Schumann

Peter Schumann studiò scultura a Hannover e nella prima giovinezza, affascinato dagli aspetti artigianali dell’arte, creò non soltanto sculture, ma silografie, maschere d’argilla ricoperte di gesso, incisioni su linoleum, disegni a carboncino ecc. Contemporaneamente studiava a fondo i grandi espressionisti e costruiva le prime marionette di fil di ferro rivestite di cartapesta, rifacendosi alle tradizioni del teatro popolare. Poi nel 1959 fondò a Monaco un Gruppo della nuova danza con il quale presentò uno spettacolo che lasciò sconcertati gli astanti. E nel 1961 un concerto di John Cage al quale ebbe modo di assistere lo indusse a partire per New York, dove entrò subito in rapporto con Cunningham e con altri esponenti dell’avanguardia americana. Pochi mesi dopo presentò con il gruppo degli Uranian Alchemy Players il suo primo spettacolo, Totentanz, che rielaborava autonomamente un famoso tema medioevale. Tutte queste esperienze e questi apporti culturali, insieme a un nuovo interesse per le grandi questioni politiche e sociali – erano gli anni della guerra nel Vietnam – confluirono quello stesso anno nella fondazione del Bread and Puppet Theatre, con il quale si identifica da allora la sua biografia. Nel 1974 si trasferì in una fattoria del Vermont e sciolse nominalmente il gruppo, pur tornando a riunirlo per particolari progetti.

Missiroli

Figlio di un impresario Mario Missiroli si diploma nel 1957 all’Accademia d’arte drammatica ‘S. D’Amico’ e esordisce nella regia l’anno successivo con Tristi amori di Giacosa. Nella stagione 1958-59 è a Milano come direttore di sala del Teatro Gerolamo. Dal 1959 al 1962 è assistente alla regia di Strehler al Piccolo Teatro, collaborando ad alcune celebri messe in scena quali El nost Milan di Bertolazzi e L’opera da tre soldi e Schweyk nella seconda guerra mondiale di Brecht. Significativi, in questo periodo, gli allestimenti di La Maria Brasca di Testori (1961) novità italiana e prima assoluta e Tornate a Cristo con paura , da laudi perugine del Trecento nella basilica di Sant’Ambrogio. Tornò a Roma e si dedicò al cinema collaborando alla sceneggiatura e alla regia di Estate violenta (1962) e Cronaca familiare (1962) di V. Zurlini e girando il film La bella di Lodi (1962), tratto da un soggetto di A. Arbasino, con il quale scrive anche il varietà teatral-musicale Amate sponde (1962). Nel 1963 cura la regia di Assassinio nella cattedrale di Eliot per il Piccolo, poi per alcuni anni si dedica al teatro d’opera. Del 1968 è l’incontro e la significativa esperienza con il gruppo d’avanguardia Il Porcospino, con cui mette in scena Il matrimonio di Gombrowicz e Commedia ripugnante di una madre di Witkiewicz. Nel 1971 è la volta di Eva Peron di Copi e di Recitazione della controversia liparitana dedicata ad A.D. di Sciascia, mentre nel 1972 comincia la collaborazione con il Teatro insieme: L’ispettore generale di Gogol’ e A proposito di Liggio spettacolo-documento tratto dagli atti della commissione parlamentare antimafia (scritto con V. Sermonti, 1973). Seguono La locandiera di Goldoni, L’eroe borghese di Sternheim, La signorina Giulia di Strindberg, Vestire gli ignudi di Pirandello (1975), Il processo di Kafka nell’adattamento di Ripellino (1975). Dal 1976 al 1984 è direttore del Teatro stabile di Torino dove realizza testi quali Verso Damasco di Strindberg, La trilogia della villeggiatura di Goldoni, I giganti della montagna di Pirandello, concludendo con La mandragola di Machiavelli (1985). Nella stagione 1986-87 propone il suo testo Tragedia popolare , seguito da Chi ha paura di Virginia Woolf? di Albee e Giorni felici di Beckett. Successivamente lavora per il Teatro di Roma allestendo: Capitano Ulisse di Savinio (1990), Lulu di Wedekind (1991), Nostra Dea di Bontempelli (1992/93) e Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello (1993-94). Ultimi spettacoli significativi sono la Medea di Euripide rappresentata a Siracusa nel 1996 e Il pellicano di Strindberg nella stagione 1997-98. Può essere considerato il più eclettico dei registi italiani, capace di affrontare le commedie come i drammi con una sensibilità che spesso sfocia nel grottesco. Se da una parte la sua curiosità lo spinge a cercare sempre nuovi stimoli da autori diversissimi, dall’altra parte i suoi allestimenti hanno avuto gli esiti migliori negli spettacoli più leggeri in cui la sua dissacrante ironia ha potuto scaturire liberamente sulla scena.

Pradella

Nel 1966 Riccardo Pradella si diploma con la medaglia d’oro all’Accademia dei Filodrammatici di Milano sotto la guida di Esperia Sperani e nello stesso anno, dopo aver abbandonato gli studi di Chimica, esordisce nello spettacolo Se questo è un uomo di Primo Levi per la regia di G. De Bosio. In seguito interpreta Emone nell’ Antigone (1967) di Alfieri, allestita dal centro culturale Il Trebbo di Milano e nella stagione 1968-69 è scritturato dal Teatro S. Babila come assistente regista per F. Piccoli, E. Calindri e V. Cottafavi. Nel 1970 insieme a Paride Calonghi riapre il Teatro Filodrammatici di Milano, distrutto dai bombardamenti del 1943 e fonda una Compagnia Stabile di ex allievi dell’Accademia. Nell’ambito del Teatro dei Filodrammatici ha partecipato, come attore e in alcuni casi come regista, a quasi tutti gli spettacoli del gruppo. Segnaliamo in particolare: Bellavita (1976) di Pirandello, Il ladro in casa (1984) di Italo Svevo, La trilogia della villeggiatura (1988) di C. Goldoni per la regia di Silvano Piccardi, Con la penna d’oro (1991) di I. Svevo. Nel 1985 succede a Ernesto Calindri alla guida del Corso di Recitazione presso l’Accademia dei Filodrammatici. Accanto alle esperienze teatrali ha sempre alternato esperienze televisive e radiofoniche.

Shammah

Dopo un’esperienza di assistente al Piccolo Teatro di Giorgio Strehler e Paolo Grassi negli anni ’60, nel 1972 Andrée Ruth Shammah fonda e dirige a Milano, insieme a Franco Parenti, il Salone Pier Lombardo, di cui dal 1989 è responsabile unica. Intorno a questo spazio, concepito come spazio polivalente, coinvolge una serie di intellettuali tra i quali principalmente lo scrittore G.Testori che resterà un punto di riferimento della sua carriera, firmando l’allestimento della ‘Trilogia’ (Ambleto nel ’73, Macbetto nel ’74, Edipus nel ’77) e più avanti L’Arialda e I Promessi Sposi alla prova. Sue quasi tutte le regie firmate nel Salone Pier Lombardo (oggi Teatro Franco Parenti), all’inizio per un attore come Franco Parenti: Georges Dandin, Gran can can, Willibalhd e Oloferne, Il gigante nano, Il misantropo, La doppia incostanza, Il maggiore Barbara, Il bosco di notte. In anni più recenti e subito dopo la morte di Franco Parenti ha lavorato soprattutto su grandi temi come il mito, il genere epico, la favola con spettacoli come Peter Pan , cavalieri di re Arthur, Ondine, La vita è il sogno, La ricerca del Graal. Tra le sue più recenti regie La tempesta dal testo di Emilio Tadini, Re Lear di Shakespeare, Eracle di Euripide a Vicenza. Ha firmato anche due regie liriche entrambe alla Scala: Varieté di Kagel e L’elisir d’amore di Donizetti.

Pepe

Interprete dalle notevoli doti mimiche, Nico Pepe ha offerto nel corso della sua carriera ottime interpretazioni di personaggi comici. Debutta nel 1930 nella compagnia Lupi-Borboni-Pescatori. Lavora anche con Ruggeri, Gandusio, P. De Filippo, De Sica. Dal 1947 passò al Piccolo Teatro. Di talento versatile si è distinto anche nella recitazione di autori classici, Molière (L’avaro) e Gozzi (Re Cervo), sia di autori napoletani: P. De Filippo  (Don Felice Imparato), A. Curcio (I casi sono due). Da segnalare una sua memorabile interpretazione goldoniana, nel ruolo di di Pantalone in un’edizione dell’ Arlecchino servitore di due padroni di Strehler, uno spettacolo in cui recita per vent’anni (viaggiava con un baule pieno di maschere di commedia dell’arte, tanto da meritarsi il titolo di `commesso viaggiatore del teatro’). Sempre con Strehler interpreta il direttore ne Sei personaggi in cerca d’autore (1952) al fianco di T. Buazzelli e L. Brignone. Nel 1961 è diretto da L. Squarzina in Ciascuno a suo modo di Pirandello presentato allo Stabile di Genova, e da Macedonio ne La commedia dell’arte , per lo Stabile Friuli Venezia Giulia. Ha diretto lo Stabile di Torino, l’Ateneo di Roma e lo Stabile di Palermo. Negli ultimi anni ha portato in giro con successo alcune lezioni-spettacolo (Pirandello visto da un attore e I secoli gloriosi della Commedia dell’Arte) con Ada Prato.

Bacci

Laureato in lettere a Pisa con una tesi sull’Odin Teatret di Eugenio Barba intitolata Teatro e alchimia , attore amatoriale nel gruppo Teatro Noi, Roberto Bacci fonda nel 1974 il Centro per la sperimentazione e la ricerca teatrale di Pontedera, di cui è direttore. Sensibile a un teatro spirituale e antropologico, intimamente legato all’attività laboratoriale e al confronto con le drammaturgie del nord e dell’est europeo, debutta nella regia con Macbeth (1975). È tuttavia dall’inizio degli anni ’80 che l’attività registica di B. si fa sistematica. In un ventennio realizza e dirige una ventina di spettacoli fra cui Zeitnot (1984), tratto da Il settimo sigillo e Il volto di Ingmar Bergman; Laggiù soffia (1987), primo atto di una trilogia che comprende Era (1988) e In carne ed ossa (1990); Il cielo per terra (1993), definito un ‘circo dei numeri spirituali’. Nel 1995 comincia a lavorare con gli attori della ‘Terza Età’ di Pontedera. Nascono Nulla: molte stelle e Incendio ispirato al terzo atto di Zio Vanja di Cechov. Tra il 1978 e il 1987 B. dirige il festival di Santarcangelo; dal 1985 è direttore del festival Passaggio di Pontedera e, dal 1990, di Volterrateatro in collaborazione con Carte Blanche.

Puggelli

Diplomatosi nel 1958 all’Accademia dei Filodrammatici di Milano (studia sotto la guida di Esperia Sperani) Lamberto Puggelli si avvicina all’ambiente del Piccolo Teatro dove, nel 1960, interpreta `El Pinascia’ ne El nost Milan di Bertolazzi con la regia di G. Strehler. Nello stesso anno esordisce nella regia di prosa con A ciascuno la sua fame di Jean Mogin, spettacolo allestito al Teatro Pirandello di Roma. Nella stagione 1964-1965 viene nominato responsabile della programmazione del Festival dei Due Mondi di Spoleto e contemporaneamente comincia a collaborare con il mondo della lirica, curando la regia di Oedipus rex (1965) di I. Stravinskij a La Fenice di Venezia. L’intensa attività svolta in questo ambito lo porta a lavorare nei maggiori teatri lirici italiani, come appunto La Fenice, di cui nel 1967 diviene regista stabile, oltre che con la Scala di Milano, il Regio di Parma, l’Opera di Roma, il Regio di Torino e il Teatro S. Carlo di Napoli, compiendo numerose tournée all’estero (soprattutto con La Fenice).

Nel 1970 ritorna al Piccolo Teatro di Milano, dove diviene assistente alla regia di Strehler. In questa veste lavora in Santa Giovanna dei macelli di Brecht, Re Lear (1972) di Shakespeare, L’opera da tre soldi (1973) di Brecht e Il campiello (1975) di Goldoni. Inoltre, firma insieme a Strehler le regie di alcuni spettacoli tra i quali nel 1971 Referendum per l’assoluzione o la condanna di un criminale di guerra (1971) di Pallavicini e Vené e nel 1973 La condanna di Lucullo (1973) di Brecht. Lo stesso anno P. mette in scena Barbablù (1973) di Dursi, primo spettacolo firmato da solo per la struttura milanese.

Parallelamente all’attività svolta al Piccolo, diviene direttore al Nuovo San Babila di Milano (1975) e cura la regia di alcuni allestimenti al Teatro Uomo (stagione 1976-77). Altre sue regie: La madre dal romanzo di Gor’kij (1978); Le furberie di Scapino di Molière (1984), Igne Migne dal romanzo di A. Campanelli (1987), Pilade di Pasolini (1989), Il libro di Ipazia di Luzi (1995) Tra le sue regie liriche ricordiamo: Turandot (1966) di Puccini, Il trovatore (1969) di Verdi, Norma (1972) di Bellini, I masnadieri (1974) di Verdi, Il barbiere di Siviglia (1979) di Rossini, La forza del destino (1982) e Otello (1990) di Verdi, La favorite (1991) di Donizetti, La sonnambula (1994) di Bellini e Fedora (1996) di Giordano. Va ricordato inoltre lo studio condotto dal regista su Pirandello, iniziato nel 1970 con lo spettacolo Le maschere nude , e proseguito poi, con Così è se vi pare nel 1975, La nuova colonia nel 1992 e Questa sera si recita a soggetto , l’anno dopo.

Simonetta

Protagonista nella Milano degli anni ’60 del cabaret intelligente, Umberto Simonetta scrisse per Giorgio Gaber canzoni d’ambiente meneghino, da “La ballata del Cerutti” a “Trani a gogò”, a “Le nostre serate”. Ha scritto esilaranti commedie sotto forma di monologo: Arriva la rivoluzione e non ho niente da mettermi (1973), Mi riunisco in assemblea , C’era un sacco di gente, soprattutto giovani (1979), interpretati da Livia Cerini, e, per Maurizio Micheli, Mi voleva Strehler , parossistiche e angosciose riflessioni di un attore in attesa di provino. Nei suoi romanzi, ha descritto un sapido ritratto della Milano notturna ed emarginata: Lo sbarbato (1961), Tirar mattina (1963), titolo diventato poi una locuzione d’uso corrente, e una gioventù problematica e allo sbando, Il giovane normale (1967), Virgo (1973), I viaggiatori della sera (1978) anche trasposto in film. Sui difficili, spesso tempestosi, rapporti tra impresari e interpreti da una parte e autori di teatro dall’altra, ha scritto Il turpe squisito (edito da Camunia).

Simonetta, in coppia con Guglielmo Zucconi. firma nella stagione 1954-55 il copione della rivista Casanova in casa Nava per le tre sorelle Pinuccia, Diana e Lisetta Nava, le `reginette dello sberleffo’: spettacolo giudicato `moderno e anticonformista’, pieno di trovate, con un personaggio, il clown Scaramacai per Lisetta Nava, destinato poi a grande popolarità televisiva. Nella stagione successiva, i due firmano Il resto mancia con Gino Bramieri, Lisetta Nava ed Elio Crovetto (al teatro Olimpia di Milano); rivista che `diverte senza volgarità’, si scrisse. Nella stagione 1958-59 mettono in scena Io, l’ipotenusa per Tino Scotti, il funambolico `cavaliere’ meneghino, Beniamino Maggio, napoletano che riesce anche a scherzare sulla sua gamba rigida ballandovi su, e Tonini Nava, quarta delle tre famose sorelle; coreografie di Gino Landi. Nella stagione 1960-61, S. scrive da solo per Lucio Flauto al Nuovo di Milano la rivista Piazza pulita . Negli anni seguenti, tramontato il varietà e sorto il cabaret, Simonetta continua a scrivere copioni per la radio e la tv.

Nel 1978, Simonetta prende la direzione del Teatro Milanese, passato dal Gerolamo ad uno spazio più grande. Simonetta mantiene nei suoi intenti il clima umoristico delle passate stagioni, ma con un occhio attento ai mutamenti della società sotto il punto di vista linguistico e culturale. Suo proposito infatti è quello di rappresentare un repertorio comico satirico di un certo interesse attuale, recitato in una nuova lingua italiana creata dalla fusione di dialetti regionali diversi e dalla contaminazione di termini stranieri. Gli spettacoli presentati nelle nuove programmazioni sono principalmente scritti e diretti da lui: Mi voleva Strehler (1978); C’era un sacco di gente soprattutto giovani (1979); Italiani si muore (1979); L’Adalgisa da Gadda (1980); Il figlio sorridente (1981); Caro Tognoli (1982).

Malosti

Walter Malosti ha convogliato il suo progetto artistico nel Teatro di Dioniso. Da qualche anno la struttura artistico-organizzativa lavora in autonomia, con un gruppo stabile di collaboratori. Malosti ha diretto, tra gli altri, Le lacrime amare di Petra Von Kant di Fassbidner (1988), Le Baccanti di Euripide (1990), La trasfigurazione di Benno il ciccione di Innaurato (premio Ubu 1992 per l’interpretazione di Antonino Iuorio), Il mio giudice di Maria Pia Daniele (scelto per rappresentare l’Italia alla Bonner Biennale 1994); un trittico di spettacoli di autori tedeschi contemporanei: nel 1994 Susn di Achternbusch e Né carne né pesce di Kroetz, nel 1995 Il tempo e la stanza di Botho Strauss; nel 1994 cambia completamente dimensione allestendo Tristi amori di Giacosa; del 1996 sono: Cuori: un poster dei Cosmos da Lanford Wilson e Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare con una compagnia di sette attori di differenti nazionalità. Nel 1997 ha lavorato a un progetto di messa in scena di Amleto che ha prodotto, tra l’altro, uno studio Ophelia (Hamlet/frammenti) , e realizzato per il Centro Teatrale Bresciano Ballo in maschera di Lermontov. Nel 1998 ha diretto Storia di Doro di Donatella Musso e ha collaborato con il Teatro di Roma lavorando su Alex M di Maggioni e Tomati per il corso di perfezionamento per giovani attori professionisti. Come attore, tra il 1990 e il 1997 ha lavorato in diversi spettacoli di Luca Ronconi. Ha inoltre partecipato a spettacoli di Tiezzi, Barberio Corsetti, Stolz, Vacis e R. Ferrero. Ha ricevuto una menzione speciale al Fringe Arts Festival 1992 di Melbourne come miglior performer interpretando Ella di Achternbusch in inglese.

Russo

Personaggio originale e creativo della scena italiana, l’attività teatrale di Tato Russo si distingue soprattutto per alcune particolarissime messe in scena di testi come: La tempesta (1991), Sogno di una notte di mezza estate (1993) di Shakespeare – per il quale nel 1995 vince il Premio della critica teatrale – L’opera da tre soldi (1988, poi ripresa nel 1995) di Brecht, Napoli hotel Excelsior (1988), Palummella zompa e vola (stagione 1989-90), spettacoli di cui è anche principale interprete. È inoltre autore di scritture prime per la scena, tra le quali si ricordano Week end, Mi faccio una cooperativa, La tazza d’argento, La parolaccia, L’uovo di carnevale, Ballata di un capitano del popolo, La commedia della fame, Cappuccetto blu, Una partita a poker, Cient’e una notte dint’a una notte (1992), Masaniello (stagione 1996-97), Viva Diego (stagione 1997-98). R. è inoltre direttore artistico del Teatro Bellini di Napoli. Nella stagione estiva 1998 partecipa al festival shakespeariano di Verona con lo spettacolo Amleto.

Cecchi

Diplomatosi all’Accademia nazionale d’arte drammatica ‘S. D’Amico’, Carlo Cecchi ha lavorato come attore nella compagnia di Eduardo De Filippo. Il teatro napoletano e il metodo del Living Theatre, determinanti per la sua formazione, rimangono sempre vivi nel suo modo di dirigere gli attori. Nel 1971 ha fondato il Granteatro (in ironica polemica con il ben più grande e prestigioso Piccolo Teatro), una cooperativa impegnata in circuiti alternativi, con cui ha messo in scena e interpretato Le statue movibili (Campagnano di Roma 1971) e ‘A morte dint ‘o lietto ‘e don Felice (Chieti 1974) di A. Petito; Il bagno (Roma 1971) e La cimice (Scandiano 1975) di Majakovskij; Tamburi nella notte di Brecht (Torino 1972); Woyzeck di Büchner (Torino, quartiere Lingotto 1973); Il borghese gentiluomo di Molière (Firenze 1976); L’uomo, la bestia e la virtù di Pirandello (Guastalla 1976; ripreso nel 1980 e ’81), dove ha privilegiato, anziché il meccanismo intellettuale, la struttura teatrale, risolta in chiave di balletto mascherato. Grazie a questi lavori, che realizzano una difficile sintesi tra le forme della tradizione popolare italiana e le proposte dell’avanguardia europea,  Carlo Cecchi si è imposto come una delle più forti e originali personalità del nuovo teatro italiano, reincarnando in modo moderno la figura del capocomico: non però primattore e mattatore, ma guida e coscienza degli attori con cui lavora.

Dal 1977, prima con il Teatro regionale toscano, poi con il Teatro Niccolini di Firenze, ha realizzato e interpretato ogni anno nuovi allestimenti. Di Molière, nelle traduzioni di Cesare Garboli, Don Giovanni (1978); Anfitrione (1980), secondo la formula dello spettacolo d’epoca; Il misantropo (1986) che, senza bisogno di alcuna spettacolarizzazione, ma attraverso la valorizzazione del testo e il recupero della sua forza drammatica, è uno spettacolo-manifesto dell’idea animatrice delle scelte registiche – nonché politico-civili – di  Carlo Cecchi: la denuncia e lo smascheramento dell’ipocrisia attraverso la figura di Alceste; Georges Dandin (1989), con Patrizia Zappa Mulas e Elia Schilton. E ancora: La mandragola di Macchiavelli (Firenze, forte Belvedere 1979), Ivanov di Cechov (festival di Spoleto 1982), Lu curaggiu de nu pumpiere napulitano di Scarpetta (1985). Ha diretto e interpretato anche Shakespeare: La tempesta (1984) con Paolo Rossi e Alessandro Haber, un allestimento antillusionistico che mette in evidenza la costruzione del testo e i numerosi rimandi e corrispondenze, quali l’ossessione del colpo di stato e il tentato regicidio come leitmotiv del dramma; Amleto (1989), dove è notevole la valorizzazione della scena con l’apparizione dello spettro, alla fine del terzo atto: momento chiave della tragedia, che spezza in un certo senso l’autonomia di Amleto abbandonandolo, strumento passivo, alla forza degli eventi.

Di Pinter, Il compleanno (1980) con Paolo Graziosi e Toni Bertorelli, Il ritorno a casa (1981), L’amante (1986) e La serra (1997): dell’autore inglese  Carlo Cecchi traduce in scena l’acre ironia, la mescolanza di comico e tragico, le azioni minime e quotidiane, i silenzi, tesi a comunicare la violenza feroce che si cela sotto le apparenze di una quiete infingarda. Di Thomas Bernhard, Claus Peymann compra un paio di pantaloni e viene a mangiare con me (1990) con Gianfelice Imparato; Ritter, Dene, Voss (1992) con Marina Confalone e Anna Bonaiuto; Drammoletti (1992): nei tre drammi C. riesce a restituire la partitura quasi musicale dei testi, giocando tutto sul ritmo e sulle cadenze sonore, facendo propria la disperazione e la forza d’invettiva dell’autore austriaco, senza perderne mai la carica sarcastica. Tra il 1993 e il ’95 ha messo in scena e interpretato La locandiera di Goldoni (1993), Leonce e Lena di Büchner (1993), Nunzio di S. Scimone (Taormina 1994), Finale di partita di Beckett (1995) con Valerio Binasco, in cui prevalgono i toni comico-grotteschi su quelli tragici. Dal 1996 ha lavorato su Shakespeare, di cui ha proposto Amleto (1996; versione di C. Garboli, già utilizzata sette anni prima), Sogno di una notte di mezza estate (1997; versione di Patrizia Cavalli) e Misura per misura (1998; versione Garboli), in un teatro fatiscente e scoperchiato nel centro di Palermo (il Garibaldi), che è parte integrante degli allestimenti, e con un gruppo di attori in maggioranza napoletani, tra cui Iaia Forte, Roberto Di Francesco, Valerio Binasco, Arturo Cirillo, Viola Graziosi. Gli spettacoli iniziano nel pomeriggio alla luce naturale per concludersi al sopraggiungere della notte, illuminati da fiaccole: una messinscena così particolare ne renderà quasi impossibile la rappresentazione in altri luoghi canonici.

Un repertorio così vasto e diverso testimonia di uno spirito inquieto e curioso, che rifugge da ogni chiusura. Da Shakespeare alla farsa dialettale, da Molière al romanticismo pre-espressionista di Büchner, da Cechov a Pirandello, dalle tragedie-parodie di Majakovskij al primo Brecht, fino ai massimi autori contemporanei Beckett e Pinter, l’intero patrimonio teatrale è oggetto della vorace sperimentazione di  Carlo Cecchi. Anche nella scelta degli attori, al gruppo collaudato  Carlo Cecchi preferisce il rischio di un continuo avvicendamento, con il lancio di numerosi attori debuttanti. Tra i collaboratori principali per le scene e i costumi vanno ricordati Sergio Tramonti (1973-76, e ancora 1982-87) e Titina Maselli (dal 1989). Attore-regista di ampia e raffinata cultura, ma immune da vizi intellettualistici,  Carlo Cecchi s’è sempre proposto non già di stupire e scandalizzare, dell’originalità a ogni costo, ma di comunicare, di stabilire un rapporto conoscitivo più che emotivo tra testo, attori e pubblico. Un rapporto non fissato una volta per sempre, ma che si sviluppa nel corso delle rappresentazioni:  Carlo Cecchi rifiuta la concezione rigida e un po’ sacrale che molti registi hanno del loro lavoro, ma ubbidisce alla legge fondamentale del teatro, come organismo e valore vivo e quindi labile, mutevole, provvisorio. La sua acuta intelligenza e consapevolezza producono uno stile di recitazione distaccato, defilato, tormentato, talvolta ironico, straniato (memore di Eduardo e di Brecht), che non sa nascondere la nostalgia di un teatro che già fu coscienza critica della società.

Efros

Laureatosi al Gitis, Anatolij Vasil’evic Efros lavora inizialmente al Teatro centrale per ragazzi, mettendo in scena alcuni importanti lavori di V. Rozov e contribuendo, con regie asciutte e originali, al loro successo: Alla buon’ora (1954), In cerca della gioia (1957), Lotta impari (1960), Prima di cena (1962). Negli stessi anni si cimenta nella rilettura di classici come Boris Godunov di Pukin (1957) e Il matrimonio di Gogol’ (1963), confermando il suo inusuale talento. Dal 1963 al ’67 è regista stabile al Teatro del Komsomol leniniano di Mosca, dove si dedica con particolare attenzione al repertorio contemporaneo, mettendo in scena, accanto all’amato Rozov ( Nel giorno delle nozze , 1964), E. Radzinskij (104 pagine sull’amore, 1964; Si gira!, 1965), A. Arbuzov (Il mio povero Marat, 1965), oltre a due classici di cui rivoluziona la lettura: Molière di Bulgakov e Il gabbiano di Cechov. Malvisto dai burocrati di partito per il coraggioso anticonformismo del suo lavoro, E. viene trasferito con responsabilità limitatissime al teatro Malaja Bronnaja, dove continua la sua intelligente rilettura di classici, ognuno dei quali diventa un autentico evento nei grigi anni brezneviani: Tre sorelle di Cechov (1967), Romeo e Giulietta (1970), Il fratello Alioša (1972, riduzione di Rozov da I fratelli Karamazov di Dostoevskij), Don Giovanni di Molière (1973), Il matrimonio di Gogol’ (1975), Otello di Shakespeare (1976), Un mese in campagna di Turgenev (1977), La strada (1980, riduzione da Anime morte di Gogol’). In questi anni viene chiamato in altri teatri di prestigio, dove dirige spettacoli di grande richiamo: Il giardino dei ciliegi al teatro Taganka (1976), Tartufo di Molière (1981) e Il cadavere vivente di Tolstoj al Teatro d’Arte. Negli ultimi tre anni di vita, dal 1984 al 1987, viene chiamato a dirigere, al posto di J. Ljubimov emigrato all’estero, il teatro Taganka, dove firma due regie entrate nella storia del teatro russo per la loro dissacrante intelligenza: Bassifondi di Gor’kij (1984) e Il misantropo di Molière (1986), densi di allusioni alla difficile realtà sovietica. E. è stato anche uno dei più brillanti registi di teatro televisivo con Boris Godunov di Puškin (1970), Pagine del diario di Pecorin da Lermontov (1975), Romeo e Giulietta (1982).

Jessner

Leopold Jessner debutta come attore nel 1897 a Cottbus, poi recita a Breslavia e a Berlino. Lavora con C. Heine (dal quale, come dice egli stesso, impara cosa sia la regia) e L. Dumont a Hannover e Dresda, e qui inizia a occuparsi anche di regia. Dal 1904 al ’15, al Thalia Theater di Amburgo, mette in scena soprattutto opere di contemporanei come Ibsen, Hauptmann, Wedekind, Cechov, Maeterlinck. Nel 1910 cura la regia di La morte di Danton di Büchner e, nel 1914, di Ufficiali di Fritz von Unruh. Inoltre, dal 1914 al 1915, con un programma molto simile, dirige le `Volksschauspiele’ (Scene popolari) fondate dai sindacati. Dal 1915 al ’19 è direttore del Neues Schauspielhaus di Königsberg dove, oltre ai contemporanei, mette in scena anche i classici (Re Lear, Don Carlos, Guglielmo Tell, Faust), applicando i principi `espressionisti’ – così definiti dallo stesso autore – elaborati nelle regie di opere di Wedekind ad Amburgo (Lo spirito della terra nel 1906, Risveglio di primavera nel 1907, Re Nicolò nel 1911, La marchesa di Keith nel 1914): la semplificazione simbolica e antinaturalistica della scena, l’accelerazione dinamica, la concentrazione ideale. Comunque Leopold Jessner, spirito idealista e socialista, nel 1913 dichiara che «il regista deve restare nel mondo e comprendere politicamente il suo tempo». Dal 1919 al ’30 è intendente del Teatro nazionale di Berlino e vi cura numerose regie: nelle prime gli spazi sono ancora spogli e la lingua è serrata e sublimata, come in Guglielmo Tell, La Marchesa di Keith e Riccardo III (protagonista Fritz Kortner). Più tardi il suo stile si avvicina al realismo, dalla messa in scena del Wallenstein di Schiller (1924) a quella de I tessitori di Hauptmann (1928); il suo Edipo re (1929) viene elogiato da Brecht. Nel 1930, in seguito ai duri attacchi della destra, dà le dimissioni da intendente. Emigrato nel 1933 all’avvento del nazismo, lavora a Rotterdam (1934), a Tel Aviv (1936) e nel 1939 si stabilisce a Los Angeles.

Ophüls

Dopo l’esordio come attore nel 1919, Max Ophüls si orienta verso la regia teatrale. Lavora a Dortmund, Vienna e dal 1927 a Francoforte, dove allestisce testi di Jonson, Gogol’, Büchner, Schnitzler, Bourdet e diverse operette. Nel biennio 1928-29 lavora a Breslavia, mettendo in scena Molière ( Il malato immaginario ), Shakespeare ( Il mercante di Venezia , Come vi piace ), Kleist, Shaw, Pagnol ( Marius , Fanny ), Achard ( Jean de la lune ). Nel 1930 si trasferisce a Berlino ed entra in contatto con il mondo del cinema, diradando gli impegni teatrali. Esordisce lo stesso anno con il cortometraggio È meglio l’olio di fegato di merluzzo . Dopo La sposa venduta (Die verkaufte Braut, 1932), che già rivela un sicuro dominio del mezzo cinematografico, lo splendido Amanti folli (Liebelei, 1932) gli dà notorietà internazionale. Di origini ebraiche, Ophüls deve lasciare la Germania nazista ed emigrare in Francia, dalla quale, dopo aver girato La signora di tutti (1934), Werther (1938), Tutto finisce all’alba (Sans lendemain, 1939) e Da Mayerling a Sarajevo (1940), deve nuovamente fuggire a causa dell’occupazione tedesca. Ripara negli Usa, dove rimane per un certo tempo inattivo dal punto di vista cinematografico e si dedica alla stesura delle sue memorie ( Spiel im Dasein, pubblicate postume nel 1959) finché, nel 1947, firma Re in esilio (The Exile) e l’eccellente Lettera da una sconosciuta (Letter from an Unknown Woman, 1948), tratto da un racconto di Stefan Zweig.

Tornato in Francia, Ophüls dirige tre capolavori: La Ronde (1950), Il piacere (1952), I gioielli di madame de… (1953). Prima di morire realizza Lola Montès (1955), interpretato da Martine Carol e Peter Ustinov, opera ricca di spunti stilistici originali, ma poco apprezzata al suo apparire; si riaccosta così alla regia teatrale con un’acclamata e rutilante edizione di Il matrimonio di Figaro di Beaumarchais (Amburgo 1957). Finissimo interprete della psicologia femminile, Ophüls pone al centro della sua opera la donna, mostrando «la crudeltà del piacere, i drammi dell’amore, le trappole del desiderio» (Truffaut). Ammirato da Kubrick («Ho sempre adorato i suoi stravaganti movimenti di una cinepresa che possedeva il segreto di avanzare senza posa in quelle scenografie da labirinto, accompagnata da una musica meravigliosa») e dalla nouvelle vague francese, Ophüls è un artista elegante e raffinato, ma la sua grazia è stata spesso scambiata per superficialità. Pochi, invece, hanno saputo fondere così felicemente malinconia e sorriso, dramma e buffoneria, tragedia e levità e far emergere, dietro un’apparenza frivola, un fondo tragico e dolente. La sua predilezione per gli amori infelici, i conflitti del cuore, le disillusioni si sposa a un linguaggio cinematografico di straordinaria originalità. Con i suoi magistrali e spettacolari movimenti di macchina, l’attenzione al ritmo, la cura della colonna musicale e la passione per la danza, la verità delle ambientazioni, la predilezione per le linee diagonali e oblique, il decorativismo dell’immagine, la ricerca e la sperimentazione continua sugli spazi, il gioco degli specchi e dei riflessi, Ophüls incontra quell’«arte del miraggio che è il barocco» (E. Decaux), barocco non come gusto del superfluo e dell’orpello, ma inteso come ricerca di nuove, ardite e seducenti possibilità dello sguardo.

Iuorio

Caratteristico esponente della tradizione scenica napoletana, Antonino Iuorio dopo la sperimentazione delle azioni performative del teatro di strada con il gruppo Chille De La Balanza (protagonista nelle manifestazioni del carnevale veneziano 1984-85), cresce artisticamente collaborando con registi quali L. Ronconi (Oberon di Weber, 1989; Besucher di Botho Strauss, 1989; Gli ultimi giorni dell’umanità, 1991), M. Martone (Woyzeck di Büchner, 1989; Rasoi di E. Moscato) e soprattutto W. Malosti (La trasfigurazione di Benno il Ciccione di A. Innaurato, premio speciale Ubu 1992 per la ‘singolare’ interpretazione; Carne, 1992 e Ballo in maschera, 1997). Fondatore del Gruppo di sperimentazione Fuori Campo, vi ha lavorato in qualità di attore, regista e autore. Fra i suoi testi di cui ha curato anche la regia: Accelerazione, Effusioni sull’omesso, Galena Bianca e Symbionty III. Al teatro affianca un’intensa attività televisiva (La ciociara di D. Risi e Scomparsi di C. Bonivento) e soprattutto cinematografica. Per il grande schermo interpreta fra gli altri Nel continente nero di M. Risi (1992), Morte di un matematico napoletano di M. Martone (1992), Per amore, solo per amore di G. Veronesi (1993), Ivo il tardivo di Benvenuti (1995), Ilona arriva con la pioggia di S. Cabrera (1996) e Bambola di Bigas Luna (1996).

Schleef

Compiuti gli studi a Berlino est, Einar Schleef debutta nel 1972 con una sua scenografia per Don Gil dalle calze verdi di Tirso de Molina alla Volksbühne, ottenendo un immediato successo e il premio della Critica. Tra il 1972 e il 1975 fa sensazione la sua collaborazione con il regista B.K. Tragelenn, con il quale dirige, oltre a realizzare le scenografie, opere come Risveglio di primavera di Wedekind e La signorina Julie di Strindberg . Nel 1975 mette in scena al Kindertheater di Dresda Il pescatore e sua moglie , tratta da Grimm. In seguito lavora ancora a Berlino alla Komische Oper, alla Staatsoper e al Deutsches Theater. Dopo il 1976 si trasferisce a Berlino ovest e si dedica alla scrittura; tra i suoi testi più noti è Gertrud, mostruoso monologo di una madre del 1980.

Nel 1986 mette in scena a Francoforte una sconvolgente Mütter, tratta da Euripide e Eschilo e, due anni dopo la commedia Die Schauspieler. Nel 1987, a Spoleto, presenta Die Nacht, da Mozart. Altre sue messe in scena a Francoforte, sempre oggetto di animate discussioni, sono: Prima dell’alba di Hauptmann, nel 1987 e il Faust di Goethe nel 1990. Un vero scandalo solleva il modo in cui, nel 1993 al Berliner Ensemble, realizza Wessis in Weimar di R. Hochhuth, il quale da tale realizzazione prende pubblicamente le distanze. È stato rilevato come i lavori di S. possano essere visti come ritratto autobiografico in cui si riflette l’esperienza storica contemporanea della Germania.

Pieraccioni

Leonardo Pieraccioni esordisce giovanissimo sul piccolo schermo accanto a Fiorello in “Deejay Televison”, ma ha già dalla sua una precoce esperienza cabarettistica: debutta nel 1985 con Camomilla e viene diretto due anni dopo da G. Ariani in Molto poco spesso . Poi, il teatro vero e proprio: Leonardo Pieraccioni Show (1990), Novantadue verso l’Europa (1992), Villaggio Vacanze Pieraccioni (1992), Pesci e Frigoriferi (1994) e Fratelli d’Italia (1995) con C. Conti e G. Panariello. Dotato di una mimica estrosa e naturale, attraverso l’uso sapiente di un vernacolo mai eccessivo ha saputo imporsi soprattutto al cinema dove, in coppia con lo sceneggiatore G. Veronesi, ha sfornato alcuni tra i più grandi successi commerciali della commedia italiana popolare di questo secolo (Il ciclone nel 1996, Fuochi d’artificio l’anno successivo), livellando verso il basso il gusto della risata generazionale e riuscendo tuttavia a scansare gran parte della volgarità sottesa al genere.

Lepage

Il padre tassista e la madre casalinga sono testimoni precoci della vocazione teatrale di Robert Lepage. Entrato a diciassette anni al Conservatoire d’Art Dramatique e conquistata subito la patente di ragazzo prodigio, sceglie di approfondire il proprio talento in Europa e studia a Parigi con Alain Knapp. Nel Québec ritorna all’inizio degli anni ’80, riconquistando notorietà con il lavoro per la Ligue National d’Improvisation, pronto ad affiancarsi a Jacques Lessard nella direzione del Théâtre Repère. Il suo primo spettacolo, En attendant si ispira a un disegno giapponese, ma da regista aspira anche all’esercizio sui classici ( Coriolano , 1983). Circulations (1984) avvia la serie dei premi e dei riconoscimenti, che culmina in questa prima fase con il `solo’ Vinci (1985): autore, produttore, impresario e protagonista dello spettacolo, Robert Lepage comincia qui a manifestare doti di magnetico narratore e assemblatore di linguaggi. La sua interpretazione stimola l’interesse di Denys Arcand che lo vuole attore nel film Jésus de Montréal. Mentre la tournée di Vinci gli prepara una notorietà internazionale, più consapevole si fa in lui la matrice québecoise, utilizzata però come trampolino per interessi cosmopoliti e aperture su paesaggi transnazionali. È dal gioco nomade fra i continenti che comincia a nascere nel 1985 La trilogia dei dragoni, kolossal sull’emigrazione asiatica in Canada e saga generazionale recitata in tre lingue per una durata di sei ore (Parigi e Milano nel 1989 godranno della versione integrale). Polygraph (1987) e Tectonic plates (1988-90) rilanciano una passione per l’intreccio, magari sentimentale e investigativo insieme, mentre la scena dispiega un’inventiva di spazi e di strumenti, ricca di soluzioni assolutamente inedite, attente, ma non schiave, della tecnologia.

All’imponenza di queste produzioni Lepage sa anche alternare lavori più ridotti, dove recupera una personale sensibilità d’interprete: le pene d’amore di Jean Cocteau e Miles Davis, ma anche le proprie, sono narrate Gli aghi e l’oppio (1991), un `solo’ a lunga tenitura che accompagna, a metà degli anni ’90, la fondazione di Ex Machina (1994), la sua compagnia, che ha sede in una vecchia caserma dei pompieri a cavallo a Montréal. Ha avuto modo intanto di allestire opere musicali (Il castello di Barbablù, Erwartung) e di preparare il Secret World Tour del musicista Peter Gabriel. Occasione per un altro kolossal sono I sette bracci del fiume Ota (1995), spettacolo che riallaccia fili presenti in precedenti lavori commemorando il 50º anniversario della bomba di Hiroshima in un’organizzazione complessa di nessi narrativi e visivi, cortocircuito continuo di storie e di geografie. Nel filone dei “solo” si iscrive invece la esercitazione sul personaggio di Amleto presentata in Elsinore (1995). Mentre già prende corpo il nuovo lavoro sull’architettura di Frank Lloyd Wright, Les geometries des miracles (1998), il suo film Il confessionale viene proiettato a Cannes (1995) e dai materiali dello spettacolo su Hiroshima nasce la sceneggiatura di un altro film, No.

Stori

Formatosi come burattinaio con Otello Sarzi nel 1976, Bruno Stori è tra i fondatori del Teatro delle Briciole con cui collabora ancora stabilmente; attore per la Compagnia del Collettivo, oggi Stabile di Parma, è anche fondatore del Teatro Lenz Rifrazioni sempre di Parma (1985). Attore di grande e forte sensibilità, ha scritto e spesso diretto alcuni degli spettacoli più belli del teatro-ragazzi italiano soprattutto per le Briciole: Nemo (1979), Il topo e suo figlio (1982), Il grande racconto (1990), Un bacio ancor… un bacio ancor… un altro bacio (1992), Con la bambola in tasca (1994), ma anche per altri gruppi Romanzo d’infanzia (1997) per la compagnia Abbondanza Bertoni, Gioco al massacro (1997) per il Teatro Città Murata di Como.

Citti

Scoperto da Pasolini, che in Accattone (1961) gli fa interpretare il personaggio di un ragazzo di vita e che lo dirigerà successivamente in Mamma Roma (1962), Edipo re (1967), Porcile (1969), Decameron (1971), I racconti di Canterbury (1972), Il fiore delle mille e una notte (1974). Sotto la regia del fratello Sergio, Franco Citti lavora nei film Ostia (1971), Storie scellerate (1973), Casotto (1977), Il minestrone (1981), I magi randagi (1997). Diretto anche da B. Bertolucci in La luna (1979), F.F. Coppola nel Padrino (1972) e Padrino parte terza (1990), F. Maselli (Il segreto), E. Petri (Todo modo), C. tratteggia con grande bravura personaggi istintivi, di desolata amarezza. In teatro lavora tra gli altri con M. Martone (voce recitante in Oedipus Rex di Stravinskij, 1988), C. Quartucci ( I giganti della montagna , 1989), M. Missiroli ( La locandiera , 1991) e G. Barberio Corsetti ( La nascita della tragedia , 1996). Con Cartoni animati (1998), presentato e premiato a Taormina Arte ’98, firma la sua prima regia cinematografica con la supervisione del fratello Sergio. Favola ambientata nell’estrema periferia romana attraversata da un campionario di varia e diseredata umanità, il film ritrova ambienti e personaggi cari all’universo poetico dei fratelli Citti.

Bessegato

Paolo Bessegato frequenta la scuola del Piccolo Teatro di Milano. Dopo il diploma (1974) e dopo una breve esperienza di assistente alla regia di Giorgio Strehler e Dario Fo inizia l’attività di attore nel ’75 con la compagnia di Virginio Gazzolo. Alla fine degli anni ’70 è uno degli animatori del Teatro Uomo di Milano, un luogo di sperimentazione artistica e di impegno civile. Nel ’79, la sua prima opera come autore, Manuale di disoccupazione viene presentata al Club Brera, un piccolo spazio che, a Milano, è stato per qualche anno un centro di attività ricerca. La sua prima interpretazione importante è Tartufo (1981) con la regia di Mina Mezzadri al Centro Teatrale Bresciano. Qui stabilisce, dal 1985, una intensa collaborazione con il regista Nanni Garella per cui interpreterà Ricorda con rabbia di Osborne, Agamennone di Alfieri e, fuori dal Ctb, Ista laus e Didone abbandonata. Tra le altre interpretazioni, Alcesti nel 1992 con la regia di Walter Pagliaro; Adelchi nel ’93 con la regia di Mina Mezzadri; La morte civile nel ’94 diretta da Giuseppe Bertolucci, Ecuba ancora nel 1994 diretta da Massimo Castri, e nel 1996 Arlecchino servitore di due padroni con la regia di Nanni Garella accanto a A. Haber. Come regista e interprete firma alcuni recital poetici: Uccellino meschino di Giancarlo Majorino nel ’78; Gli sguardi, i fatti e senhal di Andrea Zanzotto nel 1980; Fuochi incrociati di Antonio Porta nel 1984; Villon di Roberto Mussapi nel 1990 e Bibbiù di Achille Platto nel 1996, solo come regista. Al teatro alterna l’attività di attore in tv, nella musica e nel cinema.

Mejerchol’d

Terminata la scuola teatrale diretta da V. Nemirovic-Dancenko, Vsevolod Emil’evic Mejerchol’d viene da lui chiamato a far parte della compagnia del Teatro d’Arte appena fondato con K. Stanislavskij, dove rimane dal 1898 al 1902, interpretando fra gli altri alcuni personaggi cechoviani (Treplev nella prima edizione del Gabbiano e Tuzenbach in quella di Tre sorelle), Vasilij Suiskij (Lo zar Fedor Ioannovic ) e Ivan il Terribile (La morte di Ivan il Terribile) entrambi di Tolstoj, Malvoglio ne La dodicesima notte e il principe d’Aragona ne Il mercante di Venezia . Lascia il Teatro d’Arte per fondare una propria compagnia dove per la prima volta si cimenta nel ruolo di regista: per tre anni lavora in provincia, con un repertorio che riprende molti titoli già affrontati sotto la direzione di Stanilavskij e Nemirovic (Cechov, Gor’kij). Nel 1905 Stanislavskij lo richiama: vuole fondare uno Studio per avviare una libera sperimentazione nel campo della regia e della recitazione al di fuori dei modelli realistici consolidati all’interno del Teatro d’Arte. Il repertorio orientato in senso simbolista (Hauptmann, Maeterlinck), il sistema di recitazione e l’impostazione registica estremamente stilizzati lasciano perplesso Stanislavskij che decide di chiudere l’esperimento prima di affrontare il pubblico. Nel 1906 Mejerchol’d viene chiamato a Pietroburgo da Vera Komissarzevskaja: la grande attrice gli affida la sua compagnia.

Le scelte di repertorio proseguono nella stessa linea dello Studio: Hedda Gabler di Ibsen, Suor Beatrice di Maeterlinck, La vita dell’uomo di Léonid Andreev e La baracca dei saltimbanchi di Aleksandr Blok, spettacolo, quest’ultimo, che diventa manifesto del teatro ‘convenzionale’ per la perfetta stilizzazione di recitazione, scene, costumi e soluzioni sceniche. L’intesa con la primattrice si rompe presto: la Komissaerzvskaja accusa il regista di privilegiare le nuove ricerche a scapito del proprio talento. Dal 1908 al 1917 Mejerchol’d lavora stabilmente nei due teatri imperiali di Pietroburgo: allestisce, con messinscene fastose e accuratissime, spesso in collaborazione col grande scenografo A. Golovin, all’Aleksandrinskij grandi classici russi e europei (Don Giovanni di Molière, L’uragano di Ostrovskij, Un ballo in maschera di Lermontov), al Marijinskij opere liriche (Tristano e Isotta di Wagner, Orfeo e Euridice di Gluck, Elettra di Strauss). Non abbandona comunque la ricerca: a partire dal 1914 fonda una rivista di studi teatrali (“L’amore delle tre melarance”) e un proprio Studio (chiamato `di via Borodinskaja’ dal nome della via dove ha sede) dove sperimenta con giovani allievi nuove forme di gestualità, rifacendosi alla tradizione di improvvisazione della commedia dell’arte e alla stilizzazione del teatro orientale; per le esercitazioni utilizza canovacci di comici italiani, scene da grandi tragedie shakespeariane, testi di autori simbolisti ( La sconosciuta di A. Blok). È tra i primi ad aderire con entusiasmo alla Rivoluzione del 1917: abbandona i teatri imperiali e lavora nella sezione teatrale del Commissariato per l’Istruzione prima a Pietrogrado poi a Mosca, dove nel 1921 fonda un proprio teatro chiamandolo Teatr RSFSR I. Primi spettacoli: Albe di Verhaeren (1921), con una radicale rielaborazione del testo in senso rivoluzionario e scene cubiste di Dmitriev, e una riedizione di Mistero-Buffo di Majakovskij (già messo in scena nel primo anniversario della Rivoluzione a Pietrogrado).

Mejerchol’d assume negli anni immediatamente postrivoluzionari un ruolo di guida in ogni forma di sperimentazione: accoglie nel suo teatro e stimola alla scrittura i giovani drammaturghi, di cui poi mette in scena con entusiasmo i lavori, contribuendo così coraggiosamente alla formazione di un fino allora inesistente repertorio sovietico (Fajko con Il lago Ljul’ , 1922; Sel’vinskij con Komandarm 2 , 1929; Visnevskij con L’ultimo decisivo , 1931; Olesa con L’elenco delle benemerenze, 1931; German con Introduzione , 1933; oltre ai due ultimi lavori del già celebre Majakovskij, La cimice, 1929 e Il bagno , 1930); continua le sue ricerche nel campo della formazione dell’attore, lanciando una nuova formula, la ‘biomeccanica‘, dove accanto al tradizionale allenamento ginnico-espressivo tenta l’utilizzazione dei `gesti di lavoro’, rielaborazione della teoria tayloriana (sperimenta la formula in alcuni spettacoli, poi, trovandola troppo schematica, la limita al training); infine affronta, con riletture rivoluzionarie, i grandi classici del teatro russo ed europeo ottocentesco, riuscendo a metterne in luce con sconcertante audacia l’attualità, troppo spesso soffocata da messinscene tradizionali (La morte di Tarelkin di Suchovo-Kobylin, 1922; Un posto lucrativo e La foresta di Ostrovskij, rispettivamente 1923 e 1924; soprattutto Il revisore di Gogol’, 1926 e Che disgrazia l’ingegno di Griboedov, 1928, due spettacoli storici a cui ancor oggi si ricorre per l’intelligenza delle eversive soluzioni interpretative; poi La dama delle camelie di Dumas, 1934; 33 svenimenti da atti unici di Cechov, 1935). A partire dalla metà degli anni ’30 la posizione di Mejerchol’d si fa sempre più difficile, a causa degli attacchi continui della critica ufficiale, che lo accusa di `formalismo’ ossia di tendenze contrarie al realismo socialista, corrente ormai ritenuta ufficiale in tutte le arti. Molti suoi spettacoli in preparazione vengono vietati, i lavori già iniziati dell’edificio teatrale da lui progettato vengono sospesi, la stampa lo denigra in ogni senso: nel 1939 viene arrestato con l’accusa di attività antisovietiche e, dopo mesi di interrogatori e torture, fucilato. Solo all’inizio degli anni ’60 si ricomincia a parlare di lui in Unione Sovietica: la tardiva riabilitazione permette di pubblicare i ricchi materiali preparatori per le regie (appunti, stenogrammi di prove) e i suoi non copiosi scritti teorici.

Taddei

Pur formatosi nell’ambito della pittura e delle performing arts, Andrea Taddei debutta collaborando ad opere musicali. La prima regia che firma (1981) è La Teresina, opera per interpreti bambini di Filippo Hazon. In quello stesso anno, con Carlo Bacilieri e Emanuela Ligabue fonda Padiglione Italia, nei cui allestimenti mette in luce un gusto per il catalogo e il disorientamento spaziale (un tavolo da biliardo per le azioni di Verdi sponde , 1982; l’interno di una serra per Le piante , Biennale di Venezia, 1984), accompagnato da quella pulsione verso un effimero cui dà sfogo anche nelle serate `enfatiste’ in gallerie d’arte e esibizioni collettive.

La sua ricerca si fa più scanzonata via via che le composizioni del gruppo si traducono in opere vere e proprie (Serenatassira, Santarcangelo 1985) ed egli si assume l’intera responsabilità di spettacoli astutamente citazionisti, come Pigmalione – numero zero (1989), in cui smonta il mito, accumulandone i remake in una parodia colta e kitsch allo stesso tempo. Si intensificano intanto le sue collaborazioni con I Magazzini (è tra gli interpreti di Hamletmaschine di Heiner Müller), con Dario Marconcini e Paolo Billi, e gli interventi decorativi, architettonici e teatrali assieme a Marco Mencacci.

Alla rilettura di Motel di Claude van Itallie (‘masque per tre fantocci’ presentato nella rassegna `Utopia americana’ del 1992 a Torino), i due fanno seguire la divagante trilogia di un monologo teatral-gastronomico (Gloria, 1992) e di un esercizio di stile ascetico (Le tentazioni di Toni, 1993) chiusi dalla ripresa di Pigmalione (atto terzo) in una nuova versione. Coronato da un premio Ubu 1993 per la scrittura drammaturgica, Taddei recupera volentieri il ruolo di scenografo e costumista, spesso per Theatrid’Ithalia (Alla greca, Roberto Zucco) ma anche per attrici quali Mariangela Melato, Valeria Moriconi, Manuela Kustermann, riservandosi lo spazio di una regia all’anno, come per il pirandelliano Berretto a sonagli del 1996, e per una Bisbetica domata, affidata a interpreti maschili, nel 1997.

Vetrano

Enzo Vetrano inizia il suo lavoro di attore con Michele Perreira a Palermo. Nel 1974 è protagonista del Marat/Sade di Weiss e del Woyzeck di Büchner con la regia di Beppe Randazzo, con il quale fonda il teatro Daggide a Palermo. Con il Daggide realizza, tra gli altri, uno spettacolo di grande successo, Ubu re di Jarry, in cui interpreta la parte di Ubu. All’interno di questa esperienza di teatro di gruppo dà il via alla sua ricerca che si orienta verso il teatro d’attore, l’improvvisazione e l’idea della drammaturgia collettiva, privilegiando la scrittura scenica.

Dal 1976 lavora insieme con Stefano Randisi, dapprima in The Connection di J. Gelber (regia di Leo de Berardinis) per la cooperativa Nuova Scena di Bologna di cui diventa socio, e all’interno della quale nel 1983 forma una propria compagnia. Prosegue il suo sodalizio con Randisi, con il quale realizza molti progetti teatrali; tra i tanti la trilogia dedicata alla Sicilia, loro terra d’origine: Principe di Palagonia , Mata Hari a Palermo (premio Palermo per il Teatro 1988), L’isola dei beati (1988). È diretto da Randisi con Nestor Garay in Giardino d’autunno di D. Raznovich. Continua in parallelo a recitare con De Berardinis in L’impero della ghisa (1991), I giganti della montagna di Pirandello (premio Ubu 1993 come spettacolo dell’anno), Lear opera e Totò principe di Danimarca . Con Randisi dirige e interpreta Diablogues (1994) e Beethoven nel campo di barbabietole (1996) di R. Dubillard. È attore e coregista dello spettacolo Mondo di carta , dalle novelle di Pirandello.

Savelli

Dopo gli studi universitari a Firenze con Ludovico Zorzi, nel 1974 Angelo Savelli entra nella cooperativa Il Granteatro di Carlo Cecchi, partecipando alla realizzazione di Woyzeck di Büchner, A’ morte dinto o’ lietto `e Don Felice di Petito e La cimice di Majakovskij. In seguito è assistente alla regia di E. Marcucci in 23 svenimenti di Cechov. Nel 1976 firma la sua prima regia, l’operina di Mozart Bastien und Bastienne. Nello stesso anno fonda la compagnia Pupi e Fresedde, della quale è tuttora direttore artistico e per la quale fino a oggi ha messo in scena oltre trenta spettacoli (la metà anche in veste d’autore). Tra i più importanti: La terra del rimorso (1977), I balli di Sfessania (1978), Il convitato di pietra, ovvero Don Giovanni e il suo servo Pulcinella (1981), Plauto in farsa (1985), Figaro o le disavventure di un barbiere napoletano (1989), Carmela e Paolino varietà sopraffino (1990; ancora in scena), Cafè Champagne (1991) e Gianburrasca, un monello in casa Stoppani (1993). Il suo lavoro sulla drammaturgia contemporanea si esplicita attraverso i testi di Cerami (L’amore delle tre melarance, 1984), Müller (Quartetto, 1987), Santanelli (Le tre verità di Cesira, 1990) e Ruccello (Mamma, 1995).

Wilson

La formazione di Georges Wilson è segnata dall’incontro con grandi maestri: nel 1945 è allievo di Pierre Renoir; nel 1947-48 è nella compagnia Grenier-Hussenot; nel 1952 collabora con Jean Vilar all’allestimento di Ubu re di Jarry (Théâtre National Populaire). Nel 1963 subentra a Vilar nella direzione del TNP, che lascerà nel 1972: Brecht (Il signor Puntila e il suo servo Matti ), Corneille, Shakespeare sono gli autori degli allestimenti di maggior successo. In seguito collabora con diverse sale (in particolare L’Oeuvre) e nel 1986 si lancia nel cinema con Léopold le bien-aimé , da una pièce di Jean Sarment; tra i suoi maggiori successi, Sarah ou le cri de la langouste (1982), Eurydice di Anouilh, con il debutto in teatro di Sophie Marceau, Enrico IV di Pirandello (1995).

Cullberg

Pittrice, laureata in Letteratura all’Università di Stoccolma, Birgit Cullberg dal 1935 al 1939 studia danza moderna con Kurt Jooss e Sigurd Leeder perfezionandosi a New York con Martha Graham e debutta con un primo gruppo nel 1939. Nel 1947 forma insieme a Ivo Cramer lo Svenska Dansteater e inizia la sua attività di coreografa, subito contrassegnata dal suo capolavoro Signorina Giulia (1950), entrato successivamente nel repertorio di molte compagnie internazionali (in Italia è eseguito dal Balletto della Scala) e da Medea (con Maurice Bejart nella parte di Giasone, 1950). Dal 1952 al 1957 è coreografa principale del Balletto Reale Svedese per il quale crea, tra gli altri, Moon Reindeer (1957); in seguito, affianca all’attività di coreografa ospite (Lady from the Sea , 1960 da Ibsen e Eden , 1961 per American Ballet Theatre) quella, all’epoca pionieristica, di coreografa televisiva, condotta con audace sperimentazione dei mezzi tecnici e notevoli risultati creativi in La Strega Cattiva (Premio Italia 1961), I am not You, Pulcinella e Pimpinella, Red wine in green glasses (Premio Italia 1971), Peer Gynt. Nel 1967 fonda il Cullberg Ballet, prima compagnia di ‘giro’ svedese, per il quale firma altri significativi balletti, come Euridice è morta (musica Ennio Moricone, 1968), l’essenziale versione di Romeo e Giulietta (musica di Prokofiev, 1969), Revolt (1973), La scuola delle mogli (1974), War Dances (1979); lasciata la carica di direttrice della compagnia al figlio Matsek nel 1980, continua a seguire i molti allestimenti internazionali delle sue opere. Personaggio di punta del balletto moderno europeo e ‘madre’ della danza contemporanea svedese, che ha marcatamente segnato con la sua poetica e il suo stile, ha saputo tradurre i suoi interessi per la letteratura e il teatro moderno (ravvivati anche dalla vicinanza del marito, l’attore Andersek) nel genere del `’dancedrama ‘ che con lei ha assunto una struttura agile e essenziale e si è concentrato sull’osservazione delle problematiche sociali e interpersonali contemporanee, sviluppate attraverso un vocabolario di danza fortemente espressivo, dato dalla efficace e sintetica fusione tra i vari stili coreutici e dalla reinvenzione della gestualità quotidiana, utilizzata come coinciso mezzo `narrativo’.

Engel

Dopo studi di recitazione, intrapresi alla Theaterschule di Jessner, Erich Engel concentra il proprio interesse sui problemi relativi alla regia. Ad Amburgo, nel 1918, esordisce come regista presso i Kammerspiele; nel 1922 è a Monaco, dove Carl Zeiss lo scrittura per lo Staatstheater e dove avviene l’incontro con Brecht. Ha così inizio un fecondo periodo di collaborazione che annovera messe in scena come Nella giungla delle città (1923), L’opera da tre soldi (1928), Madre Coraggio (1949), Il signor Puntila e il suo servo Matti (1950), Vita di Galileo (1957, sua ultima realizzazione registica) e che sancisce il suo ruolo di regista all’interno del Berliner Ensemble. Negli anni successivi la sua attività si sposta prima al Deutsches Theater e allo Staatliches Schauspielhaus, poi – come regista ospite – in vari teatri. Dal 1945 al ’47 assume la direzione dei Kammerspiele di Monaco, in seguito dello Hebbeltheater di Berlino. Dal 1931 comincia la sua intensa attività di regista cinematografico. La regia teatrale di E. si avvale di un metodo `scientifico’ che, attraverso il rifiuto di ogni abbellimento letterario, si impone nell’intento di negare sia un certo realismo, ormai reso sterile dai canoni di maniera, sia quella rigida componente stilistica rintracciabile nel teatro tedesco dell’epoca. Gli interventi sul testo sono soprattutto improntati su un gusto particolare per il razionalismo, elemento che si rileva all’interno dello sviluppo drammaturgico dell’opera.

Nekrosius

A venticinque anni Eimuntas Nekrosius diventa direttore e regista stabile al Teatro dei Giovani di Vilnius, dove debutta con Gusto di miele di S. Delaney (1976). Dopo un testo di G. Kanovicius e S. Saltenis, Un gatto fuori dalla porta (1980) e un montaggio shakespeariano (Amore e morte a Verona , 1980), nel 1981 mette in scena uno spettacolo dedicato al pittore naïf georgiano Pirosmanisvili (Pirosmani, Pirosmani ), che per la potenza figurativa e l’intensità dell’interpretazione ottiene un successo clamoroso, non solo in patria ma in tutti i festival europei di cui è ospite. Lo stesso avviene per la successiva serie di testi per lo più classici (ad eccezione di Un giorno lungo un secolo da C. Ajtmatov, 1983): Zio Vanja di Cechov (1986), Il naso da Gogol’ (1991), le piccole tragedie di Puškin (Mozart e Salieri, Il convitato di pietra , Il festino durante la peste , 1994), Tre sorelle di Cechov (1995), Amleto di Shakespeare (1997, dove il protagonista è un famoso cantante rock lituano). In questi spettacoli, ovunque accolti come autentiche rivelazioni di un talento unico nell’attuale contesto europeo, il testo viene spezzato, smontato e rimontato, diventa occasione per una rilettura visionaria, fantastica, con suggestive invenzioni gestuali e scenografiche, dove il grottesco si mescola alla clownerie in una stimolante deformazione del senso tradizionale di battute e scene. N. è stato più volte premiato per le sue regie in vari paesi europei, fra l’altro anche a Taormina.

Mantesi

Diplomato all’Accademia d’arte drammatica, recita con R. Ruggeri e fin dal ’49 Gianni Mantesi viene diretto da Strehler in alcuni fra i più celebri spettacoli delle prime stagioni del Piccolo Teatro di Milano ( Le notti dell’ira di Salacrou, I giacobini di Zardi, La morte di Danton di Büchner, accanto a T. Carraro, fino al Il campiello di Goldoni). Degna di nota, nel 1985, la sua interpretazione nel ruolo di un Priamo in doppiopetto ne La guerra di Troia non si farà di Giraudoux, di cui è stato anche regista.

Neiwiller

Presenza artistica forte ma discreta, e di rara intensità, Antonio Neiwiller attraversa tre decenni di ricerca teatrale italiana. Nella sua formazione studi filosofici, insegnamento, preparazione tecnica e pittura: arte che Neiwiller equipara al teatro, e nella quale privilegia l’opera di Paul Klee. Dapprima scenografo e scenotecnico, firma la prima regia nel 1974, Ti rubarono a noi come una spiga (da P. Eluard, S. Quasimodo, R. Scotellaro, E. Vittorini), alla quale seguono Don Fausto di A. Petito (1975), Quanto costa il ferro? di Brecht (1976), BerlinDada (1977), Anemic Cinema (1979). Intento a combinare nella complessità dell’arte teatrale i diversi linguaggi artistici (pittura, musica, danza), la sua sottile fantasia con il rigore della ricerca, in seguito all’incontro con spettacoli di Grotowski e Kantor ( La classe morta ) Neiwiller abbandona i testi e si indirizza verso un teatro del silenzio e della memoria, antidoto alla `barbarie’ edonistica e consumistica degli anni ’80. Alla guida del gruppo napoletano Teatro dei Mutamenti (con il quale nel 1978 ha già realizzato una seconda edizione di Don Fausto ), attraverso un lungo lavoro laboratoriale e lo stretto rapporto artistico con gli attori, dà vita a Titanic the End (1983), Darkness (1984), Fantasmi del mattino (1985-86), Storia naturale infinita (1987). Neiwiller, che già nel 1977 aveva preso parte a Maestri cercando: Elio Vittorini (regia di R. Carpentieri), ha intanto cominciato, con eccezionale talento, a recitare. Lavora nelle produzioni del gruppo Falso Movimento: protagonista nel 1985 di Il desiderio preso per la coda da Picasso, prende parte a Coltelli nel cuore da Brecht (1985) e Ritorno ad Alphaville da J.-L. Godard (1986, regie di M. Martone), irrompendo come una «rivelazione di verità e umanità nel disegno formale del gruppo». Nel 1987 partecipa a Napoli alla nascita di Teatri Uniti, in cui confluiscono Falso Movimento, Neiwiller e il regista-attore Toni Servillo. Nel 1987-88, con L. Putignani, S. Cantalupo, A. Cossia, realizza per Teatri Uniti due sessioni di laboratorio ( Questioni di frontiera ), presentate ai festival di Santarcangelo e Montalcino, dove incontra il musicista Steve Lacy.

Nell’allestimento La natura non indifferente (1989), ispirato all’artista tedesco Joseph Beuys e al legame tra arte, energia primordiale, creazioni della civiltà, lo Steve Lacy Trio è sul palco. Segue Una sola moltitudine (1990), un’opera-installazione `visionaria’ (Neiwiller è anche tra gli interpreti) dedicata allo scrittore portoghese Fernando Pessoa e all’emarginazione dell’artista. Nello stesso periodo lavora con L. de Berardinis, recitando in Ha da passà `a nuttata (1989) e Totò, principe di Danimarca (1990). Elabora quindi La trilogia della vita inquieta , ispirata a Pasolini, Majakovskij, Tarkovskij: in Dritto all’inferno (festival di Volterra 1991) le parole di Pasolini sono frantumate in un linguaggio inventato, nato direttamente dal corpo dell’attore. Nello stesso anno a Erice, ospite di `La zattera di Babele’, realizza Salvare dall’oblio , performance su testi di M. Beckmann, K. Valentin, R. Viviani, e dà una memorabile prova cinematografica come Don Simplicio in Morte di un matematico napoletano di Martone. Canaglie , secondo capitolo della trilogia, dopo l’anteprima napoletana (maggio 1992) è interrotto per la malattia che colpisce l’artista. Neiwiller riprende a recitare nel 1993: è Cotrone in I giganti della montagna di Pirandello per la regia di Leo de Berardinis, e quindi il sindaco di Salina nel film Caro diario di Nanni Moretti. L’altro sguardo , presentato al festival di Volterra 1993, è il suo ultimo lavoro di autore-attore, in scena con L. Putignani e il pittore G. Savino: lo spettacolo, con il bellissimo testo `Per un teatro clandestino – dedicato a T. Kantor’, costituisce il suo testamento poetico; ne dà testimonianza filmata il mediometraggio di R. Ragazzi Antonio Neiwiller. Il monologo de `L’altro sguardo’ , presentato al festival di Venezia 1996.

Wajda

Andrzej Wajda compie gli studi dapprima all’Accademia di belle arti di Cracovia, poi alla Scuola superiore di cinema di Lódz. Dirige il Teatr Wybrzeza di Danzica e il Teatr Stary di Cracovia. Esordisce nella regia di un’opera teatrale nel 1959, con Un cappello pieno di pioggia da M.V. Gazo, quando è oramai un affermato regista cinematografico. Tra le prime regie, da ricordare quella di Le nozze per lo Stary Teatr di Cracovia (1963), per le conseguenze che avrà nella successiva attività cinematografica e teatrale di W. questo primo incontro con Wyspianski. Dopo lo scarso successo ottenuto con I diavoli di Whiting nello stesso anno, Wajda abbandona il teatro, per farvi ritorno nel 1971 con un adattamento dei Demoni di Dostoevskij. Completa la sua trilogia dostoevskiana con l’improvvisazione Nastazja Filipowna (1977), Delitto e castigo (1984) e Nastazja, da L’idiota (1988), versione definitiva del precedente studio del 1977.

Dai primi anni ’70 W. affianca l’attività teatrale a quella cinematografica, adattando per lo schermo spettacoli precedentemente diretti sul palcoscenico: Le nozze nel 1972, L’affaire Danton (da Stanislawa Przybyszewska, 1975; adattamento cinematografico: Danton) nel 1982, I demoni nel 1986, Nastazja – con l’attore giapponese Tamasaburo Bando nel doppio ruolo di Nastasja Filipovna e del principe Myskin – nel 1996. Vastissimo il repertorio delle regie teatrali di W., che spaziano da Sofocle (Antigone, 1984) a Mrozek (Emigranti, 1976), da Shakespeare a Dürrenmatt (Der Mittmacher , 1973), con una prevalenza di autori moderni: An-ski, Buero Vallejo, Rabe, Strindberg, Mishima, Rózewicz. Alcune messe in scena del regista di L’uomo di marmo sono state considerate autentici avvenimenti culturali.

Una di queste fu Notte di novembre (da Wyspianski, 1974): Wajda ha saputo cogliere il carattere di lamento sulla perdita della libertà e insieme di atto di fede nella sopravvivenza della identità culturale e nazionale polacca proprio dell’originale, riuscendo a far muovere alla perfezione il complesso meccanismo scenico immaginato da Wyspianski. Di grande spessore l’Amleto, diretto sempre per il Teatr Stary di Cracovia nel 1981: W., contaminando il testo shakespeariano con suggestioni da Wyspianski, realizza uno spettacolo magico, dimostrando come dalla paura, dall’incertezza, dall’incomprensione, dal rancore possa scaturire l’autoaffermazione di un uomo. L’interpretazione del testo è lasciata all’operato degli attori. Nella pièce tutti i conflitti sono puramente umani: ogni possibile conclusione generale di carattere filosofico non può che scaturire dall’osservazione dei comportamenti più elementari e immediati. L’assunto su cui ruota la lettura del personaggio-Amleto è la sua volontà di essere un attore perfetto, a fronte del desiderio di ogni attore di essere un Amleto perfetto.

Wajda attualizza l’identificazione della vita col teatro, che tanto peso ha nell’opera di Shakespeare (tutti recitiamo: Amleto, che deve fingere di fronte alla corte, è un timido dilettante e un attore professionale), impegnando nei ruoli del Re e dell’Attore, della Regina e dell’Attrice gli stessi attori, rendendo pubblico partecipe interlocutore del dramma rappresentato sulla scena. Nel corso degli anni W. si è impegnato in regie di spettacoli di sua propria concezione, come Nel corso degli anni, nel corso dei giorni… (1978), dove attraverso un collage di brani della narrativa polacca si rappresenta la vita di una città, «capitale ufficiosa di uno stato inesistente» (Cracovia) tra il 1873 e il 1914, nello snodarsi di una successione di fatti veri e inventati e nell’avvicendarsi di personaggi letterari e realmente vissuti.

Alla luce dell’affermazione di Amleto «Per poter essere buono, devo essere crudele», il regista ha operato una selezione all’interno della trama di Delitto e castigo , ravvisandone il nocciolo drammatico non nella descrizione del delitto compiuto da Raskol’nikov, ma negli scontri verbali tra l’assassino e il poliziotto, cui vengono giustapposti i colloqui tra lo studente e Sonia. Tra le regie di W. più significative degli ultimi anni, sono sicuramente da annoverare il Dibbuk da An-ski (1988) e il recente Mishima (Cracovia, Teatr Stary 1996), basato su quattro nô (Il ventaglio, L’armadio, La Signora Aoi, Il tamburello di raso) incentrati sul tema delle passioni che prevaricano sentimenti e ragione, dove va ascritta tutta al regista la capacità di identificare la dimensione sociale – oltre che personale – della patologia della paralisi del vivere.

Paolini

Marco Paolini è una delle figure più interessanti e originali del teatro di questo ultimo scorcio di secolo: reinventa il linguaggio della narrazione prendendo spunto dalla tradizione degli affabulatori e dal teatro di Dario Fo, raccontando vicende autobiografiche e della sua terra d’origine. Una sintesi a cui approda dopo diversificate esperienze raccolte da autodidatta, in molti settori del teatro: da quello politico a quello di strada, alla clownerie, alla commedia dell’arte. Inizia a lavorare partecipando all’esperienza del teatro politico (1974) e fino al 1982 fa parte dei gruppi Teatri di Base, prosegue in seguito nell’area chiamata del `terzo teatro’, lavorando con il gruppo di Pontedera e con Eugenio Barba. Fa parte del Tag Teatro di Venezia (1984-86). Dal 1987 al 1986 è con il Teatro Settimo diretto da G. Vacis nelle vesti di attore e coautore. A farlo conoscere è il suo spettacolo sul romanzo di L. Meneghello Libera nos a malo. Recita anche La storia di Romeo e Giulietta e La trilogia della villeggiatura in una originale e un po’ gigionesca interpretazione di Filippo. Si incammina in una scelta di lavoro autonomo di opere a-solo, con la cooperativa teatrale Moby Dick-Teatri della Riviera. I primi spettacoli sono Gli Album di Marco Paolini, dove nella parte del suo alter-ego Nicola (dal nome del protagonista del Petit Nicolas di Goscinny) mescola ricordi autobiografici, storie, memorie e personaggi della sua terra d’origine. Da Adriatico a Tiri in porta a Liberi Tutti (scritti con G. Vacis che ne ha curato anche la regia) e Aprile ’74 e 5 sono tappe di una crescita dall’infanzia alla giovinezza, e nello stesso tempo un affresco dell’Italia dal 1964 in poi. Lo ha reso famoso Il racconto del Vajont , la cronaca della frana di Longarone, con il quale vince il Premio Speciale Ubu 1995 e il premio Idi (diventato un evento televisivo nel 1997 nell’adattamento di Felice Cappa e Gabriele Vacis che ne è coautore e ne ha curato la regia teatrale). Prosegue il racconto di viaggio: Il milione, quaderno veneziano di Marco Paolini (1997). Realizza in tre puntate su opere di poeti veneti (Zanzotto, Meneghello, Marin): Bestiario in Brenta , Bestiario Parole Matte e L’orto per l’Olimpico di Vicenza (1998).

Mantegazza

Dapprima pittore e illustratore, Agostino Mantegazza incomincia a interessarsi di spettacolo agli inizi degli anni ’60 dirigendo due locali di Milano, ma è nel 1964 che con la moglie Velia allestisce il suo primo teatrino di pupazzi su nero. È la svolta della sua vita artistica che lo porta verso il teatro di figura inteso come teatro popolare d’arte, dove l’immagine, il testo e la musica si fondono per creare un teatro di totale impatto emozionale. Nel 1974 fonda il Teatro del Buratto di Milano e fa del Teatro Verdi uno dei centri del teatro ragazzi italiano più importanti, dirigendo anche il festival di Muggia dal 1983 al 1985. Profondo conoscitore del teatro di figura, dopo l’uscita dal Buratto cura diverse altre iniziative in questo ambito. È stato tra gli ideatori della trasmissione televisiva “L’albero azzurro”.

Schall

Dopo gli studi presso lo Schauspielstudio di Magdeburgo, dal 1948 al 1951 Ekkehard Schall è scritturato dal Teatro di Francoforte. Nel 1952 inizia a lavorare al Berliner Ensemble dove gli vengono affidati ruoli sempre più importanti e ne diviene uno dei primi attori. Dal 1977 sino all’inizio degli anni ’90 vi lavora anche come vice intendente. Tra i ruoli più importanti da lui interpretati vanno ricordati il protagonista in La resistibile ascesa di Arturo Ui (la prima è del 1959); Rigault in I giorni della Comune di Brecht (1962); protagonista nel Woyzeck di Büchner (1970); Herakles nell’ Omphale di Hacks con la regia di Ruth Berghaus (1972); Iwagin in Zement di Gladkow e Heiner Müller (1973). Tra i suoi maggiori successi si ricorda l’interpretazione di Papa Urbano VIII in Vita di Galilei di Brecht (1971): la critica rilevò come, per mezzo dell’esplosiva, espressionista arte interpretativa di Schall, figure pur diversamente delineate da Brecht come quella di Hitler e quella di Papa Urbano, rivelavano un’inquietante affinità. Nel 1974 debutta come regista con La vita di Edoardo II d’Inghilterra di Marlowe e Brecht. Schall ha recitato anche in diversi film e produzioni televisive. È stato insignito di diversi premi tra i quali il premio Nazionale della RDT. nel 1962 e nel 1979. Si ritira dall’Akademie der Künste di Berlino nel 1991. È sposato con la figlia di Brecht, Barbara.

Viganò

Fondatore del teatro La ribalta di Merate, in coppia con M. Fiocchi e spesso in collaborazione con R. Rostagno, Antonio Viganò ha creato per il teatro-ragazzi alcuni degli spettacoli più innovativi e affascinanti degli anni ’90 ( Samarcanda , Scadenze , Fratelli , Ali ) mescolando, in modo suggestivo e ricco di richiami, la narrazione con la danza e la gestualità. Dal 1995 lavora in Francia con un gruppo professionista formato da disabili mentali, per il quale ha curato la regia di due spettacoli ( Exusez le , 1995; Personnages , 1998). Ha inventato e organizzato il suggestivo festival di Campsirago nell’omonima località in provincia di Lecco.

Zanussi

Dopo gli studi di fisica all’università di Cracovia, nel 1966 Krzysztof Zanussi si diploma alla Scuola di Cinema di Lódz. Il suo film di diploma, Smierc prowincjala, guadagna consensi e premi nei principali festival europei. Autore dalla profonda vena mistica e sociale e dal forte rigore formale, Zanussi ha spesso alternato esperienze cinematografiche a quelle teatrali, attuate soprattutto in Italia. Nel 1982 per il Crt cura la regia di Il mattatoio di S. Mrozek, con F. Bonacci e L. Costa e nel 1989 dirige, insieme a T. Bradecki, La regina e gli insorti di U. Betti. Recentemente, ha diretto Il re pescatore (1996) di J. Gracq. Tra i suoi film ricordiamo: La struttura del cristallo (1969), Illuminazione (1973) e Da un paese lontano (1981), ispirato alla vita di Karol Wojtyla.

Nanni

Giancarlo Nanni si forma come pittore, legandosi alla scuola che aveva Mario Schifano come esponente principale. Successivamente entra in contatto con Sylvano Bussotti e con Aldo Braibanti, lo scrittore e filosofo condannato nel 1969 a quattro anni di reclusione per il plagio di due suoi allievi (caso rimasto unico in Italia). Nel 1968 fonda con Valentino Orfeo il Gruppo Space Re(v)action; esordisce in quell’anno con Escurial prova la scuola dei buffoni . Sempre sul finire degli anni ’60 riunisce un gruppo che comprende anche Valentino Orfeo, Memé Perlini, Giuliano Vasilicò e Pippo Di Marca e il cui manifesto recita: «Essi fanno parte del circolo La Fede, via Portuense 78, Roma. Questo gruppo ha carattere sperimentale e si dedica, per ora, alla ricerca di un nuovo linguaggio teatrale. I suoi componenti provengono da svariate attività: sono pittori, scrittori, poeti, attori». Lì nasce quella che è stata definita la `scuola romana’ della sperimentazione teatrale negli anni ’70. Nel marzo 1972, al Teatro La Fede, N. mette in scena il Risveglio di primavera di Wedekind. In quell’anno firma anche un contratto con il Teatro stabile di Roma, con l’intenzione di conservare, per il suo gruppo, il carattere di laboratorio. La messinscena del Risveglio esordisce quindi in una struttura pubblica, il Teatro Centrale di Roma, nell’ottobre 1972.

Nella stagione 1972-73 lo Stabile romano, diretto da Franco Enriquez, presenta all’inizio della stagione un cartellone con tre spettacoli di N.: oltre al testo di Wedekind, Il diavolo bianco di John Webster e la ripresa di A come Alice , tratto dalla favola di Lewis Carroll, presentato già nel 1970. Dopo il divorzio dallo Stabile romano, nella stagione 1973-74 comincia la collaborazione con un altro Stabile, quello genovese. Il 20 novembre 1975 con Artificiale/Naturale , testo tratto dal poeta francese di origine belga Henri Michaux, esordisce il suo nuovo teatro-laboratorio, La fabbrica dell’attore, in uno spazio teatrale nuovo nel centro di Roma: il Teatro di Trastevere. Nello stesso teatro mette in scena all’inizio del 1976 I masnadieri di Schiller. Negli anni ’80 e ’90, tra i suoi spettacoli più significativi si segnalano: Strindberg di Strindberg (1982), Vinzenz e l’amica di uomini importanti di Musil (1990), Herodias (1991), Hedda Gabler di Ibsen (1993), Come vi piace di Shakespeare (1994) e La sposa di Parigi di Giuseppe Manfridi (1995). Il nome di Nanni si lega, fin dal 1966, a quello di Manuela Kustermann, sua interprete femminile e compagna nella vita, una delle poche attrici affermatesi nelle `cantine’ romane.

Ferrieri

Ancor giovane, a soli venticinque anni, Enzo Ferrieri diede vita a Milano a un Centro di incontri con letterati e artisti italiani e stranieri di rinomanza nazionale, presto affiancato da una rivista, “Il Convegno”, che durò fino al 1940. A queste iniziative nel 1924 si aggiunse la nascita di un piccolo ma estremamente alacre teatro d’arte (Teatro del Convegno) di carattere preminentemente sperimentale, al quale peraltro si dovette la conoscenza di innumerevoli testi di qualità italiani e stranieri, di autori contemporanei o del passato. L’esperienza teatrale nella sala di via Carducci fu di breve durata, ma Ferrieri proseguì nel suo impegno di proporre lavori sconosciuti attraverso letture registiche antispettacolari. Due titoli importanti per tutti: L’uragano di Ostrovskij e Esuli di Joyce. Conclusa la fervida avventura del teatro del Convegno, Ferrieri continuò a dedicarsi al teatro curando regie per varie compagnie, poi, nel 1955, fondando la Compagnia delle Novità. Nel 1956, in altra sede e per cinque stagioni, diede vita al Nuovo Teatro del Convegno dove presentò fra l’altro Amleto di Bacchelli. Fu anche regista radiofonico e attraverso l’etere fece conoscere centinaia di lavori teatrali. Durante la sua innovativa parabola artistica, esercitò anche ampio esercizio critico. Molte delle sue recensioni vennero raccolte in Novità di teatro (1941). La sua esperienza di regista è riflessa invece nel volume Regia teatrale (1956). Si avvicinò anche alla televisione, presentando lavori di Saroyan e Géraldy. Fu tra i primi a far conoscere in Italia H. Pinter (Una notte fuori , Milano, 1959, protagonista P. Borboni).

Sarti

Dopo aver frequentato la Scuola d’arte drammatica ‘P. Grassi’, Renato Sarti lavora al Piccolo Teatro di Milano con Giorgio Strehler e poi, dal 1979 al 1987, al teatro dell’Elfo, con regie di Gabriele Salvatores ed Elio De Capitani. Come drammaturgo, consegue il premio Idi nel 1987 con Carla Nicoletti e il premio Vallecorsi nel 1988 con Ravensbrück rappresentato nel 1989 da Valeria Moriconi con la regia di Massimo Castri. Nel 1991 e nel ’95 consegue due segnalazioni al premio Riccione rispettivamente con Filax Anghelos e I me ciamava per nome 44787, presentato nel 1997 al Teatro di Porta Romana di Milano con la sua regia. Nel 1989 scrive Libero, andato in scena con Giuliana De Sio come interprete per la regia di Strehler. Altre regie sono: Il magnifico Barella con la Filarmonica Clown e La testa nel forno (1998).

Ayckbourn

Ha debuttato come attore allo Stephen Joseph’s Theatre di Scarborough (Yorkshire), dove ha messo in scena i suoi primi lavori e dove è ritornato nel 1970 come direttore stabile. La comicità delle sue opere scaturisce dalla vivacità della trama e da un dialogo ricco di sfumature e sottintesi; i personaggi provengono dalla media borghesia, non sono mai più di otto, e i colpi di scena non vanno al di là del tradimento coniugale o di piccole rivalità tra i protagonisti. Il talento psicologico e sociologico di Alan Ayckbourn rende perfettamente la vita del ceto medio inglese, creando personaggi di un certo spessore che non scadono mai a macchiette. Il primo lavoro rappresentato a Londra è Mr Whatnot , e il primo grande successo Relatively Speaking (1967), cui sono seguiti How the Other Half Loves (1970), Time and Time Again (1972) e Absurd Person Singular (1972): tre atti, corrispondenti a tre successive vigilie di Natale di tre coppie appartenenti a tre diversi livelli della borghesia. Al 1974 risale The Norman Conquest , trilogia composta da Table Manners , Living Together e Round and Round the Garden , che si svolgono rispettivamente nella sala da pranzo, nel soggiorno e nel giardino della stessa casa: in realtà, è la stessa commedia vista da tre angolazioni diverse. Seguono Absent Friends (1975), Confusions (1976), Bedroom Farce (1977, rappresentata al National Theatre), Just Between Ourselves (1977), Ten Times Table (1978), Joking Apart (1979) e, ancora per il National, Sisterly Feelings (1980). Di recente, dopo aver sperimentato accenti più drammatici Woman in Mind (1985) e Henceforward (1987) – ambientato in una sorta di medioevo elettronico dominato dalla violenza – Ayckbourn è ritornato alla commedia-farsa degli anni ’70 con Man of the Moment (1990): nel contrasto tra un mite bancario e un criminale affarista Ayckbourn materializza l’Inghilterra thatcheriana, pronta a premiare il successo comunque ottenuto e a punire la mancanza di competitività, anche se alla fine è il bancario ad averla vinta. Ayckbourn è stato spesso rappresentato in Italia, soprattutto grazie al forte interesse e all’entusiasmo di G. Lombardo Radice che (per lo più a Roma, Teatro della Cometa) ha curato la regia di vari suoi lavori: Camere da letto (1986), Confusioni (1988), Detto tra noi (1990), In cucina (1990), Una donna nella mente (1992), Sinceramente bugiardi (1993).

Longoni

Diplomato alla Scuola d’arte drammatica ‘P. Grassi’ di Milano, Angelo Longoni dopo alcune esperienze come attore e autore-regista sia in teatro ( Necronomicon , L’età dell’oro ) sia in televisione (la serie Atelier ) e radio (i gialli Brivido italiano ) alla fine degli anni ’80 vince alcuni premi – in occasione di festival anche all’estero – con il suo dramma Naja (1987, nuovo allestimento con E. Lo Verso) da cui realizza anche un film. In seguito è autore e regista di Money , Uomini senza donne , Testimoni (questi due ultimi con A. Gassman e G. Tognazzi), Caccia alle mosche (dal suo romanzo omonimo), Hot line (con I. Di Benedetto), Bruciati. Ha adattato e diretto I ciechi di Maeterlinck. Tra i temi affrontati nella sua produzione, la vita quotidiana e i problemi sociali dei giovani, dal servizio militare al rapporto con il partner e le crisi di coscienza.

Bolchi

Dopo aver recitato nei Guf di Trieste, Sandro Bolchi si trasferisce a Bologna dove fonda, nel 1950, assieme a un gruppo di amici (Lamberto Sechi, Vittorio Vecchi, Luciano Damiani, Giuseppe Pardieri e Giorgio Vecchietti), uno dei primi Stabili italiani: La Soffitta. Nel 1952 per difficoltà finanziarie il teatro viene chiuso, ma Sandro Bolchi continua nell’attività teatrale riscuotendo interesse con la messa in scena de L’imperatore Jones di O’Neill, protagonista Memo Benassi e de L’avaro di Molière. Il dramma di Ugo Betti Frana allo Scalo Nord segna nel 1956 il suo esordio come regista per la televisione. Successivamente ha firmato, tra gli altri lavori per il piccolo schermo, Il mulino del Po (1963), I promessi sposi (1967), I fratelli Karamazov (1970), Il crogiuolo (1971), I demoni (1972), Anna Karenina (1974).

Tumiati

Gualtiero Tumiati si laureò in giurisprudenza ma abbandonò la carriera forense per dedicarsi al teatro. Debuttò nel 1906 come `generico’ nella compagnia De Sanctis, anagrammando il nome in Ugo Mautti Altieri. Il successo arrivò due anni dopo, quando, con la compagnia dei Grandi Spettacoli si impose nei Napoletani di Cossa e ne La maschera di Bruto di Benelli. Fu attore dalle affascinanti sonorità vocali e di elegante presenza. Con sua moglie, Beryl Hight T., pittrice e scenografa, fondò nel 1924 a Milano un teatro d’avanguardia che chiamò Sala Azzurra. Per il Teatro Greco di Siracusa curò la regia e fu interprete applaudito di una serie di spettacoli tra il 1927 e il 1928 (Le nuvole di Aristofane, Il ciclope e Medea di Euripide, Antigone di Sofocle). A Taormina fu protagonista, invece, del Giulio Cesare di Corradini (1928), del Miles gloriosus di Plauto (1929), mentre alle Terme di Caracalla diresse Oreste di Alfieri (1929). Veri e propri trionfi furono nel 1931 L’annuncio a Maria di Claudel e nel 1938 Adelchi di Manzoni, presentato al Lirico di Milano. Dopo la seconda guerra mondiale rivolse la sua attenzione soprattutto al cinema, riservando al teatro l’interpretazione di ruoli secondari. Per il grande schermo vanno ricordate le partecipazioni a Malombra diretto da Soldati (1942) e a Il Cristo proibito di Malaparte (1951). Fu costretto dalla cecità a ritirarsi dalle scene nel 1958, ma ciò non gli impedì di interpretare, nel 1969 a novantatrè anni, il ruolo di Tiresia dell’Edipo re di Sofocle alla Scala. T. diresse anche l’Accademia nazionale d’arte drammatica (1936) e l’Accademia dei Filodrammatici di Milano (1940).

Sbragia

Giancarlo Sbragia si diploma nel 1947 all’Accademia d’arte drammatica di Roma e nella stagione 1947-48 esordisce al Piccolo Teatro di Milano con Don Giovanni di Molière. Successivamente passa al Piccolo Teatro di Roma e poi lavora in grandi compagnie private tra le quali Pagnani-Cervi poi nella Compagnia del Teatro Nazionale diretta da Guido Salvini in testi di Anderson (Anna per mille giorni), Kingsley (Detective story), Betti (Ispezione), Shakespeare (Sogno di una notte di mezza estate) dove ha modo di farsi notare per la sua recitazione estremamente essenziale e sobria, ma sempre molto incisiva. Tornato al Piccolo di Milano (1952-54) recita in Sei personaggi in cerca d’autore, Elisabetta d’Inghilterra, L’ingranaggio, Sacrilegio massimo, Appuntamento nel Michigan, Le nozze di Giovanna Phile e Il giardino dei ciliegi . Poi è con Renzo Ricci e Eva Magni in Lunga giornata verso la notte di E. O’Neill.

Affronta la sua prima regia con Ricorda con rabbia di J. Osborne con Giuliana Lojodice, Nino Dal Fabbro e Angela Cavo. Con Volonté, Salerno, Garrani, Valeria Valeri mette in scena testi importanti e di denuncia sociale (Sacco e Vanzetti). Risale alla metà degli anni Sessanta la sua ultima collaborazione con il Piccolo di Milano (Duecentomila e uno ,1966 di S. Cappelli e L’istruttoria, 1966-67 di P. Weiss. La seconda parte della sua carriera si apre nel 1960, con la fondazione unitamente a Garrani e a Salerno della compagnia Gli Associati, complesso per il quale cura diverse e importanti regie, anche con esempi di teatro-cronaca. Dopo il nuovo periodo al Piccolo (Enrico V e Il fattaccio di giugno , di cui fu autore, attore e regista) interpreta per Gli Associati, riformatisi nel 1969, Caligola (1970) di Camus, l’Urfaust – di Goethe, Edipo re (1973), Strano interludio di O’Neill nel 1972, di cui cura anche regia e musiche. Tra i continui impegni in teatro s’inserisce anche l’esperienza della televisione con grande successo di pubblico con sceneggiati come Delitto e castigo e Cime tempestose mentre in coppia con Enrico Maria Salerno riscuote unanimi consensi con la lettura a leggio del Concerto di prosa. Dell’ultimo periodo sono Faust di Goethe e La morte e la fanciulla di Dorfman al festival di Taormina.

Bellei

Diplomatosi all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’ nel 1959, Mino Bellei ha debuttato nell’ Adelchi di Manzoni, con la compagnia Gassman (1960). Il primo ruolo di coprotagonista nel 1961 lo vede accanto a Renzo Ricci ed Eva Magni ne Il cardinale di Spagna di H. de Montherlant. Ha recitato con Randone, Parenti, Salerno e nei teatri Stabili di Palermo, Roma e Trieste. Nel 1968 costituisce con Fabrizio Vanni, Mario Bussolino e Laura Rizzoli la Compagnia del Malinteso, dal testo di Camus, Il malinteso, presentato per primo, cui fanno seguito, in sette anni, autori quali Feydeau, Brancati, Pirandello, Svevo e Moravia che segna anche con Gli indifferenti la prima regia di Bellei. Nel 1974 entra a far parte della compagnia De Lullo-Valli con cui per quattro stagioni interpreta, fra gli altri, Manvolio ne La dodicesima notte di Shakespeare. Nel 1979 scrive, dirige e interpreta Bionda fragola (da cui nel 1980 è stato tratto anche un film) a cui seguono La vita non è un film di Doris Day e Pacchi di bugie. Per due stagioni insegna al Centro sperimentale di cinematografia. Nel 1989 firma la regia di Vortice di N. Coward per il Teatro Eliseo con Rossella Falk. Dopo quattro anni di inattività, dal 1992 al 1996, ritorna al teatro con Candida di G.B. Shaw e Can Can di Cole Porter. Ha lavorato molto anche in televisione e nel cinema interpretando ruoli di secondo piano in sei film dei quali l’ultimo con la regia di Zeffirelli, Tè con Mussolini .

Matarazzo

Raffaello Matarazzo iniziò la sua carriera come giornalista e commediografo (Simmetria , 1935; La moglie di papà , 1939; Cena al Ritz , 1962). Incomincia a lavorare per il cinema come segretario di edizione presso la Cines e nel 1931 come assistente di Camerini per Figaro e la sua gran giornata , oltre che regista di documentari. Diresse il suo primo film, Treno popolare , nel 1933, tutto girato in esterni, ma, dato lo scarso successo commerciale ottenuto, si dedicò in seguito a produzioni meno impegnative, incentrate sulla partecipazione di attori famosi (Il marchese di Ruvolito con E. De Filippo, 1939). Dopo la guerra, in clima di neorealismo imperante, si è specializzato in una serie di film popolari, con la coppia Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson; di genere lacrimoso ma drammaticamente strutturati questi film non ebbero il favore della critica di sinistra, ma ebbero comunque un enorme succeso: Catene , 1949; Tormento , 1950; I figli di nessuno , 1951; ecc.).

Bondy

Dopo aver studiato a Parigi alla scuola di Jacques Lecoq, Luc Bondy nel 1969 comincia a lavorare in Germania. In questo periodo mette in scena: Le sedie di Ionesco (Norimberga, 1972); Leonce e Lena di Büchner (Düsseldorf, 1972); Come vi piace di Shakespeare (Wupertal, 1973); Stella di Goethe (Darmstadt, 1973). In particolare, Il mare di E. Bond (Monaco, 1973) è molto apprezzato dalla critica. In seguito lavora a Francoforte – La volubilità dell’amore di Marivaux (1975) – e a Berlino, alla Schaubühne, diretta da Peter Stein (Non si scherza con l’amore di A. de Musset, 1977). Agli inizi degli anni ’80 si devono a Luc Bondy altre interessanti messe in scena: Yvonne, principessa di Borgogna di Gombrowicz e Giorni felici di Beckett (Colonia, 1981); Così fan tutte di Mozart (Bruxelles, 1984). Nel 1984 Patrice Chéreau ospita a Nanterre Terra straniera di Schnizler, il primo spettacolo di Bondy realizzato in Francia, dove in seguito presenta: I racconti d’inverno di Shakespeare, nella traduzione di Koltès (Avignone, 1988); Il cammino solitario di Schnitzler (Parigi, 1989); John Gabriel Borkman di Ibsen (Parigi, 1993); Giocare col fuoco di Strindberg (Parigi, 1996). B. svolge un importante ruolo di tramite culturale tra Francia e Germania, presentando al pubblico tedesco Il trionfo dell’amore di Marivaux (Berlino, 1985); Il misantropo di Molière (1987); L’illusionista e Sogniamo! Di Guitry (1995). Inoltre ha curato la regia di numerosi drammi di Botho Strauss – Kalldewey (Berlino, 1982); La guida (Berlino, 1986); Il tempo e la camera (Berlino, 1989); Il coro finale (Berlino, 1992); L’equilibrio (Salisburgo, 1993) – di molte opere liriche: Così fan tutte (Bruxelles, 1984); L’incoronazione di Poppea di Monteverdi (Bruxelles, 1989); Don Giovanni di Mozart (Vienna, 1990); Salomé di Strauss (Salisburgo, 1992); La ronda di Philippe Boesmans (lo stesso B. è autore del libretto, tratto dal dramma di Schnitzler; Bruxelles, 1993); Le nozze di Figaro di Mozart (Salisburgo, 1995); Don Carlos di Verdi (Parigi, 1996).

Magni

Per il grande schermo Luigi Magni ha realizzato una serie di film in costume, significativi per la ricostruzione dell’ambiente storico romano (Nell’anno del Signore, 1970; In nome del papa re, 1977; In nome del popolo sovrano, 1990). E anche nella sua produzione per il teatro ha preso in considerazione, come terreno privilegiato, i caratteri tipici di Roma e della sua gente. È stato autore di alcune commedie di genere brillante e la sua collaborazione con Garinei e Giovannini, P. Festa Campanile e M. Franciosa ha dato vita a una serie di commedie musicali rimasti celebri nel tempo. Tra questi si ricordano Rugantino e Ciao Rudy. Accanto alla produzione leggera, e spesso inserita al suo interno, nella scrittura di M. è comunque presente un’analisi della condizione e dei problemi delle classi subalterne. Questo aspetto conferisce al suo teatro una certa e molto particolare vena malinconica. Altri titoli: Il giorno della tartaruga (1964), La commedia di Gaetanaccio (1978), La santa sulla scopa (1986), I sette re di Roma (1988).

Ascher

Dotato di un talento precocissimo a soli 24 anni assume la direzione del Teatro Csiky Gergely di Kaposvár, carica che manterrà fino al 1978. Quindi, dal 1978 al 1980 Tamas Ascher è al Teatro Nazionale di Budapest e in seguito lavora al Teatro Katona Józef. Ultimamente ha ripreso il suo ruolo a Kaposvár. Fra i suoi lavori ricordiamo: Il cerchio di gesso del Caucaso (1975) di Brecht; Leggende del bosco viennese (1978) di O. von Horvát; Amleto (1980) di Shakespeare, spettacolo portato anche Mosca; Il Maestro e Margherita (1983), con cui è stato a Berlino e a Varsavia. Nel 1985 allestisce Tre sorelle di Cechov che due anni dopo riceve (ex aequo con Delitto e castigo diretto da A. Wajda) il primo premio al Bitef di Belgrado. Con questo stesso spettacolo A. ha compiuto una lunga tournée in tutto il mondo, suscitando grandi consensi. Le sue ultime produzioni sono: Il misantropo (1991) di Molière, L’onore perduto di Katharina Blum (1992) di Böll, Don Giovanni (1993) di Mozart, messo in scena all’Opéra di Lione e Questa sera si recita a soggetto (1994) di Pirandello.