Beriosova

Figlia di Nicholas Beriosoff, studia negli Usa; nel 1947 entra nel Grand il Ballet de Monte-Carlo, nel 1948 è al Metropolitan Ballet di Londra. È solista col Sadler’s Wells Theatre Ballet al Covent Garden, dove viene promossa prima ballerina nel 1955. Crea molti ruoli per Ashton e MacMillan, compreso quello della principessa Belle Rose nel Prince of the Pagodas di Cranko, nel Trumpet Concerto di Balanchine e in Design For Strings di John Taras. Danzatrice di grande purezza stilistica, dalla linea impeccabile, si è ritirata dalle scene nel 1975.

Blum

Fratello del premier socialista Léon, uomo di cultura vastissima e di squisita sensibilità, dopo essersi dedicato al teatro René Blum è stato tra i primi a raccogliere l’eredità di Diaghilev, fondando nel 1929 il Ballet Russes de Monte-Carlo insieme al Colonnello de Basil. La differenza di carattere tra i due portò tuttavia a una rottura: nel 1936 Blum creò una nuova impresa con il concorso di Fokine e poi con Massine. L’ultima stagione del Ballet de Monte-Carlo al Palais de Chaîllot, alla vigilia del secondo conflitto mondiale, fu l’ammirevole conclusione degli sforzi di quest’uomo raffinato ma anche coraggioso. Non volle lasciare il suo Paese durante la guerra e di conseguenza, a causa delle sue origini ebree, venne internato nel 1941 nei campi di concentramento di Royaleau e Auschwitz, dove morì.

Bombana

Diplomatosi nel 1977 alla Scuola del Teatro alla Scala, entra subito nella compagnia milanese come solista e primo ballerino. In seguito, inizia un’intensa attività internazionale esibendosi come primo ballerino con il Pennsylvania Ballet (1981-82), Scottish Ballet (1982-85), London Festival Ballet (1985-86) e Bayerische Staatsoper di Monaco di Baviera. Ritiratosi dalla scene nel 1991 è diventato maître de ballet della compagnia. Si dedica alla coreografia, firmando vari titoli tra i quali Okanagon (1994), Woyzeck (1995), il Progetto Luigi Nono (1996), Traumspiel (vincitore del premio Benois per la Danza, 1997); nel 1998 assume la direzione del corpo di ballo MaggioDanza.

Berliner Ensemble

All’inizio il teatro Berliner Ensemble voluto da Brecht e da sua moglie, l’attrice Helene Weigel, non ha una sede fissa ed è ospitato ai Kammerspiele del Deutsches Theater. Solo nel 1954 Brecht può avere uno spazio suo al Theater am Schiffbauerdamm, dove un tempo ha operato anche Max Reinhardt. Il sipario, che verrà alzato su Madre Coraggio e i suoi figli (regia di Brecht e di Engel, scene di Teo Otto, protagonista principale la Weigel), porta dipinta la colomba della pace di Picasso. Qui «lo scrittore di drammi» come ama definirsi ha modo di rappresentare non solo i suoi testi ma anche gli adattamenti di classici (per esempio Coriolano di Shakespeare) secondo i dettami di un teatro antillusionistico nel quale si crei un rapporto fra palcoscenico e platea fondato non sul potere magico dell’identificazione quanto sulla capacità degli attori, attraverso la recitazione epica e il cosiddetto `effetto di straniamento’, di fare nascere nel pubblico un riflessione, un pensiero. Alla morte di Brecht nel 1956 il Berliner Ensemble è diretto da Helene Weigel, poi da Manfred Wekwerth, e in seguito da Ruth Berghaus dando spesso l’impressione di arroccarsi su di un antico splendore. Atteggiamento di conservazione certo legittimo che frena però, anche per i frequenti veti incrociati degli eredi, un effettivo rinnovamento malgrado l’indubbia bravura dei suoi attori fra i quali spicca Ekkehard Schall, genero di Brecht. Alla caduta del muro il Berliner della riunificazione conosce un cambiamento a tappe forzate. In mano a un direttorio formato da Peter Palitzsch, Peter Zadek, Heiner Müller, allo scioglimento del triumvirato a dirigerlo resta il solo Müller fino alla morte avvenuta nel 1996. Per un breve periodo l’attore principale del Berliner, Manfred Wüttke, prende il posto di Müller, per abbandonarlo presto. In crisi per mancanza di finanziamenti, in forse anche sulla propria sede i cui muri sono stati venduti dalla proprietà (un privato) a Rolf Hochhuth, autore del discusso Il vicario, il Berliner ha comunque già scelto il direttore dei prossimi anni: il regista tedesco Claus Peymann.

Brunn

Da giovane presenta una spiccata propensione per la ginnastica. Selezionato per la squadra olimpionica di tuffatori, assiste ad uno spettacolo circense a Berlino e decide di diventare artista. Nel 1939 debutta con un numero che alterna giocoleria a salti mortali ed altre acrobazie. Nel 1942, quando è scritturato al Wintergarten di Berlino, la stampa lo segnala come degno successore di Rastelli. Nel 1943, chiamato alle armi, si rifugia in Svezia e viene considerato disertore fino alla fine della guerra. In Spagna, lo vede John Ringling North che scrittura lui e la sorella Lottie, per il Ringling Bros. and Barnum & Bailey. Debutta a New York al Madison Square Garden nell’aprile del 1948 e il “New York Times” lo definisce il `Nijinskij dei giocolieri’. Nel 1951 la sorella Lottie intraprende la carriera da solista e Francis lascia il circo per i grandi locali di Las Vegas, dove il suo nome viene messo in cartellone accanto a quelli di grandi stelle dello spettacolo come Danny Kaye, Jerry Lewis, Sammy Davis jr., Judie Gardland o Dean Martin. Nel 1963 al Victoria Palace di Londra si esibisce con i Beatles in uno spettacolo voluto dalla famiglia reale. Nel 1976 un grave problema all’anca sembra dover segnare la fine della sua carriera ma una riuscita operazione chirurgica gli consente di riprende ad esibirsi. La sua giocoleria ha avuto tre principali evoluzioni. Dapprincipio si concentra sul numero di oggetti giocolati raggiungendo i record di otto, nove e, nel 1947, persino dieci cerchi. Nel 1956 decide di lasciare da parte i primati per dedicarsi solo al perfezionamento dei movimenti, prende lezioni di flamenco dal ballerino Antonio Gades, e costruisce la propria esibizione su una musica spagnoleggiante indossando solamente una calzamaglia nera attilata. Nel 1990 debutta con una versione più essenziale del suo numero accompagnato solo da un chitarrista di flamenco che sottolinea in maniera appropriata ogni esercizio. Importante per l’approccio innovativo nello stile, nella tecnica e nell’attrezzistica, B. dimostra una completa dedizione verso il lavoro che lo porta ad esercitarsi ogni giorno per ore e ore nel tentativo di migliorare i propri standard. Dal punto di vista estetico si può considerare un precursore della giocoleria contact alla Michael Moschen.

Butler

Formato alle scuole dell’American Ballet e di Martha Graham, nella cui compagnia danza dal 1944 al 1955, ha fondato poi il John Butler Dance Theatre. La sua doppia esperienza, classica e moderna, gli ha permesso di coreografare anche per il New York City Ballet, l’Australian Ballet, il Nederlands Dans Theater, il Balletto dell’Opéra di Parigi e le compagnie della Scala, del Teatro Comunale di Firenze e dell’Arena di Verona. È stato responsabile del balletto al festival di Spoleto, dove ha creato Medea su musica di Barber per Mikhail Barishnikov e Carla Fracci, protagonista anche delle sue danze per la Lulu di Berg. Sue anche le coreografie per due partiture di Giancarlo Menotti, The Unicorn, The Gorgon, and the Manticore (1956) e Sebastian (1963). Tra i suoi titoli più noti, spesso di tono epico, Carmina Burana (1959) e Catulli Carmina (1964), After Eden (1966), duo favorito di Luciana Savignano e Marco Pierin, A Season in Hell (1967), Itinéraire (musica di Luciano Berio, 1970), Intégrales e Amériques (musica di Edgar Varèse, 1973). È stato tra i primi a realizzare, nelle sue creazioni, la fusione di tecniche di derivazione accademica e moderna.

Bluebell

Le Bluebell nacquero da un’idea di Margaret Kelly e del marito, il musicista francese Marcel Leibovici, che nel 1948 iniziarono a ‘reclutare’, proprio con un’ottica paramilitare, ragazze che corrispondessero alle misure ideali della ballerina: altezza m. 1,75, misure fisiche di 95-63-95, almeno un metro di gambe da sventolare con grazia sulla passerella. All’inizio venivano selezionate solo ragazze inglesi, ma in seguito furono ammesse anche altre nazionalità, l’importante era la sintonia e l’immagine fisica quasi `clonata’. Furono formati dieci gruppi delle Bluebell, da otto a dodici per gruppo, in tournée nelle varie nazioni, in show di vario stile (da noi era la rivista), simbolo di un successo legato alla professionalità, alla disciplina, alla correttezza dei rapporti. Si dice infatti che le Bluebell facessero una vita privata ritirata e controllata, andando tutte insieme a cena e poi in albergo dopo lo spettacolo, quasi come collegiali cui era vietato frequentare i colleghi di lavoro o ammiratori casuali (il che non impedì ad alcune di celebrare fortunati matrimoni, d’amore o di interesse, in Italia). Da noi i primi a importare Le Bluebell furono Garinei e Giovannini che, con Paone, le scritturarono nel ’50 per la rivista Il diavolo custode con la Osiris. Da allora, per un buon decennio, il corpo di danza inglese fu l’attrazione di ogni spettacolo di classe, aveva il nome in ditta e in locandina, ribaltando l’immagine della procace soubrettina all’italiana, fiero invece della propria personalità, e contraddicendo le misure delle nostrane maggiorate. Ma Le Bluebell portavano, con discrezione, anche un po’ di erotismo britannico, in quanto nei costumi la sgambatura era quasi verticale, anticipando il tanga di oggi. Ma nulla nell’atteggiamento era però volgare: le Bluebell, come in una fantasia caleidoscopica di Busby Berkeley, dovevano soprattutto muoversi all’unisono, offrire il senso di un rigore professionale unico, essere al servizio, dalla ‘chorus line’, di una étoile. Il nome de le Bluebell pare venga dal colore degli occhi dell’irlandese fondatrice lady Margaret, di colore azzurro cupo, come quello dei fiori che gli inglesi chiamano bluebell e noi campanule. La loro fortuna si esaurì nel tempo, sui nostri palcoscenici, anche se fiorirono le imitazioni, anche di classe, come i Charley Ballett, però a due sessi.

Bruce

Studia a Leicester e alla scuola Rambert. Entra nel London Ballet di Walter Gore, poi nel Ballet Rambert (1963). Danzatore e interprete eccezionalmente dotato, diventa quasi subito uno dei ballerini principali della compagnia, in particolare dopo la trasformazione in complesso moderno. Si fa notare in creazioni quali Embrace Tiger And Return To Mountain e Pierrot Lunaire di Glen Tetley, nonché in lavori di Norman Morrice e altri. Crea la coreografia per Cruel Garden di Lindsay Kemp e danza il ruolo del Poeta. Fra i numerosi lavori creati per il Ballet Rambert, vanno ricordati For Those Who Die As Cattle (senza musica), Ancient Voices Of Children , Ghost Dances e Sergeant Early’s Dream . Crea Swansong per l’English National Ballet. Molti suoi balletti contemplano tematiche a sfondo socio-politico. È direttore artistico e coreografo principale della Rambert Dance Company dal 1994.

Brito

Allieva di Mirta Pla, Ramona de Saa e Joaquim Banegas alla Scuola nazionale di Ballo di Cuba, nel 1968 Amparo Brito è entrata a far parte del balletto nazionale del suo Paese, diventandone solista e nel 1975 prima ballerina. Perfetto esempio della scuola accademica cubana, ricordata per la sua tecnica cristallina ha danzato tutti i grandi ruoli del repertorio classico primeggiando in quelli virtuosistici (Don Chisciotte).

Bridie

Molto produttivo, ha scritto riduzioni, atti unici, sceneggiature radiofoniche e cinematografiche e trentaquattro commedie. Le sue opere stimolano l’immaginazione del pubblico, combattono lo stile naturalistico e sono fortemente umoristiche, ma presentano carenze strutturali: spesso perdono forza nell’ultimo atto. Tema dominante è il conflitto tra puritanesimo e il diavolo: L’anatomista (The Anatomist, 1931), Un religioso addormentato (A Sleeping Clergyman, 1933), che inquadra la lotta tra bene e male lungo l’iter generazionale di tre membri di una stessa famiglia, Mr Belfry (1943), Dr Angelus (1947), Mr Gillie (1950). Interessanti sono anche le commedie bibliche trattate con ironia Jonah e la balena (Jonah and the Whale, 1930-32), e Tobia e l’angelo (Tobias and the Angel, 1930), e le escursioni nel ciclo arturiano: Lancelot (1945).

Big Apple Circus

Inaugurato nel 1982 dagli artisti di strada Paul Binder e Michael Christensen, il B.A.C. è importante per aver introdotto al pubblico americano il circo tradizionale ad una pista di tipo europeo, con una teatralizzazione basata sullo studio della storia del circo e un ruolo centrale delle esibizioni equestri, con l’impiego di artisti internazionali del massimo livello. Modelli diretti sono i circhi Gruss e Roncalli. Gli spettacoli del B.A.C. si distinguono per la metodologia produttiva tipica del musical e del teatro commerciale americano, nella concezione di scene, costumi, luci e musiche originali. Di vocazione popolare, il B.A.C. si sposta attraverso i quartieri di New York e le città della West Coast. Caratteristica del B.A.C., fondazione senza scopi lucrativi, è il forte legame con le politiche sociali della città di New York con impegno in attività didattiche e benefiche. Ogni anno il nuovo spettacolo affronta un diverso tema della cultura popolare americana e pianta le tende al Lincoln Center, di fianco al Metropolitan.

Benjamin

Fin dai primissimi scritti degli anni ’10 rivela interesse per il teatro con alcuni brevi saggi sul linguaggio nella tragedia e nel Trauerspiel, oltre ad alcune note su Shakespeare e Shaw. Nel 1926 scrive una delle sue opere più importanti e sicuramente quella più completa, L’origine del dramma barocco tedesco , che però non gli permette di entrare a pieno titolo nell’ambiente accademico, destinandolo così ad un futuro da critico outsider e sempre contro corrente. Durante gli anni ’30 è amico intimo di Brecht e scrive tre brevi contributi sulla teoria del teatro epico e sulla sua funzione politica che risultano ancora oggi una delle migliori interpretazioni del lavoro del drammaturgo tedesco, di quel periodo.

Bonaiuto

Friulana di nascita, Anna Bonaiuto si è però formata come attrice a Napoli, città natale del padre, lavorando nel gruppo Teatri Uniti di M. Martone e T. Servillo. Attrice di grande forza espressiva ma priva di tratti popolareschi, nervosa e tenace, nel cinema ha lavorato con P. Avati, L. Cavani, M. Troisi (ne Il postino era la moglie di Neruda-Noiret); in teatro ha esordito con L. Ronconi, quindi è stata più volte diretta da C. Cecchi (L’amante di Pinter, 1985-86), Martone (Woyzeck di Büchner, 1988-89 e i film Morte di un matematico napoletano e L’amore molesto). Tra le altre interpretazioni, Inferno (1997) al Festival di Borgio Verezzi, Le false confidenze di Marivaux nella stagione 1997-98, con A. Renzi e T. Servillo, sempre per il gruppo Teatri Uniti, e I sette contro Tebe di Eschilo con la regia di Martone (poi trasposto al cinema con il titolo Teatro di guerra).

Buzzanca

Diventa famoso debuttando nel cinema in Divorzio all’italiana di P. Germi, nel 1962, poi recita in film di Lattuada, Monicelli, Rosi, B. Bertolucci, Maselli; ma anche in `film di serie B’ di grande successo come Il merlo maschio e Homo eroticus , dove interpreta la parodia dell’insaziabile latin lover degli anni ’70. In teatro ha riscosso un notevole successo con la commedia musicale Il cenerentolo (1969) ed è diventato un volto famoso nello spettacolo leggero, in particolare con Signore e signore (1970) a fianco di Delia Scala, identificandosi in un personaggio di sempliciotto svagato e svampito. Dopo un periodo di eclisse e varie esperienze televisive, torna in teatro nel 1990 con La scuola delle mogli di Molière. Seguono: La cena delle beffe di Sem Benelli (1991) e Liolà (1994). Nel 1998 ritorna anche al cinema con il film Il popolo degli uccelli di Rocco Cesareo.

Braschi

Inizia la carriera da giovane suonando in gruppi rock e facendo cabaret al Teatro Instabile di Genova, con Beppe Grillo e Antonio Ricci. Esordisce in tv a Drive in (1983) diventando popolarissimo grazie al personaggio del paninaro e al suo modo di parlare che viene presto imitato dai giovani. In seguito continua la sua attività di cabarettista in discoteche e locali vari e partecipa a Striscia la notizia .

Ballet du Rhin

Ballet du Rhin è nata nel 1972 dalla fusione tra il Ballet de Strasbourg e alcuni elementi provenienti da una compagnia parigina. Alla direzione artistica è Jean Babilée, che però, solo due anni più tardi, lascia la compagnia per far posto al danzatore e coreografo Peter Van Dyk. Questi ammoderna il repertorio e amplia l’organico portandolo a sessantacinque danzatori. Jean Sarelli lo sostituisce nel 1779, finché nel 1990 la direzione passa a Jean-Claude Gravier, già solista – di grandi capacità – della compagnia, che associa all’impresa la moglie Jacqueline. Nel frattempo il B.d.R. è diventato Centre Chorégraphique National: grazie alle sue attività, Strasburgo, Mulhouse e Colmar (le tre città tutrici della compagnia) sono diventate referenti importanti nella geografia del balletto europeo.

Bolchi

Dopo aver recitato nei Guf di Trieste, Sandro Bolchi si trasferisce a Bologna dove fonda, nel 1950, assieme a un gruppo di amici (Lamberto Sechi, Vittorio Vecchi, Luciano Damiani, Giuseppe Pardieri e Giorgio Vecchietti), uno dei primi Stabili italiani: La Soffitta. Nel 1952 per difficoltà finanziarie il teatro viene chiuso, ma Sandro Bolchi continua nell’attività teatrale riscuotendo interesse con la messa in scena de L’imperatore Jones di O’Neill, protagonista Memo Benassi e de L’avaro di Molière. Il dramma di Ugo Betti Frana allo Scalo Nord segna nel 1956 il suo esordio come regista per la televisione. Successivamente ha firmato, tra gli altri lavori per il piccolo schermo, Il mulino del Po (1963), I promessi sposi (1967), I fratelli Karamazov (1970), Il crogiuolo (1971), I demoni (1972), Anna Karenina (1974).

Bessy

Dopo gli studi all’Opéra di Parigi, è stata scritturata dal teatro e assai giovane, nel 1956, è diventata étoile (fino al 1975). Di eccezionale bellezza plastica, le sue qualità tecniche e interpretative ne hanno fatto una grande ballerina classica dal comportamento assai moderno. Molti e interessanti lavori creati negli anni ’50 all’Opéra ( Les noces fantastiques e Chemin de lumière di Lifar) l’hanno vista superba protagonista. Nel 1956 ha debuttato al cinema accanto a Gene Kelly in Invitation à la danse . Nel 1961 è stata applaudita anche al Bol’šoj di Mosca. Marginalmente si è dedicata anche alla coreografia ( Studio 60 , Play Bach ). Dal 1972 dirige con rigore e determinazione la Scuola di ballo dell’Opéra, dove ha compiuto un formidabile lavoro di ammodernamento, facendo evolvere strutture troppo rigide e abbattendo polverose consuetudini. Nel 1961 ha dato alle stampe il libro autobiografico Danseuse étoile.

Bisio

Diplomatosi presso la Civica scuola d’arte drammatica di Milano (1981), Claudio Bisio calca le scene teatrali lavorando con Fo (Morte accidentale di un anarchico, 1987) e con il Teatro dell’Elfo (Sogno di una notte d’estate, Nemico di classe, Comedians, Café Procope). Negli stessi anni riesce anche a dedicarsi al cabaret: la sua palestra è il Derby, prima, lo Zelig poi. Teatro e cabaret trovano un piacevole punto d’incontro in divertenti monologhi tra cui: Guglielma (1987), Aspettando, godo (1990), Le nuove mirabolanti avventure di Walter Ego (1992), Tersa Repubblica (1994-95) e Random (1995) poutpourri dei precedenti. Il suo ultimo lavoro teatrale (1997), Monsieur Malaussene au théâtre di D. Pennac, per la regia di Giorgio Gallione, ha avuto un notevole successo. Al cinema, con registi come Salvatores, Risi, Monicelli, G. Bertolucci, l’attore raggiunge una popolarità ancora più ampia. Artista poliedrico, incide anche un disco di successo, Rappout (con Rocco Tanica), che diventa la canzone dell’estate 1991. Molte anche le sue presenze televisive da Cielito Lindo (1992) a Mai dire gol (1998). Grande talento comico, B. ha trovato la notorietà sfruttando il filone cabarettistico e costruendo una sua personalissima satira dei tempi moderni. Efficace testimonial di un’epoca che ama il divertissement intelligente e lo svago di classe, non gli mancano né la capacità né la potenza per imporsi in ruoli drammatici.

Bellei

Diplomatosi all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’ nel 1959, Mino Bellei ha debuttato nell’ Adelchi di Manzoni, con la compagnia Gassman (1960). Il primo ruolo di coprotagonista nel 1961 lo vede accanto a Renzo Ricci ed Eva Magni ne Il cardinale di Spagna di H. de Montherlant. Ha recitato con Randone, Parenti, Salerno e nei teatri Stabili di Palermo, Roma e Trieste. Nel 1968 costituisce con Fabrizio Vanni, Mario Bussolino e Laura Rizzoli la Compagnia del Malinteso, dal testo di Camus, Il malinteso, presentato per primo, cui fanno seguito, in sette anni, autori quali Feydeau, Brancati, Pirandello, Svevo e Moravia che segna anche con Gli indifferenti la prima regia di Bellei. Nel 1974 entra a far parte della compagnia De Lullo-Valli con cui per quattro stagioni interpreta, fra gli altri, Manvolio ne La dodicesima notte di Shakespeare. Nel 1979 scrive, dirige e interpreta Bionda fragola (da cui nel 1980 è stato tratto anche un film) a cui seguono La vita non è un film di Doris Day e Pacchi di bugie. Per due stagioni insegna al Centro sperimentale di cinematografia. Nel 1989 firma la regia di Vortice di N. Coward per il Teatro Eliseo con Rossella Falk. Dopo quattro anni di inattività, dal 1992 al 1996, ritorna al teatro con Candida di G.B. Shaw e Can Can di Cole Porter. Ha lavorato molto anche in televisione e nel cinema interpretando ruoli di secondo piano in sei film dei quali l’ultimo con la regia di Zeffirelli, Tè con Mussolini .

Batsheva Dance Company

Batsheva Dance Company ha in repertorio anche balletti di Tetley, Butler, Cranko e del coreografo israeliano Moshe Efrati. Alla direzione, dopo le grahamiane Jane Dudley (fino al 1970) e Linda Hodes insieme a Kaj Lothmann (1974-1977), si sono succeduti l’americano Paul Sanasardo (fino al 1981) e l’israeliano Ohad Naharin (1990), che apporta al gruppo titoli propri (Kyr , 1990) e di Kylián, Forsythe, Preljocaj, Streb, Elkins.

Bernardi

Dopo aver studiato prima matematica e medicina, poi contrappunto e composizione, Nerio Bernardi si è dedicato al cinema e al teatro. Ha recitato in compagnie di prestigio, debuttando con il Teatro degli Italiani di Roma, diretto da Lucio D’Ambra, nel 1922-23 in qualità di attor giovane. Poi nel ruolo di primattore con la compagnia Maria Melato (1928-31) a cui seguono le interpretazioni con le compagnie Tatiana Pavlova, Carini-Capodaglio-Betrone, Solbelli-Calò-Bernardi (1938-39), Ermete Zacconi, Dina Galli, Maltagliati-Ninchi (1948-49). Ha lavorato con registi quali Max Reinhardt (si ricordano il Sogno d’una notte di mezza estate nel 1933 e Il mercante di Venezia nel 1935 di Shakespeare), Copeau, Simoni, Pavolini e Visconti. Dal 1919 ha interpretato molti ruoli cinematografici sia in Italia che all’estero. Dal 1952 ha insegnato trucco e comportamento all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’.

Bondy

Dopo aver studiato a Parigi alla scuola di Jacques Lecoq, Luc Bondy nel 1969 comincia a lavorare in Germania. In questo periodo mette in scena: Le sedie di Ionesco (Norimberga, 1972); Leonce e Lena di Büchner (Düsseldorf, 1972); Come vi piace di Shakespeare (Wupertal, 1973); Stella di Goethe (Darmstadt, 1973). In particolare, Il mare di E. Bond (Monaco, 1973) è molto apprezzato dalla critica. In seguito lavora a Francoforte – La volubilità dell’amore di Marivaux (1975) – e a Berlino, alla Schaubühne, diretta da Peter Stein (Non si scherza con l’amore di A. de Musset, 1977). Agli inizi degli anni ’80 si devono a Luc Bondy altre interessanti messe in scena: Yvonne, principessa di Borgogna di Gombrowicz e Giorni felici di Beckett (Colonia, 1981); Così fan tutte di Mozart (Bruxelles, 1984). Nel 1984 Patrice Chéreau ospita a Nanterre Terra straniera di Schnizler, il primo spettacolo di Bondy realizzato in Francia, dove in seguito presenta: I racconti d’inverno di Shakespeare, nella traduzione di Koltès (Avignone, 1988); Il cammino solitario di Schnitzler (Parigi, 1989); John Gabriel Borkman di Ibsen (Parigi, 1993); Giocare col fuoco di Strindberg (Parigi, 1996). B. svolge un importante ruolo di tramite culturale tra Francia e Germania, presentando al pubblico tedesco Il trionfo dell’amore di Marivaux (Berlino, 1985); Il misantropo di Molière (1987); L’illusionista e Sogniamo! Di Guitry (1995). Inoltre ha curato la regia di numerosi drammi di Botho Strauss – Kalldewey (Berlino, 1982); La guida (Berlino, 1986); Il tempo e la camera (Berlino, 1989); Il coro finale (Berlino, 1992); L’equilibrio (Salisburgo, 1993) – di molte opere liriche: Così fan tutte (Bruxelles, 1984); L’incoronazione di Poppea di Monteverdi (Bruxelles, 1989); Don Giovanni di Mozart (Vienna, 1990); Salomé di Strauss (Salisburgo, 1992); La ronda di Philippe Boesmans (lo stesso B. è autore del libretto, tratto dal dramma di Schnitzler; Bruxelles, 1993); Le nozze di Figaro di Mozart (Salisburgo, 1995); Don Carlos di Verdi (Parigi, 1996).

Billi

Riccardo Billi esordì a vent’anni come fine dicitore alla Casina delle Rose di Roma. Abile fantasista, dotato di una buona voce tenorile ed imitatore di talento creativo venne subito notato e scritturato dalla compagnia di operette di Lydia Johnson in cui cantò e recitò fino al 1931 quando entrò a fianco di Wanda Osiris nella compagnia Maresca. Tornò quindi al varietà in duo con Romigioli dando vita ad un piacevole genere umoristico-musicale prima di cimentarsi con la prosa (Stabile di Napoli, 1936) e di mettere in scena l’anno seguente, in veste di capocomico, la commedia musicale di Bassano Il vedovo allegro. Nel 1943 fu scritturato come primo comico accanto a Paola Borboni nella rivista di Galdieri Mani in tasca e naso al vento. La grande svolta della sua carriera avvenne quando, nell’immediato dopoguerra, conobbe casualmente Mario Riva, il presentatore ed intrattenitore col quale formò per un decennio una coppia comica assortita e calibrata. Il loro successo prese il via con la rivista radiofonica di Garinei e Giovannini La Bisarca (1950), il cui clamoroso successo popolare indusse gli autori ad adattarla a quella scena teatrale che ancora per molti anni vide premiata la ditta B. e Riva in numerose altre riviste quali Alta tensione (1951-52), I fanatici (1952-53), Caccia al tesoro (1953-54) e Siamo tutti dottori (1954-55). L’inevitabile approdo televisivo (ad Un, due, tre) della coppia ormai così famosa non cambiò però l’atteggiamento di diffidenza che B. nutriva nei confronti del nuovo mezzo di comunicazione, tanto che nel 1956 l’attore tornò al teatro con le riviste Billi e pupe e Doppio rosa al sexy , nuovamente con la Osiris. È di questi anni anche l’attività cinematografica del comico toscano che adottato da Roma s’impose, sempre al fianco di Riva, in una fortunata serie di film commerciali, prima di concludere la sua carriera artistica con il teatro per ragazzi che dal 1968 al 1975 lo vide protagonista di un repertorio di favole come Cenerentola , Il gatto con gli stivali e Pollicino . Billi, seppur volontariamente, incarna con il suo rifiuto televisivo il suicidio consapevole di quella forma di varietà cui il piccolo schermo è riuscito a togliere la vita e la vitalità smembrandolo via via nelle reiterate manifestazioni musicali e nella disarmante antipatia di gran parte della moderna comicità.

Brachetti

Trasformista per vocazione, Arturo Brachetti ha imparato il mestiere dalla biografia di Fregoli, ma ad aiutarlo è stato un sacerdote conosciuto durante gli anni trascorsi in seminario dai salesiani per volontà del padre. Dopo i successi ottenuti in Francia (diciottenne a Parigi, è già la vedette di famosi locali come il Paradis Latin e perfino l’Olympia), Germania, Gran Bretagna e Austria, approda in Italia nel varietà tv (1984). Dell’anno successivo è lo scatenato Varietà di Scaparro, del 1986 Amami, Arturo di cui è autore assieme a F. Crivelli. Nel 1990 è la volta di I Massabilli di Aymée, quindi Madama Butterfly in cui recita una parte `en travesti’ al fianco di U. Tognazzi. Ottiene uno strepitoso successo col musical Fregoli nella stagione 1994-1995, in cui cambia una trentina di ruoli, mutando costume in tempi rapidissimi. Da allora lavora con la Compagnia della Rancia. Lo spettacolo più recente, con la regia di S. Marconi, è Brachetti in Technicolor , in cui interpreta 100 personaggi di 100 anni di cinema. Tra le sue regie c’è quella dello spettacolo I corti con Aldo Giovanni e Giacomo (1996).

Bertolli

Dopo gli studi di danza in Brasile, Firenze e all’Accademia nazionale di danza di Roma, inizia l’attività di danzatrice nel 1977 contemporaneamente firmando coreografie per il gruppo teatrale Gaia Scienza. Nel 1980 entra nella compagnia di Carolyn Carlson che ha sede presso il Teatro La Fenice e in seguito è tra i fondatori di Sosta Palmizi, cui collabora come autrice e interprete de Il cortile (1985) e Tufo (1986). Dal 1992 al 1995 con l’attore Bobo Nigrone cura il Progetto Bignami Teatro e Danza , riduzioni danzate e recitate di classici ( La storia di Angelica e Orlando e Gli eroi dall’ Iliade ) proseguendo poi individualmente nella creazione di progetti didattici legati alla danza.

Bennett

Michael Bennett è noto soprattutto per essere stato l’autore-ispiratore e coreografo di A Chorus Line , seimilacentotrentasei repliche e, al momento della chiusura, il maggior numero di repliche di uno spettacolo a Broadway. Michael Bennett aveva studiato danza e coreografia, quando tentò la sua strada debuttando nella compagnia di giro di West Side Story , Usa e Europa, nel 1959-60. È nel gruppo dei ballerini per Subways Are For Sleeping (1961), Here’s Love (1963) e Bajour (1964). Debutta come coreografo nel 1966 con il disastroso A Joyful Noise (dodici repliche) e prosegue con un altro insuccesso nel 1967 Henry, Sweet Henry. Finalmente, nel 1968, arriva il successo: Promises, Promises di Burt Bacharach su libretto di Neil Simon (milleduecentottantuno repliche a Broadway, più cinquecentosessanta a Londra). Seguono: sempre nel 1969, Coco, unico musical interpretato da Katharine Hepburn; Company di Stephen Sondheim nel ’70; sempre di Sondheim Folies , nel ’71 (e qui collabora anche alla regia); nel 1973 Seesaw , di cui è anche autore del libretto, naturalmente coreografo e anche regista: raggiunge così il controllo totale su uno show. Ma non basta. Michael Bennett coltiva da tempo l’idea di Chorus Line : l’articolo fu premesso più in là perché lo spettacolo fosse il primo nell’elenco dei teatri che, a New York, vanno per titolo in ordine alfabetico. Dunque Bennett riunì un gruppo di ballerini di fila e li fece parlare, per varie serate in una specie di confessione generale. Il materiale registrato che ne risultò fu messo in ordine da James Kirkwood a Nicholas Dante, Edward Kleban scrisse le parole delle canzoni e Marvin Hamlisch le musiche. Regia e coreografia di Michael Bennett, che rimase proprietario dell’idea e dei diritti risultanti. A Chorus Line, va in scena il 25 maggio del ’75 (chiuderà il 27 aprile del ’90) e come ognuno sa, fu un colossale successo e continua ad esserlo in tutti i paesi del mondo in cui è stato prodotto. Quanto a Michael Bennett, mette in scena lo sfortunato Ballroom : solo centosedici repliche dal 4 dicembre 1978 al 24 marzo 1979, protagonisti Vincent Gardenia e Dorothy Loudon. È dal 1981 il suo ultimo spettacolo, quel Dreamgirls che va in scena il 20 dicembre a New York, Imperial Theatre, per restarci quattro anni e millecinquecentoventidue repliche, consacrando la giovane attrice-cantante Jennifer Holliday. Dopo un lungo tour nella provincia americana, Dreamgirls tornerà a Broadway per un periodo di cinque mesi e chiuderà più o meno al momento della morte del suo ispiratore, nell’estate del 1987.

Buzzati

Dino Buzzati inizia la sua attività come giornalista al “Corriere della sera”, dove è assunto nel 1928, per diventare l’anno successivo redattore interno e vice-critico musicale per il Teatro alla Scala. Quindi diventerà inviato speciale. Intanto comincia a scrivere romanzi; nel 1940 esce Il deserto dei Tartari, primo grande successo. Il 14 maggio 1953, Giorgio Strehler mette in scena, al Piccolo Teatro, Un caso clinico, che verrà anche presentato a Parigi in una versione di Albert Camus. Ma la sua vera carriera di drammaturgo era iniziata nel 1942, quando, al Teatro Nuovo di Milano, viene rappresentata Piccola passeggiata, con la regia di Fulchignoni; continua con La rivolta contro i poveri, realizzata da Strehler, al Teatro Excelsior di Milano nel 1946.

Tra atti unici e commedie regolari, Buzzati ha scritto ben quindici testi teatrali, più due libretti d’opera: Ferrovia sopraelevata e Procedura penale , per le musiche di Luciano Chailly (Bergamo, 1955; Como, 1959). Altri testi sono: Il mantello (Teatro Convegno, 1960, regia Ferrieri), Drammatica fine di un noto musicista (Teatro Olympia, 1955, regia Brissoni), Sola in casa, 1958, e L’orologio , 1959, ambedue scritti per Paola Borboni e da lei rappresentati al Teatro Gerolamo. Le finestre (Teatro Gerolamo, 1958, regia Zeffirelli); Un verme al Ministero (Teatro S. Erasmo, 1960, regia di Blasi); I suggeritori (Teatro Lirico, 1960, regia D’Anza); L’uomo che andrà in America (Teatro Mercadante, 1962, regia di Colli); La colonna infame (Teatro S. Erasmo, 1966, regia di Lualdi). Scrisse anche La telefonista, non rappresentato, per Laura Adani e il soggetto per un balletto, oltre che disegnarne le scene e i costumi: Fantasmi al Grand Hotel , in collaborazione con Luciana Navaro, con le musiche di Chailly, rappresentato al Teatro alla Scala nel 1960, con Carla Fracci.

Buzzatti arriva al teatro negli anni ’40-50 portandovi le sue emozioni personali, oltre che le sue curiosità; ma soprattutto un senso di libertà, che nasce da una felice commistione di stile e di linguaggio e dalla sapienza con cui riesce ad alternare l’impianto realistico con quello simbolico. Egli ha cercato di guardare la realtà in faccia e di raccontarla allo spettatore con una scelta drammaturgica personale, con una lingua alquanto vicina alla quotidianità e, nello stesso tempo, sperimentale, che sa dar voce ai fantasmi presenti dentro ogni uomo. Per Buzzati, il teatro era un’evasione, una specie di transfert che né il romanzo, né altra forma d’arte potevano dare. Martin Esslin, dopo aver analizzato Un caso clinico , che considerò un moderno miracle-play, nella tradizione di Everyman , lo pose tra gli autori del `teatro dell’assurdo’, formula un po’ ambigua, ma certamente calzante.

Broechx

All’età di otto anni ha cominciato a seguire i corsi di danza al Sedeluk Institut. Nel 1978 vince il Prix Lausanne e nello stesso anno partecipa al Concorso di Varna. Successivamente diventa solista del Ballet Royal des Flandres, quindi della Deutsche Oper di Berlino e della Bayerische Oper di Monaco. Nel 1986, Roland Petit lo scrittura nei suoi Ballets de Marseille e gli affida i grandi ruoli del suo repertorio. È fra l’altro Lohmann ne L’Ange bleu , Christian in Cyrano de Bergerac e danza in Ma Pavlova , Le diable amoureux e, per il suo stile elegante e prezioso, viene valorizzato anche nel recente Le lac des cygnes et ses maléfices .

Beckett

Nato in una famiglia anglo-irlandese di religione protestante, Samuel Beckett studiò lingue e letterature romanze al Trinity College di Dublino, laureandosi con una tesi, successivamente pubblicata, su Proust. Nella stessa università tentò anche la carriera accademica, interrotta nel 1928-29 da un anno a Parigi come lettore d’inglese (fu allora che strinse rapporti d’amicizia con Joyce) e troncata nel 1931 quando presentò le dimissioni. Poi per qualche tempo girò l’Europa, e in questo periodo scrisse fra l’altro il romanzo Murphy e si mantenne facendo lavori di vario genere. Nel l937 si stabilì a Parigi, dove avrebbe vissuto, con pochi intervalli, fino alla morte. Poté restarvi anche durante l’occupazione tedesca, essendo cittadino della neutrale Repubblica irlandese, ma, avendo partecipato alla Resistenza, fu costretto a fuggire nella Francia non occupata quando stava per essere arrestato dalla Gestapo. Per sopravvivere lavorò come bracciante agricolo nella Vaucluse, poi si arruolò nella Croce Rossa e, dopo un breve soggiorno in patria, tornò stabilmente a Parigi nell’autunno del 1945. Fu allora che cominciò a scrivere prevalentemente in francese (traducendo poi in inglese i propri testi), perché, come ebbe a dichiarare in seguito, il servirsi di una lingua acquisita gli permetteva di evitare le lusinghe e le trappole del bello stile.

In pochi anni divenne famoso, prima con la trilogia narrativa comprendente Malloy, Malone muore (Malone meurt) e L’innominabile (L’innommable) che, pubblicata fra il 1951 e il 1953, attirò l’attenzione della critica più avveduta, poi, e soprattutto, con la rappresentazione del suo secondo testo teatrale (il primo, Eleutheria, scritto nel 1945, rimase inedito fin dopo la sua morte), Aspettando Godot (En attendant Godot), messo in scena da Roger Blin il 5 gennaio 1953 in un piccolo teatro della Rive Gauche. Era la bizzarra storia di due vagabondi vestiti come Charlot che ogni sera attendono invano in una strada di campagna l’arrivo di un misterioso personaggio in grado di dar loro lavoro e protezione, e quasi inevitabilmente sconcertò e irritò molti dei primi spettatori, sia per l’assenza di una trama riconoscibile come tale sia per l’insolita miscela di entrée clownesche e suggestioni metafisiche. Fu merito di Anouilh mettere a tacere i loro dubbi con un articolo di vasta risonanza nel quale la commedia veniva brillantentemente definita, anche se con palese genericità, «i Pensieri di Pascal recitati dai Fratellini». Poi il successo, esteso ben presto ai teatri di tutto il mondo, e la ridda delle interpretazioni di un testo così terso e così misterioso (Godot, per esempio, era davvero God, cioè Dio, o un’eco di quel Godeau, personaggio del Mercadet di Balzac che però alla fine arriva e risolve il complicatissimo intreccio?) e quell’influenza determinante su tanti copioni altrui che fece entrare l’aggettivo `beckettiano’ in tante lingue europee. Fu il suo primo capolavoro, e la sua prima proposta di una nuova, rivoluzionaria drammaturgia.

Seguì, nel 1957, Finale di partita (Fin de partie). Qui i protagonisti si chiamano Hamm e Clov (e il primo nome fa pensare a `ham’, gigione, come a `hammer’, martello; il secondo a `clown’ come a `clou’, chiodo). L’uno è un vecchio cieco immobilizzato su una sedia a rotelle, l’altro una sorta di figlio-schiavo che gli si agita intorno in continuazione sognando di andarsene dal luogo chiuso in cui si trovano (una sorta di torre isolata da un mondo privo di vita). Ci sono inoltre due decrepiti genitori che sopravvivono, ridotti a moncherini, in due bidoni per la spazzatura. Anche qui farsa e tragedia si mescolano inestricabilmente: le gag si inseriscono in un contesto di disperata condizione umana e in un mondo ridotto a terra desolata forse da un’ultima guerra atomica, e frequenti sono i richiami alla storia della Crocifissione. A differenza di queste due commedie, quasi tutte le opere teatrali successive, sempre più spoglie ed essenziali e sempre più lontane dall’idea ricevuta di teatro, furono scritte originariamente in inglese e tradotte poi in francese. In L’ultimo nastro di Krapp (Krapp’s Last Tape , 1958) un anziano scrittore siede da trent’anni davanti un registratore ad ascoltare vecchi nastri da lui stesso incisi nel tentativo impossibile di dialogare con se stesso e col proprio passato; in Giorni felici (Happy Days, 1961) una donna sulla cinquantina monologa su se stessa e sulle sue memorie continuando a sprofondare nel monticello di sabbia nel quale è immersa; in Commedia (Play, 1963) spariscono del tutto anche queste fragili connessioni con la drammaturgia tradizionale e in scena ci sono due donne e un uomo sepolti fino al collo nelle loro urne che parlano soltanto quando i loro volti vengono illuminati da un raggio di luce, e il breve testo deve essere ripetuto due volte con minime varianti. Questo processo di essenzializzazione venne spinto all’estremo nei suoi ultimi scritti per il teatro – fra i quali Come and Go (1966), Not I (1972, dove si vede in scena solo una bocca) e Ohio Impromptu (1981) – che concentravano in poche pagine e in pochi minuti di rappresentazione le tematiche e le ossessioni dell’intera sua opera, sostituendo ai personaggi clowneschi dei primi drammi figure spettrali solo in parte visibili, che ancora cercano di entrare in rapporto con se stesse e col mondo che le circonda.

Oggetto di innumerevoli interpretazioni, più o meno ingegnose, il teatro di Samuel Beckett, fra i più importanti del secolo, ha soprattutto il merito di tradurre esperienze fondamentalmente statiche (l’attesa, il ricordo, la lotta inane contro la futilità dell’esistenza) in opere che, pur eliminando quasi tutti gli elementi costitutivi della drammaturgia occidentale, inventano una nuova teatralità e un nuovo dinamismo proponendo immagini destinate a imprimersi nella memoria per dar corpo e concretezza fisica a riflessioni sulla condizione umana nel buio contesto della fine millennio, che non escludono una raffinata levità. Oltre che per il teatro, e vanno citati i due scenari per mimi dal titolo Actes sans paroles I e II (1956), Beckett scrisse per la radio ( Tutti quelli che cadono, All That Fall, 1957), per la televisione, per il cinema (Film , 1965), e perfino uno sketch per la `scandalosa’ rivista Oh! Calcutta! (1969) di K. Tynan. Negli ultimi anni mise personalmente in scena alcuni suoi testi (per esempio Aspettando Godot a Berlino nel 1975). Importante la sua attività registica con i detenuti del carcere di St. Quentin. Nel 1969 vinse il premio Nobel per la letteratura.

Bertoni

Fin da giovane appassionato degli spettacoli di piazza, Ciro Bertoni si dedica dapprima all’illusionismo, poi recita in compagnie filodrammatiche, ma la sua vera passione furono i burattini. Il teatro dei sapienti burattini presentati dal mago Bertoni fu conosciuto e stimato nell’alta Italia e in quella centrale. Egli aveva una buona padronanza di molti dialetti ed era capace di sostenere da solo uno spettacolo interpretando oltre dieci personaggi con tonalità di voce diversa. È ricordato anche per l’ammirevole maneggio dei burattini dentro la baracca.

Bosch

Dopo essersi formata con Alicia e Fernando Alonso, Aurora Bosch debutta nel San Francisco Ballet per poi entrare nel 1959 nel Balletto nazionale di Cuba, del quale diventa solista nel 1962 e prima ballerina nel 1967. Di smagliante tecnica accademica e di levigata bellezza danza tutti i ruoli del repertorio classico, imponendosi all’attenzione internazionale grazie a numerosi premi vinti in prestigiosi concorsi (Medaglia d’oro a Varna 1966; premio della Critica Parigi 1966). Ritiratasi dalle scene nel 1980 ha assunto il ruolo di maître de ballet della compagnia cubana.

Binazzi

I suoi lavori si riconoscono nei contrasti forti suscitati dai fatti di cronaca e dalla contesa politica. Evidenziano personaggi dalla psicologia complessa e tormentata, che vanno nella direzione opposta rispetto alla morale comune. Alcuni tra i suoi testi sono stati pubblicati. I titoli: Gli estranei (1956), Il delirio della prima donna (1957), Whisky e fumo (1957), Giulietta (1959) e, di tema politico, I sovversivi (1971) e Un gioco di sangue (1973). È stato fra i primi a rappresentare Il compleanno di Pinter al Teatro Uomo con la sua compagnia Informativa ’65.

Bonelli

B. non è sfuggito alla legge della commedia che lo ha reso famoso: si tratta de L’Imperatore (1929), che ebbe un grande successo sia in Italia che all’estero, per aver portato in scena, facendo ricorso ad un tardo teatro del grottesco, la figura di Napoleone attraverso un attore che crede di esserlo diventato davvero. Altri suoi testi sono: Stenterello e il granduca (1924); Il medico della signora malata (1926); Il mio cuoco e la mia amante (1929). Il suo è un teatro leggero, molto vicino a quello dei telefoni bianchi. Non per nulla scrisse a quattro mani con Aldo De Benedetti: L’uomo che sorride (1935); e con Lucio D’Ambra: Il mestiere di galantuomo (1937). La sua comicità risentiva molto della beffa tipica del costume popolare toscano. Fu anche autore di libretti, come La maschera nuda (1923), e di qualche operetta. Svolse anche attività di soggettista e sceneggiatore cinematografico.

Buccellato

Il nome di Benedetta Buccellato s’impone negli anni ’90 grazie a spettacoli su testi di tragici greci (I sette contro Tebe di Eschilo nel 1992, Prometeo , sempre di Eschilo, diretto da A. Calenda nel ’94) e autori stranieri contemporanei (Morte di un commesso viaggiatore di A. Miller). Nel 1991 è la Figliastra nei Sei personaggi in cerca d’autore diretto da Zeffirelli a Taormina accanto a un grandissimo Enrico Maria Salerno. Nel 1995 interpreta un’infermiera di mezza età in Tre donne alte di Albee, con la regia di L. Squarzina. Nel ’96 è diretta da Tonino Pulci ne Il prigioniero della seconda strada , favola moderna ambientata a Manhattan nella quale recita accanto a M. Dapporto.

Bourseiller

Antoine Bourseiller esordisce giovanissimo, a metà degli anni ’50. Vincitore del Concours des jeunes compagnies nel 1960, dirige, fino al 1965, lo Studio des Champs-Élysées. Uno dei primi spettacoli è dedicato a Pirandello (Come tu mi vuoi, 1960), autore che Bourseiller riprenderà più tardi alla Comédie-Française (Sei personaggi in cerca d’autore, 1978). Fra i testi messi in scena nei primi anni ’60, si ricordano quelli di Ionesco, Billetdoux, Jean Vauthier, Barbey d’Aurevilly e, segno di un interesse per la musica che andrà crescendo negli anni, l’opera in due atti di Gian Carlo Menotti La Medium (Opéra di Parigi e Marsiglia, 1963). Nel 1965-66, al Théâtre de Poche-Montparnasse, Bourseiller fa conoscere al pubblico francese LeRoi Jones e Mrozek.

Nel 1973, al festival di Avignone, presenta Onirocri (musica di Jean Prodomidès). Tra il 1966 e il 1975 è a Marsiglia, al Centre Dramatique National du Sud-Est, dove cura la regia di Il balcone di Jean Genet. La torre di Hugo von Hofmannsthal è il fiore all’occhiello della sua triennale esperienza al Théâtre Récamier (1975-1978). Dopo il 1980 B. si dedica soprattutto all’allestimento dell’opera, dapprima al Teatro d’Orléans, poi, tra il 1986 e il 1996, all’Opéra-Théâtre di Nancy: Wozzeck, Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk, L’angelo di fuoco, Lohengrin, Don Giovanni, ma anche i meno conosciuti King Priam di Tippett, Billy Budd di Britten, Kátya Kabanová di Janácek.

Berlin

Emigrato con la famiglia negli Usa all’età di quattro anni, Irving Berlin apprende i primi elementi della musica dal padre, cantore di sinagoga, ma poi per sopravvivere esercita diversi mestieri, fra cui quello di cameriere-cantante. Comincia a scriversi da solo le sue canzoni e come autore incontra successi sempre maggiori: la prima canzone che riesce a pubblicare (1907) è un omaggio al nostro Paese, “Marie from Sunny Italy”. Tra i suoi titoli più noti, compresi in spettacoli musicali diversi, suoi o di altri autori (o in film), sono: “Alexander’s Ragtime Band”, “Blue Skies”, “God Bless America!” (divenuta quasi un inno nazionale), “A Pretty Girl is like a Melody” (massima espressione in lode dell’eterno femminino), “Remember”, “Always”, “Cheek to Cheek”, “White Christmas” (divenuta `rituale’ per le celebrazioni del Natale quanto i canti della tradizione liturgica). Il teatro viene affrontato nel 1914 con la commedia musicale Watch Your Steps (protagonisti Irene e Vernon Castle), che presenta la novità – per uno spettacolo teatrale – di essere basata sul ragtime. Segue una folta produzione di spettacoli musicali, rappresentati fra gli anni ’10 e il 1949: praticamente ogni anno esce un nuovo musical con la firma di B., su copioni di diversi autori. Del 1915 è Stop! Look! Listen! , una rivista con Gaby Deslys e Marion Davies (ancora su ritmi rag : un numero si intitola “Everything in America is Ragtime Crazy”, ma anche il resto sfoggia un irresistibile sincopato); del 1916 The Century Girl (in collaborazione con Victor Herbert); del 1917 Dance and Grow Thin (definita una `midnight revue’); del 1918 Yip, Yip, Yaphank , rivista rappresentata dai militari di una base americana, in cui presta servizio il sergente Irving Berlin, che esegue un tipico `lamento’ della vita militare, “Oh, How I Hate To Set Up In The Morning”. Questa rivista serve di abbozzo per un successivo e più impegnativo spettacolo per soldati, This is the Army , rappresentato durante la Seconda guerra mondiale, nel 1942.

Irving Berlin si mette volontariamente a disposizione del governo, scrivendo canzoni per i militari, per la Croce Rossa e gli operai impegnati nello sforzo bellico, esibendosi personalmente nelle zone di operazione. Per tornare alla produzione degli anni ’10, occorre segnalare tra i lavori musicali Cohan Revue of 1918 (scritta in collaborazione con George M. Cohan) e, nel 1919, Ziegfeld Folliès of 1919 (per Eddie Cantor e altri attori), seguito dalle versioni 1920 e ’27 dello stesso spettacolo. Nel 1920 Irving Berlin si costruisce un proprio teatro, battezzato ‘The Music Box Theatre’, in cui rappresenta quattro edizioni (poi sospese per i costi eccessivi nella gestione della sala) di una rivista denominata The Music Box Revue : nel 1921, ’22, ’23 (Grace Moore è tra gli interpreti) e ’24 (con Fanny Brice, Grace Moore e Claire Luce). Di particolare rilievo la commedia `pazza’ The Cocoanuts (1925) in cui si esibiscono i fratelli Marx (quattro, a quel tempo: Groucho, Zeppo, Harpo e Chico), portata sullo schermo nel 1929. Dopo Face the Music (1932), satira della Grande Crisi economica, è la volta di As Thousands Cheer (1933) con Clifton Webb e Ethel Waters, burlescamente impaginato come le cronache di un giornale, da un’idea di Moss Hart: vi appartiene una canzone drammatica sulla condizione dei neri americani, “Suppertime”. Per quattro anni B. è a Hollywood, impegnato a scrivere canzoni per il cinema: tra i migliori risultati sono Cappello a cilindro (Top Hat, 1935), Seguendo la flotta (Follow the Fleet, 1936) e Girandola (Carefree, 1938), tutti diretti da Mark Sandrich e interpretati da Fred Astaire; La signora della Quinta Strada (On the Avenue, 1937) di R. del Ruth, con i Ritz Brothers; La grande strada bianca (Alexander’s Ragtime Band, 1938) di H. King, con Tyrone Power e Ethel Merman; Ho trovato una stella (Second Fiddle, 1939) di S. Landfield, con Sonja Henie.

La partecipazione di Irving Berlin al cinema continua anche in seguito: oltre ai film tratti da suoi lavori teatrali ricordiamo La taverna dell’allegria (Holiday Inn, 1942; è per questo film che B. scrive “White Christmas”, a sua volta origine di una pellicola con questo titolo del 1954), ancora di Sandrich; Cieli azzurri (Blue Skies, 1946) di S. Heisler, con Bing Crosby e Fred Astaire; Ti amavo senza saperlo (Easter Parade, 1948) di C. Walters, con Fred Astaire e Judy Garland; Follie dell’anno (There’s No Business Like Show Business, 1954) di W. Lang. Gli spettacoli teatrali si diradano, anche per gli impegni del periodo bellico, e sono di limitato spessore; fa eccezione Annie Get Your Gun (1946) con Ethel Merman nel ruolo di Annie Oakley, campionessa di tiro nel circo di Buffalo Bill: diventerà un film nel 1950 ( Anna prendi il fucile ), con Betty Hutton protagonista. Del 1949 è Miss Liberty , musical patriottico su testo di Robert Sherwood; del 1950 Call Me, Madam e del 1962 Mr President , ancora su motivi di politica interna. Russo, ebreo e povero, Irving Berlin è il tipico esempio di immigrato che, partendo dal nulla, arriva in cima alla scala del successo, diventando fra l’altro più `americano’ (nello spirito, nelle abitudini, nell’attaccamento alla nuova patria) degli americani di lunga data. Da notare, a proposito della sua scalata ai vertici di Tin Pan Alley (il quartiere degli editori di canzoni) e di Broadway, il fatto che Irving Berlin, pur avendo come si suol dire la musica nel sangue, non imparò mai a leggere le note, costretto per di più a suonare il pianoforte con un solo dito. Nel suo teatro musicale egli afferma uno stile che, come nelle canzoni, concilia la memoria della ballata tradizionale americana con i ritmi del jazz; il suo talento di melodista fa il resto, imponendolo come uno dei più fortunati e rappresentati compositori dell’intera storia di Broadway.

Bolzano

Inizialmente il Carrozzone, trasformatosi in teatro stabile, mantiene il proprio nome, quasi a voler sottolineare l’intenzione di non voler rinunciare alla propria poetica teatrale, nonostante la svolta segnata dalla sedentarietà. Gli anni che vanno dal 1950 al 1966, sono caratterizzati dalla direzione artistica del Teatro Stabile di Bolzano dello stesso Piccoli, che cerca di mantenersi fedele a una linea produttiva non commerciale, capace di coinvolgere il pubblico attraverso la rivisitazione dei classici e dei grandi autori stranieri e italiani ( Miles gloriosus di Plauto, 1950-51; Medea di Euripide, 1950-51; Zio Vanja di Cechov, Il ballo dei ladri di Anouilh 1952-53; La signora dalle camelie di A. Dumas, 1955-56; L’annuncio a Maria di Claudel 1959-60; Le mani sporche di Sartre, 1962-63, fra gli altri, oltre a un’ampia rivisitazione della produzione drammatica di Goldoni e di Pirandello). Un periodo di grande precarietà, testimoniato anche dall’assenza di materiale documentario relativo alle produzioni e alle diverse attività del teatro. Gli succedono alla guida del teatro due attori importanti quali Mario Ricci (1966-67) e Renzo Giovampietro (1967-68), e l’attore e regista genovese Pietro Privitera (1968-69): sono anni di grande instabilità istituzionale, che si riflettono sensibilmente nelle linee progettuali delle provvisorie direzioni artistiche. Con Scaparro (1969-75) si defininsce progressivamente una nuova politica culturale dello stabile. Una nuova sala si affianca al Teatro Comunale di Gries (sede provvisoria del teatro sin dalla sua fondazione) e l’attività produttiva viene rilanciata (Cosa dirà la gente di Feydeau , regia di M. Scaccia, 1969-70; La Lena di Ariosto, regia di Scaparro, 1971-72; Amleto , 1972-73, fra gli altri). Alessandro Fersen guida il teatro alle soglie degli anni ’80, tentando di travasare nell’istiuzione pubblica la sperimentazione espressiva del suo laboratorio romano. Difficoltà finanziarie tuttavia, compromettono l’esito del tentativo (fra le produzioni di questi anni: Leviathan , 1975-76; Brecht 39 , 1975-76; Leonce e Lena , 1977-78). Sfiorata la chiusura nel 1979-80, lo Stabile sopravvive e sotto la direzione artistica di Marco Bernardi (1980), amplia notevolmente gli orizzonti delle sue produzioni: da un rinnovato impegno nell’accostamento dei classici, soprattutto attraverso Shakespeare (Romeo e Giulietta , 1980-81; Pene d’amor perdute, 1982-83; Il Sogno di una notte di mezza estate, 1983-84), a un ciclo di produzioni sul Settecento (L’impresario delle Smirne , 1984-85; Arlecchino educato dall’amore ; 1987-88; Il barbiere di Siviglia di Beaumarchais, 1988-89), al confronto diretto fra i linguaggi del cinema e del teatro (Qualcuno volò sul nido del cuculo , da K. Kesey, 1985-86; Anni di piombo di M. von Trotta, 1988-89), all’attenzione per l’attualità di Ruzante (I dialoghi , 1991), oltre che alla rivisitazione di Thomas Bernhard.

Bernanos

Intellettuale cattolico impegnato socialmente e politicamente, Georges Bernanos entra giovanissimo nel giornalismo – carriera che non abbandonerà mai definitivamente – e esordisce come romanziere, nel 1926 in modo clamoroso con Sotto il sole di Satana , cui fece seguire molti anni dopo una sorta di seguito, Nuova storia di Mouchette (1937). Ma il suo capolavoro rimane Diario di un curato di campagna (1935), che ha avuto, tra l’altro, due versioni cinematografiche (Bresson e Pialat). Per il teatro è autore di un solo testo ma di grande valore, Dialoghi delle Carmelitane (Dialogues des carmélites). Si trattava, in origine, di dialoghi per un film ideato da R.P. Brüchberger e P. Agostini sulla base di un racconto di Gertrud von Le Fort, L’ultima al patibolo (Die Letzte am Schafott). Completati nel 1948, i dialoghi saranno rifiutati dal cinema – almeno in un primo momento – ma pubblicati nel 1949 da Albert Béguin; otterranno un grande successo a teatro. Considerati da parte della critica il capolavoro di Georges Bernanos, i Dialoghi appaiono dominati dalla figura di suor Blanche de la Force. Essere fragile e di viva sensibilità, spinta da una temerarietà cieca cui si sovrappongono paure insane, suor Blanche costituisce forse il più alto esempio di analisi psicologica dell’opera di Georges Bernanos. Ma questo personaggio appare anche portatore di alcune istanze simboliche, vere e proprie ossessioni per l’autore, come l’affrontarsi di redenzione e caduta, di fede e dubbio, il trionfo della grazia sulla paura. Infine, l’esempio di Blanche rappresenta sul piano politico una certa visione della storia: il risveglio dell’onore di fronte agli abusi dei rivoluzionari. Emerge in questo luogo l’ideologia monarchica di B., la sua convinzione che elidere i privilegi di nascita implichi di rimando l’indebolirsi dei valori sociali e religiosi. I Dialoghi conobbero nel 1957 una versione musicale ad opera di F. Poulenc, e nel 1960 una cinematografica a cura di Brüchberger e Agostini, cui si deve il progetto originario: tuttavia, spogliato del suo significato spirituale per interessarsi essenzialmente agli aspetti storici, il testo di B. non sembra emergere pienamente da questo trattamento per il grande schermo. Tre sono state in Italia le realizzazioni teatrali: nel 1952 quella diretta da Orazio Costa, nel 1988 quella di Luca Ronconi e nel 1995 quella di Fabio Battistini.

Bolognini

Capofila della corrente `letteraria’ del cinema italiano del dopoguerra, B. unì sempre nelle sue opere un formalismo stilistico a una ricerca di temi intimistici se non propriamente psicologici. La sua prima opera di rilievo è Gli innamorati (1956), film ispirato al neorealismo, ma il lavoro che lo porta alla ribalta è La notte brava (1959) a cui seguono tra gli altri: Una giornata balorda (1960) con la sceneggiatura di Pasolini, La corruzione (1963) da Moravia, Metello (1970) e Per le antiche scale (1975) tratto da Tobino. Dal ’64 con Tosca di Puccini, B. comincia a occuparsi di regie di opere liriche. L’anno dopo all’Opera di Roma dirige l’allestimento dell’ Ernani di Verdi e nel ’75, al Teatro Massimo di Palermo, Norma di Bellini. Più di recente è approdato al teatro, dove per Siciliateatro ha curato la regia di Così è (se vi pare) (1994) e Il berretto a sonagli (1992) di Pirandello.

Brissoni

Ancor prima di conseguire il diploma all’Accademia d’arte drammatica, collaborò con i maggiori registi europei, come Copeau e Dullin. Il suo lavoro d’esordio fu una riduzione da Gozzi del Re cervo e, nel 1939, con N. Piccolomini fondò una compagnia esclusivamente di giovani, chiamata Il carro dell’Orsa minore. Tra i suoi spettacoli vanno ricordati Quel signore che venne a pranzo di Kaufman e Hart (1949, compagnia Pagnani-Cervi), L’alba dell’ultima sera di Bacchelli (Venezia 1949), Le Trachinie di Sofocle (Vicenza 1952). Si dedicò anche al teatro per ragazzi.

Bosetti

Nato sopra l’allora Teatro Duse fatto costruire dal nonno impresario, Giulio Bosetti si iscrive a Scienze politiche e all’Accademia d’arte drammatica ‘S. D’Amico’, scegliendo in seguito la carriera teatrale. L’esordio avviene nella stagione 1950-51 con La Moscheta di Ruzante, con la regia di G. De Bosio. Dopo una breve esperienza al Piccolo Teatro di Milano con Strehler, affianca Gassman nell’ Oreste di Alfieri, quindi si sposta tra gli stabili di Genova, Trieste (che dirigerà dal 1967 per cinque anni) e Torino. Forma la prima compagnia nel ’64 per Le notti bianche da Dostoevskij con G. Lazzarini, debutta come regista teatrale nel 1970 ( Zio Vanja di Cechov) e allestisce opere liriche (Lucia di Lammermoor , Tokyo, 1974). Forma quindi la Cooperativa Teatro Mobile e, negli anni 1980, la Compagnia Giulio Bosetti. Tra gli autori interpretati, Brecht (Un uomo è un uomo), Sofocle (Edipo Re), Shakespeare (Vita e morte di Re Giovanni ), Pirandello. Ha diretto lo Stabile del Veneto ‘Carlo Goldoni’ dal 1992 fino all’estate del ’97. È stato attore goldoniano in Le massere, La bottega del caffé e Il bugiardo (con regia di G. De Bosio), La famiglia dell’antiquario (regia di M. Sciaccaluga); dopo aver affrontato Molière in Don Giovanni, Tartufo e L’avaro è stato quindi protagonista del Malato immaginario con la regia di J. Lassalle; ha inoltre interpretato Spettri di Ibsen e Se i no xe mati no li volemo di G. Rocca, di cui ha curato anche la regia, così come per Le ultime lune di F. Bordon, ritorno e addio al teatro di M. Mastroianni. Dalla stagione 1997-1998 è direttore artistico del Teatro Carcano di Milano, per il quale ha progettato la versione teatrale, assieme a Tullio Kezich, di Un amore di Buzzati, mentre si appresta a interpretare Aspettando Godot di Beckett. Se la prestanza giovanile l’ha dirottato sui classici, la maturità ha favorito una naturale predisposizione ai contemporanei, da Ionesco (Il re muore, La lezione e un insuperato Béranger di Assassino senza movente) a Kafka (Il processo) a Svevo (La coscienza di Zeno e Zeno o la cura del fumo) e soprattutto all’amato Pirandello del quale era stato il Figlio nei Sei personaggi in cerca d’autore (1953, regia G. De Bosio), al Teatro dell’Università di Padova. Dell’autore agrigentino, per tappe successive affronta Ma non è una cosa seria (1957, Stabile di Trieste), Vestire gli ignudi (Taormina, 1958), La morsa (con Giulia Lazzarini e Antonio Salines, 1966, Teatro Club di Catania) e finalmente Romei Daddi di Non si sa come e il Martino Lori di Tutto per bene , un’interpretazione giocata sui mezzi toni dell’introversione senza nessuna concessione all’effetto facile, banco di prova dopo alcune sofferte maturate riprese dei Sei personaggi (ora nel ruolo del Padre) per l’ Enrico IV (1989) regia M. Sciaccaluga.

Balla

Il suo primo intervento teatrale fu l’azione scenica Macchina tipografica (1914), col fondale e le quinte che riproducevano la scritta ‘tipografia’ e i dodici personaggi-macchine che con gesti meccanici, associati a rumori, celebravano le teorie futuriste sulla civiltà delle macchine, la parola timbrica, il suono puro. Miti che Giacomo Balla sembrò abbandonare nel progetto – mai realizzato – ispirato alla natura Mimica sinottica (1915), dove prevedeva una concertazione di suoni ispirati al mondo naturale e ballerine nei costumi della ‘Donna fiore’, ‘Donna cielo’ e ‘Valle’, sullo sfondo di un paesaggio rappresentato da ritmi curvilinei. Seguirono le scenografie per Feu d’artifice di Stravinskij allestito da Diaghilev (Roma, Teatro Costanzi 1917), dove l’azione non era affidata ai danzatori, ma a ritmi di luci colorate provenienti dai vari punti della scena, costituita da un paesaggio di solidi geometrici.

Baccarini

Ha fatto parte della squadra di ginnastica ritmica italiana, ha debuttato in teatro al festival di Spoleto e fatto parte del Corpo di ballo della Rai; in televisione ha partecipato alla trasmissione Passione mia con Monica Vitti (1985) e, nello stesso anno, Pronto, chi gioca con Enrica Bonaccorti: qui è ballerina solista. Nel 1990 è Cassie in A Chorus Line , nella versione italiana diretta da S. Marconi che percorre con immenso successo due stagioni. Nel ’92, sempre per la Compagnia della Rancia e con la regia di Marconi, è protagonista de Il giorno della tartaruga , revival della commedia musicale di Garinei e Giovannini con D. Scala. La B. è Anita, in inglese, nel tour europeo di West Side Story (1992-93). Nel 1993-94 è Sally Bowles in Cabaret , edizione italiana diretta da Marconi. Poi Gigi , nel ruolo del titolo, nel musical di Lerner e Loewe, versione italiana con la regia di F. Crivelli. Di nuovo Cassie in A Chorus Line , in inglese e in Inghilterra, con la regia di Baayork Lee nel ’97. Nel ’98 è ancora una volta Cassie nel trionfale revival di A Chorus Line in Italia.

Blanc

Erica Blanc inizia la sua carriera recitando soprattutto per il cinema e la televisione, lavorando con Catherine Spaak, Jean-Louis Trintignant, Carol Baker, Alberto Sordi, Nino Manfredi, Lou Castel, Claude Rich. Ha partecipato complessivamente a una sessantina di film western e a diversi film gialli e di spionaggio (ricordiamo La più grande rapina del West , regia di Maurizio Lucidi; Django spara per primo di Alberto de Martino; Il terzo occhio di Mino Guerrini; Così dolce così perversa di Umberto Lenzi; Summit di Giorgio Bontempi; Riusciranno i nostri eroi a ritrovare il loro amico disperso in Africa? di Ettore Scola; Con quale amore con quanto amore di Pasquale Festa Campanile). In teatro lavora inizialmente con Strehler in Le balcon di J. Genet del 1976 e con L. Squarzina in Il volpone di Ben Jonson del 1977. Nel 1978 conosce Alberto Lionello – suo futuro conpagno nella vita e sulla scena – con il quale fonda una compagnia di grande successo popolare e lavora fino al 1994 (anno della morte di Lionello), mettendo in scena, tra gli altri, Il piacere dell’onestà di Pirandello (1978); Serata d’onore di Bernard Slade, regia di A. Lionello (1979-80); Tramonto di R. Simoni, regia di L. Squarzina (1981-82); Il nuovo testamento di S. Guitry, regia di L. Puggelli (1981-82); Divorziamo! di V. Sardou, regia di M. Ferrero (1984-85); Il giuoco delle parti di Pirandello, regia di E. Marcucci (1986); Il prigioniero della seconda strada di N. Simon, regia di M. Parodi (1988-89); Non si può mai sapere di A. Roussin, regia di M. Parodi (1989-90); Il mercante di Venezia di Shakespeare, regia di L. Squarzina (1991-92); Mogli, mariti, amanti, di S. Guitry, regia di A. Lionello (1992-93). Nel 1996 lavora con Giovanni Pampiglione in Romolo il grande di F. Dürrenmatt e recita con Marcello Mastroianni nella sua ultima commedia Le ultime lune .

Boven

Formatasi con Jean Brabants, Viktor Govsky e Asaf Messerer, Arlette van Boven entra nel Balletto Reale delle Fiandre nel 1960, per passare al Ballet du XXème siècle (dal 1961 al 1965), al Ballet for All (dal 1965 al 1967) e al Western Ballet Theatre (dal 1967 al 1969). Infine si unisce al Netherlands Dans Theater dove danza dal 1969 al 1981, partecipando a creazioni di H. Van Manen, J. Kylián, Glen Tetley. Dal 1982 al 1990 ha diretto la compagnia giovanile del Nederlands Dans Theater, il Nederlands Dans Theater 2. Dal 1994 è invece responsabile artistico del Nederlands Dans Theater 3, il piccolo gruppo che raccoglie quattro danzatori di età matura.

Brown

Ex marine, divenuto anarchico, trasse da un’esperienza in un carcere militare di Okinawa, vissuta negli anni ’50, il testo La prigione (The Brig), «un’idea per il teatro o per il cinema» da cui partì nel 1963 l’ultimo spettacolo allestito a New York dal Living Theatre prima del lungo esilio europeo. Era una sorta di minuzioso documentario sugli atti quotidiani di brutalità e di sopraffazione attraverso i quali venivano puniti, spersonalizzandoli, i militari colpevoli di infrazioni. Nella messinscena del Living, la prigione diventava un microcosmo di una società prepotente e soffocante.

Barra

Peppe Barra nasce per caso a Roma, nel ’44. Ma, poi, davvero non è casuale il suo approdo al teatro, giacché ad esso sembra naturalmente destinato da quella faccia incredibilmente marcata ed espressiva, un po’ da Pulcinella e un po’ da `mamo’ della Commedia dell’Arte. Comincia prestissimo con Zietta Liù, famosa maestra di recitazione, prima come bambino attore e quindi come insegnante. Dopo alcune esperienze nell’ambito del teatro di ricerca al fianco di Gennaro Vitiello, risulta decisivo, per lui, l’incontro con Roberto De Simone. È tra i fondatori della Nuova Compagnia di Canto Popolare, con cui – affidandosi, fra l’altro, a una voce insieme potente e capace di raffinatissime sfumature – miete successi in ogni parte del mondo. Poi, la consacrazione definitiva con La gatta Cenerentola e, dopo la partecipazione ad altri quattro spettacoli di De Simone, la fondazione, nel 1982, di una propria compagnia, con la quale – accanto alla madre Concetta – s’impone da Parigi a Bombay. Intanto è Sancio nel – Don Chisciotte – di Scaparro. E nel ’93, con il suo primo disco da solista, `Mo’ vene’, vince subito il premio Tenco. Quindi, dopo la scomparsa di Concetta, alla quale dedica lo spettacolo-concerto del ’93 ( Ricordi d’amore ), prosegue nel teatro da solo, negli ultimi anni affiancandosi ad altri protagonisti della scena napoletana come Angela Pagano, Enzo Cannavale e Gianfelice Imparato. Fra i tanti premi attribuiti a Peppe, spicca la Maschera d’oro dell’Idi per il 1981.

Bignens

Max Bignens inizia come apprendista allo Stadttheater di Zurigo, studiando contemporaneamente alla Scuola d’arti e mestieri con Pierre Gauchat e Max Gubler. Dal 1932 si avvicina alla scenografia, frequentando l’Accademia di belle arti di Monaco e di Firenze, lavorando poi allo Stadttheater di Berna (Santa Giovanna di Shaw, 1942; Faust I di Goethe, 1944; Yerma di García Lorca, 1945) e di Basilea (Boris Godunov di Musorgskij, 1948; Il conte di Lussemburgo di Léhar, 1949; I racconti di Hoffmann di Offenbach, 1950). Espone con successo bozzetti e modelli nelle grandi capitali internazionali (Roma, Zurigo, Berlino, Parigi, Vienna ), e lavora anche per il Teatro alla Scala, collaborando con Lavelli per L’heure espagnole, L’enfant et les sortilèges di Ravel (1975) e Madama Butterfly (1978).

Blanchar

Il temperamento istrionico di Pierre Blanchar lo rende un eccellente interprete del teatro brillante (recita testi di Achard, Pagnol, Salacrou, Maeterlinck, Bernstein, Obey), ma ciò non gli impedisce di cimentarsi anche nella tragedia (Edipo re, 1947). Nel 1935, al festival cinematografico di Venezia, ha vinto la coppa Volpi per Delitto e castigo di P. Chenal che l’ha diretto l’anno successivo in Fu Mattia Pascal di Pirandello con Irma Gramatica e Isa Miranda.