Marcelino

Formatosi con Marika Besobrasova, nel 1985 entra a far parte dello Stuttgart Ballet, del quale è nominato primo ballerino nel 1989. L’esotica bellezza e la sensibilità interpretativa lo impongono nei ruoli di Otello, nell’omonimo balletto di John Neumeier, Sarastro nel Flauto magico di Béjart, L’Eterno in Song of the Earth di Kenneth MacMillan. È protagonista dei classici di John Cranko ( Onegin ; Romeo e Giulietta ) e ospite di compagnie internazionali, partecipando tra l’altro alla creazione di Sebastian di Robert North (musica di Giancarlo Menotti, festival di Spoleto 1988); nel 1995 lascia lo Stuttgart Ballet e si dedica alla carriera freelance.

Matarazzo

Raffaello Matarazzo iniziò la sua carriera come giornalista e commediografo (Simmetria , 1935; La moglie di papà , 1939; Cena al Ritz , 1962). Incomincia a lavorare per il cinema come segretario di edizione presso la Cines e nel 1931 come assistente di Camerini per Figaro e la sua gran giornata , oltre che regista di documentari. Diresse il suo primo film, Treno popolare , nel 1933, tutto girato in esterni, ma, dato lo scarso successo commerciale ottenuto, si dedicò in seguito a produzioni meno impegnative, incentrate sulla partecipazione di attori famosi (Il marchese di Ruvolito con E. De Filippo, 1939). Dopo la guerra, in clima di neorealismo imperante, si è specializzato in una serie di film popolari, con la coppia Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson; di genere lacrimoso ma drammaticamente strutturati questi film non ebbero il favore della critica di sinistra, ma ebbero comunque un enorme succeso: Catene , 1949; Tormento , 1950; I figli di nessuno , 1951; ecc.).

Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa

Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa sono una compagnia fondata nel 1986 da Marco Isidori (regista drammatico) e Daniela Dal Cin (scenografa e costumista) con Maria Luisa Abate (attrice), la Compagnia Marcido è tra le più interessanti nel panorama del teatro italiano. Debutta nello stesso anno al Festival Premio Narni Opere Prima, con uno studio su Les Bonnes di Jean Genet che si evolverà successivamente nello spettacolo Le serve , imponendosi subito all’attenzione della critica e vincendo il premio Giovin Italia. La compagnia si dedica poi a un lavoro sul classicismo e sulla tragedia attica che porta a una serie di elaborazioni e riscritture dei testi classici: In una giostra: l’Agamennone da Eschilo che ottiene il premio Opera d’attore nell’88; Musica per una Fedra moderna (1982) e Spettacolo (1993), parti di un unico progetto che chiude l’esperienza sulla tragedia classica. Con Palcoscenico e Innio nel 1991 la Marcido vince il premio Speciale Ubu. Con Il cielo in una stanza (1994) si apre una fase decisiva per lo sviluppo della potenzialità drammaturgica della compagnia che la vedrà impegnata con una scrittura testuale autarchica nella messa in scena di Gengis Khan poema drammatico di Marco Isidori. Produzioni successive sono state L’Isi fa Pinocchio ma sfar lo mondo desierebbe in ver (1996) e il particolarissimo esperimento realizzato con gli allievi del suo laboratorio Happy Days in Marcido’s Field (1997). Vissuti a lungo isolati in una comunità artistica e familiare i Marcido, ritenuti da alcuni quasi un gruppo settario, hanno come nucleo essenziale del loro lavoro l’eliminazione dello spazio tra pubblico e attori, tra platea e palcoscenico, tra scena e costumi. Per il loro Agamennone avevano costruito una giostra rutilante di ferro e legno che conteneva Atridi e spettatori, mentre il costume per la Fedra di Seneca era invece una diabolica macchina scenica che costringeva l’attore in posture sadomaso tra mostruosità e magia, orrore e caricatura.

I cardini della loro ricerca sono sempre stati la Parola, il Significato, la Significazione. Prendendo spunto dalla via favolistica, ridotta esclusivamente a schema esteriore, assume importanza fondamentale il suono della parola stessa e la figura dell’attore passa in secondo piano, segnando così la distruzione di un teatro tradizionale. Elaborati come partiture musicali, tutti gli spettacoli della Marcido ricercano dunque la teatralità insita nella parola stessa e attraverso la sua sonorità si scopre l’intento del loro autore. Nella loro ultima produzione, Happy Days in Marcido’s Field , spettacolo fortemente rituale, si assiste a una riformulazione del teatro moderno. I corpi nudi degli attori, appesi come carne di fronte al pubblico a fare da sipario, simulacri solo di se stessi, raccontano il mondo quale noi lo vediamo, come noi lo subiamo. Un lavoro assolutamente sui generis quello di questa compagnia, impegnata a contrastare l’omologazione e a rifiutare ogni subordinazione culturale, nel negare e insieme fare teatro, fuori dal `semplice teatro’. La loro ultima produzione, Una canzone d’amore (1998), presentata in anteprima nazionale al festival di Santarcangelo, si ispira al mito di Prometeo. Incatenato in una sfera-gabbia d’acciaio, Marco Isidori mette in scena la tragedia dell’eroe come `necessità del teatro’, un’ossessione costituita dal bisogno estremo di trovare musicalità all’interno della struttura semantica della parola. Uno spettacolo di forte impatto visivo e sonoro, come del resto tutti i lavori della compagnia.

Millo

Achille Millo studia con Wanda Capodaglio e debutta a Roma nel 1945 con la compagnia De Sica-Gioi-Stoppa in Catene di A.L. Martin, diretto da E. Giannini. Prima di formare una propria compagine nel 1950, la Scelzo-Ninchi-Porelli-Ninchi-M., lavora con diverse formazioni primarie e collabora con Luchino Visconti come assistente alla regia. Nel 1954 è chiamato al Piccolo Teatro da G. Strehler per recitare la parte di Florindo nell’ Arlecchino servitore di due padroni . Torna a Roma nel 1957 per inaugurare il Teatro dei Servi con De Pretore Vincenzo , scritto appositamente per lui da Eduardo De Filippo, il quale nel 1959 lo chiama a interpretare Pulcinella in Pulcinella che va in cerca della sua fortuna per Napoli di P. Altavilla. Definitivamente affermato, negli anni ’60 e ’70 partecipa come protagonista a importanti messe in scena: Liolà di L. Pirandello, regia di V. De Sica; L’uomo, la bestia e la virtù di L. Pirandello, regia di P. Giuranna. Nel 1975 torna al Piccolo per Il campiello di Goldoni con la regia di Strelher. Nel 1970 cura la regia di una fortunata rivisitazione del repertorio vivianesco in Io Raffaele Viviani, che riprenderà più volte nell’arco di un ventennio. M. ha dedicato parte considerevole della sua attività di interprete alla poesia. Ha partecipato come attore e regista a numerose trasmissioni radiotelevisive.

Magni

Per il grande schermo Luigi Magni ha realizzato una serie di film in costume, significativi per la ricostruzione dell’ambiente storico romano (Nell’anno del Signore, 1970; In nome del papa re, 1977; In nome del popolo sovrano, 1990). E anche nella sua produzione per il teatro ha preso in considerazione, come terreno privilegiato, i caratteri tipici di Roma e della sua gente. È stato autore di alcune commedie di genere brillante e la sua collaborazione con Garinei e Giovannini, P. Festa Campanile e M. Franciosa ha dato vita a una serie di commedie musicali rimasti celebri nel tempo. Tra questi si ricordano Rugantino e Ciao Rudy. Accanto alla produzione leggera, e spesso inserita al suo interno, nella scrittura di M. è comunque presente un’analisi della condizione e dei problemi delle classi subalterne. Questo aspetto conferisce al suo teatro una certa e molto particolare vena malinconica. Altri titoli: Il giorno della tartaruga (1964), La commedia di Gaetanaccio (1978), La santa sulla scopa (1986), I sette re di Roma (1988).

Marceau

Allievo di Charles Dullin e successivamente di Etienne Decroux, Marcel Marceau è da considerare il rinnovatore della pantomima di stile. La sua prima apparizione risale al 1947 nella pantomima Baptiste , con la compagnia Barrault-Renault. Poco dopo ha fondato una sua compagnia facendosi apprezzare in Mort avant l’aube , lavoro d’ispirazione kafkiana. La fama tuttavia doveva raggiungerla con la creazione del personaggio di Bip. Figura lunare, Bip, protagonista di brevi brani, alcuni rimasti nell’immaginario popolare (il cacciatore di farfalle, il fabbricante di maschere), ha portato sulla scena i riflessi della vita quotidiana. Fortemente segnato dall’insegnamento di Decroux e dalla straordinaria performance di Barrault nel film Les enfants du paradis , M. ha tentato di dare nel nostro tempo alla pantomima un senso e un potere che in Occidente non ha mai conosciuto. Genio solitario, ha portato i suoi spettacoli in lunghe tournée in tutto il mondo: hanno fatto storia, tra gli altri, Il mantello (1951) e Un Pierrot di Montmartre (1952). Nella sua avventura artistica non ha avuto che compagni di passaggio.

Micheluzzi

Tonino Micheluzzi entrò nel 1940 nella compagnia del padre Carlo, dove rimase fino al 1957, con una breve incursione nel teatro in lingua italiana del 1944. Fu autore di commedie ( Si salvi chi può , rappresentata nel 1954, e Buongiorno, allegria! nel 1955). Ha partecipato anche ad alcuni film e a qualche spettacolo del Festival veneziano. Le sue doti di attore brillante lo portano, dal 1957-58, a recitare in rivista e nella stagione d’operetta triestina.

Moreau

Dopo gli studi all’Accademia d’arte drammatica, Jeanne Moreau debutta nel ruolo di Madeleine ne La Terrasse de Midi di Clavel diretta da J. Vilar in occasione del primo Festival di Avignone nel 1947. In seguito viene scritturata dalla Comédie-Française, che lascia tuttavia nel 1952 per seguire Vilar nel progetto del TNP-Théâtre National Populaire. Per il grande regista appare nuovamente al festival di Avignone nel ruolo di Chimene accanto a Gérard Philipe in quella che è stata una delle più acclamate messinscena del Cid di Corneille, e ne Il principe di Homburg di Kleist. A metà degli anni ’50, lascia il TNP per altre esperienze sceniche: è la sfinge de La Machine Infernale di Cocteau (1954) e Margaret ne La gatta sul tetto che scotta (1956) diretta da P. Brook. La sua bellezza sensuale e melanconica, unita a una notevole carica espressiva, la rendono anche celebre attrice cinematografica: il primo film importante è Ascensore per il patibolo di L. Malle (1957), cui segue Les amants (1958). Lavora in seguito con i più affermati registi quali Antonioni ( La notte ), Truffaut (Jules e Jim, La sposa in ner), Welles ( Il processo ), Buñuel ( Diario di una cameriera ), Fassbinder ( Querelle de Brest ), Anghelopoulos ( Il passo sospeso della cicogna ), Besson (Nikita). Nel 1960 ottiene la Palma d’oro a Cannes come migliore attrice per Moderato cantabile di P. Brook. Nel 1975 si cimenta con la regia cinematografica dirigendo il film Lumière . Durante gli anni ’80 ottiene due veri e propri trionfi teatrali con Le récit de la servante Zerline diretto da K. M. Gruber e con La Celestina firmato da A. Vitez, che la confermano attrice intensa e moderna, dalle scelte coraggiose e sempre di qualità.

Milloss

I suoi studi di danza sistematicamente ebbero inizio alla scuola classica di Viktor Gsovskij a Berlino nel 1925 e con Rudolf Laban per il moderno, ma c’è poi stato anche un avvicinamento alla didattica accademica di Enrico Cecchetti dal 1927 al ’28. Molto articolata la sua preparazione, sia letteraria sia teatrale. L’esordio come danzatore avveniva nel 1928; nel ’32 le sue prime prove nella coreografia e i primi debutti nei teatri di Augsburg e Düsseldorf, al Teatro dell’Opera di Budapest e, nel 1937, al Teatro San Carlo di Napoli con Enea di Roussel. Scelta l’Italia come patria elettiva, M. era nominato coreografo stabile all’Opera di Roma dal 1938 al ’45 e dal 1966 al ’69 e vi tornava nella stagione 1979-80. Intensa la sua collaborazione con la Scala di Milano a partire dal 1942 (stagione autunnale, con quello che doveva poi risultare il suo capolavoro: Il mandarino meraviglioso di Bartók). Alla Scala, sino al 1977, è stato coreografo ospite e anche direttore del ballo. Memorabili le due stagioni (1958 e ’59) al Teatro Massimo di Palermo, con una fioritura di coreografie interessanti, molto varie, sia per le opere liriche come in alcuni balletti del più valido repertorio moderno. Così M. ha lavorato per il Comunale di Bologna, La Fenice di Venezia, il Comunale di Firenze con una fitta collana di creazioni dal 1939. Caratteristica del grande lavoro di M. è stata la collaborazione con musicisti e pittori italiani, memore certamente dell’evoluzione artistica dettata dai Ballets Russes di Diaghilev che si affermarono dal 1909 al 1929. L’attività ballettistica si è aggirata intorno a oltre 150 composizioni coreografiche, senza contare gli interventi nelle opere liriche e le regie ancora in campo operistico. Notevole anche l’attività all’estero: Buenos Aires, Rio de Janeiro, San Paolo, Parigi, Stoccolma, l’Olanda, varie città della Germania, Vienna ove è stato direttore di ballo dal 1971 al ’74 e coreografo principale. Alcuni titoli sono da ricordare nella sua vastissima produzione: Le creature di Prometeo (Beethoven), Il figliuol prodigo (Prokof’ev), La giara (Casella), il citato Mandarino meraviglioso , che va oltre un puro espressionismo, tendenza alla quale M. è solitamente associato, Ritratto di Don Chisciotte e La follia di Orlando (Petrassi), Marsia (Dallapiccola), Terzili Katicza (Varèse), Ballata senza musica , La soglia del tempo (Bartók), Estro arguto (Prokof’ev), Mirandolina (Bucchi), Wandlungen (Schönberg), Déserts (Varèse), Estri (Petrassi), Per aspera (Ligeti), Don Juan (Gluck), L’uccello di fuoco (Stravinskij). Numerose le regie operistiche: a lui si deve il primo allestimento italiano del Wozzeck di Berg (Opera di Roma, 1942). Favorito da una estesa cultura letteraria, filosofica, teatrale, M. si è sempre battuto per l’autonomia della danza come forma d’arte; per questo, per la serietà dei propositi e la validità dei risultati egli occupa un primo posto nel panorama del balletto moderno e, particolarmente, in quello italiano. Soprattutto nell’ultimo dopoguerra M. ha provveduto alla rinascita della danza nei nostri teatri, oltre ad aver individuato tra i numerosi ballerini che hanno lavorato con lui personalità che ha potuto formare, plasmandoli secondo le più rigorose esigenze con il gusto e la fantasia di una moderna scuola coreografica. Numerosi i riconoscimenti e corposa la pubblicistica sulla sua opera, il cui ultimo esito è il volume Milloss, un maestro della coreografia tra espressionismo e classicità di Patrizia Veroli, 1996).

Morris

Il suo primo approccio alla danza avviene attraverso il folklore ispanico, sotto l’influsso degli spettacoli di José Greco. Entra quindi a far parte di un gruppo semiprofessionale di danze balcaniche e si esibisce nelle compagnie di Eliot Feld, Lar Lubovitch e Laura Dean. Collabora anche con Twyla Tharp per la versione cinematografica di Hair (1979). Nel 1980 debutta con il proprio gruppo presso lo studio newyorkese di Cunningham, facendosi notare per la freschezza e musicalità del segno coreografico neo-moderno e per l’ecumenismo delle preferenze musicali, che gli farà scegliere poi Brahms, Vivaldi ( Gloria , 1985) le canzoni country, il rock delle Violent Femmes ( Lovey , 1985), e le composizioni di Yoko Ono ( Dogtown ). Si distingue anche per le tematiche esplicitamente gay e bisex, trovando ispirazione di volta in volta nel wrestling, nello striptease o nell’India con il suo erotismo. Mythologies (1987), trilogia ispirata a Roland Barthes, lo proietta al centro dell’attenzione e gli procura collaborazioni importanti: con John Adams per le coreografie dell’opera contemporanea Nixon in China (1987), con il Joffrey Ballet ( Esteemed Guests , 1986) e con l’American Ballet Theatre ( Drink to Me only with thine Eyes , 1988). Subentra quindi a Béjart, come responsabile della danza, al Théâtre de la Monnaie di Bruxelles (1988), dove crea nel 1990, The Hard Nut , una propria versione fumettistica e provocatoria dello Schiaccianoci ; nello stesso anno fonda con Barishnikov il White Oak Dance Project, piccolo gruppo di danzatori maturi votati alla coreografia contemporanea. Il suo spiccato interesse per la musica barocca, che affronta con ironica maestria compositiva, gli ispira L’Allegro, il Pensieroso, il Moderato su musica di H&aulm;ndel (1988), Dido and Aeneas (1989) di Purcell e, al festival di Edimburgo, Orfeo e Euridice (1996) di Gluck e poi Platée (1997) di Rameau per la Royal Opera House, di cui cura coreografia e regia. Sue anche le coreografie del musical The Capeman di Paul Simon (1998); collabora inoltre con il violoncellista Yo-Yo Ma per la produzione televisiva Falling Down Stairs , su musica di Bach.

Marshall

Formata presso la Juilliard School, dal 1982 si esibisce con il suo gruppo, presentando lavori che sviluppano ciascuno il proprio tema di movimento, senza un vocabolario prefissato, come Arms (1984), il suo brano più noto, Ward (1983), Kiss (1987), Ouverture (1987). Coreografa anche per il Gruppo di Ricerca dell’Opéra di Parigi, per l’Opéra de Lyon ( Central Figure , 1994), il Ballett Frankfurt ( In medias res , 1989) e il Boston Ballet. Collabora con Philip Glass per Les enfants terribles da Cocteau (1996). La sua danza, molto sofisticata, dimostra che l’astrazione, innervata di acuta sensibilità, sa risultare intrinsecamente emozionante.

Musidora

Musa dei surrealisti, che in lei vedono l’emblema della donna moderna, M. – dal nome di un personaggio di Théophile Gautier – diviene celeberrima grazie al serial cinematografico Les Vampires (1915) di Louis Feuillade. Qui interpreta il personaggio di Irma Vep (anagramma di vampire ), la fuorilegge fatale, sensuale e misteriosa. Fasciata nella ormai leggendaria tuta di seta nera che, pur coprendola fino all’attaccatura dei capelli, ne mette però bene in evidenza la bellezza delle forme, M., dagli stupefacenti e espressivi enormi occhi bistrati, crea un tipo di vamp di straordinario successo. Giunge al cinema dopo studi nel campo delle belle arti e della recitazione, e dopo esperienze sceniche diverse: accosta il teatro di prosa, ma soprattutto milita nel musical, calcando il palcoscenico delle Folies Bergère, dove lavora stabilmente con Raimu, e del Ba-Ta-Clan, dove recita accanto a Colette (1912) che diventerà sua grande amica. Nel 1913 la Gaumont gli offre un contratto e M. inizia a lavorare con Feuillade, per il quale interpreta numerosi ruoli cinematografici. Nel secondo serial cinematografico di Feuillade, Judex (1916), anch’esso di grande successo, M. è Diana Monti, avventuriera pericolosa e spregiudicata che opera sotto le vesti di una irreprensibile istitutrice. Nel 1916 M. passa dietro la macchina da presa, adattando e interpretando come protagonista due romanzi di Colette, Minne e La vagabonde (1917), quest’ultimo girato a Roma. Colette intanto scrive per lei l’unico suo soggetto originale per lo schermo, La flamme cachée , che M. dirige e interpreta nel 1918, film purtroppo andato perduto. Instancabile la sua attività di attrice, regista, autrice di testi teatrali (nel 1917, per esempio, scrive e interpreta l’atto unico Le maillot noir , ispirato al personaggio di Irma Vep; nel 1942 realizza l’originale pièce La vie sentimentale de George Sand ), di romanzi (per esempio, Paroxysmes , 1934), poesie e canzoni. Nel 1924 si reca in Spagna dove dirige, su suo soggetto, La tierra de los toros , opera dal pregevole taglio documentaristico. Dal 1946 è funzionario presso la Cinémathèque Française, ente preposto alla conservazione e alla valorizzazione del patrimonio cinematografico francese. Qui si dedica in particolare allo studio e al recupero dell’opera di Feuillade e dirige la sua ultima pellicola, il cortometraggio La magique image (1950).

Marino

Allievo di O. Costa all’Accademia d’arte drammatica di Roma, Umberto Marino si è anche laureato in legge. L’ambientazione dei suoi lavori è di impronta realista e mette in scena i sentimenti, le vicissitudini e le nostalgie della generazione degli attuali quarantenni, soprattutto ex sessantottini. Alcuni titoli: Non aspettando Godot (1978), Un’anomalia ventricolare (1980), Sputo (1986), La stazione e Italia-Germania 4-3 (entrambi del 1987, diventati poi anche film di successo), Accademia (1989).

Maya

Nel 1949 debutta a Madrid con Manolo Caracol, per poi danzare nel Ballet Espanol di Pilar Lopez. Nel 1956 si trasferisce a New York dove si esibisce in numerosi recital e si perfeziona con Alwin Nikolais. Rientrato a Madrid, nel 1974 crea il Trio Madrid con il quale propone Ceremonial , cui seguono Camelanos Naquerar (1977) e Iay Jondo (1978) interpretato dalla nuova compagnia Teatro Gitano Andaluz, trasformata nel 1983 nel Flamenco Mario Maya Danza Teatro con cui prosegue la sua intensa attività produttiva ( Amargo , 1989). Personalità innovativa della danza spagnola, ha efficacemente riadattato il flamenco alle esigenze espressive e drammaturgiche del teatrodanza.

Makarova

Natalia Romanovna Makarova compì gli studi di danza alla Scuola coreografica di Leningrado diplomandosi nel 1959. Entrava subito a far parte dei Balletti del Kirov diventandone una delle più prestigiose rappresentanti sia dal punto di vista tecnico che per la personalità. In questa compagnia fu in tournée in Italia (in particolare all’Arena di Verona) nel 1966 in uno dei ruoli delle Fate di La bella addormentata nel bosco di Cajcovskij-Petipa. Nel 1972, ancora con il Kirov, la M. in tournée a Londra, decise di restare in Occidente e di seguire la carriera di freelance . In questa veste era frequentemente ospite sia dell’American Ballet Theatre come del Royal Ballet di Londra, a partire dal 1972. In quegli anni la M. si distingueva soprattutto in Giselle (nel 1973 al Teatro dell’Opera di Roma ed anche alla Scala) e ne Il lago dei cigni nel ruolo di Odette-Odile, fra le più sorprendenti sotto il profilo interpretativo ed anche tecnico per la prodigiosa estensione del busto e la disarticolazione delle braccia. Nel 1972 dava vita alla Scala di Milano, con la coreografia di John Teras, scene e costumi di Marino Marini, ad una nuova versione di La sacre du printemps di Stravinskij. Nel 1974 presentava con l’American Ballet Theatre una versione della La Bayadère di Minkus-Petipa e nel 1980 una integrale che rimontava poi alla Scala nel 1933, interpreti: Alessandra Ferri e Julio Bocca. Nel 1965, al Concorso di Varna (Bulgaria) era insignita della Medaglia d’oro. Ha scritto A Sance Autobiography (New York, 1979). Esistono numerosi video in balletti del repertorio e non, oltre che `gala’ e un programma monografico intitolato “Natalia”.

Mittelfest

Mittelfest è un festival di teatro, musica, danza, cinema e marionette nato a Cividale del Friuli nel 1991. Ideato da Cesare Tomasetig il Mittelfest rappresenta una delle principali manifestazioni di spettacolo dell’area centroeuropea. Una vocazione internazionale definisce il profilo del festival che ogni anno a luglio si pone come obiettivo la promozione dell’incontro e del confronto culturale e artistico dei Paesi e dei popoli che abitano il territorio della Mitteleuropa. La direzione artistica internazionale che ha caratterizzato le prime edizioni del festival, unitamente alle prospettive inter-culturali individuate da Giorgio Pressburger per la prosa e da Carlo de Incontrera per la musica, privilegiano la scelta del dialogo e della produzione comune attraverso la valorizzazione di identità e differenze e l’abolizione di rigidi confini tra generi e culture. Il teatro in questo contesto si rivela possibilità di dialoghi inediti, e soprattutto geografia di identità a confronto: si pensi a La grande migrazione di Enzesberger che nel ’96 ha visto la compresenza di giovani appartenenti a tutte le comunità etniche del Friuli o a L’ora in cui non sapevamo niente l’uno dell’altro di Peter Handke realizzato da giovani artisti provenienti dalle Accademie di arte drammatica di sette diversi Paesi e che per la prima volta dopo quarant’anni ha visto riuniti il Teatro stabile sloveno e quello Italiano di Trieste, o all’intersezione di culture e di linguaggi che sempre nel 1996 ha caratterizzato Il canto delle città curato da G. Vacis, con attori di Teatro Settimo e di Dubrovnik. Analoghi percorsi per la musica che nel corso delle diverse edizioni ha reinventato gli spazi del festival invadendo la piazza: dai Misteri della Passione , tratto dai professionali cividalesi del XIV secolo, a Stri à z , video-opera notturna di Studio Azzurro e Luca Francesconi, da Hiroshima di Penderecki, ad Auschwitz di Nono, alla Gerusalemme Liberata da Monteverdi, alle coreografie di Micha van Hoeche, o alle diverse interpretazioni delle pagine di Bartók e Webern. Geografie culturali e etniche in dialogo dunque in un festival che ama articolarsi attorno a temi o a figure forti capaci di trasformarsi in terreno di comune confronto: `Storia e tradizione delle singole culture’ nel 1991, `Kafka’ nel 1992, `Guerra e Pace’ nel 1994, `Identità’ nel 1996 e nel 1997, con particolare attenzione a Pasolini e Bartòk (1996), `Transizioni’ nel 1998.

Mexico,

Ballet Folklorico de Mexico è compagnia messicana fondata nel 1952 da Amalia Hernandez, allieva della Argentinita, per creare danze folk in televisione, con gli studenti del dipartimento di danza moderna dell’Istituto Nazionale di Belle Arti di Cittagra. Ottenuto il supporto finanziario governativo, si qualifica come gruppo folclorico nazionale di particolare valore artistico. Sotto la guida della figlia di Hernandez, Norma Lopez Hernandez, è regolarmente presente in Europa e negli Usa con un repertorio di balletti preispanici come Los Matachines , di danze popolari mestizo provenienti da Jalisco, Michoacán, Vera Cruz, Yucatan, Tehuntepec, e di creazioni originali.

Maraini

Figlia di Fosco M., celebre yamatologo (studioso della lingua e della cultura giapponese) e compagna di Moravia, Dacia Maraini, all’esordio narrativo, La vacanza , del 1962, e al seguente, L’età del malessere , del 1963, con cui guadagnò il premio internazionale Formentor, hanno fatto seguito molti altri romanzi, caratterizzati da un impegno femminista e sociale molto intenso, oltre che da una capacità di scrittura sempre felice e controllata. Per quanto concerne il teatro, le sue prime opere propongono soprattutto riflessioni sull’azione drammatica: ad esempio Il ricatto a teatro (1968) e Recitare (1969). Poi passa a testi più impegnati sul piano politico e civile come Manifesto dal carcere (1971) e La donna perfetta (1974). Tra le successive ricordiamo Veronica Franco , ispirato alla vita della poetessa vissuta a Venezia nel Cinquecento, I sogni di Clitennestra (1981) e Lezione d’amore (1982). Nel 1977 viene allestito un suo Don Juan tratto non solo da Molière ma anche da Tirso da Molina. Nel 1997 viene allestito da Luca Ronconi, Memorie , che M. ricava da Il diario di una cameriera , un romanzo di Octave Mirbeau. E debutta anche come voce recitante della commedia Suor Juana , storia di una monaca messicana del Seicento (a Radicondoli). I suoi saggi teatrali sono raccolti nel volume Fare teatro (1974).

Mordkin

Dopo aver frequentato l’Istituto coreografico di Mosca ha danzato al teatro Bol’šoj nei periodo 1900-10, 1912-18 e nel 1922. È stato primo interprete dei nuovi balletti e dei riallestimenti di Aleksandr Gorskij al Bol’šoj: Raimonda , Don Chisciotte (l’espada), La figlia di Goudoule , La figlia del faraone , La fille mal gardée , Nur e Anitra, L’amore è rapido! , Salambo. Fra gli altri ruoli si ricordano quello di Conrad nel Corsaro e Basilio nel Don Chisciotte. Dotato di grande talento drammatico e di un gesto altamente espressivo, la sua danza si è distinta per forza, virilità ed energia. Nel 1909 ha preso parte alla prima delle Stagioni Russe a Parigi danzando in Il padiglione di Armida . Nel 1910 e 1911 ha compiuto una lunga tournée con Anna Pavlova e una sua compagnia negli Usa e in Gran Bretagna. A partire dal 1914 ha incominciato ad affrontare ruoli di mimo. Dal 1924 è stato attivo negli Usa dove ha insegnato e fondato il Mordkin Ballet (1926) per il quale ha realizzato alcune coreografie. Nel 1939 dalle ceneri della sua compagnia nasce l’American Ballet Theatre.

Manzù

Scultore di opere monumentali in bronzo a soggetto storico e religioso, Giacomo Manzù niziò l’esperienza di scenografo con Oedipus Rex di Stravinskij all’Opera di Roma nel 1964. Seguirono i balletti L’histoire du soldat di Stravinskij con la coreografia di Béjart per il teatro Olimpico di Roma, nel 1966, e La follia di Orlando di Petrassi, di nuovo per l’Opera di Roma, nel 1967. Tra i suoi impegni nella lirica ricordiamo Tristano e Isotta di Wagner alla Fenice di Venezia nel 1971, Elektra di Strauss alla Staadtoper di Berlino nel 1972, Macbeth di G. Verdi e Iphigenie en Tauride di C. W. Gluck per il Maggio musicale fiorentino del 1981, Macbeth di Verdi al San Carlo di Napoli nel 1985.

Maltagliati

Quindicenne ‘amorosa’ prima con Dina Galli e poi con Maria Melato, Evelina Maltagliati fu artista eclettica passando da Goldoni a Gor’kij, da Maugham a Forzano, a fianco, di volta in volta, della Pavlova, di De Sanctis, Picasso, Ricci, Lupi, Falconi, Tofano. La consacrazione definitiva avvenne nel 1933 allorché Max Reinhardt le affidò il ruolo di Titania nel Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare inscenato a Boboli. La nativa eleganza, il forte temperamento toscano temperato da un esemplare autocontrollo, il gusto sorvegliato concorsero a farne la più ambita interprete di commedie sofisticate alla Guitry o alla Molnar. Ma alla predisposizione per il `brillante’ aggiunse la piena disponibilità a ruoli problematici o addirittura drammatici, con una particolare attenzione nei confronti della drammaturgia pirandelliana. In coppia con Cimara (per un biennio con la regia di E. Giannini) formò una delle ditte più prestigiose del secondo dopoguerra, anche grazie all’apporto di comprimari del valore di Cervi, Benassi, C. Ninchi. Negli anni ’40 capeggiò una compagnia di giovani che comprendeva Buazzelli, Gassman, Manfredi, assieme ai quali si cimentò in testi non corrivi come Erano tutti miei figli di Miller e L’aquila a due teste di Cocteau. Attenta a mai eccedere nella coloritura dei personaggi, lontana da compiacenze mattatoriali, seppe risvoltare in poesia anche spettacoli di `routine’. Con la regia di Costa fu shakespeariana come Lady Macbeth, shawiana in Candida , inobliabile Priora nei Dialoghi delle carmelitane di Bernanos. Suo canto del cigno fu la Morte di un commesso viaggiatore con la regia di Fenoglio (1968), ma la grande popolarità continuò a esserle assicurata dalle molte interpretazioni televisive.

Marconcini

Dario Marconcini dopo essersi formato attraverso diverse esperienze come il teatro universitario di Pisa, il Teatro di Livorno e la Filodrammatica di Pontedera negli anni ’60 fonda, sempre a Pontedera, il Piccolo Teatro in cui tiene anche corsi di recitazione. A metà degli anni ’70 è nel gruppo che fonda il Centro di sperimentazione teatrale di Pontedera che si dedica alla ricerca di forme di teatro dimenticate come il teatro delle marionette napoletane o i `pazzarielli’ della tradizione di strada. Dagli anni ’80 al Centro di Pontedera coordina la scuola di teatro che cerca di saldare la tradizione con la ricerca e che ha avuto tra i suoi docenti M. Fabbri, J. Stuhr, R. Cieslak. Nel 1984 comincia la sua collaborazione con Paolo Billi con il quale, a Buti (in provincia di Pisa), comincia una ricerca sulle possibilità di contaminazione tra il patrimonio della tradizione popolare di canto in ottava – il maggio – e alcune forme di sperimentazione teatrale contemporanee. In questo ambito ha curato in coppia con Billi la messa in scena di numerosi spettacoli tra i quali: Gerusalemme liberata (1987) con T. Servillo, P. Casale e la Compagnia del Maggio, Medea (1988) opera in Maggio di P. Frediani e Madre Courage (1988) di Brecht con M. D’Amburgo, M. Salviati e la Compagnia del Maggio. Dal 1987 è direttore artistico del Teatro Francesco di Bartolo di Buti, per il quale cura le stagioni, la rassegna `Piccoli Fuochi’ e le produzioni. Tra le sue regie ricordiamo: Scene da Peer Gynt (1989) con la Compagnia del Maggio di Buti; In Tauride (1991) da Euripide, Goethe, Fassbinder; Santa Oliva (1992), opera in Maggio presentata al Festival di Volterra; Madelon (1993) da Viaggio al termine della notte di Céline e ancora con il Maggio Letture dall’Inferno di Dante (1995). Recentemente ha allestito: Textes pour rien (1996), Mise en espace da Beckett e Justine (1998) cronache da De Sade. Al cinema è apparso in due film, Confortorio (1992) e Tiburzi (1997) di P. Benvenuti, che ha anche filmato alcuni spettacoli della Compagnia del Maggio.

Massari

Lea Massari debutta nel cinema nel 1955 in Proibito di Mario Monicelli, ma il successo arriva due anni dopo con I sogni nel cassetto di Renato Castellani e in seguito con L’avventura (1959) di Michelangelo Antonioni. Lavora anche con Mauro Bolognini, Dino Risi, Nanni Loy. In Francia recita al fianco di Michel Piccoli in L’amante di Claude Sautet (1970) e con la regia di Luise Malle in Soffio al cuore (1971). Ha uno stile recitativo controllato e schivo. In teatro esordisce nel 1960 in Due sull’altalena di W. Gibson con la regia di Arnoldo Foà, ma è con la commedia musicale Rugantino di Garinei e Giovannini (1962), che ottiene un grande successo. Intensa è stata la sua attività di interprete in televisione, in ruoli di celebri personaggi letterari, da Anna Karenina a La monaca di Monza.

Mendez

Allieva di Fernando e Alberto Alonso entra nel Balletto di Cuba nel 1955 e nel Balletto nazionale nel 1959. Nominata prima ballerina nel 1962 diventa una delle più rappresentative artiste dello `stile’ cubano del balletto, grazie a una tecnica cristallina, la notevole elevazione, il lirismo luminoso messo in evidenza nei maggiori ruoli del repertorio ottocentesco ( Giselle , Il lago dei cigni ). Vincitrice della medaglia di bronzo al concorso di Varna del 1964 e della medaglia d’argento a quello del 1965 è una delle maggiori ballerine classiche cubane della sua generazione. Ritiratasi dalle scene, affianca Alicia Alonso nella direzione della Compagnia nazionale cubana.

Marcomeni

Diplomata all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’ di Roma, Susanna Marcomeni ha sempre diviso la sua carriera tra lavori teatrali, cinematografici e televisivi con alcune partecipazioni anche alla radio. Nel 1986 riceve una menzione d’onore quale giovane attrice al premio Eleonora Duse e nel 1987 vince il premio Teatro Fondi-La Pastora, come migliore giovane protagonista. Il suo esordio sulle scene avviene nel 1978 con Girotondo di Schnitzler (regia L. Salveti) e soprattutto con la partecipazione ad Arlecchino servitore di due padroni sotto la guida di Giorgio Strehler. Tra i numerosi lavori sono da ricordare: Gli ultimi di M. Gor’kij (regia C. Battistoni, 1983), La donna sul letto (1985) di F. Brusati, Festino in tempo di peste da Puškin (regia di Yuri Ljubimov, 1986), Tragedia popolare (1988) di Missiroli e Pilade (1989) di Pasolini diretto da L. Puggelli. Nel 1992 torna a lavorare con Strehler ne Le baruffe chiozzotte e l’anno dopo affronta ancora Goldoni con La scuola di ballo , per passare poi a un testo decisamente più moderno come Clementina Gnoccoli (1994) di Aldo Busi. Più recentemente partecipa a L’amore quando ci si mette è proprio bello (1996) di Rossana Campo, Buonasera (1997) di Lia Celi, regia di E. Coltorti e Frankienstein Musical (1997) in compagnia di Tullio Solenghi.

Markó

Diplomatosi presso la Scuola del balletto di stato di Budapest (1967), entra in seguito a far parte della compagnia come primo ballerino, distinguendosi nei ruoli principali in La vittima (1971) Le marteau sans maître (1973) e Seraphita (1974) di Béjart. Dal 1979 è direttore artistico e coreografo della Compagnia del Teatro di Györ.

Medini,

I Medini sono una delle famiglie circensi italiane più ramificate fin dall’inizio del secolo, e fra le più prolifiche. Basti ricordare che uno dei più folti rami italiani è quello di Bernardo Medini e Adalgisa Caroli (di un’altra numerosa famiglia circense) i quali, a cavallo delle due guerre, mettono al mondo ventun figli. In questo secolo si distinguono comunque l’equilibrista alla `scala libera’ Mario, il trio di acrobatica a terra del fratello Carlo con le sorelle Yole e Nerina. Il giocoliere Italo, uno fra i più convincenti emuli di Rastelli, capace di virtuosismi tecnici di livello eccelso. Renato, ammaestratore di cavalli e acrobata, che nel 1946 sposa Hellen Swoboda Medrano. Il trio di clown composto da Franco (poi uno dei più importanti agenti d’Europa), Carlo e l’augusto Joe Little Walter. Da altri rami della famiglia emergono i giocolieri Medifreds (Alfredo, Luigi, Rodolfo, con Lucia e Virginia), impegnati nella tipologia classica delle troupe di giocolieri acrobatici in voga negli anni ’50 e ’60. I figli di Rodolfo e Lucia, Roberto ed Enrico diventano pattinatori acrobatici solisti nella rivista sul ghiaccio Holiday on Ice . I componenti di un altro numeroso ramo dei Medini rimasto in Italia apre il Circo Città di Milano che visita soprattutto la Lombardia con risultati alterni.

Marchetti

Dotato di una voce dal buon timbro tenorile Giulio Marchetti si mette in luce al fianco di Nino Taranto imitando Al Jolson con il volto truccato di nero nella rivista Com’era verde la nostra valle (1947). Michele Galdieri gli fa ripetere lo stesso numero nello spettacolo Snob (1950) affidandogli l’interpretazione di “Summertime” ( Porgy and Bess ) di Gershwin nel quadro delle piantagioni di cotone per il quale ottiene un successo personale quasi pari a quello del protagonista Carlo Dapporto. Successivamente è in compagnia con Tino Scotti in Agitatissimo (1953) e per due stagioni con Macario negli spettacoli E tu biondina… (1956) e Non sparate alla cicogna (1957). La vera popolarità gli arriva quando interpreta in veste di protagonista gli otto episodi televisivi trasmessi in diretta e firmati da Vittorio Metz della rivista musicale per ragazzi “Giovanna, la nonna del Corsaro Nero” (1961). Accanto alla grintosa piratessa Anna Campori e al balbuziente Pietro De Vico (il nostromo Nicolino) è il fedele maggiordomo Battista che combatte contro il crudele governatore spagnolo al ritmo di canzonette, balletti e duelli. Il successo si rivela di tali proporzioni che le imprese della terribile corsara e dei suoi due compagni continuano in altre due serie: “Le nuove avventure di Giovanna, la nonna del Corsaro Nero” (otto episodi, 1962) e “Giovanna alla riscossa” (sei episodi, 1966).

Moro

È tra gli artisti fondatori dello Spazio di via Lazzaro Palazzi, sede espositiva autogestita nata nel 1989 dalla quale sono emerse alcune fra le più significative personalità del panorama artistico milanese di questi ultimi anni. Nel marzo 1997 realizza la prima esperienza di collaborazione con la Compagnia Virgilio Sieni Danza di Firenze. Per lo spettacolo Canti marini 1 e 2 , al Fabbricone di Prato, l’artista concepisce e interpreta una coreografia ( Studio di un probabile equilibrio in movimento ) in cui due figure attraversano la scena obbligate, dalle cinghie che le uniscono, a difficoltosi movimenti sincronici. Il loro percorso si blocca in pose scultoree ogni volta che l’artista dà avvio a un brano musicale dall’organo elettrico che porta legato a un fianco. Nell’ottobre 1998 una nuova collaborazione con Virgilio Sieni vedrà gli artisti impegnati in uno spettacolo incentrato sul tema della fiaba del Soldatino di piombo, al Teatro dei Rozzi di Siena.

Massine

Figlio e allievo di Léonide Massine, a quindici anni era già presente sulle scene in spettacoli realizzati dal suo famoso padre; nel 1962 è stato scritturato dal Ballet du XXème siècle e successivamente dal New York City Ballet. La sua attività come coreografo risale ai primi anni ’70: particolarmente rilevante Esoterik Satie ; di maggior successo, ancora e sempre vivo su molte ribalte, Zorba il greco (Arena di Verona, 1989), reso popolare anche dalle musiche di M. Theodorakis, il compositore greco con il quale in precedenza aveva collaborato per Fête dancée .

Moore

Dagli anni ’30 aderisce al gruppo surrealista ma elabora uno stile personale rifacendosi soprattutto alle culture primitive. Le sue sculture biomorfiche si avvicineranno sempre più al limite dell’astrazione delle forme pur rimanendo fedele alla figura umana. Sono state utilizzate come scenografia del Don Giovanni di Gian Carlo Menotti nel 1967, con lo scopo di ritmare la scena e intensificare la qualità tragica del canto.

Micol

Laureato in legge, Pino Micol si trasferisce a Milano dove studia alla scuola del Piccolo Teatro. Nel 1975 è protagonista dello spettacolo Stefano Pelloni detto il Passatore , una regia di Maurizio Scaparro per lo Stabile di Bologna. Seguono anni shakespeariani con uno spoglio e intenso Amleto che replica per tre anni e passa anche dal piccolo schermo, e un Riccardo II . È anche un intenso Giasone al fianco di Irene Papas in Lunga notte di Medea di C. Alvaro. Nel 1978 interpreta Cirano di Bergerac di Rostand sempre con la regia di Scaparro. Nel 1983 è al fianco di Peppe Barra in Frammenti teatrali del Don Chisciotte . Ancora con Scaparro, interpreta Il fu Mattia Pascal da Pirandello al Teatro di Roma (stagione 1986-87) e Vita di Galilei di Brecht (stagione 1988-89). Nel 1989 al festival di Spoleto rievoca, in veste di difensore, alcuni clamorosi fatti di cronaca in La parola alla difesa . Seguono alcune produzioni targate Veneto Teatro: Le sorprese dell’amore di Marivaux, regia di Sequi, con Ottavia Piccolo (1990) e, nel 1991, a fianco di Gianna Giachetti, il nuovo Edipo di Renzo Rosso, ispirato al mito del re di Tebe, di cui è regista e interprete.

Maeterlinck

Maurice Maeterlinck è con Van Lerberghe Verharen e Rodenbach uno dei più imporanti rappresentanti della cultura simbolista belga. Nel 1899 pubblica la raccolta di poesie Serres chaudes , vera e propria ‘icona’ del simbolismo e va in scena La principessa Malena (Princesse Maleine), la prima di una serie di pièces che fanno di M. uno dei più significativi esponenti del teatro simbolista di area francofona. Il suo teatro cerca di riproporre – utilizzando i mezzi caratteristici della rappresentazione – la capacità di evocazione della poesia, sfruttando i silenzi, e la semplicità del décor, per `suggerire’ e `mostrare’ piuttosto che per `descrivere’ e `raccontare’. Le sue opere sono dunque dense di mistero: personaggi evanescenti e rispondenti ai topoi del simbolismo (algide principesse, artisti misteriosi, mistici, ecc.), ambientazioni feeriche, linguaggio dalle cadenze incantatorie. In questa linea si inseriscono oltre a La principessa Malena del 1889, L’intrusa (L’intruse, 1890) e I ciechi (Les aveugles, 1891). Del 1892 è invece la sua opera più nota, Pélleas et Mélisande che, grazie alla più tarda versione musicale di Debussy, riuscirà a conservare una fama che le altre opere non hanno più. In un’ambientazione medievale, Maeterlinck evoca le forze imperscrutabili della vita: la fatalità e la morte. Pelléas e Mélisande, personaggi dall’origine misteriosa – quasi stupiti di essere vivi – sono sedotti da forze sconosciute che prendono la forma di un amore disperato e impossibile. La morte è in agguato e un’atmosfera di ineluttabilità aleggia su tutti i personaggi del dramma: un vero incubo simbolista in cui il non detto coincide con la cecità dell’esistenza umana, la sua disperata mancanza di senso. Negli ultimi anni della sua vita, Maeterlink stempererà i toni cupi e incantati della sua prima produzione per avvicinarsi a una maggior semplicità tematica – sovente d’ispirazione bucolica, come testimonia Aglavine et Selisette (1896) – cui corrisponde tuttavia una ancor maggiore rarefazione del linguaggio secondo i parametri stilistico-retorici dell’ormai affermata ‘scuola’ simbolista. La sua relazione con l’attrice Georgette Leblanc – che sarà l’interprete di gran parte delle sue opere – non è forse estranea alla maggior serenità che contraddistingue opere come Monna Vanna (1902) e Joyzelle (1903). Le ultime opere per il teatro di Maeterlinck furono scritte durante la seconda guerra mondiale, ma mai pubblicate né messe in scena.

Moretti

Dopo aver partecipato al Teatro delle Dieci alla fine degli anni ’60 Giovanni Moretti fonda e dirige il Teatro dell’Angolo, sviluppando attraverso spettacoli e saggi una nuova idea di teatro per ragazzi. Nel 1984 allestisce La caverna del teatro , un progetto ispirato al famoso mito di Platone, che lascia un segno importante nel teatro-ragazzi. In seguito, uscito dal Teatro dell’Angolo, fonda il Teatro del Mediterraneo. Con la sua voce dal timbro profondo ha caratterizzato molte trasmissioni radiofoniche.

Madia

Formatosi alla scuola di Ballo del Teatro alla Scala, dopo una stagione nella sua compagnia, Giorgio Madia danza dal 1984 come solista nei Ballet du XXème siècle e Béjart Ballet Lausanne, nel Pennsylvania Ballet e nel San Francisco Ballet. Primo ballerino dello Zurich Ballet dal 1995 al 1997, qui debutta nella coreografia firmando Stuck (1995) e le danze di Die Lustige Witwe (1997). Ritiratosi nel 1997 è oggi maître de ballet.

Merman

Ethel Merman è considerata la regina del musical di Broadway dove lavora ininterrottamente dalla fine degli anni ’20 fino a tutti gli anni ’60, presente in moltissimi dei capolavori del genere. Ottiene il primo grande successo teatrale con Take a Chance (1932), seguito dal trionfo di Girl Crazy (1933) con musiche di Gershwin. Non particolarmente avvenente, ma simpatica e carismatica sul palco nonché dotata di una voce acuta e limpida, è l’interprete ideale per le composizioni di Irvin Berlin di cui porta in scena Anna prendi il fucile (1946) e di Cole Porter di cui interpreta Anything Goes (1934), Red, Hot and Blue (1936), Du Barry Was a Lady (1939) e Panama Hattie (1940). Dei numerosi ruoli affidati a lei sulla scena solamente due rimangono suoi anche sullo schermo, il già citato Anything Goes (1936) e Call Me Madame (1953). A Hollywood lavora nei rari periodi di libertà dal teatro a partire dal 1930, quando compare nel cast di Follow the Leader , in produzioni importanti ma non primarie come La grande strada bianca (1938) e Follie dell’anno (1954). È autrice dei due volumi autobiografici Who Could Ask for Anything More? (1955) e Merman: an Autobiography (1978). Ha all’attivo centinaia di incisioni discografiche, tra cui alcune degli anni ’80 realizzate in uno stile da discoteca piacevolmente autoironico.

Mauclair

Jacques Mauclair è direttore del teatro Rive-Gauche dal 1971 al 1975; nel 1976 diventa direttore del teatro Marais. Dagli anni ’50 il suo nome è legato agli autori del Nouveau Théâtre, in particolare a Adamov – è regista di Comme nous avons été (1953) e di Ping-Pong (1955); recita in Il professor Taranne (1953), sotto la direzione di Planchon – e a Ionesco mette in scena Vittime del dovere (1953); Le sedie (1956) e Il re muore (1962); nel 1959 si avvicina al teatro di Brecht: Maurice Sarrasin, direttore del Teatro Grenier di Tolosa, lo invita ad allestire Madre Coraggio. Nel suo repertorio compaiono anche testi classici: Elettra (1977); L’avaro (1989, per cui gli è assegnato il premio Molière); La scuola delle mogli (1992). Nel 1982 riscrive un classico: Le Misanthrope chez Molière ou l’impromptu du Marais (ne è anche regista e attore). Negli ultimi anni ha curato la regia e ha interpretato diversi testi di Eduardo de Filippo: Antonio Barracano (1993); Natale a casa Cupiello (1995); Sik-Sik (1997).

Malfatti

Trasferitasi con la famiglia a Parigi nel 1957, Marina Malfatti vi frequenta la scuola di René Simon. Due anni dopo, al rientro in Italia, ottiene una borsa di studio per il Centro sperimentale di cinematografia e le prime parti in teatro. Il vero debutto avviene nel 1962 quando Arnoldo Foà la chiama a interpretrare Due sull’altalena di Gibson. Alterna quindi commedie brillanti (Feydeau, Ayckbourn), e testi drammatici ( Rashomon di Fay e Kanin, Dal tuo al mio di G. Verga che le vale il premio Verga nel 1970), in quella duttile varietà di ruoli che caratterizza la sua intensa carriera. L’esordio in tv nel 1974, come interprete dello sceneggiato Malombra di Fogazzaro regia di D. Fabbri, le dà grande popolarità, come poi nell’84 Teresa Raquin di E. Zola, regia di G. Cobelli. Dal ’78 inizia un ciclo di grandi eroine: un’androgina Fronesio nel Truculentus di Plauto (1979, regia L. Salveti), Lisistrata e Anna Kuliscioff (1981, regie di R. Guicciardini), una spettrale Gigliola di La fiaccola sotto il moggio di D’Annunzio (1982, regia G. Cobelli), Antigone (1982), Elettra con la regia di L. Salveti, per la quale riceve nel 1984 la Maschera d’argento come interprete «che riesce a trovare sempre un punto di contatto tra le eroine classiche e la donna moderna», caratteristica che in effetti distingue la ricerca interpretativa dell’attrice. È quindi protagonista di testi scritti per lei: Corpo d’altri di G. Manfridi (1984), La cintura di A. Moravia (regia di R. Guicciardini, 1986), Tosca riscritto da A. Trionfo (1988), La voce umana di Cocteau adattato da R. Lerici (1989). Nel ’90 inizia un sodalizio artistico con il regista L. Squarzina, con il quale interpreta Come prima, meglio di prima e La vita che ti diedi di L. Pirandello, La locandiera di C. Goldoni, la protagonista ultranovantenne di Tre donne alte di Albee (1994), Candida di G.B. Shaw (1996), dando voce alla `realizzazione femminile’ sia individuale che sociale. Nel ’98 debutta in Sangue del contemporaneo L. Norén per la regia di W. Schroeter, con il quale prepara per il ’99 Zoo di vetro di T. Williams. Della sua attività cinematografica si ricordano i film con i fratelli Taviani ( Un uomo da bruciare , 1962; I fuorilegge del matrimonio , 1963), e per la tv negli anni ’90 La signora Morli una e due, Un posto freddo in fondo al cuore, A rischio d’amore.

Martin

Virginia Mary Martin è stata tra le più grandi interpreti presenti a Broadway negli ultimi decenni e, insieme a Ethel Merman, la star più amata dagli spettatori newyorkesi. Pur essendo conosciutta soprattutto perché cantante, nasce come ballerina e maestra di danza: l’avere una piccola scuola a Hollywood le permetteva di presentarsi a tutti i possibili provini cinematografici. Finalmente, nel 1938, riesce a debuttare a Broadway nel musical di Cole Porter Leave It To Me e ferma lo show con la sua interpretazione di My Heart Belongs to Daddy (in quello stesso numero è presente anche Gene Kelly agli inizi); viene così scritturata dalla Paramount per quattro anni durante i quali gira dieci film, per rendersi conto che, nonostante il suo talento, il cinema non fa per lei. Nel 1943 è di nuovo a Broadway con One Touch of Venus di Weill e Nash, scritto per la Dietrich, ed ha un bel successo e 567 repliche. Lo spettacolo seguente, Lute Song (4 marzo 1946) ha solo 142 repliche a Broadway. Anche un intervento a Londra, per Pacific 1860 di Noel Coward si rivela un’esperienza insoddisfacente, mentre ha invece un esito fantastico la compagnia di giro di Annie Get Your Gun , di cui la Martin è la star: più di un anno e mezzo di repliche, dal 1947 al ’48. Nel 1949, la Martin trionfa a Broadway in South Pacific di Rodgers e Nammerstein: 1.952 repliche, più altre 802 a Londra (a partire dal 1951). Non è un successo invece (152 repliche) Peter Pan nonostante la regia e le invenzioni coreografiche di Jerome Robbins. Un altro trionfo, invece, è, il 16 novembre 1959, The Sound of Music , ancora Rodgers e Hermmerstein, che totalizza 1.443 repliche nonché le critiche più negative e quelle più entusiaste di quegli anni. Nel 1963 ha il suo unico vero insuccesso: Hello Dolly! nel 1965, i cinque mesi che lo show trascorre a Londra sono un personale trionfo dell’attrice. La Martin appare per l’ultima volta in un musical nel 1966: I Do! Do! con Robert Preston ottiene un bel successo e 560 repliche; è il primo musical a due soli personaggi. Durante gli anni ’70, la Martin partecipa a spettacoli di prosa, fa televisione, appare in un memoriale spettacolo di beneficenza a Broadway con Ethel Merman (1977) e infine compie una lunga tournée nel 1986 insieme a Carol Channing.

Metros

Fondata nel 1985 a Barcellona dal coreografo Ramon Oller, dopo alcune brevi creazioni si impone all’attenzione internazionale nel 1986 con De Metros i Metros , cui fanno seguito Nofres (1987), Solos a Solas (1988), Qué paso con las magdalenas (1990), Mienteme por favor (1994) nei quali si definisce la linea poetica ed espressiva di Oller, caratterizzata da una forte passionalità e ispirata al tema della memoria e dell’evocazione dei sentimenti.

Mercouri

Interprete versatile, sia in teatro sia nel cinema, Melina Mercouri recita con intensità ruoli sia brillanti sia fortemente drammatici. La Mercouri non è stata soltanto un’attrice e una diva del cinema, ma anche un personaggio politico di notevole rilievo, sia per la sua intensa attività contro il regime militare greco, per cui subì anche l’esilio dal 1967 al 1974, sia, dopo la fine del regime, come ministro della Cultura. Dopo studi all’Accademia nazionale e un debutto, nel 1944, ad Atene ne Il lutto si addice ad Elettra di O’Neill e Un tram chiamato desiderio di Williams, approda a Parigi negli anni ’50, dove diventa famosa in una commedia scritta per lei da Marcel Achard, Le moulin de la Galette (1951-52); fama che aumenta con il film Stella di Cacoyannis girato in Grecia (1955). Nel 1957 interpreta La zingara rossa di Losey. Ma fondamentale nella sua vita è l’incontro con il regista americano Jules Dessin (anche suo marito), che la dirige in molti film, tra cui Mai di domenica (1960), grande successo per entrambi e con cui vince, al festival di Cannes, il premio come migliore attrice protagonista. Il soggetto è ispirato a Pigmalione – lui è un ricco amante della classicità, lei una prostituta greca – ed è diventato anche una commedia musicale di successo nei teatri di Broadway. La sua carriera prosegue poi nel cinema con Topkapi , sempre diretto dal marito (1964) e molti altri film, tra cui Cattive abitudini di Michael Lindsay-Hog (1976), sua ultima interpretazione.

Mauri

Gianfranco Mauri debutta al Piccolo Teatro di Milano nel 1955 con El nost Milan di Bertolazzi. Dal ’57 è Brighella poi Pantalone nell’ Arlecchino servo di due padroni di Goldoni. Seguono, sempre diretti da Strehler, molti degli spettacoli più noti del Piccolo, tra i quali L’Opera da tre soldi e Vita di Galilei di Brecht, Coriolano di Skakespeare, Il gioco dei potenti da Shakespeare, Questa sera si recita a soggetto di Pirandello e Giorni felici , di Beckett, fino alla ripresa de La storia della bambola abbandonata di Brecht/Sastre, appena prima della morte del regista. Ha lavorato anche con la Compagnia dei Giovani del Piccolo nell’ennesima edizione dell’ Arlecchino.

Maldacea

Il nome di Nicola Maldacea è legato al genere fortunato della ‘macchietta’, di cui fu inventore e massimo interprete dall’ultimo decennio del secolo scorso fino a tutti gli anni ’20. La macchietta è una canzone comica scritta in ottonari o endecasillabi, dove la rima gioca un ruolo fondamentale nel suggerire e smentire doppi sensi a volte volgari, a volte satirici, a volte comici. Ogni macchietta ha un suo sviluppo drammaturgico articolato, pur essendo centrata su un unico personaggio o carattere, oggetto di satira o semplice sfottò. Da notare che nell’immenso repertorio di macchiette sorto a partire dal successo di M. se ne conta una sola di carattere drammatico (Totonno `e quagliarella di Capurro e Bongiovanni per Viviani, storia di un ubriaco filosofo sconfitto dalla vita), per altro poco frequentata. Maldacea, a partire dal 1890, quando sperimentò il suo nuovo genere al Salone Margherita di Napoli, ebbe un successo a dir poco clamoroso per l’epoca: fu il vero trascinatore (a Napoli, a Roma ma anche più a Nord) del fulmineo sviluppo della moda del café-chantant. Ricevere uno sberleffo in versi da Maldacea era considerato il massimo onore ottenibile in società: in platea, durante i suoi spettacoli, era norma scommettere sul bersaglio reale di questa o quella macchietta.

All’apice del successo, Maldacea, che recitasse in abiti maschili o femminili, riuscì a sbeffeggiare anche i rappresentanti del clero e dell’esercito: una sua macchietta dedicata a un ufficiale della Cavalleria che non aveva saputo approfittare della disponibilità della moglie del proprio capitano (Il tenentino di Carlo Veneziani) fu in un primo momento censurata, ma subito dopo riammessa sulle scene per intervento diretto del conte di Torino che si recò di persona al Salone Margherita per verificare la situazione. Scrissero per M. alcuni tra i massimi poeti dell’epoca, da Rocco Galdieri a Ferdinando Russo, da Salvatore Di Giacomo a Trilussa, non tutti firmando i testi con il proprio nome ma tutti ottenendo lauti guadagni dalla collaborazione. Anche Maldacea si arricchì molto negli anni del successo, ma a partire dagli anni ’30 la sua fama scemò fino a scomparire del tutto: morì poverissimo, dopo aver cercato, senza fortuna, di ottenere qualche scrittura teatrale. Il cinema, invece, gli diede solo l’opportunità di qualche comparsata o ruolo minore, il più importante dei quali fu nel Feroce Saladino, film di enorme successo popolare girato nel 1937 da Mario Bonnard con Angelo Musco. Maldacea, infine, ha lasciato una lunga autobiografia godibilmente avventurosa ma sostanzialmente falsa, come tutte le autobiografie dei grandi attori.

Michalcenko

Dopo gli studi presso l’Istituto coreografico di Mosca, entra nel 1976 nel corpo di ballo del Teatro Bol’šoj. Protagonista della maggior parte dei balletti del repertorio ottocentesco ( Il lago dei cigni , Don Chisciotte , Giselle , Bajadera , Raimonda ) e sovietico ( Angara , L’età dell’oro , Spartaco , Ivan il Terribile). La sua danza si distingue per la precisione delle linee, per l’espressività e intensità del movimento, l’alta tecnica esecutiva e interpretativa. È protagonista dei film per la televisione Frammenti di una biografia e Voglio danzare (entrambi del 1985). Primo premio al concorso pansovietico di Mosca (1976) e ai concorsi internazionali di Mosca e di Varna (1977).

Melazzi

Giorgio Melazzi si diploma alla scuola del Piccolo Teatro di Milano nel 1973 e nello stesso anno firma la regia di Ubu Roi di A. Jarry. Inizia contemporaneamente un lungo sodalizio con Franco Parenti, che lo dirige in Willibald e Oloferne di J. Nestroy (1974), La Betia del Ruzante (1975), La palla al piede di G. Feydeau (1976), Gran Can Can di F. Lemaitre (1981). Lavora inoltre con A. R. Shammah ( L’Ambleto , 1972; Macbetto , 1974; e L’Arialda di G. Testori, La doppia incostanza di Marivaux, Il malato immaginario di Molière), G. Lavia, M. Scaparro, M. Béjart (per cui è il lettore di Nietzsche in Dionysos , 1983). Dopo l’esperienza nel teatro classico, dal 1985 scrive e interpreta i suoi spettacoli (premiati in varie rassegne di Nuova Drammaturgia), dapprima commedie comiche di impianto tradizionale, quindi soggetti e meccanismi più innovativi dove si delinea ed emerge la sua vena amaro-ironica-surreale: Dopolavoro `Vincere!’ (1985), La pietra al collo (1987), L’arte della pizza (1987), Banana Konferenz (1991). Nel 1992 è coautore e cointerprete con Lella Costa del fortunato spettacolo Due ; del 1995 è il monologo Blues dei Cento Appunti . Partecipa a numerose commedie e varietà televisivi (gli ultimi: Scatafascio con Paolo Rossi, Zelig Facciamo Cabaret ) e radiofonici, al film Strane storie di A. Baldoni (1996); lavora intensamente nel doppiaggio (sue le voci di Richard Dreyfuss, Phil Collins, John Savage).

Morobushi

Folgorato dalla violenza espressiva del Butoh dal 1968, quando assiste allo spettacolo di Tatsumi Hijikata La rivolta dei corpi , M. decide di studiare con lui e dopo una parentesi ascetica (un ritiro spirituale di circa due anni nelle montagne) torna a Tokyo e partecipa all’attività del gruppo Butoh dei Dairakudakan fondato nel 1972 da Maro Akaji. Nel 1974 collabora con Carlotta Ikeda alla nascita del gruppo femminile Ariadone e nel 1976 fonda Sebi, un’altra compagnia solo maschile. Meno introverso dello stile di Ikeda e più asciutto rispetto agli estetismi `fioriti’ di Kazuo Ohno, il lavoro di Murobushi si concentra in movimenti impercettibili, nello sviluppo en ralenti di piccoli eventi coreografici di grande intensità ed energia. Dopo il successo nel 1978 dello spettacolo Le dernier Eden portato in tournée europea con Ariadone, M. si è trasferito a Parigi, dove abita e lavora.

Mancini

Giorgio Mancini studia danza classica con Giancarlo Vantaggio e all’Accademia Nazionale di Danza e nel 1982 debutta all’Arteballetto, dal quale passa nel 1984 al Mudra e nel 1986 al Bejart Ballet Lausanne, dove si mette in luce in numerosi ruoli solistici ( Light, Piaf, 1789 et nous ). Sempre come solista dal 1991 al 1996 danza nel Balletto di Ginevra, dove crea le prime coreografie e, dal 1996, copre la carica di coordinatore artistico.

Moissi

Di padre albanese, di madre triestina, di formazione tedesca e in pieno possesso di sei lingue, esordì al Burgtheater di Vienna, si perfezionò al Deutsche Theatre di Praga, diretto da Neumann, per rivelarsi infine a Berlino alla scuola registica di M. Reinhardt. Sorretto da una vocalità musicalissima, da una gestualità dirompente, da una personalissima aura visionaria, passò con pari intensità dal verismo ibseniano Spettri al Risveglio di primavera di Wedekind, dal prediletto Jedermann di Hofmannsthal a Lessing, Wilde, Shaw, Schiller. Considerato il massimo esponente del teatro neoromantico e addirittura il più grande attore della scena tedesca contemporanea, trionfò in un memorabile Amleto (1909) in abiti moderni, per cimentarsi, più avanti, nel Torquato Tasso di Goethe. Fu soprattutto Schiller ( I masnadieri , Fiesco , Don Carlos ) a rivelarsi congeniale alla sua travolgente passionalità, ma forse conseguì il capolavoro interpretativo con Il cadavere vivente di Tolstoj portato a Roma e Parigi, recitato in inglese nel corso di una tournée americana e infine nella lingua materna quando, nel 1933, si trasferì in Italia per formare compagnia con W. Capodaglio. Riuscendo a fondere la matrice balcanica, il temperamento latino, l’educazione tedesca, l’avito fascino slavo, riuscì a esprimere al meglio lo spirito russo non soltanto in Tolstoj ma anche in Gogol’. Nel corso della tournée italiana ( La leggenda di Ognuno , Amleto , Spettri , Il dilemma del dottore ) ebbe modo di incontrarsi con Pirandello, che per lui scrisse Non si sa come . Ma la morte lo colse troppo presto. Fra i suoi tredici film figura Lorenzino de’ Medici , girato con G. Brignone pochi mesi prima della sua scomparsa. È sepolto a Lugano.

Mirbeau

Nei suoi romanzi ( Il giardino dei supplizi , 1899; Il diario di una cameriera , 1900) descrive con naturalismo pesante vizi e deformazioni umane. Per il teatro scrive commedie di costume, in cui con caustico umorismo restituisce la cruda immagine della società. Le sue opere più celebri sono: Gli affari sono affari (1903) il cui protagonista è un borghese il cui unico scopo è il guadagno; La 628-E8 (1907), racconto di un viaggio in automobile, che è salutato da Marinetti come uno dei primi testi futuristi; Le Foyer (1908).

Monti

Dopo la Scuola d’arte drammatica al Piccolo Teatro Ivana Monti debutta nella sala di via Rovello in Ogni anno punto e da capo di Eduardo. Nel primo vero successo è diretta da Strehler nella parte di Regana in Re Lear , accanto a Tino Carraro (1971). Con Dario Fo lavora in Settimo ruba un po’ meno e Ci ragiono e canto . Segue una intensa collaborazione con il regista Lamberto Puggelli al Teatro Uomo dove interpreta: Una madre da Gor’kij e Fede, speranza e carità di von Hórvath (1978-79). Ma la sua vocazione è soprattutto il teatro brillante: ha grande successo accanto a Walter Chiari in Hai mai provato nell’acqua calda? e Il gufo e la gattina ; come antagonista di Rossella Falk in Applause , la commedia musicale tratta da Eva contro Eva ; in coppia con Andrea Giordana in Tovaritch di Deval (1986-87). Nel 1989 recita in Alla stessa ora… il prossimo anno! di Bernard Slade. Del 1992 sono le sue interpretazioni più intense in Tradimenti di H. Pinter (regia di Antonio Calenda e in Corpo d’altri di Giuseppe Manfridi (regia di Ennio Coltorti, all’interno del festival Borgio Verezzi). Nel 1994 è la volta di Mal/Ben Eventum (drammaturgia e regia di Riccardo Tortona) all’interno della rassegna Benevento Città Spettacolo. E nello stesso anno interpreta il remake L’onorevole, il poeta e la signora di Aldo De Benedetti (Milano, Teatro Manzoni).