Behrman

Ex allievo di G.P. Baker, diede alle scene una serie di commedie sofisticate, apprezzate soprattutto per la spiritosa vivacità dei dialoghi. Le più riuscite furono Il secondo uomo (The Second Man, 1927), Biografia (Biography, 1932) e Fine dell’estate (End of Summer, 1936); ma la sua opera più singolare è forse Non è tempo di commedie (No Time for Comedy, 1939) il cui protagonista è un autore che vorrebbe scrivere testi politicamente impegnati ma ha talento solo per la commedia brillante. Fu anche sceneggiatore di film e adattò alle scene americane copioni di Giraudoux, Werfel, Achard e altri.

Boal

Augusto Boal si forma come teatrante a New York tra la Columbia University e l’Actor’s Studio. Quindi torna in patria dove dal 1956 dirige il Teatro Arena di S. Paolo, innestando elementi della teoria brechtiana e principi stanislavskjiani sul tronco della tradizione scenica brasiliana. Con Revoluçao na America del 1961 inaugura una stagione di teatro innovativa, socialmente e politicamente impegnata, che viene contrastata dal regime militare fino alla cattura, alla tortura fisica e infine alla condanna all’esilio. Trasferitosi in Europa sviluppa attraverso i suoi prestigiosi workshop, ospitati anche da grandi istituzioni accademiche, la sua riflessione sul teatro come pratica scenica dal potenziale rivoluzionario. Tra i suoi drammi più importanti si ricordano Mulher magra, marido chato (1957), Josè, do parto a sepultura (1962), mentre tra gli allestimenti si segnalano quelli realizzati negli anni ’60 in collaborazione con Gianfranco Guarnieri su classici di Lope de Vega e Gogol’. Sperimentatore accanito e ideologo marxista, B. è anche autore di saggi teorici sui principi e le tecniche dell’arte scenica: Categorìas de teatro popular (1972), Técnicas latinoamericanas de teatro popular (1975). Il suo Teatro do oprimido (1979) è internazionalmente riconosciuto come modello teorico di teatro rivoluzionario.

Brivio

Regista radiofonico e teatrale Roberto Brivio è fondatore per un quarto dei Gufi (gli altri sono Lino Patruno, Gianni Magni, Nanni Svampa), mitico quartetto attivo negli anni ’60. Capocomico di molte compagnie teatrali, la Naviglio nº1, la Stabile dell’Operetta Città di Milano, la Tentativi Teatrali, l’Associazione Amici dell’operetta, la Società del Teatro, autore di programmi televisivi e radiofonici oltre che autore di sette libri tra cui ricordiamo Cabaret di merda … Brivio conta al suo attivo venti lp con sue esibizioni, per 230 canzoni, più di 100 testi rappresentati, tournée in tutta Italia con L’Operetta. All’inizio degli anni ’70 aprì e diresse per qualche anno il cabaret Refettorio che contribuì a lanciare molti comici e attori tra cui: Zuzzurro e Gaspare e Maurizio Micheli. Attualmente è direttore del Teatro Ariberto dove continua a presentare spettacoli in meneghino.

Bourdet

Edouard Bourdet debutta nel 1910 con Le Rubicon , accolto con favore dal pubblico. Ma la prova successiva, La cage ouverte, non soddisfa le attese. Costretto ad interrompere l’attività teatrale dalla guerra, nel 1926 raggiunge il successo con La Prisonnière, in cui è ammirevole il tatto con cui affronta un argomento scabroso come l’omosessualità femminile. L’omosessualità, questa volta maschile, è il tema di La Fleur des pois (1932), mentre Vient de paraître (1927) tratta della corruzione dell’ambiente letterario all’inizio del XX secolo. Bourdet si dimostra critico ironico e implacabile dei vizi della società della Belle Époque in: Le Sexe faible (1929); Le Temps difficiles (1934); Fric-Frac (1936); Hyménée (1941); Le Père (1942). Dal 1936 al 1940 è amministratore della Comédie-Française, periodo in cui tra i suoi collaboratori si contano Jacques Copeau, Charles Dullin, Louis Jouvet e Gaston Baty.

Ballet du Nord

Creata nel 1983 sotto la guida del ballerino e coreografo Alfonso Catà, Ballet du Nord è successivamente diventata Centre Chorégraphique National Roubaix Nord-Pas de Calais. Si è presto caratterizzata per la varietà e la vastità del suo repertorio e per l’eccellente qualità dei danzatori, particolarmente versati nello stile neoclassico e balanchiniano. Per il Ballet du Nord hanno lavorato coreografi di fama internazionale, tra i quali V. Nebrada, L. Lubovitch, J.-P. Bonnefoux, A. Prokovsky.

Bonté

Dopo aver compiuto studi di carattere letterario, filosofico e teatrale, Patrick Bonté è approdato alla danza insieme alla coetanea e connazionale Nicole Mossoux. Con lei ha creato una serie di lavori non privi di originalità e di impronta spesso iperrealista. Tra gli altri: Juste ciel, La dernière tentation, (il più singolare), e Les petites morts.

Baker

Sembra che dalla sua più tenera infanzia Joséphine Baker intrattenesse cantando, ballando e facendo il pagliaccio i suoi fratellini e gli amichetti, possibilmente facendo loro pagare un simulacro di biglietto. Fatto sta che questo gioco si rivelò per la giovane mulatta una seria ispirazione e a quindici anni Joséphine si presentò per un provino a Noble Sissle e Eubie Blake autori di quella rivista `all negro’ Shuffle Along (1921) che doveva restare nelle memorie di Broadway come il più grande spettacolo di varietà messo in scena da gente di colore. La prima audizione fu negativa: Sissle e Blake e i due produttori rifiutarono la ragazzina che però, – quando Shuffle Along all’inizio di un gigantesco successo partorì una seconda troupe che percorreva la provincia meno importante – riuscì a entrare come aiuto sarta in questa seconda troupe e, consigliata da un’amica, imparò tutti i numeri e tutte le canzoni in vista di una sostituzione. Così avvenne.

Abbastanza in fretta Joséphine si fece notare fino al punto che Sissle si dedicò seriamente a insegnarle il mestiere. Nel 1924 il gruppo di Shuffle Along si divise in due: i produttori crearono un nuovo spettacolo, Running Wild , che lanciò il charleston; Sissle e Blake crearono The Chocolate Dandies e B. era una delle vedettes. Lo spettacolo risultò troppo sofisticato per il palato dei critici bianchi e non ebbe lo stesso successo del precedente Shuffle Along . Ed è così che nel 1925 troviamo la B. nel corpo di ballo del Plantation Club (un succedaneo, sempre nero, del Cotton Club) con la possibilità di un piccolo assolo all’ombra delle grandi Florence Mills e Ethel Waters ed è qui che viene scritturata per fare parte di un gruppo di colore che si esibirà a Parigi nell’autunno di quell’anno, al Théâtre des Champs-Élysées, in quello spettacolo che diventerà fondamentale per la cultura francese negli anni Venti: La Revie Nègre .

Joséphine conquista il pubblico con le sue orrende smorfie, il suo corpo di miele scuro che esibisce generosamente e la sua straordinaria vitalità di interprete. Negli anni seguenti, sempre a Parigi, inventa quel suo famoso costume composto di orecchini collana e braccialetti in pietre barbare e un gonnellino di più che allusive banane: resterà la sua immagine più famosa. Diventa la `vedette negra’ (lei che è una mezzo sangue) delle Folies Bergère, impara a cantare davvero, arriva al Casino de Paris come attrazione principale e finalmente, nel 1930, crea quella canzone “J’ai deux amours” che resterà per sempre collegata alla sua immagine. Compie infinite tournée e, nel ’35, è addirittura a New York partecipando alle Ziegfeld Follies di quell’anno. Durante la Seconda guerra mondiale si arruola (è ormai da tempo cittadina francese) nelle truppe ausiliarie e verrà più volte decorata per meriti di guerra. Tenta una comunità interrazziale modello, adottando dodici orfani di nazioni e continenti diversi; per mantenerla tornerà in spettacolo per qualche memorabile rivista all’Olympia e a Bobigny, sempre circondata dalla stima e dall’amore del pubblico che la onorerà per un’ultima volta il 15 aprile del 1975 in occasione del suo clamoroso funerale di stato.

Bernhardt

Personalità istrionica, donna appassionata, capace di slanci generosi e di ardenti furori, il nome di Sarah Bernhardt riempì le cronache di oltre mezzo secolo e appartenne subito al mito. Capace di mille eccentricità, più di ogni altra attrice al mondo – e con largo anticipo sulle star di Hollywood – fu la prima a dover essere considerata `diva’. Eccellente promotrice di se stessa, a suo modo fu genio della pubblicità e dell’immaginazione, capace di farsi fotografare in un catafalco tutto di seta, così come di stupire salendo in pallone aerostatico. Vaste platee di tutto il mondo subirono il suo fascino e le sue pose ancor prima della Belle Époque, e quando già si era consumata la Prima guerra mondiale. Nata da madre ebrea olandese, fu soprattutto l’incontro con i testi di Dumas padre ad aprirle le porte incantate del teatro (aveva frequentato il Conservatorio parigino e debuttato in varie sale: Comédie-Française, Odéon, Gymnase); si innamorò di Racine – sempre rimasto suo autore preferito – che la salvò dalla dissipazione nelle alcove parigine. Ora milionaria, ora indebitata fino al collo (aprì e chiuse teatri; nel 1893 acquistò il Renaissance e sei anni dopo un’altra sala, cui diede il suo nome), trascorse l’esistenza ammaliando con il fascino indiscreto che la sua vitalità le dava. Nemmeno l’amputazione di una gamba in seguito a un incidente (1914) le impedì di lasciare le scene. Osannata dai critici e amata dal pubblico (ma forse senza vero entusiasmo), il suo repertorio – il primo successo fu in Il viandante di F. Coppée, 1869 – andò dai classici (Racine, Voltaire, Beaumarchais, De Musset) a Scribe e Sardou, il quale scrisse per lei drammi ( Fedora , Tosca , Cleopatra ) ricchi di `scene madri’, che furono il suo forte. Affrontò anche D’Annunzio ( La città morta ); lei stessa, oltre a un libro di memorie ( La mia doppia vita ), scrisse tre drammi di notevole fattura. Se poco rilevanti furono le sue interpretazioni shakespeariane (Ofelia, Lady Macbeth), andò incontro a grandi e popolari successi quando, anche in numerose tournée, indossò gli abiti maschili in Amleto ; più ancora, poi, ebbe trionfi quando, a cinquantasei anni, tornò a indossarli per l’ Aiglon di E. Rostand. Si accostò anche al cinema, ma con risultati insoddisfacenti; si trovava su un set (quello di La veggente , su soggetto di S. Guitry) quando, come Molière, si accasciò a terra: di lì a qualche giorno sarebbe morta, il suo nome entrando nella leggenda.

Benvenuti

Artista precocissimo, Alessandro Benvenuti a soli quattordici anni è caratterista in una filodrammatica parrocchiale. In seguito farà un po’ di tutto: dal folksinger al cantante rock, dal mazziere in una banda musicale al percussionista jazz. A ventidue anni fonda, insieme ad Athina Cenci e Paolo Nativi, il gruppo cabarettistico dei Giancattivi, di cui per dodici anni curerà i testi per il cabaret, il teatro, il cinema e la televisione (entrerà poi nel gruppo Francesco Muti). Il primo lavoro di cabaret con i Giancattivi è del 1972 Il teatrino, a cui seguono: Nove volte su dieci più una (1974), Italia 60 (1976), Pastikke (1977). Nel ’78 esordisce in televisione. Sempre con la formazione cabarettistica porta in scena Smalto per unghie (1979) e Gli affari sono affari (1980). In teatro, esauritasi l’esperienza con i Giancattivi che aveva portato anche al film Ad Ovest di Paperino (1981), nella stagione 1983-84 recita in Corto Maltese di Pratt, Ongaro e Mattolini e lo stesso anno scrive in collaborazione con Ugo Chiti Marta e il Cireneo , ovvero saluti e baci dalla Galilea, di cui è protagonista in compagnia di A. Cenci. Altri lavori teatrali di cui è autore, regista e interprete sono W Benvenuti (1984), Benvenuti in casa Gori (1987) da cui nel ’90 trarrà una versione cinematografica, Due gocce d’acqua (1991), Ritorno a casa Gori (1995) e Gino detto Smith e la panchina sensibile (1996). Come testi di cui è soltanto autore si possono ricordare Andy e Norman (1987) con Gaspare e Zuzzurro, Prese di petto (1990), Sete (1990) con Gaspare, Zuzzurro e C. Pistarino, Perla d’Arsella (1993) e Il mitico undici (1994) con Stefano Bicocchi (Vito). Più recentemente T. T. T. T. Beckettio (1998) interpretato assieme a S. Bicocchi, Daniele Trambusti e Andrea Muzzi. Il suo più recente lavoro è Un passato da melodici moderni , rappresentato nella stagione 1998-99. Al cinema ha all’attivo nove regie e almeno sette partecipazioni da protagonista in altrettanti film.

Björnstrand

Johanson, Stoccolma, 1909 – ivi 1986), attore svedese. Figlio d’arte, dimostra fin da giovanissimo la passione per il teatro. Dopo aver terminato il servizio militare, esordisce al Lilla Teatern di Stoccolma, e in seguito, nel 1933, si iscrive ai corsi della scuola del Teatro Reale Svedese. Suoi compagni sono Ingmar Bergman e quella che diventerà sua moglie, Lillie Björnstrand. Dopo il diploma lavora al Teatro Svedese di Vasa in Finlandia. Nel 1943 ritorna in Svezia e interpreta il suo primo ruolo da protagonista con la pièce Natt i hamn . In questo periodo comincia a lavorare con Bergman, di cui diventerà uno dei più stretti collaboratori, recitando per lui sia a teatro ( La sonata degli spettri , di Strindberg, 1943) che al cinema ( Una lezione d’amore , 1954; Il settimo sigillo , 1957). Negli anni Sessanta la carriera di B. si appanna; dopo aver rescisso il contratto con la Svenk Filmindustri, appare solo in qualche sceneggiato televisivo.

Bancroft

Anne Bancroft (Anna Maria Italiano) divenne famosa, dopo una modesta carriera alla tv e nel cinema, quando cominciò a frequentare l’Actor’s Studio e interpretò a Broadway due copioni di successo di William Gibson: Due sull’altalena (1958) e soprattutto Anna dei miracoli (1959), la cui versione cinematografica le fece vincere un Oscar e fece di lei una diva di Hollywood. Sulle scene fu anche, fra l’altro, la prima interprete negli Usa di Madre Coraggio con la regia di Jerome Robbins (1963).

Betrone

Dopo essere stato primattore con E. Novelli (1901-1908) e con V. Talli (1909-1921) recitò in compagnie proprie, e in `ditta’ con alcune delle più note attrici fra le due guerre (M. Melato, T. Pavlova, E. Gramatica, P. Borboni). Di forte temperamento drammatico, spinto fino all’irruenza, spaziò in un repertorio assai vasto. Tra i suoi successi, quelli riportati in Il beffardo di N. Berrini e nel Glauco di E.L. Morselli; fu inoltre l’interprete di Anfissa di Andreev e di La sonata a Kreutzer di Nozières, da Tolstoj. Fu Bruneri-Canella ne L’uomo n. 15 di E. Wool, ma recitò anche Rosso di San Secondo ( Il delirio dell’oste Bassà ) e D. Fabbri: Inquisizione fu l’ultima sua rappresentazione.

Bassano

Dedicò vasta parte della sua produzione alla ricostruzione di ambienti, tipi e situazioni della sua città. Le vicende che narra sono spesso frutto di scontri generazionali e, se da un lato ricoprono la funzione di cronaca di un’epoca, dall’altra sono pervase da un’aura poetica. Come supporto alle sue trame, B. utilizza anche alcune favole comiche tradizionali, che servono per vivacizzare il racconto. Nell’ultima parte della sua produzione si ritrovano temi cari al movimento crepuscolare, come in Vento d’agosto (1974), dove si evidenzia il contrasto tra l’uomo e la natura. Il linguaggio di B. non è lineare, si muove su diversi livelli e tocca punte di surrealismo. Alcuni titoli: Un uomo sull’acqua (1927), Le lenticchie (1928), La sirena del mare (1929), Maschio (1935), Sole per due (1939), È passato qualcuno (1939), Boccone amaro (1939 ), Il domatore (1940), I ragazzi mangiano i fiori (1941), La ragazza della giostra (1948), Uno cantava per tutti (1949), Come un ladro di notte (1953), Il pellicano ribelle (1953), Un istante prima (1959), Il porto di casa mia (1960), La grande nave (1960), La bella Rosin (1961).

Beaumont

Per lunghi anni Cyril William Beaumont fu tra le massime autorità nel campo della danza, arte da lui scoperta vedendo danzare Anna Pavlova. La sua libreria, nel centro di Londra, fu punto di riferimento per artisti e amanti del balletto. Ha lasciato numerose opere sulla danza e sui danzatori, tutte nate dal suo sapere enciclopedico e scritte con stile chiaro e rigoroso; fondamentale è il suo Complete Book of Ballets (1937, supplemento 1942) .

Baseggio

Veneziano di famiglia, educazione, studi, anche se nato a Treviso, Baseggio Cesco abbandonò giovanissimo e all’improvviso lo studio del violino, alla vigilia della Grande guerra, per cimentarsi in una filodrammatica diretta da Gianfranco Giachetti, fiorentino di nascita ma veneziano di elezione. Fu lo stesso Giachetti, alla fine del primo conflitto mondiale, a fargli abbandonare il `posto fisso’ nel frattempo ottenuto alle Ferrovie, scritturandolo nella `Ars Veneta’ da lui stesso costituita. Dopo un triennio accanto a Carlo Micheluzzi – con cui avrebbe più volte riformato compagnia – il non ancora trentenne Baseggio si cimentò come capocomico, per poi partecipare all’ambiziosa quanto sfortunata avventura del Teatro di Venezia diretto dal commediografo Guglielmo Zorzi e poi dal suo collega Alberto Colantuoni. Alla fine degli anni ’30 il nome di B. era già assurto a simbolo dell’attore goldoniano per antonomasia, grazie anche ai memorabili spettacoli estivi organizzati dalla Biennale di Venezia nei campi e campielli della città, e più tardi al Teatro Verde nell’isola di San Giorgio. Con le regie di Renato Simoni, Giorgio Strehler, Carlo Lodovici, l’ultimo dei grandi interpreti del teatro di lingua veneta svariò dal Sior Todero brontolon a ll bugiardo , da Le baruffe chiozzotte a Il campiello , da I rusteghi a La putta onorata , da La casa nova a Chi la fa, l’aspetta. In quello stesso fervido periodo B. fu attratto dalla drammaturgia del Ruzante, riuscendo a rendere intelligibile, con accorte variazioni personali, l’arduo `snaturale’ della parlata `pavana’ e a trasmetterne la sotterranea poesia. Così prepotente fu il redivivo Ruzante di B. da essere ritenuto dalla maggioranza dei critici all’altezza del suo insuperato Pantalone. Strepitoso Paròn Fortunato nelle goldoniane Baruffe , B. sublimò i laceri panni del contadino «vegnù da campo», ovvero del reduce protagonista del Parlamento , e le sanguigne personificazioni del vendicativo Bilòra (nell’omonima commedia) e del berteggiato villano che nella Moscheta osa cimentarsi con un soldataccio bergamasco che gli ha sequestrato la moglie. Se Goldoni e Ruzante furono i due grandi amori dell’esule in patria, stroncato da un infarto nella lontana Catania, memorabili sono rimaste anche le sue interpretazioni del disilluso Miciel in La famegia del santolo di Giacinto Gallina, del Sior Tita paròn e di Se no i xe mati no li volemo di Gino Rocca, dei prediletti Tramonto , Congedo , La vedova , Carlo Gozzi di Renato Simoni. Ebbe anche in repertorio commedie di Eugenio Ferdinando Palmieri, Enzo Duse, Carlo Lodovici, Arnaldo Boscolo, avendo di volta in volta al suo fianco Elsa Merlini, Toti Dal Monte, Cesarina Gheraldi, Elsa Vazzoler, Wanda Benedetti, Marina Dolfin e la frizzante nipote Luisella, troppo presto ritiratasi dalle scene.

Brecht

Eugen Bertolt Brecht, detto Aigin dalla madre e da se stesso Bidi o B. B., nasce in una benestante famiglia borghese. Fino alla Prima guerra mondiale la sua vita scorre, all’apparenza, come quella di ogni ragazzo della sua età fra scuola e amici, fra i quali il prediletto è Caspar Neher che diventerà lo scenografo di molti suoi spettacoli. Ma nel suo Diario, già a partire dal 1913 e dunque dai quindici anni, si rivelano i segni di una giovinezza inquieta, il terrore della malattia, l’ossessione della morte. Costretto dalla guerra a interrompere gli studi, presta servizio nella sanità in un ospedale delle retrovie, un’esperienza che farà di lui un fiero pacifista, nemico giurato di ogni mitologia bellica. In questi anni compone la poesia La leggenda del soldato morto . Intanto fra scapigliatura e relazioni amorose (da una giovane parrucchiera Paula Banhofer avrà un figlio mai riconosciuto di nome Frank in onore di Wedekind, ammirato come un maestro), scrive il suo primo dramma che si ispira all’individualismo sfrenatamente anarchico del teatro espressionista Baal in ventidue scene (1917). Si iscrive a Monaco alla facoltà di medicina, ma interrompe presto gli studi per seguire la sua vocazione letteraria; qui conosce e frequenta il comico Karl Valentin nella cui orchestrina suonerà il clarinetto. Sensibile al clima di protesta che in quella città è particolarmente forte e sotto l’impressione della rivolta spartachista (movimento comunista radicale che terminerà con l’uccisione dei suoi capi, Rosa Luxembourg e Karl Liebknecht) scrive fra il 1918 e il 1920 Spartaco, abbozzo di quello che sarà poi Tamburi nella notte , rappresentato con grande successo nel 1922 ai Kammerspiele, da Otto Falkenberg. Si lega d’amicizia con Arnolt Bronnen e con lui si trasferisce a Berlino dove conduce una vita di stenti tanto da essere ricoverato in ospedale per denutrizione.

A Berlino, sposa Marianne Zoff. Nel 1922 vince il premio Kleist mentre nel 1923 viene rappresentato, con le scene di Neher e la regia di Engel, Nella giungla delle città , storia di una lotta senza quartiere fra un ricco proprietario di lavanderie che crede di potere comperare qualsiasi cosa compreso quello che sta scritto nei libri, e un giovane bibliotecario, che parla come Rimbaud. Scandita come i round di un incontro di boxe, sport che Brecht ama moltissimo, l’opera si svolge in una immaginaria Chicago. Del resto questo è il momento in cui il giovane B. è innamorato dell’America, dei suoi scrittori, dei suoi successi sportivi, delle brulicanti città piene di vita. Con la messinscena a Monaco di una rielaborazione di Edoardo II di Marlowe (Vita di Edoardo II di Inghilterra, 1924) affronta per la prima volta il tema dello straniamento. È Bertolt Brecht stesso a raccontarlo più tardi: non riesce a risolvere una scena perché non sa come debbano essere e comportarsi i soldati. Karl Valentin, presente alle prove, gli darà il suggerimento chiave: «Pallidi sono, hanno fifa». Da qui il volto truccato di biacca e una dizione fredda e chiara. Nel frattempo, a Berlino, collabora prima con Max Reinhardt e poi con Erwin Piscator per il quale firma la riduzione di un romanzo di Hasek Le avventure del buon soldato Schweyk durante la guerra mondiale (1927). Da Piscator mutuerà la necessità di un teatro politico accanto ad alcune fondamentali suggestioni sceniche: l’uso dei cartelli e la proiezione di diapositive per sottolineare l’azione o per definire un’epoca, un luogo. È in questi anni che stringe un sodalizio, destinato a un grande avvenire, con il musicista Kurt Weill con il quale scriverà la `piccola’ Mahagonny (1927), la celeberrima Opera da tre soldi , un successo di portata europea (1928), e l’opera lirica Ascesa e caduta della città di Mahagonny (1930). Nello stesso anno vanno in scena due importanti drammi didattici La linea di condotta e L’eccezione e la regola .

La collaborazione musicale con Weill non sarà l’unica e si intreccerà a quella con Hans Eisler e Paul Dessau a testimonianza dell’importanza che B. annette alla musica nel lavoro teatrale. È però attraverso testi come Santa Giovanna dei macelli (1927), La madre , tratto dall’omonimo romanzo di Gorkij (1930), ma anche con opere didattiche come Gli Orazi e i Curiazi e, più tardi con Puntila e il suo servo Matti (1940), L’anima buona di Sezuan (1941), Madre Coraggio e i suoi figli (1941), Vita di Galileo Galilei (andato in scena nel 1947 a New York, protagonista Charles Laughton), che B. fissa la sua idea di un teatro politico, didattico e, in ultima istanza, epico. Questo teatro ha i suoi punti di riferimento in una storia dallo svolgimento chiaro e preciso, nella distribuzione dei ruoli ad attori il più possibile lontani dalla declamazione e dall’artificio; nell’effetto di straniamento (detto anche V-effekt) come recitazione in terza persona e rottura dell’illusione; di cui avrà la rivelazione definitiva a Mosca vedendo recitare il grande attore cinese Mei Lanfang, specializzato in ruoli femminili. Questi snodi sembrano a Brecht necessari per arrivare a un distacco epico, critico, per creare un nuovo rapporto con lo spettatore; al quale non richiede una totale aderenza a ciò che viene rappresentato, ma piuttosto di portare con sé la sua capacità di riflettere autonomamente sulle cose. Per raggiungere questo risultato è importante il ruolo del regista inteso non come demiurgo ma inserito in un lavoro collettivo.

L’avvento del nazismo, intanto, costringe lo scrittore all’esilio, prima in Danimarca, poi in Finlandia e in Unione Sovietica. Da Vladivostock parte nel 1941 verso gli Usa dove cercherà di inserirsi nel mercato del cinema di Hollywood (in Germania ha già scritto più soggetti per il cinema di cui solo uno andato a buon fine, Kuhle Wampe , regia di Slatan Dudow, 1932), come sceneggiatore senza molto successo. Ritornerà in Europa nel 1947 dopo essere stato costretto a discolparsi dall’accusa di attività antiamericane di fronte alla famigerata Commissione del senatore McCharthy. Si stabilisce a Zurigo in attesa degli eventi. Qui pubblica il Breviario di estetica teatrale nel 1948, il più maturo dei suoi scritti teorici mentre allo Schauspielhaus viene presentato per la prima volta Puntila e il suo servo Matti . Ritornato nella Germania divisa in due, sceglie di stabilirsi nella Ddr, a Berlino Est dove, l’11 gennaio del 1949, inaugura il Berliner Ensemble con Madre Coraggio e i suoi figli , protagonista Helene Weigel, sua seconda moglie e dove termina di scrivere I giorni della Comune . Nel febbraio del 1956 compie il suo unico viaggio in Italia per vedere al Piccolo Teatro L’opera da tre soldi messa in scena da Strehler. Muore a Berlino, per un infarto, il 14 agosto dello stesso anno.

Benois

Figlio di Alexandr Benois e discendente da una famiglia di artisti e musicisti, Nicola Benois iniziò l’apprendistato nel teatro con Oreste Allegri, capo scenografo dei Teatri imperiali di Pietroburgo. Realizzò i primi bozzetti per il Teatro Accademico del Dramma, dove esordì nel 1921 con le scene per I giganti del Nord di Ibsen, il Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, e nel 1922 con il Giulio Cesare. L’anno seguente collaborò al Teatro Accademico dell’Opera del Ballo con le scene per Le quattro stagioni di Glazunov. Nel 1924 si stabilì a Parigi, dove incontrò il regista Alessandro Sanine che propose al direttore artistico della Scala, Arturo Toscanini, il giovane Nicola Benois per Chovanšcina di Musorgskij della stagione 1925-26. Da allora gli impegni di scenografo lo porteranno sul palcoscenico del teatro Colón di Buenos Aires e alla Staatsoper di Berlino (1926); per cinque anni lavorerà al Teatro dell’Opera di Roma. Quando, nel 1937, venne nominato direttore dell’allestimento scenico del Teatro alla Scala, incarico che mantenne fino al 1970, iniziò la fase più intensa della sua carriera artistica: oltre centoventi spettacoli tra opere e balletti. Sostanzialmente legato al linguaggio tradizionale del teatro lirico, specie nelle opere considerate storiche, giunse in altri lavori a esprimere la sua vena poetica di realismo magico. Fu fedele a una resa scenica di precisione storica nelle scene architettoniche di interni e di esterni: così in Anna Bolena di Donizetti (1956) o in Rigoletto (1961) e Trovatore (1964) di Verdi, o nella Tosca di Puccini (1958). E divenne il giocoso interprete del folclore slavo in Pierino e il lupo di Prokof’ev (1949) o in Petruška di Stravinskij (1952). Così come fu il fantasioso autore di una Turandot di Puccini (1958) dove draghi e pagode mostrano un ‘japonisme’ filtrato da una visione espressionista o secessionista, e si rivelò il bizzarro creatore dei costumi per Mefistofele di Arrigo Boito (1964) o il visionario sognatore di Ifigenia in Aulide di Gluck (1959). In qualità di direttore dell’allestimento scenico del Teatro alla Scala, introdusse innovazioni come il palcoscenico meccanico con pannelli e ponti mobili progettato da Luigi Lorenzo Secchi in sostituzione del palco fisso, promosse una scuola di pratica scenografica e una sartoria autonoma all’interno del teatro. Chiamò a collaborare alla Scala, nella veste di scenografi, pittori come de Chirico, Savinio, Prampolini, Sironi, Fontana, Carrà e Casorati.

Bonucci

Figlio di Alberto, debutta nel 1969 nell’ Orlando furioso con la regia di Luca Ronconi, con cui interpreta anche La Torre di Hofmannsthal nel ’78. Con la regia di Aldo Trionfo recita nel Candelaio di Giordano Bruno. Al Teatro Parenti recita ne La doppia incostanza di Marivaux (regia di A.R. Shammah, 1980), con Remo Girone. Al Teatro Porta Romana porta Bent e il Bacio della donna ragno (per due stagioni consecutive) entrambi con la regia di Marco Mattolini. Attivo anche nel repertorio classico, è il Cavaliere di Ripafratta ne La locandiera di Goldoni (1991-92) e nel 1993-94 interpreta con Adriana Asti La Maria Brasca di G. Testori, diretto dalla Shammah . Nel ’98 interpreta La passione secondo Giovanni di Antonio Tarantino, regia di Chérif.

Bouglione

Nel 1924 Sampion Bouglione, mostratore di animali gitano di remote origini italiane, fonda un circo ispirato allo show equestre di Buffalo Bill. I suoi quattro figli danno vita ad uno dei maggiori circhi europei del Novecento, e si specializzano come domatori. Di essi, soprattutto Joseph (morto nel 1987) fa proliferare l’impresa e affianca al tendone viaggiante l’attività stabile al Cirque d’Hiver de Paris (rilevato nel 1934 e gestito ancora oggi dai Bouglione), dotato di una pista trasformabile in piscina, dove per decenni hanno luogo spettacoli memorabili. Il tendone si ferma nei primi anni ’80, ma i Bouglione, oggi alla quinta generazione, sono tuttora valenti artisti in tutto il mondo. Bouglione è ritenuto il cognome circense più popolare in Francia.

Barra

Dopo aver studiato alla scuola del San Francisco Ballet e all’American Ballet School, dal 1953 al 1959 fa parte dell’American Ballet Theatre, dal quale passa come primo ballerino allo Stuttgart Ballet. Qui Barra Ray crea numerosi ruoli da protagonisti in balletti di John Cranko, tra i quali si ricorda Onegin (1965). Ritiratosi nel 1966 continua la sua attività come maître de ballet e coreografo, allestendo tra gli altri Don Chisciotte (1990) e Il lago dei cigni (1995) entrambi per il Balletto dell’Opera di Monaco.

Brizzi

Allieva di Anna Sagna, nel 1980 entra nel Gruppo Bella Hutter per danzare poi con il Théâtre du Mouvement. Nel 1986 fonda la compagnia Gincobiloba con la danzatrice coreografa Paola Bianchi con la quale firma Clotilde-Clotilde (1986), Ahim (1989), Sotto/Sopra (1991); dal 1993 prosegue poi da sola una ricerca basata sulla spettacolarità delle arti visive in A proposito di un comune mortale (1994), Salmo (1995), Pietralata (1996).

Bertacca

L’inizio con Scandella, Luzzati e Guglielminetti apre a Uberto Bertacca le porte del Teatro delle Novità di Lualdi e, dopo le prestigiose collaborazioni con L. Ronconi (Riccardo III, 1968 e Orlando furioso , 1969), lavora per i Teatri stabili di Torino e di Bolzano, poi con L. Squarzina, W. Pagliaro, M. Parodi, P. Quartullo e M. Bolognini. Stabilisce un intenso legame con P. Garinei (Chi fa per tre di R. Cooney e T. Hilton, 1992; Gli uomini sono tutti bambini di E. Vaime, 1994; Riuscire a farvi ridere di Terzoli, Vaime e Verde, 1996) e con G. Sepe (Casa di bambola di Ibsen, 1990; Pazza di T. Topor, 1992; Macbeth al Teatro Romano di Verona, 1994), firmando, tra gli altri, un discusso Processo a Gesù di D. Fabbri (festival la Versiliana, 1990), e un fortunato Edipo re di Sofocle (Siracusa 1992), dove tra i ruderi di una città in rovina si alzano barriere di specchi e plexiglass. Un’altra importante collaborazione è con A. Corsini (Pantalone impazzito di F. Righelli a Polverigi, 1981; Amleto in salsa piccante di Aldo Nicolaj, 1991; Panni sporchi show di Bagnasco e Corsini, 1992), per il quale recentemente cura un felice Il giardino dei ciliegi di Cechov (1995), confermando uno stile che si affida all’invenzione più che alla ricerca storica.

Benedetti

Diplomata all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’ debutta nel coro dell’ Ifigenia in Tauride diretto da Costa con Lilla Brignone, Alberto Lupo e Andrea Bosic. Attrice personalissima ed inquieta lavora con vari registi sempre portando il suo apporto intelligente e costruttivo in spettacoli importanti. Fonda con Calenda, Proietti e Virginio Gazzolo il Teatro Centouno a Roma (1965). È in I lunatici di Murray diretto da Ronconi (1966), nel Woyzeck di Büchner (1967) diretto da Cobelli per la Comunità Emilia Romagna da lei fondata insieme alla Aldini e a Virginio Gazzolo (con il quale forma un sodalizio artistico per anni), in La vita è sogno di Calderon e nel Precettore di Lenz-Brecht diretti da Guicciardini (1967); a Spoleto, nel ’68 in La finta serva di Marivaux, regia di Chéreau, ancora con Cobelli in Antonio e Cleopatra (1972) e il goldoniano Impresario delle Smirne (1975); per lei Testori scrive Machbetto , dove a fianco di Franco Parenti ha modo di riversare nella feroce sensualità della Lady tutta la sua ricchezza di registri che vanno dai toni ironici e grotteschi a quelli tragici; è Clitennestra (all’Olimpico, regia di Sequi) nell’ Elettra di Hofmannsthal. Passa da A. Trionfo ( Ettore Fieramosca da D’Azeglio,1972) a M. Missiroli ( Tartufo , 1975) a O. Krejca ( Le supplici , 1977); nel 1979 è al Piccolo di Milano protagonista con Carraro de Il temporale di Strindberg (altra assoluta affermazione); nell’83 fonda con Emilio Isgrò le Orestiadi di Gibellina, protagonista per tre anni nel ruolo di Clitennestra. Nel ’90, a Taormina è una splendida protagonista di Agonia di Luisa di Wilcock (regia di Gagliardo) e ancora La lupa di Verga (regia Perlini) alle Panatenee (1993), Lucrezia Borgia di Hugo, regia di Reim ripreso da Raidue (per Palcoscenico ’94) e Nostre ombre quotidiane di Norën diretto da Sequi al festival di Benevento nel 1997.

Barrault

Una vera e propria leggenda della scena francese vissuta all’insegna della missione, della vocazione al teatro. Costretto a fare più mestieri per sopravvivere, innamorato del teatro, Jean Louis Barrault elegge Charles Dullin a suo maestro e ha la fortuna di essere accettato da lui, dopo un provino, nel 1931, alla scuola dell’Atelier. Lì, mescolando intelligentemente teoria e pratica, si legherà di grande amicizia con un irregolare della scena come Antonin Artaud e con Etienne Decroux, che cerca di raggiungere l’espressività pura mettendo in primo piano il corpo. È proprio mentre recita in piccole parti all’Atelier e mentre frequenta con Artaud il `covo’ surrealista del Granier des Augustins che, partendo da un romanzo di Faulkner (Mentre morivo) mette in scena e interpreta il suo primo spettacolo Autour d’une mère dove creerà quel cavallo-centauro che affascinerà Artaud e che Jean Louis Barrault riprenderà, anche da vecchio, in molte serate d’onore. Dopo l’sperienza all’Atelier e la rivelazione della propria vocazione raccontata con accenti romanzeschi nella sua autobiografia, firma nel 1937 lo spettacolo Numanzia di Cervantes messo in scena con i proventi del primo dei molti film ai quali partecipa (Beaux jours di Marc Allegret dove conosce quella che sarà prima la sua compagna sulla scena e poi nella vita, Madeleine Renaud). Numanzia gli fa toccare con mano quelli che sono i suoi pregi e i suoi difetti. Superare questi ultimi significa, per Jean Louis Barrault, entrare «nel tempio del grande mestiere», la Comédie Française proprio negli anni in cui a dirigerla c’è Jaques Copeau, già maestro di Dullin.

Durante il periodo in cui lavora alla Comédie, dove recita fra l’altro nel Cid di Corneille (1940) e in Amleto (1942), senza dubbio l’incontro più importante per Jean Louis Barrault è quello con la drammaturgia di Paul Claudel di cui mette in scena Le soulier de satin (1943) testo considerato irrapresentabile, perché, come scriverà, «desideravo amare il Soulier come si ama una donna». Ma all’attore irregolare, curioso di tutto, la scena tradizionale della Comédie va stretta. Eccolo allora gestire in prima persona facendo compagnia con Madeleine Renaud, il Marigny, inaugurato nel 1946 con Amleto, dove propone un repertorio eclettico che mescola i classici come Shakespeare, Marivaux riscoperto nella sua ambiguità (Le sorprese dell’amore, 1950) e tolto agli stereotipi di maniera, Molière e Cechov, alla drammaturgia contemporanea di Camus, Anouilh e Giraudoux. Dal Marigny André Malraux ministro della Cultura lo chiama alla direzione dell’Odéon dove Jean Louis Barrault ha modo di dispiegare non solo le sue doti di attore eccezionale e di regista sensibile, ma anche quelle di organizzatore culturale (è sua l’idea di un Festival des Nations che permetterà agli spettatori francesi di vedere i maggiori spettacoli europei), particolarmente abile nel tessere rapporti con i teatri stranieri più qualificati. E dove apre le porte del teatro alle sperimentazioni dell’avanguardia, del teatro dell’assurdo con I paraventi di Genet che gli scatenerà contro la contestazione delle destre. Ma la cosiddetta `presa dell’Odéon’ da parte della contestazione giovanile al tempo del Maggio ’68 lo spinge ad abbandonare anche questo teatro. Eccolo allora senza fissa dimora prima in una palestra di catch fra Montmartre e Pigalle, dove mette in scena, fra l’altro, un monumentale, straordinario Rabelais , destinato a fare il giro di mezzo mondo e poi al Théâtre de Roind Point dove, perseguendo l’idea di un repertorio eclettico, una tragedia di Voltaire può stare accanto all’oscuro mondo notturno di Gerard de Nerval. Infine, pago di raccogliere di nuovo attorno a sé, come un guru o piuttosto come un maestro, i giovani che vogliono capire da lui il segreto di un teatro che vuole essere «contro questa vita di guerre, di violenze per fare prevalere nella vita e sulla scena, il piacere, la gioia, la tenerezza».

Balletto Nazionale Olandese

Nata nel 1961 dalla fusione dell’Amsterdam Ballet di T. Weeme e del Netherlands Ballet, Balletto Nazionale Olandese è diretta da S. Gaskell fino al 1969. Si è caratterizzata fin dall’inizio per un vastissimo repertorio basato sulla tecnica accademica e incentrato sui maggiori titoli dell’Ottocento (Giselle, Lago dei cigni, La bella addormentata) poi, sotto la direzione del coreografo Rudi Van Dantzig (1969-91), ha assunto una più delineata identità artistica, consolidando una precisa linea neoclassica grazie a creazioni dello stesso Van Dantzig, di Toer Van Schayk (Pyrrich Dances , 1974; Beethoven Seventh Symphony , 1988) e dell’altro coreografo stabile dell’ Het (1973-1988) Hans Van Manen (Adagio Hammerklavier, 1973; 5 Tangos 1977, Corps 1987). Diretta dal 1991 dal ballerino Wayne Eagling prosegue nella definizione del suo indirizzo eclettico, presentando tutti i titoli del repertorio e balletti dei maggiori autori neoclassici del Novecento come George Balanchine – del quale rappresenta oltre venti titoli – e Frederic Ashton (Symphonic variations, The Dream, Cinderella, Les Patineurs), oltre ad autori della nuova coreografia internazionale come Maguy Marin (Grossland), Eduard Lock, Carolyn Carlson.

Bertoli

A volte la fortuna di un autore è legata a un testo; per Bertoli I diari si trasformò in una vera e propria commedia di successo, dato che fu rappresentata parecchie volte in Italia e all’estero. Gli inizi della sua carriera risalgono al 1956, quando debutta al Teatro Minimo di Bologna, con La coincidenza . Nel 1959 vinse il premio Riccione proprio con I diari . Da allora la sua attività di drammaturgo è senza sosta: scrive Di funghi si muore (1959); Lo diciamo all’Onorevole (1960); Mogli, vedove, ragazze da marito (1960); L’amore è cieco (1964); Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno (1968); Doppie coppie (1971); Bella Italia amate sponde (1973); Al ladro! Al ladro! (1975); Elogio della pazzia (1976); Cinecittà (1985) e Ragazze di Lisistrat a (1986), scritto insieme ad A. Calenda. La sua drammaturgia si caratterizza per una attenzione al mondo contemporaneo, visto nella sua assurdità, e per un umorismo che ha sempre un riferimento specifico nell’attualità.

Besobrasova

Studia a Parigi con Liubov’ Egorova, debuttando nel 1935 con il Balletto di Monte-Carlo. In seguito danza con la compagnia di Georges de Cuevas e con il Ballet de Champs-Élysées. Dal 1949 si dedica all’insegnamento, aprendo una scuola a Montecarlo. Nel 1970 ha curato l’edizione scaligera del balletto Paquita , di Minkus, con Carla Fracci come interprete.

Busacca

Ciccio Busacca è stato l’ultimo cantastorie catanese, ha rinnovato l’antica tradizione introducendo nella struttura classica i temi della cronaca e le rivendicazioni di pace sociale e giustizia. Assieme al poeta Ignazio Buttitta scrisse Il lamentu pi la morti di Turiddu Carnivale, ma non mancano sue partecipazioni a spettacoli tout-court. Nel 1975 Fo lo chiamò come compagno per il recital Ci ragiono e canto, mentre nel 1982 recitò ne La figlia di Iorio nel ruolo del Santo dei monti, accanto a Edmonda Aldini e Michele Placido. Per la fiction partecipò allo sceneggiato Fontamara di Carlo Lizzani.

Bonucci

Comico di razza, inizia con la compagnia De Sica-Besozzi-Gioi ma ben presto passa al Piccolo Teatro di Milano dove porta la sua comicità stravolta e lunare in Il corvo (1948) di C. Gozzi; al Piccolo resta fino al 1950. Il suo momento di maggior notorietà arriva con il famoso Teatro dei Gobbi, che fonda in quello stesso anno insieme a Franca Valeri e Vittorio Caprioli. Asciutto talento dedicato all’ironia, dà il meglio di sé nel repertorio brillante, ma lo ricordiamo anche nello spettacolo Intrighi d’amore (1951) e in alcune riviste come il famoso Carosello Napoletano di Giannini, in Senza rete (1954) scritto e realizzato insieme a Paolo Panelli e in Irma, la dolce a fianco di Anna Maria Ferrero (1958).

Bacci

Laureato in lettere a Pisa con una tesi sull’Odin Teatret di Eugenio Barba intitolata Teatro e alchimia , attore amatoriale nel gruppo Teatro Noi, Roberto Bacci fonda nel 1974 il Centro per la sperimentazione e la ricerca teatrale di Pontedera, di cui è direttore. Sensibile a un teatro spirituale e antropologico, intimamente legato all’attività laboratoriale e al confronto con le drammaturgie del nord e dell’est europeo, debutta nella regia con Macbeth (1975). È tuttavia dall’inizio degli anni ’80 che l’attività registica di B. si fa sistematica. In un ventennio realizza e dirige una ventina di spettacoli fra cui Zeitnot (1984), tratto da Il settimo sigillo e Il volto di Ingmar Bergman; Laggiù soffia (1987), primo atto di una trilogia che comprende Era (1988) e In carne ed ossa (1990); Il cielo per terra (1993), definito un ‘circo dei numeri spirituali’. Nel 1995 comincia a lavorare con gli attori della ‘Terza Età’ di Pontedera. Nascono Nulla: molte stelle e Incendio ispirato al terzo atto di Zio Vanja di Cechov. Tra il 1978 e il 1987 B. dirige il festival di Santarcangelo; dal 1985 è direttore del festival Passaggio di Pontedera e, dal 1990, di Volterrateatro in collaborazione con Carte Blanche.

Bracco

Fu critico teatrale e musicale del “Corriere di Napoli”. Le sue critiche raccolte nel volume Tra le arti e gli artisti (Napoli, 1923), si apprezzano per lo stile brillante e per la costante attenzione rivolta alle nuove poetiche teatrali che si affermavano in Europa. È deputato d’opposizione dal 1923 sino al 1928. L’avversione al regime fascista e le simpatie socialiste, che ebbero concreta espressione in molti lavori drammatici, gli costarono la quasi completa emarginazione dalla vita teatrale pur essendo stato uno degli autori più apprezzati all’estero e in patria. Le sue opere contribuirono non poco a rinnovare drammaturgia e stile di recitazione del teatro della Belle Époque, e fecero parte del repertorio dei maggiori attori italiani: la Talli-Gramatica-Ruggeri-Borelli portò al successo La piccola fonte (1905), mentre Giovanni Grasso fu indimenticato interprete di Sperduti nel buio così come Ruggeri lo fu di Piccolo santo , da molti ritenuto il suo capolavoro. B., la cui scrittura è radicata sulla solida struttura delle pièces bien faites , è considerato l’epigono italiano di Ibsen e uno dei capifila della `poesia dell’inespresso’ dove la psicologia dei personaggi è restituita attraverso una sapiente trama di allusioni che viene ricondotta a matrici simboliste. Si ricordano inoltre: Don Pietro Caruso (1895), Maternità (1903) e Notte di neve (1905).

Belskij

Si diploma all’Istituto coreografico di Leningrado nel 1943; sino al 1963 è impegnato come danzatore presso il Teatro Kirov (Marijinskij) di Leningrado dove si mette in luce soprattutto in parti di carattere; svolge attività di coreografo dal 1962 presso il Teatro Malyj di Leningrado, il Kirov e il Music-hall, dove allestisce sia classici, sia novità permeate di un forte spirito eroico come la Undicesima sinfonia di D. Šostakovic e Icaro di Ju. Slonimskij.

Bonfigli

Marina Bonfigli si diploma appena diciottenne all’Accademia d’arte drammatica ‘S. D’amico’ e inizia la sua carriera lavorando in compagnia. Mentre recita nel gruppo Gioi-Cimara conosce l’attore Paolo Ferrari con il quale si sposa nel 1956. Nel 1955 è Polly nell’ Opera da tre soldi diretta da Strehler e nel ’70 si lega alla compagnia Teatro Mobile di Giulio Bosetti che dopo la separazione da Ferrari sarà il suo compagno. Sempre nel ’70 partecipa a La battaglia di Lobositz di Peter Hacks con la regia di Guy Rétoré. Con Bosetti ha recitato in un’edizione del Don Giovanni di Molière (1975), in Tutto per bene di Pirandello, Assassinio nella Cattedrale di T.S. Eliot (1984) e in Enrico IV (1990). Ha lavorato anche con Dario Fo e Franca Rame e con Walter Chiari nella compagnia Senza Rete. In televisione è apparsa nella trasmissione Il Mattatore . Sono da ricordare, tra le tante altre interpretazioni: La coscienza di Zeno (1987) e La bottega del caffè (1991), sempre con la compagnia di Bosetti e L’avaro di Molière (1990, regia di Gianfranco De Bosio), La voce umana di J. Cocteau, La lezione di E. Ionesco (1991, regia dello stesso Bosetti). Ultimamente ha lavorato al Teatro stabile del Veneto recitando in Spettri di H. Ibsen (1993), Una delle ultime sere di Carnovale di Goldoni (1995, regia di Giuseppe Emiliani), La famiglia dell’antiquario (1994), Zeno e la cura del fumo (1994) di T. Kezich da I. Svevo e Il malato immaginario di Molière (1995).

Bentivoglio

Dopo aver studiato nel 1976-77 alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano, Fabrizio Bentivoglio esordisce nel ’78 con due spettacoli, Timone d’Atene , regia di Carlo Rivolta e La tempesta , regia di Strehler al Piccolo Teatro di Milano, che lo rivelano immediatamente come uno dei più duttili e dotati attori della nuova generazione. Nel 1979 recita al Teatro Quirino di Roma ne I parenti terribili di J. Cocteau, diretto da Franco Enriquez e l’anno dopo è sempre nella capitale, all’Eliseo, in Prima del silenzio con la regia di G. Patroni Griffi. Seguono L’avaro (1981), regia di M. Scaccia, e, ancora sotto la direzione di Patroni Griffi, Gli amanti dei miei amanti sono miei amanti (1982), Metti una sera a cena (1983) e D’amore si muore (1985), tutti testi del regista. La sua ultima fatica teatrale è Italia Germania 4 a 3 (1987) di Umberto Marino, regia di S. Rubini, lavoro che Bentivoglio interpreterà anche sul grande schermo nel 1989 con la regia di A. Barzini. Al cinema ha lavorato in più di venti pellicole, esordendo nel 1980 in La storia vera della Signora dalle camelie di M. Bolognini. Da ricordare anche Marrakesh Express (1988) e Turné (1989) di G. Salvatores assieme al quale fu co-sceneggiatore del secondo; Un’anima divisa in due di S. Soldini, Le affinità elettive (1995) dei fratelli Taviani. Ultimamente ha lavorato con il regista greco T. Anghelopulos in L’eternità è un giorno (1998).

Bryans

Rufy Bryans ha studiato a Lione con Karnetzki ed è stato solista in diverse compagnie (dal 1963 con il Ballet de Lille, poi con la Charrat). Nel 1973 è approdato al Ballet de Marseille, dove è stato per lunghe stagioni una delle vedette. Fra l’altro R. Petit lo ha voluto protagonista in La rose malade (in coppia con M. Plissetskaja, 1973), L’Arlésienne (1974), Les intermittences du coeur (1974) e Septentrion (1975). Un film su Bryans è stato realizzato dalla televisione francese nel 1975.

Bullins

Ed Bullins esordì come poeta, ma si dedicò poi al teatro vedendo in esso uno strumento più adatto a comunicare col pubblico nero. Raccontò sulle scene il mondo dei ghetti urbani in numerosi testi, spesso violentemente polemici, che si servivano creativamente del linguaggio, delle musiche e dell’immaginario della gente di colore. Fra i più noti: In the Wine Time (1968), The Duplex (1970), The Taking of Miss Jane (1975) e In the Name of Love (1988). Bullins è stato anche `ministro della cultura’ dei Black Panthers e direttore di una rivista dedicata al teatro nero.

Beck

Studia alla scuola del Balletto Reale Danese, diventando solista della relativa compagnia nel 1881 e maître de ballet dal 1894 al 1915. Depositario dell’illustre tradizione di August Bournonville, si è prodigato a preservarne e tramandarne lo stile coreografico in veste di interprete, ma soprattutto di maestro e fedele riproduttore, allestendo numerosi titoli della sua produzione ( Napoli ). Coreografo lui stesso, ha firmato la versione di Coppélia (1896) tuttora in repertorio della compagnia danese.

Beerbohm

Baronetto dal 1939, fu assiduo frequentatore dei circoli culturali dell’élite londinese dei primi del secolo. Successore di G.B. Shaw come critico teatrale della “Saturday Review”, fra le sue opere drammatiche segnaliamo in particolare L’ipocrita felice , del 1897, ma rappresentato da Mrs Patrick Campbell nel 1900 al Royal Theatre, da cui fu tratta l’omonima opera di Ghedini, The Fly on the Wheel (scritto a quattro mani con M. Carson) del 1902 e A Social Success del 1913. Fra i suoi saggi citiamo Seven Men (1919) e Around Theatres (1924). Si rese celebre anche per le sue graffianti caricature di uomini di teatro e non solo, e per i suoi racconti fiabeschi, dimostrando, in tutta la sua opera, un gusto per la parodia ironica e raffinata dei manierismi della cultura decadente.

Bennett

Mentre si laurea in storia a Oxford Alan Bennett, scrivendo per il giornale universitario “Suggestions Book”, scopre la sua vocazione: «Vorrei che la gente ridesse e si divertisse a farlo». Inaugura la sua carriera drammaturgica con ciò che lui definisce `Anglican Sermon’, spettacolo di rivista rappresentato con il titolo Beyond the Fringe (1961) e messo in scena in collaborazione con Dudley Moore, Jonathan Miller e Peter Cook. Con le sue riviste e commedie Alan Bennett ha contribuito, per le originali innovazioni e per la notevole maestria nell’uso del linguaggio, alla rivoluzione della satira inglese: Forty Years On (1968), raramente messa in scena per l’eccessivo numero di attori previsto; Getting On (1971), commedia pensata in origine, con toni più seri, ma liberamente modificata in prova dall’attore Kenneth More, operazione che ha portato a Alan Bennett, suo malgrado, il premio Evening Standard per la miglior commedia dell’anno; e ancora la sua preferita e più rappresentata Habeas Corpus (1973). Ma è con La pazzia di re Giorgio (The Madness of King George, 1992), una libera ricostruzione storica degli intrighi e delle follie del re e della sua corte, che B. ha acquistato notorietà internazionale.

Battistoni

Dopo una lunga esperienza televisiva Carlo Battistoni è entrato a far parte del Piccolo Teatro di Milano come aiuto-regista di G. Strehler, con il quale ha collaborato alla messa in scena dei più importanti spettacoli cominciando con l’allestimento del Re Lear del 1972. Negli anni successivi segue e assiste Strehler anche in molte regie di opere liriche e in Il gioco dei potenti da Shakespeare al festival di Salisburgo nel 1973. È autore di una riduzione televisiva, purtroppo andata perduta, sull’ Opera da tre soldi ; inoltre ha curato la regia televisiva di molti spettacoli del Piccolo e di numerose opere liriche. Dal 1975 ha firmato autonomamente una quindicina di allestimenti tra cui Le case del vedovo (1977-78), Poesie e canzoni per i tempi oscuri , Minnie la candida interpretata da Giulia Lazzarini, con la quale divide vita e arte, (1980), Gli ultimi (1982-83), Intermezzo (1986), Grande e piccolo (1987-88), L’intervista (1989-90), Siamo momentaneamente assenti (1992), Le utopie di Marivaux (1994-95), Quanto costa il ferro? (1995-96), Lux in tenebris (1995-96) e Le nozze dei piccoli borghesi (1995-96). Dopo l’improvvisa morte di Strehler ha portato a termine la regia di Così fan tutte di Mozart (1998).

Benti

Di ascendenze nobili, alto e naturalmente elegante e raffinato, Galeazzo Benti divenne sulla scena (e spesso sullo schermo) il ‘gagà’ per antonomasia. Una figura, quella del giovanotto snob e nullafacente, con erre moscia e movenze sincopate, dotato di strabiliante fantasia e perciò destinato inevitabilmente alla derisione, che già spopolava sui giornali umoristici con rubriche su misura: «Il gagà che aveva detto agli amici…». Seguiva una battuta dalla doppia lettura: una, aulica, lasciata intendere da un gagà e l’altra, plebea, illustrata dalla vignetta. Nella stagione 1943-44, B. recitò in Ritorna Za Bum di Marcello Marchesi, accanto ad Alberto Sordi, anch’egli agli esordi, e a Carlo Campanini, Carlo Ninchi, Roldano Lupi. Il successo si ripeté nella stagione successiva con Sai che ti dico? dello stesso autore, con Sordi che presenta il personaggio di Mario Pio, il petulante boy-scout da oratorio. Soubrette Vivi Gioi, caratteristi di peso Ave Ninchi e Luigi Pavese. Nel 1944-45 fu in Pasquino di Vittorio Metz e alla rivista, dedicata all’irriverente personaggio romano (le `pasquinate’ erano poesie polemiche contro le autorità), parteciparono Sergio Tofano, Enrico Viarisio, Aroldo Tieri. Nella stessa stagione, fu in Imputato alziamoci! di Michele Galdieri, accanto a Vittorio Caprioli e Alberto Bonucci, con Lucy D’Albert soubrette. Affronta la satira con Soffia, so’… di Garinei e Giovannini; nel cast, Anna Magnani, Sordi, Carlo Ninchi, Marisa Merlini. Lo spettacolo, nel 1945, venne eccezionalmente rappresentato a Roma e a Milano: all’epoca le tournée erano settentrionali oppure centro-meridionali, per ovvie ragioni belliche. Benti sarà ancora accanto alla Magnani in Sono le dieci e tutto va bene nella stagione successiva. Venne poi definito dalla critica «divertentissimo» in La piazza di Galdieri con Carlo Dapporto (stagione 1952-53). Tramontata la rivista ed esauritosi il filone dei filmetti comico-musicali (ne interpretò una sessantina, di cui sette con Totò), Benti nel 1955 si trasferì in Venezuela, allestendovi una compagnia di produzione televisiva (programmi e spot). Venne richiamato in Italia nel 1979 da Ettore Scola per il film La terrazza. Da allora tornò a recitare in teatro: con Massimo Ranieri in Varietà di Maurizio Scaparro; con Enrico Montesano in Cercasi tenore di Ludwig-Fiastri, regia di Pietro Garinei, stagione 1989. Dopo il suo rientro in patria, ha interpretato una quindicina di film e serial tv, meritandosi anche una nomination al David di Donatello per il film Io e mia sorella di Carlo Verdone. Di rilievo il ruolo del mentore nel remake del film Il conte Max con Christian De Sica: nel ruolo di un nobile decaduto che insegna le buone maniere a un giovanotto aspirante conte.

Bianchi

Inizia la sua attività nel 1967 al Teatro stabile di Genova, dove resta fino al 1976. Molti gli spettacoli diretti da L. Squarzina, tra cui Memorandum di Havel, Madre Coraggio di Brecht, Giulio Cesare di Shakespeare, La rigenerazione di Svevo; poi, con G. Lavia, interpreta Goldoni ( Il vero amico ), Kleist ( Anfitrione ), Cechov ( Il giardino dei ciliegi ) e L’onorevole, il poeta e la signora di A. De Benedetti. Nella stagione 1997-98, con lo Stabile di Genova, affianca A. Jonasson in Un mese in campagna di Turgenev.

Biermann

Wolf Biermann nasce da famiglia operaia e il padre muore nel lager nazista di Auschwitz. Trasferitosi nella Rdt nel 1953, studia economia politica, quindi lavora come assistente al Berliner Ensemble, dal ’57 al ’59; dal ’59 al ’63 alterna la produzione di testi poetici e canzoni con gli studi di filosofia e matematica; nel ’64 debutta al Distel, teatro cabaret di Berlino Est, come cantautore, e tiene concerti nella Germania occidentale ottenendo un grande successo. Critico del capitalismo, non è meno tagliente nei confronti del socialismo burocratico della Rft, così, a partire dal 1965, gli viene proibito di esibirsi in spettacoli musicali e teatrali e di pubblicare i suoi testi. Nel 1970 mette in scena ai Kammerspiel di Monaco l’opera teatrale Il Dra-Dra. La grande visione dell’uccisore di draghi in otto atti con musica , da Evgenij Švarc, una resa dei conti con lo stalinismo. Privato della cittadinanza ed espulso dalla Germania orientale nel 1976, si stabilisce ad Amburgo, sua città natale.

Bosic

Dopo aver studiato teatro a Praga Andrea Bosic si trasferisce a Roma e si diploma all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’. Debutta nel 1945 al Teatro Eliseo di Roma accanto ad Anna Magnani. In seguito fa parte delle compagnie di Memo Benassi, Tatjana Pavlova e della Pagnani-Cervi. Lavora al Piccolo Teatro di Milano (1949-51), con il regista Guido Salvini e per sei anni con Vittorio Gassman al Teatro Popolare Italiano. Quando questo viene sciolto, ritorna in compagnie di giro, poi agli Stabili di Torino e Genova. Definito attore classico per eccellenza, ha lavorato spesso al Teatro Greco di Siracusa. Ha recitato inoltre per la radio, la televisione e il cinema.

Barry

Studiò a Harvard con G.P. Baker e iniziò nel 1923 una carriera d’autore che lo vide affrontare i generi teatrali più diversi, compresa la tragedia d’argomento biblico. Ma la sua fama è legata non alle opere di maggiori ambizioni (come Hotel Universe , 1930, dove tenta di dar voce al mal di vivere della cosiddetta generazione perduta), bensì ad alcune commedie sofisticate ambientate nel gran mondo (del quale faceva parte per nascita e per censo) e caratterizzate da brio, vivacità ed eleganza: Incantesimo (Holiday, 1928), Il regno animale (The Animal Kingdom, 1931) e soprattutto Una famiglia di Filadelfia (The Philadelphia Story, 1939).

Bessegato

Paolo Bessegato frequenta la scuola del Piccolo Teatro di Milano. Dopo il diploma (1974) e dopo una breve esperienza di assistente alla regia di Giorgio Strehler e Dario Fo inizia l’attività di attore nel ’75 con la compagnia di Virginio Gazzolo. Alla fine degli anni ’70 è uno degli animatori del Teatro Uomo di Milano, un luogo di sperimentazione artistica e di impegno civile. Nel ’79, la sua prima opera come autore, Manuale di disoccupazione viene presentata al Club Brera, un piccolo spazio che, a Milano, è stato per qualche anno un centro di attività ricerca. La sua prima interpretazione importante è Tartufo (1981) con la regia di Mina Mezzadri al Centro Teatrale Bresciano. Qui stabilisce, dal 1985, una intensa collaborazione con il regista Nanni Garella per cui interpreterà Ricorda con rabbia di Osborne, Agamennone di Alfieri e, fuori dal Ctb, Ista laus e Didone abbandonata. Tra le altre interpretazioni, Alcesti nel 1992 con la regia di Walter Pagliaro; Adelchi nel ’93 con la regia di Mina Mezzadri; La morte civile nel ’94 diretta da Giuseppe Bertolucci, Ecuba ancora nel 1994 diretta da Massimo Castri, e nel 1996 Arlecchino servitore di due padroni con la regia di Nanni Garella accanto a A. Haber. Come regista e interprete firma alcuni recital poetici: Uccellino meschino di Giancarlo Majorino nel ’78; Gli sguardi, i fatti e senhal di Andrea Zanzotto nel 1980; Fuochi incrociati di Antonio Porta nel 1984; Villon di Roberto Mussapi nel 1990 e Bibbiù di Achille Platto nel 1996, solo come regista. Al teatro alterna l’attività di attore in tv, nella musica e nel cinema.

Bronett

I quattro fratelli B. fondano nel 1937 il primo circo della Svezia col nome di Scott. Esso si distingue ancora oggi per il prestigio dei programmi e per la popolarità. Il suo successo è dovuto all’impegno di Kate B. e, dopo la sua scomparsa, del figlio François (morto nel 1994), divenuto un celebre personaggio televisivo. François B. ha inoltre dato vita con i figli ad un’impresa di produzioni televisive circensi di importanza mondiale, ed è stato direttore del festival di Montecarlo. Henri e Robert B. sono oggi gli eredi e gestori del circo Scott.

Bagnasco

Dopo aver fatto parte della Rivista goliardica Baistrocchi (una compagnia amatoriale intitolata a uno studente universitario morto in guerra di cui faceva parte anche Paolo Villaggio) inizia la sua variegata carriera di attore al Cut di Genova dove debutta come protagonista di Caligola di Camus (1961). Poi passa all’attività professionale entrando nella compagnia dello Stabile di Genova, dove dal 1962 al ’65 recita in Il diavolo e il buon Dio di Sartre, Ciascuno a suo modo di Pirandello, con la regia di Squarzina, e Il processo di Savona (sull’arresto di Pertini e altri partigiani) messo in scena da Paolo Giuranna. Dal 1966 al ’68 è regista stabile della compagnia di Tino Buazzelli che dirige in L’uomo del bluff , prima commedia di Arpino, Macbeth di Shakespeare e Gnocco , un testo sulle vicissitudini di un arbitro di calcio scritto dallo stesso Buazzelli. Nel 1972 mette in scena a Spoleto La quadratura del cerchio di Kataev. Poi entra in Rai come dirigente – sarà conduttore e autore di numerosi programmi, tra gli altri: Mixer cultura , Aspettando… , Tenera è la notte e le stagioni di Palcoscenico – e si dedica al teatro come autore. Nel 1976 scrive lo spettacolo Il mio mestiere , che rappresenta il rientro sulle scene di Gino Paoli (la collaborazione si rinnoverà nel 1992); nel 1981 adatta per Lina Volonghi il romanzo La bocca del lupo di Remigio Zena; nel 1992 scrive per la compagnia Attori e Tecnici, diretta da Attilio Corsini, Panni Sporchi Show ; nel 1993 al festival di Benevento viene allestito il suo atto unico Superbia ; infine va citata la collaborazione con Beppe Grillo per il quale scrive i testi, assieme a Michele Serra, di Buone notizie . Ha lavorato anche nel cinema come aiuto regista di Bernardo Bertolucci in Prima della rivoluzione (1963).

Barney

Matthey Barney opera una specie di androginia organica attraverso travestitismi-icone mitologici irriverenti ripresi dalla sua videocamera. Da Jim Otto (celebre giocatore di footbal) a Houdini, da un body builder a un satiro, da ibridi postumani a esseri da leggende gotiche. Il lavoro più importante è Cremaster 4 (cremaster è la denominazione del piccolo muscolo che sostiene il testicolo) è il video, presentato alla Fondation Cartier di Parigi nel 1995, in cui Barney è una specie di dandy dai capelli color arancio metà uomo e metà ariete di Laughton dell’Isola di Man.

Boublil

Boublil Alain (Tunisi nel 1941) e Schönberg Claude-Michel (Vannes), rispettivamente il librettista-paroliere e il musicista di un certo numero di super successi degli anni ’70-80. In realtà Boublin e  sono quanto rimane di due coppie: B. cominciò a scrivere in coppia con Jean-Max Rivière e Schönberg componeva con Raymond Jeannot. Tale quartetto è responsabile nel 1973 di un disco francese di gran successo “La Révolution Française” (ha venduto a tutt’oggi quasi mezzo milione di copie), chiaramente ispirato a Jesus Christ Superstar . Sempre nella stessa formazione, dettero vita a La Révolution Française spettacolo al Palais des Sports di Parigi il 23 ottobre 1973.

Nel 1978, Boublin e Schönberg sono di nuovo riuniti per Les Miserables che sarà pure presentato al Palais des Sports nel novembre del 1980. Qualche anno, e qualche lavoro individuale, più tardi i due autori sono coinvolti nell’edizione inglese di Les Miserables che va in scena l’8 ottobre al Barbican e passa il 4 dicembre al Palace di Londra (dove continua a tutto ottobre di quest’anno); Les Miserables viene presentato a Broadway il 12 marzo 1987 ed è ancora in scena in ottobre del 1998. Altre trentadue edizioni hanno visto la luce in questi anni in quindici lingue diverse per un totale di circa trentamila repliche complessive. Il mostruoso successo di B. e S. si intitola Miss Saigon e va in scena il 26 settembre 1989 e poi a New York l’11 aprile 1991: in entrambe le città le repliche continuano ancora nell’ottobre 1998. Martin Guerre, la loro ultima fatica, non è stato un successo: presentato a Londra nel luglio 1996, ha chiuso nel febbraio 1998 dopo essere stato sostenuto in tutti i modi dalla produzione.