Cecchi

Diplomatosi all’Accademia nazionale d’arte drammatica ‘S. D’Amico’, Carlo Cecchi ha lavorato come attore nella compagnia di Eduardo De Filippo. Il teatro napoletano e il metodo del Living Theatre, determinanti per la sua formazione, rimangono sempre vivi nel suo modo di dirigere gli attori. Nel 1971 ha fondato il Granteatro (in ironica polemica con il ben più grande e prestigioso Piccolo Teatro), una cooperativa impegnata in circuiti alternativi, con cui ha messo in scena e interpretato Le statue movibili (Campagnano di Roma 1971) e ‘A morte dint ‘o lietto ‘e don Felice (Chieti 1974) di A. Petito; Il bagno (Roma 1971) e La cimice (Scandiano 1975) di Majakovskij; Tamburi nella notte di Brecht (Torino 1972); Woyzeck di Büchner (Torino, quartiere Lingotto 1973); Il borghese gentiluomo di Molière (Firenze 1976); L’uomo, la bestia e la virtù di Pirandello (Guastalla 1976; ripreso nel 1980 e ’81), dove ha privilegiato, anziché il meccanismo intellettuale, la struttura teatrale, risolta in chiave di balletto mascherato. Grazie a questi lavori, che realizzano una difficile sintesi tra le forme della tradizione popolare italiana e le proposte dell’avanguardia europea,  Carlo Cecchi si è imposto come una delle più forti e originali personalità del nuovo teatro italiano, reincarnando in modo moderno la figura del capocomico: non però primattore e mattatore, ma guida e coscienza degli attori con cui lavora.

Dal 1977, prima con il Teatro regionale toscano, poi con il Teatro Niccolini di Firenze, ha realizzato e interpretato ogni anno nuovi allestimenti. Di Molière, nelle traduzioni di Cesare Garboli, Don Giovanni (1978); Anfitrione (1980), secondo la formula dello spettacolo d’epoca; Il misantropo (1986) che, senza bisogno di alcuna spettacolarizzazione, ma attraverso la valorizzazione del testo e il recupero della sua forza drammatica, è uno spettacolo-manifesto dell’idea animatrice delle scelte registiche – nonché politico-civili – di  Carlo Cecchi: la denuncia e lo smascheramento dell’ipocrisia attraverso la figura di Alceste; Georges Dandin (1989), con Patrizia Zappa Mulas e Elia Schilton. E ancora: La mandragola di Macchiavelli (Firenze, forte Belvedere 1979), Ivanov di Cechov (festival di Spoleto 1982), Lu curaggiu de nu pumpiere napulitano di Scarpetta (1985). Ha diretto e interpretato anche Shakespeare: La tempesta (1984) con Paolo Rossi e Alessandro Haber, un allestimento antillusionistico che mette in evidenza la costruzione del testo e i numerosi rimandi e corrispondenze, quali l’ossessione del colpo di stato e il tentato regicidio come leitmotiv del dramma; Amleto (1989), dove è notevole la valorizzazione della scena con l’apparizione dello spettro, alla fine del terzo atto: momento chiave della tragedia, che spezza in un certo senso l’autonomia di Amleto abbandonandolo, strumento passivo, alla forza degli eventi.

Di Pinter, Il compleanno (1980) con Paolo Graziosi e Toni Bertorelli, Il ritorno a casa (1981), L’amante (1986) e La serra (1997): dell’autore inglese  Carlo Cecchi traduce in scena l’acre ironia, la mescolanza di comico e tragico, le azioni minime e quotidiane, i silenzi, tesi a comunicare la violenza feroce che si cela sotto le apparenze di una quiete infingarda. Di Thomas Bernhard, Claus Peymann compra un paio di pantaloni e viene a mangiare con me (1990) con Gianfelice Imparato; Ritter, Dene, Voss (1992) con Marina Confalone e Anna Bonaiuto; Drammoletti (1992): nei tre drammi C. riesce a restituire la partitura quasi musicale dei testi, giocando tutto sul ritmo e sulle cadenze sonore, facendo propria la disperazione e la forza d’invettiva dell’autore austriaco, senza perderne mai la carica sarcastica. Tra il 1993 e il ’95 ha messo in scena e interpretato La locandiera di Goldoni (1993), Leonce e Lena di Büchner (1993), Nunzio di S. Scimone (Taormina 1994), Finale di partita di Beckett (1995) con Valerio Binasco, in cui prevalgono i toni comico-grotteschi su quelli tragici. Dal 1996 ha lavorato su Shakespeare, di cui ha proposto Amleto (1996; versione di C. Garboli, già utilizzata sette anni prima), Sogno di una notte di mezza estate (1997; versione di Patrizia Cavalli) e Misura per misura (1998; versione Garboli), in un teatro fatiscente e scoperchiato nel centro di Palermo (il Garibaldi), che è parte integrante degli allestimenti, e con un gruppo di attori in maggioranza napoletani, tra cui Iaia Forte, Roberto Di Francesco, Valerio Binasco, Arturo Cirillo, Viola Graziosi. Gli spettacoli iniziano nel pomeriggio alla luce naturale per concludersi al sopraggiungere della notte, illuminati da fiaccole: una messinscena così particolare ne renderà quasi impossibile la rappresentazione in altri luoghi canonici.

Un repertorio così vasto e diverso testimonia di uno spirito inquieto e curioso, che rifugge da ogni chiusura. Da Shakespeare alla farsa dialettale, da Molière al romanticismo pre-espressionista di Büchner, da Cechov a Pirandello, dalle tragedie-parodie di Majakovskij al primo Brecht, fino ai massimi autori contemporanei Beckett e Pinter, l’intero patrimonio teatrale è oggetto della vorace sperimentazione di  Carlo Cecchi. Anche nella scelta degli attori, al gruppo collaudato  Carlo Cecchi preferisce il rischio di un continuo avvicendamento, con il lancio di numerosi attori debuttanti. Tra i collaboratori principali per le scene e i costumi vanno ricordati Sergio Tramonti (1973-76, e ancora 1982-87) e Titina Maselli (dal 1989). Attore-regista di ampia e raffinata cultura, ma immune da vizi intellettualistici,  Carlo Cecchi s’è sempre proposto non già di stupire e scandalizzare, dell’originalità a ogni costo, ma di comunicare, di stabilire un rapporto conoscitivo più che emotivo tra testo, attori e pubblico. Un rapporto non fissato una volta per sempre, ma che si sviluppa nel corso delle rappresentazioni:  Carlo Cecchi rifiuta la concezione rigida e un po’ sacrale che molti registi hanno del loro lavoro, ma ubbidisce alla legge fondamentale del teatro, come organismo e valore vivo e quindi labile, mutevole, provvisorio. La sua acuta intelligenza e consapevolezza producono uno stile di recitazione distaccato, defilato, tormentato, talvolta ironico, straniato (memore di Eduardo e di Brecht), che non sa nascondere la nostalgia di un teatro che già fu coscienza critica della società.