Lodovici

Carlo Lodovici fu uno dei principali esponenti del teatro veneto, che dimostrò di preferire a quello in italiano. Debuttò come attore nella compagnia di C. Baseggio, dove restò dal 1927 al 1936, frequentando soprattutto il repertorio goldoniano. Successivamente recitò con la compagnia del Teatro di Venezia e con S. Tofano. Nel dopoguerra esordì nella regia e riscosse notevoli consensi con gli spettacoli diretti per il festival di Venezia. Come autore vanno ricordate le sue commedie E Giuditta aprì gli occhi! (1949) e Gente alla finestra (1952).

Wethal

Nel 1964 a diciassette anni, finiti gli esami di maturità e rifiutato alla prova di ammissione della scuola teatrale di Oslo, Torgeir Wethal comincia a lavorare in un gruppo teatrale di dilettanti guidato da Erik Trummler che lo segnala, in un secondo momento, a Eugenio Barba, regista italiano e fondatore dell’Odin Teatret. Con Else Marie Laukvik, Torgeir è l’unico attore del nucleo originario che fa tuttora parte del gruppo. Ha partecipato a tutti e venti gli spettacoli realizzati dall’Odin e rappresentati in trentasette paesi, tra cui Ornitofilene del 1966, Kaspariana del 1967, recitato ottanta volte ad Holstebro e in tournée per sei mesi, Ferai del 1969, Anabasis del 1979, Le ceneri di Brecht del 1980, fino ai più recenti Padri e figli del 1992 e Kaosmos del 1993 (rappresentato poi nel 1996 al Piccolo Teatro di Milano). Torgeir Wethal, grazie a training faticossisimi, a una ricerca rigorosa sulle tecniche dell’improvvisazione, realizza partiture fisico-vocali di straordinaria precisione e impatto emotivo. Si occupa, inoltre, delle produzioni cinematografiche e video dell’Odin.

Gandusio

Accostatosi alle scene filodrammatiche durante gli studi universitari a Roma, Antonio Gandusio fu notato dalla grande A. Ristori, riuscendo a farsi scritturare (1899) come attore brillante dal De Sanctis. Malgrado i successivi impegni con una mezza dozzina di compagnie, si laureò in legge a Genova, salendo più tardi nella scala dei valori interpretativi grazie alle esperienze con Novelli, Reiter-Carini, I. Gramatica-Andò. La mimica inconfondibile, la voce cavernosa, le sopracciglia cespugliose, la scioltezza dei movimenti, contribuirono a renderlo un ideale Arlecchino servitore di due padroni , tre generazioni prima della edizione strehleriana. Unitosi nel 1912 a L. Borelli, tre anni dopo ignorò il richiamo alle armi da parte di Vienna, avendo a suo tempo servito come ufficiale nell’esercito austriaco, come tutti gli istriani dell’epoca. Proprio nel fatidico 1915 entrò a far parte della Melato-Betrone diretta da Talli, specializzandosi nella nuova drammaturgia italiana che aveva per alfieri Chiarelli, Antonelli, Cantini. In particolare il trionfo in La maschera e il volto lo indusse a rivolgere minor attenzione al teatro di puro divertimento, preferendogli i campioni del grottesco e delle `avventure colorate’ allora in auge. Ebbe al suo fianco D. Galli, L. Carli, K. Palmer, C. Gheraldi, mentre nel secondo dopoguerra fu tra gli interpreti di Euridice di Anouilh, di Gente magnifica di Saroyan, dell’ Avaro di Molière con le regie di Visconti, Ferrero, Salce. Artista di grande sensibilità e di carattere schivo, bibliomane raffinato, la morte improvvisa lo colse alla vigilia di registrare per la Rai il terzo atto del suo cavallo di battaglia, Il deputato di Bombignac . Prese parte a una trentina di film di scarso valore artistico.

Rascel

Uno dei monumenti del teatro leggero italiano, all’interno del quale ha occupato spazi (straordinari) nell’avanspettacolo e nella rivista, poi nella commedia musicale, nella commedia tout court, e poi nel cinema, in radio e in televisione. Figlio d’arte (i genitori erano cantanti d’operetta), Renato Rascel debuttò bambino in compagnie filodrammatiche, e poi fece parte del coro di voci bianche di don Lorenzo Perosi. A diciassette anni si esibisce come suonatore di batteria e ballerino di tip-tap; l’anno seguente fa parte di un trio, con le sorelle Di Fiorenza, come cantante e ballerino. Nel 1934 viene notato dagli Schwartz e debutta, come Sigismondo, in Al Cavallino bianco . Poi torna con le Di Fiorenza, e poi con Elena Gray va in tournée in Africa. A partire dal 1941 ha compagnia propria, insieme a Tina De Mola, allora sua moglie, con testi di Nelli e Mangini, di Galdieri, infine di Garinei e Giovannini. Intanto R. ha elaborato il suo personaggio più o meno fisso: un piccoletto (il che corrisponde alla sua statura) stralunato, distratto, e troppo mite per essere vero.

Alcuni suoi sketch e canzoni ne sono capolavori assoluti, vedi `Il corazziere’ che resterà nella memoria del pubblico e mirabili scenette demenziali come quella con Marisa Merlini, `Adelina la Faciolara’, dalla rivista Perepé, perepé, perepé, questo è il mondo che piace a me (stagione 1950-51). Ancora una stagione di rivista, la seguente, con E invece pure e si inaugura la grande stagione del musical: i suoi autori-complici sono Garinei e Giovannini. Debutto nel 1952 con Attanasio cavallo vanesio ; il pubblico reagisce con entusiasmo. Nel 1953 Alvaro piuttosto corsaro ripete il successo di Attanasio , ma forse con maggior qualità di testo e musiche. Segue, nel ’54, Tobia la candida spia (i testi continuano a essere di Garinei e Giovannini) e poi nel ’57 Un paio d’ali , che fu un vero e proprio trionfo. Nel 1961, celebrandosi il centenario dell’unità d’Italia, Garinei e Giovannini confezionano per R. Enrico ’61 , in cui si ripercorrono cent’anni di storia patria.

Nel ’62, per coprire un buco di programmazione, Rascelinaria , spettacolo antologico di Rascel che ha il solo difetto di avere una programmazione troppo breve. Il 25 ottobre 1964 R. incontra in scena Delia Scala: Il giorno della tartaruga è una commedia con musiche che ha tutti i pregi e i difetti della ‘premiata ditta’ (ormai si definisce così la Garinei & Giovannini). I rapporti di Rascel con i due autori non sono mai stati idilliaci (del resto non lo sono mai stati con nessuno), ma ciò non impedisce il grande successo di Venti zecchini d’oro di P. Festa Campanile e L. Magni, regista Zeffirelli con il ‘piccoletto’, un asino, la Borboni feroce nei versi dell’Aretino, la bellezza incantevole di Maria Grazia Buccella e il progetto di Alleluja, brava gente, che andrà in scena alla fine del 1970 senza il coautore Domenico Modugno ma consacrerà un attore straordinario: Gigi Proietti. L’attività cinematografica di Rascel è piuttosto lunga, con un debutto nel 1942 (Pazzo d’amore, regia di Giacomo Gentilomo) e un’intensa attività negli anni ’50, ma spesso in film scadenti che ripetevano motivi e macchiette dei suoi spettacoli teatrali. Fanno eccezione Il cappotto , da Gogol’, con la regia di Alberto Lattuada (1952); La passeggiata, pure da un racconto di Gogol’, regia dello stesso Rascel (la sua unica in cinema; 1953); infine, nel 1959, Policarpo ufficiale di scrittura diretto da Mario Soldati.

Rascel ha scritto molte canzoni di successo, fra cui la canzone italiana più eseguita nel mondo, “Arrivederci Roma”; e poi “Romantica” (premiata a Sanremo), “Te voglio bene tanto tanto” e ancora altre. Infiniti programmi alla radio e due celebri trasmissioni di varietà in tv: Rascel la nuit (1956) e Stasera a Rascel-City (1964). Nel teatro di prosa ha debuttato al ridotto dell’Eliseo nel 1955 con Bobosse di André Roussin e Gli agnellini mangiano l’edera di Noel Langley. Nel 1967, per la televisione, ha interpretato I Boulingrin di Courteline e Delirio a due di Ionesco e nel ’70, sempre in tv, I racconti di padre Brown da Chesterton. Inoltre ha scritto le musiche per l’operetta Naples au baiser de feu , protagonista Tino Rossi, al Mogador di Parigi (1957).

Lionello

Nel 1953 Alberto Lionello recita nella compagnia Elle diretta da Marcello Giorda all’Excelsior di Milano Tre topi grigi di A. Christie con Fanny Marchiò, regista C. Fino. È poi nella compagnia Adani-Cimara-Volonghi (La sensale di matrimoni di T. Wilder e Come si dovrebbero amare le donne di C. G. Viola, 1956). L’affermazione arriva, sulla scia del grandissimo successo della Tv (Canzonissima, condotta con Lauretta Masiero e Aroldo Tieri, 1960-61) al Teatro stabile di Genova, dove dal 1962 al ’66, sotto la guida di L. Squarzina si offre in una serie di interpretazioni di altissimo livello che vanno dal Sartre del Diavolo e il buon Dio a Goldoni dei Due gemelli veneziani ai Pirandello notevolissimi di Ciascuno a suo modo (Diego Cinci) e Non si sa come (Romeo Daddi), a Shaw di Uomo e superuomo , al protagonista della Coscienza di Zeno di Svevo: Con lui ci sono la Morlacchi, De Daninos, la Mannoni, la Villi, Camillo Milli: un ensemble di prim’ordine che segna indelebilmente l’attività dello Stabile genovese, il periodo felice del lavoro registico di Squarzina. Nel 1969-70 è in coppia con Carla Gravina nel dramma quotidiano di Joe Egg (una figlia spastica ridotta a un vegetale) nella commedia di P. Nichols, diretta da M. Missiroli, dove il disfacimento del rapporto coniugale di una coppia nella quale l’irrompere della tragedia mostra crudamente l’inutilità di un rapporto che si regge su fondamenta inesistenti prosegue l’indagine avviata sulla cellula americana da Albee con Chi ha paura di Virginia Woolf?. Per alcune stagioni fa compagnia con Valeria Valeri (L’anitra all’arancia di W.D.Home, 1973 replicata ancora con Fioretta Mari) poi ottiene un altro grande successo con Ciao, Rudy al posto di Mastroianni nella riedizione dello spettacolo di Garinei e Giovannini e con Il piacere dell’onestà di Pirandello, regista Puggelli: e Il giuoco delle parti , regista Marcucci; insieme a lui la nuova compagna, l’affascinante e intelligente Erika Blanc. Dal Pirandello, replicato più stagioni passa a Divorziamo! del vecchio Sardou e a Shylock del Mercante di Venezia scespiriano (1990). È una delle ultime fatiche, rincorso dal male che lo distrugge qualche anno dopo. In tv bisogna ricordare almeno il suo ritratto di Puccini. Sua figlia Gea è attrice: nella stagione 1988-89 in La signorina Giulia con la regia di E. Siciliano per lo stabile della Calabria; nel 1995 è in Tre donne alte di Albee con M. Malfatti e la regia di Squarzina. Nel 1996, per il Teatro Segreto di R. Cappuccio, è interprete di Nel tempo di un tango al festival di Benevento; quindi seguono, nella stessa compagnia, le riprese di Shakespeare re di Napoli e Desideri mortali.

Girone

Il suo primo spettacolo da Marivaux è del 1979 ( La doppia incostanza , regia di A. R. Shammah), cui fa seguito, nella stagione 1989-90 La sorpresa dell’amore , diretto da S. Sequi. A Gibellina Remo Girone è nell’ Elettra della Yourcenar, con la regia di M. Avogadro. Nel 1996 viene scelto dal regista tedesco P. Stein per lo Zio Vanja di Cechov prodotto dagli Stabili di Parma e di Roma. Nella stagione 1997-98 affronta Orgia di Pasolini con la regia di M. Castri. Ha lavorato nel cinema, ma deve la sua popolarità alla Piovra televisiva scritta da Rulli e Petraglia.

Romano

Sergio Romano si è diplomato alla Scuola d’arte drammatica `P. Grassi’ di Milano. È stato diretto da Castri nel Progetto Euripide e in La vita è sogno di Calderón. Con la regia di G. Bosetti (e il teatro stabile del Veneto) ha preso parte a Spettri di Ibsen, Il bugiardo e La bottega del caffè di Goldoni, oltre a Zeno e la cura del fumo da Svevo; è stato Hamlet di Shakespeare con la regia di B. Besson; ha recitato in Il malato immaginario di Molière diretto da Lassalle, I due gemelli veneziani di Goldoni (regia di G. Emiliani), La Moscheta di Ruzante (regia di De Bosio), Il principe travestito di Marivaux, regia di C. Pezzoli. Di quest’ultimo autore ha di recente interpretato anche Le false confidenze , diretto da M. Sciaccaluga.

Boldi

Il battesimo di Massimo Boldi nel mondo dello spettacolo lo fa da batterista, suonando nelle sale da ballo di mezza Italia con suo fratello Fabio nel complesso ‘La pattuglia azzurra’. Nel 1969, grazie ad una fortunata coincidenza, è costretto ad accettare una sostituzione al mitico Derby Club. È qui che incontrerà, il duo Cochi e Renato e Teo Teocoli entrando nel cast della Tappezzeria di E: Jannacci e B. Viola. Dopo una partecipazione a Canzonissima (1974) il varietà televisivo che lo rende noto al grande pubblico è A tutto gag (1980). In questa trasmissione di Raidue B. interpreta alcuni dei suoi personaggi più famosi come Max Cipollino, un improbabile mezzobusto televisivo o il cuoco toscano «contrario alla pentola a pressione». Sempre in televisione, su Antenna 3, conduce il programma Non lo sapessi ma lo so (1982) dove si forma la coppia con Teo Teocoli per poi passare a Canale 5 nel fortunatissimo Drive in (1983). Se l’attività televisiva gli ha regalato la notorietà presso il grande pubblico, permettendogli di esprimere la sua comicità demenziale, intensa è stata anche la sua attività cinematografica. Già nel 1976 partecipa, insieme a molti dei cabarettisti del Derby di Milano, a Sturmtruppen di Salvatore Samperi, replicato da Sturmtruppen 2, debolissime trasposizioni cinematografiche delle strisce di Bonvi, che peraltro firma la sceneggiatura del secondo episodio. Il successo cinematografico per B. arriva con i film natalizi dei fratelli Vanzina e di Enrico Oldoini e la serie di A spasso nel tempo (1996). Da segnalare il tentativo di B. di proporsi come attore drammatico nel poco felice Festival (1997) di Pupi Avati.

Calindri

Pur essendo figlio d’arte, Ernesto Calindri al teatro arrivò quasi per caso dopo aver intrapreso studi di ingegneria. Alto, di bella presenza, debuttò nel 1929 come `ultimo generico’ accanto a L. Carini; fu poi in compagnie di `grande cartello’ dirette da R. Ruggeri, A. Ninchi, D. Galli, P. Borboni, E. Merlini. Nell’estate del 1937 venne chiamato da R. Simoni a Venezia per sostenere la parte di Florindo ne Il bugiardo di Goldoni e da quel momento iniziò la sua brillante carriera, in ruoli di primo piano e in un repertorio quanto mai vario, accanto a nomi importanti come quelli di S. Tofano, L. Cimara, A. Gandusio, E. Gramatica, L. Adani, E. Maltagliati. Nel 1944 è in `ditta’ con L. Adani, T. Carraro e V. Gassman; nel 1950 nasce la sua prima vera compagnia, che comprende anche L. Zoppelli, L. Solari, V. Valeri, L. Masiero, F. Volpi e A. Lionello. Ha avuto esperienze anche al Piccolo Teatro di Milano e allo Stabile di Genova, con registi quali Visconti, Strehler e Costa che lo diresse ne L’avaro di Molière (1970).

Nel 1966, alla televisione, diventò testimonial (lo sarà per diciotto anni) di un noto aperitivo: così divenne `l’uomo del Cynar’, caso unico di messaggero pubblicitario che allargò a dismisura la sua fama. Sul video in quegli anni, oltre che in numerose commedie, apparve anche in uno show tutto suo, Il signore delle 21. Dal 1969 al ’75, al San Babila di Milano, fu direttore (con F. Piccoli) di una formazione semi-stabile, con un repertorio pronto a spaziare da Feydeau a Rattigan, da Ionesco a Pirandello ( Pensaci, Giacomino! anche in veste di regista, 1974). In seguito ha continuato a essere molto attivo sulle scene, in lavori di qualità non sempre eccelsa ( Sul lago dorato , Indovina chi viene a cena? ) ma in cui ha saputo, e con sottile umorismo, portare quel tratto di grande eleganza e civiltà che lo ha sempre contraddistinto. Quel suo fare sorridente e argutamente salottiero – caratteristica tutt’altro che riduttiva – lo ha fatto considerare da molti l’ultimo gentleman della scena italiana. Di ciò fanno fede anche le più recenti interpretazioni di Mercadet, l’affarista da Balzac e del Borghese gentiluomo di Molière. Per una decina d’anni, a partire dal 1975, C. fu anche maestro, insegnando all’Accademia dei Filodrammatici di Milano.

Venturiello

Dal 1979 al 1982 Massimo Venturiello studia all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’; debutta con G. Lavia nel Tito Andronico di Shakespeare. Da allora lavora quasi sempre come protagonista in diversi spettacoli, alternando drammaturgie classiche e contemporanee e impegnandosi anche sul fronte del teatro di ricerca: American Buffalo di D. Mamet; La mandragola di N. Machiavelli, regia M. Scaccia; True West di S. Shepard, regia F. Però; Un saluto, un addio di A. Fugard, regia F. Però. Stringe una proficua collaborazione con il Teatro stabile di Genova: La putta onorata di C. Goldoni, regia M. Sciaccaluga; Jacques e il suo padrone di M. Kundera, regia L. Barbareschi; Giacomo il prepotente di G. Manfridi, regia P. Maccarinelli (1987). Passa poi al Teatro stabile di Torino dove recita nel Timone d’Atene diretto da W. Pagliaro. Cura la regia di Jazz e di La sonata di Kreutzer da L. Tolstoj. Con il regista di G. P. Solari inaugura un nuovo sodalizio che lo porta a interpretare La musica in fondo al mare di M. Confalone, Una notte poco prima della foresta di B. Koltés e il recentissimo Brancaleone (1998). Nel 1996 è la volta di La rosa tatuata di T. Williams, con la regia di G. Vacis, dove è al fianco di V. Moriconi, nella parte che fu di B. Lancaster nella celebre trasposizione cinematografica. Infine va ricordata la sentita partecipazione alla riedizione di Masaniello , con la regia di A. Pugliese (1997). Per il cinema e la televisione lavora con diversi registi tra cui: G. Salvatores, N. Michalcov, P. e V. Taviani, E. Scola, M. Ferrero, S. Bolchi, M. Ponzi, C. Vanzina, C. Lizzani, G. Bertolucci.

Castelnuovo

Dopo il debutto, ancora giovanissimo, Nino Castelnuovo in veste di mimo nella trasmissione Zurlì il mago del giovedì (1957), ha ottenuto grandissima popolarità interpretando Renzo Tramaglino nei Promessi sposi televisivi di S. Bolchi (1967). Per molti anni il pubblico italiano ha continuato a identificarlo con questo personaggio, anche se C. poteva vantare la partecipazione ad alcuni film di indiscusso valore quali Les parapluies de Cherbourg (1964) di J. Demy, al fianco di Catherine Deneuve, Un mondo nuovo (1965) di V. De Sica e Il rompiballe (1974) di E. Molinaro. Ironia della sorte, più che il cinema fu ancora la televisione, questa volta attraverso uno spot, a rendere popolare C., che rimase nella memoria di tutti come quello che `saltava la staccionata’ grazie alle qualità di leggerezza di un olio. Tra le sue frequentazioni teatrali si segnalano L’hai mai vista in scena? (1979), regia di Franco Enriquez con la compagnia di Valeria Moriconi, L’impostore (1981) e L’impresario delle Smirne di Goldoni, regista G. Cobelli. Da segnalare anche la sua partecipazione ad alcuni sceneggiati televisivi ( La voce della tortora, 1974; Ritratto di donna velata, 1975; La gatta, 1978; Le affinità elettive, 1979).

Houdini

Grande uomo di spettacolo, Harry Houdini è considerato il più celebre illusionista di tutti i tempi: specializzato nell’escapatologia, la capacità di liberarsi da qualsiasi manetta o uscire da qualsiasi cassa, baule o cella. Uno dei dieci figli di un rabbino ungherese emigrato negli Usa, H. è sin da giovanissimo appassionato praticante di attività sportive che fortificano il suo fisico. Debutta a diciannove anni, assieme a un partner, all’Esposizione colombiana di Chicago col nome The Brothers Houdini. Il nomignolo gli è ispirato da Eugene Robert-Houdin (1805-1871), celebre illusionista francese. Nel 1894 sposa Wilhelmina Beatrice Rahner, detta Bess, componente di una piccola compagnia teatrale itinerante, che diventa sua partner e compagna di tutta la vita. Nel 1895 riscuote i primi timidi successi riproponendo il vecchio trucco della `metamorfosi’: Bess viene chiusa ammanettata dentro un baule, sul quale viene sollevato un telo nero che, immediatamente abbassato, rivela l’artista libera e Harry Houdini incatenato al suo posto. Dopo una mezza dozzina d’anni in giro per piccoli circhi e side show , durante i quali frequenta altri personaggi destinati a fama duratura come i Keaton, nell’estate del 1899 Harry Houdini è scoperto da Martin Beck, uno dei più importanti agenti del mondo del vaudeville.

La sua carriera ha così un’impennata, che lo porta in un anno a essere considerato una stella di primo piano dell’ entertainment internazionale. Harry Houdini, dotato di notevole personalità e carisma scenico, comprende che deve trovare una strada per distinguersi nell’affollato panorama dei circuiti di varietà. Sceglie l’escapatologia e comincia a liberarsi da manette e camicie di forza portate dai componenti del pubblico. La grande notorietà arriva proprio all’alba del secolo, quando, il 5 aprile del 1900, nella prigione di Chicago, si fa perquisire e rinchiudere in una cella, dalla quale esce tre minuti dopo; la dimostrazione si ripete quasi a ogni città visitata. Harry Houdini ottiene così un enorme `ritorno’ pubblicitario: i suoi compensi crescono a dismisura, il suo nome diventa il primo in cartellone, i giornali lo intervistano e, da grande egocentrico e abile promotore di se stesso, modifica ad hoc il proprio passato. Nello stesso anno il primo tour europeo, che parte dall’Alhambra di Londra; in Inghilterra Harry Houdini fugge da celle che avevano trattenuto celebri criminali condannati a morte. Nel settembre del 1900, a Dresda, la polizia tedesca lo accusa di frode e lo denuncia. Inizia un processo che si conclude con la vittoria di Harry Houdini, il quale rivela, ma solo ai giudici, alcuni dei suoi trucchi di scena. In Germania viene chiamato `simbolo della libertà’ e `il Napoleone della réclame’.

Nel 1903 in Russia, nelle prigioni Butirskaja, viene legato e ammanettato dentro un carro destinato ai deportati in Siberia, dal quale esce in ventotto minuti. Il pubblico di ogni Paese è conquistato dalla miscela di sfida alle autorità costituite, mito del self-made man , illusionismo e culto del fisico e del bizzarro, oltre che dal fascino dell’assoluta segretezza delle sue tecniche. Nel 1905 torna negli Usa, dove firma un contratto di tre anni con il più grande circuito di teatri di varietà dell’epoca, il Keith-Albee. Alla ricerca di nuovi trucchi e trovate pubblicitarie, dopo lunghe prove per nuotare e resistere nell’acqua gelida, nel 1907 inizia a gettarsi nei fiumi dai ponti, ammanettato. Al primo lancio, il 6 maggio a Rochester (New York), assistono oltre diecimila spettatori. Da allora si getta in pratica in tutti i fiumi d’America, con incatenamenti che diventano sempre più complicati e spettacolari, fino a farsi rinchiudere in una cassa immersa nei corsi d’acqua. Lancia anche le `open challenges’, sfide aperte nelle quali invita gli spettatori a presentarsi con oggetti da dentro i quali prova a liberarsi. Con questo stratagemma riesce in realtà a farsi sponsorizzare da ditte che gli presentano oggetti di ogni tipo, come enormi palloni da rugby o gigantesche buste da lettera. Dimostra anche un interesse per la storia della magia, e comincia ad ammassare libri e altro materiale setacciando negozi di antiquariato. Scrive articoli e volumi di narrativa e saggistica; nel 1908 pubblica The Unmasking of Robert-Houdin , una storia della magia nella quale cerca di sconfessare il celebre illusionista dal quale ha preso il nome.

Appassionato pioniere dell’aeronautica, il 18 marzo 1910, durante una tournée in Australia, è il primo uomo a volare in quel continente. Nell’immaginario collettivo si afferma sempre più la sua figura di temerario. Ma anche in scena esegue trucchi spettacolari; resta celebre la `cella della tortura cinese’: l’artista si fa rinchiudere a testa in giù, con i piedi vincolati a un cavo e ammanettato, dentro un parallelepipedo di cristallo pieno d’acqua dal quale si libera in due minuti (esercizio ripreso anche nel famoso film di George Marshall con Tony Curtis: Houdini , 1953). L’esercizio è eseguito per la prima volta il 21 settembre 1912 al circo Busch, a Berlino. Inventa l’attraversamento di un muro di solidi mattoni, costruito in scena a piena vista. Nuova trovata da prima pagina: si fa appendere a testa in giù con una camicia di forza ai pennoni di altissimi grattacieli, con migliaia di spettatori a vederlo, nello spirito della cultura di massa del ventesimo secolo. Durante la prima guerra mondiale è molto attivo nell’organizzare spettacoli di beneficenza per le truppe; gli viene anche chiesto di dare ai soldati americani lezioni di sopravvivenza sott’acqua.

Nel 1918 inizia la carriera cinematografica con la serie The Master Mystery ; in seguito fonda due proprie compagnie di produzione, con alterna fortuna. Diventa famosissimo, è amico o conoscente di numerosi personaggi della cultura e della società del suo tempo; incontra i presidenti Theodore Roosevelt e Woodrow Wilson, frequenta Sarah Bernhardt, Jack London e la moglie Charmian. Nello stesso tempo scrive brevi racconti dell’orrore, alcuni in collaborazione con H.P. Lovecraft. Nel 1924, a cinquant’anni, inizia una crociata antispiritualista che gli porta una rinnovata, incredibile notorietà. Tutto nasce da una querelle con l’amico scrittore A. Conan Doyle (il noto creatore di Sherlock Holmes), convinto assertore delle capacità medianiche di Harry Houdini, il quale invece afferma di eseguire le proprie prodezze senza l’utilizzo di mezzi soprannaturali; pubblica così A Magician Among the Spirits , un libro contro le frodi dei finti medium, che allora andavano per la maggiore. Chiamato a far parte di un comitato della rivista “Scientific American”, smaschera gli inganni dei falsi medium riproponendo i presunti fenomeni paranormali nei propri spettacoli. La messe di articoli, editoriali e lettere prodotti da questi eventi sposta di fatto la figura di Harry Houdini dal campo dell’intrattenimento a un contesto sociale, religioso e scientifico.

Nel 1925 il suo spettacolo Houdini approda finalmente nel cartellone ufficiale di Broadway, in competizione con i maggiori attori dell’epoca. La rappresentazione dura due ore ed è divisa in tre parti: ‘Magic’, sessanta minuti di pura magia in omaggio ai grandi del passato (come Bartolomeo Bosco o il bistrattato Robert-Houdin); ‘Houdini Himself, in Person’, con esercizi che lo hanno reso famoso, dalla ‘metamorfosi’ alla ‘cella della tortura cinese’; ‘Do the Dead Come Back’, un’ora di forum sui falsi medium. Nello stesso periodo batte il record di Rahman Bey, un presunto fachiro che è riuscito a resistere un’ora all’interno di una cassa sigillata grazie a una ‘catalessi anestetica’; Harry Houdini rimane per un’ora e mezza in una bara, immersa nella grande piscina dell’hotel Shelton. È il suo primo esercizio di enterologia, piuttosto che di escapatologia: grande risonanza dei media, il “Times” titola «Houdini wins». Nell’ottobre del 1926, mentre è in tournée a Montreal, un fan entrato in camerino gli chiede se è vero che è in grado di sopportare qualsiasi forte colpo agli addominali e lo colpisce ripetutamente allo stomaco; il giorno dopo Harry Houdini si sente male durante lo spettacolo. Il 25 ottobre viene ricoverato a Detroit e operato; gli viene rimossa l’appendice, ma si è ormai prodotta una peritonite che, il 31 ottobre, lo porta alla morte.

Rossi Gastaldi

Patrick Rossi Gastaldi esordisce come attore per passare alla regia all’inizio degli anni ’90, allestendo spettacoli di autori contemporanei: Terapia di gruppo di C. Durang – traduzione di G. Lombardo Radice – di cui è anche interprete (Todi, 1992); L’atelier di Grumberg, traduzione di G. Lombardo Radice (Todi,1993); I pappagalli di T. Tally – adattamento di G. Lombardo Radice – (1995), con Valerio Mastrandrea; Oberon di U. Chiti (Benevento, 1995), di cui è anche interprete accanto a Pupella Maggio; Il pianeta proibito (Shakespeare & rock’n’roll) di Bob Carlton (Todi, 1995); Bodies di J. Saunders (Roma, 1996); Non ti conosco più di A. De Benedetti (Trieste, 1996); I peggiori anni della nostra vita di E. Vaime (1996), con Gianfranco D’Angelo; Separazione di T. Kempinski (Roma, 1997), con Margherita Buy.

Micheli

Maurizio Micheli passa l’adolescenza a Bari e a vent’anni si trasferisce a Milano dove frequenta diplomandosi la Scuola d’arte drammatica del Piccolo Teatro di Milano. È in questa città il suo esordio teatrale. Vive esperienze assai varie, dimostrando una buona capacità di adattarsi a espressività diverse. Tuttavia il suo specifico artistico rimane il comico. Interprete di numerosi spettacoli, con registi di fama come Patrice Chéreau e Aldo Trionfo, dal 1972 al 1977 si dedica al cabaret dove scrive e interpreta ben quindici spettacoli, tra cui Patria e mammà , Giovinezza addio , Magic modern Macbett e una versione di Cyrano . Nel 1978 scrive con Umberto Simonetta Mi voleva Strehler che colleziona oltre quattrocento repliche, un testo che racconta le attese e le speranze di un attore chiamato dal grande regista. Nel 1981 mette in scena al Teatro Piccola Commenda di Milano Né bello né dannato e nel 1984 è al Teatro Gerolamo di Milano con Nudo e senza meta , entrambi da lui scritti e diretti. È autore del testo Il lupo, messo in scena nel 1985 da Daniele Formica e nello stesso anno recita ne Il contrabbasso di Süskind, di cui cura la traduzione e l’adattamento. Poi scrive, dirige e interpreta lo spettacolo musicale Il complesso (1987). Dopo alcune fortunate esperienze televisive torna al teatro con la pièce In America lo fanno da anni (1988) scritta insieme con U. Simonetta, incentrata sul mondo della televisione. Nel 1989 recita in L’ultimo degli amanti focosi di Neil Simon per la regia di Nanni Loy e in Romance romance una commedia musicale diretta da Luigi Squarzina. Più di recente ricordiamo Disposto a tutto (1992) scritto insieme a Enrico Vaime e Cantando cantando (1994), di cui è autore e regista. La vena brillante caratterizza le ultime stagioni con le interpretazioni dei remake delle commedia musicale firmate da Garinei e Giovannini: Buonanotte Bettina con Benedicta Boccoli (1994-95) e Un paio d’ali con Sabrina Ferilli (1996-98). M. è inoltre autore di canzoni e di programmi televisivi tra cui: Al Paradise regia Antonello Falqui, Viva le donne e Grand Hotel scritto a quattro mani con Umberto Simonetta e Cinema che follia . Nel cinema è protagonista di uno dei migliori film di Bruno Bozzetto, Allegro ma non troppo (1978).

Nicolai

Dopo aver frequentato lo Studio Fersen e l’Accademia d’arte drammatica `Silvio D’Amico’ Sergio Nicolai debutta in Romeo e Giulietta diretto da F. Zeffirelli, col quale resta dal 1965 al ’68 prendendo parte anche alla Lupa di Verga, con Anna Magnani, Anna Maria Guarnieri e Osvaldo Ruggieri. Nel ’68 è lo studente Diofane in Venti zecchini d’oro con Rascel, la Borboni. Maria Grazia Buccella, Angela Luce, Osvaldo Ruggieri e nel la stagione successiva Ronconi lo sceglie per Rinaldo nel fortunatissimo Orlando furioso (debutto a Spoleto, poi in tournée nelle piazze italiane: Bologna, Verona, Milano). E a Milano, in piazza Duomo, mentre Astolfo cavalca sull’Ippografo per andare sulla luna a riprendere il senno di Orlando gli spettatori sfollano eccitati la piazza e corrono a casa ad incollarsi sui televisori per la cronaca in diretta dell’arrivo sulla luna degli astronauti americani. Con Ronconi resta fino al 1974 ,dopo un salto di un anno per prendere parte a La cucina di A. Wesker diretto dalla Wertmuller e a Fuenteovejuna , regia di M. Parodi: interpreta così XX di R. J. Wilcock all’Odéon di Parigi, è Egisto nell’ Orestea fra la Melato e la Fabbri e il Vescovo bianco nella Partita a scacchi di T. Middleton. È inoltre diretto da Trionfo, Marcucci, Nanni, Menegatti ( Adieu et aurevoir , E. Dusesouvenir i Giulietta e La scuola di ballo , sempre con la Fracci, mentre sempre più lavora nel cinema, da Zampa ( La contestazione generale) a Gesù di Nazaret di Zeffirelli , Il generale e Secondo Ponzio Pilato di Magni , Maux Croisés di Chabrol, Manon Roland di Molinaro (1989), Il trionfo di Sandokan di Castellari (1996) e il recente La cena di Scola nel ruolo del Padre.

Le Moli

Alla fine degli anni ’70 Walter Le Moli è la mente pensante e organizzativa della Compagnia del Collettivo, di cui ha promosso la crescita facendola divenire, con il teatro di Parma, il primo «organismo con finalità pubblica e responsabilità privata» del panorama italiano. Dal 1990 è direttore artistico del Teatro stabile di Parma, dal 1996 è presidente del Comitato di coordinamento delle attività teatrali di prosa dell’Agis nazionale, componente del Consiglio nazionale dello spettacolo e consigliere della Biennale di Venezia in rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei ministri. Oltre al suo ruolo istituzionale, ha curato numerose regie per la compagnia del Collettivo-Teatro Due: da L’assicurazione di Weiss (1985) a Lulu di Wedekind (1987), da Tartufo (1988) a Il gabbiano (1989), da Max Gericke di Karge (1990-91, di cui ha curato anche la traduzione) a I sequestrati di Altona di Sartre (1992 e 1994), fino a Güst di Achternbusch (1995) e Giovanna d’Arco (allo Stabile di Torino, 1998).

Teocoli

Teo Teocoli inizia la sua carriera nell’ambiente della musica leggera e dopo aver girato diversi gruppi entra nel Clan di Celentano. Negli anni ’70 con la nascita del Derby, una fucina di grandi talenti capitanati da Cochi e Renato, Teocoli vive la fase determinante della sua formazione artistica e umana. Tra i mille aneddoti della sua carriera vale la pena ricordare la sua partecipazione come ballerino nella versione italiana di Hair. In coppia con Massimo Boldi raggiunge la popolarità e il successo oltre che nel mondo del cabaret anche in televisione e sul grande schermo. Il suo dinamismo, le doti canore e d’improvvisazione e l’irresistibile mimica fanno di lui a buon titolo uno dei comici italiani più amati dal pubblico di tutte le età. I suoi personaggi, con il loro slang e una mimica irresistibile, sono entrati nell’immaginario collettivo grazie alla tv (Drive in, Emilio, Mai dire gol): da Peo Pericoli a Felice Caccamo, da Gianduia Vettorello all’imitazione di Miguel Indurain e Ray Charles.

Trionfo

Dopo gli studi di ingegneria (durante i quali era già impegnato come musicista e pittore) Aldo Trionfo si dedicò al teatro partecipando come mimo e attore a due spettacoli di A. Fersen: La Regina di Saba (1945) e Lea Lebowitz (1946). Nel 1947 cominciò come attore, scenografo e aiuto regista il suo sodalizio (che durò fino alla fine della stagione 1952-53) con il Carrozzone di F. Piccoli, recitando soprattutto parti di caratterista in testi classici ( Un curioso accidente , 1947; La dodicesima notte di Shakespeare, 1948; Medea di Euripide, 1951; Le furberie di Scapino di Molière, 1951; Zio Vania di Cechov, 1952), in lavori di repertorio di Molnár e Giacosa e in novità come I soldati conquistatori di Joppolo (1949).

Per alcuni anni si diede al cinema collaborando alla sceneggiatura di La signora senza camelie di Antonioni (1953) e come aiuto regista di De Santis in Un marito per Anna Zaccheo (1953) e di Visconti in Senso (1954), e fu direttore artistico della Casa cinematografica Esedra. Nel 1957, a Genova, fonda la Borsa di Arlecchino, caffè-teatro in cui venivano proposti per la prima volta al pubblico italiano testi della rinascente avanguardia europea, da Ionesco (La lezione, 1957; La cantatrice calva, 1958; Jacques ou La soumission, 1958; Vittime del dovere, 1958; La ragazza da marito, 1960) a Tardieu (Solo loro lo sanno, Il linguaggio delle famiglie, Un gesto per un altro e Il signor Dieci, 1960), da Obaldia (Un coniglio molto caldo, 1958) a Beckett (Finale di partita, 1959), da Adamov (Les retrouvailles, 1958) a Genet (Alta sorveglianza, 1960), nonché ‘riviste’ poetiche e musicali dello stesso Trionfo.

Le sue prime regie professionali sono del 1963 per lo Stabile di Trieste con Storia di Vasco di Schéhadé e Tamburi nella notte di Brecht con la Stabile di Bologna. Seguono Dialoghi con Leucò da Pavese e Vinzenz o L’amica degli uomini importanti di Musil nel 1964; la novità Andiamo a guardare Sonia di Silvestri e Verucci e il Prometeo incatenato di Eschilo nel 1965. Dal 1972 al 1976 diresse lo Stabile di Torino, dove consolidò il sodalizio con lo scenografo e costumista Emanuele Luzzati. Nella scelta dei testi e degli autori ha mostrato particolare interesse per il teatro inglese del Cinque-Seicento, per lo Shakespeare di Tito Andronico e di Re Giovanni e l’anonimo Arden di Feversham fino a scandagliare il grottesco in Faust-Marlowe-Burlesque (1976) con Carmelo Bene e Franco Branciaroli.

Memorabili restano le regie di Peer Gynt (1972) e Il piccolo Eyolf di Ibsen (1968), Elettra (1974) e Edipo a Colono di Sofocle, Le baccanti di Euripide, Puntila e il servo Matti di Brecht (1970), Carnevale romano di Hubay (1981), I corvi di Becque (1980), la trilogia dannunziana La città morta , Francesca da Rimini e La nave (1988), fino alla collaborazione con il Teatro della Tosse di Genova dell’ultima Però peccato, era una gran puttana di J. Ford (1989). Dal 1980 al 1986 ha diretto l’Accademia d’arte drammatica `Silvio D’Amico’.

Picasso

Lamberto Picasso fu entusiasta sostenitore di un teatro d’arte e in questa direzione tentò di riformare la figura dell’attore. Dopo il successo in Sei personaggi e All’uscita , al Teatro Argentina di Roma nel 1992, collaborò con Pirandello nella compagnia del Teatro Odescalchi e insieme misero in scena un vasto repertorio dove si distinse in tutte le sue interpretazioni per intelligenza, misura e modernità. Interpretò i personaggi di alcune fra le figure più note del teatro contemporaneo: L. Andreev, F. Crommelynck, F. Molnar, L. Chiarelli, M. Bontempelli e U. Betti. Firmò alcune regie, tra cui il Grande viaggio di Sheriff, nel 1930, che viene ricordato anche per la sua interpretazione. Al cinema fu protagonista, fra gli altri, de La rosa di Frateili (1921), di Scipione l’Africano (1937) e di Un garibaldino al convento (1942). Nel 1946, con P. Borboni, diresse la compagnia per le celebrazioni pirandelliane a dieci anni dalla morte del maestro. Negli anni ’50 fu ancora un grande Enrico IV al Teatro Pirandello (ora Tordinona) con le scene di Renato Guttuso.

Cremona

Con alle spalle una lunga esperienza di cabaret, è nel locale milanese Ca’ Bianca che, dal 1983, Raul Cremona decide di dedicarsi al filone della magia ludico-demenziale. Dal prestigiatore gay a quello più imbranato, i personaggi di C. raggiungono la popolarità grazie ad alcune partecipazioni a trasmissioni televisive tra le quali Fantastico (1991), Domenica in (1992-93) e Italia Forza! (1994). Il suo grande amore per la musica degli anni ’40 e i comici di quell’epoca crea il filo conduttore di Mugic! , uno show realizzato da C. nel 1994 con il compositore-pianista Lelé Mico. Conquista poi il grande pubblico con i suoi personaggi più famosi: parodie di maghi fittizi quali Jimmy King, America-kitch, Jerry Manipolini e il napoletano Oronzo, presentato a Italia Forza! e a Mai dire gol nel 1996.

Antonutti

Dalla intensa presenza scenica, Omero Antonutti esordisce in teatro allo Stabile di Genova, con I due gemelli veneziani, di Goldoni, regia di Luigi Squarzina (1964), per poi affrontare ruoli sempre più impegnativi in spettacoli pirandelliani (Questa sera si recita a soggetto, 1973 e Il fu Mattia Pascal, 1975, entrambi con la regia di Squarzina) o ne L’anitra selvatica di Ibsen, per la regia di Luca Ronconi (1977). Dal 1973 lavora stabilmente come attore cinematografico: ottimo interprete nel 1976 in Padre padrone e nel 1983 in Kaos dei fratelli Taviani; in Il maestro di scherma di Pedro Olea (1992, candidato per la Spagna all’Oscar 1993); El Dorado di Carlos Saura (1986); Genesi di E. Olmi (1993). Particolarmente attivo anche in televisione, A. si segnala in Mio figlio non sa leggere (1983) e La Frontiera di F. Giraldi (1996).

Barberio Corsetti

Rappresentante di punta del teatro di ricerca in Italia, Giorgio Barberio Corsetti ha fondato nel 1976 la compagnia La Gaia Scienza, dal titolo dell’omonimo saggio di regia con il quale si è diplomato nel 1975 presso l’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’. Dopo una serie di spettacoli originali e di successo, l’ultimo è Cuori strappati (1984), l’artista romano scioglie la compagnia e forma un nuovo gruppo che porta il suo nome. Alla Biennale di Venezia del 1984 la Compagnia teatrale di Giorgio Barberio Corsetti presenta Il ladro di anime e nel 1986 mette in scena Diario segreto contraffatto . Nel 1985 Giorgio Barberio Corsetti inizia la fase sperimentale del video nella drammaturgia teatrale e, in collaborazione con lo Studio Azzurro di Milano, realizza Prologo a Diario segreto contraffatto (1985), prima parte di una trilogia sperimentale che si completa successivamente con Correva come un lungo segno bianco (1986) e con La camera astratta (1987, premio Ubu per il video-teatro). Il 1988 vede la compagnia impegnata in un progetto elaborato dallo stesso Giorgio Barberio Corsetti, che porta alla messa in scena di una trilogia di racconti brevi che punta su una forte astrazione e cerca di esprimere le tensioni della scrittura e dell’universo poetico di Kafka: Descrizione di una battaglia (1988), Di notte (1988), Durante la costruzione della muraglia cinese (1989). Nel 1990 con Il legno dei violini , di cui è autore e regista, Giorgio Barberio Corsetti vince il premio Idi per la regia e il premio della critica come miglior spettacolo. Dopo la trilogia sui racconti brevi, l’artista romano rivolge nuovamente il suo interesse all’autore praghese realizzando una riscrittura di America (dall’omonimo romanzo incompiuto del 1912), spettacolo itinerante di forte carica narrativa e di grande attenzione ai personaggi. Il protagonista, Karl, percorre (insieme agli spettatori, ignari di questa performance improvvisata che li vede co-protagonisti) un itinerario attraverso i luoghi della città, alla ricerca della sua identità nel mondo. Con Americ, viaggio metaforico alla ricerca del sé, Giorgio Barberio Corsetti realizza un inedito rapporto con la parola proponendola a volte come testo primo, altre come commento stesso all’azione, che riporta alla tensione letteraria della scrittura kafkiana. Nel 1993 l’autore inizia un suo percorso personale intorno al Faust di Goethe di cui ne è primo risultato Mefistofele, studi, schizzi e disegni per un Faust privato (1995), che si conclude con la messa in scena di un Faust (1995), sottratto agli schemi tradizionali e rivisitato in termini originalissimi, nel quale il video conquista il ruolo scenografico grazie a monitor su carrelli che scorrono lungo l’intero spazio scenico e proiettano l’immagine di personaggi che dialogano con la loro effigie vera.

Interprete, autore e regista dello spettacolo, Giorgio Barberio Corsetti mette anche l’accento sulle musiche che spaziano dall’opera alla rivista, al cabaret, per attualizzare l’ambiguità di un personaggio sospeso tra magia e quotidianità. La nascita della tragedia-un notturno (1996), spettacolo pensato in forma di viaggio attraverso il tragico nella città, che vede la partecipazione di Franco Citti nel ruolo del `padre cieco’, è una bellissima performance nel cuore cattivo della metropoli che ridefinisce il senso del teatro; una sorta di pellegrinaggio necessario dentro la tragedia del vivere contemporaneo che coinvolge gli spettatori nei luoghi della città e si conclude all’interno del teatro, lo spazio dell’Acquario, luogo dell’eterna rappresentazione dell’esistenza. Lo spettacolo segna la conclusione del primo `Progetto acquario teatro laboratorio’, l’attività di spettacolo affidata a Giorgio Barberio Corsetti dal Comune di Roma. Fra l’immaginario urbano di oggi e l’universo poetico di antiche storie calate nella magia dei testi vedici indiani, prende forma Notte (1998): l’universo di riferimento è composto dalla memoria delle origini, memoria di antichi testi sacri e racconti mitologici. I personaggi, metafora dell’umanità (un poeta, un giocatore, una ragazza, tre vecchie donne, delle madri, un padre, un giudice, un giovane uomo), si incontrano come ombre nella notte metropolitana e ritrovano una scintilla, una piccola illuminazione che li mette in contatto con la parte più intima di se stessi, in relazione con quella zona segreta laddove gli esseri si toccano profondamente e le loro vicende (che prendono il linguaggio antico dei Veda, i testi sapienziali indiani) assumono connotazione universale, incrocio tra passato e presente. Nel 1997 per la prima volta Giorgio Barberio Corsetti lavora su un testo di Pirandello firmando la prima messa in scena assoluta in Portogallo di I giganti della montagna al Teatro Nacional di San João di Oporto, mentre per l’Expo di Lisbona progetta una macchina scenica che, insieme a quella realizzata da altri artisti e altri gruppi catalani (come la `Fura dels Baus’), partecipa a Peregrinacão , l’evento itinerante dedicato dall’esposizione universale al viaggio e al pellegrinaggio nell’ultimo scorcio del secolo. Il processo da Kafka, l’ultimo spettacolo di Giorgio Barberio Corsetti in Italia, ha debuttato a Palermo in occasione del Festival sul Novecento nell’ottobre del 1998.

Kanze

Discendente di Kan’ami e Zeami, appartiene alla scuola Kanze, famiglia d’arte che ha conservato e tramandato di generazione in generazione gli insegnamenti secolari di questa tradizione teatrale. Hideo Kanze ha cominciato a praticare il nô all’età di tre anni, con il padre e il nonno; a quattro era con loro in scena. Ha studiato all’università nazionale di Tokyo, poi alla scuola Kita; nel 1959 è stato chiamato a far parte dell’Associazione nazionale del nô. Da allora ha perseguito l’ideale di un teatro che nascesse dallo scambio tra il nô tradizionale e gli altri generi teatrali classici, non trascurando la musica moderna, la danza e le arti figurative. Di questi tentativi di contaminazione l’esito più recente è Nulla (Mu, 1997): nato dalla collaborazione con il massimo esponente del butoh, Kazuo Ohno, e con il regista Akira Okamoto, vi si intrecciano la storia classica del nô Ubasute e Rockaby di Beckett, ispirato ai temi della vecchiaia e della solitudine. Dopo una parentesi come regista all’Abbey Theatre e al Berliner Ensemble, alla fine degli anni ’70 l’artista giapponese è tornato a dedicarsi al nô. K. è anche attore cinematografico, regista di opere liriche e docente universitario a Kyoto.

Modugno

Autore di canzoni celeberrime, una sopra tutto, “Nel blù dipinto di blù”, detta “Volare”, da cui un suo soprannome internazionale `Mister Volare’. Negli anni ’50, prima di diplomarsi al Centro sperimentale di cinematografia, Domenico Modugno esordisce con piccoli ruoli in cinema. Nel ’52 è in teatro, Il borghese gentiluomo di Molière, e nel ’53 debutta in radio, nella trasmissione Il trampolino dove presenta le sue canzoni “Lu pisce spada” e “Ninna-Nanna”. Nella stagione 1953-54 in teatro partecipa con le sue canzoni a Controcorrente , con Walter Chiari. Nel 1956 è in tv (“L’Alfiere”, regia di Anton Giulio Majano) e nel ’58 vince per la prima volta il Festival di San Remo (che viene trasmetto in tv) con “Nel blù dipinto di blù” e fa il bis nel ’59 con “Piove”; da quel momento le sue canzoni acquistano la giusta notorietà e diventano in parecchi casi successi internazionali. Il cinema non ha mai offerto a M. occasioni degne di lui, il che non gli ha impedito di interpretare più di trenta film e anche di dirigerne uno ( Tutto è musica , 1963). Mentre in tv oltre a una partecipazione a “Canzonissima” (1970) è protagonista di uno sceneggiato, “Il marchese di Roccaverdina” (1972) di “Don Giovanni in Sicilia” (1977) e di “Western di cose nostre” da Sciascia. Molto teatro di prosa, interpretando Brecht e Pirandello, con un memorabile Liolà . M. è stato una delle figure di punta del musical italiano: ha scritto le musiche per tre di questi ed è stato il protagonista di due. Rinaldo in campo , di Garinei e Giovannini, con Delia Scala, Franchi e Ingrassia, 1962: un enorme meritato successo; Tommaso d’Amalfi , di Eduardo De Filippo, con Liana Orfei e, ancora, Franchi e Ingrassia, un enorme, non del tutto meritato, insuccesso; infine, a causa della malattia, rinunziò a esserne co-protagonista di Alleluja, brava gente di Garinei e Giovannini, con Renato Rascel, Luigi Proietti (che sostituì M.) e Mariangela Melato: in scena per due stagioni dal 1970 al ’72 e recentemente ripresa al Sistina in una nuova edizione. Nel 1972, M. ristabilitosi è protagonista, con la regia di Strehler e accanto a Milva de L’opera da tre soldi di Brecht con musica di Kurt Weill.

Gazzolo

Figlio d’arte, il padre era Lauro Gazzolo, Virginio Gazzolo abbandona gli studi universitari di medicina e debutta con la regia di De Bosio ne Il più gran ladro della città di Dalton Trumbo (1960). Poco dopo è al Teatro Centouno, una delle prime cantine romane di teatro sperimentale con A. Calenda e S. Sequi impegnato in testi contemporanei: Arrabal, Beckett, Pinter, Vian, con la collaborazione del Gruppo 63. Fa parte anche della Comunità teatrale dell’Emilia Romagna – una delle prime cooperative teatrali autogestite – lavorando con G. Cobelli e R. Guicciardini. Importante la sua interpretazione ne L’histoire du soldat per il Maggio fiorentino con Sequi. Segue, dal 1980, una assidua collaborazione con il Centro teatrale bresciano: tra i dieci spettacoli a cui prende parte spiccano alcune tragedie, il Kean diretto da Aldo Trionfo e Isadora Duncan con C. Fracci. Negli anni ’90 è ritornato ad affrontare allestimenti meno scontati: è protagonista di Aspettando Godot e Finale di partita con la regia di F. Tiezzi. Seguono due lavori con Missiroli: Capitan Ulisse di A. Savinio che gli valse il premio Idi ’91 come migliore attore (che ha vinto anche nel ’97) e Broken Glass di Miller. Ha recitato inoltre con N. Garella, M. Mezzadri, W. Pagliaro, con una predilezione per le opere contemporanee. Allestisce anche letture drammaturgiche di poesie. Ha lavorato nel doppiaggio: è la leggendaria voce del vecchietto dei film western.

Vargas

Dal 1955 al 1960 Enrique Vargas studia drammaturgia, regia e recitazione alla Scuola nazionale d’arte drammatica di Bogotà. Dal 1960 al 1966 studia antropologia teatrale al Kalamazoo College nel Michigan. Dal 1966 lavora come regista al Cafe La Mama di New York realizzando le opere New York attraverso il naso e Cuchifrito, che portano il segno della ricerca di un linguaggio del corpo forte. Nel 1967 riceve il primo premio del Festival di teatro dell’Expo in Canada. Dal ’68 al ’72 lavora come direttore e drammaturgo per il Gut Theatre ad East-Harlem a New York. Dal 1972 al ’75 si occupa di drammaturgia di animazione dell’oggetto presso il Teatro centrale di Praga.

Dal 1975 al 1996 è professore del Taller de investigacion de la imagen dramatica di Santafè di Bogotà centrando il suo lavoro sulle relazioni tra gioco infantile, il rituale e i miti delle comunità indigene della regione amazzonica colombiana. Ha ricevuto altri importanti premi durante gli ultimi anni: premio nazionale di Drammaturgia in Colombia nel 1988, primo premio Salon nacional de artes plasticas in Colombia nel 1992, il premio Tucan de Oro al Festival di teatro di Cadice nel 1993, il premio Unesco 1995 per la ricerca teatrale. Ha collaborato con il quotidiano “El Espectador”, ha pubblicato i saggi: Rito, Mito y Juego, Tiempos de Metafora, Imagen sensorial e Investigacion y la busqueda de lo no dicho.

Svolge da molti anni un’attività permanente di ricerca, creazione e formazione che comprende laboratori, seminari e messe in scena sulla drammaturgia dell’immagine sensoriale. Le sue ricerche si sono concentrate principalmente sulla relazione tra mito, gioco e rito in contesti basati sul linguaggio dell’oscurità, del silenzio e della solitudine. Negli ultimi anni Vargas ha realizzato una trilogia, Sotto il segno del labirinto , che comprende: Il filo di Arianna, La fiera del tempo vivo e Oracoli, tutti realizzati fra il 1990 e il 1996. Lo spettatore viene invitato a entrare in percorso in cui – oltre a seguire un testo – è costretto a esplorare forti suggestioni che rimandano a archetipi dionisiaci.

Maggio

Beniamino Maggio era grande, e al di là di quanto lui stesso sapesse. Primogenito di una delle più straordinarie famiglie del teatro italiano, `Maggetiello’ (così lo chiameranno per tutta la vita amici ed estimatori) debutta ad appena cinque anni. Cesella refrain di canzoni dalle quinte, con una voce bellissima e spensierata che al Teatro Orfeo gli merita subito il soprannome di `cardillo’. Poi fa la sceneggiata con la compagnia del padre, il non meno grande don Mimì, introducendo gli spettacoli con proprie scenette e ancora canzoni. E, siccome più di tutto ama fare il ballerino acrobatico, nel 1918, a Taranto, cade durante una spericolata esibizione e si rompe una gamba. Ma non basta l’arto rimasto offeso a frenarne l’incredibile vivacità sul palcoscenico. Avanspettacolo e varietà, da un capo all’altro della penisola. Finché, a sorpresa, nel 1961, arriva la chiamata di Garinei e Giovannini per Rinaldo in campo , al fianco di Domenico Modugno e Delia Scala. È la consacrazione definitiva, ma `Maggetiello’ la rivista la faceva già da lunghi anni. E in uno di quegli spettacoli La Venere coi baffi , scritto per lui, nel ’57, da Amendola e Maccari – c’era, accanto a Beniamino, un cast assolutamente irripetibile: la sorella Rosalia, i fratelli Dante ed Enzo, Sandra Bellinari, Alfredo Rizzo, Elio Crovetto, Bob Vinci. E le musiche erano di un tal Giovanni Danzi. Che più? Certo, la Scarpettiana (dal 1955) e Il contratto Eduardo (1967), ma anche un’incredibile interpretazione dell’ Histoire du soldat di Stravinskij. Da citare, infine l’interpretazione autobiografica in `Na sera `e… Maggio (1982), il tributo che Antonio Calenda dedica a lui e a Pupella e Rosalia a partire dai loro racconti.

Censi

Figlio della danzatrice futurista Giannina Censi, Cristiano Censi inizia la sua carriera di attore comico, grazie anche al suo viso dai lineamenti fortemente marcati, con la compagnia di Dario Fo e Franca Rame. Alla fine degli anni ’70 si dedica, con Isabella del Bianco, all’allestimento di testi contemporanei, compresi i fumetti antimilitaristi americani di J. Feiffer. Con S. Satta Flores e I. Del Bianco ha fondato il gruppo «I compagni di scena».

Klöpfer

Figlio del proprietario di una segheria, Eugen Klöpfer seguì studi umanistici e lavorò come apprendista in un negozio; nel 1909 debuttò come attore al Volkstheater di Monaco. Nel 1918 si trasferì a Berlino e lavorò in diverse sale (Lessingtheater, Deutsches Theater, Volksbühne); recitò come attore ospite in molte città tedesche, e anche a Belgrado, Riga e nell’America del Sud. Dal 1936 al ’44, anche grazie alle sue attività in favore del nazismo, fu intendente della Volksbühne. Attore piuttosto elementare: con un insieme di romantica guitteria e realismo si calava nei suoi ruoli come in un viaggio avventuroso, impostando un crescendo di drammatica violenza. Tra le sue interpretazioni si ricordano diversi drammi di Hauptmann, Falstaff in Le allegre comari di Windsor e i ruoli di protagonista nel Woyzeck di Büchner e in Il padre di Strindberg.

Moscato

Capofila della ‘nuova drammaturgia napoletana’ degli anni ’80, Enzo Moscato ha segnato questa stagione con prove come Embargos (premio Ubu 1994), Rasoi (premio della Critica italiana, Biglietto d’oro Agis) e con drammi, commedie, monologhi che da Festa al celeste e nubile santuario , a Pièce Noire , Occhi gettati , Cartesiana , Partitura , fino ai recenti Mal-d’-Hamlé (1994), Recidiva (Biennale di Venezia, 1995), e Lingua, carne, soffio (Santarcangelo, 1996), esplorano con audacia e sensibilità una pluralità di registri linguistici e idiomatici arcaici e contemporanei. Partendo dalla contraddittoria e complessa realtà sociale partenopea, e cercando nella contaminazione la forma di una modernità espressiva, aspira a un `teatro di poesia’ di ascendenza pasoliniana, con rimandi a Genet, Artaud e ai `maledetti’ (tra cui Rimbaud, `musa’ del recente Acquarium Ardent e oggetto di studio in un saggio di carattere semiotico pubblicato in precedenza). Premio Riccione-Ater, premio Ubu nell’88 come nuovo autore, Oscar della radio italiana e primo premio al Festival internazionale di Radio Ostankino (Russia), ha tradotto Ubu re di Alfred Jarry, e ha lavorato anche nel cinema con Mario Martone in Morte di un matematico napoletano (1992), con Pappi Corsicato in Libera (1993), e con Raul Ruiz in Il viaggio clandestino (1993) .

Orsini

Destinato alla carriera giuridica, già da studente di legge Umberto Orsini faceva pratica in uno studio notarile. Dopo aver visto recitare Giorgio De Lullo in Morte di un commesso viaggiatore di Miller, nella messa in scena di Luchino Visconti, scopre una potente vocazione al teatro. Brillante allievo dell’Accademia nazionale d’arte drammatica, debutta nel 1957 nel Diario di Anna Frank di Goodrich e Hackett con la regia dello stesso De Lullo, nel personaggio di Peter, il giovane innamorato della protagonista. È l’inizio di una carriera segnata dal successo e da un rigoroso professionismo, fondato su una continua autocritica e su un’oculata amministrazione delle scelte artistiche. La dizione asciutta, il volto scavato e un talento interpretativo capace di variare dalla freddezza ironica alla passionalità, lo pongono subito fra i migliori interpreti della sua generazione. Nel 1961 fornisce la prima, grande prova d’attore recitando nell’ Arialda di Testori, con la regia di Visconti. Nel 1963 è al fianco di Sarah Ferrati in Chi ha paura di Virginia Woolf? di Albee, con la regia di Zeffirelli. Seguono Metti una sera a cena (1966) di Giuseppe Patroni Griffi e Chi è Claire Lannes? , tratto da L’amante inglese di M. Duras, con la regia di José Quaglio. Sul finire degli anni ’60 Orsini si divide fra teatro, cinema e tv. Nel 1971 è fra gli interpreti del film di Visconti La caduta degli dei , che gli vale un Nastro d’argento al Festival di Venezia. Nel 1981 la grande svolta della sua carriera: con Rossella Falk diventa direttore del teatro Eliseo di Roma e, contemporaneamente, avvia una feconda collaborazione con Gabriele Lavia, che nel 1980 lo dirige in Servo di scena di Harwood, nel 1982 nei Masnadieri di Schiller e in Non si sa come di Pirandello, per la cui interpretazione riceve la Grolla d’oro. Attento alle esigenze del teatro che dirige, Orsini sceglie testi di grande presa sul pubblico: Delitto e delitto di Strindberg (1983), L’aquila a due teste di Cocteau, Volpone di Jonson, tutti diretti da Lavia; poi è la volta di Amadeus di Shaffer (1987), con la regia di Missiroli, e delle Liaisons dangereuses di Hampton (1988), con la regia di Calenda. La seconda, radicale svolta proviene dall’incontro con Luca Ronconi, sotto la cui guida interpreta Le tre sorelle di Cechov (1989) e Besucher di B. Strauss; qui, nella parte del vecchio attore Karl Joseph, filtra e vira in livido grottesco la lezione dei grandi mattatori del teatro italiano. Nel 1991 riceve il premio Ubu per Besucher e per L’uomo difficile di Hofmannsthal (ancora diretto da Ronconi), con i quali conferma la propria rinnovata maturità interpretativa, il proprio sperimentarsi, che adotterà anche in gamme espressive più legate al naturalismo e al verismo, come per esempio nel Piacere dell’onestà di Pirandello allestito nel 1990 da Luca De Filippo. Dopo Un marito di Svevo, per la regia di Patroni Griffi (1993), e Otello di Shakespeare per la regia di Lavia (1994), O. fornisce nel 1997-98 una straordinaria interpretazione di Willy Loman in Morte di un commesso viaggiatore di Miller, con la regia di Cobelli.

Testoni

Nel suo primo periodo Alfredo Testoni si dedicò a lavori di tipo sperimentale. Scrisse anche per il teatro in dialetto, riscuotendo notevoli consensi nell’ambiente bolognese, di cui mise in scena i costumi. Vanno ricordati i lavori: El trop è trop (1878), Insteriari (Stregonerie, 1881), Scuffiareini (1882, dove si riscontra una forte influenza di Giacosa e Gallina), I Pisuneint (Gli inquilini, 1883, commedia dichiaratamente comica), Acqua e ciaccher (1899), El noster prossum (1910), Quand a j era i franzis (1926), El fnester davanti (1927). Dopo i primi segnali nella stesura di Quel certo non so che (1902), la sua vena comico-pochadistica emerse appieno con Il cardinale Lambertini (1905 nella versione italiana e 1931 nella versione dialettale, il suo vero successo, che fornì anche tre soggetti per il cinema), dove viene esaltata l’arte della mediazione, su uno sfondo fatto di moralità e malizia, di tipico ambiente bolognese. La commedia venne interpretata da grandi attori, tra i quali Zacconi e Cervi.

Barlocco

Tony Barlocco visse nelle tipiche case di ringhiera di San Vittore Olona, figlio del ceto proletario lombardo di allora, tra luoghi, figure e atmosfere che ispirarono poi il suo personaggio di Mabilia, soubrette tempestosa e capricciosa dei celebri Legnanesi. Penultimo di cinque figli, dopo gli studi trovò lavoro alla falegnameria e poi all’ufficio tecnico della Franco Tosi. A diciassette anni nella Milano dell’immediato dopoguerra vide per la prima volta Wanda Osiris nella rivista Grand Hotel , con l’ingresso in piedi, e visse tre ore abbondanti di incantesimo che non lo lasciarono più: iniziò qui il suo sogno di recitare in abiti femminili. Nell’estate del 1948 Barlocco, in campeggio, prese parte a uno spettacolo di dilettanti dell’azienda; qui lo vide un violinista compagno di lavoro di Musazzi, che stabilì così quello che fu poi l’incontro storico delle due star dei Legnanesi. Nel primo show, del ’49, B., non ancora travestito, faceva un garzone della filanda; ma dal ’50 in poi l’attore assunse definitivamente i panni della Mabilia, figlia unica della Teresa-Musazzi, rampolla zitella e poco seria che si scontrava con la saggezza popolare della madre e l’ironia dei vicini, deformando l’immagine della ragazza futile, vittima di ogni mass media e sempre troppo alla moda. Nel ’58 Barlocco debutta con la compagnia all’Odeon di Milano in Va là batel… ed ebbe la soddisfazione di vedere in prima fila, che applaudiva divertita, la sua musa ispiratrice, la Osiris. Da allora egli assunse anche il compito di coreografo della compagnia e, non più operaio, si diede a tempo pieno alla vena parodistica, raffinando quel personaggio grottesco iper – femminile che veniva nello stesso tempo dall’osservazione della realtà e dalla passione per la vecchia rivista. Rappresentava la ragazza che va con i tacchi a spillo ‘in camporella’ e vuole vivere sempre al di sopra delle sue possibilità, confondendo gli status – symbol specie quando si recava in luoghi consacrati come la Scala, il Vaticano e la corte inglese. La risata nasceva anche, naturalmente, dallo sfarzo sempre più esibito del travestimento da soubrette, dal trucco, dalle parrucche, dal lusso dei costumi, affidati a sartorie di pregio come la Boetti e la Rame, tanto che Barlocco si può considerare a tutti gli effetti l’ultima delle soubrette del teatro leggero italiano.

I suoi continui scontri, in scena, con l’ignorante e amata mamma Teresa, emblema di un’altra generazione, sono diventati proverbiali e degni della Commedia dell’Arte: per trentasette anni B. fece la soubrette dei cortili, deliziando il suo pubblico con movenze, occhiate, giochi di parole. La Mabilia portò nell’`ensemble’ legnanese quell’ombra di malizia anche sessuale contrapposta, ma assolutamente complementare, all’ingenuità popolare del gruppo e del suo ispiratore, Musazzi. Spalleggiato dagli intellettuali, amatissimo dal pubblico gay, stimato da Fellini, Barlocco raffinò le sue doti parodistiche strapaesane da Folies Bergère: la maschera dell’attore fu insostituibile e dopo la sua morte, nell’unico show che Musazzi allestì senza di lui, lo fece partire per l’America ricordandola con affetto. La Mabilia, in viaggio per le mode dell’Italia da rotocalco degli anni ’60 e ’70, ci metteva entusiasmo e genialità. Altera e scostumata zitella di provincia, faceva scattare l’invidia delle altre, perché era la più bella, ma una bellezza di teatro, da riflettore puntato, volgare ed esagitata come una caricatura, sebbene dentro costruita attraverso un minuscolo e paziente lavoro di osservazione sulle tante Mabilie che ogni giorno incontriamo.

Rossi Stuart

Figlio d’arte (suo padre Giacomo era stato attore in film western e mitologici), dopo il successo popolare in televisione con Fantaghirò Kim Rossi Stuart è approdato al cinema in Senza pelle di A. D’Alatri e Al di là delle nuvole di M. Antonioni. Nel 1995 è stato Edmund nel Re Lear di Ronconi poi protagonista de Il visitatore di Schmitt con T. Ferro, regia di A. Calenda.

Popolizio

Massimo Popolizio si diploma all’Accademia d’arte drammatica `S. d’Amico’ nel 1984 e affronta il primo ruolo da protagonista l’anno successivo in Commedia della seduzione di A. Schnitzler, diretto da Luca Ronconi, regista con il quale collabora stabilmente per oltre dieci anni in numerosi spettacoli. Tra questi, P. si fa apprezzare in Strano interludio di O’Neill, Gli ultimi giorni dell’umanità , di K. Krauss, ed è protagonista in Misura per misura di Shakespeare, Peer Gynt di Ibsen, Ruy Blas di V. Hugo, Il lutto si addice ad Elettra di O’Neill (nel doppio ruolo di Ezra e di Orin Mannon), fino ai più recenti Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di C.E. Gadda (nel ruolo di Giuliano Valdarena) e I fratelli Karamazov di Dostoevskij (nella parte di Dimitri). Attore versatile ed intenso, P. è insignito del premio Ubu 1996 come migliore attore italiano, e ottiene il Premio della critica, il Pegaso d’oro e il Nastro d’argento per il doppiaggio del film Hamlet di K. Branagh.

Marescotti

Ivano Marescotti inizia la carriera di attore teatrale e cinematografico (con Moretti, Benigni, Von Trotta, tra gli altri) a trentacinque anni, «quando gli altri smettono». Dalla fine degli anni ’80 lavora con Albertazzi, De Berardinis, Salmon (La signorina Else), Santagata e Morganti (L’alba sotto casa Steinberg), Cecchi (Amleto), Piccardi, Denizon e Martone (Woyzeck). Nella stagione 1997-98 interpreta Blues in sedici di S. Benni e A Ca’ de’ GeavulL’Infern o per la regia di B. Stori.

Milli

Artisticamente Camillo Milli nasce al Piccolo Teatro dove partecipa, dal 1951 al 1953, a Oplà, noi viviamo di Toller, al goldoniano Arlecchino servitore di due padroni di Strehler, e a molti altri spettacoli. Nel 1963 è al Teatro di Genova dove partecipa alle maggiori produzioni come I due gemelli veneziani di Goldoni e La coscienza di Zeno di Svevo. Dal 1989, prima con Giulio Bosetti e poi con lo Stabile del Veneto, recita ne La bottega del caffè di Goldoni. Tra le tante interpretazioni ricordiamo: Io di Labiche, regia di Benno Besson e due spettacoli di Sciaccaluga, l’ Ivanov di Cechov e Un mese in campagna di Turgenev.

Fabrizi

Rielaborando attraverso le sue straordinarie doti di caratterista comico i modi popolari di una Roma tanto cinica quanto bonaria, Aldo Fabrizi debuttò nel 1931 al cinema Corso di Roma interpretando due caricature di sua composizione: Bruneri o Cannella? e Nel duemila. Affinò quindi le sue innate doti d’improvvisatore traendo spunto dalla conversazione col pubblico per dar vita a numerosi monologhi sull’attualità, e giunse al successo rappresentando nel teatro di rivista le sue più celebri macchiette, dal vetturino al pugile, dal postino al tranviere. Proprio a quest’ultimo personaggio – oltre che alla sua indisponente schiettezza – Aldo Fabrizi dovette il suo primo ancorché tardivo successo cinematografico in Avanti c’è posto! (1942), in cui l’ormai provato talento comico mostrava già i segni dell’inevitabile drammaticità che generalmente gli compete. Le avvisaglie di una nuova poetica cinematografica erano già avvertibili in questo film, cui succedette nel 1945, con Roma città aperta di Rossellini, la piena affermazione sia della tematica neorealista sia della statura attorale di Aldo Fabrizi, nella parte del prete partigiano don Morosini, al fianco di Anna Magnani. Durante le lunghe pause di lavorazione del film F., a ulteriore riprova della sua impellente passione creativa, interpretò al Salone Margherita e al Quirino una serie di commedie di ambiente romano originate dall’osservazione della povera e agitata cronaca di quel periodo: Buon Natale! , Salvo complicazioni, Poveri noi! e Tordinona lo videro nuovamente nelle vesti di autore, affiancato in un secondo tempo da M. Mattoli e M. Marchesi nella stesura delle successive Volemose bene e Come si dice in inglese. Al termine di queste rappresentazioni riprendeva però il via, a discapito del teatro e dopo il successo nel capolavoro di Rossellini, la sua carriera sul grande schermo, da cui trasse continui riconoscimenti da parte del pubblico italiano e internazionale (come nel caso della trilogia della famiglia Passaguai, di cui fu anche regista tra il 1951 e il ’52) e alterne soddisfazioni artistiche: dal bellissimo Guardie e ladri (1951) di Steno e Monicelli al serrato susseguirsi di produzioni commerciali con Tino Scotti, Totò e Peppino De Filippo. Solo nel 1963 tornò al teatro, ma per interpretare il suo ruolo più amato, il boia Mastro Titta nella commedia musicale Rugantino di Garinei e Giovannini. Soggettista, sceneggiatore, produttore e regista oltre che attore e comico in tutti i ruoli e le accezioni che il termine comporta, Aldo Fabrizi fu conscio della propria grandezza tanto da saper elevare i toni più grevi di una Roma plebea all’altissimo livello della sua arte.

Novelli

Dopo i difficili esordi, Ermete Novelli lavorò per alcuni anni (1877-1883) come caratterista nella compagnia Bellotti-Bon. Diventato capocomico, ebbe larghi consensi popolari grazie anche a un repertorio pochadistico adattato alla sua invadente personalità. Dotato di grandi qualità mimiche, portato per natura al comico, a partire dal 1890 mutò in parte percorso affrontando con alterna fortuna il repertorio tragico, Shakespeare incluso. Si fece apprezzare soprattutto nel ruolo di Shylock, personaggio che in tutto sembrava rispondere alle sue caratteristiche di promiscuo. Il suo vasto repertorio comprese Ibsen, Dumas padre, Praga, Testoni (lodevole il suo Cardinal Lambertini ). Nel 1900, al Valle di Roma, tentò la formazione di un teatro semistabile, la Casa di Goldoni, avventura di breve durata e scarsa fortuna, soprattutto per la scelta dei testi quasi sempre di scarso valore artistico (La gerla di papà Martin, I nostri bimbi, Il deputato di Bombignac , ecc.). Di qui il suo ritorno al teatro di giro, che gli assicurò i favori di un pubblico pago delle sue forti caratterizzazioni comiche o drammatiche.

Scaldati

Franco Scaldati inizia come attore lavorando con gruppi spontanei palermitani e continua da sempre un importante che unisce teatro e impegno sociale nel quartiere della Kalsa di Palermo. Intensissima l’attività di autore, che lo porta, tra il 1972 e il ’73, a firmare Attore con la o chiusa per sempre . Un esordio che è una sorta di reazione al teatro della perfetta dizione e alla scena governata da modalità registiche verso le quali lui e i suoi attori sono insofferenti. Seguono molti altri testi-spettacoli, lavori in cui la scrittura non nasce mai sola, ma sempre insieme al lavoro di palcoscenico e di forti motivazioni etiche: Il pozzo dei pazzi, spettacolo fortunato e eclatante per la forza visionaria e una lingua ricca di impasti dialettali e immagini sceniche. Lo spettacolo, dopo aver debuttato al Piccolo Teatro di Palermo, nel 1974, prodotto dalla cooperativa I draghi, è stato ripreso, sempre con la regia dell’autore nel 1980 e con grande successo – che l’ha imposto alla ribalta nazionale – con la regia di E. De Capitani (1989).

Seguono Lucio (regia A. Ardizzone, 1978 e, con maggiore eco, quella di Cherif nel 1990), Mano mancusa (1978), Il cavaliere sole , Occhi (1987), Totò e Vicè (che ha debuttato alle Orestiadi di Gibellina nel 1993, ripreso negli anni successivi), Assassina, Ofelia e una dolce pupa tra i cuscini . A Sant’Arcangelo nel 1995 mette in scena Femmine dell’ombra, da cui nascerà poi il laboratorio permanente di Palermo fondato da Antonella Di Salvo, impegnato a rappresentare esclusivamente testi della compagnia. Seguono Sul muro c’è l’ombra di una farfalla, Si aprono i tuoi occhi ed è l’aurora. Nel 1997 La locanda invisibile e Ombre folli che debutta a Sant’Arcangelo con una strepitosa interpretazione di Antonella Di Salvo. Nel ’98 Scaldati riscrive La tempesta di Shakespeare che viene allestita con la regia di Cherif, mentre all’Albergheria apre una nuova sezione di teatro per ragazzi. Notevole le sue prove d’attore, oltre che dei suoi testi, anche nelle partecipazioni straordinarie (La sposa di Messina di Schiller a Gibellina, regia di E. De Capitani).

Foà

Di origine ebraica dopo le prime esperienze con il teatro universitario Arnoldo Foà s’iscrive al Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma, dal quale però verrà espulso nel 1938 a causa delle leggi razziali. Continua comunque a lavorare in quel periodo come doppiatore utilizzando un nome d’arte. Dopo il secondo conflitto mondiale comincia la sua ascesa con La brava gente (1945) di I. Shaw e poi con Delitto e castigo e La luna è tramontata , regia di Visconti. Forte delle esperienze fatte con Luigi Cimara e Sarah Ferrati viene scritturato al Piccolo di Milano per interpretare una parte nel Giulio Cesare (1953-54). Con l’avvento degli anni Cinquanta, come molti, intraprende l’avventura del cinema che fioriva, e interpreta tra altri titoli minori Altri tempi (1951), Il processo (1962), Il sorriso del grande tentatore (1973). Mette poi in scena in qualità di regista teatrale una commedia da lui stesso scritta dal titolo Signori, buonasera e lavora contemporaneamente con Visconti e Squarzina. In seguito torna a collaborare con il Piccolo chiamato per La lanzichenecca (1964-65) e dopo pochi mesi fonda la sua prima compagnia. Interpreta Lazzaro di Pirandello, Paura di me (1965) di V. Bompiani, Ruy Blas (1966) di V. Hugo, Zio Vanja (1968) e Golem di Fersen è del 1969. Nel corso degli anni il suo discorso teatrale si arricchisce di sempre nuovi strumenti ed elementi e si orienta sempre più sulla drammaturgia e approfondisce le sue competenze e qualità di regista: esempi di questo intenso periodo sono Al testimone con Lea Padovani e Warner Bentivegna, Diana e la Tuda di Pirandello, La corda a tre capi da lui stesso scritto e diretto.

Fregoli

Nel 1890 Leopoldo Fregoli esordì come trasformista al caffè-concerto Esedra di Roma. La sua abilità consisteva nel saper eseguire fulminee e complete trasformazioni della propria persona dando vita a tipi e macchiette assai diverse tra loro. In realtà, egli fu assai di più di un abilissimo trasformista. Il suo successo, e questo sin dagli inizi della sua carriera, fu legato non semplicemente alla rapidità e alla perfezione delle sue trasformazioni ma alle sue forti doti comiche, di imitatore e di mimo. Sovente lui stesso autore delle sue pantomime, F. non si limitava a mutar d’abito o di maschera, ma cercava di restituire i personaggi che creava nella maniera più completa, in questo aiutato dalle sue eccezionali capacità fisiognomiche e da mezzi vocali estremamente duttili. Tra le sue doti, infatti, c’era anche quella di saper cantare su vari registri, così da tenore come da baritono e soprano. Nella sua vastissima galleria di figure, se rilevanti erano quelle maschili, straordinarie erano quelle femminili (in particolare quelle di sciantose, di `ingenue’ e di ‘cocotte’). Capace di guardare alla società che aveva di fronte e soprattutto al popolo, l’attore, alla pari del suo contemporaneo Petrolini, riusciva a riversare nel suo campionario di tipi inesauribili trovate mimiche e pungenti notazioni ironiche. F. fu popolare non solo in Italia, ma in ogni angolo del mondo; riscosse trionfali successi nelle maggiori capitali europee (Parigi, Londra, Berlino, Pietroburgo) e anche oltreoceano, in particolare a New York e in Sudamerica. Quando, quasi sessantenne, decise di ritirarsi dalle scene, godeva ancora di ampia popolarità e al suo attivo aveva totalizzato qualcosa come diecimila rappresentazioni. La sua ultima esibizione avvenne ai primi di febbraio del 1925 nella città di Niteroi, in Brasile.

Renzi

L’attività tatrale di Andrea Renzi si concentra nell’esperienza della compagnia Teatri Uniti di Napoli (in origine Falso Movimento) di cui fin dall’inizio è uno dei principali animatori. Nel 1980 recita in Rosso Texaco, testo scritto da lui insieme a M. Martone, che cura anche la regia. Due anni dopo recita in Tango glaciale di Martone a cui seguono: Otello, ispirato all’opera di Verdi (1983), Il desiderio preso per la coda , da P. Picasso (1985), Ritorno ad Alphaville (1987) e La seconda generazione (1988) tratto da Sofocle, Euripide, Virgilio, Ritsos e altri autori, tutti diretti da Martone. Tra le sue regie ricordiamo la messa in scena del suo testo Sangue e arena (1984), che ha ricevuto il premio Narni Opera Prima, oltre che Insulti al pubblico di P. Handke (1992) e A proposito di Van Gogh (1994). Dal 1995 conduce un progetto pluriennale di messa in scena del romanzo di B. Hrabal Una solitudine troppo rumorosa , da cui è stato tratto il film omonimo di S. Incerti (1996). Sempre al cinema ha partecipato a Morte di un matematico napoletano di Martone (1992) ed è stato il protagonista di Teatri di guerra ancora con Martone (1998). Tra le sue altre partecipazioni teatrali sono da ricordare: L’uomo dal fiore in bocca di Pirandello, regia di T. Servillo (1990), Dritto all’inferno spettacolo dedicato a P. P. Pasolini, progetto e regia di A. Neiwiller (1991), Il misantropo di Molière (1995) e il più recente Rosencranz e Guildestern sono morti di T. Stoppard, di cui è stato anche regista (1997).

Vianello

Figlio di ammiraglio, Raimondo Vianello studia giurisprudenza e sembra destinato alla carriera diplomatica. Nel 1945 finisce invece, per caso e per gioco, in teatro, conosce P. Garinei e G. Giovannini e partecipa, con il nome di R. Viani, alla rivista Cantachiaro n. 2. L’abbandono della compagnia, prima del debutto, di M. Merlini fece saltare lo sketch, unico, affidato all’esordiente Vianello, al quale gli autori assegnarono altri venticinque piccoli ruoli. Praticamente, comparsate. Ma la sua figura, alta e dinoccolata, le sue maniere da gentleman, il suo stile garbatamente ironico ne fecero subito un apprezzato carattere. In quella rivista ebbe accanto attori di prosa assai bravi e famosi: G. Cervi, E. Viarisio, A. Magnani, A. Tieri. Fu un ottimo apprendistato.

Seguì, nel 1946, sempre di Garinei-Giovannini, Soffia, so’ con Alberto Sordi. Ancora satira politica in Sono le dieci e tutto va bene con la Magnani e Domani è sempre domenica con W. Osiris, nelle stagioni successive. Poi passò accanto a C. Dapporto (che presenta il suo ‘maliardo’) in Buon appetito di M. Galdieri (1948-49). La stagione successiva eccolo in Quo vadis , accanto a M. Viarisio, Milly e all’attrice brillante D. Galli (qui alla sua ultima apparizione). Importante la stagione 1951-52: diventa spalla di U. Tognazzi che ha il nome in ditta con E. Giusti in Dove vai se il cavallo non ce l’hai? di G. Scarnicci e R. Tarabusi.

Sodalizio artistico, quello con Ugo Tognazzi, che si rivelerà vincente in teatro, nelle stagioni successive, con Barbanera bel tempo si spera, Ciao fantasma, Passo doppio, Campione senza volere. E successo anche nel cinema, in una serie di filmetti-parodia (con Vianello anche sceneggiatore), ma soprattutto in televisione con lo storico varietà Un due tre, dal 1954 al ’59. La coppia (fortunata perché di pari peso artistico) si divise non per logoramento ma per diversità di scelte: U. Tognazzi continuò con il cinema (Il federale di L. Salce ne rivelò precipue doti interpretative, tali da affrancarlo dai filmetti-varietà). V. rimase fedele alla rivista, con W. Osiris in Okay fortuna (1956-57) e I fuoriserie (1957-58), in trio con G. Bramieri e G. Durano. Incontrò S. Mondaini, che diventerà poi sua compagna di vita e arte, in Sayonara Butterfly di Marchesi-Puntoni-Terzoli (1958-59), cui seguì, nella stagione successiva, Un juke-box per Dracula con S. Mondaini e G. Bramieri in ditta.

Spente le luci del varietà e sparita la passerella, Vianello continua a far divertire in televisione, facendo coppia fissa con la moglie: Io e la Befana, la Canzonissima del 1979, varietà del sabato sera (Tante scuse, 1974, e Di nuovo tante scuse , 1975). Poi un migliaio di puntate tv di Zig zag, dal 1983 al ’86; quindi una serie di telefilm comici (Casa Vianello e Cascina Vianello). Trasforma la sua passione per il calcio in background professionale presentando con grande successo e ripetuti riconoscimenti Pressing, riassunto serale della domenica calcistica su Italia 1. A settantasei anni, esordisce come presentatore del festival di Sanremo nel 1998.

Checchi

La famiglia Checchi fu famiglia di attori: Tebaldo Checchi era figlio di Luigi e nipote di Candido. Primo amoroso in diverse compagnie, poi capocomico per diversi anni, recitò con Andrea Maggi, Cesare Rossi e Pia Marchi. Lavorò in compagnia con la grandissima Eleonora Duse, che sposò nel 1882 e dalla quale ebbe una figlia, Enrichetta. Ma il matrimonio non ebbe lunga vita e nel 1885, durante una tournée in Sudamerica, i due si separarono. Intelligente, colto, di aspetto e modi signorili, entrò nella carriera diplomatica abbandonando definitivamente il palcoscenico. Morì nel 1918 a Lisbona, dove era vice-console della Repubblica Argentina.

Riondino

Dopo aver lavorato dieci anni a Firenze come bibliotecario, David Riondino artisticamente nasce con la generazione dei cantautori degli anni ’70. Nel 1975 debutta allo Zelig di Milano avviando un’attività che lo porterà a esplorare quasi tutte le forme di comunicazione, costruendo il suo personaggio spettinato, fine verseggiatore saggiamente satirico. La sua produzione è molto ricca a partire dalla musica; il primo album è “Boulevard”, seguono “Tango dei miracoli” (uscito solo in edicola con illustrazioni di Milo Manara), “Racconti picareschi” (1989), “Non svegliate l’amore” (1991), “Temporale” (1994) e, infine, “Quando vengono le ballerine” (1995). Sul grande schermo lo vediamo a fianco di Paolo Rossi in Kamikazen (1987), Cavalli si nasce (1989) di Sergio Staino, a fianco di Paolo Hendel, fino a Cuba Libre (1997), di cui è regista. Contemporaneamente prosegue il suo percorso come attore teatrale con Romanzo picaresco (1989) e di nuovo a fianco di Paolo Rossi in Chiamatemi Kowalski e La commedia da due lire (1990), per continuare con Paesaggi dopo la battaglia (1991), O patria mia (1993-94) di Giuseppe Bertolucci e, infine, Solo con un piazzato bianco (1996). Numerose sono anche le sue apparizioni sul piccolo schermo in trasmissioni come Lupo solitario, Fuori orario, Aperto per ferie, L’araba fenice .

Fantastichini

Ennio Fantastichini comincia nel teatrino parrocchiale a tredici anni con un Amleto . A quindici è già nel crogiolo romano delle avanguardie. Lavora con Memè Perlini e Simone Carella. Tra il 1974 e il ’75 è col gruppo di Giorgio Barberio Corsetti La Gaia Scienza, e poi con Falso Movimento. Ennio Fantastichini approda quindi alla compagnia di Dario Fo con cui vive la grande stagione dell’impegno politico a teatro. Alla Palazzina Liberty interpreta La marijuana della mamma , Non si paga, non si paga e Il Fanfani rapito. Maschera multiforme, la sua, riconosciuta anche dal cinema dopo vent’anni di teatro militante.

Krejca

Folgorato dagli spettacoli di E.F. Burian, a diciannove Otomar Krejca anni decide di fare l’attore. Durante la guerra entra in una compagnia di giro, ma la sua gavetta dura poco: nella stagione 1946-47 comincia a lavorare con Jirí Frejka, direttore del Teatro municipale di Praga, per il quale interpreta Cirano , Prometeo incatenato e Macbeth . Presto la vocazione di attore si spegne, per far luogo a quella di regista. Nel 1949 K. mette in scena il primo testo, La moneta falsa di Gor’kij; il successo dell’allestimento gli permette di approdare nel 1951 al Teatro nazionale, dove dal 1956 è direttore artistico. Qui, assieme a Karel Kraus, avvia un’opera di svecchiamento della tradizione, commissionando la scrittura di nuovi testi a Josef Topol, Frantisek Hrubín e Milan Kundera (I proprietari delle chiavi, 1962). Ma, accanto al rinnovamento e all’anticonformismo, affiora in Otomar Krejca la necessità di rompere i rigidi vincoli dell’ideologia; la scelta è naturalmente avversata dal regime, che lo costringerà a dimettersi dall’incarico. Senza perdersi d’animo, nel 1963 K. presenta La festa in giardino di Václav Havel, prima pièce dello scrittore, che diventerà uno dei protagonisti della Primavera di Praga e poi presidente della Repubblica dopo la `rivoluzione di velluto’ del 1989. Nel 1965, assieme ai suoi più stretti collaboratori, tra i quali lo scenografo Josef Svoboda, apre una piccola sala, il teatro Za branou (`dietro la porta’), che presto diventerà uno dei focolai del dissenso. Nel 1968, con la `normalizzazione’, a Krejca viene tolta la direzione del teatro; gli è anche proibito lavorare all’estero.

Si rifugia così nei classici e comincia quel lungo e straordinario confronto con Beckett, Shakespeare e soprattutto Cechov che avrà risonanza internazionale e segnerà tutta la sua carriera, in patria e fuori. Dopo forti pressioni dall’estero, Krejca può lasciare il suo Paese; comincia un esilio artistico che lo porta prima a dirigere il teatro di Düsseldorf e poi a collaborare con le più importanti istituzioni europee. Del grande autore russo interpreta in varie edizioni Il gabbiano (Bruxelles 1966, Stoccolma 1969, Praga 1972, Parigi 1980), Tre sorelle (Praga 1966), Il giardino dei ciliegi (Düsseldorf 1976, Berlino 1987, Stoccolma 1988), Platonov (Stoccolma 1979); di Beckett riprende in varie lingue Aspettando Godot (Salisburgo 1970, Avignone 1978). Particolarmente intensa la collaborazione di K. con il Teatro stabile di Genova, dove ha allestito Tre sorelle (1984), Terra sconosciuta di Schnitzler (1985, prima italiana) e La signorina Giulia di Strindberg (1986): saggi maturi di quel suo realismo poetico, essenziale e rigoroso da cui scaturisce un grande impatto emotivo, che supera i confini delle lingue e delle culture. Nel 1991, dopo il crollo del muro di Berlino, è tornato in patria dove ha rifondato il Za branou, riprendendo il dialogo interrotto con la propria comunità. Tra le sue ultime messe in scena, ancora Beckett (con un nuovo allestimento di Aspettando Godot , 1991), l’ Antigone di Sofocle (Comédie-Française, 1992), L’uomo difficile di Hofmannsthal (1993) e I giganti della montagna di Pirandello (1994).

Banfi

Primo nome d’arte fu Lino (diminutivo di Pasquale) Zaga (cognome accorciato). Su indicazione di Totò, che riteneva malaugurante un cognome mutilato, Zaga venne sostituito da Banfi, pescato a caso in un registro di alunni da un insegnante nonché impresario d’avanspettacolo e marito di soubrette. Nato ad Andria e cresciuto a Canosa, sempre in provincia di Bari, Lino Banfi ha affidato e affida le risorse della sua comicità irruente e immediata a quel dialetto pugliese che divarica e stravolge le vocali, ereditando così un linguaggio portato al successo, sullo schermo e in palcoscenico, negli anni ’40-50 dal caratterista Guglielmo Inglese. Esordì come cantante di feste musicali e attore di fotoromanzi (vinse in gioventù un concorso di bellezza e fotogenia…). Poi, a diciotto anni, nel 1954, tentò senza fortuna, a Milano, l’avventura in teatro di varietà. Patì fame vera, se (lo scrive nel volume autobiografico Alla grande! , 1991) all’epoca si fece ricoverare in ospedale per farsi togliere le tonsille, pur di procurarsi per qualche giorno un letto e un pasto. Si trasferì a Roma nel ’57 e qui cominciò la carriera di comico di spettacoli di varietà: quattordici anni di avanspettacolo, in compagnie di `scavalcamontagne’, cioè sempre in disagiate tournée: formazioni composte da comico, soubrette, ‘spalla’ solista (cantante o virtuoso di qualche strumento, tromba o armonica o batteria) e infine ‘dodici belle gambe dodici’, il balletto. Per molti anni, impegnato solo negli ‘spezzati’: cioè nelle recite di fine settimana, il venerdì e il sabato tre rappresentazioni incastrate tra le proiezioni di un film, e la domenica ben quattro recite. Lino Banfi rievocherà efficacemente quel mondo interpretando, nella stagione 1993-94, la rivista Arcobaleno , scritta con Dino e Gustavo Verde e allestita dal coreografo Gino Landi; nel cast, Angiolina Quinterno e Gian (Gianfabio Bosco), anch’egli vecchia gloria, in coppia con Ric (Riccardo Miniggio), dell’avanspettacolo. Di notevole intensità è la sua interpretazione di Vespro della Beata Vergine di Antonio Tarantino diretto da Chérif (1995). Dopo il teatro e il cabaret, B. è diventato un personaggio della televisione, nel ruolo di conduttore di programmi di vasta audience, da Risatissima (1985) a Stasera Lino (1988), a Il Caso Sanremo (1990), con Renzo Arbore. Ha girato molti film `serial’, un mix di comicità e sexy, avendo come partner Edwige Fenech e altre maggiorate. Nel film Vieni avanti, cretino! (incipit delle scenette con i fratelli De Rege), diretto da Luciano Salce, ha rievocato con l’affetto della memoria la sua milizia sulle passerelle dell’avanspettacolo.

Rea

Stephen Rea è fondatore insieme a B. Friel della Field Day Theatre Company (1980), gruppo teso a stabilire una realtà teatrale nella regione di Derry, in grado di equiparare il Lyric Players Theatre di Belfast o l’Abbey Theatre di Dublino. All’interno della compagnia Rea non solo prende parte a quasi tutte le messe in scena in qualità di attore ma spesso si occupa anche della regia di alcuni testi rivestendo un ruolo fondamentale nel mantenimento del livello artistico delle produzioni. Tra le sue interpretazioni si ricordano Ecstasy di M. Leigh nel 1979; Traduzioni (Translations, 1980) testo di Friel con cui viene inaugurata la formazione della compagnia Field Day; Il filo della comunicazione (The Communication Cord, 1982) di Friel, una farsa ambientata nel Donegal dove R. ricopre il ruolo del linguista Tim Gallacher, personaggio costruito sulla figura del professore universitario Seamus Deane anch’egli parte della compagnia; Doppio gioco (Double Cross, 1986) dramma storico di Thomas Kilroy incentrato sul tema del doppio e di lealtà e tradimento dove Rea per l’appunto è nei panni di due personaggi; e più recentemente Ceneri alle ceneri (Ashes to Ashes, 1996) di H. Pinter insieme a Lindsay Duncan. Spesso nel ruolo dell’uomo medio irlandese, negli anni ’90, Rea mette da parte il teatro per dedicarsi soprattutto alla carriera cinematografica.