Burns

Geroge Burns si unisce in coppia con Gracie Allen (1902-1964) fin dalla scena del vaudeville degli anni ’20, dove i due propongono sketch comici di vita coniugale in cui il marito vorrebbe fumare in santa pace il suo sigaro, limitare le conversazioni con la moglie alla salute del cognato e non dar fondo alla propria pazienza messa a dura prova dalla martellante sequela di sciocchezze propinate dalla voce cinguettante di lei. Variando di poco questo schema continuano a godere del successo popolare negli anni ’30 in trasmissioni radiofoniche, nel ventennio 1930-40 nelle produzioni cinematografiche Paramount e negli anni ’50 anche in televisione. Recitano insieme in una ventina di pellicole tra cui la serie dei The Big Broadcast of

Bucci

Flavio Bucci studia alla scuola di recitazione dello stabile piemontese. Nel 1968 si trasferisce a Roma dove Ruggero Jacobbi gli offre un ruolo in L’arcitreno di Silvano Ambrogi. Da quel momento inizia una serie di intense interpretazioni teatrali: Peer Gynt (1968), Amleto (1969), Tre scimmie in un bicchiere e Il principe (1970). La vera notorietà gli arriva con l’interpretazione di Ligabue nell’omonimo sceneggiato televisivo di Nocita, ma Bucci non abbandona il teatro. Nel ’78 interpreta Don Chisciotte, regia di Armando Pugliese. Nel 1984 è il protagonista nonché il regista, al festival di Spoleto, di una versione attualizzata di Il re muore di Ionesco. Nel ’90 torna al teatro classico con Empedocle di Hölderling, regia di Melo Freni e al suo amato Pirandello di cui interpreta a Taormina Cecè, La patente, e in tournée per diverse stagioni, Il fu Mattia Pascal. Nello stesso anno con la moglie Micaela Pignatelli interpreta L’uomo, la bestia e la virtù. Maschera di vocazione tragica, Bucci ha subìto negli anni la condanna di Ligabue televisivo, che l’ha legato indissolubilmente a un ruolo e a una grande interpretazione difficilmente ripetibile.

Bat-Dor Dance Company

La compagnia Bat-Dor Dance Company nasce a Tel Aviv (1967) dal Bat-Dor Dance Studio, sovvenzionata da Bethsabee de Rothschild e diretta da Jeannette Ordman. Ha in repertorio lavori classici e moderni di importanti coreografi come Anthony Tudor, Rudy van Dantzig, Peter Wright, Lar Lubovitch, Paul Sanasardo e Domi Reiter-Soffer. Dal 1971 dispone di un proprio teatro nella capitale israeliana; dal 1974, dopo il debutto a Londra, realizza numerose tournée in Europa. Si caratterizza per la forte ispirazione nelle proprie radici etnico-geografiche.

Bertolino

Enrico Bertolino inizia l’attività artistica nel 1988, lavorando presso la Cà Bianca di Milano, dove si forma come cabarettista, esibendosi per diversi anni prevalentemente nei fine settimana per gli impegni del suo lavoro di consulente. Dal 1994, dopo aver seguito alcuni stage di aggiornamento artistico, incrementa la sua attività, cominciando a rappresentare il suo spettacolo Milano e dintorni… profili e contorni , in numerosi locali di Milano e provincia (tra i quali lo Zelig e il Bolgia Umana) fino a che, nel 1996, raggiunge una certa notorietà, partecipando ad alcuni concorsi che gli valgono premi e riconoscimenti (primo premio al festival ‘Ugo Tognazzi’ di Cremona, al ‘Gianni Magni’ di Milano e al `Bravograzie’ di Courmayeur). Grazie a questi risultati e a sue partecipazioni in alcune trasmissioni radiofoniche e televisive in emittenti private, Enrico Bertolino nel ’97 approda al Maurizio Costanzo Show ed esordisce al Teatro Ciak di Milano con lo spettacolo Il nuovo che avanza . Nello stesso anno arrivano le collaborazioni alla trasmissione televisiva Mai dire gol e Facciamo cabaret . Con Marco Della Noce nella stagione 1997-98 ha condotto dal palcoscenico del Teatro Ciak The day after `le notizie bomba del giorno dopo’ , spettacolo delle notti milanesi, oltre a partecipare, in televisione, a Ciro, il figlio di Target.

Bosquet

Thierry Bosquet inizia la sua carriera lavorando per la lirica e per la danza fin dal 1955 al Teatro Volant di Bruxelles, e poi realizzando diversi spettacoli anche per il Théâtre Royal de la Monnaie. Il suo linguaggio creativo è di forte ispirazione fantastica: per la Manon di Massenet (regia di S. Sequi, 1964) rievoca decorazioni di arredo tardo rococò; per Il flauto magico di Mozart (regia di C. Graham, 1966), immagina velluti, sculture e costumi metà Ottocento dalle ampie gonne femminili a balze di merletto; e per Il conte Ory di Rossini (regia di A. Berch, 1967) inserisce abiti corposi ed appariscenti in una campagna da miniatura gotica, illuminata da soli a raggi d’oro da broccato barocco. Importante è l’incontro con Béjart, per il quale lavora dal 1974, in una Traviata ambientata in un démi-monde sfolgorante di lumi e orpelli, con dame in abiti a strascico, boa di struzzo e pennacchi di airone; nel 1975 elabora il Notre Faust di Béjart e nel 1978 risolve La vie parisienne di Offenbach con atmosfere che rievocano con ironia le mode della Parigi del Secondo impero. Nonostante la sua carriera sia legata di preferenza ai teatri di Bruxelles, l’artista belga opera con successo in Europa, in Francia, Germania ed Italia (nel 1968 a Monaco elabora l’ Orfeo di Monteverdi; nel 1973 per il Teatro alla Scala di Milano cura le scene ed i costumi di Mathilde ou l’Amour Fou , un balletto su musica di Wagner).

Bellezza

Diplomatosi alla Scuola di ballo del Teatro alla Scala, dopo due anni di perfezionamento al Bol’šoj di Mosca Maurizio Bellezza entra nella compagnia scaligera dove danza i ruoli principali del repertorio e affianca Carla Fracci nel Romeo e Giulietta di Rudolf Nureyev. Primo ballerino del London Festival Ballet dal 1981 al 1983, rientrato alla Scala partecipa alla creazione de Il lago dei cigni di Rosella Hightower e Franco Zeffirelli (1985). Con la sua partner Renata Calderini è poi alla Bayerische Staatsoper di Monaco (1986) e all’English National Ballet (1989-92) come primo ballerino. Ritiratosi nel 1993 svolge ora attività di maître de ballet e assistente alle coreografie in vari teatri, tra cui la Scala.

Bussotti

Osserva Roland Barthes che un manoscritto di Silvano Bussotti è già un’opera d’arte totale: in lui il teatro (il concerto) comincia a germinare fin dall’apparato iconografico che ha il compito di trasmetterne il programma. Per Silvano Bussotti l’opera musicale scritta, ben lungi dall’esaurirsi nelle potenzialità di un prodotto, è infatti un momento di un’ operazione sinestetica, insieme acustica, visiva e gestuale, che prelude ai sinuosi labirinti del suo teatro. Compositore, regista, scenografo e costumista tra i più originali comparsi sulla scena dell’avanguardia italiana negli ultimi decenni, Silvano Bussotti ha sempre coltivato un proprio mondo musicale di concentrata intensità autobiografica, nutrito di ossessioni, desideri e pulsioni sensuali debordanti – una visione liberatoria ed estetizzante dell’erotismo campeggia al centro di tutto il suo progetto artistico – che deflagrano spazialmente a partire dal suo segno grafico. Gli spartiti di due dei Five Piano Pieces for David Tudor (1959), ad esempio, saranno materiali per i siparietti di Oggetto amato (1975), `mitologie danzate’ con coreografia di Amedeo Amodio; mentre la gestualità dei Tableaux vivants per due pianoforti (1964) funge da cartone preparatorio per il `mistero da camera’ La passion selon Sade (1965); o ancora, le pianistiche Novelletta (1973) e Brillante (1975) verranno poi rielaborate in versione ballettistica. Nella Passion , in particolare, Silvano Bussotti attinge forse al più alto livello del suo sperimentalismo, nell’assoluta ambivalenza dei ruoli di esecutori e attori, nel continuo trascolorare delle azioni dall’esecuzione strumentale alla finzione scenica o all’happening vero e proprio.

A partire dagli anni ’70 la fucina del `Bussottioperaballet’, sigla sotto la quale il compositore ama far rientrare ogni suo lavoro teatrale, ha prodotto circa venti titoli tra opere (delle quali ricordiamo Lorenzaccio, 1972, Nottetempo, 1976, L’ispirazione, 1988) e balletti. Quest’ultimo versante è particolarmente ricco; spiccano Raramente (Biennale di Venezia 1971, coreografia di Aurelio Milloss), Le bal Miró (1981, coreografia di Joseph Russillo, scene e costumi di Miró), Cristallo di rocca (Scala 1983) e Nuit de faune (1990-91), denominato ‘concerti con figure’. Già direttore di La Fenice di Venezia (1976-77) e della Biennale Musica (1991-93), sin dagli anni ’60 Silvano Bussotti ha affiancato all’impegno per le regie, le scene e i costumi di quasi tutti i propri spettacoli, un’assidua presenza nel campo della musica di scena (da Beckett a Hofmannsthal, alcune collaborazioni con Carmelo Bene) e soprattutto della regia, sia per balletti d’altri autori sia per il teatro d’opera (dal 1974 in poi, per le scene e i costumi si è avvalso in prevalenza della collaborazione di Tono Zancanaro). Anche quest’ultima e non secondaria branca della sua attività appartiene e si fonde con il ridondante gusto figurativo del suo teatro. Se la sua musica è pervasa da una poetica che elegge il frammento prezioso e la citazione dotta a sistema, analogamente l’invenzione visiva attinge ai toni del fantastico e del fiabesco per contagiarli con un’ostentazione compiaciuta di sfarzo ed eccessività che gioca a sfiorare il kitsch, ma che definire `barocca’ sarebbe limitativo. L’intento di B. è invece quello di riguadagnare al proprio narcisistico quanto nobile gesto, in una lucidità che si direbbe quasi ‘neo-rinascimentale’ nei suoi momenti migliori, la perduta pienezza interdisciplinare e totale del fare artistico.

Buero Vallejo

Studente di belle arti, Antonio Buero Vallejo partecipò alla guerra civile nelle file repubblicane e fu incarcerato al termine del conflitto. In carcere maturò la sua vocazione teatrale che, sostenuta dal successo della sua prima opera, Storia di una scala (Historia de una escalera), 1949, lo fece diventare il drammaturgo di maggior prestigio dell’epoca franchista. Autore di un teatro serio, in cui al realismo di fondo si intrecciano tratti del simbolismo – ricorrente ad esempio la cecità fisica come simbolo della cecità intellettuale – Buero fu l’unico drammaturgo non allineato con il regime a riuscire a mandare in scena regolarmente i suoi testi, accolti favorevolmente sia dalla critica che dal pubblico. Alterna drammi contemporanei con ricostruzioni storiche che gli permettono di riflettere anche sul presente eludendo la censura. Sono questi ultimi forse i suoi testi migliori, da Un sognatore per un popolo (Un soñador para un pueblo) 1958, a Las meninas (titolo del quadro di Velázquez, che è il protagonista del dramma), 1960; da Il concerto di Sant’Ovidio (El concierto de San Ovidio), 1962, a Il sonno della ragione (El sueño de la razón) 1970, incentrato su un indomito Goya, benché già anziano e completamente sordo. Dopo la fine del regime, rallenta la sua produzione, mantenendosi fedele a una visione critica nei confronti della realtà.

Buirge

Dopo studi alla Julliard School e al Dipartimento di danza del Connecticut College, per sei anni Susan Buirge danza nella compagnia di Alwin Nicholais. Trasferitasi in Francia nel 1970, la sua influenza è determinante per molti giovani artisti, sia da un punto di vista pedagogico che nella ricerca coreografica. Secondo la sua visione, la danza è soprattutto il risultato di un sentimento interiore, tale da muovere alla ricerca di una verità racchiusa in se stessi. Tra le sue più notevoli coreografie, From West to East (1976) e Empreintes (1977). Nei primi anni ’90 ha vissuto a Kyoto, in Giappone, e dall’incontro con il mondo orientale sono nati una serie di lavori di struttura quasi minimalista. Delicato l’assolo per la danzatrice taiwanese Lin Hsiu-Wei La terrasse à l’ombre de la lune (1995); ugualmente preziosa la serie di coreografie, ultimate nel 1997, dedicate alle stagioni dell’anno quali Ubusuna (danza dell’inverno) e Kin Iro no Kaze no Kanate , ovvero danza consacrata all’autunno e sviluppata intorno all’idea delle ombre ritrovate con il ritorno del sole.

Briciole

Nato nel 1976 a Reggio Emilia e trasferitosi a Parma nel 1981 nello spazio polifunzionale del Teatro al Parco, il Teatro delle Briciole produce i suoi spettacoli e organizza rassegne di grande interesse. Il T. delle B. è riuscito a fondere nei suoi spettacoli con notevole suggestione il teatro di figura con quello di attore, che negli ultimi tempi ha decisamente preso il sopravvento. Collabora stabilmente con Tonino Guerra (Il grande racconto , 1990; La casa dei giardini interni , 1995). Molti gli spettacoli memorabili: Nemo (1979), Genesi (1980), Il richiamo della foresta (1982), Miracoli (1982), Lo stralisco (1991), Con la bambola in tasca (1994). Le regie di Marina Allegri, Maurizio Bercini, Letizia Quintavalla, Bruno Stori hanno creato per varie generazioni di ragazzi, non solo italiani, una sorta di alfabeto emozionale di grande impatto visivo.

Berrini

Seguace di Sem Benelli, Nino Berrini tentò di fondere lo stile dannunziano con quello tardottocentesco. Il dramma che gli diede la fama (più di diecimila rappresentazioni nel mondo) fu Il beffardo, `fresco dugentesco’ che metteva in scena il personaggio di Cecco Angiolieri, raffigurato attraverso i suoi sonetti. Altre opere: Rambaldo di Vaqueiras (1921), Francesca da Rimini (1923), La nuda del Cellini (1928), Teresa Casati Confalieri (1938) e il soggetto del film Il sogno d’amore (1922), realizzato da Gennaro Righelli.

Brodacz

Studiosa di danze etniche si forma in danza contemporanea e apprende l’afrodanza in Senegal, Mali, Togo e Guinea dove lavora con i Balletti Nazionali. Con il suo Gruppo Alhena (1982) definisce la sua ricerca sulla scia del teatrodanza tedesco e del teatro d’avanguardia di Peter Brook in molti spettacoli ispirati alla cultura africana, come La Cerimonia di Awile, Omaggio all’Africa, Medea nati in collaborazione con il danzatore e coreografo africano Koffi Koko.

Boccardo

Interprete delicata, dalla bellezza classica, Delia Boccardo ha lavorato molto con L. Ronconi (da Ignorabimus di Arno Holz nel 1985 a Tre sorelle di Cechov nel 1988 a Re Lear dove della sensuale violenza di Goneril ha restituito un eccezionale ritratto). Nel 1987 è al fianco di M. Mastroianni in Partitura incompiuta per pianola meccanica dal Platonov di Cechov diretta da N. Michalkov. Nella stagione 1997-98, nell’ambito di una serie di drammi radiofonici curata da Ronconi, ha interpretato La rivolta di V. de l’Isle-Adam.

Blair

Vincitore di una borsa di studio della Royal Academy of Dancing, David Blair fu ammesso alla scuola del Sadler’s Wells nel 1946 e, l’anno successivo, entrò a far parte del Sadler’s Wells Theatre Ballet dove ha danzato i ruoli principali in Harlequin in April (1951), Pinapple Poll (1951), Romeo e Giulietta (Kenneth MacMillan, 1956), Il principe delle pagode (1957), Antigone di John Cranko (1959) e La fille mal gardée (1960). Nel 1953 divenne solista della stessa compagnia e del Covent Garden. Ha danzato a fianco di Margot Fonteyn, è stato protagonista di numerose tournée con il Royal Ballet e, dalla metà degli anni ’60, ha ballato con alcune compagnie statunitensi: l’Atlanta Civil Ballet (Il lago dei cigni, 1965; La bella addormentata, 1966); l’American Ballet Theatre (Il lago dei cigni, 1967; Giselle, 1968). Nominato C.B.E. (Commander of Order of the British Empire) nel 1964, ha lasciato le scene nel 1973 per dedicarsi all’insegnamento. È deceduto prima di assumere la carica di direttore artistico del Balletto Nazionale Norvegese.

Bisini Gran Circo Continentale

 

Bisini Gran Circo Continentale è uno dei più importanti circhi italiani del periodo 1907-1921. Fondato dal romano Romeo Bisini e da lui diretto con la moglie Mary Kling, cavallerizza tedesca e le sorelle di questa, Anna e Zelma. Si esibisce prevalentemente nei politeama. Buoni spettacoli a base equestre e valide campagne stampa, che coinvolgono anche l’alta borghesia, fanno di Romeo Bisini uno dei primi moderni direttori di circhi italiani. Effettua numerose tournée all’estero e per questo motivo negli anni Venti è protagonista di una polemica autarchica con il circo francese di Alphonse Rancy.

Blady

Syusy Blady inizia negli anni Ottanta col gruppo Gran Pavese Varietà, un circolo Arci trasformato in cabaret insieme con Patrizio Roversi che poi diventerà suo marito oltre che suo partner negli spettacoli comici. Inventa il concorso delle `tap model’ che finisce in libro Manuale della tap model. Approda con successo al varietà televisivo. Abile nello sfruttare la propria inadeguatezza fisica al mondo dello spettacolo, si costruisce un personaggio di moda dai toni surreali e parodici.

Brook

Peter Brook diresse il suo primo spettacolo e il suo primo film quando era ancora studente a Oxford e iniziò la carriera professionale nel 1945 al Birmingham Repertory Theatre dove collaborò per la prima volta con P. Scofield, suo frequente compagno d’avventure teatrali per oltre tre lustri. L’anno dopo debuttava a Stratford-upon-Avon mettendo in scena, con costumi ispirati a Watteau, Pene d’amor perdute, che lo rivelò, appena ventunenne, alla critica inglese. Poi, fino alla fine degli anni Cinquanta, lavorò principalmente per i teatri commerciali, allestendo, a Londra, a New York o a Parigi, spesso con interpreti di grande nome, testi di Miller e di Williams, di Anouilh e di Dürrenmatt, di Eliot e di Genet, ma anche commediole come La capannina di Roussin e musical come Irma la douce di Breffort. Nello stesso periodo firmò tuttavia a Stratford alcuni spettacoli shakespeariani, con esiti memorabili soprattutto per Misura per misura (1950) con J. Gielgud) e Titus Andronicus (1955, con L. Olivier) messi in scena dando particolare rilievo ai loro aspetti più inquietanti e più provocatori attraverso il sistematico ricorso alla fisicità degli attori, chiamati, come non era mai accaduto nella tradizione recitativa inglese, a esprimersi anche e soprattutto coi loro corpi. Traduceva insomma in termini teatrali le intuizioni di Artaud, temperate in parte dalla lezione brechtiana (con il rifiuto e lo smantellamento dei concetti di immedesimazione e di illusione scenica) e in parte da ciò che c’era ancora di vivo in quella tradizione recitativa alla quale peraltro si opponeva.

Negli anni Sessanta tutte queste influenze (cui si aggiunse presto anche quella di Grotowski) cominciarono a confluire in uno stile convincente e inconfondibile, pur nella molteplicità delle sue esperienze registiche, tese ogni volta all’esplorazione di nuove strade anziché al mero approfondimento dei risultati già raggiunti. Il decennio, durante il quale Brook lavorò principalmente, a Stratford e a Londra, per la Royal Shakespeare Company, istituita nel 1961, si aprì e si chiuse con due straordinarie messinscene shakespeariane: nel 1962 un Re Lear con Scofield che, partendo da un saggio di J. Kott, accostava la grande tragedia, sbarazzata da tre secoli di incrostazioni interpretative, al mondo desolato di Finale di partita ; e nel 1970 un Sogno di una notte di mezza estate (portato al festival di Venezia nel 1971) che richiedeva agli attori di utilizzare tecniche del circo e del teatro orientale per dar rilievo agli inquietanti sottotesti di questa commedia che appariva così in una luce sorprendentemente nuova, in un sapiente equilibrio fra aspetti ludici e rituali. Ma il decennio vide anche altri esperimenti di grande significato, quali la stagione del ‘teatro della crudeltà’ (1964) con un discusso e stimolante spettacolo-saggio al termine di una lunga fase laboratoriale; l’allestimento del Marat/Sade di Weiss (1964) che faceva tesoro di questa esperienza per approdare a uno spettacolo di sconvolgente fisicità e di nuova e impressionante teatralità; e la discussa proposta di US (1966), dove il titolo significava sia `Stati Uniti’ sia `Noi’, una riflessione in termini squisitamente teatrali sul tema allora scottante della guerra nel Vietnam.

Con gli anni Settanta Brook che, nonostante i successi ottenuti, si sentiva sempre più soffocare dalle strutture del teatro inglese, compreso quello artisticamente più avanzato, e desiderava lavorare in modo più sperimentale, lasciò l’Inghilterra (vi sarebbe tornato solo nel 1978 per mettere in scena Antonio e Cleopatra a Stratford) e fondò a Parigi, con finanziamenti dell’Unesco e di varie fondazioni, un Centre International de Recherche Théâtrale (ribattezzato nel 1979 Centre International de Création Théâtrale), riunendo intorno a sé in un vecchio teatro di varietà abbandonato – il Théâtre des Bouffes du Nord – attori, mimi, danzatori, acrobati e musicisti di diversi paesi. L’obiettivo era insieme di pervenire a un’unità di gruppo che andasse oltre le differenze nazionali, e di esplorare non solo soluzioni linguistiche, ma materiali storico-mitologici appartenenti a culture estranee all’Occidente. L’attività del Centre iniziò nel 1971 con l’allestimento al Festival di Persepoli di Orghast , uno spettacolo rituale scritto dal poeta Ted Hughes in persiano antico e interamente affidato all’eloquenza delle voci, dei gesti e dei corpi. Seguì un lungo e movimentato viaggio nell’Africa nera alla scoperta di antiche leggende e del modo di vivere di tribù prossime all’estinzione, sfociato in due spettacoli importanti, Les Iks (1975) e La conférence des oiseaux (1979); e finalmente, nel 1985, quello che resta a tutt’oggi il capolavoro di questo regista: la versione teatrale, di nove ore, del Mahabharata, il monumentale poema epico sanscrito, raccontato a un ragazzo e agli spettatori da attori di differenti nazionalità che, in un luogo scenico quasi totalmente spoglio, mescolavano, con irresistibili effetti visivi, stili, razze, accenti e tradizioni teatrali differenti in un discorso su temi fondamentali come la scoperta di sé, i rapporti dell’uomo con la società e le forze che ne determinano il comportamento. Meno importanti, o almeno meno clamorosamente innovatori, anche se di impeccabile fattura e spesso di profonda suggestione, furono gli altri spettacoli del Centre, fra i quali un Timone d’Atene in francese (1974), un Ubu (1977), un Giardino dei ciliegi (1981), una Tragédie de Carmen (1981) in versione da camera, una Tempesta (1987), L’homme qui (1993) da Oliver Sacks e Qui est là (1996), una variazione su Amleto. All’attività di regista Brook alternò quello di saggista teatrale con articoli su riviste e alcuni volumi, quali Il teatro e il suo spazio (The Empty Space, 1968) e Il punto in movimento (The Shifting Point, 1987).

Borelli

Figlia d’arte, Alda Borelli debuttò sedicenne nella compagnia di Pia Marchi Maggi, per poi sposarsi ventenne con l’attore Alfredo De Sanctis; al suo fianco recitò per una dozzina d’anni, formando successivamente compagnia con Piperno, Carminati, Ruggeri. Giunse all’apice del successo negli anni ’20, interpretando Come le foglie di Giacosa, La signora dalle camelie di Dumas figlio, Il ferro e Parisina di D’Annunzio, La vita che ti diedi e Vestire gli ignudi di Pirandello. Ritiratasi dalle scene nel 1929, riapparve in teatro nel 1942 con La nemica di Niccodemi, che segnò il battesimo dell’esordiente Gassman. Dopo una seconda assenza decennale, tornò in palcoscenico con La vergine folle di Bataille, L’ombra di Niccodemi, I mostri sacri di Cocteau, La porta chiusa di M. Praga. La raffinatezza del segno interpretativo riconosciutale da Simoni fu la costante del suo itinerario d’arte consacrato alla commedia borghese, con coraggiose incursioni nella drammaturgia allora avanguardistica di Crommelynck, O’Neill, Amiel, Antonelli, Rosso di San Secondo, nulla concedendo all’effettismo di maniera.

Bassi

Eccessivo, sgradevole, incontenibile, pericoloso, eppure irresistibile, Leo Bassi è stato definito in moltissimi modi, nessuno sufficiente a racchiuderne l’impeto trasgressivo. Le sue performance hanno spesso provocato denunce (per rispondere e superare la provocazione di Carmelo Bene che aveva orinato sul pubblico, Leo Bassi, a Verona, si esibì in un `numero’ di coprofagia) e ancor più spesso hanno coinvolto e sconvolto il pubblico: chiuso in una gabbia metallica al centro della piazza di Santarcangelo, picchiava e sputava sui malcapitati che, vedendolo apparentemente tranquillo, imprudentemente gli si avvicinavano. Tra i titoli dei suoi spettacoli basti citarne uno per tutti: Elogio della mostruosità (1990-1991).

Berkeley

; Los Angeles 1895 – ivi 1976), coreografo statunitense. Un dizionario di slang americano contiene la voce `busby berkeley’ e il termine significa «qualsiasi numero di danza molto elaborato». Le coreografie di B. sono questo ma anche infinitamente di più in termini di invenzione tecnica, di pura follia visiva, di assolutamente impeccabile montaggio musicale e, se si è facilmente colpiti dalle invenzioni più grossolanamente vistose (le ragazze trasformate in arpe, i non si sa quanti pianoforti bianchi, la gigantesca macchina da scrivere con i ballerini che evolvono sui tasti, e ce n’è ancora!), si resta senza parole di fronte a meraviglie di coreografia cinematografica come, citando a caso, Lullaby of Broadway (da Gold Diggers of 1935 ) o You Discover You’re in New York , numero di apertura di The Gang’s All Here (1943). B. era figlio di un’attrice di teatro e di cinema, Gertrude B. e del regista teatrale Francis Enos: era dunque praticamente nato tra le quinte e silenziosamente destinato a una carriera nel mondo dello spettacolo: infatti tra i cinque e i dodici anni apparve in piccole particine con i genitori. A dodici anni fu ammesso all’Accademia militare di Lake Mohegan dove rimase per sette anni, fino al 1914, l’anno del diploma. Studente nella media, eccelleva negli sport, ma, uscito dall’Accademia va a lavorare in una fabbrica di scarpe e nei momenti liberi recita e organizza spettacoli di dilettanti. Durante la Prima guerra mondiale fu arruolato e spedito in Francia ed è sicuramente sul suolo francese, quando riceve l’incarico di organizzare la sua prima parata militare, che scopre quel talento che lo renderà in futuro uno dei grandissimi del musical. Certamente imparerà quella tecnica di cui si servirà più tardi per organizzare i suoi complicatissimi numeri cinematografici. Ma mancano ancora più di dieci anni al suo debutto a Hollywood. Quando B. rientra a New York dall’Europa, ha le idee molto chiare: vuole essere regista e regista in teatro. È abbastanza naturale che si rivolga alla madre, (nel frattempo Gertrude è diventata una star), per qualche presentazione. Nessuno gli offre una regia ma parecchi gli propongono di recitare. B. scopre di essere un mediocre attore drammatico ma è dotato per la commedia: la grande conferma gli viene da un ruolo in Irene nel 1923. Finalmente, nel 1926 ottiene la direzione di una vera compagnia a Baltimora. Nel ’25 aveva però avuto un incarico a Broadway come `dance director’ (all’epoca `coreografo’ era parola usata solo per il balletto classico) per l’operetta Holka Polka . La carriera di B. a Broadway si può dividere correttamente in tre fasi: operette (dal 1925 al ’27), commedie musicali (tra il 1927 e il ’28), grandi riviste (dal 1928 al ’30). Bizzarramente questo genio dello spettacolo arrivò, in teatro, al genere che più direttamente gli apparteneva, quando il genere cominciava a declinare; ma, alla fine degli anni ’20 c’erano ancora le Ziegfeld Folliès , The Passwing Show (la rivista prodotta dagli Shubert), i George White Scandals e quel Earl Carroll Vanities che nell’edizione del 1928 si presentò con le coreografie di B. Tra operette, musical e riviste B. ha coreografato venti spettacoli tra i quali A Connecticut Yankee , di Rodgers e Hart che andò in scena nel ’27 ed ebbe quattrocentodiciotto repliche. B. tornerà due volte al palcoscenico: una prima sfortunatissima nel ’44 con il musical Glad to See You di Jule Styne e Sammy Cahn, che a Broadway non arrivò nemmeno, e poi, nel 1971 con il revival di No, No, Nanette del 1925 (861 repliche a Broadway) che segna l’inizio della cosiddetta nostalgia per una certa epoca della moda e dello spettacolo. Tra il 1930 ( Whopee! con Eddie Cantor) e il 1962 ( Billie Rose’s Jumbo , con Doris Day) B. ha partecipato come coreografo o regista o entrambi a cinquantacinque film tra cui alcuni capolavori assoluti del genere: 42ª Strada , Gold Diggers , Footlight Parade , Ziegfeld Girls , Lady Be good , Babes on Broadway , The Gang’s All Here , Million Dollar Mermaid .

Beat ’72

Dal 1997 ha sede ed è attivo al Teatro Colosseo di Roma e promuove la nuova drammaturgia italiana. Nasce a Roma nel 1964 nei locali di via Belli ad opera di Ulisse Benedetti che, sin dall’anno di fondazione del centro, ne assume la direzione artistica. Caratterizzato da un forte impegno civile, il centro si impone con manifestazioni spettacolari di poesia e teatro civile, che vedono la partecipazione di artisti come Carmelo Bene, Franco Molé, Cosimo Cinieri, Otello Sarzi e altri. Dal 1971 al ’75 l’attività del centro è tesa alla promozione e al sostegno della nuova `scuola romana’, costituita da giovani autori che si affermano nel corso degli anni per la loro singolarità, tra i quali Memè Perlini, Giuliano Vasilicò, Bruno Mazzali. Dopo gli anni caldi della contestazione artistica il B. ’72, grazie anche alla lungimiranza e alla sensibilità di Ulisse Benedetti, diviene uno dei centri propulsori della postavanguardia teatrale e dà spazio alla particolarissima sperimentazione di Giorgio Barberio Corsetti, Marco Solari, Federico Tiezzi, Sandro Lombardi, Ennio Fantastichini, Roberto Benigni e Mario Martone. Fedele all’originale predilezione per il teatro di poesia, nel 1979 il centro, in collaborazione con Franco Cordelli e Simone Carella, organizza a Castel Porziano il primo Festival internazionale dei poeti e negli anni a seguire (fino al 1995) negli spazi dell’Uccelliera, di Villa Borghese e del Padiglione Borghese, mette in scena spettacoli di teatrodanza. Dal 1993 B. ’72 opera una politica socio-culturale sul territorio e organizza annualmente, negli spazi di Tor Bella Monica, `I nuovi scenari italiani’, una ricca rassegna di teatro-cinema-danza-video-arte contemporanea.

body art

L’artista sceglie il proprio corpo (o quello di modelli) come medium o strumento di un processo di performance dove regnano il caso e la desacralizzazione dell’opera d’arte in quanto fine ultimo e incarnazione di valori assoluti. Si va al di là del semplice manufatto artistico come prodotto vendibile a mercanti e collezionisti e si trae forza dal carattere specificamente effimero e scevro da valutazioni di tipo economico della performance (anche se nel circuito artistico si vendono foto firmate dall’artista che documentano la sua azione). Il corpo nella b.a. diventa materia plasmabile e teatralizzata su cui si focalizza lo sguardo dello spettatore-fruitore (del quale il body-artist non può fare a meno). Per convenzione la storia della b.a. si fa partire con l’azionismo viennese, ma essa prende l’abbrivo dalle avanguardie storiche come il futurismo, il dadaismo, il surrealismo e dall’opera di uno scrittore e teorico lucido e violento come Antonin Artaud. Ricordiamo la battaglia antipassatista e vitalistica dei futuristi italiani e, in primis, di Filippo Tommaso Marinetti che propugna L’abbandono della tradizione e la glorificazione della guerra sola igiene del mondo. E, al culmine della Grande guerra, lo scrittore Hugo Ball che fonda il Cabaret Voltaire a Zurigo (1917), luogo di rifugiati politici, disertori e anarchici che danno vita a soirées di musica, teatro e danza. Nello stesso anno con Tristan Tzara, Hans Richter e Arp, nasce il gruppo dada, che è per l’espressione libera, irrazionale e dissacratrice del caso. Marcel Duchamp espone i ready-mades dando valore a oggetti trovati e decontestualizzati come un orinatorio ( Fontaine , 1917) o un portabottiglie. In questa geniale operazione concettuale duchampiana di rifiuto del convenzionale e istituzionalizzato oggetto d’arte c’è una impasse metodologica che è anche nella b. a.: «non si può tradurre in monumento artistico il rifiuto del monumento» (Robert Klein). Altra grande corrente artistica che nutre la b.a. è il surrealismo di André Breton che dichiara: «la nuova forma d’arte è un automatismo psichico in cui il pensiero è nell’assenza assoluta di ogni controllo esercitato dalla ragione e al di fuori di ogni preoccupazione estetica». Questa idea di una istintualità liberata è, come vedremo, di estrema importanza nella b.a. La mediazione di Freud e del marchese de Sade saranno altri punti di riferimento. All’inizio degli anni ’60, il corpo umano occupa decisamente la scena artistica con notevoli anticipazioni di Ives Klein con le sue Anthropometrie e di Piero Manzoni che appone la sua firma su modelle nude Sculpture Vivante (1961). Interessanti anche le fotografie di Hans Bellmer di corpi femminili legati come insaccati di carne (1958) e gli happening della corrente Fluxus (a partire dal 1951 con il concerto di John Cage al Black Mountain College) con Allan Kaprow, Maciunas, John Cage, Wolf Vostell, Naum June Paik, Daniel Spoerri e Terry Riley in quanto affermazioni della performance come linguaggio artistico autonomo. Ovvero la riappropriazione del corpo nell’arte con l’esibizione della nevrosi, della dimensione aggressiva ed egocentrica, masochistica e sacrificale e il bisogno di liberazione degli istinti repressi. La prima grande espressione di tutto questo la troviamo Azionismo Viennese. L’eccesso purificatorio dei corpi e paramenti religiosi insanguinati nei riti di Hermann Nitsch. I corpi avvolti da bende nelle fotografie di Rudolf Schwarzkogler. Gunter Brus completamente imbrattato di vernice bianca che passeggia tranquillamente per il centro di Vienna o che si autolacera con un coltello. Rasoi, lacci, garze, autocastrazione, gorghi di sangue, ingestione di urina, carne sventrata, escrementi, sudore, sodomizzazione e autoerotismo in una sensorialità totale e attiva. Il rischio corporale, il cortocircuito psicologico e l’autolesionismo sono centri nodali nelle performance degli anni Settanta. Chris Burden che si fa sparare offrendosi come bersaglio in Shoot (1971). Gina Pane che si `autopunisce’ con una lametta da barba o si conficca delle spine di rosa sul braccio ( Azione Sentimentale , 1973). Vito Acconci che si masturba per ore su una piattaforma in una galleria d’arte in Seedbed (1972). Genesis P-Orridge e Cosey Fanni tutti di COUM Transmission che si martoriano i genitali o bevono urina. Il corpo nudo, unto e coperto da ogni specie di fluidi organici di Carolee Schneemann in Meat Joy . Gilbert & George che si autodefiniscono «Living-Sculptures» come Corpo-Arte simbiotico. Urs Luthi, Michel Journiac, Jurgen Klauke, Zoe Leonard e Annette Messager che lavorano sul travestitismo, il fascino ambiguo dell’androgino, sull’inversione dei ruoli sessuali (anche qui Duchamp è grande anticipatore con Rose Sèlavy del 1921). Nel milieu politico, culturale e sociale di questi anni in cui operano il teatro di avanguardia (Living Theatre, The Bread & Puppet), i cineasti del cinema Underground (Andy Warhol, Michael Snow, Stan Brackhage, John Cassavetes), gruppi rock e punk (Frank Zappa, The Stooges, Sex Pistols e Velvet Underground) si muovono le angry women con le loro performances crudeli: Valie Export, Ana Mendieta, Karen Finley e Hannah Wilke. Il corpo nella b.a. degli anni ’80 e ’90 è un progressivo dislocamento, continua manipolazione, smaterializzazione e rapporto con l’inorganico. La dimensione soggettiva e intimistica della performance è quasi del tutto sparita in una nuova fenomenologia estetica. Quindi corpo ibridato, amplificato, immerso nell’elettronica neuronale, clonato dalla ingegneria genetica, trafitto da microtecnologie, obsoleto, piagato da nuovi virus come l’Aids, desessualizzato, cyborg e carne videodromatica tecnomutante. Stelarc e le sue performances interattive con la protesi Third Hand e il computer. Marcel.li Antunez Roca ricoperto di tubi ad aria compressa `violentato’ dal pubblico in Epizoo (1994). I cadaveri di animali con innesti artificiali dei Survival Research Laboratories di Mark Pauline. La mutante Orlan che metamorfizza il suo volto con interventi di chirurgia plastica. Le maschere psicotroniche di Paul McCarthy o quella mitologica di Mathew Barney ( Cremaster , 1995). Le installazioni reiterative e i corpi-vittime incastrati e immobili di Jana Sterbak ( La Robe , Sisifo e Defence ). Con l’avvento apocalittico e pervasivo delle nuove tecnologie (`trascritte’ nel nostro sistema nervoso, parafrasando James G. Ballard) non c’è, come taluni credono, una totale negazione del corpo da parte del suo simulacro elettronico, ma un radicale processo di ridefinizione antropologica che, senza ombra di dubbio, gli artisti della b.a. hanno saputo e sanno eccezionalmente incarnare più di altri.

Borovskij

Esordisce con Le malelingue di E. De Filippo (regia di I. Molostova, 1956) al Teatro Lessa Oukrainka di Kiev, dove è attivo fino al 1967, quindi lavora a Sofia, Leningrado, Budapest e nei maggiori teatri di Mosca. La svolta decisiva è però l’incontro con J. Ljubimov, con cui realizza Al gran sole carico d’amore di Luigi Nono (Milano 1975), che segna l’inizio del rapporto più proficuo della sua carriera (altre collaborazioni importanti sono con L. Kheifets e O. Eframov). Curiosa la vicenda della Dama di picche di Cajkovskij all’Opéra di Parigi (1977-78), il cui allestimento, proibito dall’Unione compositori di Mosca, avviene solo nel 1990; memorabile il Boris Godunov di Musorgskij (costumi di J. Ljubimov, Milano, Scala 1979), concepito dallo scenografo come una gigantesca icona, con una struttura a più piani che ospita il coro. Nonostante si occupi anche di prosa ( Amleto di Shakespeare, Lester, Teatro Ville 1989; Medea di Euripide, Mosca, Teatro Taganka 1995), i riusciti allestimenti per la Chovanscina di Musorgskij (Scala 1981), il Don Giovanni di Mozart (Budapest 1983), L’amore delle tre melarance di Prokof’ev (Monaco 1991), la recente Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Šostakovic (regia di L. Dodin, Firenze 1998) e la già programmata Mazepa di Cajkovskij (regia di L. Dodin, Scala 1999) rivelano il suo talento per il teatro musicale.

Borelli

Come la sorella maggiore Alda, Lyda Borelli debuttò quindicenne, per essere subito scritturata da Talli nella compagnia di E. Gramatica e Calabresi. Se valore emblematico ebbe l’incontro con la Duse per una recita benefica, determinante fu invece l’esperienza con Ruggeri, accanto al quale si affermò ben presto come la più elegante e fascinosa primadonna del momento. Capace di passare dai toni farseschi di La presidentessa di Hennequin-Veber alla sofisticata Salomé di Wilde, dalle tragedie dannunziane e da La Gorgona di Benelli ai drammi di Bracco, Bernstein, Bataille, non si negò perciò alla scoppiettante vivacità del vaudeville. Al culmine del successo di palcoscenico ebbe spalancate le porte del cinema, imponendo il suo inconfondibile stile, statuario e misterioso, fin dall’esordio (Ma l’amor mio non muore di M. Caserini, 1913). Quando nel 1918 abbandonò definitivamente palcoscenici e teatri di posa per sposare il conte Vittorio Cini, i suoi più fervidi ammiratori tentarono invano di recuperarla `all’arte’.

Bellow

Di origine ebreo-russa, Saul Bellow è uno dei più grandi scrittori americani del secolo, premio Nobel per la letteratura nel 1976. Nei suoi romanzi (L’uomo in bilico , 1944; Herzog , 1964; Il dono di Humboldt , 1975) e racconti (Quello col piede in bocca, 1984), narra quasi sempre la crisi esistenziale e intellettuale di un personaggio in lotta tra tra follia e ragione, istanze individuali e processi di massificazione. Per il teatro ha scritto il dramma L’ultima analisi (1964), storia del triste e cosciente tramonto di uno scrittore, e gli atti unici: Soufflé à l’orange, Un neo e Non c’è scampo (1965), rappresentati a Spoleto e a Roma l’anno successivo.

Brandauer

Klaus Maria Brandauer compie i suoi studi al conservatorio di Stoccarda e nel 1962, a Tubinga, debutta nel ruolo di Claudio in Misura per misura . In seguito lavora al Landestheater di Salisburgo, allo Schauspielhaus di Düsseldorf e dal 1972 entra a far parte della compagnia del Burgtheater di Vienna dove interpreta i ruoli di protagonista nel Tartufo di Molière (1981) e nell’ Amleto di Shakespeare (1985). Attore dotato di sensibilità e di temperamento brillante e versatile, è quindi protagonista di Jedermann di Hofmannsthal, nell’ambito dei Festspielen a Salisburgo e, nel 1991, ricopre il ruolo di George nella messa in scena di Chi ha paura di Virginia Woolf? di E. Albee, con la regia di Hans Neuenfels. In seguito cura regie, oltre che a Vienna e a Salisburgo, anche a Roma e a Firenze. Negli ultimi anni ha ottenuto fama internazionale come attore cinematografico e televisivo.

Bonagiunta

Tipico prodotto della danse d’ecole italiana, dotata di una tecnica ferrea e brillante si è formata alla Scuola di Ballo della Scala con Cia Fornaroli e ha debuttato nel 1938 nello Schiaccianoci , continuando l’attività di ballerina per tutto il decennio successivo, sia al Teatro alla Scala che in altri teatri italiani ( La bottega fantastica , coreografia Grazioso Cecchetti, Teatro Carignano di Torino, 1946). Nel 1951 ha iniziato ad insegnare alla Scuola di Ballo del teatro milanese, della quale è stata direttrice dal 1969 alla scomparsa.

Benesh

Rudolf Benesh (Londra 1916 – 1975) e Joan (J.Rothwell; Liverpool, 1920), coppia di notatori inglesi. Nel 1955 brevettano un codice di notazione della danza denominato Benesh Dance Notation, che è oggi fra i più diffusi sistemi di notazione della danza. Il codice è costituito di simboli corrispondenti alle posizioni e ai movimenti del corpo, che vengono annotati su un pentagramma, costituendo una partitura parallela a quella musicale. I B. furono insegnanti presso la Royal Academy of Dancing e la Royal Ballet School di Londra (1956), fondando nel 1962 l’Institute of Choreology.

Ballet Théâtre Contemporaine

La compagnia Ballet Théâtre Contemporaine venne fondata ad Amiens nel 1968 ma dal 1972 la sua sede passò ad Angers, dove venne diretta da J.A. Cartier e F. Adret. Suo scopo principale fu quello di operare una sintesi fra le varie arti. La sua attività, conclusasi nel 1978, si è svolta soprattutto presso le Maisons de la Culture della vasta provincia francese, ma anche a Parigi e all’estero. Con il suo grande corpo di ballo (quarantacinque danzatori) ha dato rilievo a molti coreografi contemporanei puntando su un repertorio capace di riflettere le tendenze artistiche moderne. Tra i lavori prodotti, Hymnes , una coreografia collettiva su musica di Stockhausen. Tra i vari coreografi che si sono cimentati presso la compagnia, Skibine, Babilée, Descombey, Blaska, Lazzini e la Adret.

Brazzo

Dopo il diploma alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala Sabrina Brazzo danza due anni nella compagnia della Deutsche Oper am Rhein dove interpreta ruoli di prima ballerina in titoli del repertorio classico (Giselle) e contemporaneo (In the middle di William Forsythe). Passata al Corpo di Ballo della Scala si segnala come una delle ballerine più interessanti dell’ultima generazione nei ruoli di Clara (Schiaccianoci ) Esmeralda (Notre Dame de Paris), La Sylphide. Ha inoltre interpretato la ricostruzione del balletto La Chatte di Balanchine nello spettacolo Zelda riservami il valzer di Beppe Menegatti (1998).,

Bel Geddes

Norman Bel Geddes subì l’influenza di Craig e di Appia, soprattutto nell’uso di volumi geometrici antinaturalistici (ma al naturalismo appartiene una delle sue scene più famose, quella per Strada sbarrata di Kingsley) e nell’impiego creativo delle luci, e diede forse la prova più alta del proprio talento collaborando con Reinhardt per Il miracolo (1924) di Volmoeller. Fu anche apprezzato disegnatore industriale, scenografo per i film di De Mille e per le riviste sul ghiaccio di Sonja Henie, nonché ambizioso e frustrato progettista di una Divina Commedia da realizzare in un anfiteatro appositamente costruito.

Bartoli

Marcello Bartoli inizia l’attività professionista nel 1967, lavorando con il Teatro Metastasio, con il Teatro di Roma e con il Piccolo Teatro di Milano, per il quale, con Ferruccio Soleri, partecipa a vari spettacoli sulla Commedia dell’Arte interpretando le maschere di Pantalone, Brighella e Zanni. È uno dei fondatori, nel 1970, del Gruppo della Rocca, con il quale lavora per tredici anni, prendendo parte, con la regia di Roberto Guicciardini, a Candido di Voltaire, Le farse di Brecht, Clizia di Machiavelli e Perelà di Palazzeschi; e con la regia di E. Marcucci, a Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, 23 svenimenti di Cechov, Rinoceronte di Ionesco e a Il mandato e Il suicida di Erdman. Dopo l’esperienza con il Gruppo della Rocca lavora all’Ater dove è protagonista nel Vampiro di San Pietroburgo di S. Kobilin (1983), sempre per la regia di E. Marcucci. Interpreta in vari spettacoli il ruolo di Ruzante con G. De Bosio e firma anche diverse regie teatrali, tra cui L’azzurro non si misura con la mente (1980) tratto dai drammi lirici di Blok, in cui la cifra simbolica presente in Blok viene attenuata da un allestimento evocativo e fortemente poetico, e Mosche volanti di Siro Ferrone (1993), di cui è anche unico interprete. Insegna poi recitazione e uso delle maschere moderne della Commedia dell’Arte in varie scuole e fonda nel 1995, con E. Marcucci e D. Cantarelli, la compagnia I Fratellini, con cui mette in scena, l’anno successivo, Le sedie di Ionesco.

Biondo

Il Teatro Biondo è stato inagurato il 15 ottobre 1963 con una commedia realizzata dalla Compagnia Drammatica italiana diretta da Ermete Novelli. Dopo aver ospitato numerose e prestigiose compagnie che hanno segnato la storia del Teatro drammatico italiano venne trasformato nel 1968 in Fondazione Andrea Biondo. Nel 1978 alla direzione del teatro subentrò Pietro Carriglio. In quell’anno il B. realizzò la sua prima produzione: Cagliostro dei buffoni dell’autore palermitano Salvo Licata. Grazie alla direzione di Carriglio e a una progettualità di ampio respiro e a una progettaualità di ampio respiro, la Fondazione Biondo si trasformò in un teatro di produzione. Nel 1983 il Ministro del Turismo e dello spettacolo inserì il B. tra gli organismi teatrali stabili a gestione pubblica. Quattro anni dopo, il 31 dicembre 1986 venne sottoscritto l’atto costitutivo dell’Associazione Teatro Biondo Stabile di Palermo. Nel 1991 Pietro Carriglio lascia la direzione del Teatro per andare a dirigire il Teatro Stabile di Roma; gli subentra Roberto Guicciardini fino al settembre del 1998. Nell’ottobre dello stessso anno Carriglio ritorna a Palermo nuovamente guida dello Stabile, che si avvale anche di un Ridotto di trecento posti, diventando un vero e proprio laboratorio della drammaturgia italiana ed europea del Novecento.

Brynd

Diplomata presso la Royal Ballet School di Londra, Bryony Brynd danza come solista e prima ballerina dal 1981 nella compagnia del Covent Garden, interpretando il ruolo di protagonista nelle più importanti coreografie in repertorio (Il lago dei cigni , 1981; Rapsody, di Ashton, 1981).

Bartolucci

Si avvicina al teatro nei primi anni ’60 come critico de “l’Avanti!”, quindi prosegue la sua attività come condirettore della rivista “Teatro”, assieme a E. Capriolo ed E. Fadini. Combattivo sostenitore dell’avanguardia teatrale italiana, fu l’ispiratore del premio Narni opera prima, che si prefigge di stimolare e favorire i gruppi del teatro sperimentale, lontani dalla convenzionalità degli spettacoli offerti dagli stabili. Organizzatore del Convegno d’Ivrea del 1967, di cui raccolse i principali interventi in La scrittura scenica (1968), diede perentoriamente inizio alla valorizzazione delle esperienze teatrali di quelle compagnie che cercavano nuove forme espressive. Tra gli altri saggi di Bartolucci segnaliamo: Il vuoto teatrale (1971); Il gesto teatrale (1980); i due volumi di Teatro italiano: Tradizione e Modernità/Postavanguardia (1983).

Bol’šoj

Inaugurato nel 1870 come Teatro Petrovskij, poiché si affacciava sulla via Petrovka, il teatro Bol’šoj ospita spettacoli di opera, prosa e balletto. I primi danzatori sono soprattutto servi della gleba appartenenti a grandi famiglie moscovite. I primi maîtres de ballet sono italiani e francesi. Nel 1853 un nuovo incendio distrugge le parti interne del teatro che riapre nel 1856 risistemato dall’architetto di origine italiana C. Cavos. Alla fine del secolo scorso la compagnia di danza attraversa un periodo di decadenza. Ma con l’arrivo da Pietroburgo di Aleksandr A. Gorskij si avvia la rinascita artistica del balletto nel teatro moscovita. Il coreografo allestisce con grande successo nel 1900 una nuova versione del Don Chisciotte . Dal 1902, per ventidue anni, Gorskij realizza a Mosca la sua riforma ballettistica influenzata dal realismo di Stanislavskij e del Teatro d’Arte. Crea o riallestisce La figlia di Gudula, Salambo, Il lago dei cigni, Giselle, Il corsaro, La bayadèr. Le stelle del Bol’šoj di quel periodo sono M.M. Mordkin, V. Caralli, V.D. Tichomirov, E.V. Gel’cer. Gli anni immediatamente successivi alla rivoluzione di Ottobre sono un periodo di ricerca e di innovazione anche nella danza: Giuseppe il bello, di K. Golejzovskij ne è la massima espressione. Lo sperimentalismo tuttavia non coinvolge il principale teatro della città che dà il segnale del ritorno alla tradizione nel 1927, per il decennale della rivoluzione con Il papavero rosso, primo balletto sovietico di impianto classico (l’azione vede marinai russi correre in aiuto del proletariato di Shangai, ma il sonno della protagonista dà luogo all’immancabile `atto bianco’), coreografato da Tichomirov e con la Gel’cer protagonista.

Fra gli anni ’30 e ’50 la Russia vede svilupparsi il nuovo balletto sovietico contemporaneamente alla conservazione dei classici. Puškin e Shakespeare spesso forniscono validi soggetti: La fontana di Bachcisaraj, Romeo e Giulietta, che dopo le prime leningradesi vengono allestiti anche a Mosca che anche nella danza rivendica il ruolo di capitale e richiama le migliori forze. Così Galina Ulanova e Marina Semënova lasciano Leningrado e approdano a Mosca, dove saranno le stelle più applaudite sino agli anni ’60 che vedono sorgere gli astri di Maja Plissetskaja e di Jurij Fadeecev prima, e successivamente di una splendente `pleiade’ di cui fanno parte Ekaterina Maksimova, Vladimir Vasil’ev, Natalia Bessmertnova, Maris Liepa, Nina Timofeeva. Nel 1964 incomincia il lungo regno di Jurij Grigorovic come coreografo principale e direttore del balletto. Grigorovic porta da Leningrado Il fiore di pietra, La leggenda dell’amore, coreografa per Mosca Schiaccianoci (1966), Spartaco (1968), Ivan il Terribile (1975), Il secolo d’oro (1982), La bajadère (1991), Il corsaro (1994). Verso la fine degli anni ’80, diventa evidente il dissidio fra Grigorovic da una parte, Maja Plissetskajan e Vladimir Vasil’ev dall’altra. Accanto a quelli di Grigorovic vanno in scena spettacoli di scarso rilievo artistico se si escludono il Cyrano de Bergerac di Roland Petit (1988) e Il figliol prodigo di George Balanchine (1991), che mettono drammaticamente in evidenza l’incapacità dei danzatori ad affrontare stili classici diversi da quelli del coreografo principale. Nel 1995 Grigorovic viene dimesso dal teatro. Direttore di opera e balletto diventa Vladimir Vasil’ev, che nel 1996 mette in scena due contestate versioni di Il lago dei cigni e Giselle . Ulteriori polemiche nascono intorno alla figura di Vjaceslav Gordeev come direttore e coreografo che nel 1997 viene allontanato. Lo sostituisce per meno di un anno Aleksandr Bogatirev, al quale, con l’apertura della stagione 1998-99 succede Aleksej Fadeecev che per questo incarico abbandona l’attività di ballerino.

Byrd

Formato presso la Yale University, la London School of Contemporary Dance e l’Alvin Ailey Dance Theatre, danza con Twyla Tharp, Karole Armitage e Gus Solomons. Nel 1978 fonda a Los Angeles il Donald Byrd Group, trasferito a New York nel 1983. Autore, tra l’altro, di The Harlem Nutcracker , firma per l’Aterballetto Ni centre ni Périphérie (1994) e nel 1996 rimonta per MaggioDanza Cracked Narrative (1992). Esprime il suo messaggio di artista impegnato socialmente, a partire dalle proprie radici etniche, con i modi del balletto post-neoclassico.

Balasz

Nel 1991 vince il concorso per comici Zanzara d’oro. Dal ’97 si occupa prevalentemente di teatro comico: è autore e interprete di Pape Satan Aleppe (1998) per la regia di Luigi Monfredini e nello stesso anno mette in scena L’isola degli gnorri che viene rappresentato per tutta la stagione 1998-99.

Bradecki

Tadeusz Bradecki studia recitazione e regia alla Panstowa Wyzsza Szkola Teatralna (PWST: Scuola statale superiore di teatro) di Cracovia, per debuttare come attore al Teatr Stary di quella città nel 1977; inizia la carriera di regista nel 1983, con un proprio adattamento alle scene di Povera gente di Dostoevskij; prosegue con Woyzeck (da G. Büchner, 1986), La primavera dei popoli in un angolino tranquillo di Adolf Nowaczynski. Nel 1986 riceve il premio Konrad Swinarski come miglior regista giovane. La sua opera prima come drammaturgo, Un modello di prove metafisiche… (Wzorzec dowodow metafizycznych…, 1985), è un complessa rappresentazione basata sul principio del `teatro nel teatro’: il filosofo tedesco Gottfried Leibniz scrittura una compagnia di commedianti inglesi affinché rappresentino allo zar Pietro I, in visita alla località termale di Bad Pyrmont, un suo dramma sulle vicende di Faust. Leibniz presenterà all’imperatore russo una macchina razionale modellizzante l’universo, proponendo così una definitiva vittoria della scienza capace di strappare Faust dalle mani di Mefisto. In realtà, Mefisto suggerisce agli attori ingaggiati dal filosofo nuovi concetti e parole che provocano il crollo della visione dell’armonia leibniziana: tanto l’illusione di onnipotenza di Faust quanto la pretesa del filosofo di razionalizzare la complessità dell’esistente sono destinate a venire meno a causa dell’intervento inaspettato di qualcosa `che non quadra’ (alcuni episodi oscuri della vita di Pietro), in grado di far crollare l’ordine necessario dell’universo. La critica ha rinvenuto notevoli analogie tra questo lavoro e il Marat/Sade di Peter Weiss, soprattutto per il ricorso al procedimento del `teatro nel teatro’ dove l’autore del titolo cura la messa in scena dell’opera `interna’.

In Un modello di prove metafisiche… all’esplicitazione dell’artificio scenico – preferita dal B. regista a quel tanto di intellettualmente ambiguo che si nasconde dietro la rappresentazione `naturalistica’ – si accompagna un meccanismo testuale di assoluta precisione logica, e una certa dose di consapevole sense of humour. L’adattamento alle scene de Il manoscritto ritrovato a Saragozza (Teatr Stary, Cracovia, 1992) ha richiesto a Tadeusz Bradecki tanto un approfondito impegno registico quanto un suo autonomo contributo drammaturgico. Nella sua riduzione Bradecki ha scelto sei tra le trame del complesso romanzo di Jan Potocki, quelle dove il relativismo gnoseologico tipico del passaggio tra Illuminismo e Romanticismo ben sembra attagliarsi a un situazione storica in cui caduti i punti di riferimento, vacillando i concetti di onore, Dio, intelletto, l’individuo, rimasto solo, deve trovare il senso dell’esistenza in se stesso. È nell’immaginario, in cui si riflette l’inconscio, che risiede la chiave potockiana di lettura dei comportamenti umani. Nell’adattamento di Tadeusz Bradecki l’esotismo della narrazione si colora di elementi iberici e slavi, il macabro perde i suoi toni più cupi per stemperarsi nel taglio ironico-umoristico delle situazioni.

 

Nelle sue regie, che spaziano dal Dostoevskij del debutto fino alle più recenti messe in scena di pièces di Shakespeare (La bisbetica domata , 1996), Roland Topor (L’inverno sotto al tavolo, 1996), Gombrowicz (Operetta, 1997) Bradecki ha consapevolmente utilizzato il principio del teatro autoreferenziale. Nel suo Woyzeck è la scena del mercato a essere stata impiegata per un esplicito riferimento al teatro di piazza, al cui kitsch rimandano le figure del Pierrot, dei cigni, l’episodio dell’assassinio per gelosia. Per B. è essenziale che lo spettatore abbia la consapevolezza di trovarsi di fronte a una scena teatrale, perché è nel teatro che deve essere ravvisata l’unica realtà concreta, l’unico luogo da cui possa scaturire la verità. A una riconosciuta attenzione all’aspetto linguistico del materiale drammaturgico e a una notevole capacità di lavorare con gli attori, B. accompagna un’esibita sicurezza nell’operare scelte registiche non convenzionali, come quella – piuttosto discutibile e discussa – di rappresentare La professione della signora Warren di G.B. Shaw in chiave di musical (1998).

Baker

Professore di letteratura drammatica a Harvard (il primo in un’università degli Stati Uniti), George Pierce Baker istituì nel 1912 il 47 Workshop, un teatro laboratorio per rappresentare i testi scritti dagli allievi. Erano tra loro, e trassero tesoro dai suoi insegnamenti, molti degli autori che avrebbero dominato la scena americana negli anni ’20 e ’30: O’Neill soprattutto, ma anche S. Howard, E. Sheldon, P. Barry, S.N. Behrman, G. Abbott. Lasciata Harvard, diresse dal 1925 al 1933 il nuovo dipartimento di teatro di Yale. Pubblicò alcuni saggi, fra i quali un manuale teorico e pratico (Dramatic Technique, 1919) per aspiranti drammaturghi.

Bianchi

È proprio vero che, come dicevano i greci, noi portiamo il nostro destino nel nome. Regina Bianchi esordì, appena sedicenne, interpretando nella compagnia del grande Raffaele Viviani il ruolo della Reginella di Campagna napolitana . E regina, di nome e di fatto, è stata poi nel corso di tutta la sua carriera: per una sorta di aristocratico distacco dalle battute, spesso gravate dall’opzione del sentimentalismo, che le toccava pronunciare. D’altronde, forse non per caso, a parte le imposizioni del fascismo, lei, napoletana d’adozione e di cultura, decise di scambiare il suo cognome anagrafico, d’Antigny, con quello portato, sì, dalla propria nonna paterna, ma soprattutto dalla Brigida Bianchi che, corrente il Seicento, si distinse ad un tempo come squisita commediante e, addirittura, autrice di sonetti, madrigali, canzoni, stanze e dialoghi per musica considerati perfino da Corneille, Racine e Molière. Senza alcun dubbio, c’è tutto questo dietro la galleria di personaggi eduardiani disegnati con impareggiabile sapienza da Regina B.: dalla gelida Filumena Marturano all’intrigante Teresa di Ditegli sempre di sì , dalla cupa e amara Amalia di Napoli milionaria! all’imponderabile Armida di Questi fantasmi! E d’altronde, proprio una simile capacità di stilizzazione ha consentito alla B. di cimentarsi, e sempre con risultati notevoli, anche nel repertorio, lontanissimo da quello napoletano, costituito da autori come Lorca, Pirandel-lo, Brecht, Goldoni, Maeterlinck e Hochhuth.

Brumachon

Dopo varie esperienze, fra l’altro con B. Farges e K. Saporta, nel 1981 ha fondato una propria compagnia in collaborazione con Benjamin Lemarche. Nel 1984 ha riportato il terzo premio al concorso di Bagnolet con Atterrissage de corneilles sur l’autoroute du Sud . Artista estroso, grande appassionato di ornitologia e di arti figurative, i suoi lavori hanno quasi sempre, nel titolo, riferimenti al mondo degli uccelli; tra i più singolari, Nyroca furie , La tristesse des pinguins dans l’Arctique , Oc le narquois et Oriane l’Effraie , Le roncier ou Songe l’amante piègrèche , Epervière , La dérive des fous à pieds bleus .

bagonghi

I b. sono generalmente clown, cavallerizzi, lottatori e toreri. Nome di incerte origini (non si sa se cognome o espressione gergale), si hanno tracce di un `Signor Bagonghi’ nel 1890 al circo Guillaume, poi negli anni ’10 al circo Gatti & Manetti e nello stesso tempo negli Usa al circo Barnum. Negli anni ’50, un nano cavallerizzo diviene celebre col nome Bagonghi negli Usa, al seguito della troupe Cristiani. Tra i b. più popolari in Italia, Checco Medori negli anni ’50 al circo Togni e Filippo Ruffa nei circhi Orfei fino agli anni ’80. Il nano o b. è altra cosa dai lillipuziani, che tra le due guerre animano veri e propri circhi. Oggi nani e lillipuziani sono pressochè scomparsi dal circo.

Bortoluzzi

Allievo di Ugo Dell’Ara e poi di Nora Kiss, Asaf Messerer e Maurice Béjart, si è rivelato al festival di Nervi nel 1960 con il Balletto europeo diretto da Massine. Nello stesso anno è entrato nel Ballet du XXème siècle di Bruxelles, divenendone presto solista. Per questa compagnia ha creato, tra l’altro, la Nona sinfonia , Romeo e Giulietta (musica di Berlioz), Messe pour le temps présent , Bhakti , Nomos Alpha , tutti con coreografia di Béjart; accanto a Rudolf Nureyev ha creato Chant du compagnon errant (1975). Negli anni ’60 è stato pure ospite alla Scala, della quale è stato per breve tempo direttore del Corpo di ballo e per la quale ha creato coreografie come Omaggio a Picasso e Cinderella (1977), Nuits d’été (1980), Il principe felice (su musica di Mannino, 1987). Lasciato il Ballet du XXème siècle, ha operato in vari teatri come freelance, dall’American Ballet al balletto dell’Opera di Düsseldorf, di cui è stato direttore prima di passare, con analogo incarico (1991), al balletto del Grand Théâtre di Bordeaux; per quest’ultima compagnia ha creato, tra l’altro, La Belle et la Bête (1992). Spesso in coppia con Luciana Savignano, ha creato e interpretato con lei Butterfly su musica di Puccini e Glass (1989). Ha iniziato la sua carriera in ambito classico, ed è stato spesso partner di Carla Fracci e di Vera Colombo nel Lago dei cigni passato da Béjart, ha dimostrato la sua versatilità in stili completamente diversi, applicandoli già dagli anni ’60 nelle sue creazioni di coreografo ( Ricercare , musica di Bach-Webern; Suite in re maggiore , musica di Bach).

Bartolucci

Dopo una lunghissima militanza nelle file del Piccolo Teatro di Milano fonda con G. Merlo e R. Dondi la Compagnia dei Rozzi che presenta un interessante Enrico VIII di Shakespeare per l’estate milanese. Nel clima del Sessantotto la compagnia raccoglie altri promettenti attori come Ivana Monti e Pino Micol, drammaturgo Ettore Capriolo. Sempre interessante la sua partecipazione a spettacoli di ricerca ( Giulio II di Bajini, regia di M. Binazzi) e a testi del Novecento ( Il pellicano di Strindberg, diretto da M. Mezzadri e Cocktail party di T. S. Eliot diretto da E. Banterle).

Berezka

Berezka è una compagnia lituana di danze popolari (berezka significa betulla) fondata nel 1948 da Nadezda Nadezdina (Vilnius 1908 – Mosca 1979) che seppe sintetizzare la danza folklorica con le basi della danza accademica. Dal 1979 è stata diretto da Mira Kolcova. Nato come insieme esclusivamente femminile, a partire dal 1961 hanno incominciato a farne parte anche danzatori maschi. Ma lo stile è rimasto quello impostato dalla Nadezdina, fondato più sulla grazia e l’eleganza che sull’atletismo. In repertorio titoli che rimandano a danze popolari (per esempio Razdolnaja ) a bozzetti campagnoli ( I Burloni ), o brani che hanno fatto la fama della compagnia come le danze col passo scivolato che danno l’idea del pattinaggio sul ghiaccio. Le prime apparizioni in Italia risalgono agli anni Settanta alla Scala e alla Fenice di Venezia (1973).

Babilée

Guttmann; Parigi 1923), ballerino, coreografo e attore francese. È da considerare fra i migliori e più geniali danzatori francesi del dopoguerra. Artista dotato di grandi qualità tecniche, di superiore carisma e personalità estrosa (ha affrontato anche la regia teatrale), si è cimentato pure nella coreografia con risultati apprezzabili. Già allievo della scuola di ballo dell’Opéra, negli anni dal 1936 al ’40, l’ha lasciata per debuttare nel 1941 a Cannes ne L’oiseau de feu di Stravinskij, a lungo fra i suoi cavalli di battaglia. Dopo una prima esperienza con i Ballets de Paris, nel 1945 fu tra i primi a seguire Roland Petit nella felice e fertile stagione dei Ballets des Champs-Élysées, segnalandosi soprattutto quale straordinario interprete del personaggio del Joker in Jeu de cartes di Stravinskij, nella versione della Charrat. La sua fama tuttavia si è consegnata agli annali del balletto per il ruolo del protagonista in Le jeune homme et la mort di Petit (1946), da lui danzato accanto alla moglie, la ballerina Nathalie Philippart. Con eguale successo (al suo fianco Leslie Caron) è stato l’interprete di La rencontre, ou Oedipe et le Sphinx (1948) di David Lichine. È del 1949 la sua prima coreografia, L’Amour et son amour (su musica di Franck; scene e costumi di Cocteau), cui farà seguito Till Eulenspiegel , sul poema sinfonico di R. Strauss. Scritturato anche all’estero, danza a Firenze, invitato dal Maggio musicale, con il Ballet Théâtre. Nel 1952 gira alcuni film sulla danza ed è di nuovo all’Opéra, dove danza Giselle e Le spectre de la rose . Lasciato Palais Garnier, è a New York e nel 1955 alla Scala dove interpreta Mario e il mago , balletto di Luchino Visconti con la coreografia di Massine e la musica di Franco Mannino (dall’omonima novella di Thomas Mann). Formata una sua compagnia, crea nuovi balletti fra i quali l’applaudito Balance à trois , Sable e La boucle . Negli anni ’60 lavora anche per il teatro di prosa e appare in Le balcon di Genet, oltre che (accanto a Maria Casarés) in La reine verte (1963), `spettacolo totale’ realizzato da Béjart. Nel 1972 è chiamato a dirigere per qualche tempo il Ballet du Rhin, dopo di che le sue apparizioni nel mondo della danza e dello spettacolo si fanno sempre più rare. Non manca tuttavia, in tempi a noi vicini, di partecipare accanto a Natalia Makarova a un Omaggio a Fellini prodotto dalla tv italiana.

Barillet

Pierre Barillet debutta nel 1947 con Les amants de Noël . Dal 1949 si lega in un fortunato sodalizio artistico a Jean-Pierre Gredy; assieme scrivono pièce per il teatro di boulevard – di forte richiamo sul pubblico, ma lontano dalle correnti più vive del teatro del dopoguerra – e curano adattamenti francesi di testi di autori stranieri. Il loro primo successo è del 1950, Ami-ami , a cui seguono altri testi brillanti: La plume (1956); Fleur du cactus (1963); Black Comedy (adattamento da P. Shaffer, 1967), dove alcuni newyorchesi, convinti che l’oscurità di un black-out li protegga, rivelano i loro pensieri inconfessabili, scatenando una serie di situazioni divertenti; Une rose au petit déjeuner (1973); Même heure, l’année prochaine (adattamento da B. Slade, 1976, ripreso nel 1991), in cui, due amanti, entrambi sposati, si danno appuntamento ogni anno nello stesso hotel, ma dopo venticinque anni, quello che sembrava un banale tradimento si rivela una tenace storia d’amore; Le préféré (1977); Coup de chapeau (adattamento da B. Slade, 1979): la festa di compleanno di uno sceneggiatore di mezza età è l’occasione per risolvere le incomprensioni con i suoi famigliari. Ricordiamo inoltre: Potiche (1980); Lily et Lily (1985); Ténor (adattamento da K. Ludwig, 1988); Marcel et la belle excentrique (1992).

Béjart

Berger; Marsiglia 1927), ballerino e coreografo francese. Figlio di Gaston Berger, filosofo e seguace, inoltre, del sistema brahamano Vedanta, B. ha una formazione umanistica e frequenta la facoltà di filosofia. Studia danza a Marsiglia presso il Teatro dell’Opera, si perfeziona a Parigi con Léo Staats e a Londra con Vera Volkova. Come ballerino debutta a Marsiglia, come coreografo si impone agli inizi del ’50, epoca della fondazione di Les Ballets de l’etoile (1953) poi divenuti Le Ballet-Théâtre de Paris (1957): la sua prima compagnia. In questo periodo nella Parigi della sperimentazione, degli chansonniers e dell’esistenzialismo nascono Symphonie pour un homme seul (1955) sulla musica dei due Pierre del `concreto’, Henry e Schaeffer, Le teck (1956) in collaborazione con Jacques Prévert e Sonate à trois (1957) da Sartre. Se fin qui B. si limita ad afferrare gli umori del suo tempo, nel 1959 diventa improvvisamente se stesso con una coreografia di rottura che presenta in nuce molti elementi della sua poetica ed è destinata a rimanere nei decenni il biglietto da visita più significativo. È Le sacre du printemps che accosta ai possenti blocchi sonori delle partiture di Stravinskij la prepotenza di una danza maschile contrapposta alla fragilità calligrafica del disegno femminile. Nasce una nuova compagnia, il mitico Ballet du XXème siècle appoggiato al Théâtre Royal de la Monnaie di Bruxelles (1960). Alla coralità del Sacre si accosta, già nel 1960, lo sconvolgente individualismo di Bolero , la creazione più famosa, corteggiata anche dalla cinematografia proposta dapprima in versione femminile con coro maschile, poi in veste maschile con coro femminile, poi ancora modello omosex e finalmente nell’ecumenismo che consegna l’eros del protagonista a maschi e femmine assemblati attorno al famoso tavolo rosso. Tra esaltazione, gioia e commozione nascono quegli affreschi inimitabili che B. propone al mondo alla guida dell’esercito vittorioso dei suoi. Danzatori da subito béjartiani per una disciplina che ne plasma i corpi e condiziona le menti. Particolare attenzione è riservata agli uomini, che sono i fulgidi Touron e Lommel, Donn e Gascard; i Capitani di ventura. B., romantico Wanderer, ama un cosmo senza confini né discriminazioni da esplorare con gli occhi della musica e della mitologia, della storia e della letteratura, del pensiero filosofico, politico, psicologico e sociale suo e altrui. E da raccontare con la danza: «perché la danza è l’arte del ventesimo secolo». Le parole per dirlo sono un lessico classico-moderno solidamente impiantato sull’accademia e un teatro totale che sa di Europa e di Oriente e oscilla tra enfasi barocca e ascetici silenzi. Alter ego musicale di B. è Wagner il cui oscillante leitmotive è specchio del continuo fluttuare degli stati di coscienza del buddhismo e la cui totalità drammaturgica corrisponde alla identica aspirazione béjartiana. Nei titoli che si inseguono senza posa il musicista è costantemente presente: da Mathilde ou l’amour fou (1965) a Baudelaire (1968) e a Les vainqueurs (1969). Via via sino a quel Ring um den Rings del 1990 che è una miracolosa sintesi onnicomprensiva della Tetralogia . Sul versante filosofico il più amato è Nietzsche ( Dionysos , 1984). Se Petrarca torna in Per la dolce memoria di quel giorno (1974, su musiche di Berio), Goethe in Notre Faust (1975, su musiche di Bach e tanghi argentini), Artaud in Heliogabale ou L’anarchiste couronné (1976, su musiche di Verdi/Rota/Henry e musica tradizionale africana) e Molière in Le Molière imaginaire (1976, su Rota), vasto spazio è dedicato alle religioni, dove B., con sensibilità postmoderna, avverte la crisi che mina il dogma e il monoteismo, indirizzando molti verso fonti di religioni più cosmiche e immanenti. Il sincretismo filosofico-religioso di B., che manipola rosari di religioni lontane, sono i sufi di Golestan (1973), i dervisci di Thalassa Mare Nostrum (1982), la `rosa del deserto’ di El Nour (1990). Mentre l’hassidismo è Dibbuk (1988), il tantrismo La tour (1991), il cristianesimo ortodosso Souvenir de Léningrad del 1987. Che è anche l’anno del clamoroso abbandono della Monnaie e del trasferimento a Losanna. Dove nascono il nuovo Béjart Ballet Lausanne e la scuola multidisciplinare Rudra speculare a quello che era stato il Mudra di Bruxelles. Da questo momento in poi si manifestano in B. momenti di inquietudine e stanchezza. Soprattutto riflessi, i secondi, in alcuni balletti celebrativi. Souvenir è un inno alla perestrojka, A force de partir je suis resté chez moi , dello stesso periodo, un omaggio al cantore del Vaud, Ramuz. Se da un lato i ragazzi del Lausanne diventano a loro volta rapidamente e miracolosamente béjartiani, il panorama tematico si amplia con – Mr. C. – su Chaplin e Episodes su Pasolini, entrambi del 1992, e si intensifica la bellissima collaborazione Béjart-Versace, dall’altro si accentuano autocitazione e autocelebrazione. E anche se B. continua a richiamare nei vasti spazi del Théâtre de Beaulieu folle deliranti di giovani, i tempi del XXème siècle e dei suoi dei sono irrimediabilmente perduti: nella loro puntualità culturale come nella teatralità a tratti troppo istrionica. Ma i fatti dimostrano come più che di crisi di vocazione sia giusto parlare di `altra’ vocazione. Nel 1992 infatti il complesso cameristico Rudra prende il posto del grande Lausanne. B. concede per l’ultima volta alle platee i suoi capolavori e poi ne ritira i diritti. Fa terra bruciata alle sue spalle e scompare inghiottito dalla mistica passione di sempre: l’Oriente. In Giappone `adotta’ il Tokio Ballet e crea ancora per quelle fisicità d’impatto e quella spiritualità profonda. A The Kabuki del 1986 e Bagaku dell’88 aggiunge M (1993), emme come Mishima. Quindi, all’improvviso, torna a casa, ricompatta il Lausanne e scrive ancora. Le Presbytère n’a rien perdu de son charme, ni le jardin de son éclat è del 1997; Mutations dell’inverno ’98. Schiaccianoci e L’heure exquise dell’ottobre ’98, per Torino Danza, festival del quale B. è il neo-direttore. Tra le riprese quella IX Symphonie (proprio Beethoven, nota su nota) che nel 1964 era riuscita ad ottenere l’imprimatur della critica musicale più diffidente. Come avverrà nel 1981 per la limpida lettura in chiave massonica del Flauto mozartiano: nota su nota, parola su parola. E triangolo su triangolo.

Braque

La figura di Georges Braque è stata associata a lungo a quella di Pablo Picasso, con il quale condivise l’esperienza del cubismo e la ricerca verso l’uso di materiali solitamente estranei alla pittura più convenzionale come la segatura, la stoffa e il legno. Caratterizzato da un’abilità formale impeccabile e da una visione per certi aspetti più lucida del celebre artista spagnolo, Georges Braque crea per Diaghilev nel 1924 scene e costumi di Les facheux all’Opéra di Montecarlo, portando così in teatro il suo cubismo carico di fantasia e di invenzione. Gli stessi costumi erano per Georges Braque elementi scenici che contribuivano a definire il senso e lo spirito propri di ciascun balletto, come in Salade (1924), per i balletti del Conte de Beaumonte o Zephire et Flore (1925) di Diaghilev. Nel 1950 rinnovò la propria esperienza disegnando scene e costumi per il Tartuffe di Molière, interpretato da Louis Jouvet.