Ciangottini

Valeria Ciangottini debutta a soli sedici anni al cinema nella Dolce vita di Fellini. Studia all’Actor’s Studio di Fersen, e con gli anni abbandona il cinema e la televisione per dedicarsi al teatro brillante. Tra le sue interpretazioni ricordiamo Tredici a tavola, per la regia di Luigi Bonori, e Il pensionante di Raffaella Battaglini, per la regia di Walter Manfrè, entrambi con Carlo Simoni. Un volto dolcissimo e un duttile talento di spettacolo, bruciato anzitempo dal clamore del grande schermo.

Clustine

Dopo una brillante carriera a Pietroburgo, nel 1905 venne scritturato al Teatro di Montecarlo, dove fu partner della Zambelli e della Trouhanova. Approdato a Parigi e passato alla coreografia, diede all’Opéra nei primi anni ’10 lavori come Rousalka , Suite de danse , Hansli le bossu . Nel 1914 diventò il coreografo `en titre’ di Anna Pavlova: per diciotto anni accompagnerà la celeberrima étoile nelle sue tournée mondiali, creando per lei numerosi lavori ( Fairy Doll , La Péri , Amarilla ). L’opera di C. a Parigi si inserisce in quel periodo di transizione – e, in parte, di rinnovamento – che si smorzerà poi con l’avvento dei Ballets Russes di Diaghilev.

Carini

Nel 1893 entrò nella compagnia Andò-Leigheb, passando nel 1895 alla Reiter-Leigheb come primattore. Dal 1903 diresse e lavorò in alcune delle migliori compagnie (Virginia Reiter, Tina Di Lorenzo e Armando Falconi, Gramatica-Piperno-Gandusio, Carini-Gentilli-Dondini). Raggiunse il successo con Amanti di M. Donnay, accanto a Virginia Reiter; venne definito da alcuni critici come l’attore più dotato di quegli anni. Nel 1921 creò una propria compagnia, con cui lavorò per dieci anni insieme alla seconda moglie, la primattrice Nera Grossi; tornò poi al capocomicato con le sorelle Gramatica, con A. Betrone e M. Melato, con F. Mari, con W. Capodaglio. Ebbe continuo favore in patria e all’estero, soprattutto in Sudamerica. Tra le sue interpretazioni di maggior rilievo, Napoleone in Madame Sans-Gêne di Sardou, Bito nella Messalina di P. Cossa, Figaro nel Matrimonio di Figaro di Beaumarchais, Il figlio dell’amore di H. Bataille e L’abito verde di R. de Flers e A. Caillavet.

crudeltà, teatro della

Artaud fu molto attento a evitare che il termine crudeltà venisse inteso in un’accezione ingenua, («è un errore attribuirle il senso di spietata carneficina, di ricerca gratuita e disinteressato del male fisico») e ne rivendicò tanto il valore metafisico («è il rigore, è la vita che supera ogni limite e si mette alla prova nella tortura e nel calpestamento di tutte le cose, è questo sentimento puro e implacabile che io chiamo crudeltà») quanto il valore tecnico («propongo un teatro in cui le immagini fisiche violente frantumino e ipnotizzino la sensibilità dello spettatore travolto dal teatro come da un turbine di forze superiori», «un teatro che riproponga tutti gli antichi e sperimentati mezzi magici», «che abbandonando la psicologia racconti lo straordinario e metta in scena conflitti naturali», «che provochi trance come le danze dei Dervisci e degli Aissaua, e si rivolga all’organismo con strumenti precisi»). Un teatro, infine, `integrale’, che nasca dalla compartecipazione senza gerarchie dei linguaggi (gesto, immagine, movimento, suono, parola) espressi attraverso i `geroglifici’ di una scrittura sacra. Alla base di questa concezione stanno da una parte l’influenza delle culture spettacolari dell’Oriente (Artaud fu profondamente impressionato, nel 1931, dall’esibizione del gruppo dei danzatori balinesi all’esposizione Coloniale di Parigi) e dall’altra l’insofferenza per le forme di un teatro convenzionale, naturalistico e subordinato al testo scritto come quello che veniva proposto sui palcoscenici francesi ed europei dei primi decenni del secolo. In altri uomini di teatro, queste due componenti aprirono la strada alle riforme della scena (era accaduto ad esempio ad Appia e a Gordon Craig) o alle pratiche della nuova regia (Piscator e Mejerchol’d), in Artaud esse agirono invece come un potente stimolatore di visioni , mentre ebbero scarso rilievo le occasioni in cui egli tentò di dar loro una concreta forma di spettacolo. La critica che Artaud rivolgeva alla scena occidentale puntava, oltre che all’abbattimento della `superstizione’ del testo, anche al ribaltamento delle fondamenta stesse del teatro, inteso come arte della mimesi, imitazione e rappresentazione della vita. La radicalità e l’efficacia di questa posizione hanno cominciato ad operare sulle scene vent’anni più tardi, quando è apparsa la traduzione inglese di Il teatro e il suo doppio (1958). Adottato come `mentore’ da Julian Beck e Judith Malina, Artaud ha visto trasformata la sua crudeltà in aggressione `totale’ dello spettatore, una caratteristica delle produzioni del Living Theatre nei primi anni ’60 ( The Brig , 1964). Ugualmente alla crudeltà si sono rivolti Peter Brook e Charles Marowitz dando vita, nel 1963, al Lambda Theatre di Londra – su finanziamento della Royal Shakespeare Company – a una stagione di rappresentazioni `crudeli’ (tra le altre anche Le jet de sang di Artaud e The Guillotine dello stesso Brook), il cui esito, un anno più tardi, è stata la messinscena del Marat/Sade di Peter Weiss, divenuto poi anche un celebre film. Ma l’influenza crudele delle visioni di Artaud va ben oltre i suoi diretti esecutori e si estende, attraverso un’interpretazione a volte molto libera delle sue idee, a tutti coloro che dopo gli anni ’60 e ancora negli anni ’90 (in Italia, ad esempio, la Socìetas Raffaello Sanzio) hanno cercato con i più diversi mezzi di lavorare sulla rottura della rappresentazione scenica, chi mettendo in atto un diverso e rigoroso regime di teatralità (come Jerzy Grotowski), chi dissolvendo le sue formulazioni in altre esperienze (teatro panico, teatro totale, happening, performance), chi ispirandosi ad Artaud nell’elaborazione di una poetica di regia (Roger Blin).

Charisse

Cyd Charisse studia danza classica e, ancora giovanissima, è étoile nelle ultime tournée dei Balletti russi. Arrivata a Hollywood nel 1943 si presenta con lo pseudonimo di Lily Nordwood, prima di apparire in ruoli minori in film come Nasce una stella (1944) e Ziegfeld Follies (1945). Dopo il matrimonio con il cantante ‘crooner’ Tony Martin, con cui costituisce una delle coppie più solide di Hollywood, la Mgm continua a offrirle solo parti di contorno in film musicali come La matadora (1947), Su di un’isola con te e Parole e musica (1948). Deve aspettare Cantando sotto la pioggia (1952), in cui è la `femmina fatale’ protagonista della sequenza del sogno, per emergere appieno e imporsi come star. Negli anni ’50 contribuisce all’epoca d’oro del genere musicale in film come Spettacolo di varietà (1953), Brigadoon (1955), È sempre bel tempo (1955), La bella di Mosca (1957), pellicole in cui è partner di grande eleganza di Gene Kelly e Fred Astaire e interprete ideale delle coreografie di Michael Kidd. Anche se dotata di una voce gradevole e intonatissima, viene spesso doppiata nelle parti cantate da professioniste della canzone, più di frequente da Marion Doeges, Eileen Wilson, India Adams e Carol Richards; ciò nonostante ha al proprio attivo varie incisioni discografiche. Quando abbandona il musical con Black Tights (1962) si rivela attrice drammatica di notevole talento in Due settimane in un’altra città (1962). Negli anni seguenti è talora a fianco del marito in esibizioni dal vivo e alla televisione. Nel 1976 pubblica il libro autobiografico, scritto a quattro mani col marito, The Two of Us .

Castiglioni

Nel 1973 Silvio Castiglioni è tra i fondatori sia del Centro di Ricerca per il Teatro di Milano, nel cui ambito matura le prime esperienze formative, sia del Teatro di Ventura, uno fra i gruppi più significativi nell’ambito del ‘Terzo Teatro’, con il quale ha realizzato in dieci anni numerosi spettacoli: Il detto del Gatto Lupesco (1977), La tragedia dell’arte (1978). Dal 1987 al 1990 ha realizzato con il regista cileno Raul Ruiz Lo schiavo del demonio, I maghi, Edipo iperboreo, La scoperta dell’America. Di particolare rilievo lo sviluppo del suo lavoro sulla maschera di Arlecchino, che si distacca dagli stereotipi correnti, e la sua ricerca drammaturgica, che culmina nel rigore espressivo e nelle visioni intime dei due monologhi a più voci Corpi estranei (1995), assolo dedicato a Heinrich von Kleist, e Remengòn ; segue Voci dalla guerra (1997), ispirato a un racconto di Nuto Revelli. In collaborazione con François Khan ha scritto e interpretato Il sogno e la vita. Una fantasia sul signor Hoffmann (1998). Dal 1998 è direttore artistico del festival di Santarcangelo dei Teatri.

Catalano

Anna Catalano studia danza contemporanea a New York e Parigi e danzaterapia con Maria Fux. Fondato a Roma (1987) il Centro internazionale per l’arte e la psicologia applicata, approfondisce la ricerca espressiva sull’interrelazione tra le due discipline con il gruppo `Danzacompagnia’, per il quale crea molti lavori: America America (1992), L’aviatore Dro (1996), Via col vento (1997). Dal 1995 dirige inoltre il centro interdisciplinare `Petra Lata’.

Colette

Fra i grandi della letteratura francese, Gabrielle-Sidonie Colette si accosta al mondo dello spettacolo inizialmente come critica drammatica e musicale. Moglie di Henri Gauthier-Villars detto Willy, all’epoca noto e chiaccherato giornalista, frequentatrice degli ambienti mondani e culturali della Parigi Belle Epoque, Gabrielle-Sidonie Colette prende lezioni di mimo da Georges Wague nel 1905 e debutta come dilettante poco dopo nel Dialogue au soleil couchant di Pierre Loulms. L’anno successivo, dopo il divorzio dal marito, Gabrielle-Sidonie Colette passa al professionismo esibendosi in qualità di mima («il mestiere di chi non ne ha imparato nessuno» ha scritto), spesso al fianco di Wague, sui più prestigiosi palcoscenici dei teatri e music-hall francesi (Le désir, l’amour et la chimère al Mathurins, La Romanichelle all’Olympia, Pan al Théâtre de l’Oeuvre, Rive d’Egypte al Moulin-Rouge). Nel 1907 Gabrielle-Sidonie Colette ottiene il suo successo più grande con La Chair, pantomima interpretata insieme a Wague e regolarmente rappresentata fino al 1911, in cui l’attrice si esibisce senza la tradizionale calzamaglia dei mimi. «Letterata finita male» come soleva definirsi ai tempi della sua militanza nel music-hall, Gabrielle-Sidonie Colette è ritenuta fra le migliori mime del suo tempo, mentre è stata un’attrice di prosa di modesto talento a causa principalmente della sua dizione impura. Appare in opere di Guitry, Courteline e in ruoli da lei stessa creati: è Claudine nella pièce Claudine à Paris (1908), dove però non eguaglia l’ineguagliabile Polaire, è Fanchette in En camarades , scritto nel 1909, e soprattutto è Léa in occasione della centesima rappresentazione della sua fortunata commedia Chéri.

Nel 1926, dopo avere abbandonato il teatro da tredici anni, Gabrielle-Sidonie Colette accetta di interpretare nuovamente un suo personaggio: Renée Néré nella Vagabonde. L’attività drammaturgica di Gabrielle-Sidonie Colette è piuttosto limitata, ma assume un ruolo importante nell’opera complessiva dell’autrice. Dopo la pantomima La décapitée, scritta nel 1908, e la briosa pochade En camarades (1909), Gabrielle-Sidonie Colette realizza insieme a Léopold Marchand tre adattamenti di suoi celebri romanzi: Chéri (1921), La Vagabonde (1923) e La Seconde (1950), opere in cui ritornano i temi del suo universo narrativo, quali, per esempio, l’analisi della passione amorosa, la riflessione sulla vecchiaia, il dilemma tra ansia di autonomia e desiderio di radicamento. L’enfant et les sortilèges , libretto scritto nel 1915 e musicato da Ravel nel 1924, è l’unica, e felicissima, incursione di Gabrielle-Sidonie Colette nel teatro musicale, testo in cui l’autrice profonde la sua fantasia in un crescendo di trovate sceniche e di invenzioni verbali. Nel 1953 traduce in francese e adatta The Fourposter (Le ciel de lit), pièce di Jan de Hartog. Critica drammatica per circa vent’anni, Gabrielle-Sidonie Colette pubblica con il titolo La jumelle noire le recensioni scritte tra il 1933 e il 1938, dove testimonia con passione la vita teatrale parigina. Grazie al suo piccolo binocolo nero, Gabrielle-Sidonie Colette osserva e descrive, con sguardo affascinato e spietato insieme, i grandi della scena di prosa – da Barrault ai Pitoëff, da Artaud a Jouvet – così come le divine del music-hall (Mistinguett, Cécil Sorel). Gabrielle-Sidonie Colette è fra le prime critiche cinematografiche francesi (nel 1917 siede sulla poltrona che sarà di Delluc nella redazione di “Le film”), e scrive per lo schermo. La flamme cachée , unico soggetto originale di C. per il cinema, viene girato e interpretato nel 1918 da Musidora. Nel 1931 accetta di scrivere i sottotitoli francesi di Madchen en Uniform , film della tedesca Léontine Sagan; nel 1933 è autrice dei dialoghi di Lac-aux-dames di Allégret e nel 1935 scrive per il regista Ophüls Divine , sceneggiatura che si ispira a un suo racconto ambientato nel mondo del music-hall. Nel 1951 collabora al documentario sulla sua vita ( Colette ) firmato da Yannick Bellon.

Capacci

Diplomatasi all’Accademia nazionale di danza, dove oggi insegna, studia danza contemporanea con J. Cébron e C. Carlson e si dedica dal 1976 alla coreografia con la sua compagnia “Danza ricerca”, sviluppando un attento studio sul linguaggio del corpo in lavori come Kalong (1981), Il labirinto del mondo (1992), Perpellimpure (1996). Ha collaborato con il regista Aldo Trionfo e l’attore Franco di Francescantonio ( Lettera al padre ).

Cicognani

Legato al filone della tradizione veristica toscana, Bruno Cicognani compose per il teatro soltanto due lavori, realizzati a più di vent’anni di distanza l’uno dall’altro. Nel 1927 vide la luce Bellinda e il mostro , un testo che racchiude gli elementi caratteristici della fiaba tradizionale, portato in scena dalla compagnia diretta da Luigi Pirandello. L’altra opera teatrale fu Jo, el Rej: scritta nel 1949, narra in chiave psicologica le vicende della tragedia di Filippo II e di Don Carlos.

Cannavale

Vincenzo Cannavale si può definire il ‘principe dei caratteristi’ italiani. Nel corso di una lunga carriera, iniziata nei varietà di Napoli, ha raggiunto un successo e una notorietà considerevoli, tenendo conto del fatto che non ha mai avuto ruoli da protagonista. Ha lavorato prevalentemente al cinema e in televisione, ma si possono ricordare anche partecipazioni a spettacoli teatrali come Fortunato…! di Armando Curcio ed E. De Filippo con la compagnia di Aldo Giuffré (1985), La festa di Montevergine (1989) e Miseria e nobiltà (1994) di Eduardo Scarpetta. Tra i suoi film ricordiamo Casta e pura di S. Samperi (1981), Le vie del Signore sono finite di Massimo Troisi (1987), Nuovo cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore (1988), che gli è valsa la vittoria del Nastro d’argento come miglior attore non protagonista, e La casa del sorriso di Marco Ferreri (1991).

Curcio

Nato a un giorno di distanza da Eduardo De Filippo, con cui ebbe un proficuo sodalizio artistico, Armando Curcio scrisse la sua prima commedia a ventisette anni: Lionello e l’amore fu rappresentata nello stesso anno dalla compagnia De Cristoforis-Leonardi; seguì nel 1929 La diva del cinema . Il grande successo di critica e pubblico arrivò nel 1939 con A che servono questi quattrini? , messo in scena al Quirino di Roma dai tre De Filippo. Questo lavoro rimane il migliore di C., che riesce a costruire lo straordinario personaggio di Eduardo Parascandolo, sedicente professore e marchese, che predica l’elogio della povertà a patto che gli altri vi credano ricchi. Il sodalizio con la famiglia De Filippo (sia divisa sia unita) dura fino alla fine della Seconda guerra mondiale, con titoli quali I casi sono due (1941), La fortuna con l’effe maiuscola (1942, in collaborazione con Eduardo), Casanova farebbe così (1945), C’era una volta un compagno di scuola (1946; le ultime in collaborazione con Peppino). Altri titoli: Ci penso io (1940), Le barche vanno da sole (1941), Lo strano caso di Salvatore Cecere (1952), oltre a due riviste musicali come Tarantella napoletana e Funiculì funiculà . Fondò la casa editrice che porta il suo nome.

Carr

Laureata nel 1987 presso lo University College di Dublino, debutta nel teatro con Ullaloo (1989), presentato al Dublin Theatre Festival in una lettura e messo in scena all’Abbey Theatre’s Peacock nel 1991. Nel frattempo scrive e vede prodotti a Dublino altri tre lavori: Low in the Dark (1989), The Deer’s Surrender (1990) e This Love Thing (1991) che, secondo la critica, contribuiscono ad associarla a Beckett e al teatro dell’assurdo, come anche al filone avanguardistico del teatro contemporaneo irlandese e in particolare a Tom MacIntyre. Senza adottare i toni radicali del femminismo, e rimanendo estremamente protettiva verso il suo individualismo, C. usa il mito per esplorare i temi dell’amore, del sesso, la posizione delle donne e sostiene l’idea di una rivisitazione positiva dei ruoli, optando per il pathos piuttosto che per la polemica. The Mai (1994) e Portia Coughlan (1996) sono i lavori che hanno contribuito ad affermarla. Nel 1997 la commissione di nuovi testi le è giunta da diversi teatri, quali il Druid Theatre, l’Abbey Theatre e il Royal Court Theatre.

Colli

Si diploma in regia nel 1955 all’Accademia d’arte drammatica di Roma con La figlia obbediente di Goldoni. Nel 1956 è chiamato a lavorare allo Stabile di Torino dove esordisce con Pamela nubile di Goldoni. Quindi sempre a Torino allestisce uno dei suoi spettacoli più importanti La giustizia di Dessì (1959) – di cui cura anche la regia televisiva nel 1962, anno in cui comincia la sua collaborazione con la Rai – e La tempesta di Shakespeare (1960). Quindi comincia a lavorare allo Stabile di Napoli, dove mette in scena: Giacomo o della sottomissione di Ionesco (1961); Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello e L’uomo che andrà in America di Buzzati (entrambi del 1962). Negli anni successivi alterna le regie televisive a quelle teatrali ( L’amante militare di Goldoni, 1971, al festival di Venezia).

Caglieri

Autore del teatro popolare e leggero, Emilio Caglieri fu direttore della Compagnia del teatro comico di Firenze. I suoi lavori furono resi celebri dalle interpretazioni di A. Gandusio (Notte d’avventure, 1938; Resa dei conti, 1940; Commedia senza adulterio, 1944), T. Pavlova (Eliche, 1932) e A. Musco (Lo smemorato, 1929). I suoi testi fecero parte del repertorio di compagnie dialettali toscane come la `Niccoli’ e romanesche come la `Durante’, oltre a essere messi in scena spesso da gruppi filodrammatici.

Césaire

Dal dopoguerra C. segue il destino delle ex Antille francesi, terra di cui è divenuto una sorta di figura mitica, poeta e alfiere della causa nera. Dopo gli studi a Parigi negli anni ’30, C. sceglie la poesia e, fatto di sicura importanza politica e culturale, sceglie la lingua francese. Difensore della causa della `négritude’, fondatore del Partito progressista martinicano, C. traduce il suo impegno anche nell’attività di drammaturgo: E i cani tacevano (Et les chiens se taisaient, 1956), La tragedia del re Cristophe (La tragédie du roi Christophe, 1963) e Una stagione in Congo (Une saison au Congo, 1967) costituiscono una sorta di trilogia anticoloniale in cui l’autore denuncia, in un linguaggio barocco e con processi prossimi al surrealismo, non solo i mali della presenza francese in Martinica, ma anche gli stereotipi della cultura nera, dannosi per il processo stesso di emancipazione.

Castellitto

Diplomato all’Accademia nazionale d’arte drammatica ‘S. D’Amico’ nel 1978, Sergio Castellitto ha debuttato in teatro nello stesso anno con Misura per misura di Shakespeare; è stato diretto da A. Calenda (Aspettando Godot, La madre ), M. Perlini (Il mercante di Venezia), A. Trionfo (Il candelaio), O. Krejca (Tre sorelle, La signorina Giulia), W. Pagliaro (Infelicità senza desideri ), F. Però (Piccoli equivoci ), E. Coltorti ( A piedi nudi nel parco ). Dal 1982 ha intrapreso la carriera cinematografica, interpretando più film all’anno con registi come Vanzina, Archibugi, Tornatore. Nella stagione 1997-98 ha diretto la moglie M. Mazzantini (autrice del testo) in Manola.

Cardus

Dopo gli studi a Città del Messico, debutta in alcune formazioni messicane. Nel 1960 giunge in Europa per unirsi alla compagnia di George Cuevas. Ha danzato in seguito a Stoccarda, a Colonia e in Italia, in diversi spettacoli di Carla Fracci.

Crothers

A partire dal 1906 fece rappresentare a Broadway, spesso con la sua regia, una trentina di commedie, applaudite nel loro tempo e oggi dimenticate, ma significative come documenti della condizione femminile in un periodo nel quale la nuova libertà economica e sociale della donna veniva a scontrarsi con i valori tradizionali della morale vittoriana, alla fine inevitabilmente vincenti. Le più importanti sono: Lui e lei (He and She, 1911), Bella gente (Nice People, 1920), La terza Mary (Mary the Third, 1923), Ridiamoci sopra (Let Us Be Gay, 1929) e Susanna e i peccatori (Susan and Gods, 1937).

Clavé

Per molti anni Antoni Clavé si dedica all’illustrazione di libri per l’infanzia. Nel 1946 conosce Boris Kochno che gli chiede di progettare le scene di Caprichos , balletto di Ana Nevada per i Ballets des Champs-Élysées; da allora la sua opera si divide fra l’illustrazione e la scenografia per il balletto (Carmen, 1949; Ballabile, 1950; Déuil en 24 heures di R. Petit). Le scene e i costumi per il balletto del film Il favoloso Andersen di Christian Vidor (1952; coreografia di R. Petit) costituiscono invece la sua unica esperienza cinematografica. Le scene da lui progettate sono caratterizzate da un’estrema semplicità ed economia di mezzi: delle corde, alcune sedie, una porta bastano talora a suggerire un luogo, uno spazio, una situazione.

Cuba

Sarebbe stato più giusto continuare a chiamare questa formazione come in origine, nel 1948: ovvero Ballet Alicia Alonso. Mai come in questo caso, infatti, le sorti della compagnia del Balletto Nazionale di Cuba sono state legate alla sua fondatrice, che ancora oggi, a oltre ottant’anni, regge saldamente le redini della direzione e continua a calcare le scene sia pure per brevissime (e incredibili) apparizioni. Quando Alicia era adolescente, il balletto a Cuba era limitato alle attività della Sociedad Pro-Arte Musical, un’associazione amatoriale. La stessa Alonso fu costretta a emigrare negli Usa per perfezionare i suoi studi, ma al momento di dare una svolta definitiva alla sua carriera, tornò a Cuba assieme al suo primo marito Fernando Alonso per fondare all’Avana la prima compagnia professionale cubana, ribattezzandola nel 1955 come Balletto Nazionale di Cuba. I primi tempi sono durissimi, mancano fondi e danzatori uomini. Alicia non si perde d’animo e nel 1959 Balletto Nazionale di Cuba, come viene definitivamente nominato il gruppo, spicca il volo. Con la collaborazione del marito Fernando Alonso e del cognato Alberto – che cura l’inserimento delle danze popolari cubane e afrocaraibiche nel repertorio della compagnia -, l’avventura va in porto e il balletto diventa parte integrante della cultura cubana, esibito come fiore all’occhiello e celebrato da poeti e pittori. Oltre ai grandi classici come Giselle , rigorosamente supervisionati dalla Alonso, fanno parte del repertorio della compagnia, coreografie esportate anche all’estero con successo come la Carmen Suite, rielaborazione della storia di Carmen che Alberto Alonso crea nel 1967 per Maya Plissetskaja e il Bol’šoj o Tarde en la Siesta (1984) di Alberto Mendez. Pur consolidando la sua fama internazionale con numerose tournée, è solo nel 1978 che il Balletto Nazionale di Cuba arriva negli Usa e l’anno dopo al festival inglese di Edimburgo. Accanto alla personalità titanica di Alicia Alonso sono molti i ballerini che si sono comunque fatti notare per brillantezza tecnica ed estro, uno per tutti, Jorge Esquivel che comunque appartiene a una generazione ormai lontana. Le nuove star sono Manuel José Carreño e Lorna Feijo.

Conte

Nel 1966 Tonino Conte scrive il suo primo testo teatrale, Gargantua opera tratto da Rabelais, e nel 1968 firma la sua prima regia, Ubu re di Alfred Jarry. Per anni si è occupato soprattutto di teatro per ragazzi, lavorando nei più importanti teatri ed enti lirici italiani. Nel 1975 è tra i fondatori del Teatro della Tosse di Genova, di cui ancora oggi è direttore artistico. Ha firmato oltre cento regie e scritto innumerevoli testi teatrali rappresentati. Tra le sue opere pubblicate è da ricordare Facciamo insieme teatro , scritto con Emanuele Luzzati e pubblicato nel 1976. Particolarmente riusciti e originali sono alcuni spettacoli di ispirazione musicale tra cui Recitarcantando (1978), prodotto in collaborazione con l’Opera di Genova, Il trovator… io fremo (1981) su musiche verdiane, Opera buffa (1983) da Rossini, al Maggio musicale fiorentino. A partire dal 1988 inventa con la compagnia del Teatro della Tosse spettacoli estivi di grande successo, tra i quali Molo magico nel porto antico di Genova e Il mistero dei tarocchi , rappresentato anche a Roma nel 1993: eventi `itineranti’ in cui gli attori, collocati nelle loro postazioni, ripetono la loro storia agli spettatori che a piccoli gruppi si accostano ad ascoltarla. Particolarmente interessante la scelta dei luoghi in cui questi spettacoli vengono proposti, tra i quali il Forte Sperone di Genova e Apricale, antico borgo medioevale in provincia di Imperia, così trasformato in un grande palcoscenico naturale. Il suo lavoro di autore e regista si basa su una ricerca non intellettualistica, con un uso a tutto campo di scene, musiche, costumi e luci, e sviluppa con ostinazione, intelligenza e fantasia il rapporto tra attore e spettatore.

Corti

Angelo Corti si avvicinò al teatro da amatore, facendo il macchinista al Teatro Donizetti di Bergamo quando arrivava una compagnia. Abbandonò il suo mestiere di rappresentante e si iscrisse alla scuola di mimo del Piccolo Teatro di Milano (dove dal 1957 diventerà assistente di M. Flach). Qui ebbe come maestro E. Decroux e conobbe Cino Tortorella, ideatore e interprete della serie di trasmissioni per ragazzi Il mago Zurlì (1955-56) in cui C. interpretava il pupazzo di gomma Pippetto. Il primo spettacolo come interprete fu Recital di mimo (1956), con la regia di M. Flach. Nel 1957 entrò al Piccolo Teatro come ‘servo di scena’ che non parla nell’ Arlecchino servitore di due padroni con la regia di Strehler e seguì le numerose tournée all’estero.

Nel 1961 è interprete in Schweyk nella seconda guerra mondiale di Brecht (regia di Strehler) e Storia di Pablo di Sergio Velitti, da C. Pavese (regia di V. Puecher). Nel 1967 debutta come doppio di Soleri nell’ Arlecchino, ruolo che sosterrà in numerose riprese fino al 1979. Nel 1984 ricopre la parte di Truffaldino in Les Esprits di Camus, da un canovaccio della Commedia dell’Arte. Ha insegnato dal 1969 al 1992, in alternanza con M. Flach, educazione del corpo, mimo e commedia dell’arte presso l’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’; dal 1978 al 1985, mimo presso la scuola di Renato Greco; dal 1983 al 1986 presso il Centro sperimentale di cinematografia. È stato uno dei protagonisti del rinnovamento nella pratica della pedagogia teatrale.

Cerusico

Enzo Cerusico inizia a recitare da ragazzo in Gente magnifica di W. Saroyan con alcuni compagni della Libera accademia del teatro di Pietro Sharoff. In seguito frequenta i corsi di Alessandro Fersen e partecipa ad alcuni spettacoli. Aumentano anche gli impegni nel cinema – nel quale debutta a soli undici anni in un film di Alessandro Blasetti – dove sarà interprete di quaranta pellicole tra cui La dolce vita di Fellini e Il mattatore di Dino Risi. Le sue apparizioni più significative sono però soprattutto televisive, a partire dall’esordio del 1961 nello sceneggiato Graziella . Nel 1967, mentre recita nel musical Meo Patacca al Teatro Sistina di Roma, viene contattato da due agenti della rete televisiva americana Nbc che, grazie alla sua figura timida e mansueta, lo scritturano per la serie di telefilm Tony e il professore , che avrà negli Usa un grande successo. In Italia gli episodi saranno trasmessi nel 1972. Partecipa in seguito allo sceneggiato Il circolo Pickwick di Ugo Gregoretti (1968) e, come protagonista, a Una estate un inverno (1971). Torna al teatro con alcune commedie musicali: Sei un brav’uomo Charlie Brown con la regia di John Crowthe (1975), Rididonna di Silvano Ambrogi per la regia di Pasquale Festa Campanile (1979) e, nel 1984, al Parioli di Roma Io e te, amore mio, ci ameremo eternamente di Dino Verde con la regia di Carlo Lizzani. La sua ultima apparizione è nella serie di telefilm L’uomo che parlava ai cavalli per la regia di Raffaele Meloni.

Clerici

Laureatosi in architettura all’università di Roma, negli anni ’40 Fabrizio Clerici iniziò la sua carriera di pittore e disegnatore. Con l’allestimento di La professione della signora Warren di G.B. Shaw iniziò l’attività di scenografo al Teatro Nuovo di Milano (1947). Orpheus di Stravinskij è il suo primo lavoro per il teatro musicale (Venezia 1948, coreografia di A. Milloss). Seguiranno diversi allestimenti per l’opera: Didone e Enea di Purcell all’Opera di Roma (1949, regia di A. Lattuada), Armida di Lulli al Maggio musicale fiorentino (1950, regia di A. Milloss), Combattimento di Tancredi e Clorinda di Monteverdi al festival di Strasburgo (1951, coreografia di B. Gallizia). Alla Scala con L. Squarzina allestisce Sogno di una notte di mezza estate di Britten (1961) e l’ Orontea di Cesti (Piccola Scala, 1961), mentre con V. Puecher monta Turandot di Busoni (1962) e Alì Babà di Cherubini (1963). Disegna scene e costumi per i balletti Le creature di Prometeo di Beethoven (Colonia 1963, coreografia di A. Milloss), Dedalo di Turchi (Maggio musicale 1972, coreografia di A. Milloss), Marsia di Dallapiccola (Palermo 1973, coreografia di U. Dell’Ara). Grande conoscitore della storia dell’arte e delle teorie prospettiche, predilige lo stile e il gusto del Settecento, del barocco e delle arti antiche orientali.

Croccolo

Carlo Croccolo è entrato per caso nel mondo dello spettacolo, collaborando con una radio locale (1947); in seguito ha interpretato in teatro alcune parti secondarie. Si è affermato come attore comico e caratterista inventandosi il personaggio di Pinozzo, un soldato dell’Italia settentrionale un po’ sciocco, nel film I cadetti di Guascogna (1950) con Ugo Tognazzi e Walter Chiari. La sua carriera prosegue nel cinema dove interpreta centodiciotto film, venti dei quali con Totò (Miseria e nobiltà, Signori si nasce); ha anche doppiato il comico napoletano nei suoi ultimi film. Dopo una disavventura giudiziaria che ha interrotto la sua carriera, l’ha ripresa con Il musichiere (1960), celebre programma televisivo condotto da Mario Riva. Degna di nota anche la sua attività teatrale: recita in La grande magia di E. De Filippo con la regia di Strehler e, nel 1995-96, in L’albergo del libero scambio di Feydeau (regia di M. Missiroli); sul versante `leggero’ partecipa a Rinaldo in campo e Aggiungi un posto a tavola . Ritornato al cinema alla fine degli anni ’80, ottiene importanti riconoscimenti per il ruolo del cameriere di Francesco II in ‘O re (1989) di Luigi Magni, a cui fanno seguito altre interpretazioni (Camerieri di L. Pompucci, 1995; Tre uomini e una gamba del trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo, 1997).

charivari

Lo c. è eseguito da artisti che hanno poi ruoli centrali nel corso dello spettacolo. Grande importanza ha quindi la figura del generico (che scompare contemporaneamente allo c.), che incarna l’artista dotato di sapere enciclopedico. Fra i grandi saltatori che animano gli c. dei complessi italiani ricordiamo Ugo Bogino, i Rossetti, Luigi Gerardi e Eugenio Larible.

Chiarelli

Narratore, traduttore, giornalista, organizzatore di compagnie, esordì nel teatro con due atti unici, Una notte d’amore e Er Gendarme , entrambi del 1912. Il suo testo di maggiore successo fu La maschera e il volto (1916): rappresentazione della realtà in forma di parodia, in reazione agli stili del teatro borghese, affronta il problema della maschera che l’uomo indossa davanti alle situazioni della vita. Il lavoro fu messo in scena al Teatro Argentina di Roma (protagonisti del debutto la Chiantoni, Ferrero e Paladini), segnando l’inizio del cosiddetto genere `grottesco’, e venne rappresentato in tutta Europa e nelle Americhe. Altri lavori a sfondo grottesco furono La scala di seta (1917), Morte degli amanti (1921) e Fuochi d’artificio (1922). Considerando conclusa una fase, C. per cinque anni smise di scrivere. Riprese con una serie di composizioni di vario genere, comunque minori. Nel 1929 realizzò una della prime commedie per la radio, L’anello di Teodosio , diviso in trenta `fonoquadri’. Alcune sue commedie ebbero una riduzione per il grande schermo, muto e sonoro. Nel 1925 fu presidente del Sindacato autori drammatici.

Cvetaeva

Marina Ivanovna Cvetaeva si avvicina al teatro subito dopo la rivoluzione d’Ottobre, alla fine del 1917, quando è già poetessa affermata grazie a due raccolte di versi (Album serale , 1910; Lanterna magica, 1912) dove rivela il suo precocissimo talento. Introdotta nello stimolante ambiente del Secondo Studio del Teatro d’Arte di Mosca, diretto da Vachtangov, tra il 1918 e il 1921 (periodo per lei di lutti, disagi e difficoltà economiche) scrive una serie di brevi lavori teatrali (ce ne sono giunti sei, fra cui Avventura e La fenice , dedicati alla figura di Giacomo Casanova nella sua vecchiaia), destinati agli allievi dello Studio: avrebbe voluto riunirli in volume, col titolo di Romantika , ma, dopo l’emigrazione prima a Berlino (1922) e poi a Praga, rinuncia al progetto. Trasferitasi a Parigi (1925), a partire dal 1927, nel periodo di composizione dei suoi più celebri poemi ( Poema della montagna e Poema della fine ), lavora a una trilogia tragica, L’ira di Afrodite , inquietante rilettura contemporanea del mito di Teseo, di cui ci restano le prime due tragedie in versi, Arianna (inizialmente intitolata Teseo ) e Fedra . Il teatro della C., di grande complessità e intensità lirica, è stato quasi completamente dimenticato per circa mezzo secolo; oggi si comincia a scoprirne l’originalità, le suggestive, ardue cadenze poetiche.

Cederna

All’inizio Giuseppe Cederna è attratto dal mimo e dalla clownerie; nel 1977 fonda la compagnia Anfeclown, caratterizzata da un teatro in cui le doti fisiche dell’attore si collegano a una comicità surreale che, in stretto contatto con gli eventi di quegli anni, intende scavare anche nel sociale. Intanto lavora con il Teatro dell’Elfo (Sogno di una notte d’estate, 1981) e incomincia ad apparire in alcuni film (Enrico IV di Bellocchio, 1984; Fracchia contro Dracula, 1985), ma è con Salvatores che arriva al successo popolare (Marrakech Express, 1989; Mediterraneo, 1991). Sempre accattivante e misurato, alterna con grande coerenza il cinema con il teatro, dove lascia un segno tangibile della sua sensibilità con lo spettacolo La febbre (1995); partecipa anche ad allestimenti di tradizione come Il giardino dei ciliegi con G. Lavia (1996) e Il signor Puntila e il suo servo Matti con P. Micol (1998).

Costa

Allievo della Scuola d’arte drammatica di Roma fin dalla fondazione (1933), diplomatosi in regia con T. Pavlova, Orazio Costa era stato poi assistente di Simoni, Salvini, Sharoff, senza perciò rinunciare all’impegno d’attore, shakespeariano principe di Aragona in Molto rumore per nulla, cechoviano Leonid nel Giardino dei ciliegi, Petrucchio nel Don Giovanni di Molière, Tiresia in Edipo re , Morrell in Candida di Shaw. Direttore della compagnia Zacconi-Bagni-Cortese e poi della Borboni-Randone-Carnabuci-Cei, s’impose come regista nel 1941 inscenando Il poeta fanatico di Goldoni alla Biennale di Venezia. Nell’immediato dopoguerra assunse la direzione artistica del Quirino di Roma, per poi fondare il Piccolo Teatro Città di Roma, un anno dopo la nascita del Piccolo di Milano. Fin dall’esordio registico impose una concezione vagamente messianica della sacralità del teatro, sollecitata da un’autentica ansia religiosa. Decisive furono le suggestioni del cattolico D’Amico e del cattolicissimo Copeau, dai quali prese rispettivamente le mosse per gli allestimenti giovanili del Mistero della Natività, Passione e Morte e di Il poverello (San Miniato 1950). Ma i suoi interessi non potevano essere conclusi nel recinto del teatro liturgico, anche se un afflato di spiritualità permea tutte le sue regie, sia che volga l’attenzione a Ibsen o all’ancor più problematico Strindberg, indugi su Cechov o affronti l’Alfieri, sia che venga tentato da Diego Fabbri o dal prediletto Ugo Betti. Non gli riuscì – lasciatosi alle spalle il Piccolo di Roma, a metà degli anni ’50 – di accasarsi stabilmente in uno ‘spazio’ tutto suo, confacente alla peculiarità della sua monacale visione di fare teatro, costretto a operare con le più disparate compagnie private o come ospite di qualche teatro stabile. Particolarmente significativi restano taluni suoi esiti al Teatro romano di Verona, a San Miniato, al milanese Castello Sforzesco, al fiorentino Palazzo Vecchio, quando svariò dallo Shakespeare delle Allegre comari di Windsor , di Romeo e Giulietta , di La dodicesima notte al Goldoni della La famiglia dell’antiquario e di Una delle ultime sere di carnovale , dal Molière del Don Giovanni e dell’ Avaro all’ Edipo re di Sofocle (Vicenza, Teatro Olimpico 1980). Ancora Alfieri, Ibsen, Betti sono ritornati a infittire un carnet registico arricchitosi negli ultimi anni con gli allestimenti di Rosales di M. Luzi (1983), La ragazza di campagna di C. Odets (1984), La vita è sogno di Calderón (1988), La beffa del grasso legnaiuolo di A. Manetti (1988). Con Visconti e Strehler tra i massimi esponenti della regia teatrale in Italia, C. ha contrassegnato con la sua schiva e severa presenza un fervido, appassionato, inquietante itinerario artistico, convalidato anche da mezzo secolo di insegnamento, prima a Roma e poi a Firenze. Alla sua scuola si sono formati attori come Buazzelli, Sbragia, Tedeschi, la Falk, la Miserocchi, la Bonfigli, e registi come Ferrero, Spadaro, Lucignani, a ciascuno avendo trasmesso il suo credo in una `coscienza dello spettacolo’ da penetrare tutti insieme, sacerdoti dello stesso rito.

Cavalli

Dopo gli studi filosofici all’Università Gregoriana di Roma, si dedica all’insegnamento iniziando a esplorare le nuove esperienze dell’animazione teatrale, che diventerà la piattaforma di partenza per il suo percorso nel teatro-ragazzi. Nel 1983 fonda la compagnia Clac Teatro e realizza il primo spettacolo, Coriandoli in scatola , secondo lo stile che caratterizzerà tutti i suoi spettacoli da narratore solista: raccontare una storia intrecciandola con piccole scenografie-giocattolo, piccoli scenari descrittivi, giochi di luci, meccanismi per muovere pupazzi, oggetti che si scompongono e ricompongono a sorpresa. Alcuni titoli: Scale a vela e orologi a soffio (1984), Incanto di un vecchio pianoforte (1986) prodotto dalla Scala nell’ambito della stagione di teatro musicale per ragazzi.

Clark

Michael Clark studia alla Royal Ballet School, dove si distingue per l’elegante stile classico. Entra nel Ballet Rambert, quindi fonda un suo gruppo per il quale crea le coreografie, spesso con accompagnamento di musica rock: movenze e costumi risultano spesso provocatori, al limite dello scandalo. Nonostante ciò, la sua versione di Apollon Musagète fa trasparire ancora il talento classico. Negli anni ’80 e nei primi anni ’90 ha ottenuto successo anche in Francia e in Italia.

Celi

Diplomatosi regista all’Accademia d’arte drammatica nel 1945, Adolfo Celi dirige, durante una lunga permanenza in Brasile, il teatro Brasileiro di San Paolo. Reso famoso dal cinema come ‘cattivo’ nei film di 007, ‘flemmatico cialtrone’ in Amici miei di M. Monicelli, lavora in televisione nello sceneggiato Joe Petrosino e in Sandokan . Sul palcoscenico affianca l’amico V. Gassman in Kean, e con lui firma anche la regia de I misteri di Pietroburgo ; nel 1980 recita in La mandragola di Macchiavelli e nella stagione 1982-83 è diretto da M. Missiroli in Antonio e Cleopatra.

contorsionismo

Agli inizi del Novecento è Walter Marinelli a portare in auge la specialità esibendosi come uomo-serpente, con un costume squamato, in innaturali posture del corpo. Il c. si presta poi a numerose interpretazioni (comica, satanica, orientaleggiante) fino ad arrivare agli anni ’60, quando diventa quasi esclusiva prerogativa del sesso femminile: si afferma lo stile elegante lanciato dalla portoghese Fatima Zohra, che esegue il suo numero in sfarzosi costumi da rivista, ingaggiata per i maggiori spettacoli di quegli anni (dal Lido di Parigi alle grandi produzioni di Las Vegas). Questo stile rimane imperante sino ai primissimi anni ’80, quando avviene la riscoperta delle artiste cinesi e del loro altissimo livello tecnico; suscita scalpore l’esibizione della quindicenne Li Liping, premiata con il Clown d’oro al festival di Montecarlo nel 1983. Le asiatiche sembrano maggiormente predisposte alla disciplina per la loro particolare composizione anatomica, in parte diversa dal tipo occidentale, che permette loro di piegare il corpo sino all’inverosimile; ma, secondo l’opinione di molti, il livello eccelso raggiunto da queste artiste, per lo più giovanissime, è dovuto al severissimo training adottato. Più recente la rivelazione della scuola mongola, altrettanto valida dal punto di vista tecnico di quella cinese, ma più attenta e pronta ad accogliere le moderne tendenze di commistione con la danza e una maggiore ricercatezza nello studio dell’esibizione; tale estetica è ispirata soprattutto dal numero delle quattro contorsioniste di Nouvelle expérience , del Cirque du Soleil.

Casiraghi

Esperta fotografa teatrale, studia diverse discipline della danza: moderna, contemporanea, aikido e yoga. Danzatrice del Teatro e Danza La Fenice di C. Carlson dal 1980 al 1984, collabora anche con L. Ekson ( Rambling one to two , 1981) e J. Uotinen ( Atem , 1985); in seguito, con la sua compagnia, sperimenta una danza essenziale, di forte tensione teatrale in lavori come Neo (1986), Gi non c’è più nessuno (1987), Cactus (1989), Bauhaus (Berlino 1993), Omaggio a Oskar Schlemmer (1996), indirizzando ultimamente il suo interesse verso la videodanza ( Primo piano , 1991; Takonoma , 1994).

Carovana

La Carovana si esibisce a metà degli anni ’80 al Derby club di Milano, per poi passare (1989) allo Zelig, facendosi conoscere anche attraverso il piccolo schermo: ricordiamo la partecipazione all’ultima edizione di Drive in , dove comparivano nelle vesti di `Giuangiui e le sue giuengive & l’Ingegner Scintilla’. La coppia si scioglie nel 1996; entrambi proseguono separatamente l’attività cabarettistica.

Casado

Ha studiato con Nina Leontiev, Zverev e Gsovskij. Dopo aver danzato in grandi compagnie, come quella del Marchese de Cuevas, nel 1957 è entrato al Ballet du XXème siècle, di cui per molti anni è stato una delle principali vedette; in particolare si è distinto in lavori béjartiani ( Sacre du printemps , Mathilde , Nona sinfonia , Damnation de Faust , Les oiseaux ). Dal 1977 ha diretto il Balletto di Karlsruhe. Abile disegnatore, si è dedicato anche alla scenografia con eccellenti risultati.

Charrat

Considerata `enfant prodige’, Janine Charrat ha studiato con L. Egorova e O. Preobrajenska. Nel 1941 ha formato una coppia di successo con R. Petit. Ancora giovanissima, nel 1945 ha firmato la sua prima coreografia, Jeu de cartes (musica di Stravinskij). L’anno successivo, con il Nouveau Ballet de Monte-Carlo, fu ammirevole protagonista di alcuni lavori di Lifar (Passion e Chota Roustaveli). Nel 1948, per i Ballets de Paris di Petit, ha realizzato, su soggetto di P. Claudel, La femme et son ombre e, su libretto di J. Genet, Adam miroir ; l’anno successivo creava all’Opéra di Parigi Abraxas (musica di W. Egk). Nel 1952 ha fondato una sua compagnia, per la quale ha realizzato vari balletti: Le massacre des amazones, Une étrangére à Paris , Héraclès ; e ancora Les Algues , lavoro tra i più riusciti della Charrat, in cui con forza e originalità veniva trattato l’argomento della follia. Nel 1957 ha dato vita a Les Nouveaux Ballets de Janine Charrat, ai quali hanno dato la loro collaborazione famosi ballerini. In seguito a un incidente occorsole in uno studio televisivo la sua attività fu bloccata per circa un anno, così da poter riprendere solo nel 1962, al Grand-Théâtre de Génève, dove presentò Tu aura nom… Tristan . Alla pari di Petit, Charrat, pur non disponendo di un linguaggio veramente nuovo e originale, ha contribuito per lunghi anni a rinnovare con temi e soggetti insoliti il balletto tradizionale.

Calò

Romano Calò ebbe la sua prima scrittura di rilievo nel 1906, al Teatro Argentina di Roma, con la compagnia di Ferruccio Garavaglia (La nave di D’Annunzio). Lavorò quindi in varie compagnie, fra cui quelle di R. Ruggeri, L. Carini, E. Novelli, I. Gramatica, M. Abba. Nel 1923 si associò a W. Capodaglio, E. Olivieri e V. Talli. Partecipò alle prime italiane di importanti opere di Cechov, Pirandello, D’Annunzio. I tentativi con il commediografo Luigi Antonelli e la compagnia Teatro moderno, alla ricerca di una nuova idea di teatro, non diedero esiti positivi. Recitò nel ruolo di poliziotto nel musical Broadway di Donning e Abbott, e trovò il successo come interprete di `gialli’ dapprima con la compagnia Za Bum, poi con sue formazioni (compagnia Spettacoli Gialli con A. Rossi, E. Ferrero, G. De Riso). Dal 1940 fu attivo prevalentemente alla radio, inizialmente in Italia e poi a Lugano. Partecipò ad alcuni film e fu anche autore di diverse commedie.

Cochi e Renato

Aurelio Ponzoni (Milano 1941) e Renato Pozzetto (Milano 1940), cabarettisti, in due per una dozzina d’anni, a partire dal 1965. il duo prenderà il nome di Cochi e Renato. Amici d’infanzia, compagni di scuola (Ponzoni è ragioniere, P. è geometra), vicini di casa d’estate a Gemonio (Varese) sul lago Maggiore, sposati con due ragazze amiche tra loro, genitori di due figli a testa, hanno avuto entrambi una breve carriera in altre professioni: Ponzoni impiegato interprete (francese, inglese, russo) all’aeroporto milanese di Linate, Pozzetto contitolare di un’impresa di impianti di raffreddamento. Debutto, come cabarettisti, nel 1964-65 all’Osteria dell’Oca d’oro in via Lentasio a Milano, poi al Cab 64 e al Derby. Prima paga, 2500 lire a serata, e a testa, ma con almeno dieci spettatori in sala: niente quorum , niente soldi. Fedelissimi al repertorio dell’esordio: filastrocche e canzoncine, monologhi e scenette tutte rigorosamente improntati ai non sense della comicità assurda, alla Rascel e, letteralmente, ispirata a Campanile e Ionesco. Come sigla d’apertura dello show, chitarra in mano, gambe a squadra e canzoncina-tormentone: «La gallina non è un animale intelligente, un tempo era chiamata volpe e non invidia le pecore che ci hanno il maglione»; oppure: «E la vita l’è bela, l’è bela, basta avere l’umbrela». Comicità spiccatamente meneghina, una risposta del Nord alla straripante presenza di artisti di Roma, Napoli, Sicilia.

Dopo anni di lavoro misconosciuto, nel 1968 esordirono in televisione nella trasmissione Quelli della domenica in onda alle 18. Autori: Marcello Marchesi, Italo Terzoli, Enrico Vaime e Maurizio Costanzo. Nel cast, un altro comico esordiente, Paolo Villaggio che presentando i personaggi di Fracchia e del domatore tedesco Kranz ottenne un successo personale strepitoso, tale da oscurare in qualche modo la pur incisiva presenza di C. e R. Il varietà era stato previsto per sei puntate, che divennero otto e infine ventiquattro. «Noi le abbiamo fatte tutte – dichiararono – ma sempre con contratto settimanale, che veniva rinnovato il sabato per il lunedì. Una grande angoscia, ripagata con una grande popolarità». Durò fino al 30 giugno, con quattro milioni e mezzo di spettatori di media. L’anno dopo, diventarono ospiti fissi di È domenica ma senza impegno . La collaborazione con Enzo Jannacci servì poi a definire meglio i loro personaggi: Cochi l’intellettuale astratto e bizzoso, Renato il bifolco concreto e pacioccone. Personaggi esaltati nel 1973 nella trasmissione Il poeta e il contadino (di sabato alle 21 sul secondo canale Rai). Autori, con loro, Guido Clericetti, Ludovico Peregrini, Enzo Jannacci. Battuta tormentone: «Ehi, ma qui siamo sui milletré», detta da Renato contadino della val Brembana. Fu il primo varietà tv tutto settentrionale, e ottenne buone critiche e medi ascolti. Parteciparono alle tre puntate di Riuscirà il cav. Papà Ubu? (1971) e a Canzonissima 1974, con la Carrà, si ritagliarono esilaranti siparietti comici, e interpretarono la sigla finale sceneggiando quella loro canzoncina d’esordio: «E la vita l’è bela, l’è bela». Altra battuta-tormentone, entrata subito nel lessico dei giovani:«Bene, bravo, sette più».

Altre canzoncine di successo (incise anche su disco): “È capitato anche a me”, “Un pezzo di pane”, “La domenica”, “Come porti i capelli bella bionda”. Dopo il cabaret e la televisione, e qualche sporadica recita teatrale, arrivò il cinema. Per entrambi, ma in film diversi. Così, Pozzetto esordì alla grande in Per amare Ofelia , di Flavio Mogherini (1974), con Françoise Fabian (mamma oppressiva), Giovanna Ralli (lucciola generosa), dove Pozzetto brillò nel ruolo su misura di imbranato in questioni di sesso. Seguì, nello stesso anno, La poliziotta di Steno con Mariangela Melato, e da allora una serie di film così intensa da precludere il ritorno al cabaret o alla tv, e a sancire la scissione del duo comico (stesso evento accaduto, anni prima, al duo Tognazzi-Vianello). Ponzoni, nel 1976, interpreta il film Cuore di cane di Alberto Lattuada, con Max von Sydow, favola grottesca ispirata al romanzo di Bulgakov, che narra di un trapianto di organi di un funzionario di partito su un cane randagio senza ottenere i risultati sperati. Ponzoni era il `cane’. Gira nello stesso anno Telefoni bianchi di Dino Risi, con Agostina Belli nei panni di una diva di regime fascista. Mentre la carriera cinematografica di Pozzetto prosegue tra simpatia del pubblico e favore della critica, quella di Ponzoni s’arresta per mancanza di offerte valide. Allora Ponzoni intraprende, dopo un periodo di riflessione, la strada della prosa, rivelando doti d’attore misurato e efficace. È tornato in televisione come `spalla’ di lusso di Paolo Rossi nel varietà Su la testa! (1992); un ritorno che è diventato scoperta per le generazioni più giovani.

Chat noir

Il locale Chat noir ospitava recital di chansonniers (Satie vi si esibiva al piano), monologhi satirici, scambi di battute con il pubblico basati sull’improvvisazione e si caratterizzava per la proiezione di ombre cinesi – ideate da Henry Rivière e Caran d’Ache – su un grande telone bianco sormontato dall’immagine di un gatto alato nell’atto di graffiare la borghesia, rappresentata da accademici in marsina. La domenica sera era offerta la possibilità di esibirsi a chiunque volesse approfittarne. Il grande successo ottenuto dallo Chat noir, che incontrò in particolare il favore degli artisti e di chi accorreva per assistere alle loro anticonformiste esibizioni, costrinse il proprietario a trasferirsi in uno spazio più grande, in rue Victor Massé. Il trasloco diede l’occasione per creare un rumoroso corteo carnevalesco che coprì al lume delle fiaccole il tragitto dalla vecchia alla nuova sede del locale. Questa prima fortunata esperienza stimolò l’apertura di altri cabaret nella capitale francese.

Craig

Interprete di compagnia, lavora agli inizi con la Errepì di Remigio Paone, quindi – negli anni ’50 – con Dario Fo ( Ladri, manichini, donne nude ; Gli arcangeli non giocano a flipper ). In seguito lavora in prevalenza al Piccolo Teatro, dove interpreta, fra l’altro, Patatine di contorno di Wesker, con la regia di R. Maiello (1966-67), La moscheta di Ruzante (1970-71), Il bagno di Majakovskij (1972); tra i migliori spettacoli con Strehler si ricorda la sua partecipazione a La grande magia di E. De Filippo (1985), ripreso nel 1990-1998.

Carluccio

Diplomatosi presso l’Accademia di Brera, dal 1983 Giovanni Carluccio collabora con il teatro della Piccola Commenda di Milano; fra i testi più importanti qui allestiti, la prima rappresentazione italiana di Quartett di H. Müller e, dello stesso autore, Filottete (1985) con la regia di F. Ambrosini. Collabora con musicisti contemporanei, che lo portano alla progettazione di vere e proprie `scritture sceniche’ inedite; ne sono un esempio In limine da J. Tardieu (Milano, Crt 1988) e Frau Frankenstein di G. Battistelli (Berlino 1993). Le ultime stagioni lo hanno visto impegnato al Piccolo Teatro di Milano per la rappresentazione di Il caso Kafka di R. Andò e M. Ovadia (1996) e Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare di L. Sepúlveda, regia di W. Pagliaro (1997).

Cataneo

Ha esordito in teatro nel ruolo di Claudio in Molto rumore per nulla di Shakespeare, al fianco di Tino Carraro, Ernesto Calindri e la Merlini al Teatro del Convegno a Milano (1955). L’anno dopo è con la compagnia Calindri-Volonghi-Corti come attor giovane nel Maggiore Barbara di G.B. Shaw. È il protagonista di Chiffon nero di Leslie Storm (1957), allestito dalla compagnia Buazzelli-Volonghi-Lionello, e coprotagonista nel Mago della pioggia di N. Richard Nash, assieme a Marisa Fabbri e Enzo Tarascio (Stabile di Genova, 1959-60). Nel 1965 approda al Piccolo Teatro di Milano, dove rimane dodici anni; con la regia di Strehler è Suffolk e re Edoardo nel Gioco dei potenti di Shakespeare (1965), Pepel ne L’albergo dei poveri di Gor’kij (1967) e Kent in Re Lear (1970). La sua ultima interpretazione teatrale è Virchin in Le tre sorelle di Cechov (Stabile di Genova, 1985), con la regia di O. Krejca. In tv ha preso parte a numerosi sceneggiati (il conte Attilio nei Promessi sposi , 1967). Ha sposato l’attrice Lina Volonghi.

Clifford

Critico per il “Scotsman”, nasce nel nord dello Staffordshire ma già dal 1968 si trasferisce a vivere in Scozia. Comincia la sua carriera di autore drammatico traducendo due opere di Calderón ( The House With Two Doors e The Doctor of Honour ) e scrivendo radiodrammi: Desert Places (1983), Ending Time (1984). Il suo debutto sulla scena avviene nel 1985 al Traverse Theatre di Edimburgo con Losing Venice : primo testo di una trilogia (seguono Lucy’s Play e Playing with Fire , 1986) commissionatagli dal teatro stesso, che andrà in tournée a Londra, in Australia, a Hong Kong, in Svezia e a Los Angeles. I suoi lavori sono basati sui miti e le leggende antiche, di cui C. sfrutta il simbolismo per proporre una possibile idea del mondo, in contrasto con il teatro dell’assurdo. Il suo stile si comprende attraverso il legame con il teatro spagnolo del XVII secolo, su cui ha svolto una tesi di dottorato. Tra gli altri suoi lavori si ricordano le traduzioni di testi da García Lorca, Tirso de Molina e Fernando de Rojas; nel 1997 ha completato Santiago , un `drama-documentary’ per la rete televisiva inglese Channel 4. Il suo lavoro più recente per il Traverse di Edimburgo è ambientato nel Portogallo medioevale ( Inés de Castro ).

Caleffi

Fabrizio Caleffi si avvicina al teatro come autore, vincendo in giovane età il premio Riccione con le commedie I tagliatori di teste (ex aequo con Balducci, 1973) e Le dimissioni rinviate (1974). I suoi spettacoli si orientano verso un genere di teatro totale; tra questi, Sei personaggi in cerca di Warhol, Il testo di questa commedia non può figurare in cartellone , Fragili Indie, Corpo di nulla, La resurrezione della carne . Alterna questa sua attività a quella di pittore, regista, attore ( I giganti della montagna con la regia di Strehler).

Commedia dell’Arte

Erede del giullare medioevale e del perseguitato istrione itinerante, il comico dell’arte recitava con la maschera `soggetti’ che fissavano soltanto i momenti essenziali dello spettacolo, consentendo ampi spazi all’improvvisazione dell’interprete. Di qui le concomitanti definizioni di `commedia all’improvviso’ o `a soggetto’, addirittura `a braccia’. Elemento fondamentale della Commedia dell’Arte è l’identificazione di ogni singolo attore in uno specifico `tipo’, ciascun personaggio conservando una fissità di fondo ed esprimendosi nel dialetto nativo (o `bravosamente’ assimilato), rispecchiante il plurilinguismo della frammentazione geopolitica dell’Italia rinascimentale. L’apparente paradosso sta nel fatto che la Commedia dell’Arte si affermò sulla scia dei canoni retorici della commedia in senso lato, restaurati dall’archeologia umanistica.

Fu la letteratura drammatica restaurata da Machiavelli, Ariosto, Aretino, Ruzante a non poter alla lunga rinunciare all’apporto dei comici di tradizione municipale con relative pantomime, giochi di destrezza, varianti canore e buffonesche. In definitiva fu la commedia di matrice umanistica a dare ampie possibilità agli attori professionisti inducendoli, per contrasto, alla sempre più accentuata tipizzazione del personaggio, così da rendere di immediata comprensione la metafora scenica anche al pubblico più incolto, facilitato dalla ripetitività del `ruolo’. Tre furono, all’origine, i personaggi-chiave degli innumerevoli canovacci e scenari: il Vecchio, l’Innamorato, il Servo. Ma poi le varianti si moltiplicarono vorticosamente, sicché al veneziano `il Magnifico’, alias Pantalone de’ Bisognosi, si aggiunse il bolognese Dottore (Graziano e poi Balanzone), mentre lo Zanni bergamasco dapprima si sdoppiò in primo e secondo Zanni per poi parcellizzarsi negli innumeri Brighella, Truffaldino, Arlecchino e addirittura napoletanizzarsi in Coviello, Pulcinella e francesizzarsi in Scapino, per tacere degli Innamorati diventati falange. Ai prototipi cinquecenteschi si aggiunsero ulteriori maschere, a cominciare dai vari Capitani più o meno `bravosi’, nel cui ruolo eccelse Tiberio Fiorilli `Scaramuccia’.

Nel contempo si moltiplicavano le raccolte di `soggetti’ per comodità delle grandi compagnie (dei Gelosi, dei Confidenti, degli Accesi, degli Uniti), costrette a fare i conti con i rigori della Controriforma. `Gli Italiani’ – come furono tout court ribattezzati i comici – dilagarono in Francia, Spagna, Austria e in tutta Europa, anche per merito di attori-autori come Francesco, Giovan Battista e Isabella Andreini, Flaminio Scala, Pier Maria Cecchin, Silvio Fiorilli. Tra la fine del secolo scorso e l’inizio del Novecento si manifesta, in ambito letterario, un nuovo interesse per la Commedia dell’Arte Fra i numerosi saggi che vengono pubblicati, quello di L. Rasi (I comici italiani , 1897-1905) influenza G. Craig il quale, a Firenze, dà vita a un progetto teatrale aperto agli aspetti più interessanti della Commedia dell’Arte: la maschera e l’improvvisazione che costituiscono le basi di una forma scenica che si contrappone per sua natura al teatro di parola. Parallelamente, Copeau, nella sfera dell’attività teatrale parigina del suo Vieux-Colombier, si dedica con profondo interesse alla gestualità e alla recitazione (principi fondanti della Commedia dell’Arte), concentrandosi sullo studio delle opere di Molière.

Dopo essere entrato in contatto con il lavoro di Craig, da cui prenderà le distanze, Copeau progetta un lavoro teatrale teso a far rivivere il clima giocoso della Commedia dell’Arte nell’ambito di temi legati alla contemporaneità. Il progetto di Copeau – sostenuto dall’attività della compagnia da lui fondata, tra cui spiccano i nomi di C. Dullin e L. Jouvet – si concentra soprattutto sullo studio delle maschere e sulla loro rivisitazione in chiave moderna. Lasciato il Vieux-Colombier, tra il 1925 e il 1929 Copeau continua il suo progetto in un piccolo villaggio dove, con i suoi attori, forma una nuova compagnia (i Copiaus) con la quale propone a un pubblico non preparato al teatro spettacoli che riprendono le idee formulate già a Parigi. Dal suo insegnamento prende vita lo studio teatrale del mimo, di cui si ricordano soprattutto i lavori di E. Decroux e M. Marceau che tanta parte avranno sullo sviluppo del teatro contemporaneo. Un vivo interesse per la Commedia dell’Arte si manifesta anche in Russia già dal 1914, quando esce il saggio storico di K. Miklasevskij a essa dedicato (letto, tra l’altro, anche da Copeau, nella sua traduzione francese). In Russia l’attenzione è concentrata soprattutto sull’uso delle maschere che costituiscono le basi di un nuovo teatro: si ricordano i lavori di Evreinov, di Mejerchol’d (La sciarpa di Colombina da Schnitzler e Don Giovanni di Molière, 1910) e, successivamente, di Tairov (Il velo di Colombina, 1917) e di Vachtangov (La principessa Turandot). In Italia la Commedia dell’Arte influenza i lavori di S. Tofano (che crea la famosa maschera del signor Bonaventura) e di A.G. Bragaglia. Nel dopoguerra gli artisti che hanno attinto alla Commedia dell’Arte sono, tra gli altri, P. Poli e G. De Bosio, senza contare gli allestimenti dell’ Arlecchino servitore di due padroni di Strehler dal 1947 a oggi.