Valeri

Dopo essersi messa in vista nei salotti mondani e intellettuali milanesi, da cui coglierà personaggi provocatori ispirati all’ambiente borghese contemporaneo (ricordiamo soprattutto la ‘Signorina Snob’, che animò anche in una serie di trasmissioni radiofoniche), Franca Valeri esordì come protagonista, nel 1948, in Caterina di Dio di G. Testori al Teatro della Basilica di Milano. Nel 1948-49 fu con la compagnia Tofano-Solari e la stagione successiva recitò al Piccolo Teatro di Milano (dove nel 1961 riscuoterà un successo personale come protagonista de La Maria Brasca di Testori), nella parte della Sciantosa in Questa sera si recita a soggetto e di Adele in La parigina di Becque (entrambi per la regia di Strehler).

Non ammessa all’Accademia ‘S. D’Amico’, ne rimase comunque legata, partecipando alle scenette dei suoi compagni di corso che diventeranno, in un secondo momento, il repertorio del Teatro dei Gobbi, compagnia fondata nel 1951 insieme ad Alberto Bonucci e Vittorio Caprioli (diventato poi suo marito). Con questa compagnia propose una nuovissima rivista da camera, mettendo in scena i suoi Carnet de notes n. 1 (1951) e Carnet de notes n. 2 (1952), una serie di sketch satirici sulla società contemporanea senza l’ausilio di scene e costumi. A questi seguirono nuovi spettacoli che assimilavano la forma della commedia a quella della rivista (L’Arcisopolo, 1955; Lina e il cavaliere 1958).

Dal 1960 iniziò a scrivere dei testi di cui fu anche interprete, tra cui: Le donne (1960), Le catacombe (1962), Non c’é da ridere se una donna cade (1978). Nel 1986 dirige R. Falk e M. Vitti in La strana coppia di N. Simon e traduce e adatta Ho due parole da dirvi di J.P. Delage; nello stesso anno interpreta un suo testo, Tosca e le altre due , in coppia con A. Asti e con la regia di G. Ferrara. Più di recente, Senzatitolo (1991), scritta e interpretata dalla V. e Leggeri peccati (1993) di A. Silvestri, di cui cura la regia. Negli anni ’60 lavorò per la televisione con lo spettacolo Le divine (1960) e come ospite fissa di Studio Uno. Tutti i suoi personaggi umoristici, come la Signorina Snob o la coreografa ungherese – fino a quelli presenti nel recente Sorelle, ma solo due – come diceva nostra madre (1997-98), divertente duetto interpretato insieme a Gabriella Franchini – celano dietro la maschera comica una sofferenza che denota, da parte dell’autrice, una grande lucidità di sguardo, che riesce sempre a centrare profondamente i caratteri, a volte anche attraverso l’aggiunta di cadenze dialettali e di accenti stranieri. Legata visceralmente alla Scala, dove ha maturato la sua passione per l’opera lirica, si è cimentata anche nella regia di melodrammi.

Pacuvio

Laureato in medicina, si dedicò inizialmente alla critica e alla scenografia. Esordì come regista nel 1937 al Teatro delle Arti di A.G. Bragaglia. La caratteristica principale del suo lavoro fu quella della fedeltà al testo scritto. Nel 1940 mise in scena la prima versione italiana di Assassinio nella cattedrale di Eliot. Nel suo vasto repertorio trovarono spazio O’Neill, Ibsen e Kafka, Calderón e Eliot al fianco di Goldoni e Betti. Fra gli allestimenti più significativi Il lutto si addice ad Elettra e Anna Christie di O’Neill (rispettivamente nel 1941 e nel 1945-46), Vestire gli ignudi di Pirandello e Rosmersholm di Ibsen (1945-46). Si dedicò anche alla regia di classici allestiti all’aperto (Plauto, Sofocle, Aristofane).

Manfrè

Walter Manfrè ha iniziato la sua carriera artistica frequentando la scuola di recitazione del Teatro stabile di Catania. Da attore ha lavorato sotto la guida di registi quali Orazio Costa, Aldo Trionfo, Franco Enriquez, Andrzej Waida, Carlo Lizzani e altri, interpretando testi di autori classici e contemporanei fino al 1985 quando ha smesso di calcare le scene per dedicarsi solo alla regia. Nel 1978, parallelamente alla sua attività di attore, iniziava a svolgere quella di regista, vincendo il premio Teatrofestival quale miglior regista giovane per la messa in scena di Fando e Lis di Arrabal. Da allora la realizzazione dei suoi spettacoli si divide in messe in scena sul terreno della tradizione con letture sempre originali e operazioni sul terreno della ricerca. In quest’ultimo settore ha realizzato alcune operazioni che presentano eventi su testi di autori italiani contemporanei: Visita ai parenti di Nicolaj, Ritratto di donne in bianco di Valeria Moretti, La cena di Manfridi (spettacolo in cui gli spettatori sono seduti attorno a un tavolo e gli attori sono sopra assieme alle pietanze), La confessione di autori vari (in cui ogni spettatore prende posto su un inginocchiatoio davanti a un attore che racconta i suoi peccati). Ha diretto in testi di autori classici e contemporanei molti prestigiosi attori italiani: Il giuoco delle parti di Pirandello con Nando Gazzolo, Spettri di Ibsen con Ileana Ghione e Carlo Simoni, Io e Pirandello con Paola Borboni, Il sogno con Pupella Maggio, Desiderio sotto gli olmi di O’Neill con Raf Vallone, Fratelli di Samonà con Warner Bentivegna, Il profeta di Gibran con Paola Pitagora, Chi ha paura del lupo cattivo? con Roberto Trifirò (1996).

Bailey

Fra i più importanti impresari circensi di tutti i tempi. Pioniere delle moderne metodologie produttive (fu il primo ad utilizzare la luce elettrica nei propri spettacoli), James Anthony Bailey, dopo aver aperto il Cooper & Bailey, che in Australia si guadagna il primato di più grande circo mai esibitosi in quel continente, fonda nel 1888 il mitico Barnum & Bailey, del quale nel 1891, alla morte di Barnum, mantiene il controllo. In anni di risibili leggi antitrust arriva ad acquistare marchi importanti come quello del Buffalo Bill Wild West Show, o dell’Adam Forepaugh & Sells Bros. Circus. Nel 1898 inizia con Barnum & Bailey una tournée europea, terminata nel 1902, che fonda in pratica il circo europeo del Novecento, come modello organizzativo, estetico e di approccio alle tecniche di vendita. Durante la permanenza in Inghilterra `le stranezze umane’ si ribellano per l’uso dell’appellativo freak al posto del quale viene trovato il nuovo termine prodigio. Al ritorno in America, dopo cinque anni di assenza, si trova a fronteggiare il colosso emergente dei fratelli Ringling, che, alla sua morte, acquisiscono il controllo del Barnum & Bailey.

Cabella

Giancarlo Cabella debutta come drammaturgo con la commedia Ratatatà… sinfonia in nero, parodia degli stereotipi della violenza nei fumetti, che viene allestita dal Teatro del sole nel 1972 e presentata al festival internazionale del teatro-ragazzi di Berlino Ovest. Tra le sue tante pièce teatrali ricordiamo Ologos (1984), La stanza dei fiori di china (1986) e Zoe, interpretata nel 1990 da A. Finocchiaro e R. Cara. Fra il 1991 e il ’94 è responsabile dei programmi culturali di Telepiù: dedica ampio spazio al teatro, ideando fra l’altro la prima rassegna teatrale sperimentale `Solisti in scena’.

Cirque du Soleil

Nato nel 1987, per iniziativa dell’artista di strada Guy Lalibertè (l’attuale presidente fondatore), il Cirque du Soleil è la più grande impresa circense del mondo, contando nel 1998 tre circhi itineranti (Europa, Asia, America), quattro permanenti (Berlino, Londra e due a Las Vegas), un centro di creazione a Montreal, un dipartimento europeo e uno orientale, per un totale di circa 1500 dipendenti. Dal 1987 al 1998 ha prodotto undici spettacoli, visti da dieci milioni di spettatori in Asia, America ed Europa. Ha dato vita con successo a modelli completamente nuovi nel campo della creazione, promozione e diffusione del prodotto circense, creando di fatto un nuovo pubblico, un nuovo mercato e nuove esigenze. Basi artistiche sono l’assenza di animali, la rinuncia a qualunque stereotipo circense, il ruolo costitutivo della musica. Ogni spettacolo nasce dalla formazione di una troupe di artisti di base in cui, facendo convergere le tradizioni acrobatiche occidentali con quelle orientali, il sapere dell’artista circense viene arricchito con tecniche attoriali e coreografiche. Attraverso sedute di improvvisazione viene sviluppato il tema di ciascuno spettacolo; al gruppo artistico di base vengono integrati numeri internazionali, ma adattati al carattere di ciascuna produzione.

Definendo nei primi anni tali elementi grazie alla presenza decisiva del regista Guy Caron, il Cirque du Soleil ricorre dal 1989 alle regie di Franco Dragone, che introduce le tecniche di commedia dell’arte contemporanea e il lavoro con le maschere. Negli anni il Cirque du Soleil passa a standard tecnologici elevatissimi e a un’estetica molto affine alla sensibilità new age: l’artista circense può interpretare le dimensioni sociali dell’uomo contemporaneo (Saltimbanco, 1992; Quidam, 1997) o il senso mistico del rapporto tra uomo e natura (Nouvelle expérience, 1991; Mystère, 1993), o animare uno spettacolo costruito su un tema ancestrale come quello del volo ( Alegria , 1995). Ogni spettacolo è sfruttato in tournée per una media di quattro anni. Gli spettacoli del Cirque du Soleil, benché sempre svolti sotto un tendone, rivoluzionano ogni volta lo spazio scenico circense e creano, specie nei costumi e nella musica (dalle suggestive commistioni culturali), un’estetica attraente e al contempo astratta, originalissima e priva di referenti dati. Tale visione ha enormemente modificato, dagli anni ’90, il concetto stesso di circo e la costruzione dei numeri circensi, influenzando anche scuole tradizionali come quelle russe o cinesi.

Pagni

All’età di diciassette anni Eros Pagni viene ammesso all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’ dove si diploma nel 1959. Lo stesso anno debutta al Teatro Stabile di Genova con Il revisore di Gogol per la regia di V. Puecher. Dal suo esordio in poi, la sua carriera si svolgerà quasi esclusivamente allo Stabile genovese, tanto che la sua figura diverrà un po’ il simbolo di questo teatro. Negli anni ’60 e inizio anni ’70 lavora soprattutto con L. Squarzina, recitando in molti spettacoli, tra i quali Ciascuno a suo modo di Pirandello (1961-62), I due gemelli veneziani di Goldoni (1962-63), Troilo e Cressida di Shakespeare (1964-65), La pulce nell’orecchio di Feydeau (1966-67), Madre Coraggio di Brecht (1969-70), Tartufo di Molière e Bulgacov (1970-71), Giulio Cesare di Shakespeare (1971-72), Il cerchio di gesso del Caucaso di Brecht (1973-74) nel quale interpreta il ruolo del giudice Azdak, cui dichiara di essere rimasto molto legato. Si considera un attore poliedrico, capace di prestarsi a ogni travestimento, grazie anche alla flessibilità del suo carattere. Per questo motivo, preferisce impersonare figure diverse, mettendo sempre in discussione le sue doti interpretative. Nel 1975 recita in Equus di Shaffer, per la regia di M. Sciaccaluga; la stagione seguente è diretto da L. Ronconi nell’ Anitra selvatica di Ibsen; quindi nel 1979-80 lavora con Marcucci in Turcaret di Lésage. Sempre impegnatissimo sulle scene, negli anni ’80 è applaudito interprete di una serie di spettacoli: nella stagione 1980-81 è attore solista in Delirio alla Fregoli scritto e diretto da Crivelli, nel 1982 recita sotto la guida di W. Pagliaro ne La brocca rotta di Kleist , nel 1984 interpreta per la regia di O. Costa Rosales di Luzi, quindi, nel 1989 è interprete, insieme a Raf Vallone del Tito Andronico di Shakespeare con l’adattamento e la regia di Peter Stein. Nel 1993 dà vita, insieme ad altri artisti, a un collage di commedie di Achille Campanile intitolato L’inventore del cavallo allestito da G. Di Leva, nel 1995 interpreta Amleto di Shakespeare per la regia di B. Besson e nel 1998 è sulle scene – applauditissimo – con La dame de Chez Maxim’s di Feydeau diretto da A. Arias. Ha lavorato in altri spettacoli al di fuori del Teatro di Genova, quali La resistibile ascesa di Arturo Ui di Brecht al Centro Teatrale Bresciano per la regia di Sepe, l’ Orestiade di Eschilo a Gibellina, Il bugiardo di Goldoni per la regia di M. Parodi. Ha lavorato per il cinema (Topo Galileo, Americano rosso, L’ultimo concerto ) e per la televisione fino al recente Ferri investigazioni.

Craig

Figlio di una delle più grandi attrici inglesi di tutti i tempi, Ellen Terry, Edward Gordon Craig è uno dei maggiori innovatori della scena del Novecento, l’unico a provenire direttamente dalle tavole del palcoscenico. Recita, infatti, nella compagnia della madre e del più grande attore della sua epoca, Henry Irving, fin da bambino; ma presto rinuncia a calcare le scene, persuaso di non avere le qualità per diventare un grande interprete, e si trasforma prima in direttore di scena e poi in scenografo, funzione nella quale ha modo di sviluppare la sua formazione artistica e la sua abilità di disegnatore innamorato di Leonardo e di Michelangelo, particolarmente sensibile alla funzione del chiaroscuro e della luce, nel creare spazi che traspongano visivamente gli stati d’animo dei personaggi e l’intimo messaggio del testo. Del tutto indifferente al naturalismo, nemico di un attore schiavo dei giochi della fisionomia, ipotizza all’interno di una scena ridotta all’essenziale, ma arricchita dal movimento delle masse architettoniche, un attore supermarionetta che, come nell’antica Grecia, abbia il volto coperto da una maschera. Critico nei confronti del naturalismo, Edward Gordon Craig lo è anche nei confronti della subalternità del regista nei confronti del testo: a lui e solo a lui, infatti, spetta la visualizzazione di una scrittura scenica che comprende linea, colore, parola e ritmo. Concetti che verranno ribaditi, in chiave simbolista, nella sua opera teorica L’arte del teatro (1905) e più tardi nei modelli di scena, che sembrano riprendere alcune idee care al futurismo. Idee troppo all’avanguardia per i tempi, che lo spingono ad accettare di curare l’allestimento di Venezia salvata di Otway per Otto Brahm (1904) e, nel 1906, quello di Rosmersholm di Ibsen per Eleonora Duse, con scene che non si sposano alla dimensione dei teatri tanto che l’attrice, con un colpo di mano, le fa adattare. Altrettanto difficile la collaborazione con Stanislavskij per l’ Amleto (1911): molte, avveniristiche concezioni di C. vengono bocciate, costringendolo all’abbandono quando ormai ha impostato l’intera messinscena. L’ultimo, eccentrico C. è il docente che all’Accademia di belle arti di Firenze insegna ai giovani un teatro di puro movimento: `screen’, scene, in grado di definire con il loro diverso orientamento la luce e la musica, per un teatro senza attori.

Kezich

Critico cinematografico del “Corriere della Sera”, Tullio Kezich ha scritto per “Panorama”, “la Repubblica” e molte altre testate, occupandosi alla fine degli anni ’50 anche di critica teatrale. Nel 1961 fonda con Ermanno Olmi la società cinematografica ’22 dicembre’, producendo le opere prime della Wertmüller, di De Bosio, di Eriprando Visconti, oltre a film dello stesso Olmi e di Rossellini. Dal 1967 al 1984 lavora nel settore produzione – cinematografico e televisivo – della Rai. È autore di commedie (W Bresci , 1971; Il Vittoriale degli italiani, 1990; L’americano di S. Giacomo, 1998), di adattamenti teatrali (La coscienza di Zeno da Svevo, 1964; Il fu Mattia Pascal da Pirandello, 1974; Il Gallo da Il bell’Antonio di Brancati, 1989), di sceneggiature cinematografiche (Venga a prendere il caffè da noi con Lattuada, 1970; La leggenda del santo bevitore con Olmi, 1988) e di diverse pubblicazioni, tra le quali la biografia Fellini (1987).

Delaney

Venne scoperta dal Theatre Workshop, che rappresentò nel 1958 Sapore di miele (A Taste Of Honey), storia di un’adolescenza difficile sullo sfondo del nord industriale inglese, da cui è stato tratto l’omonimo film interpretato da Rita Tushingham (1961, regia di Tony Richardson, con la sceneggiatura della stessa D.). Seguì Il leone innamorato (The Lion in Love, 1961); ha scritto per radio, cinema e televisione ed è autrice dei racconti di Dolcemente canta l’asino (Sweetly Sing the Donkey, 1963).

Lagerkvist

Sotto l’influsso di Strindberg Paulmr Lagerkvist si fece promotore di un rinnovamento del linguaggio teatrale in chiave espressionista, scontrandosi con la scuola naturalista. Figlio di un ferroviere, ebbe un’infanzia difficile, che interviene come sfondo della sua prima produzione teatrale: L’ultimo uomo (1917) , dove un treno, raffigurante l’umanità, va verso la distruzione, mentre i personaggi cantano liricamente la loro storia e Il mistero del cielo (1919) , in cui all’interno di una calotta sferica, collocati a diverse altezze, sono posti vari personaggi tra cui un giovane appena morto che non vuole credere di trovarsi in cielo. L’atto unico Tunnel (1919),poi i drammi L’invisibile (1923) e Colui a cui fu dato di rivivere la sua vita (1928), che mettono l’uomo a tu per tu con un Dio che è solo un’immagine consolatoria per sfuggire alla disperazione. Il carnefice (1933) , L’uomo senz’anima (1936) e Vittoria nelle tenebre (1939) sono il frutto di una violenta repulsione per il nazismo. Con il romanzo Barabba (1950), il cui successo internazionale contribuì a fargli vincere il premio Nobel (1951) racconta emblematicamente le vicende del primo uomo salvato dal Messia e i dubbi e i perché della sua sorte.

Zuckmayer

Figlio di un industriale, Carl Zuckmayer studia ad Heidelberg e a Francoforte. Nel 1920 si trasferisce a Berlino: qui lavora come scrittore e nel 1924 collabora con Brecht presso il Deutsches Theater diretto da M. Reinhardt. Nel 1925 ottiene un notevole successo con la commedia L’allegro vigneto (Der Fröliche Weinberg) con il quale vince il premio Kleist. Nel 1933, in seguito all’interdizione a rappresentare le sue opere, emigra a Cuba e poi negli Stati Uniti. Torna in Europa nel 1958 e vive in Svizzera sino alla morte. Tra le sue opere più note sono Il capitano di Köpenick (Der Hauptmann von Köpenick, 1931), satira della burocrazia e del militarismo prussiano e Il generale del diavolo (Der Teufels General, 1946), che tratta della crisi di coscienza di un nazista. La sua ultima opera, L’ acchiappatopi (Der Rattenfaulmnger, 1975), sorprende per l’originale soluzione di proiettare in un mondo di fiaba medioevale le problematiche della gioventù odierna.

Moulin Rouge

Viene inaugurato il 5 ottobre del 1899, in place Blanche, ai piedi della collina di Montmartre, da due personaggi importanti nella storia dello spettacolo leggero francese di quegli anni: Charles Zidler e Joseph Oller, già responsabili del successo delle Montagnes Russes e del Nouveau Cirque e in seguito dell’Olympia. Il locale è in realtà attivo già dal 1850 col nome di Reine Blanche. Il B. du M. R. è in origine una sorta di elegante balera (frequentata soprattutto dalla ricca borghesia) che ha il merito di affermare il ballo dell’epoca, quel can-can in origine chiamato la `quadrille naturaliste’, una danza ibrida già ballata nei quartieri popolari e nei numerosi cafè chantant della vita parigina (Le Lapin agile, Le Chat noir) celebri soprattutto per le frequentazioni di gruppi di intellettuali. L’architettura del locale è sviluppata in una grande sala, con uno specchio occupante un’intera parete, circondata da una sorta di loggione che permette ai consumatori di meglio apprezzare le danze. Per tradizione gli uomini tengono il cappello in testa, cosa che dona un’atmosfera particolare. A lato della sala un bel giardino all’aperto che ospita un palco coperto destinato a piccole esibizioni. A lato della scena un enorme elefante di cartapesta. Una delle più grandi attrazioni dei primi anni del B. du M. R. è il Petomane, «l’unico artista che non paga diritti d’autore», come recita una réclame. Altra stella, più delicata, è la ballerina e cantante Jane Avril. Il B. du M. R. diventa celebre anche per i bellissimi manifesti disegnati da Toulouse-Lautrec accanito frequentatore del locale, innamorato, come quasi tutti, delle petit femmes che lo popolano. La prima illustrazione del grande pittore è del 1891 e raffigura la celebre ballerina di can-can Louise Weber, detta `La Goulue’. Nel 1903 il MR diventa un music-hall con un ristorante dove si può cenare mentre si assiste agli spettacoli. Continua a ospitare numeri di varietà fra i quali il ballerino Norman French (antesignano nello stile di Maurice Chevalier e di Fred Astaire) e Mistinguett che debutta nel 1909 con La valse chaloupée . Nel 1914 un incendio distrugge il locale che riapre solo nel 1921, per essere poi rilevato nel 1926 da Francis Salabert il quale finalmente produce una rivista a grande spettacolo: New York – Montmartre diretta da Jacques-Charles (lo Ziegfeld francese). È lui che, ispirandosi alle riviste d’oltremanica ma adattandole ai gusti parigini, rifonda in pratica l’estetica delle grandi riviste francesi contrastando per un decennio il dominio dell’altro grande locale del tempo, les Folies Bèrgere. A metà degli anni ’30 gli altalenanti risultati economici fanno ritoccare la strategia produttiva e il B. du M. R. torna un teatro di varietà. Ma nonostante ospiti nomi importanti come Joe Jackson o Barbette, finisce per essere trasformato addirittura in un cinema. Il B. du M. R. riapre solo dopo la guerra e ritorna un importante punto di riferimento sotto la direzione di Jacki Clerico. Questi, con sapiente uso del marketing e con la tesaurizzazione massima del nome storico del locale, entra in pratica nei grandi circuiti turistici, producendo riviste con grande sfarzo e con una selettiva ricerca di attrazioni internazionali, ma indubbiamente perdendo il sapore genuino del mitico il B. du M. R. Parigi è stata popolata da innumerevoli altri locali dalle connotazioni simili ma che non hanno mai raggiunto i fasti storici del Moulin Rouge o de les Folies Bèrgere. Fra questi è però doveroso citare almeno il Casino de Paris, il Bobino, il Tabarin e l’Olympia, tempio soprattutto della musica leggera. Da ricordare anche l’attività del `nuovo’ Lido, gestito dal 1945 da Joseph e Louis Clerico in posizione centralissima, sugli Champs-Elysées. Altro discorso va fatto per il Crazy Horse Saloon, dedito soprattutto all’arte dello spogliarello e per il più recente Paradis Latin, con uno spettacolo più intimo, adatto forse più agli spettatori francesi che agli innumerevoli turisti stranieri.

Hanka

Formatasi all’Accademia di Vienna, si è perfezionata con Kurt Jooss a Essen, entrando nel Folkwang Ballet nel 1933. Solista del corpo di ballo di Düsseldorf dal 1936 al ’39, nel 1941 è entrata alla Staatsoper di Vienna come maître de ballet e coreografa. Dopo il successo dell’allestimento di Joan von Zarissa di Egk è nominata direttrice del corpo di ballo viennese, incarico che ha conservato fino alla morte con energia e forte senso teatrale. Ha contribuito alla creazione di un solido repertorio drammatico, con balletti quali Titus Feuerfuchs (1941), Hollische G’schicht (1949), Der Mohr von Venedig (1955).

Tap Dogs

Scarponi chiodati, t-shirt e look da maschio metallurgico, i sei hanno messo in scena uno spettacolo di settantacinque minuti che coniuga la tap dance con acrobazie post-industriali, utilizzando sbarre d’acciaio, frese da operaio e piattaforme mobili. Lo spettacolo, creato dall’australiano Dein Perry e dallo scenografo e regista Nigel Triffit su musiche di Andrew Wilke, ha debuttato a Sydney nel 1995 e da allora gira il mondo in tournée e con tre compagnie itineranti: Dein Perry guida il cast australiano in Nord America, il fratello Sheldon guida un altro cast in Australia e Asia, mentre Paul Robinson è il responsabile del cast inglese in Europa.

Formica

All’inizio degli anni ’70 è attore in alcune produzioni estere – Rabelais di J. L. Barrault (Francia, 1970) e I Claudius , regia di T. Richardson (1971) – quindi entra a far parte della compagnia dello Stabile dell’Aquila ( Maschere di Goldoni; 1973). Nel 1976 il regista M. De Sica mette in scena per la prima volta un suo testo, La domenica . Nello stesso anno F. interpreta Il giuoco delle parti di Pirandello, è quindi presente al festival di Spoleto in Trio per Samuel Beckett (1977). Nel 1978 è Formica stesso a curare la regia del suo spettacolo Terapia di mucchio . La sua verve comica si esprime a pieno nei testi che scrive, interpreta e dirige: Madri & figli (1984); A luce rossa: X-Rated (1985, ripresa successivamente in nuovi allestimenti nel 1987, nel 1992 e nel 1997); Formicando all’improvviso (1993 e 1995). Continua inoltre la sua attività di attore; segnialiamo tra gli spettacoli a cui ha preso parte: Amleto in trattoria di A. Campanile (1978); Il sogno dello zio di Dostoevskij (1984); Il sosia di E. Elice e R. Rees (regia di A. Corsini; 1995); La dama di Chez Maxim di G. Feydeau (1997).

Capuana

Caposcuola del verismo italiano, Luigi Capuana rimase molto legato a Giovanni Verga. Iniziò la sua attività di drammaturgo con un testo di carattere risorgimentale, Garibaldi (1861); l’incontro con Martoglio fu determinante per la produzione in dialetto siciliano, anche se, qualche anno prima, la Compagnia stabile romana aveva messo in scena I ribelli (1908). Altri suoi testi sono Giacinta (1888), Serena (1899), Lu vampiru (1912); ma i successi furono Malia , con la compagnia Grasso-Aguglia (1895), Lu cavalieri Pidagna (compagnia Giovanni Grasso, 1911), Cumpanaticu (compagnia Angelo Musco, 1914), Quacquarà (compagnia Angelo Musco, 1916), tutti ancora presenti nel repertorio del Teatro stabile di Catania. Capuana era convinto che, per arrivare a un vero teatro nazionale, occorresse passare attraverso l’esperienza di un teatro regionale. Ciò gli fu possibile perché, sulla sua strada di commediografo, si imbatté in Martoglio, Grasso, Musco, un vero e proprio triumvirato del teatro dialettale. A C. dobbiamo molti interventi critici sulla letteratura; alquanto noto Gli ismi contemporanei , ma è molto importante Il teatro italiano contemporaneo (1872). Nel 1890 tradusse e fece conoscere La parigina di Becque che andò in scena, nello stesso anno, al Manzoni di Milano.

Lattuada

Diplomata in Belle Arti, frequenta seminari teatrali di L. Ronconi, T. Kantor e J. Grotowski, prima di dedicarsi alla danza contemporanea. Trasferitasi in Francia nel 1985, si perfeziona con Hans Züllig e Jacques Patarozzi e si avvicina a generi teatrali orientali come il teatro nô, il kabuki, la danza e il canto indiani. Dopo collaborazioni con Catherine Diverres e François Verret, dal 1990 con la sua compagnia `Festina Lente’ crea Simplicisimus (1990), Hilarotragoedia (1991), Les dieux sont fachés (1993-94), Zirkus (1996), nei quali le varie influenze teatrali si fondono in un linguaggio essenziale, raffinato e fortemente estetizzante.

Falchi

Dopo il diploma alla scuola del Piccolo Teatro, Donatello Falchi debutta ne La congiura di Prosperi diretto da L. Squarzina. È con Strehler in Vita di Galilei (1963). Ha una parentesi con Peppino De Filippo, che dà l’avvio alla sua carriera di attore comico e brillante, anche interprete di maschere legate alla Commedia dell’Arte. Nel 1968 partecipa ad alcuni spettacoli della Cooperativa Teatro Insieme, con De Daninos, De Toma, Ceriani, tra cui I tre moschettieri nell’adattamento di Planchon. Nel 1974 approda allo Stabile di Genova, fino al 1983. Di questo periodo sono particolarmente degne di nota il ruolo del capocomico ne La donna serpente di Gozzi diretto da E. Marcucci e Pantalone ne Il bugiardo di Goldoni. In seguito lavorerà anche con Missiroli, Cobelli, Ronconi (Al pappagallo verde di A. Schnitzler), sempre in ruoli brillanti. Nel 1998 ha successo con la parte del servo gobbo nel Frankenstein musical con Tullio Solenghi.

Milani

Dopo anni di cabaret giunge al successo grazie a trasmissioni televisive quali “Su la testa” e “Cielito Lindo” (1992), con le sue maschere serie, un po’ alla Keaton, dal leghista al becchino, dallo stupratore al killer, mette a fuoco l’aspetto più cinico e irresponsabile della nostra società. M. è il degno rappresentante di una comicità cruda, trasgressiva e spiazzante.

Chagall

Fin dalla giovinezza il teatro aveva rappresentato per Marc Chagall un universo di libertà poetica e visionaria; vi contribuì l’incontro, avvenuto nel 1908, con Léon Bakst, allora direttore della scuola Zvantseva, dove Marc Chagall proseguirà gli studi («La sua gloria, in seguito alla stagione russa all’estero, mi faceva girare, non so perché, la testa. Sfogliando i miei studi, che sollevavo a uno a uno dal pacco dove li avevo ammucchiati, diceva, trascinando le parole con quel suo accento signorile: sì, sì, c’è del talento, ma siete sprecato, siete su una falsa strada, sprecato»). Nel 1920 Marc Chagall si impegnava nelle decorazioni del Nuovo teatro ebraico di Mosca, da lui fondato insieme al critico Abraham Efroscon. Dipinse alcune grandi tele, destinate a venir tese alle pareti e al soffitto, ma un anno dopo il teatro fu chiuso per motivi politici e Marc Chagall abbandonava la Russia; i dipinti vennero custoditi in semiclandestinità nella galleria Tretiakov di Mosca, dove l’artista li rivide nel 1973. La vena lirica e visionaria di C. si dispiegò nei lavori scenografici per il Ballet Theatre di New York, commissionati dal coreografo L. Massine. Ricordiamo le scene e i costumi per L’uccello di fuoco di Stravinskij (1945; ripreso con coreografia di Balanchine nel 1949) e i bozzetti per Aleko, un balletto ispirato al poema di Puskin Gli zingari (1942, musica di Cajkovskij). Il più celebre dei quattro dipinti realizzati da C. per i fondali del balletto, intitolato Una fantasia di San Pietroburgo , ritrae in lontananza un purpureo paesaggio della città, mentre nel cielo turbinoso vagano sospesi un cavallo bianco e un candeliere acceso; il flusso del colore intenso e le pennellate libere e impulsive rivelano la nuova fase pittorica a cui era approdato C., abbandonando il lirismo pastorale del periodo precedente. Dopo le scene e i costumi per Daphnis et Chloé di Ravel all’Opéra di Parigi (1959, coreografia di G. Skibine), nel 1963, su invito di De Gaulle e di Malraux, C. realizzò i cartoni per il soffitto del teatro; l’ultimo suo lavoro di scenografo fu per il Metropolitan di New York, con il Il flauto magico di Mozart (1967, regia di G. Rennert).

Kanin

Cominciò nel varietà come attore e clarinettista jazz, passò poi alla prosa e dal 1933 lavorò prevalentemente a Hollywood come sceneggiatore (spesso in coppia con la moglie Ruth Gordon), produttore e regista. Fra le sue commedie merita menzione Nata ieri (Born Yesterday, 1946), che raccontava la presa di coscienza, attraverso la cultura e l’amore, dell’amante bella e scema di un ricco faccendiere. Fu un grande successo comico: 1642 repliche a Broadway, un film e una quantità di riprese anche in Europa. Fra le sue messinscene teatrali si ricorda Il diario di Anna Frank.

Brown

Dopo gli studi di danza moderna al Mills College e poi con Limón, Horst e Cunningham, nel 1960 Trisha Brown incontra Yvonne Rainer, che la induce a trasferirisi a New York, dove frequenta le classi di composizione di Robert Dunn ed è tra i membri fondatori del Judson Dance Theatre (1962) e in seguito della Grand Union (1970-1976). Qui crea i suoi innovativi ‘equipment pieces’, tra cui le danze lungo i muri di palazzi e grattacieli come Man walking down the Side of a Building (1969), Walking on the Walls (1971) e Roof Pieces (1973) con quindici danzatori sui tetti di Manhattan, che si trasmettono il movimento telegraficamente. In questo periodo nasce anche l’esemplare Accumulation (1971), cui aggiunge poi With Talking (1973) e Plus Watermotor (1978), un brano che sviluppa la coreografia a partire da una sequenza base di movimento, ripetuta e progressivamente arricchita di nuovi elementi, secondo uno schema di crescita a catena. Verso la fine degli anni Settanta, inizia a lavorare in spazi teatrali introducendo nei suoi lavori musica e scene. Glacial Decoy (1979), con le fotografie e le proiezioni di Robert Rauschenberg, è il brano di svolta, che si caratterizza come un flusso motorio, senza inizio né fine.

Ancora Rauschenberg è autore delle scene e dei costumi grafici in bianco e nero di Set and Reset (1983), su musica di Laurie Anderson, perfetto esempio di sintonia tra più artisti di comune sensibilità epocale. La collaborazione con Rauschenberg è destinata a restare una costante della sua attività, da Astral Convertible (1989) a Foray Forêt (1990) al mirabile e sapiente solo per se stessa, danzato interamente di spalle, If you couldn’t see me (1994). Nel 1986 crea, intanto, le danze per Carmen al Teatro San Carlo di Napoli; poi, senza mai venir meno al suo interesse centrale per la natura e la sostanza della creazione coreografica, negli anni ’90 lavora sulla musica classica, coreografando M.O., sull’ Offerta Musicale di Bach (1995) e curando la regia dell’ Orfeo di Monteverdi (1998). Il suo linguaggio, di estrema libertà e fluidità, genera una danza capace di rendere virtuosistico anche il gesto quotidiano. Il suo influsso creativo e formativo si avverte nel lavoro di Stephen Petronio, già componente della sua compagnia, e in numerosi esponenti della nouvelle danse francese.

Saiu

Studia canto al Conservatorio di Cagliari e danza contemporanea nel Centro di Merce Cunningham a New York, dove si esibisce anche in concerti di canto barocco. Dal 1986, pur continuando l’attività musicale avvia una ricerca coreografica sull’interazione tra voce, danza e arti visive in lavori come Anghelus (1992), Squarci (1994), Generazione all’Aurora (1995), Tre atti per un contrabbasso (1998).

Globe Theatre

Il Globe Theatre è il teatro più famoso dei tempi di Shakespeare ha riaperto i battenti a Londra negli anni ’90. L’idea di ricostruire il teatro è dell’attore americano S. Wanamaker (morto nel 1993, prima della conclusione dei lavori) e nasce in occasione di un viaggio a Londra nel 1949. A partire dalle scarse memorie che ne restavano (nelle descrizioni e in qualche veduta panoramica) nel 1997 il teatro shakespeariano del quartiere di Southwark viene ricostruito esattamente uguale al celebre Globe Theatre: pianta rotonda, struttura portante in legno di quercia, sabbia e calce, tetto di canne e paglia; l’unica differenza è che il nuovo teatro londinese può ospitare fino a 1500 spettatori, la metà di quelli che accoglieva un tempo il Globe Theatre. Il vero debutto teatrale è previsto nel ’98, a quattrocento anni esatti dalla sua costruzione, anche se l’inaugurazione è avvenuta nel 1996 con I due gentiluomini di Verona , e altri spettacoli sono andati in scena durante il 1997. Secondo il progetto del direttore Mark Rylance il nuovo teatro dovrebbe ricreare il clima festoso originario in cui venivano allestite le opere di Shakespeare e vorrebbe rappresentare una fonte di ispirazione per i nuovi autori.

Mucamedov

Dopo gli studi presso l’Istituto coreografico di Mosca, dal 1978 al 1981 fa parte del Moskovskij Klasiceskij Balet di N. Kasatkina e V. Vasilev ed è protagonista dei loro balletti: Sagra della primavera , Il racconto di Romeo e Giulietta, Gajané . Dal 1981 al 1990 è solista al Teatro Bol’šoj, interprete dei balletti di Jurij Grigorovic ( Spartaco , Ivan il Terribile , L’età dell’oro , La leggenda dell’amore) di Roland Petit ( Cyrano de Bergérac ) e del repertorio classico (Romeo e Giulietta , Raimonda , Il lago dei cigni , Giselle , schiaccianoci). È un danzatore eroico-romantico di alto virtuosismo, negli anni ’80 è il migliore interprete dei balletti di Grigorovic. Nel 1990 entra a far parte del Covent Garden Royal Ballet, affronta i balletti di Kenneth MacMillan ( Il principe delle pagode, Manon Lescaut , Winter Dreams ) e di Frederick Ashton ( La fille mal gardée , con il Birmingham Royal Ballet), dando prova di profonde capacità interpretative.

Mitchell

Studia alla New York High School of Performing Arts e alla School of American Ballet. Dopo aver danzato a Broadway e per John Butler e Anna Sokolow, entra nel New York City Ballet (1956), primo ballerino nero nella storia della compagnia. Qui si fa notare, per eleganza, nitore tecnico e forte presenza scenica, come interprete di Western Symphony , Sogno di una notte di mezza estate , nel ruolo di Puck (1962), Agon (1967) e Metastaseis & Pithoprakta (1968) di Balanchine. Balla anche in Ebony Concerto (1960) di John Taras e in The Unicorn , the Gorgon and the Manticore di John Butler. Danza intanto in famosi musical come Carmen Jones e Kiss me, Kate , mentre a Broadway è coreografo di Shinbone Alley . È ambasciatore, con la sua American Dance Company, della danza nera nordamericana in Senegal (1966) e in Brasile, dove è chiamato a creare la compagnia di balletto nazionale. Fonda nel 1968, con Karel Shook e con il supporto della Fondazione Ford, il Dance Theatre of Harlem, che debutta ufficialmente nel 1971. Il suo intento è quello di offrire anche ai danzatori di colore la possibilità di misurarsi con il balletto classico e neoclassico, fino a quel momento appannaggio esclusivo dei bianchi. Testimone dell’orgoglio culturale della sua gente, coreografa per la propria compagnia Epigrams (1966), Holberg Suite , Tones , Fête noir (1971) e John Henry , balletto dedicato a un operaio afroamericano, la cui forza fisica vince persino contro i nuovi mezzi meccanici, morto durante la costruzione della prima ferrovia tra l’Atlantico e il Pacifico.

Marzot

Vera Marzot compie gli studi classici, all’Università internazionale di studi sociali di Roma e vince una borsa di studio per la sezione costume del Centro sperimentale di cinematografia. Inizia l’attività professionale nel cinema come assistente ai costumi con P. Zuffi nel 1959 per il film Il Generale della Rovere di R. Rossellini. Per alcuni anni a partire dal 1962 è assistente di P. Tosi con cui inizia una lunga collaborazione lavorando a film come Il Gattopardo di Visconti. Il suo esordio nel teatro lirico avviene quando Visconti le affida i costumi per il Don Carlos di Verdi (Opera di Roma 1965), seguiranno altre produzioni come Rosenkavalier di Strauss (1966) sempre all’Opera e Traviata di Verdi (Covent Garden di Londra). Trascura sempre più il cinema dedicandosi al teatro, instaurando un’interessante collaborazione con il regista L. Ronconi creando i costumi per numerosi spettacoli di prosa tra cui L’anitra selvatica di Ibsen (Stabile di Genova, 1976), L’uccellino azzurro di Maeterlinck (Teatro Regio di Reggio Emilia, 1979), Ignorabimus di Holtz (Prato Teatro Regionale Toscano, 1986), Il mercante di Venezia di Shakespeare (Comédie-Française, 1987), L’uomo difficile di Hofmannsthal (Stabile di Torino, 1990), Questa sera si recita a soggetto di Pirandello (coproduzione Teatro di Roma, Exspo Lisbona, 1998). Inoltre disegna i figurini per Aida di Verdi (Teatro alla Scala, 1985), spettacolo in cui i costumi hanno una parte dominante nell’illusione scenica. Qui alla ricerca minuziosa del dettaglio e al sensibile uso del colore, abbina una grande abilità e fantasia nell’uso dei tessuti e dei materiali. E ancora per il teatro d’opera il Fetonte di Jommelli (1988), Oberon di Weber (1989), Lodoiska di Cherubini (1991), Tosca di Puccini (1996) tutte opere progettate per il Teatro alla Scala con la regia di L. Ronconi. Sempre con il medesimo regista fra gli altri cura i costumi di Giro di vite di Britten al Teatro Regio di Torino (1995), L’Orfeo e Il ritorno di Ulisse in patria di Monteverdi nel 1998.

Isidori

Fondatore nel 1986 di Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa, figura carismatica e capo spirituale di uno dei gruppi più radicali della ricerca; in qualità di direttore artistico Marco Isidori ha pensato, scritto e diretto tutti gli spettacoli della compagnia. Fortemente influenzato dall’attività dei Magazzini e dalla personalità irriverente di Carmelo Bene, Marco Isidori formula la sua poetica prendendo le mosse dallo studio del mondo greco. Sganciato dagli schemi di un teatro tradizionale, formula una sua precisa idea di teatro che vede nell’attore il mezzo per entrare in contatto con il pubblico, in modo da formare un unico organismo. Le serve di Genet è uno dei punti nodali dell’opera della Marcido da lui diretta. La riscrittura scenica del testo di Genet ha portato all’essenza di una ricerca che si è coagulata nella potenzialità della parola, nella sua sonorità e nella teatralità evocativa ad essa sottesa. Per Marco Isidori il problema del teatro è il problema della parola stessa e della sua significazione. Tra le tante regie da lui curate, che hanno sempre trovato detrattori o grandi estimatori, vale la pena di ricordare Il cielo in una stanza , che apre una fase decisiva dello sviluppo drammaturgico della compagnia. Dal ‘grande attore’, unico interprete, elemento di verità per il teatro, alla concezione estrema di un ‘attore generale’, cioè una conglomerazione di personalità attoriali. Da segnalare per lo sprigionamento energetico e la capacità evocativa del testo L’Isi fa Pinocchio, ma sfar lo mondo desierebbe in ver (1996) e Happy Days in Marcido’s Field (1997), in cui si riempie lo spazio della recitazione con ingombranti scenografie, i corpi nudi degli attori appesi come sipario, e una struttura di legno conica su cui torreggia Maria Luisa Abate, attrice della compagnia sin dagli inizi, che rappresenta la bocca del vulcano, segnale tra le fiamme attraverso cui parla il nume Artaud.

Börlin

Ha studiato presso la scuola del Teatro Reale Svedese di cui diventa solista a partire dal 1905. Negli anni ’10 ha studiato con Michail Fokine a Copenaghen subendone parzialmente l’influenza. Nel 1920 a Parigi conosce il mecenate Rolf de Maré (che diventa suo compagno) e con il quale fonda i Ballets Suédois, compagnia di breve vita (1920-1925) ma molto importante sul piano artistico, che nella Parigi degli anni ’20 si contende il pubblico più raffinato con i Ballets Russes di Diaghilev. È stato protagonista e coreografo di tutto il repertorio dei Ballets Suédois, che si caratterizza ancora di più come compagnia d’avanguardia creando insieme ai migliori musicisti e artisti dell’epoca: Ferdinand Léger, Francis Picabia, Darius Milhaud, Arthur Honneger. La sua importanza come coreografo è emersa a partire dal 1996 quando Kennet Archer e Millicent Hodson hanno ricostruito il suo balletto Skating Rink (musica di Honneger, scene e costumi di Léger) e, successivamente, Dervish e Within the Quota , mettendone in evidenza la modernità e i legami con le correnti più recenti della danza contemporanea.

Guérin

Dopo aver compiuto i suoi studi all’Opéra di Parigi, è entrata nella compagnia del teatro compiendovi una luminosa carriera. Prima ballerina nel 1984, l’anno successivo è nominata étoile dopo una interpretazione di grande smalto di Il lago dei cigni nella versione di Bourmeister. Interprete di bella sensibilità e dotata di grandi qualità tecniche è sovente partner di Laurent Hilaire. Il suo repertorio spazia dal classico al contemporaneo. Rilevante la sua prestazione in Casanova di Preljocaj (Opéra, marzo 1998).

Jones

(Bunnell 1951), danzatore, coreografo, direttore di compagnia statunitense. Abbandonato il progetto di diventare attore J., che frequenta l’università come borsista e atleta (gareggia nella corsa), scopre la danza afro-caraibica, che studia con Pearl Primus e Garth Fagan. Dopo un breve periodo in cui si avvicina al training del balletto classico e alla tecnica di Martha Graham, entrambi non adatti al suo fisico possente, si dedica infine alla `contact improvisation’, occasione del suo incontro decisivo con il fotografo Arnie Zane. Con lui, dopo un soggiorno ad Amsterdam, fonda l’American Dance Asylum, un collettivo con sede a Binghamton, dove crea Entrances (1974), Could Be Dance , Women in Drought , Across the Street , Impersonations , Everybody Works / All Beasts Count (1975). Mentre è coreografo per il Daniel Nagrin Dance Theatre firma, sempre con Zane, una trilogia di lavori in un atto, di carattere confidenziale, Monkey Run Road , Blauvelt Mountain (1979) e Valley Cottage (1980). Da questa felice collaborazione nasce poi la Bill T. Jones / Arnie Zane Dance Company (1982), che propone alcuni lavori di spicco a serata intera, come Freedom of Information e Secret Pastures (1985) con i graffiti di Keith Haring, la musica di Peter Gordon e i costumi di Willi Smith: spettacoli che si impongono all’attenzione per una inconsueta narratività, che li fa subito apprezzare anche in Europa. Non mancano però brani più raccolti, come il sensuale Soon (1988), duo destinato a coppie indifferentemente etero o omosessuali. Per l’Alvin Ailey American Dance Theatre firma intanto Fever Swamp (1983) per sei danzatori e, ancora con Zane, Ritual Ruskus (How to Walk an Elephant) nel 1985. Seguono, dopo la prematura scomparsa di Zane, D-Man in the Waters (1989), dedicato a un amico danzatore morto di Aids, Last Supper at Uncle Tom’s Cabin / Promised Land (1990), sul tema dell’uguaglianza di tutti di fronte alla morte, presentato a TorinoDanza e al festival di Spoleto (1992), Last Night on Earth (1992), intriso di spiritualità, War between the States , After Black Room , Achilles Loved Patroclus e Still/Here (1993), quest’ultimo elaborato con gruppi di malati terminali e presentato alla Biennale di Venezia nel 1995. Dopo Love Defined (1992), realizzato su invito dell’Opéra di Lione, viene nominato (1994) coreografo stabile, firmando I Want to Cross Over , 24 Image Seconde , per il centenario della nascita del cinema, Green and Blue (1997). Viaggio di ritorno verso la danza postmoderna delle origini è l’affresco in tre parti We Set Out Early… Visibility Was Poor (1998), su musiche di Stravinskij, Cage e Peteris Vasks. Il suo lavoro, che spesso ha suscitato polemiche negli Stati Uniti, dove è accusato di voler imporre la poetica della `victim art’, è tutto centrato sulla lotta contro i pregiudizi razziali, sessuali, religiosi, sul crinale tra esperienze autobiografiche e tematiche universali.

Arbo

Figlia di un’insegnante di danza, a dodici anni entra alla scuola di ballo dell’Opéra di Parigi dove, diciottenne, viene scritturata. Sarà soprattutto Nureyev negli anni Ottanta a mettere in luce il suo talento assegnandole il ruolo di Aurora nella La bella addormentata . Nominata étoile dopo un’interpretazione di Giselle a Nîmes, danza tutti i grandi ruoli classici, da Odette-Odile ne Il lago dei cigni a Nikia e Gamzatti ne La bayadère . Le sue grandi capacità tecniche la avvicinano anche al repertorio moderno; in questo ambito si afferma, fra l’altro, in Slow, Heavy and Blue di Carolyn Carlson, Retours de scène di Odile Duboc e Variation d’Ulysse di Jean-Claude Gallotta.

Diaghilev

Studiò legge a Pietroburgo e qui entrò nel circolo di amici e artisti (pittori, musicisti, scrittori) gravitanti intorno a due illustri pittori-scenografi, Alexandre Benois e Léon Bakst. In questa situazione diventò cofondatore, nel 1899, della celebre rivista d’arte “Mir Iskustva” (Il mondo dell’arte). Nello stesso anno fu nominato consulente artistico del teatro Marijinskij, ove pubblicò gli annali del teatro e curò gli allestimenti dell’opera Sadko di Rimskij-Korsakov e del balletto Sylvia di Delibes. Con la cessazione delle pubblicazioni, si volse all’organizzazione di mostre d’arte russa, sia a Pietroburgo sia a Parigi (1904). Nel 1908 fece conoscere al pubblico parigino il Boris Godunov di Musorgskij, con il grande basso Fëdor Šaljapin. Partito dalla musica, dai concerti e dall’opera lirica, D. approdò al balletto che gli nacque come scoperta meravigliosa, messa soprattutto in relazione ai mutamenti e ai rinnovamenti dell’arte teatrale. Con elementi attinti dai teatri imperiali di Mosca e di Pietroburgo, formò una compagnia che ottenne trionfi a Parigi nel maggio-giugno 1909. La visita in Occidente gli fece balenare l’idea di costituire stabilmente una compagnia vera e propria di ballerini, (Les ? Ballets Russes), appoggiandosi per lo più a quella che in breve tempo divenne la stella del complesso per molteplici doti e meriti, dalla presenza fisica alla bravura tecnica: Vaslav Nijinskij, dimissionario dal Marijinskij. D. ne rimase, fino alla morte, arbitro assoluto. La sua azione fu determinante per la trasformazione e la formazione del balletto europeo. Purtroppo la compagnia fu costantemente sull’orlo del disastro finanziario, non tornò in Russia e rimase circoscritta a un’impresa privata di carattere elitario, sostenuta dal provvido intervento della grande finanza nella quale D. contava qualche amico. Intanto la straordinaria scoperta diaghileviana andò molto avanti: il balletto acquistava dignità d’arte, cercava e trovava nella collaborazione più vasta di artisti una fisionomia unica e particolarissima. Ovviamente, non era ballerino, quindi non coreografo, non pittore, nemmeno teatrante, contrariamente a quanto si legge erroneamente. Eppure fu l’iniziatore attivo di un movimento critico ed estetico che doveva rinnovare il teatro, inserendosi nella coscienza viva dell’artista moderno. In altra parte si potranno leggere i nomi di quel favoloso ventennio: ballerini, coreografi, musicisti, scenografi, direttori d’orchestra, fra i quali possiamo individuare molte personalità che hanno fatto parlare di sé per lungo tempo, alcune delle quali assurgendo addirittura a mito nella storia della danza e del costume. Si è rimproverato ingiustamente a D., da più parti, di aver voluto allargare troppo i confini del balletto come rappresentazione teatrale e di disperdere la sua vera natura in una ricerca di apporti disparati marginali. Una cosa è certa: mai la danza, nel corso della sua avventurosa esistenza, era stata beneficiata di tanta squisitezza estetica.

Bacci

Nel 1958 conosce il regista G. De Lullo che la sceglie per Il buio in cima alle scale di W. Inge. Negli anni seguenti lavora con i registi F. Enriquez, M. Ferrero, O. Costa e A. Trionfo. Tra il 1961 e il 1964 lavora per la televisione come protagonista di varie commedie e dello sceneggiato Eugenie Grandet tratto da Balzac. Successivamente recita con registi come G. Bosetti ( Zio Vanja di Cechov, Don Giovanni di Molière), J. Kilty ( La professione della signora Warren di Shaw, 1976), G. Sepe ( Come le foglie di Giacosa, 1980), G. Patroni Griffi ( A porte chiuse di Sartre e Oreste di Alfieri, 1980-82; Questa sera si recita a soggetto di Pirandello, 1988), G. Marini ( Cocktail party di T.S. Eliot). Nel 1987, con la messa in scena de La serva amorosa di Goldoni, inizia la collaborazione con L. Ronconi, per il quale nel 1990 recita in Strano interludio di O’Neill, nel 1991 in La folle de Chaillot di J. Giraudoux, nel 1995 in Quer pasticciaccio brutto de via Merulana tratto dall’omonimo romanzo di Gadda – per il quale vince il premio della critica italiana come miglior attrice dell’anno – e nel 1996 ne I fratelli Karamazov tratto da Dostoevskij.

Negroni

La incontriamo giovanissima allo Stabile di Bologna Passatore di M. Dursi poi è a Torino nella Casa di Bernarda Alba di Garcia Lorca(1965) e nei Dialoghi del Ruzante con la regia di G. De Bosio (1967-68) e nel Tito Andronico di Shakespeare, regia di A. Trionfo del 1969; nello stesso anno recita anche nello spettacolo La gibigianna di C. Bertolazzi. Nel 1976-77 recita con Corrado Pani in L’idealista di Fulvio Tomizza, regia di F. Macedonio. Nel 1980 Trionfo la vuole nell’ Idiota di Dostoevskij. Intensa anche la sua attività televisiva.

Kain

Formatasi alla scuola del National Ballet of Canada, nel 1969 entra a far parte della compagnia, dove diventa prima ballerina (1970-1997) e protagonista del repertorio classico, danzando anche al fianco di Nureyev. Vince la medaglia d’argento a Mosca nel 1973; è interprete all’Opéra di Parigi di Les intermittences du coeur – e di Nana (1974) di Petit; si esibisce al festival di Spoleto (1982 e 1984) con la compagnia di Peter Ottman. Sensibile, musicale, ha spiccate doti di ballerina-attrice. Si è ritirata dalle scene nel 1997.

Opera di Pechino

Opera di Pechino  (Jing xi, letteralmente `teatro della capitale’) è il modello scenico più noto dell’Opera cinese, ovvero lo stile regionale, estremamente spettacolare e fondato sulla tecnica degli attori-danzatori, sviluppatosi a Pechino. Il graduale prevalere del dialetto pechinese ha favorito l’assunzione dell’O.d.P. come teatro nazionale. Non utilizza in genere pièce intere, ma un’antologia di episodi tratti da drammi diversi, a loro volta già concepiti per poter essere rappresentati a pezzi e assemblati volta a volta secondo un filo narrativo (un’avventura di Sun Wu Gong, il celebre re delle scimmie, la leggenda del serpente bianco che si incarna in una donna innamorata), in genere derivato dalla materia popolare. Il testo è parlato e cantato (si canta perlopiù in falsetto sul registro acuto, più raramente di petto nel grave), senza partitura fissa e con grande spazio per l’improvvisazione del cantante. Gli strumenti, in genere da cinque a sette (a corde, a fiato e a percussione), hanno esclusivamente la funzione di accompagnamento del canto e dell’azione; i suonatori siedono in genere a destra della scena, in modo da poter vedere gli attori. La narrazione però è affidata in gran parte alla mimica, alla gestualità e all’azione scenica (perciò l’Opera di Pechno è leggibile sostanzialmente anche da un pubblico non cinese); queste sono fortemente stilizzate, talora nella direzione di un’amplificazione (salti mortali e acrobazie in genere per le battaglie o il superamento di ostacoli), talvolta in quella di una riduzione (il gesto del remare indica l’azione che descrive, ma anche simbolicamente la barca e addirittura il fiume).

Attraverso stilizzazione e simbolismo sono indicati non solo gli eventi narrati e i sentimenti, anch’essi fortemente tipizzati, ma anche il contesto scenico: nell’Opera di Pechno non c’è scenografia, ma uno spazio vuoto, delimitato da una tenda sul fondo, con due passaggi laterali (gli attori entrano sempre da sinistra all’inizio di una scena ed escono sempre da destra) e il luogo dell’azione è indicato da qualche attrezzo (una bandiera con una ruota per una carrozza) o da un personaggio (un imperatore seduto indica che siamo a corte). I costumi – più leggeri per i ruoli acrobatici, più sontuosi ed elaborati per le divinità – così come il trucco sono pure standardizzati; grazie a essi il pubblico identifica immediatamente i personaggi, che corrispondono a quattro tipi fondamentali (Opera cinese). L’Opera di Pechno, portata per la prima volta fuori dai confini nazionali all’inizio del nostro secolo grazie soprattutto dell’attore Mei Lanfang, affascinò e influenzò alcuni dei principali innovatori del `nostro’ teatro, da Ejzenstejn e Mejerchol’d a Brecht, che ravvisò in alcune convenzioni dell’Opera cinese (in particolare quella degli attori principali di rivolgersi direttamente al pubblico e presentarsi col proprio nome) le medesime radici del proprio principio di straniamento. Durante la Rivoluzione culturale, dal 1966 e per tutto il decennio successivo – soprattutto ad opera della moglie di Mao, Jiang Quing, che ne era stata attrice – l’Opera di Pechno dovette abbandonare costumi e vicende tradizionali, in favore di narrazioni esaltanti degli eroi della guerra civile e della costruzione del nuovo stato socialista, e prestarsi perciò a un fine educativo in luogo di quello tradizionale, estetico e ricreativo. Dalla fine degli anni ’70 è tornata alle forme classiche.

D’Ambrosi

Milanese, dopo aver giocato nel Milan, Dario D’Ambrosi si avvicina al teatro e nel 1979 crea il ‘Gruppo teatrale D. D’Ambrosi’, primo passo verso la creazione del Teatro Patologico, di cui è fondatore. Un genere di teatro che gli è suggerito da anni di studio e lavoro con i malati di mente, con i quali ha convissuto, facendosi ricoverare all’interno dell’Ospedale psichiatrico `P. Pini’ di Milano. I suoi spettacoli raccontano con un linguaggio espressivo, ribaltando sovente i canoni fissi dell’interpretazione, dove la parola viene spesso sostituita e messa da parte da un gesto forte teatrale e dalla pantomima. I principali argomenti dei suoi lavori sono temi psicologici e storie di emarginazione, spesso tratte dalla cronaca, e ruotano attorno al confine tra la realtà e la follia. Ha avuto, prima di quello italiano, un grande successo in America, dove è approdato nel 1980, al Café La Mama di New York, storico santuario dell’Off-Broadway di Ellen Stewart con la quale ha prodotto il suo secondo spettacolo I giorni di Antonio , la storia vera di un malato di mente ricoverato in un ospedale lombardo ai primi del ‘900. Divide la sua attività tra il teatro e il centro di Psichiatria sociale di Roma. Organizza dal 1989 il Festival mondiale del Teatro Patologico e a New York il Festival del teatro d’avanguardia italiano. Fra i suoi lavori sono da ricordare soprattutto L’altra Italia , Cose da Pazzi (1987), No grazie me ne torno (1991), Un regno per il mio cavallo , tratto da Riccardo III di Shakespeare (1995), La trota , Sogni di maschio , Principe della follia (1997).

Carosi

La sua carriera prende avvio nel 1976 al teatro F di Napoli; decisivo l’incontro con il regista Roberto De Simone, con cui – insieme alla moglie, la costumista Odette Nicoletti – intraprende una stretta collaborazione: nel teatro di prosa lavorano a Mistero napoletano (Prato, Teatro Metastasio 1978) e Eden teatro di R. Viviani (Napoli 1981); per la lirica si occupano, fra l’altro, di Li zite `n galera di L. Vinci (Firenze, Teatro comunale 1979) e degli allestimenti scaligeri del Nabucco di Verdi (1986), dell’ Orfeo ed Euridice di Gluck (1989), del fortunatissimo Lo frate `nnamorato di Pergolesi (1989) e dell’ Idomeneo di Mozart (1990). Nel 1990, con il regista Beppe Menegatti, lavora a una coproduzione con il San Carlo di Napoli (di cui è direttore degli allestimenti dal 1984), un omaggio a Eleonora Duse e Isadora Duncan ( Carla Fracci racconta di Eleonora Duse – Isadora Duncan ), mentre con G. Mauri si occupa dell’allestimento dell’ Edipo di Sofocle al Teatro comunale di Treviso (1995). Dal 1996 è a Roma, al Teatro dell’Opera, in qualità di direttore degli allestimenti, di cui il più recente è il Nabucco di Verdi (regia di F. Sparvoli, 1998).

Sartor

Nel 1983 Fabio Sartor interpreta Padre Ubu di Jarry con F. Branciaroli, regia di M. Navone. Nel ’92 è diretto da Strehler nelle Baruffe Chiozzotte. Nel 1995, dopo Splendid’s di Gruber, ha curato e allestito il recital Jean Genet: la solitudine e la rivolta ; allestisce Atelier di Giacometti nel carcere di San Vittore e al circolo gay Querelle a Milano. Ha recitato ne La vita, il sogno da C. de la Barca con la regia di A. R. Shammah.

Kerche

Ha studiato alla scuola del teatro municipale di Rio de Janeiro nella cui compagnia viene subito scritturata divenendone successivamente prima ballerina. Si è esibita con l’English National Ballet di Londra (1996), il Teatro Colon di Buenos Aires ed è stata ospite di altre varie compagnie e festival. Dotata di una straordinaria tecnica brilla nelle interpretazioni del grande repertorio classico.

Nichetti

Maurizio Nichetti fa le sue prime esperienze come mimo e attore nella scuola Quellidogrok, poi, dal 1971 collabora con Bruno Bozzetto per alcuni film tra cui Allegro ma non troppo (1977) e scrivendo per lui tre lungometraggi d’animazione che hanno come protagonista il signor Rossi. Quando nel 1979 esce il suo primo film Ratataplan , la critica e il pubblico salutano in lui l’arrivo di un nuovo autore comico, come quelli che `c’erano una volta’. E infatti, mescolando con ironia, leggerezza e gusto del non sense Chaplin, Keaton, Tatì all’osservazione della realtà quotidiana di una Milano rampante, N. riesce a realizzare un piccolo film d’autore in cui ritornano le sue prime esperienze teatrali. Nei successivi Ho fatto splasch (1980), Domani si balla (1982), Il bi e il ba (1985), ma soprattutto Ladri di saponette (1989) e Volere volare (1991), le due sue opere più riuscite, i temi e lo stile si precisano attraverso una contaminazione anche dei temi e dei linguaggi (l’uso invertito e divertente del cartoon, l’ironia acida della televisione). La leggerezza dell’attore è stata valorizzata anche da altri autori: Citti in Sogni e bisogni (1985), Monicelli in Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno (1984).

Andò

Andò Roberto in teatro ha presentato: La foresta-radice-labirinto, da un testo di Calvino (musiche di Francesco Pennisi; scene di Renato Guttuso); Dialoghi di Jean Genet e Tahar Ben Jelloun; La sabbia del sonno , con musiche di Luciano Berio, Marco Bena e Aldo Bennici; L’esequie della luna , ispirato a un testo di Lucio Piccolo (musiche di Francesco Pennisi; scene di Enzo Cucchi). Nel 1992 realizza per la Biennale di Venezia La madre invita a comer di Luis De Pablo (testo di Vicente Molina-Foix). Nel 1994 firma assieme a Daniele Abbado e Nicola Sani l’opera multimediale Frammenti sull’apocalisse , interpretata da Moni Ovadia, con cui il regista aveva già lavorato in Diario ironico dall’esilio . Nel 1994 presenta il suo primo film, Robert Wilson Memory Loss , nella sezione `Finestra sulle immagini’ alla Mostra del cinema di Venezia. Ha successivamente curato la regia di Mittersill 101 (musiche di Giovanni Sollima; testi di Dario Oliveri). Nel 1997 va in scena al Teatro Studio di Milano Il caso Kafka – scritto da A. con Moni Ovadia – dove l’emblematica vicenda dell’attore ebreo Jizchak Löwy (interpretato da Moni Ovadia) e l’opera di Kafka – che si riflette nell’atmosfera e nel linguaggio dello spettacolo – sono il tramite per indagare il `peso’ del passato e il senso dell’identità personale.

Morelli

Nipote di Alamanno Morelli, figlia degli attori Amilcare Morelli e Narcisa Brillanti, Rina Morelli recitò fin da piccola accanto al padre. Il suo esordio vero e proprio avvenne nel 1924 in Liliom di F. Molnár, con la compagnia di A. Betrone. Nel 1927 recitò nella compagnia dannunziana e nel 1933 Copeau la scelse per il Mistero di Santa Uliva al Maggio fiorentino. Già impostasi all’attenzione della critica per l’intensità e l’originalità della sua interpretazione, nel 1938-39, con la compagnia del Teatro Eliseo, accanto a G. Cervi, C. Ninchi, P. Stoppa e A. Pagnani, ottenne anche il riconoscimento del pubblico. Con questa compagnia riportò grandi successi tra cui: Giorni felici di C.A. Pouget, Fascino di K. Winter, Viaggio alle stelle di M. Anderson, Otello e Le allegre comari di Windsor di Shakespeare. Alla parentesi quasi sterile della seconda guerra mondiale, succedette un periodo di grande attività che la portò all’incontro con il regista L. Visconti, avvenuto nel 1945. Questi la diresse nei Parenti terribili di J. Cocteau dello stesso anno. Nel 1946 costituì compagnia al fianco di Paolo Stoppa, scegliendo un repertorio soprattutto comico ( Spirito allegro di N. Coward, Arsenico e vecchi merletti di J. Kesselring). Fu ancora L. Visconti a dirigere la coppia Morelli-Stoppa nell’ambizioso progetto di portare sulle scene italiane il dramma esistenzialista Antigone di J.P. Sartre, autore, insieme ad Anouilh, Girardoux, Miller e Williams, tra i prediletti dell’attrice, senza tralasciare il suo amore per Shakespeare e Goldoni. Lo spettacolo riscosse grande successo e il sodalizio Morelli-Stoppa-Visconti proseguì con produzioni di rilevante valore artistico. L’attrice apparve anche nei film Senso , Il Gattopardo , L’innocente per la regia di Visconti, inoltre partecipò a produzioni televisive quali I Buddenbrook tratto da T. Mann e Le sorelle Materassi da A. Palazzeschi. La M. si può a tutt’oggi considerare come una delle maggiori interpreti italiane contemporanee per la sensibilità con cui seppe rendere, attraverso la sua recitazione veristica, un repertorio che spaziava dai ruoli brillanti a quelli drammatici. Inoltre, quando anche in Italia si impose l’intervento della regia, pur conservando le doti innate che da sempre le permettevano di individuare con precisione i tratti distintivi dei personaggi antichi e moderni che via via si trovava ad affrontare, riuscì a conciliarle con le nuove esigenze richieste dalla scena.

Tcherina

Ludmila Tcherina si forma a Parigi con Préobrajenska e Blanche d’Alessandri e, dopo essersi esibita in alcuni spettacoli e concerti di danza, debutta con Lifar nel suo Romeo e Giulietta a Parigi (1942). Si perfeziona con Kniaseff e successivamente entra all’Opéra di Marsiglia come prima ballerina (Romeo e Giulietta, Mephisto valse in coppia con il marito Edmond Audran). Danza con i Nouveaux Ballets de Monte-Carlo e con i Ballets des Champs-Elysées (Forains di Petit). Dal 1948, con l’interpretazione cinematografica di Scarpette rosse , alterna l’attività di ballerina a quella di attrice. Danza in Giselle , La morte del cigno (entrambi alla Scala, 1954-55) e in Le martyre de Saint Sébastien di Sparemblek. Nel 1958 forma una sua compagnia (tra i successi del repertorio: Les amants de Teruel, Feu aux poudres) e nel 1961 è nel Ballet du XXème siècle in Gala di Dalí-Béjart. Tra le interpretazioni cinematografiche ricordiamo I racconti di Hoffmannn (1951), Oh, Rosalinda! (1955).

Marais

Jean Marais fu allievo di Dullin prima di entrare in contatto con Jean Cocteau e il suo ambiente. Nel 1937 ottenne infatti una parte che avrebbe dovuto essere quella di Edipo, nelle intenzioni di Cocteau, ma che fu invece solo quella secondaria del coro nella Machine infernale dello stesso Cocteau. Da questo momento, i due artisti condivisero il percorso artistico ed esistenziale: M. sarà Galaad ne I cavalieri della Tavola Rotonda e in seguito sarà il protagonista de I parenti terribili , pièce scritta da Cocteau espressamente per lui (1938). Pur continuando a recitare in importanti produzioni teatrali più `convenzionali’, Marais legherà la sua carriera all’attività drammaturgica e poi cinematografica di Cocteau: interpreta infatti La macchina da scrivere (1941) e Renaud et Armide (1946), nello stesso anno sarà Stanislas in L’aquila a due teste. In questa stessa fase interpreterà anche lavori di Anouilh e di Sartre, ottenendo un grande successo. Tra la fine degli anni ’40 e i primi anni ’50 sarà il protagonista della stagione cinematografica cocteauiana da La bella e la bestia (1946) a L’aquila a due teste (1948), a Orphée del 1950, dove la sua bellezza perfetta assume caratteri quasi pittorici grazie alla fotografia curatissima ed estetizzante voluta dallo stesso Cocteau. Con Visconti sarà l’inquilino nelle Notti bianche (1957). Recentemente (1990, ripresa nel 1993), l’attore ha rievocato il suo intenso rapporto con Cocteau nella pièce Cocteau-Marais , insieme a Jean Tardieu.

Brancati

Anche se ha iniziato la sua attività di autore di teatro negli anni ’30, con alcuni testi di dubbio valore artistico Everest (atto unico, 1930); Piave (dramma patriottico, 1932), Il viaggiatore dello sleeping n.7 era Dio (1935); il vero successo l’ottenne nel secondo dopoguerra, con Questo matrimonio si deve fare (1939, rappresentata postuma dal Teatro stabile di Catania, con Turi Ferro, nel 1963), cui fece seguito Le trombe di Eustachio (1942), L’orecchio di Dioniso (1943), Don Giovanni involontario (1943), Raffaele (1948), Una donna di casa (1950). Certamente la sua commedia più nota e forse più bella è La governante , di cui si ricorda una bellissima edizione (1965-66), con A. Proclemer, G. Tedeschi e G. Albertazzi, per la regia di G. Patroni Griffi; ripresa ancora da Albertazzi, con P. Pitagora nella stagione 1995-96. La commedia fu bocciata dalla censura di allora anche se intenzione di B. era solo quella di portare in scena un caso morale, ovverosia la coscienza di un essere umano che si dibatte nelle spire di un `vizio’ che non vuole accettare, l’omosessualità femminile. Brancati scrisse in quell’occasione un pamphlet violento: Ritorno alla censura , contro la mentalità di un certo potere politico. Molto intensa fu anche l’attività di sceneggiatore cinematografico; ricordiamo: La bella addormentata di L. Chiarini (1943), Silenzio, si gira! di C. Campogalliani (1944), Anni difficili (1948), a cui seguì Anni facili (1953), entrambi diretti da L. Zampa, L’uomo, la bestia e la virtù di Steno (1954). Quattro anni dopo la morte (1954), il primo a interessarsi del teatro di B. fu N. Borsellino, che mise in risalto i tratti `nuovi’ del commediografo rispetto al narratore, indicandone l’anima aristofanesca o etico-politica, e il carattere polemico, la satira corrosiva, come elementi distinguibili della sua drammaturgia. Se ci sono sempre stati dei sospetti sui narratori che si dedicano anche al teatro, finendo spesso per considerare marginale questa attività, per B. le prove del palcoscenico hanno invertito questa tendenza, evidenziando una vena beffarda, una comicità agre, un felice uso del grottesco che rivelano la novità della struttura drammatica, specie in opere come La governante e Don Giovanni involontario .

Alvaro

La sua attività di drammaturgo si fa risalire al 1923, con Il paese e la città, rappresentato al Teatro degli Indipendenti di Roma. La prima notorietà, però, l’ottenne con una raccolta di racconti, cinque anni dopo: Gente d’Aspromonte. Nel 1939, la Compagnia Pagnani-Cervi portò in scena Il caffè dei naviganti , dove ritorna il tema, a lui caro, del contrasto tra la gente umile, naturale e quella artificiosa della città. Alvaro Corrado immagina una solitaria spiaggia d’Italia, dove vivono pescatori e barcaioli semplici e forti, oltre che felici, e dove arriva un gruppo inquieto di uomini nordici che turberà il loro equilibrio delicato. Renato Simoni, pur sottolineando una segreta musicalità, fece notare una «difettosa drammaturgia». Tra gli altri attori, va segnalata la presenza di Rina Morelli e Paolo Stoppa. Nel 1949, A. ottenne maggior successo con Lunga notte di Medea, con Tatiana Pavlova, scene di De Chirico, musiche di Pizzetti, ripresa nel 1966 con Laura Adani e Renzo Giovampietro, per la regia di Maurizio Scaparro. Egli spogliò il mito da ogni demonismo e crudeltà e fece di Medea una donna semplice, meridionale, offesa nel suo amore materno.

Conclusa l’attività di drammaturgo, iniziò quella di critico drammatico per “Il Popolo” (1940-41) e “Il Mondo” (1949-51), quella di riduttore per le scene: I fratelli Karamazov (1940), Celestina (1942) e quella di sceneggiatore cinematografico: Terra di nessuno (1939), Fari nella nebbia (1942), Una notte dopo l’opera (1942), Patto col diavolo (1950) e Roma ore 11 (1952). Certamente la fama teatrale di A. è legata alla trasposizione del mito di Medea in un ambiente che più si avvicina alla sua terra d’origine. Il modello è Il lutto si addice ad Elettra , di O’Neill, o forse la necessità di trasferire il mito antico nelle mitologie moderne così come avevano fatto Hofmannsthal ( Elettra ), Gide ( Edipo ), Giraudoux ( Elettra , Anfitrione ) e come faranno autori a lui contemporanei: Savinio ( Ulisse ), Anouilh, la cui Medea è scritta sei anni prima di quella di A. (1953). La drammaturgia di Alvaro Corrado può essere divisa in due momenti: quella del teatro antecedente alla guerra, inserita più nel quadro della narrativa, con riferimenti al mondo arcaico-contadino; e quella del secondo dopoguerra, più attenta a riscoprire l’oasi del mito, non disgiunta da una forte carica sociale.

Kott

Nel 1961 il libro di Jan Kott Shakespeare, nostro contemporaneo apre una nuova prospettiva nella lettura del drammaturgo inglese; Kott propone un’interpretazione anticlassica, che accentua la componente barbara e violenta insita nel carattere popolare e plebeo del teatro elisabettiano. A questa visione si ispirò Peter Brook nella messa in scena di Re Lear (1962), esempio di quel teatro rozzo e non letterario (‘rough theatre’), in cui ogni elemento, dalla scena ai caratteri dei personaggi, viene portato all’essenzialità. Tra le altre pubblicazioni di Kott è da ricordare il saggio sulla tragedia greca Mangiare Dio (1970).