Craig

Figlio di una delle più grandi attrici inglesi di tutti i tempi, Ellen Terry, Edward Gordon Craig è uno dei maggiori innovatori della scena del Novecento, l’unico a provenire direttamente dalle tavole del palcoscenico. Recita, infatti, nella compagnia della madre e del più grande attore della sua epoca, Henry Irving, fin da bambino; ma presto rinuncia a calcare le scene, persuaso di non avere le qualità per diventare un grande interprete, e si trasforma prima in direttore di scena e poi in scenografo, funzione nella quale ha modo di sviluppare la sua formazione artistica e la sua abilità di disegnatore innamorato di Leonardo e di Michelangelo, particolarmente sensibile alla funzione del chiaroscuro e della luce, nel creare spazi che traspongano visivamente gli stati d’animo dei personaggi e l’intimo messaggio del testo. Del tutto indifferente al naturalismo, nemico di un attore schiavo dei giochi della fisionomia, ipotizza all’interno di una scena ridotta all’essenziale, ma arricchita dal movimento delle masse architettoniche, un attore supermarionetta che, come nell’antica Grecia, abbia il volto coperto da una maschera. Critico nei confronti del naturalismo, Edward Gordon Craig lo è anche nei confronti della subalternità del regista nei confronti del testo: a lui e solo a lui, infatti, spetta la visualizzazione di una scrittura scenica che comprende linea, colore, parola e ritmo. Concetti che verranno ribaditi, in chiave simbolista, nella sua opera teorica L’arte del teatro (1905) e più tardi nei modelli di scena, che sembrano riprendere alcune idee care al futurismo. Idee troppo all’avanguardia per i tempi, che lo spingono ad accettare di curare l’allestimento di Venezia salvata di Otway per Otto Brahm (1904) e, nel 1906, quello di Rosmersholm di Ibsen per Eleonora Duse, con scene che non si sposano alla dimensione dei teatri tanto che l’attrice, con un colpo di mano, le fa adattare. Altrettanto difficile la collaborazione con Stanislavskij per l’ Amleto (1911): molte, avveniristiche concezioni di C. vengono bocciate, costringendolo all’abbandono quando ormai ha impostato l’intera messinscena. L’ultimo, eccentrico C. è il docente che all’Accademia di belle arti di Firenze insegna ai giovani un teatro di puro movimento: `screen’, scene, in grado di definire con il loro diverso orientamento la luce e la musica, per un teatro senza attori.