Vitrac

Poeta, giornalista, regista, ma non teorico. Roger Vitrac viene considerato una figura di secondo piano del surrealismo, ancorché un precursore del `Théâtre Nouveau’. Il suo lavoro è difficile da classificare perché le sue rare rappresentazioni in teatri d’avanguardia hanno offerto spettacoli insoliti, talvolta scandalosi, ma in ogni caso in anticipo sui tempi. Nel 1922, durante una manifestazione dadaista, Vitrac incontra L. Aragon e A. Breton e con essi il surrealismo (A. Breton, tuttavia, per le sue tendenze anarcoidi, lo mette all’indice una prima volta nel 1925). Del 1923 sono Les Mystères de l’amour (un `drame surréaliste’ ambientato nell’universo intemporale del sogno, fatti salvi i riferimenti a Mussolini e a Lloyd George); nel 1926 con A. Artaud e R. Aron, fonda il Théâtre Alfred Jarry (che, curiosamente, nasce in contemporanea al Cartel di L. Jouvet, C. Dullin, G. Baty e G. Pitoëff): «Il nostro tema sarà: l’attualità intesa in tutti i suoi sensi; come mezzo: l’umorismo in tutte le sue forme; come scopo: il riso assoluto, il riso che va dall’immobilità inebetita allo scoppio del pianto». Agli inizi di giugno del 1927 sono messi in scena i primi spettacoli del Théâtre Alfred-Jarry, Humoristiques e Cruautés de la nuit .

I programmi successivi ricordano ancora, per commistione di generi e per audacia, i manifesti dadaisti: sono esposti i quadri concepiti dai tre fondatori, è rappresentato il terzo atto di Partage du midi di Claudel (senza che l’autore ne abbia dato l’autorizzazione); è proiettato, nel 1928, un film di Pudovkin che era stato censurato (La madre). Sempre nel 1928 sono messi in scena Il sogno di Strindberg e, soprattutto, Victor ou les Enfants au pouvoir, uno dei primi grandi tentativi di regia moderna e insieme l’ultimo spettacolo del Théâtre Alfred-Jarry. Teso a trascrivere «la vita come essa è», a sondare la difficilissima estetica del quotidiano, questo «dramma borghese in tre atti» (che si svolge a Parigi nel 1909, in un appartamento, dalle otto di sera a mezzanotte) raggiunge una tesissima drammaticità per l’isocronia della storia, della fabula e della rappresentazione, resa ancor più stridente dal linguaggio assolutamente anarchico utilizzato (in polemica non soltanto col linguaggio convenzionale, ma anche con quello quotidiano) e dal paradosso rappresentato dalla fisicità dei personaggi (Victor, bambino-gigante che cresce sempre più sulla scena; I. Mortemart, sorta di sfinge `modern’style’, incarnazione del destino o della morte che attende in abito da sera).

Se è possibile assimilare Vitrac alla corrente che va da E. Lear a A. Jarry, da E. Satie a B. Vian e a R. Queneau, egli annuncia sicuramente, con trent’anni di anticipo, ciò che E. Ionesco porta alle estreme conseguenze. Victor viene pubblicato nel 1929 e riceve una consacrazione postuma, nel 1962, da parte di J. Anouilh, che considera Vitrac «padre del teatro moderno». Tra le altre pièces di Vitrac, Le Coup de Trafalgar (1934, Théâtre de l’Atelier per il Rideau de Paris); Le Camelot (1936, Théâtre de l’Atelier); Les Demoiselles du large (1938, Théâtre de l’Oeuvre); Le Loup-Garou (1940, Théâtre des Noctambules, scene di R. Rouleau); Le Sabre de mon père (1951, Théâtre de Paris); Médor (1966, Théâtre du Studio des Champs-Elysées, in contemporanea con L’Air du Large di René de Obaldia); Entrée libre (1967, Théâtre Daniel-Sorano). L’ultima pièce di V., Le condamné, esce postuma nel 1964.