Coum Transmission

Non è solo un gruppo di artisti, è un’idea, una filosofia libertaria in cui si esplorano i propri sogni e ossessioni, la potenzialità di scelte alternative e radicali anche dentro i circuiti artistici e i medium tradizionali (teatro, musica), ma con un approccio e un pensiero totalmente diversi (ad esempio, un pubblico composto non solo da studenti universitari o addetti ai lavori, ma anche da operai e persone senza cultura specifica). Il nucleo originario è composto da Genesis P-Orridge (alias Neal Andrew Megson, nato a Manchester nel 1950, profondo conoscitore di Alesteir Crowley e uno degli artisti più prolifici e straordinari dell’underground inglese) e Cosey Fanni Tutti (ex attricetta porno); successivamente si aggiunge il fotografo Peter `Sleazy’ Christopherson. I temi delle performance dei C.T. orbitano attorno alla tortura, la guerra, le tecniche psicologiche di persuasione, gli strani omicidi (soprattutto di bambini e psicopatici), la patologia forense, la venerologia e la vita nei campi di concentramento nazisti: più di centocinquanta azioni (tra il 1969 e il ’76), sia in gallerie sia in spazi alternativi, in cui Genesis beve sangue e orina, si infila aghi non sterilizzati, sta su un letto di chiodi o è incatenato e fustigato da Cosey. Le più note performance: Prostitution, Ica (London, 19-26 October, 1976) e Gary Gilmore Memorial Society (con Monte Cazazza). Genesis, Cosey e Peter, dopo l’esperienza C.T. fondano la band di `industrial music’ Throbbing Gristle.

Cerroni

Patrizia Cerroni studia danza classica all’Accademia nazionale di Roma e danza moderna con J. Cébron, P. Lang e M. Cunningham. Dopo un lungo soggiorno in India, nel 1974 fonda `I danzatori scalzi’, cercando di unire la spiritualità orientale all’astrazione della `modern dance’ in lavori quali Ladies and Gentlemen (1986), C’est ici que l’on prend le bateau (1990), Folli d’amore (1994). Dal 1978 tiene corsi all’università di Delhi.

Charles Lynne

Roberta Charles Lynne ha studiato presso l’Harkness Ballet e il Ballet Theatre; nel 1976 ha ottenuto la medaglia di bronzo al concorso di Varna. Danzatrice dalla tecnica sicura, ha eccelso sia in ruoli classici sia moderni. La sua carriera si è svolta prima negli Usa (anche all’American Ballet), poi soprattutto in Europa. Da segnalare l’attività all’Opera di Amburgo, dove è stata ben valorizzata da J. Neumeier (di rilievo la sua Aurora ne La bella addormentata , 1978).

Censi

Figlia di musicisti e allieva della maestra scaligera Angelina Gini, Giannina Censi ha esordito nel 1929, come componente del gruppo di J. Ruskaja, esibendosi nelle tragedie classiche messe in scena dal grecista Ettore Romagnoli al Licinium di Erba. Nel 1930 si è recata a Parigi dove ha frequentato le classi di Lubov Egorova, incontrandovi Lifar, Danilova, Lichine, e interessandosi anche di danza spagnola e danza indiana, affascinata da Uday Shankar e Nyota Inyoka, che le ispireranno una esotica Danza Cambogiana . Tornata in Italia, si è avvicinata al movimento futurista, debuttando al Castello Sforzesco in Oppio e Grottesco Meccanico in una serata di letture poetiche di Bragaglia e Escodamè.

Ma la sua notorietà come danzatrice d’avanguardia si è consolidata nel 1931, durante la movimentata tournée di Simultanina di Marinetti, nel ruolo della ballerina Piff, e in una storica serata alla Galleria Pesaro di Milano, dove si è esibita, con un succinto costume metallico, in Aerodanze e Tereodanze, ovvero danze senza musica, in contrappunto alla voce recitante di Marinetti e illustrando con il solo movimento alcuni dipinti di Prampolini. Senza abbandonare le esibizioni con i Futuristi che dureranno saltuariamente fino al 1934, quando danzerà due poemi di Depero, ha curato le danze in stile ellenico per un Alcesti al Littoriale di Bologna nel 1932, mentre l’anno dopo è stata scritturata al San Carlo di Napoli nel ruolo di Pierrot per il Carrillon Magico di Pick Mangiagalli e poi nei Grandi Balletti di Adami a Padova.

A causa di un incidente al ginocchio, si è in seguito dedicata al teatro leggero di qualità a fianco, tra gli altri, di Wanda Osiris e Riccardo Billi. Dopo la Seconda guerra mondiale, e fino al momento della scomparsa, ha insegnato danza e balletto in numerose scuole, a Milano, a Genova, al Casino di San Remo e, infine, a Voghera, interessandosi anche di ginnastica per la terza età e trasmettendo alle allieve la Danza Cambogiana e soprattutto la moderna Danza dell’aviatrice, il suo più famoso assolo plastico-mimico in cui l’interprete, attraverso una sequenza di movimenti veloci e spezzati, in piedi e a terra, è al tempo stesso l’areo e l’aviatore.

Cazzaniga

Formatasi con M. Besobrasova e alla scuola del Balletto di Amburgo, nel 1988 Laura Cazzaniga entra nell’omonima compagnia, divenendo solista nel 1992. Di luminosa bellezza e lirica personalità, si segnala in creazioni di J. Neumeier (Requiem, 1992; Odyssee, 1996; Vivaldi or What You Will, 1997) e L. Lubovitch (Sinfonia concertante, 1993). Nel 1996 crea il ruolo della fata d’argento nella Bella addormentata di Mats Ek.

Cohan

I genitori Jerry e Helen Cohan, d’origine irlandese, sono artisti del vaudeville: George Michael Cohan nasce e vive sul palcoscenico, dove ben presto si esibisce insieme alla sorella Josephine. A nove anni recita in un `act’ tutto per sé e suona il violino in orchestra, quando occorre. Successivamente i suoi genitori formano con i due figli i Four Cohan, portando di teatro in teatro numeri fatti di sketch, parodie, scenette comiche e musicali. A sedici anni George comincia a scrivere canzoni e testi per le recite del quartetto familiare e per altre compagnie, e a ventitre scrive, compone, dirige e produce la sua prima commedia musicale, The Governor’s Son (1901) in cui recitano tutti i Cohan, ai quali si è aggiunta sua moglie. È la prima tappa di una serie di fatiche che riguardano tutti i campi del teatro e della musica: C. continuerà fino ai suoi ultimi anni a recitare, scrivere testi (anche per il teatro di prosa), comporre canzoni, ballare e cantare, nonché a produrre spettacoli. Di un’attività instancabile, non solo licenzia spettacoli memorabili, ma per il suo patriottismo diventa benemerito nella nazione: fra l’altro un suo inno ( Over There ) diventa popolarissimo tra i soldati americani impegnati nella prima guerra mondiale e George riceve per questo la medaglia d’oro del Congresso. Una sua canzone celebra George Washington, altre inneggiano ai padri della patria; e in maturità interpreterà lui stesso sulla scena, in una commedia, il presidente Roosevelt, ottenendo le congratulazioni di quest’ultimo.

I suoi spettacoli – piuttosto stravaganti e fantasiosi, basati spesso sulla scoperta del ‘modus vivendi’ americano da parte di stranieri, soprattutto rappresentanti del Vecchio Mondo – stanno fra la commedia musicale vera e propria e la rivista. Tra gli esiti principali sono: Running for Office (1903, ancora con tutti i Cohan, ripresa con nuove musiche e col nuovo titolo di Honeymooners nel 1907); Little Johnny Johns (1904), denominata `play with music’ e imperniata su un fantino – interpretato da George – ingiustamente accusato di aver vinto con frode il Gran Derby inglese: è la prima affermazione in grande stile nel campo del teatro musicale, vivificato da un’ondata di freschezza. Tra le canzoni spicca “The Yankee Doodle Boy”, tratto dal traditional “Yankee Doodle”, che ottiene un’enorme diffusione; Forty-Five Minutes from Broadway (1906), storia di piccoli provinciali ambientata a New Rochelle, boicottata dalle autorità di questa cittadina perché, a loro dire, ne mette in cattiva luce gli abitanti con eccessiva carica satirica (ma le canzoni “Mary’s a grand old name” e “So Long, Mary” hanno molto successo); George Washington Jr. (1906), ancora con tutti i Cohan, sulla giovinezza del grande presidente la canzone “You’re A Grand Old Flag”; Fifty Miles from Boston (1908), sempre sulla provincia americana; The Yankee Prince (1908), con tutti i Cohan, sui rapporti fra inglesi e americani; The American Idea (1908), che lancia una `American Ragtime’; e The Little Millionaire (1911), ultima apparizione in scena dei quattro Cohan. Dal 1914 al 1927 Cohan reciterà come protagonista delle sue commedie musicali. Fra queste Hello Broadway (1914), celebrazione del teatro musicale americano che comprende un amichevole omaggio al `collega’ Irving Berlin (numero “Those Irving Berlin Melodies”); The Voice of McConnell (1918), definito `musical drama’, basato su materiale folcloristico irlandese e interpretato da un tenore irlandese di fama, Chauncey Olcott; The Royal Vagabond (1919), commedia musicale d’avventure in costume (in collaborazione con Anselm Goetzl); Little Nellie Kelly (1922: canzoni “Little Nellie Kelly I Love You” e “You Remind Me of My Mother”); The Merry Malones (1927), ancora sul folclore irlandese; tra l’altro include la famosa ballata “Molly Malone. The Merry Malones” è l’ultimo lavoro musicale portato in scena dallo stesso Cohan; mentre Billie (1928), adattamento di una sua commedia, è il suo ultimo musical. In seguito Cohan recita nel teatro di prosa, cui si dedica anche come autore. Una trentina di film (del muto e del sonoro) sono tratti da suoi copioni.

A proposito di cinema, Cohan recita in alcuni film, e dalle sue commedie musicali sono tratti Little Johnny Jones (due volte: nel 1923 e nel 1929), George Washington Jr. (1923) e Little Nellie Kelly (1940). Lui vivo, il regista Michael Curtiz dedica alla sua persona il film Yankee Doodle Dandy ( Ribalta di gloria , 1942, con James Cagney, Oscar per questa interpretazione). C. appare (ancora interpretato da Cagney) anche in The Seven Little Foys (1955, regia di M. Shavelson); e su di lui nel 1968 M. Stewart e J. Pascal scrivono una commedia musicale, rappresentata a Broadway, intitolata George M. George M. Cohan è un fenomeno del teatro americano. Un biografo lo ha riassunto nella formula: «Duecento canzoni, quaranta musical interamente suoi, altri quaranta in collaborazione con altri, diecimila apparizioni sulla scena». Questo ‘figlio d’arte’ ha sempre avuto il senso dello spettacolo, sempre sorretto da una vitalità vulcanica, di puro stile yankee. Mescolando melodramma e comicità (spesso il non sense), è il primo a proporre negli Usa una commedia musicale di tipo genuinamente americano, riscattata dall’eredità operettistica europea.

Crotti

Nel 1956 Miriam Crotti è all’Accademia dei Filodrammatici dove studia con Esperia Sperani. Al Teatro dei Filodrammatici svolgerà la maggior parte del suo lavoro di attrice interpretando testi di autori moderni e contemporanei italiani da Pirandello, (Ginevra in Non si sa come) a Giuditta di C. Terron, a Ugo Betti, (Una bella domenica di settembre). Ha una breve parentesi lavorativa nel 1977-78, allo Stabile di Genova in Equus e L’anitra selvatica di Ibsen con Luca Ronconi. Nel 1981 lavora con Giancarlo Sbragia in La bella addormentata di Rosso di San Secondo nella doppio ruolo di Guanceblù e della Vecchia e al Filodrammatici e Il senatore Fox di L. Lunari. Recita ne Le piccoli volpi, a fianco di Gigi Pistilli e Anna Proclemer con la regia di Sbragia. Lavora con L. Squarzina ne Il berretto a sonagli con Stoppa, e La rigenerazione di Svevo. Con Volonghi e Caprioli (anche regia) interpreta Bussando alla porta accanto, riduzione di Manfridi (1986). Diretta da G. Mauri nel Don Giovanni è Donna Elvira, Carlotta e la governante di casa e ne L’ idiota (1988). Con G. Lavia è la Balia in Il padre di Strindberg. Interpreta con gusto anche pièce di genere brillante: è con Valeria Valeri ne Il clan delle vedove di G. Beauvais Garcin.

Cauteruccio

Protagonista del rinnovamento del teatro contemporaneo, Giancarlo Cauteruccio è riconosciuto in ambito nazionale ed estero per la sua ventennale attività artistica nei diversi campi della comunicazione. I suoi studi in architettura hanno fortemente segnato un approccio al teatro come spazio da strutturare con la luce e con il suono. Fondatore a Firenze del gruppo Il Marchingegno (1977) e poi insieme a Pina Izzi del Gruppo Multimediale Krypton (1982), l’artista calabro ha pionieristicamente creato spettacoli teatrali affidati talvolta completamente a elementi visuali (monitor, laser, neon) in spazi virtuali. Con Krypton ha realizzato anche ambientazioni e installazioni in spazi urbani, opere di teatro musicale, collaborando con Franco Battiato, Salvatore Sciarrino, Giusto Pio e Litfiba, e produzioni video (Corpo, premio Utaré; Centro Videoarte Ferrara, 1982). Ha inoltre svolto attività didattica in Italia e negli Usa. Come direttore artistico del Teatro Studio di Scandicci (dal 1992) ha curato la regia di L’ultimo nastro di Krapp (1991) di Samuel Beckett, prima tappa della trilogia dedicata all’autore irlandese seguita successivamente da Giorni felici (1995) e da Finale di partita (1998) tradotto in dialetto calabrese. Questo ultimo spettacolo (che lo ha visto anche interprete nel ruolo di Hamm accanto al fratello Flavio) ha riscosso unanimi consensi di pubblico e di critica, sia per la geniale regia che ha sfruttato appieno tutta la sua esperienza multimediale, ma anche per la felice coniugazione tra tessuto verbale e una fortissima carica gestuale.

Cricot 2

Il nome del gruppo Cricot 2, che è il rovescio delle parole polacche to cyrk (ecco il circo), a testimonianza di una vena espressiva antiaccademica e provocatoria, si richiama a un primo Cricot, formazione avanguardistica animata negli anni ’30 dalla pittrice astratta Maria Jarema. Accanto ad alcuni attori professionisti, come il grande Stanislaw Richlycki e la veterana Maria Krasieka, il Cricot 2 ha annoverato soprattutto figure passate al teatro da altre discipline, pittori come Andrzej Welminsky e Roman Siwulak, studiosi e letterati come Krzystof Miklaoewski, mentre gli irresistibili gemelli Janicki erano tagliatori di pietre preziose: ciò era dovuto in parte al fatto che i tempi e i metodi della creazione kantoriana richiedevano una disponibilità assoluta e totale, quale difficilmente attori convenzionali avrebbero potuto offrire, e in parte all’esigenza del regista di lavorare con interlocutori in grado di capire e condividere procedimenti e fini mutuati prevalentemente dalle arti visive. Il Cricot 2, al quale dal 1980 (l’anno della realizzazione a Firenze di Wielopole Wielopole ) si era aggregato stabilmente un nucleo di attori italiani, si è praticamente sciolto nel 1990 con la morte di Kantor, e alcuni dei suoi membri hanno seguito percorsi espressivi personali.

Cohen

Allieva di S. Egri e della Scuola di ballo della Scala, si diploma nel 1972 perfezionandosi in seguito al Bol’šoj di Mosca e con Y. Chauviré a Parigi. Tipica esponente della scuola italiana, dotata di tecnica solida e brillante, danza come solista al London Festival Ballet (1973), per proseguire poi la sua carriera come prima ballerina in numerosi teatri italiani (Comunale di Bologna, Regio di Torino). Come coreografa ha riadattato molti classici ottocenteschi ( Lo schiaccianoci , originale versione creata per la compagnia del Teatro Nuovo di Torino, 1987).

Carrière

Collaboratore di J.-L. Barrault e di P. Brook, Jean-Claude Carrière ha partecipato alle sceneggiature cinematografiche e teatrali di quest’ultimo, per il quale ha preparato anche la riduzione di Timone d’Atene (1974), Misura per misura (1978), La conferenza degli uccelli (1979), La tragedia di Carmen (Milano, Teatro Studio 1981), il Mahabharata (1985), Woza Albert (Milano, Teatro Franco Parenti 1989), La tempesta (Milano, Castello Sforzesco 1991). Determinante è stato il suo contributo come sceneggiatore in alcuni film di successo: Bella di giorno di L. Buñuel (1966), La piscina di J. Deray (1969), Danton di A. Wajda (1982), Cyrano de Bergerac di J.-P. Rappeneau. In Italia, nella stagione 1993-94, Renzo Montagnani e Micol Pambieri ottengono un personale successo con il suo testo Aide Memoire , per la regia di G. Solari.

Caciuleanu

Gheorge Caciuleanu ha studiato all’Opera della sua città natale e, dopo una prima scrittura al Folkwang Ballet di Essen, si è trasferito in Francia. Qui ha lavorato presso il Ballet de Nancy, dove è stato anche direttore artistico (1974-78); successivamente è diventato direttore del Théâtre Chorégraphique di Rennes. Agli inizi degli anni ’70 risalgono le sue prime coreografie (Voices, Shadow of Candles). Artista dallo stile molto personale, ancorché legato a una base classica, la sua produzione appare quanto mai eclettica, anche se in essa spiccano i lavori a carattere spiritoso. Tra i titoli, Paradigme, Interfèrences, Mess Around, Mademoiselle Pagany, Pinocchio le rebelle, Un train pour en cacher un autre. Ha firmato anche un curioso Trovatore , che mette `sulle punte’ la famosa opera verdiana.

Castellacci

Con Luciano Cirri e Piero Palumbo fondano Il Bagaglino, locale che è stato culla del cabaret romano: nato nel 1965, nel 1972 si trasferisce dallo scantinato di via Panico al salone Margherita. Dal 1965 i due scrivono i testi per gli spettacoli della compagnia legata al locale, dove si sono avvicendati – oltre ai `fissi’ Oreste Lionello e Pippo Franco – anche Enrico Montesano, Gianfranco D’Angelo, Gabriella Ferri, Pino Caruso, Leo Gullotta, Bombolo, Maria Grazia Buccella. La comicità del Bagaglino approda nel 1973 sul piccolo schermo, riscuotendo un notevole successo, a tutt’oggi invariato; C. e P. firmano tutti i programmi televisivi della compagnia, varietà satirici di grande popolarità, dai primi Dove sta Zazà (1973) e Mazzabubù (1975) fino all’ultimo Gran Caffè (1998), firmato con Carla Vistarini.

Cecchi

Diplomatosi all’Accademia nazionale d’arte drammatica ‘S. D’Amico’, Carlo Cecchi ha lavorato come attore nella compagnia di Eduardo De Filippo. Il teatro napoletano e il metodo del Living Theatre, determinanti per la sua formazione, rimangono sempre vivi nel suo modo di dirigere gli attori. Nel 1971 ha fondato il Granteatro (in ironica polemica con il ben più grande e prestigioso Piccolo Teatro), una cooperativa impegnata in circuiti alternativi, con cui ha messo in scena e interpretato Le statue movibili (Campagnano di Roma 1971) e ‘A morte dint ‘o lietto ‘e don Felice (Chieti 1974) di A. Petito; Il bagno (Roma 1971) e La cimice (Scandiano 1975) di Majakovskij; Tamburi nella notte di Brecht (Torino 1972); Woyzeck di Büchner (Torino, quartiere Lingotto 1973); Il borghese gentiluomo di Molière (Firenze 1976); L’uomo, la bestia e la virtù di Pirandello (Guastalla 1976; ripreso nel 1980 e ’81), dove ha privilegiato, anziché il meccanismo intellettuale, la struttura teatrale, risolta in chiave di balletto mascherato. Grazie a questi lavori, che realizzano una difficile sintesi tra le forme della tradizione popolare italiana e le proposte dell’avanguardia europea,  Carlo Cecchi si è imposto come una delle più forti e originali personalità del nuovo teatro italiano, reincarnando in modo moderno la figura del capocomico: non però primattore e mattatore, ma guida e coscienza degli attori con cui lavora.

Dal 1977, prima con il Teatro regionale toscano, poi con il Teatro Niccolini di Firenze, ha realizzato e interpretato ogni anno nuovi allestimenti. Di Molière, nelle traduzioni di Cesare Garboli, Don Giovanni (1978); Anfitrione (1980), secondo la formula dello spettacolo d’epoca; Il misantropo (1986) che, senza bisogno di alcuna spettacolarizzazione, ma attraverso la valorizzazione del testo e il recupero della sua forza drammatica, è uno spettacolo-manifesto dell’idea animatrice delle scelte registiche – nonché politico-civili – di  Carlo Cecchi: la denuncia e lo smascheramento dell’ipocrisia attraverso la figura di Alceste; Georges Dandin (1989), con Patrizia Zappa Mulas e Elia Schilton. E ancora: La mandragola di Macchiavelli (Firenze, forte Belvedere 1979), Ivanov di Cechov (festival di Spoleto 1982), Lu curaggiu de nu pumpiere napulitano di Scarpetta (1985). Ha diretto e interpretato anche Shakespeare: La tempesta (1984) con Paolo Rossi e Alessandro Haber, un allestimento antillusionistico che mette in evidenza la costruzione del testo e i numerosi rimandi e corrispondenze, quali l’ossessione del colpo di stato e il tentato regicidio come leitmotiv del dramma; Amleto (1989), dove è notevole la valorizzazione della scena con l’apparizione dello spettro, alla fine del terzo atto: momento chiave della tragedia, che spezza in un certo senso l’autonomia di Amleto abbandonandolo, strumento passivo, alla forza degli eventi.

Di Pinter, Il compleanno (1980) con Paolo Graziosi e Toni Bertorelli, Il ritorno a casa (1981), L’amante (1986) e La serra (1997): dell’autore inglese  Carlo Cecchi traduce in scena l’acre ironia, la mescolanza di comico e tragico, le azioni minime e quotidiane, i silenzi, tesi a comunicare la violenza feroce che si cela sotto le apparenze di una quiete infingarda. Di Thomas Bernhard, Claus Peymann compra un paio di pantaloni e viene a mangiare con me (1990) con Gianfelice Imparato; Ritter, Dene, Voss (1992) con Marina Confalone e Anna Bonaiuto; Drammoletti (1992): nei tre drammi C. riesce a restituire la partitura quasi musicale dei testi, giocando tutto sul ritmo e sulle cadenze sonore, facendo propria la disperazione e la forza d’invettiva dell’autore austriaco, senza perderne mai la carica sarcastica. Tra il 1993 e il ’95 ha messo in scena e interpretato La locandiera di Goldoni (1993), Leonce e Lena di Büchner (1993), Nunzio di S. Scimone (Taormina 1994), Finale di partita di Beckett (1995) con Valerio Binasco, in cui prevalgono i toni comico-grotteschi su quelli tragici. Dal 1996 ha lavorato su Shakespeare, di cui ha proposto Amleto (1996; versione di C. Garboli, già utilizzata sette anni prima), Sogno di una notte di mezza estate (1997; versione di Patrizia Cavalli) e Misura per misura (1998; versione Garboli), in un teatro fatiscente e scoperchiato nel centro di Palermo (il Garibaldi), che è parte integrante degli allestimenti, e con un gruppo di attori in maggioranza napoletani, tra cui Iaia Forte, Roberto Di Francesco, Valerio Binasco, Arturo Cirillo, Viola Graziosi. Gli spettacoli iniziano nel pomeriggio alla luce naturale per concludersi al sopraggiungere della notte, illuminati da fiaccole: una messinscena così particolare ne renderà quasi impossibile la rappresentazione in altri luoghi canonici.

Un repertorio così vasto e diverso testimonia di uno spirito inquieto e curioso, che rifugge da ogni chiusura. Da Shakespeare alla farsa dialettale, da Molière al romanticismo pre-espressionista di Büchner, da Cechov a Pirandello, dalle tragedie-parodie di Majakovskij al primo Brecht, fino ai massimi autori contemporanei Beckett e Pinter, l’intero patrimonio teatrale è oggetto della vorace sperimentazione di  Carlo Cecchi. Anche nella scelta degli attori, al gruppo collaudato  Carlo Cecchi preferisce il rischio di un continuo avvicendamento, con il lancio di numerosi attori debuttanti. Tra i collaboratori principali per le scene e i costumi vanno ricordati Sergio Tramonti (1973-76, e ancora 1982-87) e Titina Maselli (dal 1989). Attore-regista di ampia e raffinata cultura, ma immune da vizi intellettualistici,  Carlo Cecchi s’è sempre proposto non già di stupire e scandalizzare, dell’originalità a ogni costo, ma di comunicare, di stabilire un rapporto conoscitivo più che emotivo tra testo, attori e pubblico. Un rapporto non fissato una volta per sempre, ma che si sviluppa nel corso delle rappresentazioni:  Carlo Cecchi rifiuta la concezione rigida e un po’ sacrale che molti registi hanno del loro lavoro, ma ubbidisce alla legge fondamentale del teatro, come organismo e valore vivo e quindi labile, mutevole, provvisorio. La sua acuta intelligenza e consapevolezza producono uno stile di recitazione distaccato, defilato, tormentato, talvolta ironico, straniato (memore di Eduardo e di Brecht), che non sa nascondere la nostalgia di un teatro che già fu coscienza critica della società.

Clurman

Già allievo di Copeau, lettore di copioni e direttore di scena con la Theatre Guild, fu nel 1931 uno dei fondatori del Group Theatre; ne divenne il principale regista a partire dal 1935 (allestendo, fra l’altro, cinque testi di Odets, l’autore più importante rivelato da questo organismo) e ne raccontò la storia in un volume dal titolo Gli anni fervidi (The Fervent Years, 1945). Dopo la fine del Group mise in scena diversi altri testi, fra i quali, in prima assoluta, Invito di nozze di C. McCullers, Fermata d’autobus di W. Inge e Incidente a Vichy di A. Miller, oltre a opere di O’Neill, Giraudoux, Anouilh e altri. Fu, dal 1953 alla morte, il critico drammatico del settimanale “The Nation” e pubblicò, oltre a raccolte di recensioni, un saggio sulla regia ( On Directing , 1968), un volume su Ibsen e un libro di memorie dal titolo All People Are Famous (1974).

Chelli

Figlia del musicista Carlo Rustichelli, Alida Chelli scelse lo pseudonimo Chelli quando interpretò, con schietta intensità, una bella canzone del padre, “Sinnò me moro”, colonna sonora del film Un maledetto imbroglio di Pietro Germi (1959). D’una bellezza vistosa e aggressiva, in teatro (e nella vita: ebbero anche un figlio) fu compagna di Walter Chiari. Fu nella ripresa, per due stagioni (1962-63 e 1963-64), di Buonanotte Bettina, commedia musicale di Garinei e Giovannini che nella prima edizione, con Delia Scala, aveva avuto un buon successo. Prima commedia musicale a struttura chiusa, narrava le vicende della mogliettina di un impiegato timido, la quale scrive un romanzo erotico, illustrando le performance di Joe Mandrillo. Gran clamore tra parenti, amici e conoscenti, perché tutti identificano il Mandrillo letterario nel timido impiegato, ispiratore delle fantasie sexy della moglie. In questa ripresa, lo spettacolo ebbe maggior successo anche grazie agli inevitabili rimandi tra personaggi e interpreti.

Nella stagione 1964-65 la Chelli fu primadonna in uno spettacolo di scarsa circolazione ma di buon spessore artistico: La manfrina, testo di Ghigo De Chiara (dai sonetti del Belli), con Riccardo Billi e Fiorenzo Fiorentini e, debuttanti, Luisa De Santis e Gabriella Ferri. Ragguardevole il cast dei realizzatori: Franco Enriquez regista, Emanuele Luzzati scenografo, Ennio Morricone musicista. Altra sostituzione di prestigio: nella stagione 1978-79 Garinei e Giovannini ripresero un loro storico successo, Rugantino , e alla C. toccò il ruolo di protagonista femminile, che in precedenti edizioni era stato, nell’ordine, di Lea Massari e Ornella Vanoni. Nelle successive stagioni rivista e commedia musicale (ad eccezione delle produzioni di Garinei e Giovannini) lasciano il palcoscenico al cabaret e allo strip-tease. Chelli partecipa a trasmissioni televisive (Ci pensiamo lunedì, regia di Romolo Siena, 1983-84).

Chalmer

Formatosi a Toronto con Erik Bruhn e Sergiu Stefanschi, Paul Chalmer danza ruoli da protagonista nel National Ballet of Canada, nello Stuttgart Ballett, nei Ballets de Monte-Carlo e, dal 1987, nell’English National Ballet. Il suo repertorio include grandi balletti (Giselle, Il lago dei cigni, La bella addormentata, La Sylphide), ma anche titoli di Balanchine, Kylián, Tetley. Dal 1988 è partner di Carla Fracci; con lei interpreta creazioni come Senso di Wayne Eagling, Il vespro siciliano di Derek Deane, Isadora, Phaedra. È molto apprezzato come elegante danseur noble.

Conte

È stata l’ultima attrice napoletana veramente e irriducibilmente popolare. Lo dimostra il pubblico sterminato che stagione dopo stagione affollava il `suo’ Sannazaro, il glorioso teatro che, ridottosi all’infimo ruolo di cinema a luci rosse, lei e il marito, Nino Veglia, avevano riaperto nel 1971. La C. era nipote di Pasquale Malleo, in arte Fiorante, il marito della Nunzia Fumo figlia dell’Eugenio contitolare della celeberrima compagnia di sceneggiate Cafiero-Fumo. Con lui aveva debuttato, ad appena cinque anni d’età, nel non meno celebre allestimento di Torna al tuo paesello . E furono i primi passi su una strada che, in brevissimo tempo, doveva condurla a recitare, da protagonista, prima con Eduardo De Filippo e poi con Nino Taranto. Con Eduardo, a partire dal ’53, la C. interpretò Miseria e nobiltà di Scarpetta, Palummella zompa e vola di Petito e, dello stesso Eduardo, Non ti pago , Le voci di dentro , Mia famiglia , Questi fantasmi! , Napoli milionaria! , Uomo e galantuomo , Bene mio e core mio . E – senza contare le escursioni nel repertorio, poniamo, di Marotta, Brancati e addirittura Pirandello – con Taranto riattraversò, in pratica, tutto il teatro di Viviani: da Morte di Carnevale a Guappo di cartone e Lo sposalizio . Sino alla morte prematura, che la colse a 68 anni nel gennaio del ’94, si distinse infine nelle commedie che letteralmente le cuciva addosso il suo `poeta di compagnia’, Gaetano Di Maio.

Colantuoni

Giornalista, direttore di compagnie di prosa e di rivista, scrisse in italiano e in dialetto veneto e milanese. È noto per I fratelli Castiglioni (1930), farsa rusticana portata sulle scene con successo da Petrolini, e per La guarnigione incatenata (1935), testo che racconta la prigionia di guerra di un gruppo di ufficiali italiani. Della sua vasta produzione come librettista d’opera va ricordato Il macigno , scritto nel 1917 per Victor De Sabata.

Cechov

Di famiglia modesta, Anton Pavlovic Cechov si laurea in medicina e contemporaneamente (ancora da studente) inizia a scrivere brevi racconti umoristici sotto vari pseudonimi. «La medicina, che è una cosa seria, e la letteratura, che è un gioco, vanno esercitate sotto cognomi diversi», sostiene; e, nonostante il successo in letteratura, continua la professione di medico fino ai suoi ultimi giorni. Al teatro si dedica fin dall’inizio della sua carriera: insieme ai primi racconti, nell’inverno 1880, abbozza un lungo dramma in quattro atti, che non finisce e lascia nel cassetto. È Platonov (titolo postumo, dal nome del protagonista), ritrovato nell’archivio dello scrittore solo nel 1920 e pubblicato nel 1923: storia di un dongiovanni cinico, scroccone e disperato sullo sfondo di una noiosa, apatica vita provinciale. Dopo il fallimento del primo lavoro, passa alle forme brevi: tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 scrive una serie di atti unici e di vaudeville in poche scene che hanno un inatteso successo, sia nella capitale sia in provincia (Sulla strada maestra, 1884; I danni del tabacco, 1886; Il canto del cigno, 1887; Una domanda di matrimonio, 1888; L’orso, 1888; Le nozze, 1889; Tragico controvoglia, 1889; Tatjana Repina, 1889; L’onomastico, 1891). Alcuni di questi testi suscitarono negli anni ’20 del nostro secolo l’interesse di registi d’avanguardia come Vachtangov e Mejerchol’d, che ne diedero versioni piene di fantasia, sottolineandone i lati grotteschi e il ritmo travolgente.

Contemporaneamente ritenta la via dei lavori in più atti: su sollecitazione di F.A. Kors, direttore del teatro omonimo, scrive Ivanov (1887). «Ho scritto il lavoro senza accorgermene… Ho concentrato la mia energia su alcuni momenti veramente forti, memorabili, però i personaggi che uniscono le varie scene sono spesso insignificanti, fiacchi, banali. Comunque sono contento». Nessuna serietà da parte della compagnia, approssimazione e faciloneria, quattro prove invece delle dieci previste, attori superficiali, ottusi, fuori ruolo, pronti a inventarsi battute pur di strappare risate: due repliche e il lavoro è tolto dal repertorio. Due anni dopo riprende in mano il testo, convinto della necessità che il teatro debba passare «dalle mani dei bottegai a quelle dei letterati, altrimenti è condannato»: nella nuova versione Ivanov viene accettato dal Teatro Aleksandrinskij di Pietroburgo e ha un successo strepitoso. Incoraggiato, scrive subito una nuova commedia, Lo spirito della foresta (1889), che ha per protagonista una curiosa figura di medico amante della natura e deciso a salvare le foreste dall’insensata opera di distruzione. Nuovo fiasco: assoluta indifferenza di pubblico e critica. Dimentica il teatro per intraprendere l’avventuroso viaggio all’isola di Sachalin, luogo di deportazione tristemente famoso (la circostanziata, cruda relazione sulle condizioni di vita dei forzati e delle loro famiglie suscita scandalo); prosegue poi la prolifera attività di narratore.

Nel 1895 scrive un nuovo lavoro, Il gabbiano : «Ho cominciato il dramma forte e l’ho terminato pianissimo. Ne sono più scontento che soddisfatto; dopo averlo riletto, mi rendo sempre più conto che non sono un drammaturgo». Un dramma quasi senza trama che si conclude con il suicidio del protagonista, giovane scrittore depresso e incompreso. Il lavoro viene accettato dal Teatro Aleksandrinskij per la stagione successiva: nonostante la presenza della grande Vera Komissarzevskaja nella parte di Nina, e di altri celebri attori, nessun successo. Lo scrittore è desolato: «Vivessi ancora settecento anni, non scriverò mai più per il teatro». Due anni dopo l’amico Vladimir Nemirovic-Dancenko, che da pochi mesi ha fondato a Mosca con il giovane regista e attore Konstantin Stanislavskij un nuovo teatro, il Teatro d’Arte, vuol ritentare la messa in scena del Gabbiano e gli chiede l’autorizzazione: gli assicura impegno e serietà degli interpreti, tutti giovani e entusiasti, un numero di prove dieci volte superiore agli altri teatri, massima attenzione ai dettagli dell’allestimento. C. prima rifiuta categoricamente, poi si lascia convincere: ed è un trionfo. Un trionfo dell’autore, ma anche un trionfo del nuovo metodo di messinscena, attento, orchestrato in tutti i movimenti e in tutti i registri. Ogni battuta acquista il giusto peso, ogni scena la tensione e l’intensità pensata dall’autore e mai realizzata. D’ora in poi, Cechov affida tutti i successivi lavori teatrali al Teatro d’Arte, che ne fa messinscene accuratissime, lungamente preparate, con slancio e partecipazione commossa di tutta la compagnia, attori e scenografi, registi (sempre Nemirovic e Stanislavskij insieme) e costumisti, elettricisti e trovarobe. Messinscene esemplari, ancor oggi punto di riferimento ineliminabile.

L’anno successivo è la volta di Zio Vanja, rielaborazione de Lo spirito della foresta (1899): tra le interpreti, Ol’ga Knipper, che si lega sentimentalmente allo scrittore. Si sposano poco dopo la prima rappresentazione del lavoro successivo, scritto in parte sull’onda di questo amore: Tre sorelle (1900). «Ho faticato parecchio a scrivere Tre sorelle. Tre sono infatti le protagoniste e ciascuna deve avere un suo carattere»: dall’estero, dove va per curare la tisi che da anni lo tormenta e che peggiora sempre più, manda preziosi consigli sull’interpretazione delle scene più complesse e delicate. Il grande successo spinge i direttori del Teatro d’Arte a chiedere un nuovo lavoro per la stagione successiva; ma per C. scrivere è ormai uno sforzo enorme, concentrarsi diventa faticosissimo. Il giardino dei ciliegi ha una gestazione lunga: è pronto solo alla fine del 1903 e va in scena il 17 gennaio 1904, alla presenza dell’autore che esce alla ribalta, distrutto dalla tensione e dalla malattia, ad accogliere onori e applausi. C. parte subito per la Germania, nel disperato tentativo di una cura che gli dia sollievo; morirà il 2 luglio. Il suo teatro, nell’arco del nostro secolo, non ha smesso di stimolare lettori, critici, spettatori e registi: si è sempre dimostrato, nonostante l’ineliminabile legame con il tempo, la società e i luoghi in cui fu scritto, di una attualità e una pertinenza sconcertanti. I grandi interpreti del nostro tempo, da Strehler a Visconti, da Ronconi a Peter Stein, da Dodin a Nekrosius si sono misurati con i suoi testi, traendone spettacoli di straordinaria suggestione, rispondendo di volta in volta a nuovi interrogativi, aprendo nuove dimensioni. La ragione va forse cercata in queste parole dello stesso Cechov: «Il pubblico vuole che ci siano l’eroe, l’eroina, grandi effetti scenici. Ma nella vita ben raramente ci si spara, ci si impicca, si fanno dichiarazioni d’amore. E ben raramente si dicono cose intelligenti. Per lo più si mangia, si beve, si bighellona, si dicono sciocchezze. Ecco che cosa bisogna far vedere in scena. Bisogna scrivere lavori in cui i personaggi entrano, escono, pranzano, parlano del tempo, giocano a wint … Non perché questo sia necessario all’autore, ma perché così avviene nella vita reale».

Lo sfondo di tutti i grandi drammi cechoviani è la provincia russa, dove, tra inaspettati guizzi di follia, di eccentricità, la vita impigrisce e gli uomini instupidiscono, ma dove, pur senza far nulla per reagire, non si smette di chiedersi il perché; e tuttavia qualcuno, sia pur raramente, lotta contro l’appiattimento, l’azzeramento delle velleità, delle volontà di riuscire. Cechov riesce con straordinaria perspicacia a rappresentare l’agonia di un mondo, travolto dall’insipienza e dalla noia, prima che eventi politici ne decretino di lì a pochi anni la cancellazione definitiva. Forse la grandezza e la contemporaneità del teatro cechoviano sta proprio nella acuta, lucida lettura della crisi di una società, i cui sintomi non hanno fatto che accentuarsi nei nostri inquieti anni.

Chiari

Walter Chiari fu il talento più rivoluzionario del teatro di rivista italiano. Veronese di nascita, ma milanese di adozione (storici il suo flirt con la commessa del ‘Galli’ Lucia Bosè e la sua amicizia con la famiglia Rota, impresari ed esercenti di cinema e teatri), fu battezzato in palcoscenico durante una serata di dilettanti e amici, così per allegria, agli inizi dei ’40 all’Olimpia di Milano. Da allora le grandi soubrette dell’epoca se lo contesero: fu vittoriosa Marisa Maresca che lo scritturò subito e gli offrì poi il nome in ditta, le sue prime luci al neon tra le nebbie del dopoguerra, prima in E il cielo si coprì di stelle accanto a Gandusio, nel 1945, indi in Fantasia di vedettes e nel sontuoso Se vi bacia Lola nel 1946, di Bracchi e Dansi. Il giovane Walter, campione lombardo dei pesi piuma, faceva il ragazzone che si lasciava sedurre dalla soubrette, e con lei ripeté l’exploit in Simpatia di Marchesi (1947, lo stesso anno in cui apparve anche in Rosso di sera ). Seguì una trilogia di gran successi di rivista (Marchesi, Amendola e Maccari per i testi, Gisa Geert la coreografa), segno che la coppia era, anche fisicamente, indovinata. Si tratta di Allegro (1948-49), Burlesco (1949-50, con un filo conduttore che conduce all’inferno con i sette peccati capitali) e Gildo (1950-51, parodia del mitico titolo hollywoodiano con Rita Hayworth), dove Walter imita i film americani (celebre la scena bellica del sommergibile), accanto al giovane Franco Parenti; ma in quest’ultimo show, successo personale per la promessa comica `made in Milano’, la Maresca è stata sostituita da Miriam Glori.

Accanto alla sua storica ‘spalla’ Carlo Campanini, cui fu legato da un saldo rapporto di amicizia, Walter iniziò negli anni ’50 la scalata al teatro di rivista, rivoluzionando gli schemi e anche i contenuti, con una generosità e un entusiasmo che lo resero beniamino controcorrente. Un comico in grado di chiacchierare per ore dalla passerella col pubblico: e non provvisto di una classica maschera, ma capace di suscitare ilarità senza smorfie e vestito in borghese; capace di una dialettica intelligenza, poi sempre più colta, dalla belva di Chicago al bullo di Gallarate, il burino di campagna e lo scimmione, senza soluzione di continuità, mentre la sua vita privata si arricchiva di colpi di scena e di amori celebri e tormentati come quello con Ava Gadner. Rimangono celebri alcuni suoi sketch, resi popolari poi anche dalla tv, come l’imitazione classica dei fratelli De Rege, con Campanini, o quella scenetta, prodigio del surreale dialettico, che era il ‘Sarchiapone’, ambientata in treno come lo sketch di Totò e prodiga di osservazioni non banali sulla psicopatologia della vita quotidiana. Walter rimane ancorato ai vecchi schemi della rivista ancora con tre titoli, con cui però cerca già strade nuove e inizia la sua trasformazione in entertainer: Sogno di un Walter di Silva e Terzoli, nella stagione 1951-52, con Campanini e Dorian Gray sullo sfondo del Naviglio e il comico che continua con le parodie degli stereotipi del cinema; Tutto fa Broadway di Marchesi e Metz (1952-53) con Lucy D’Albert, lusso e comicità, riferimenti agli Usa e i De Rege già in scena con spasso; Oh quante belle figlie madama Dorè di Walter e Terzoli, nella stagione 1955-56, sempre col fido Campanini, Bice Valori e Colette Marchand. Ma sono da citare due spettacoli che risentono dell’influsso del cabaret intelligente dei Gobbi e di Parenti, Fo e Durano: nella stagione 1953-54 C. recita Controcorrente , ovvero una conversazione satirica e quasi monologante sul quotidiano, senza ballerine né scenografie, ma con un cast da talent scout : Modugno e le sue prime canzoni in dialetto siciliano, la Valori, la Bonfigli, Galeazzo Benti. L’anno seguente è la volta di un’altra rivista da camera, I saltimbanchi di Silva e Terzoli, in cui si afferma che siamo un po’ tutti saltimbanchi e Chiari si trova a suo agio tra le prime canzoni di Laura Betti e la regia di Zeffirelli.

Quando inizia la stagione del musical, l’attore è pronto per il salto, anche se resta fortemente attaccato al suo stile per sempre giovanilistico: con Delia Scala, i suoceri Lola Braccini e Odoardo Spadaro, è nel 1956 il marito italiano di una mogliettina scrittrice audace di best seller (vedi Françoise Sagan) in Buonanotte Bettina di Garinei, Giovannini e Kramer (canzoni: “È tutta colpa della primavera”, “Com’è bello dormir soli”). Riprenderà lo spettacolo best seller con la compagna Alida Chelli, Navarrini e la Wandissima nei `camei’ dei suoceri, nella stagione 1963-64. Ma nel frattempo aveva anche recitato la parte del timidone che offre le sue idee a un pubblicitario in Io e la margherita (1958-59) e poi, sempre con Garinei e Giovannini, la favola musical-capitalistica di Un mandarino per Teo (1960-61), accanto alla Mondaini, Bonucci, Ave Ninchi. È la storia di una comparsa che riceve per magia la ricca eredità di un cinese, accompagnata da un complesso di colpa per omicidio: un tran tran piccolo borghese stravolto da un proverbio. Nella stagione 1966-67 un ultimo grande best seller, prodotto da Garinei e Giovannini: La strana coppia di Neil Simon con Rascel, con cui rifarà poi ditta per recitare niente meno che Finale di partita di Beckett. Negli ultimi anni, prima di imboccare la via della prosa anche con teatri stabili, Walter frequentò gli show di arte varia, fu perfino presentatore di spettacoli di dubbio gusto dopo un periodo sfortunato. Con il cinema ebbe un rapporto di odio e amore, gli capitò qualche buona occasione in finale di carriera con Del Monte e Mazzucco, ma gli sfuggì il premio ambito della Mostra di Venezia. C. interpretò però dalla fine degli anni ’40 a metà degli anni ’50 innumerevoli film comici o romantici di successo, in coppia con le belle attrici di allora o con altri comici in vena di parodia, come gli piaceva da sempre (I magnifici tre con Tognazzi e Vianello). Ma non ebbe mai la grande occasione nella commedia all’italiana, per cui alla fine si ricordano di lui un grande film di L. Visconti come Bellissima, con la Magnani, dove fa il cinematografaro senza scrupoli, La capannina, Falstaff di Welles, il Giovedì di Risi, La rimpatriata di Damiani, oltre a trasmissioni, tra cui Canzonissim, di successo popolare tv.

Citti

Scoperto da Pasolini, che in Accattone (1961) gli fa interpretare il personaggio di un ragazzo di vita e che lo dirigerà successivamente in Mamma Roma (1962), Edipo re (1967), Porcile (1969), Decameron (1971), I racconti di Canterbury (1972), Il fiore delle mille e una notte (1974). Sotto la regia del fratello Sergio, Franco Citti lavora nei film Ostia (1971), Storie scellerate (1973), Casotto (1977), Il minestrone (1981), I magi randagi (1997). Diretto anche da B. Bertolucci in La luna (1979), F.F. Coppola nel Padrino (1972) e Padrino parte terza (1990), F. Maselli (Il segreto), E. Petri (Todo modo), C. tratteggia con grande bravura personaggi istintivi, di desolata amarezza. In teatro lavora tra gli altri con M. Martone (voce recitante in Oedipus Rex di Stravinskij, 1988), C. Quartucci ( I giganti della montagna , 1989), M. Missiroli ( La locandiera , 1991) e G. Barberio Corsetti ( La nascita della tragedia , 1996). Con Cartoni animati (1998), presentato e premiato a Taormina Arte ’98, firma la sua prima regia cinematografica con la supervisione del fratello Sergio. Favola ambientata nell’estrema periferia romana attraversata da un campionario di varia e diseredata umanità, il film ritrova ambienti e personaggi cari all’universo poetico dei fratelli Citti.

Chiari

Conclusi gli studi, nel 1936 avvia la carriera al Teatro sperimentale dei Gufi di Firenze, ma è nel 1946 che conferma il suo talento con Delitto e castigo di Dostoevskij che segna l’inizio della felice collaborazione con Luchino Visconti. Per lui si occupa di un fortunato allestimento di Zoo di vetro (1947) che offre, in una scena fissa, un interno e un esterno circondati dalle ombre della città; dell’ Euridice (1948) e di Oreste di Alfieri (1949) dai costumi settecenteschi e dal palcoscenico fastoso e barocco, parato di drappi rossi e delimitato da portali di pietra; infine di Medea di Euripide (1953) dagli abiti modesti, ambientata in un piccolo paese greco. Celebri anche gli allestimenti scaligeri per I sette peccati di Veretti (stagione 1955-56) e La pietra del paragone di Rossini (regia di M. Missiroli, stagione 1958-59) che definiscono uno stile dalla grande padronanza architettonica della scena, con stacchi prospettici e uno spiccato interesse per la materia. Lavora anche per altri registi (Squarzina, Strehler e Gassman), giungendo a soluzioni di estrema sintesi, come nell’ Adriano VII di P. Luke (regia di G. Albertazzi, 1971). Il suo linguaggio espressivo non fatica a trovare spazi soddisfacenti pure in campo cinematografico, come ne L’arte di arrangiarsi (1959) e nel precedente Le notti bianche (L. Visconti, 1957), che viene premiato con il riconoscimento del nastro d’argento. Negli ultimi anni, lo scenografo si è in effetti dedicato con maggior assiduità al cinema (spesso affiancato dalla costumista Maria De Matteis), cimentandosi anche nella regia.

Ciampi

Inizia la propria carriera esibendosi in locali di provincia con un complessino di cui fa parte anche Gianfranco Reverberi, che diventerà autore di canzoni, suo produttore discografico oltre che estimatore. Presto, però, C. lascia l’Italia alla volta di Parigi, la capitale degli chansonnier, dove si fa ben presto conoscere come `Piero Litaliano’. Va, quindi, in Spagna, Inghilterra e Irlanda prima di tornare nuovamente in Italia, dove, in un momento di forte espansione del mercato discografico sembra esserci posto per le sue poesie cantate. Con l’aiuto di Reverberi e Franco Crepax, pubblica, così, prima il 45 giri Lungo treno del Sud e poi, nel 1970, Tu no Barbara non c’è . In entrambi i casi l’esito è deludente, ma sarà l’album Piero Ciampi a valergli le prime segnalazioni. L’album esce in veste speciale, con testi, poesie e ventuno tempere dell’amico-pittore Aldo Turchiaro e assieme a Io e te abbiamo perso la bussola, album successivo del 1973, anch’esso arricchito di un volume di poesie, suscita molta curiosità e interesse di critica. Tuttavia C. sembra, a questo punto, più interessato a continuare le sue frequentazioni con pittori, attori e poeti che ad inseguire il successo nel mondo della canzone. Così, né la pubblicazione di altri album di discreto successo, tra cui, Andare camminare lavorare (1975), né l’aumentato interesse riservatogli dall’ambiente dello spettacolo, sono in grado di fermare la corsa alla distruzione attraverso l’alcool di questo `artista impossibile’ dal talento geniale e disordinato. Le sue esibizioni erano, più che concerti, delle vere e proprie performance d’artista , che pur non riuscendo ad adeguarsi alle regole del mercato, si afferma comunque attraverso la sua poesia del quotidiano, il suo `canto dolente’.

Comello

Toni Comello è noto soprattutto per aver fondato `Il Trebbo’ (1956), un gruppo di ricerca teatrale attivo nella sperimentazione del linguaggio, con risvolti socio-politici; tra i titoli di maggior rilievo Serva Italia, Era la Resistenza, Con atto e con parole, tutti dedicati a un ben preciso discorso sociale. Comello può considerarsi l’emblematico rappresentante di un teatro fondato sulla memoria storica, ma al tempo stesso decisamente puntato sull’attualità.

Carlini

Esordì giovanissimo nel cinema ( Addio giovinezza! , 1940) e nel 1941 al Teatro delle Arti di Roma, accanto a O. Villi e A. Proclemer. Si affermò all’inizio degli anni ’50, recitando con la Borboni ( Lo scambio di Claudel) e con la Torrieri ( Un tram che si chiama desiderio di T. Williams, 1954-55). Nel 1960 recitò in Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, rappresentato al Teatro romano di Verona con la regia di Franco Enriquez. Lavorò anche per la televisione e raggiunse grande popolarità, soprattutto presso il pubblico femminile, come interprete dello sceneggiato televisivo Romanzo di un giovane povero , diretto da S. Blasi (1957).

Cole

Allievo di Ruth Saint-Denis e Ted Shawn, è entrato nella Shawn’s Men Dance Company nel 1933 e poi nella compagnia Humphrey-Weidman. Dopo queste esperienze con i pionieri della danza moderna, ha intrapreso una brillante carriera di coreografo a Broadway e Hollywood, creando Kismet (1953), Jamaica (1957), Foxy (1964), Man of La Mancha (1965), Mata Hari (1967). Ha lavorato anche per l’Harkness Ballet ( Requiem for Jimmy Dean , 1968) e per il regista G. Cukor ( Les Girls , 1957; Facciamo l’amore , 1960, con Gene Kelly). Ha molto contribuito a fare del musical un’autentica espressione della cultura contemporanea americana.

Catania

Dopo il diploma alla scuola del Piccolo Teatro Antonio Catania inizia a recitare al Teatro dell’Elfo con G. Salvatores, C. Bisio, P. Rossi (fino al 1987), interpretando per lo più ruoli di carattere, soprattutto comici e grotteschi; fra i tanti, Pinocchio Bazaar. È diretto da Salvatores in Sogno di una notte d’estate (1981), Comedians di T. Griffiths (1985), Café Procope (1989); recita anche in Nemico di classe di N. Williams, diretto da E. De Capitani (1983). Fra le altre sue interpretazioni, Il processo (da Kafka) con F. Parenti e La commedia da due lire con P. Rossi. Affianca all’intensa attività teatrale quella cinematografica; conosciuto soprattutto come attore di Salvatores (Kamikazen, Mediterraneo, Puerto Escondido, Sud, Nirvana), ha lavorato con altri registi italiani dell’ultima generazione (Il carniere di M. Zaccaro, Barca a vela contromano di S. Reali).

Cullberg

Pittrice, laureata in Letteratura all’Università di Stoccolma, Birgit Cullberg dal 1935 al 1939 studia danza moderna con Kurt Jooss e Sigurd Leeder perfezionandosi a New York con Martha Graham e debutta con un primo gruppo nel 1939. Nel 1947 forma insieme a Ivo Cramer lo Svenska Dansteater e inizia la sua attività di coreografa, subito contrassegnata dal suo capolavoro Signorina Giulia (1950), entrato successivamente nel repertorio di molte compagnie internazionali (in Italia è eseguito dal Balletto della Scala) e da Medea (con Maurice Bejart nella parte di Giasone, 1950). Dal 1952 al 1957 è coreografa principale del Balletto Reale Svedese per il quale crea, tra gli altri, Moon Reindeer (1957); in seguito, affianca all’attività di coreografa ospite (Lady from the Sea , 1960 da Ibsen e Eden , 1961 per American Ballet Theatre) quella, all’epoca pionieristica, di coreografa televisiva, condotta con audace sperimentazione dei mezzi tecnici e notevoli risultati creativi in La Strega Cattiva (Premio Italia 1961), I am not You, Pulcinella e Pimpinella, Red wine in green glasses (Premio Italia 1971), Peer Gynt. Nel 1967 fonda il Cullberg Ballet, prima compagnia di ‘giro’ svedese, per il quale firma altri significativi balletti, come Euridice è morta (musica Ennio Moricone, 1968), l’essenziale versione di Romeo e Giulietta (musica di Prokofiev, 1969), Revolt (1973), La scuola delle mogli (1974), War Dances (1979); lasciata la carica di direttrice della compagnia al figlio Matsek nel 1980, continua a seguire i molti allestimenti internazionali delle sue opere. Personaggio di punta del balletto moderno europeo e ‘madre’ della danza contemporanea svedese, che ha marcatamente segnato con la sua poetica e il suo stile, ha saputo tradurre i suoi interessi per la letteratura e il teatro moderno (ravvivati anche dalla vicinanza del marito, l’attore Andersek) nel genere del `’dancedrama ‘ che con lei ha assunto una struttura agile e essenziale e si è concentrato sull’osservazione delle problematiche sociali e interpersonali contemporanee, sviluppate attraverso un vocabolario di danza fortemente espressivo, dato dalla efficace e sintetica fusione tra i vari stili coreutici e dalla reinvenzione della gestualità quotidiana, utilizzata come coinciso mezzo `narrativo’.

Chiarini

Una delle più antiche dinastie dello spettacolo popolare, la cui attività nelle più disparate discipline (cavallerizzi, funamboli, mimi, marionettisti) è testimoniata da numerosi documenti. Appaiono già nel 1580 alla fiera di Saint-Laurent; Von Holtei descrive un ramo della famiglia nel suo romanzo Die Vagabonden ; dal 1710 appaiono al Théâtre des Funambules. Alla fine del Settecento si distingue la cavallerizza Angelica, mentre nella seconda metà del secolo scorso diviene celebre Giuseppe (1823-1897) per le sue avventurose tournée in tutto il mondo: oltre all’Europa, visita Americhe, Australia, Nuova Zelanda, India, Indonesia e Sudafrica, segnalandosi come importante punto di riferimento per i direttori dei circhi italiani del ‘900.

Carli

Russo; Forlì 1907), attrice. Debuttò nel 1932 nella compagnia di Renzo Ricci, passando nel 1934 alla Galli-Gandusio. Fu primadonna nel 1938 con R. Ruggeri, poi in ditta con M. Benassi, G. Donadio, A. Gandusio, G. Rocca, E. Calindri, G. Stival. Tra il 1940 e il 1950 ebbe una sua compagnia (la ricordiamo in Caldo e freddo di F. Crommelynck). Nel 1950-51 diresse a Roma il Teatro dei Satiri ( Svegliati e canta di C. Odets, Buio dentro di E. D’Errico). Nel 1953 fu primattrice al Teatro delle due città di Firenze; in seguito fece parte degli Stabili di Genova e Torino. Nel 1968 è apparsa a fianco di Diana Torrieri in La maleamata di J. Benavente e nel 1973 in La rigenerazione di I. Svevo. Le sue principali interpretazioni appartengono al genere drammatico (ricordiamo Assunta Spina di S. Di Giacomo, Yerma di García Lorca, Rosmersholm e Spettri di Ibsen, Non si sa come di Pirandello), ma ebbe notevoli successi anche nel genere brillante.

Covatta

Giovanni, detto Giobbe Covatta ha debuttato come cabarettista in coppia con Victor Hugo Satta, il nome del duo era il Bagagliaio, esibendosi nei villagi turistici e arrivando al Derby nelle ultime stagioni. È allo Zelig che da solo, indossando un saio, coglie uno strepitoso successo grazie alla sua particolare interpretazione della Bibbia (il suo libro Parola di Giobbe ha venduto un milione di copie), l’attore alterna le sue apparizioni tra tv e teatro. Dopo Parabole iperboli (Teatro Ciak, Milano 1991) e il seguente Aria condizionata (1992), in collaborazione con Greenpeace riprende il precedente Aria condizionata con l’aggiunta del nuovo monologo-argomento del sottotitolo: e le balene da mo’ che stanno incazzate… . La sua attività teatrale prosegue poi con Primate assoluto (1995) e con Io e Lui (Teatro Parioli, Roma 1996) in coppia con Francesco Paolantoni e la regia dell’autore Vincenzo Salemme. Nella stagione 1996-97 è in tournée con lo spettacolo Art diretto da Ricky Tognazzi. Dal 1994 è membro dell’Amref (Fondazione africana per la medicina e la ricerca).

Colleano

A dodici anni è acrobata equestre nell’attrazione della numerosa famiglia, che nel 1925 è al Ringling Bros. and Barnum & Bailey, dove in seguito Con occuperà a lungo la pista centrale. Primo funambolo a non utilizzare nessun attrezzo di bilanciamento, nel 1919 è il primo a eseguire il salto mortale in avanti, ben più difficile di quello all’indietro (le gambe dell’artista impediscono la visuale del filo dove atterrare); anche il suo stile veloce e aggraziato entusiasma il pubblico. Le sue apparizioni europee suscitano la curiosità degli intellettuali: Cocteau lo definisce uno dei tre artisti `moderni’, insieme a Barbette e Rastelli. Si ritira a sessant’anni per problemi alla vista.

Calonghi

Dopo il diploma all’Accademia dei Filodrammatici lavora al Piccolo Teatro, diretto da Strehler (Il gioco dei potenti da Shakespeare), Paride Calonghi collabora anche con lo Stabile di Torino in Se questo è un uomo di Primo Levi (1966, regia di G. De Bosio). In questo spettacolo incontra Riccardo Pradella, con cui nel 1970 riapre il teatro dei Filodrammatici, che era rimasto chiuso dopo la distruzione del 1943. Insieme con Lorenzo Grechi e Miriam Crotti fonda la Compagnia stabile del teatro Filodrammatici, dove diventa il primo attore al fianco della Crotti, prima attrice, e di Grechi e Pradella, registi e caratteristi. Per dieci anni recita in un repertorio italiano (una precisa scelta della compagnia); tra i molti allestimenti spicca Giuditta di C. Terron, dove ha il ruolo del generale, Ma non è una cosa seria di Pirandello nella parte di Mimmo Speranza, Il benessere di Brusati dove è Giacomino, Corruzione a Palazzo di Giustizia di U. Betti (il giudice Grosz), Così è (se vi pare) con la regia di Puggelli, Nina di Roussin. Ha recitato molto in tv ed è stato per lungo tempo doppiatore, e fondatore della cooperativa doppiatori di Milano. È morto in un incidente motociclistico.

Cortese

Valentina Cortese debutta a 17 anni nel cinema in Orizzonte dipinto accanto a Ermete Zacconi, poi è nel Bravo di Venezia accanto a Rossano Brazzi; con lui, diretta da E. Giannini debutta in teatro ne La signorina, cui seguono Canadà di C. G.Viola e Il padrone delle ferriere di Onhet. Ben presto la sua delicata figura da diva dei telefoni bianchi scopre un temperamento teatrale ferreo e assoluto; si afferma in Donne di C. B. Luce, 1944, e Il tempo e la famiglia Conway di Priestley (regia di A. Blasetti, 1945). Nei quadri di un’inchiesta del settimanale “Platee”, nel ’46, Grassi e Strehler la indicano come l’attrice del momento per la sua interpretazione di Amarsi male di Mauriac (regia O. Costa) portata a Milano dalla Compagnia Pagnani-Ninchi-Brazzi che presenta anche Strano interludio di O’ Neill (regia E. Giannini). Per un momento la Cortese sembra allontanarsi dal teatro, rapita dal cinema americano: è il ’49, ha girato con Dassin I corsari della strada e a Hollywood, dove è arrivata con un contratto della 20 Fox sul set di Ho paura di lui di R. Wise ha incontrato Richard Basehart (che sarà Il Matto nella Strada di Fellini) e l’ha sposato (1951).

Dopo qualche anno torna in Italia e vince la Grolla d’oro a Saint-Vincent per la sua interpretazione in Le amiche di Antonioni, tratto da un racconto di Pavese (1956). Separatasi dal marito e stabilitasi definitivamente in Italia con il figlio Jack, si lega a Giorgio Strehler e al Piccolo in un rapporto previlegiato che sfocia in una serie di interpretazioni di altissimo livello: è Sonia in Platonov e altri accanto a Sarah Ferrati, Tino Buazzelli e Tino Carraro (1959), passa a L’ereditàa del Felìs di Illica accanto a un grande Piero Mazzarella, dove nella capitolazione della Lena di fronte alla potenza corruttrice dei sciori porta una drammaticità semplice e commossa; ancora con Mazzarella è un’indimenticabile Nina nella seconda edizione di El nost Milan (1961); nel giugno ’63 è la voce recitante di Pierino e il lupo , ridotto da Strehler per il teatro alla Scala (direttore Nino Sanzogno, pianista Van Cliburn) e nel luglio è Beatrice nella nuova edizione dell’ Arlecchino a Villa Litta ad Affori. La sua recitazione si fa robusta e fortemente drammatica per la regina Margherita in Il gioco dei potenti (trilogia dell’ Enrico VI di Strehler da Shakespeare), recitato in due giornate nel ’65 prima al Lirico di Milano, poi al Comunale di Firenze per la Ia rassegna degli Stabili (l’altro Stabile italiano invitato alla rassegna era quello di Torino con il Ruzante di Parlamento e Bilora diretto da G. De Bosio).

Sono di questi anni le interpretazioni più mature che fissano la sua cifra recitativa personalissima dove il personaggio nel quale si cala corpo e anima è sempre controllato e restituito anche nei suoi risvolti critici: dalla Ilse di I giganti della montagna nella memorabile edizione del ’66 portata dal Piccolo in tournée in Italia e all’estero a Santa Giovanna dei macelli di Brecht per il Maggio musicale fiorentino (1970), preceduta dal Processo di Giovanna d’Arco a Rouen 1431 di Anna Seghers nella riduzione di Brecht (regia K.M. Grüber), alla straordinaria Lulu di Wedekind diretta da Chéreau (1971) e dal ’74 al ’77 alla personale, zingaresca Rawneskaja del Il giardino dei ciliegi chiuso nel bozzolo bianco dei sogni infantili, ma anche nel sudario di morte di una società che trascina con sé storia e vita. Fuori dal Piccolo è l’Anna vivace, leziosa e spettrale di Old Times (con A. Asti e U. Orsini, regia Visconti, 1973) e la Maria Stuarda del dramma omonimo di Schiller diretto da F. Zeffirelli (con R. Falk nel ruolo di Elisabetta). Dei numerosissimi film basterà ricordare Giulietta degli spiriti di Fellini , Fratello Sole e sorella Luna e Gesù di Zeffirelli, L’assassinio di Trotskij di Losey (con R. Burton e A. Delon) e Effetto notte di Truffaut per il quale riceve la nomination per l’Oscar. Fra le tante partecipazioni alla radio è Gina di Sanseverino nella Certosa di Parma di Stendhal e alla tv, la Gerda dei Buddenbrook diretto da E. Fenoglio nel ’71, la grande Sarah Bernhardt in un confronto con la Duse (Piera Degli Esposti) e un po’ se stessa nella performance nella Granduchessa e i camerieri rivisitata da Garinei e Giovannini , con la coppia Franchi e Ingrassia. Le nozze con Carlo de Angeli hanno diradato sempre più gli appuntamenti teatrali, ma è comparsa più volte accanto a Carla Fracci in spettacoli di danza e poesia, uno per tutti, Bilityse .

Courteline

Figlio di un noto umorista, Georges Courteline conservò nella sua pratica drammaturgica il gusto per la farsa e la parodia sociale e `di genere’: il suo primo esito letterario fu infatti Le allegrie dello squadrone (Les gaîtés de l’escadron, 1886), racconti comici ispirati alla sua esperienza nell’esercito. Funzionario ministeriale, C. continuò la sua carriera letteraria dedicandosi, libero dell’ansia per la sopravvivenza, al teatro: il successo non si fece attendere e con Boubouroche (1893) l’autore ottenne una vasta notorietà, confermata dalla riuscita di commedie come La peur des coups (1894), Le droit aux étrennes (1896), Hortense, couche-toi! , Théodore cherche les allumettes (1897) e Les Bouligrins (1898). Seguirono, fra il 1900 e il 1901, le satire di argomento giudiziario, come L’article 330 e Les balances . L’ingresso di due opere di C. nel repertorio della Comédie-Française ( La paix chez soi nel 1906 e Boubouroche nel 1910) suggella la sua consacrazione ufficiale, ribadita dal suo ingresso nell’accademia Goncourt (1926). Scegliendo quali assi portanti della sua produzione temi e situazioni tratti dalla vita quotidiana della piccola borghesia del suo tempo, C. ha realizzato opere taglienti, farse `nere’ con cadenze che quasi annunciano l’Ubu di Jarry, ma che non vanno a intaccare i meccanismi sociali di cui mettono in luce la mediocrità. Dal punto di vista della tecnica drammaturgica, C. mostra di partecipare al rinnovamento teatrale del primo Novecento: è il Théâtre Libre di Antoine a mettere in scena la sua prima pièce, Lidoire , e successivamente Boubouroche . Con il suo gusto per lavori brevi (un atto o due al massimo), la sua attenzione alla messa in scena e ai temi scelti, Georges Courteline si inserisce perfettamente nella corrente realista di questa fase. Piccolo borghese, egli descrive personaggi ‘medi’ e, soprattutto, vicini socialmente e culturalmente allo `spettatore-tipo’ della Francia della Terza Repubblica. Il teatro di Georges Courteline partecipa infatti alla tendenza detta della `comédie rosse’, dominata da temi familiari come le relazioni coniugali ed extraconiugali, e da temi etico-sociali, come quello della giustizia.

Capek

Dopo la laurea in filosofia (1915) Karel Capek scrisse per diversi giornali cechi; dal 1921 al ’23 collaborò stabilmente come drammaturgo con il Teatro municipale di Praga. Il primo successo fu Il brigante (1920), metafora della ribellione della giovinezza contro la vecchiaia immobile e tradizionalista. Dello stesso anno è il suo dramma più conosciuto, R.U.R., acronimo di Rossum’s Universal Robots (1920), una satira in chiave fantascientifica della società moderna, in cui uno scienziato (Rossum; dal ceco `rozum’, ragione) costruisce a servizio degli uomini degli automi, uomini-macchina, che finiscono per ribellarsi ai loro padroni-creatori distruggendoli. Il testo divenne famoso fra l’altro per aver coniato un termine diventato d’uso comune, `robot’ (dal ceco `róbota’, che significa lavoro, servitù della gleba).

In Dalla vita degli insetti (1921) gli animali vengono utilizzati come allegorie di alcuni vizi umani: la farfalla per la vanità dell’amore, gli scarabei per l’avidità e la brama di accumulare beni, le formiche per la superbia che sacrifica l’individuo alla massa. L’affare Makropulos (1922) – di cui ricordiamo l’allestimento di Luca Ronconi per lo Stabile di Torino, 1993 – racconta la storia di una donna che, in virtù di un elisir di lunga vita, rimane giovane e vitale per oltre trecento anni. La prospettiva di vivere tanto a lungo fa inorridire coloro ai quali la donna offre la ricetta, che alla fine viene bruciata da una ragazza. In Adamo creatore (1927) Adamo è un anarchico rivoluzionario che distrugge il mondo e viene punito da Dio con il compito di creare un mondo nuovo, migliore di quello precedente; accecato dalla propria superbia, Adamo entra in conflitto col proprio alter-ego, per finire distrutto dall’usurpatore.

Il teatro di Capek riflette i problemi e le inquietudini della sua epoca: gli effetti della distruzione bellica, l’avvento della tecnologia, l’ansia per il futuro. Pacifista e pragmatista, Capek innalza al di sopra di tutto i valori dell’esistenza umana, come il rispetto per la vita, la solidarietà civile, le tradizioni del vivere comune, contro le tendenze autodistruttive della superbia e del titanismo. Fra gli altri drammi ricordiamo Il morbo bianco (1937), sulla follia della guerra decisa da un fanatico dittatore, e La madre (1938), in cui l’amore materno entra in conflitto con i doveri civici e patriottici.

Catá

Alfonso Catá ha cominciato i suoi studi a Ginevra con B. Kniaseff. Nel 1956 debutta nei Ballets de Paris, poi danza con il Ballet de Monte-Carlo, il Joffrey Ballet, il Ballet du Marquis de Cuevas e lo Stuttgart Ballet. È tuttavia al New York City Ballet, dove entra nel 1965, che trova il suo vero sboccio, anche in veste di coreografo. Con l’appoggio dello stesso Balanchine diventa poi direttore del Ballet de Genève (1969-73), al quale dà valido impulso, introducendo tra l’altro nel repertorio molte opere del maestro americano. Con lo stesso spirito di rigore e fedeltà dirige in seguito (1973-79) il Balletto di Francoforte. Dopo altre esperienze, soprattutto in America, è chiamato a creare, a Roubaix, il Ballet du Nord; compagnia che guida fino alla morte, portandola a brillanti risultati sia mantenendo ferma la tradizione balanchiniana, sia creando lui stesso molte coreografie. Tra le altre, Sonate (musica di Chopin), La mer (Debussy), Nuit de mai (Rimskij-Korsakov), Valses de Brahms e Chabriesque (Chabrier).

circhi di famiglia

Non sempre purtroppo i componenti di tali complessi riescono a conservare intatto il patrimonio di tradizioni in loro dotazione, con il rischio di presentare spettacoli non all’altezza delle aspettative.

Cernyševa

Terminato l’Istituto coreografico di Pietroburgo, ha danzato al Teatro Marijinskij dal 1908. Nel 1911 ha preso parte alla Saison russe di Parigi e l’anno seguente ha lasciato la Russia. Solista dei Ballets Russes di Diaghilev sino al 1929, ha danzato dal 1932 al 1952 nei Ballets Russes de Monte-Carlo e nei Ballets Russes du Colonel de Basil, interprete delle coreografie di Fokine ( Shéhérazade , Cleopatra , Tamara , Carnaval ), Massine ( Le donne di buon umore , Pulcinella , Le pas d’acier ), Balanchine ( Apollon Musagète ). Ha rimontato balletti di Fokine per la Scala e al Sadler’s Wells di Londra, dove ha insegnato dal 1938.

Corsini

Attilio Corsini è tra i fondatori, nel 1977, della compagnia Attori e Tecnici, con cui mette in scena tutti i suoi spettacoli. Il suo lavoro si caratterizza per l’ampia collaborazione richiesta a tutti i partecipanti alla messa in scena e per l’apertura agli attori più giovani. C. ha diretto: Intrighi d’amore di Torquato Tasso, adattato da C. e Lucignani (1977); La furiosa di Della Porta (1979); I due sergenti (Serata d’onore all’antica italiana) , commedia con musiche di Anonimo e altri comici (Firenze, 1981); Pantalone impazzito di Francesco Righelli, libero adattamento e regia di Corsini(1981); La pulce nell’orecchio di G. Feydeau (1982); Il Galateo di Monsignor Della Casa, musicato recitato cantato secondo i nostri usi e costumi (1982) ; Varietà in varie… età di Anonimo e altri comici (1982); Rumori fuori scena di M. Frayn, traduzione di Filippo Ottoni, (1983); Flaiano al Flaiano di C. e Favari, con Cochi Ponzoni (1985); La nonna di Roberto Cossa, (1986), `commedia argentina sulla nevrosi del cibo’ che nasconde un grottesco apologo contro le tirannie; …Semplicemente Faust , libero adattamento di Corsini da La quarta parete di N. Evreinov (1986); Amleto o non Amleto , da Amleto o le conseguenze della pietà filiale di J. Laforgue, traduzione di E. Flaiano, rielaborazione di L. Luciniani e C., con Cochi Ponzoni (1987); Traversata burrascosa di T. Stoppard (1988); Vita e morte di Cappuccetto rosso , commedia con musiche liberamente ispirata a Il mondo alla rovescia di L. Tieck, adattamento di C. e della compagnia (1989); Spettattori di M. Frayn, adattamento di C. e Ottoni (1990); Accademia , copione da un soggetto di U. Marino, scritto dalla compagnia (1990); Calcio di rigore di C. e Ambrogi (1990); La scoperta dell’America di C. Pascarella (1990); Amleto in salsa piccante (o altro tipo di salsa) di A. Nicolaj (1991); Caviale e lenticchie di Scarnicci e Tarabusi – anche interprete – (1992); Panni sporchi show di Bagnasco e C., sul cinismo di alcune trasmissioni televisive, La crisi del teatro di A. Campanile (1993); Donne sull’orlo di una crisi di nervi da P. Almodovar, adattamento di Pippo Cairelli (1994); Il sosia di E. Elice e Roger Rees, con Daniele Formica (1995); Il giardino dei ciliegi di Cechov – C. anche interprete – (1995); 57 quaranta 170 (06 per chi chiama da fuori Roma) di C. (1996); Al cuoco al cuoco di Vittorio Caffé (1996); 57 quaranta 598 (il numero é leggermente cambiato) – 1996; Black Comedy di P. Shaffer (1997).

Calabresi

Oreste Calabresi cominciò a recitare nella filodrammatica `P. Cossa’ a Roma. Dal 1881 lavorò con diverse compagnie come generico primario (Cesarina Ruta, Lollio, Salvini-Serafini). Ottenne rilevanti successi nella compagnia di comici Vitaliani, ma la vera e propria fortuna iniziò con Giovan Battista Marini accanto a Virginia Marini. In seguito fu con Francesco Garzes, Paladini e Zampieri (1895), Claudio Leigheb e Virginia Reiter (ricordiamo nel 1897 La gelosa di A. Bisson). Nel 1900, insieme a Virgilio Talli e Irma Gramatica, fondò una compagnia che per cinque anni fu tra le più in vista in Italia, spaziando in un vasto repertorio che comprendeva, oltre a opere di autori quali Verga e Giacosa, anche testi di nuovi autori italiani come C. Bertolazzi, R. Bracco e G. Rovetta. Nel 1906 fu in compagnia con Elisa Severi, nel 1909 direttore della Mariani-Calabresi e nel 1912 con la Calabresi-Sabbatini-Ferrero. Si distinse sia come attore drammatico che comico. Ricordiamo la sua più celebre interpretazione come Lazaro di Roio alla prima rappresentazione de La figlia di Iorio di D’Annunzio (1904).

censura

Il rapporto fra l’artista e lo Stato non è mai stato tranquillo, anche per la naturale predisposizione del primo all’inquietudine e alla curiosità intellettuale verso tutto ciò che lo circonda, connotati da un’insofferrenza verso tutto ciò che è limite e divieto. A seconda dei vari regimi, nel mondo, il problema ha portato a forme repressive più o meno violente. I grandi artisti hanno tutti avuto problemi di censura, dovunque; per quanto riguarda l’autore più grande del nostro Novecento (Pirandello), il suo Sei personaggi in cerca d’autore quando nel ’23 si è affacciato ai palcoscenici del mondo ha trovato l’ostacolo dell’Inghilterra (a Londra è stato rappresentato in un circolo privato per interessamento di G. B. Shaw) e il divieto dei Soviet in Russia. In Italia, l’abolizione ufficiale della censura sul teatro di Prosa è del 1962. Sulla censura teatrale del ventennio ci soccorre un volume di Leopoldo Zurlo ( Memorie inutili, edito dall’Ateneo di Roma nel 1952) e si possono citare, fra gli altri, i casi di Tovarisch di Deval il cui permesso fu ottenuto da Paola Borboni direttamente da Mussolini nel ’34; le polemiche alla rappresentazione di Milano da parte della compagnia di Laura Adani, primo attore Vittorio Gassman, per Adamo di Achard (imperniato sul dramma di un omosessuale): polemiche, disordini e divieto di rappresentazione che hanno provocato un intervento dell’Ambasciata di Francia (1945); e, non ultimo ma forse più grave, l’intervento di una `altissima personalità cattolica’ per la rappresentazione di All’uscita di Pirandello al teatro Angelicum di Milano, nel quadro della `Settimana siciliana’ da parte della compagnia di Michele Abruzzo il 20 maggio 1954: la rappresentazione cancellata poche ore prima dello spettacolo con un comunicato che segnalava una variazione di programma «per l’ndisposizione di un attore» fu sostituita da alcune poesie dialettali, in una serata che, introdotta da una breve conferenza di A.G. Bragaglia, era proseguita da un discorso di M. Apollonio sull’apporto dell’arte siciliana alla cultura italiana. Ancora potremmo aggiungere, ma solo a titolo esemplicativo, il divieto a La governante di Brancati (1962), l’interruzione da parte della polizia, della presentazione in un circolo privato di via Belsiana a Roma, de Il vicario di Hochhuth diretto da M. Volontè (1965); Cronache dell’italietta di G. De Chiara e M. Costanzo viene proibito poco prima del debutto dal Presidente della commissione ministeriale di censura, perché `a suo parere’ lo spettacolo non rientrerebbe nel genere prosa ma in quello di rivista (poiché secondo la legge del ’62 rimangono ancora sottoposti a censura preventiva i lavori teatrali «eseguiti in rivista o commedia musicale a musica ed azioni coreografiche prevalenti»; e ancora gli interventi contro Giovanni Testori ( L’Arialda , regista Visconti, proibita a Milano, dopo la prima, nonostante le recite già andate in scena a Roma), il Living Theater (espulso dall’Italia dopo le rappresentazioni al festival di Venezia!) e quelli di cui si è perso il conto contro Dario Fo.

Cobb

(New York 1911 – Woodland Hills, California, 1976), attore statunitense. Scappò di casa a diciassette anni per mettersi a recitare ed entrò a far parte del Group Theatre. Nel 1937 iniziò una lunga carriera cinematografica, che interruppe nel 1949 per interpretare a Broadway, in prima assoluta, Willy Loman in Morte di un commesso viaggiatore di Miller. Grazie alla sua prestazione, rimasta memorabile, il testo raggiunse, a detta dei critici, le altezze della tragedia. Al teatro tornò soltanto nel 1969 per impersonare re Lear, il personaggio più spesso citato per definire ed esaltare il suo Commesso.

Ciarchi

Partecipa come chitarrista al primo recital di Jannacci e accompagna Milly nei suoi spettacoli; dal 1964 inizia la collaborazione con il Nuovo canzoniere italiano. Nel 1968 fonda con Dario Fo il collettivo teatrale Nuova scena (divenuto poi La Comune) e partecipa a tutti gli spettacoli, componendo le musiche fino al 1975. Collabora con il salone Pier Lombardo (poi teatro Franco Parenti) di Milano, per il quale cura il commento sonoro di molte produzioni dagli anni ’80 a oggi. Dal 1991 si esibisce in Microconferenze di musicologia applicata , una rappresentazione teatrale delle sue ricerche sonore, nella quale C. `suona’ bidoni, padelle, siringhe, tubi, legni, mattoni. Nel 1998 è in scena con Plasticone musica e pittura come scenografia e improvvisazione , spettacolo nel quale, con un sottofondo musicale, viene dipinto un enorme quadro che viene poi diviso e venduto all’asta tra i partecipanti a scopo benefico.

Crowsnest

Viene fondato, infatti, alla fine degli anni ’70 da due ex Pilobolus: Martha Clarke, che ne è anche l’anima coreografica, e Robby Barnett, ai quali si affianca il francese Felix Blaska. Sulle orme di Pilobolus, i C. propongono microstorie intessute di ironia e metafore surreali, alle quali aggiungono qualche venatura drammatica e più grottesca. La parabola dei C., a differenza dei Momix (altra diramazione dei Pilobolus), si esaurisce però all’alba degli anni ’90. Resta ancora nel repertorio dell’American Ballet Theatre – riallestito da Martha Clarke nel 1988 – uno dei loro primi lavori di gruppo: The Garden of Villandry , un trio pensato come omaggio ad Antony Tudor.

Cardona

Considerato il miglior trapezista italiano del dopoguerra, appartiene a una famiglia di tradizione circense: la madre è una Jarz, il fratello, Sergio, un buon ammaestratore di felini. Si esibisce soprattutto con la troupe composta dalla moglie Silvana Caroli, Corina Tribertis e l’ottimo catcher Oscar Papi. Impone in Europa lo stile italiano, grazie soprattutto alla grinta delle sue esibizioni; tra gli esercizi di maggior successo, il doppio salto mortale in avanti, il doppio `alla cardona’ (con le gambe in squadra) e la tripla o quadrupla piroetta al ritorno.

Campogalliani

Francesco Campogalliani è il più famoso e ultimo di una famosa dinastia modenese di burattinai, avviata da Luigi Rimini C. alla fine del Settecento. Uomo e artista straordinario, Francesco rivalutò il teatro dei burattini in periodo di latente crisi, lo nobilitò imponendolo nei teatri e lo fece riconoscere come una vera manifestazione d’arte su tutto il territorio nazionale. Dotato di rara maestria, sapeva trascinare gli spettatori con i repertori drammatici; era infatti solito affermare che «i burattini devono essere la verità per i piccoli e il grottesco per i grandi».

Cortés

Dopo gli studi di danza classica e flamenco, Joaquin Cortés nel 1984 entra nel Ballet Nacional de España, diventando solista nel 1986. Dal 1990 si dedica completamente al flamenco, collaborando con il coreografo Marco Berriel ( Romance Amargo , 1990) ed esibendosi in recital solistici (Apologia flamenca , 1991) e con partner come Merche Esmeralda e Lola Greco. Creato il suo gruppo `Joaquin Cortés Ballet Flamenco’ (1992), si impone sulla scena internazionale con spettacoli come Pasión gitana (1996) per brillantezza tecnica e personalità, sia pure in una discutibile e commerciale opera di fusione tra il linguaggio della danza classica e quello del baile spagnolo.