pelloni detto il Passatore (1963) e Il tumulto dei Ciompi (1972). Fu anche autore di numerosi testi radiofonici e televisivi. Come critico (al “Resto del Carlino” dal 1945 al ’74), le sue recensioni sono da considerare vere lezioni di metodo.

Vergani

Orio Vergani mosse i suoi primi passi collaborando con le riviste “Cronache d’attualità” (diretta da Anton Giulio Bragaglia) e la “Fiera letteraria”. Successivamente divenne una delle più importanti firme del “Corriere della Sera” per cui lavorò sino alla morte. La passione per il teatro, pur risalendo alla giovinezza, non si mantenne costante nel corso della vita. Due, in particolare, sono le pièce degne di nota: Il vigliacco – rappresentata nel 1923 a Roma presso il Teatro Sperimentale di Guido Podrecca, zio di Vergani – e, soprattutto, Il cammino sulle acque, torbida vicenda familiare dai toni crepuscolari, in cui a farla da padrona è la sensazione che tutto nella vita sia insensato, dagli indispensabili obblighi sociali alla rovinosa incombenza dei ricordi.

Dullin

Allievo di Copeau, D. si ricorda spesso come un grande scopritore di talenti e un grande maestro, soprattutto d’attori. Dopo una serie di lavori disparati a Lione si trasferisce a Parigi dove si fa le ossa recitando nel melodramma (piccole parti all’Odéon con Antoine nel 1903), allora in voga e, ritornato a Lione, per sopravvivere, recita addirittura versi di Baudelaire nelle gabbie delle bestie feroci allo zoo. Ritornato a Parigi, nel 1915, interpreta quello che può essere definito il suo primo, grande ruolo: è Smerdiakov in I fratelli Karamazov di Dostoevskij, adattamento di J. Copeau accanto al quale parteciperà ai primi anni del Vieux-Colombier. Lasciato Copeau, nel 1921, fonda in place Dancourt l’Atelier, alla cui scuola si formeranno, fra gli altri, A. Artaud, J.L. Barrault, E. Decroux. Qui e in alcuni scritti teorici molto importanti ( Ricordi e note di lavoro di un attore e Sono gli dei che ci occorrono ) sottolinea la sua esigenza di un teatro che sia impegno costante, non un’imitazione della realtà ma una trasposizione della natura. Di questa natura l’attore è il mediatore con tutto se stesso. Anche una camminata, il modo di entrare in scena, infatti, contribuisce, secondo D. alla qualità dell’interpretazione, all’individuazione del personaggio. Ma prima dell’interprete – anche per D. – come del resto, per Copeau, viene l’autore. E lamenta che lo scrittore di teatro elabori a tavolino le proprie storie senza alcun legame con la vita della scena. Proprio perché li critica così apertamente è pronto a riconoscerne la novità avendo anche il coraggio di rappresentarli. Recita classici come Corneille, Molière (giustamente famoso il suo Avaro che reciterà fino all’ultimo quando ormai il cancro di cui soffre – morirà in un ospedale di Parigi – non gli lascia più alcuna speranza) o come Shakespeare ( Riccardo III , ma anche uno sconvolgente, terribile Re Lear ) e Ben Jonson (indimenticabile la sua interpretazione del Volpone , diventata anche un film, in cui è possibile vederlo nel ruolo di Corbaccio). Attore non certo aiutato dall’aspetto fisico (gambe corte e spalle squadrate da montanaro, una voce aspra, quasi gracchiante, ma dalla dizione perfetta), D. diventa regista per sperimentare da vicino tutte le possibilità del lavoro teatrale, facendosi anche sulla scena maestro dei giovani che si sono formati alla sua scuola e che spesso gli recitano accanto. Il suo repertorio è vastissimo e spazia dai classici come Shakespeare, Ben Jonson, Molière, Calderón, Balzac ai contemporanei come Sartre (di cui mette in scena in una serata arroventata Le mosche nel 1943), Salacrou e Pirandello che ha contribuito, con alcune regie rimaste famose, a fare conoscere in Francia (fra tutte forse la più nota è quella per Il piacere dell’onestà , 1922, ambientata in una stanza ad angolo acuto con il pavimento che riproduce una scacchiera, e Ciascuno a suo modo ripreso nel 1937 per la Comédie Française).

semiologia,

La semiotica del teatro si sviluppa dalle riflessioni teoriche e analitiche del Circolo di Praga (1931-1941) e dello strutturalismo, con la finalità di studiare le strutture e i meccanismi linguistici di produzione di senso e comunicazione del teatro. Nel 1963 R. Barthes nel suo Littérature et signification indica nella `polifonia informazionale’ e nello `spessore dei segni’ il tratto distintivo del teatro e la sua vera sfida alla sistematicità analitica della semiotica. Nella sua prima fase, la semiologia del teatro punta il proprio interesse sull’elemento testuale del teatro, in particolare sul testo verbale scritto che costituisce il testo drammatico. Con i lavori di Tadeusz Kowzan (The Sign in the Theatre, 1968) nasce e si sviluppa tra il 1965 e il 1975 la semiotica del teatro come disciplina intesa a elaborare una codificazione specifica dei sistemi di segni che costituiscono il teatro e ad approntare dei sistemi esatti di analisi. Un tentativo di fondare teoricamente l’approccio della semiologia teatrale è compiuto da Patrice Pavis.

In opposizione alla concezione linguistico-strutturalista che considera il teatro come un linguaggio privilegiando il testo drammatico (in questa prospettiva Lire le théâtre, 1977 della Ubersfeld), Georges Mounin (Introduction à la sémiologie , 1970), Franco Ruffini (Semiotica del teatro: ricongizione degli studi , 1974) e soprattutto Marco De Marinis nel 1975 e poi con un intervento decisivo sulla rivista semiotica “Versus” (Lo spettacolo come testo, 1978) sottolineano la necessità di una modificazione radicale dell’approccio assumendo lo spettacolo concreto come vero oggetto dell’analisi semiotica. Ulteriori riflessioni sulla dimensione performativa del teatro vennero condotti da Michael Kirby, Keir Elam ( The semiotics of Theatre and Drama , 1980). La nascita della pragmatica di Peirce sposta gli interessi della semiotica verso l’analisi del contesto spettacolare – e in particolare della relazione attore-spettatore – e le modalità di funzionamento della ricezione teatrale (per l’Italia vedi gli studi di Serpieri e Bettetini). Gli studi più recenti (De Marinis, Capire il teatro , 1988) muovono verso una semiotica storica che concepisce il proprio oggetto come `reperto culturale’ (i riferimenti sono a Kristeva, Bachtin, Lotman) e lo indaga attraverso un’attenta analisi contestuale dello spettacolo.

Danon

Attiva sin dal 1975 come figurinista, prevalentemente nell’ambito del cinema (dal 1982 è Art director dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences di Los Angeles), in teatro stringe un rapporto particolarmente intenso con il regista A. Calenda, a partire dall’atipico Rappresentazione della passione (Bolzano 1978), recupero di un dramma sacro abruzzese medioevale. Affiancata dallo scenografo Nicola Rubertelli, cura l’allestimento dell’ Enrico IV di Pirandello (1981), della Semiramide di Rossini (Napoli, Teatro San Carlo 1987), dell’ Amanda Amaranda di P. Shaffer (Roma, Teatro Eliseo, 1989) e de Il medico dei pazzi di E. Scarpetta (1990). Dopo Tradimenti di H. Pinter (1992), per cui si occupa anche delle scene (lo stile asettico ed essenziale si adatta perfettamente agli intenti ironici di Calenda), lavora alla fortunatissima Danza di morte di Strindberg (Città di Castello 1992), dove un salotto-bunker in cui si sfidano i due protagonisti è scenario di uno dei migliori spettacoli dell’anno, come lo sono i successivi Affabulazione Pilade e Calderón (Torino 1993) di Pasolini, per i quali collabora con L. Ronconi, con cui lavora anche ai costumi della Venezia salva di S. Weil (Torino 1994).

Harris

Fra le più dotate della sua generazione, si afferma in ruoli di donne apparentemente fragili e vulnerabili, ma dotate di grande forza interiore, che interpreta con intelligenza sottile e con grande maestria tecnica. Fra i suoi successi giovanili, Invito di nozze di C. McCullers (1950), Io sono una macchina fotografica di J. Van Druten (1951) e L’allodola di Anouilh (1955); fra quelli in età matura, Quaranta carati di Barillet e Grédy (1949) e La bella di Amherst (The Belle of Amherst, 1976), uno spettacolo su Emily Dickinson di cui fu autrice, regista e unica interprete.

Cristiani

Si distinguono, tra gli anni ’30 e gli anni ’50, i figli di Ernesto C., eccellenti acrobati e cavallerizzi di rinomanza mondiale. Proprietari in origine di un piccolo circo italiano, Ernesto e i cinque figli sono scritturati al Cirque Medrano di Parigi nel 1934 come acrobati a cavallo: tra essi Belmonte e soprattutto Lucio, ritenuto fra i migliori acrobati equestri di tutti i tempi, passato alla storia per il salto mortale dal primo al terzo cavallo al trotto. I C. sono anche eccellenti acrobati alle `bascule’. Nel 1935 raggiungono gli Usa, esibendosi per anni nei maggiori circhi; sempre più numerosi, si associano a vari circhi statunitensi, fino ad aprire il C. Bros. Circus, uno dei più grandi degli anni ’50, tra i primi a spostarsi con autoarticolati, con un tendone di tremila posti e un grande zoo al seguito. Il circo C. chiude nel 1961. Gli eredi lavorano ancora in vari circhi degli Usa, mentre il ramo originario italiano dei C. ha numerosi eredi nei circhi europei.

Mattolini

Dopo un apprendistato nei gruppi teatrali di base di Firenze (1969-74), un periodo da organizzatore culturale nell’Arci (1972-77) e il lavoro nella Coop. cinematografica Lunga gittata (1977-79), nel 1980 Marco Mattolini debutta nella regia teatrale con la prima riduzione de Il bacio della donna ragno di Manuel Puig. Nella stagione 1981-82 mette in scena due spettacoli con Mario Scaccia protagonista: Nerone di Terron e La scuola delle mogli di Molière; e assume la direzione artistica del Teatro delle Muse di Roma. Nel 1982-83 assieme a Hugo Pratt e Alberto Ongaro riduce per il teatro e cura la regia di Corto Maltese con Athina Cenci e Alessandro Benvenuti con i quali allestisce anche nella stagione estiva il musical di Chiti e Benvenuti Marta e il Cireneo . Il 1984 è l’anno del debutto cinematografico con Il mistero del Morca . Successivamente progetta e conduce alcune manifestazioni-spettacolo e nel 1986 allestisce un inedito di Fassbinder, Come gocce su pietre roventi e un inedito di Vinaver Nina è un’altra cosa . Un altro testo inedito, Mistero del mazzo di rose di Puig, In assenza del signor Goethe di Hacks e Faust ’67 di Landolfi sono del 1987. Seguono Hurlyburly di David Rabe (1989); Dossier Trovatore di E. Vaime e S. Marchini (1990); Una giornata dalla mamma di C. De Turkheim e B. Gaccio, Ti ricordi il teatro di A. Stanisci e Lorenzo (1991); Ragazze , tratto da American Psyco , tratte dal romanzo di Brett-Ellis, Sunshine di W. Mastrosimone, Gli alibi del cuore di F. Maraschi e Il fu Mattia Pascal di Kezich da Pirandello (1992); Una notte incantata d’estate da Shakespeare, La donna gigante , Firenze per non dimenticare Firenze e Le amiche del diavolo (1993); Mugugni (Kvetch) di Berkoff (1994); 2005, ultimo atto di G. Imparato, Uno, nessuno e centomila di Manfridi da Pirandello, La Traviata di Lisbona di T. Mcnally e La strana coppia di Simon (1995); Due di noi di M. Frayn, Il Magnifico e il Barbiere di M. Messeri (1996); Letto a tre piazze – di R. Clark e S. Bobrick e Via dei Serpenti di P. Misiti (1997). Come autore e conduttore per la televisione ha realizzato film, sit-com, talk show.

Owen

Le prime opere di Alun Owen sono ispirate per l’ambiente e per il linguaggio alla sua terra d’origine, il Galles: la trilogia Liverpool (Liverpool) – teledramma che comprende Nessun tram per Lime Street (No Trams to Lime Street, 1959), Dopo il funerale (A Funeral, 1960) e Lena mia Lena (Lena oh My Lena, 1960) -, Avanzata verso il parco (Progress to the Park, 1959), dramma sui conflitti religiosi e culturali, e Maggie May (1964), commedia musicale realizzata in collaborazione con L. Bart. Interessanti sono anche Un piccolo amore invernale (A Little Winter Love, 1963), Il gioco (The Game, 1965), L’oca (The Goose, 1967) e La stanza di Giorgio (George’s Room, 1968). Negli ultimi anni O. ha lavorato soprattutto per la televisione; nel 1974 ha adattato per il teatro il suo dramma televisivo Il maschio delle speci (The Male of the Species), sullo sfruttamento maschile nei confronti delle donne, e nel 1982 Lucia . Autore di buon mestiere e molto produttivo, ha utilizzato gli stili più diversi, dal canone naturalistico a strutture drammaturgiche più complesse. È inoltre sua la sceneggiatura di Tutti per uno (A Hard Day’s Night, 1963) di R. Lester, interpretato dai Beatles.

circo, festival di

Purtroppo la caratteristica comune di queste manifestazioni sembra essere la discontinuità: le molte difficoltà di ordine organizzativo ed economico frenano gli entusiasmi degli organizzatori. In Inghilterra negli anni ’70 riscuotono un certo successo le Olimpiadi del circo. In Italia è Pino Correnti (con il fondamentale aiuto di competenti storici come Massimo Alberini) a organizzare rassegne specifiche, come il festival dei giocolieri, quello dei clown o quello dei numeri da brivido. Negli anni ’90 nascono o acquisiscono caratteristiche proprie del festival altre manifestazioni: in Italia, il Golden circus di Roma, le Stelle del circo di Verona o il Gran premio internazionale del circo (l’unico ad aver avuto una certa continuità); a Stoccolma, il Festival delle principesse del circo, dedicato a sole donne; in Francia, a Massy, il Festival dei numeri con animali; in Cina, il Festival di Wuhan e quello di Wuqiao; in Corea del Nord, quello di Pyöngyang. Fra tutti emerge il Festival international du cirque de demain a Parigi, l’unico a poter vantare la stessa continuità di Montecarlo, con il merito basilare di scoprire e segnalare le tendenze d’avanguardia delle arti circensi. La buona qualità di alcune di queste manifestazioni (Parigi, Verona, alcune edizioni del Gran premio) è di stimolo agli organizzatori di Montecarlo, affinché continuino a proporre rassegne di alto livello artistico. Caratteristica particolare assume il recente Festival Tollwood di nuovo circo a Monaco di Baviera, la cui peculiarità è far esibire interi complessi di nuovo circo o circo di regia, piuttosto che singoli numeri provenienti da diverse nazioni.

Ganz

Dedicatosi presto agli studi di recitazione, nel 1964 Bruno Ganz si trasferisce a Brema dove entra a far parte di un gruppo di giovani promettenti (tra cui P. Stein) seguito da Kurt Hubner e Peter Zadek. Nel 1965 interpreta Amleto sotto la guida di Hubner. Durante il periodo della contestazione, insieme al gruppo di Brema, rifugge la vita del teatro stabile spostandosi così in diverse città. Si stabilisce a Berlino dove, nel 1970, fonda con P. Stein la compagnia della Schaubühne che adotta un sistema anti-gerarchico nella produzione degli spettacoli. Insieme alla compagnia è interprete di diversi allestimenti: La madre di Gor’kij (1970), Peer Gynt di Ibsen (1971), Il principe di Homburg di Kleist (1972). Nel 1974, all’interno del Progetto sugli antichi. Esercizi per attori ideato da P. Stein e M. Grüber, recita ne Le baccanti di Euripide e, l’anno seguente, in Empedocle di Hölderlin entrambi per la regia di Grüber. Successivamente sospende l’attività teatrale per dedicarsi interamente al cinema. Riappare sulle scene nel 1982, quando Grüber lo invita a tornare nella Schaubühne per interpretare una storica edizione di Amleto. Si dedica quindi, nuovamente, agli impegni teatrali recitando in Parco di Botho Strauss (1984) per la regia di P. Stein e in Prometeo incatenato di Eschilo (1986) sotto la guida di Grüber. Nel 1996 gli viene conferito l’Iffland-Ring. Della sua intensa attività cinematografica ricordiamo i lavori con Rohmer (La marchesa von O. , 1976); con Herzog (Nosferatu, 1979); con G. Bertolucci (Oggetti smarriti, 1980); con Wenders (L’amico americano, 1977; Il cielo sopra Berlino, 1987).

Servillo

Fondatore nel 1977 del Teatro Studio di Caserta con cui ha diretto e interpretato Propaganda (1979), Norma (1982), Guernica (1985), Billy il bugiardo (1989). Nel 1986 Toni Servillo ha iniziato a collaborare con il gruppo Falso Movimento interpretando Ritorno di Mario Martone e mettendo in scena E… su testi di Eduardo De Filippo. Nel 1987 è stato tra i fondatori dei Teatri Uniti, continuando da attore e regista il lavoro sul tessuto poetico della lingua teatrale napoletana attraverso spettacoli quali Partitura (1988) di Enzo Moscato, Ha da passa’ a nuttata (1989), dall’opera di Eduardo De Filippo, Rasoi (1991) di Ezio Moscato, Zingari (1993) di Raffaele Viviani, di cui ha anche curato la regia, sapiente architettura teatrale e poetica.

Affrontando successivamente il testo di Molière nel 1995 ha messo in scena Il misantropo con intelligenza e particolare inventiva. In questo spettacolo Servillo compariva anche in veste di protagonista, un Alceste che prende le distanze dal teatro museificato fuggendo dal `carcere della rappresentazione’, verso la felice imprevedibilità del mondo. Nel 1997 al teatro Sao Joao di Oporto presenta Da Pirandello a Eduardo versione portoghese de L’uomo dal fiore in bocca (nel quale si allontana dalla dittatura psicologica del testo restituendo, contro gli schemi tradizionali, un’ottica surreale e visionaria) presentata insieme a Sik-Sik , l’artefice magico di Eduardo De Filippo. È stato inoltre protagonista in Eliogabalo (1991) diretto da Memé Perlini, nell’opera di Franco Battiato Il cavaliere dell’intelletto (1994) e, con Mariangela Melato, in Tango Barbaro (1995) diretto da Elio De Capitani. Artista versatile e aperto a nuove esperienze, Servillo si è cimentato con successo nel cinema diretto da Mario Martone in Morte di un matematico napoletano (1992), in La salita, episodio de I vesuviani (1997) e in Teatro di guerra (1998). Nel 1998-99 è impegnato nella regia di Le false confidenze di Marivaux.

Ross

Herbert Ross si forma come ballerino a New York sotto la guida di Patova e Leslie e prende parte ancora giovane a numerosi musical di Broadway. Ha appena vent’anni quando gli viene data l’occasione di creare la sua prima coreografia per il balletto Sea Chanties che gli apre una brillante carriera nella danza classica contemporanea. Firma alcuni degli spettacoli di maggior successo degli anni ’50 come Pierrot and the Moon (1951), Ovid’s Metamorphoses (1958), Dark Songs (1959) e Toccata for Percussions (1960). A Hollywood arriva per la prima volta per le coreografie di Carmen Jones (1954) e vi è chiamato di nuovo per Il favoloso dottor Dolittle (1967) e per Funny Girl (1968). L’esito è tale che gli vale il contratto per la regia di Addio Mr. Chips (1969), in cui mette in luce una mano leggera ma decisa.

Si rivela un buon direttore di commedie come Il gufo e la gattina (1970), Provaci ancora, Sam (1972), California Suite (1978), ma padroneggia con sicurezza anche la materia drammatica in Appuntamento con una ragazza che si sente sola (1971), Soluzione sette per cento (1976), Fiori d’acciaio (1989), I corridoi del potere (1991). Con Pennies from Heaven (1981) inizia anche la carriera di produttore. I suoi film più intensi rimangono comunque quelli che ritraggono il mondo dello spettacolo e della danza come Funny Lady (1974), I ragazzi irresistibili (1975), Due vite, una svolta (1977), Nijinsky (1980), Footloose (1984). Vanta anche un’esperienza italiana come coreografo dei numeri di danza della commedia musicale Rinaldo in campo (1961) e dei tributi di Garinei e Giovannini a Renato Rascel in Rasceliana (1960) e a Delia Scala in Delia Scala Show (1961).

Lodovici

Cesare Vico Lodovici fu tra le personalità di spicco dell’attività letteraria fra le due guerre. Il suo nome è legato soprattutto alla traduzione dell’opera scespiriana, completata negli anni ’60. Oltre che di Shakespeare, fu traduttore anche di Aristofane, Plauto, Calderon, Tirso da Molina, Cervantes, Racine, Molière, Becque, Claudel, Camus, Eliot e O’Neill. Per il teatro scrisse anche alcuni testi, tra i quali vanno segnalati La donna di nessuno (1919), Ruota (1933) e L’incrinatura (1937), attraverso i quali si rivelò un fine conoscitore dell’animo femminile. Gli allestimenti di questa trilogia ebbero un buon successo in Italia e all’estero, tanto da essere considerati alcuni tra gli esempi più significativi del repertorio italiano moderno. L. si confrontò anche con il dramma storico ( Vespro siciliano , 1940) e con il dramma sacro ( Caterina da Siena , 1950), senza però ottenere riscontri particolarmente soddisfacenti, poiché andò a toccare temi a lui non congeniali. Fu anche sceneggiatore per il cinema e autore di libretti per il teatro in musica.

Marowitz

Si trasferì in Inghilterra nel 1958, dove mise a frutto ciò che aveva imparato in patria del sistema di Stanislavskij e cominciò a cercar di tradurre teatralmente le idee di Artaud, collaborando soprattutto con P. Brook per la stagione rigorosamente sperimentale sul teatro della crudeltà (1964). Nel 1968 fondò a Londra l’Open Space Company, che rimase in attività per una decina d’anni e per la quale allestì alcune novità dell’avanguardia inglese e americana, oltre a testi propri, compreso un Artaud at Rodez (1975) presentato anche in Italia. Ma la sua fama era soprattutto legata ai cosiddetti `collage’ di drammi shakespeariani intesi a recuperarne l’impatto originario, buttandone all’aria le strutture drammaturgiche, praticando numerosi tagli e inserendo scene ambientate nel mondo contemporaneo. Il primo fu Amleto (1964), cui seguirono, fra gli altri, un Otello (1972) dove era nero non soltanto il protagonsita ma anche Iago e una Bisbetica domata (1973), letta in chiave strindberghiana. Dal 1982, rientrato in patria, lavorò per un teatro di Los Angeles. Pubblicò inoltre alcuni importanti saggi sull’arte e le tecniche dell’attore.

Bagno

Si è fatto apprezzare in particolare come inteprete ruzantiano, ma va ricordato anche un suo celebre Pantalone. Nella sua lunga carriera ha lavorato a fianco di Sergio Tofano, nella Compagnia dei Giovani ai suoi inizi, per poi collaborare con diversi teatri stabili, tra cui quelli di Torino e di Trieste, oltre che con il Piccolo Teatro di Milano con le sue caratterizzazioni di molti personaggi di Machiavelli (memorabile il suo Fra’ Timoteo de La mandragola ), Shakespeare, Brecht, Silone. Per non dire dei tanti ruoli sostenuti in cinema e televisione.

Enghibarov

Fra i migliori artisti circensi attivi in Urss nel dopoguerra, Enghibarov Leonid Georgevic nel 1959 si diploma in clownerie alla Scuola del circo di Mosca. Comincia a lavorare nel collettivo dell’Armenia, dove nel 1972 gli viene conferito il titolo di Artista del popolo. E. è uno dei primi clown moderni, che inserisce nelle proprie esibizioni fondamenti di mimo accanto a pure tecniche circensi. Per questo motivo la sua maschera è essenziale: trucco leggerissimo e costume semplice (salopette nera con una `bretella’ sempre slacciata). Dà grande importanza all’espressione facciale e al movimento del corpo, che padroneggia con utilizzo assai scarno dell’attrezzeria tradizionale del clown. La sua estetica comica viene definita ‘umana’: il suo personaggio si adatta alle circostanze mostrandosi di volta in volta triste o allegro, vigliacco o coraggioso, in una visione poetica del mondo a lui contemporaneo delle repubbliche dell’ex Urss. Valido acrobata e giocoliere, inserisce anche queste tecniche di base nel proprio repertorio di clownerie, che è vario e originale e che esegue anche in numerose tournée all’estero. Si distingue come attore teatrale di pantomima in I capricci di un clown . Interpreta vari cortometraggi comici. È autore di numerosi saggi sulla clownerie.