Commedia dell’Arte

Erede del giullare medioevale e del perseguitato istrione itinerante, il comico dell’arte recitava con la maschera `soggetti’ che fissavano soltanto i momenti essenziali dello spettacolo, consentendo ampi spazi all’improvvisazione dell’interprete. Di qui le concomitanti definizioni di `commedia all’improvviso’ o `a soggetto’, addirittura `a braccia’. Elemento fondamentale della Commedia dell’Arte è l’identificazione di ogni singolo attore in uno specifico `tipo’, ciascun personaggio conservando una fissità di fondo ed esprimendosi nel dialetto nativo (o `bravosamente’ assimilato), rispecchiante il plurilinguismo della frammentazione geopolitica dell’Italia rinascimentale. L’apparente paradosso sta nel fatto che la Commedia dell’Arte si affermò sulla scia dei canoni retorici della commedia in senso lato, restaurati dall’archeologia umanistica.

Fu la letteratura drammatica restaurata da Machiavelli, Ariosto, Aretino, Ruzante a non poter alla lunga rinunciare all’apporto dei comici di tradizione municipale con relative pantomime, giochi di destrezza, varianti canore e buffonesche. In definitiva fu la commedia di matrice umanistica a dare ampie possibilità agli attori professionisti inducendoli, per contrasto, alla sempre più accentuata tipizzazione del personaggio, così da rendere di immediata comprensione la metafora scenica anche al pubblico più incolto, facilitato dalla ripetitività del `ruolo’. Tre furono, all’origine, i personaggi-chiave degli innumerevoli canovacci e scenari: il Vecchio, l’Innamorato, il Servo. Ma poi le varianti si moltiplicarono vorticosamente, sicché al veneziano `il Magnifico’, alias Pantalone de’ Bisognosi, si aggiunse il bolognese Dottore (Graziano e poi Balanzone), mentre lo Zanni bergamasco dapprima si sdoppiò in primo e secondo Zanni per poi parcellizzarsi negli innumeri Brighella, Truffaldino, Arlecchino e addirittura napoletanizzarsi in Coviello, Pulcinella e francesizzarsi in Scapino, per tacere degli Innamorati diventati falange. Ai prototipi cinquecenteschi si aggiunsero ulteriori maschere, a cominciare dai vari Capitani più o meno `bravosi’, nel cui ruolo eccelse Tiberio Fiorilli `Scaramuccia’.

Nel contempo si moltiplicavano le raccolte di `soggetti’ per comodità delle grandi compagnie (dei Gelosi, dei Confidenti, degli Accesi, degli Uniti), costrette a fare i conti con i rigori della Controriforma. `Gli Italiani’ – come furono tout court ribattezzati i comici – dilagarono in Francia, Spagna, Austria e in tutta Europa, anche per merito di attori-autori come Francesco, Giovan Battista e Isabella Andreini, Flaminio Scala, Pier Maria Cecchin, Silvio Fiorilli. Tra la fine del secolo scorso e l’inizio del Novecento si manifesta, in ambito letterario, un nuovo interesse per la Commedia dell’Arte Fra i numerosi saggi che vengono pubblicati, quello di L. Rasi (I comici italiani , 1897-1905) influenza G. Craig il quale, a Firenze, dà vita a un progetto teatrale aperto agli aspetti più interessanti della Commedia dell’Arte: la maschera e l’improvvisazione che costituiscono le basi di una forma scenica che si contrappone per sua natura al teatro di parola. Parallelamente, Copeau, nella sfera dell’attività teatrale parigina del suo Vieux-Colombier, si dedica con profondo interesse alla gestualità e alla recitazione (principi fondanti della Commedia dell’Arte), concentrandosi sullo studio delle opere di Molière.

Dopo essere entrato in contatto con il lavoro di Craig, da cui prenderà le distanze, Copeau progetta un lavoro teatrale teso a far rivivere il clima giocoso della Commedia dell’Arte nell’ambito di temi legati alla contemporaneità. Il progetto di Copeau – sostenuto dall’attività della compagnia da lui fondata, tra cui spiccano i nomi di C. Dullin e L. Jouvet – si concentra soprattutto sullo studio delle maschere e sulla loro rivisitazione in chiave moderna. Lasciato il Vieux-Colombier, tra il 1925 e il 1929 Copeau continua il suo progetto in un piccolo villaggio dove, con i suoi attori, forma una nuova compagnia (i Copiaus) con la quale propone a un pubblico non preparato al teatro spettacoli che riprendono le idee formulate già a Parigi. Dal suo insegnamento prende vita lo studio teatrale del mimo, di cui si ricordano soprattutto i lavori di E. Decroux e M. Marceau che tanta parte avranno sullo sviluppo del teatro contemporaneo. Un vivo interesse per la Commedia dell’Arte si manifesta anche in Russia già dal 1914, quando esce il saggio storico di K. Miklasevskij a essa dedicato (letto, tra l’altro, anche da Copeau, nella sua traduzione francese). In Russia l’attenzione è concentrata soprattutto sull’uso delle maschere che costituiscono le basi di un nuovo teatro: si ricordano i lavori di Evreinov, di Mejerchol’d (La sciarpa di Colombina da Schnitzler e Don Giovanni di Molière, 1910) e, successivamente, di Tairov (Il velo di Colombina, 1917) e di Vachtangov (La principessa Turandot). In Italia la Commedia dell’Arte influenza i lavori di S. Tofano (che crea la famosa maschera del signor Bonaventura) e di A.G. Bragaglia. Nel dopoguerra gli artisti che hanno attinto alla Commedia dell’Arte sono, tra gli altri, P. Poli e G. De Bosio, senza contare gli allestimenti dell’ Arlecchino servitore di due padroni di Strehler dal 1947 a oggi.