Aub

Di origine franco-tedesca, Max Aub si trasferì adolescente in Spagna. Impegnato in attività culturali a favore della Repubblica durante la guerra civile, nel corso della quale scrisse pezzi di teatro politico e collaborò con André Malraux alla realizzazione del film L’espoir o Sierra de Teruel . Esiliato in Francia al termine del conflitto, si stabilì successivamente in Messico. Autore prolifico ma assai poco rappresentato, mosse i primi passi nell’ambito del teatro d’avanguardia degli anni ’20 e ’30, per passare poi a drammi sociali di ampio respiro e dalla struttura spesso complessa, che affrontano le grandi tematiche suscitate dalla guerra europea: la persecuzione degli ebrei in San Juan , 1942 (andato in scena in Spagna solo nel 1998); l’occupazione della Francia in Morire per aver chiuso gli occhi (Morir por cerrar los ojos, 1944); la guerra fredda in No , 1949; la vita di rifugiati ed esiliati in vari testi. In tutti è presente anche una continua ricerca formale. San Juan e alcuni testi in un atto sono stati tradotti in italiano.

Lawrence

Mentre come narratore si è imposto come uno dei massimi del secolo (Figli e amanti, 1913; Donne innamorate, 1920; L’amante di Lady Chatterley , 1928), il teatro di David Herbert Lawrence ha dovuto attendere più di sessant’anni per essere rappresentato. Solo La vedovanza della signora Holroyd (Lady Holroyd’s Widowhood) fu portato sulle scene della Stage Society nel 1928. Nel 1965 il Royal Court Theatre iniziò a rappresentare la sua opera, con preferenza per i drammi sociali: Il venerdì sera del minatore (The Miner’s Friday Night, 1906), La nuora (The Daughter-in-Law, 1912), La giostra (The Merry-Go-Round, 1912) e Il rischio (The Risk, 1912). Si tratta di drammi incentrati sulla condizione dei minatori a contatto con la società industriale. Da ricordare anche due frammenti, Altitudine (The Altitude, 1912) e L’inondazione di Noha (The Flooding of Noha, 1925), e alcuni drammi di ambientazione borghese: La battaglia di Barbara (Barbara’s Battle), L’uomo sposato (The Husband) e il biblico David (1927).

Saramago

Narratore tra i più rilevanti del Novecento portoghese, José Saramago si dedica alla scrittura scenica a partire dal 1979, quando, su richiesta della direttrice di un teatro di Lisbona, realizza La notte, opera ambientata nella redazione di un quotidiano della capitale allineato al regime. Il testo si gioca sul contrasto – destinato a diventare rovente quando si diffonde la notizia del golpe democratico – tra il puro Torres ed il corrotto caporedattore Valadares, mediocramente asservito al potere dei più forti. Nel 1980, nel quarto centenario della morte di Luis de Camoes, Saramago scrive Cosa ne farò di questo libro?, pièce in cui l’autore de I Lusiadi, stanco e sofferente, cerca di far pubblicare la sua opera in un “Paese oscuramente assorto nel gusto dell’avidità”. Solo dopo una lunga serie di umiliazioni riuscirà a raggiungere l’obiettivo, ma, a quel punto, nella può cancellare la sua profonda, irredimibile delusione.

Con La seconda vita di San Francesco (1987) Saramago va alla carica del pilastro dell’etica francescana, la povertà. Il ritorno del santo assisiate al cospetto del Capitolo dell’Ordine – ormai del tutto identico ad un Consiglio d’amministrazione – produce effetti inaspettati su Francesco, che abbandona la scena pronto a lottare contro la miseria, perché “è un errore contro la carne e contro lo spirito fare della povertà la condizione per accedere al Cielo”. Fortemente polemica nei confronti di “qualsiasi dottrina” che faccia degli esseri umani “dei nemici di se stessi” è il quarto (e per ora ultimo) lavoro di Saramago, In Nomine Dei, (1993). La tragedia di Münster e degli anabattisti del XVI secolo serve dunque all’autore per ribadire quanto profonda sia l’identità degli uomini, nonostante le divisioni che religioni ed ideologie hanno voluto surrettiziamente programmare. Col titolo Divara è stata allestita una versione lirica della pièce, con musiche di Azio Corghi e scenografia di Dietrich Hilsedorf.

Sherriff

Robert Cedric Sherriff ottenne un grande, e mai rinnovato, successo con Il grande viaggio (The Journey’s End, 1929), rievocazione realistica e antiretorica della prima guerra mondiale. Continuò a scrivere per il teatro storie sull’Inghilterra provinciale sempre adottando la tecnica naturalista: Miss Mabel (1948), A casa per le sette (Home at Seven, 1950), Il garofano bianco (The White Carnation, 1953), Telescopio (The Telescope, 1957, tratto da un suo racconto). Le sceneggiature cinematografiche più interessanti sono Uomo invisibile (The Invisible Man, 1933), per la regia di James Whale, e Addio Mr Chips (Goodbye Mr Chips, 1939), con la regia di Sam Wood.

Mishima

Discendente di una famiglia aristocratica, Yukio Mishima decide di dedicarsi completamente alla scrittura dopo la pubblicazione del suo primo romanzo (Confessioni di una maschera, 1949), a seguito della quale gli vennero tributati riconoscimenti in campo nazionale che lo resero ben presto il più noto scrittore nipponico del secondo dopoguerra. Noto soprattutto come romanziere, a partire dagli anni Sessanta scrive anche diversi drammi, prevalentemente ispirati alla tradizione del teatro no e del kabuki, che egli tenta di rinnovare profondamente, nel rispetto degli antichi valori della tradizione giapponese. La sua opera è di difficile classificazione: le sue storie sono spesso violente, popolate di personaggi dalla psicologia complessa e tormentata e affrontano temi difficili, quali l’omosessualità e l’ambivalenza dei rapporti umani. Il suo rappresenta uno dei tentativi più riusciti nella letteratura giapponese di resistere al processo di occidentalizzazione post-bellico, ricuperando i valori dell’antica tradizione Samurai (onore, attaccamento alle proprie radici). In aperta polemica con la politica giapponese, accusata di debolezza nei confronti dell’Occidente, M. si suicidò pubblicamente compiendo hara-kiri. Fra le sue opere per il teatro ricordiamo: Cinque no moderni (1956) che riprendono la tradizione classica giapponese, Madame de Sade (1965), recentemente allestita a Milano da Ferdinando Bruni (stagione teatrale 1996-97) e Il mio amico Hitler (1983) interpretazione inquietante e impossibile da condividere del criminale dittatore.

Valle-Inclán

Ramón María del Valle-Inclán è considerato uno degli autori maggiori del teatro spagnolo moderno. Originario della Galizia, in questa regione ambienta molti dei suoi testi, tra cui le Commedie barbare (Comedias bárbaras), una trilogia scritta tra il 1907 e il 1922, sorta di saga tragica e violenta della famiglia del protagonista, Juan Manuel de Montenegro, scritta in versi, come in versi sono le successive farse che culminano nella Farsa e licenza della regina autentica (Farsa y licencia de la reina castiza, 1920). Allo stesso anno risalgono Divine parole (Divinas palabras), tradotta nel 1941 da E. Vittorini, e Luci di bohème (Luces de bohemia), testi questi che entrano nel ciclo degli esperpentos, tragedie grottesche che ritraggono l’umanità in generale, ma soprattutto la realtà spagnola, attraverso «un’ estetica sistematicamente deformata», secondo le parole dell’autore. A questo genere, più vicino forse all’espressionismo tedesco che agli altri movimenti d’avanguardia europei, appartengono Le corna di Don Friolera (Los cuernos de don Friolera, 1921), I vestiti del defunto (Las galas del difunto, 1926) e La figlia del capitano (La hija del capitán, 1927). Luci di bohème è stato riproposto in Italia nel 1976 alla Biennale di Venezia e nel 1984 dalla Cooperativa Teatri di Sardegna con R. Vallone come protagonista.