Mazzarella

Figlio d’arte (la madre era primattrice di una compagnia di giro), Piero Mazzarella affronta la prima recita a dieci anni, nel ruolo femminile di Cosetta nei Miserabili da Hugo. Dopo la guerra lavora in rivista e nel teatro di prosa ma, persa la moglie, decide di fermarsi a Milano e si dedica a quel teatro dialettale che farà la sua fortuna. Attore «che non recita mai», ha fatto proprio il repertorio meneghino, dirigendo dagli anni ’80 a Milano prima il Teatro San Calimero, poi il Teatro della 14ma (tra le commedie più recenti, La rava e la fava del fratello R. Silveri). Interprete amato da Strehler ( El nost Milan , 1961), ha fatto brevi incursioni nel cinema di Lizzani, Petri, Risi e Festa Campanile e negli anni ’90 è stato diretto da A.R. Shammah nella Tempesta di E. Tadini e nel Re Lear shakespeariano, anche se i suoi primi ruoli per Shakespeare furono quelli di un becchino nell’ Amleto e di Frate Lorenzo in Romeo e Giulietta .

Busch

Dopo aver studiato canto e recitazione Ernst Busch viene assunto nel 1921 dal Teatro comunale di Kiel. Dal 1924 al 1926 lavora a Francoforte, l’anno seguente alla Landesbühne della Pomerania e, fra il 1927 e il 1932, alla Volksbühne di Berlino, con Erwin Piscator, nella messa in scena di opere quali Oplà, siamo vivi! di E. Toller (1927) e Judas di R. Schenk (1928). Lavora anche nell’ambito del cabaret, in particolare su canzoni di H. Eisler, e nel cinema. Nel 1933 emigra dapprima in Olanda, poi in Belgio e a Londra; vive e lavora per due anni nell’Unione Sovietica e nel 1937 si reca in Spagna come combattente nella guerra civile. Nel 1938 è in Belgio, ma due anni dopo è fatto prigioniero in un campo di concentramento francese e dal 1942 al 1945 nelle carceri tedesche, accusato di istigazione all’alto tradimento per aver diffuso, attraverso l’esecuzione di canzoni, il comunismo in Europa. Alla fine la sua pena viene ridotta a una detenzione di quattro anni. Nel 1946 riprende il suo lavoro di attore a Berlino, allo Hebbel Theater e al Theater am Schiffbauerdamm; dopo il 1951 recita al Deutsches Theater nel ruolo di Mefistofele nel Faust , al Berliner Ensemble in ruoli come quello di Semën Lapkin in La madre , di Koch in Madre Coraggio e di Azdak in Il cerchio di gesso del Caucaso.

Simoni

Carlo Simoni si diploma nel 1967 all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’, quindi entra a far parte dello Stabile di Genova. Nel 1970 Sarah Ferrati lo chiama nella sua compagnia per Chi è Claire Lannes? di M. Duras. Fra i tanti spettacoli si ricordano le partecipazioni nel 1983 a Venezia salvata di Otway (regia di G. De Bosio) e nelle Baccanti di Euripide, allestite all’Olimpico di Vicenza dove interpreta il ruolo di Penteo. Dal 1995 è allo Stabile di Bolzano, diretto da M. Bernardi (Ma non è una cosa seria di Pirandello, Sarto per signora di Feydeau, La locandiera, Medea di Euripide.

Baliani

Formatosi nell’ambito dell’animazione teatrale e del teatro-ragazzi, Marco Baliani fonda nel 1975 il gruppo Ruotalibera insieme a Tiziana Luccattini e Maria Maglietta con cui produce fra l’altro Rosa e celeste (1983) e Oz (1986). Nel 1991 costituisce con M. Maglietta (sua moglie e stretta collaboratrice), la compagnia Trickster-Bricconi Divini e realizza due anni dopo Piccoli Angeli (premio Stregagatto) in cui la poetica delle piccole cose s’intreccia con un sguardo attento alla dolente marginalità dei vinti. A partire dal 1988 inizia ad approfondire la ricerca sulla narrazione orale e realizza come attore-narratore Storie (1989), Kohlhaas da Kleist (in collaborazione con Remo Rostagno, 1990), spettacolo esemplare sia sul piano attorale che drammaturgico, Frollo (1993) e Tracce (1996), sorta di conferenza narrativa sui temi dello stupore e dell’incantamento. La ricerca sulla narrazione porta B. regista a sviluppare anche negli spettacoli con più attori – fra gli altri il bellissimo Corvi di luna da Calvino (1989), Memoria del fuoco da Galeano (1992), Peer Gynt di Ibsen (1995), Migranti , collage di storie sul Mediterraneo (1996), Gioventù senza Dio di Horváth (1997) – un impianto drammatico epico-corale e una metodologia di lavoro attorale centrata sull’ascolto e sulla costituzione di un ensemble unitario, capace non tanto di interpretare quanto di fare esperienza e contribuire creativamente, attraverso l’azione fisica e il racconto, alla `mappa drammaturgica’ fatta di situazioni, azioni, canti, movimenti coreutici, narrazioni che costuisce gli spettacoli del regista-drammaturgo. All’attività registica B. unisce per lungo tempo quella di formatore dapprima in ambito educativo – proprio dal lavoro di animazione narrativa con gli insegnanti nasce la pubblicazione Pensieri di un raccontatore di storie – e poi prevalentemente in quello teatrale con la realizzazione del progetto formativo (1996, 1997, 1998) I porti del Mediterraneo , affidatogli dall’Ente Teatrale Italiano, e condotto con un gruppo internazionale di giovani attori. Conessi a una poetica della memoria e a una costante riflessione sulla crisi del tessuto politico e civile sono Antigone delle città (1991 e 1992), azione teatrale corale nelle piazze di Bologna per l’anniversario della strage, la trilogia realizzata nei forti del Trentino sulle vicende della Grande guerra, tra cui Come gocce di una fiumana (1994), e il racconto autobiografico della generazione extraparlamentare del delitto Moro in Corpo di stato (nato come progetto televisivo ideato e curato da Felice Cappa per Rai due, trasmesso in diretta il 9 maggio 1998, regia teatrale Maria Maglietta, regia televisiva Eric Colombardo).

Pagnol

I primi passi di Marcel Pagnol nello spettacolo li muove a Marsiglia, dove fonda e dirige una rivista, “Fortunio” (che diventerà “Les cahiers du Sud”), e scrive due pièce – entrambe rimaste inedite – Catulle e Ulysse chez les Phéniciens (in collaborazione con Charles Brun). Nel 1922 si trasferisce a Parigi, dove assieme a Paul Nivoix firma alcune pièce: Tonton (1923); Un direct au coeur (1926); Les marchands de gloire (1925). Quest’ultima, rappresentata al Théâtre de la Madeleine, è accolta tiepidamente dal pubblico ma è notata dalla critica. Essa è caratterizzata dal tema d’attualità – lo sfruttamento degli eroi di guerra ad opera di speculatori senza scrupoli – trattato con ironia e sostenuto da dialoghi brillanti, in cui la denuncia dei comportamenti immorali è portata avanti con l’arma della comicità. Una tecnica che Pagnol riutilizza in Jazz (1926) – in cui è preso di mira l’ambiente accademico – e in Topaze (1928), in cui il protagonista è un onesto maestro di scuola che, caduto vittima di alcuni affaristi, decide di dedicarsi alle speculazioni illegali. Topaze riscuote grande successo, successo che arride anche alla cosiddetta `trilogia marsigliese’: Marius (1929); Fanny (1931) e César (1937, rappresentata solo nel 1946). Di quest’ultimo testo prepara in contemporanea una versione cinematografica: è dal 1933 che – a pochi anni dall’introduzione del sonoro – Pagnol è sedotto dal nuovo mezzo di comunicazione; negli anni successivi si dedicherà interamente al cinema (ricordiamo il sodalizio artistico con l’attore Fernandel), con una breve parentesi negli anni ’50: Judas (1955) e Fabien (1956), il cui esito artistico non è all’altezza dei lavori precedenti.

Pavese

Caratterista sanguigno e dall’inconfondibile timbro vocale Luigi Pavese ha alternato esperienze teatrali a quelle soprattutto cinematografiche, dove tra le sue numerosissime partecipazioni spiccano i ruoli a fianco di Totò come: Fifa e arena (1948), Totò al Giro d’Italia (1949), Totò le Moko (1949), Totò lascia o raddoppia? (1956) e Totò, Eva e il pennello proibito (1959). A teatro debutta nel 1921 con la compagnia di M. Pederzini, per passare poi dal 1922 al 1924 ad altre compagnie minori fino ad arrivare nel 1925 al Teatro Odescalchi di Roma, allora diretto da L. Pirandello. Nel 26 è con Sabbatini-Fontana e l’anno dopo con Almirante Manzini e dal 1928 al 1936 lavora con ben sei gruppi teatrali, tra i quali la compagnia Tofano-De Sica-Rissone e la compagnia Merlini-Cialente. Nella stagione 1937-1938 è primattore con la compagnia Borboni-Cimara con cui compie una lunga tournée. Tra le sue partecipazioni ricordiamo: nel 1942 I padri etruschi di Pinelli e Casa di bambola di Ibsen e, nel 1948, Sacro esperimento di Hochw&aulm;lder. Nel teatro di rivista ha partecipato a Sai che ti dico? (1944), Cantachiaro n.1 (1944), Imputati alziamoci! (1945) e Tobia, la candida spia (1954).

Gassman

Alessandro Gassman esordisce senza troppo clamore nel 1982 nello spettacolo I misteri di Pietroburgo, con la regia del padre Vittorio. Nel 1984, sempre a fianco del padre, interpreta una rivisitazione di Affabulazione di Pasolini. Poi comincia a sviluppare una ricerca autonoma e, nel 1988, lavora con Ronconi in I dialoghi delle Carmelitane e poi nel Sogno shakesperiano di G. Mauri. Successo e polemiche arrivano con Camper, interpretato di nuovo in coppia col padre, nel ’94. Da ricordare anche Uomini senza donne di Angelo Longoni, nel biennio 1993-1995 e, sempre in coppia con Gianmarco Tognazzi e ancora con Longoni, Testimoni nel 1996.

Reggiani

Aldo Reggiani si è imposto all’attenzione del grande pubblico con lo sceneggiato televisivo La freccia nera (1969), per la regia di Maiano; a questa seguiranno molte altre realizzazioni per la televisione, e alcune anche in ambito cinematografico. Numerose le interpretazioni teatrali, tra cui Clizia (1967), I parenti terribili (1969, regia di Maiano), La figlia di Jorio (1971, regia di Cobelli). Nel 1976 è in scena con Caligola , per la regia di Trionfo, con il quale lavora in seguito negli allestimenti de La dodicesima notte (1981) e La città morta (1988). Dall’inizio degli anni ’90 si sussegue una serie di spettacoli con la regia di Sequi: Anfissa di Andreev (1990), Berenice di Racine (1991), Alcesti (1992), Macbeth (1996). Nell’ultimo anno ha interpretato Casanova. Eterno ritorno e Salomé di Oscar Wilde, entrambi con la regia di Alberto Casari. Conosciuto anche come regista teatrale e lirico, ha messo in scena La ciociara , da Moravia (1985), e Norma di Bellini (Trieste, Teatro Verdi 1995).

Lugné-Poe

Come per molti teatranti di quest’epoca la formazione di Aurelien François Marie Lugné-Poe è amatoriale (un gruppo di giovani, tutti allievi del Liceo Condorcet di Parigi), ma ben presto la sua vocazione si incanala in studi regolari al prestigioso Conservatoire. Mentre è ancora studente, con uno pseudonimo, debutta al Théâtre Libre di Antoine, che abbandonerà un anno dopo, nel 1888. Ma l’incontro maggiormente significativo nella carriera di L.-P., che come attore eccelle in parti da vecchio, è quello con il teatro simbolista del belga Maurice Maeterlinck di cui interpreterà sia I ciechi che L’intrusa e Pelléas et Melisande . Il 5 ottobre del 1893 fonda il Théâtre de l’Oeuvre che inaugura con la rappresentazione di Rosmersholm primo dei molti Ibsen (fra di essi ricordiamo almeno Il costruttore Solness , Il piccolo Eyolf , John Gabriel Borkman ) della sua vita dove getta le basi di quello che sarà, in sintonia con il movimento simbolista, il suo stile: scenografia creata da pittori come Vuillard e Denis, nessun effetto di prospettiva, tinte quasi spente, oggetti di scena ridotti al minimo. A questo prosciugamento scenico si accompagna uno stile interpretativo estremo: lineare, senza orpelli ed effetti, tutto puntato sul valore della parola, monocorde. Per definirlo i critici si rifanno a dei paragoni religiosi: L.-P. recita come se dicesse messa, come se interpretasse gli oracoli. Il divorzio dal simbolismo si consuma nel 1897 con reciproche accuse di tradimento; poco prima, però, L.-P. è protagonista di una serata scandalosamente memorabile come regista di Ubu re , andato in scena fra fischi e applausi il 9 e il 10 dicembre 1896. Da quel momento peregrina da una situazione a un’altra: è impresario con la Duse, per esempio, anche se, di tanto in tanto, il Théâtre dell’Oeuvre, che non ha mai avuto fissa dimora, riapre, ora qua ora là, i suoi battenti fino al 1933 quando il suo animatore diventa critico teatrale dell'”Avenir” e scrive i suoi ricordi ( La parade ). Non smette però di essere regista: è del 1934 il suo primo film La signora dalle camelie con Y. Printemps e P. Fresnay mentre l’ultimo ruolo teatrale che interpreta è quello di un crudele padre puritano in Miss Ba . Muore per un attacco di cuore il 19 giugno del 1940. La Francia è in guerra e la sua morte passa quasi sotto silenzio.

Campanini

Carlo Campanini esordì a diciannove anni nella quotata compagnia piemontese di prosa Casaleggio, che aveva un repertorio sterminato di commedie, drammi, vaudeville. Andò subito in tournée, a Buenos Aires, e vi rimase sei mesi. «Si cambiava spettacolo ogni sera – ricordava – e la sera il capocomico mi dava il copione da imparare per il giorno dopo. Prove dalle 10 alle 12 e dalle 14 alle 17, poi in scena… Fu una bella scuola». Tornato in Italia, andò nella compagnia di Antonio Maresca, rimanendo quattro anni accanto alla soubrette Isa Bluette. Un po’ di avanspettacolo nel 1930, poi in compagnia Navarrini-Bluette. Dotato di bella voce tenorile (avrebbe voluto fare lirica), spesso alternava a brani recitati intermezzi musicali. Interprete di operette, in gioventù fu il tenore Mario in Addio giovinezza di Pietri; nella versione televisiva di molti anni dopo, gli toccò il ruolo del padre di Mario. Nel 1939 venne scritturato per tre anni dalla compagnia di Vivienne D’Arys, e allora, ricorda, «tenni a battesimo un nuovo comico che faceva il ballerino a Riccione e imitava Stanlio. Era Carlo Dapporto. Io imparai a imitare Ollio, e la coppia ebbe uno straordinario successo». Nello stesso anno esordì nel cinema in Lo vedi come sei? accanto a Macario. Avrebbe poi girato un centinaio di film.

Nel 1950 ci fu l’importante incontro con Walter Chiari; ne divenne la preziosa spalla in scenette oramai `storiche’: l’imitazione dei fratelli De Rege («Vieni avanti, cretino!») e il ‘Sarchiapone’, ambientato in un vagone ferroviario. Carlo Campanini asseriva d’avere in una scatola un sarchiapone, animale selvaggio e pericoloso. Chiari, con l’aria del `so tutto’, tentava disperatamente di indovinare di che bestia mai poteva trattarsi. Si scopriva alla fine che era solo un trucco, adottato da Carlo Campanini commesso viaggiatore, per spaventare i compagni di viaggio e restare da solo nel vagone: avrebbe viaggiato più comodo. Quello sketch, ripreso sempre puntualmente nel corso di decenni, alla fine s’era dilatato sino a diventare un atto unico. Carlo Campanini ‘segue’ Walter Chiari in tv e al cinema, guadagnandosi attestati di stima dei critici e vibranti applausi del pubblico: il suo personaggio, si disse, era «il calco negativo di quello di Walter Chiari: timido, goffo, balbuziente, dimostra più anni di quelli che ha, è pesante, ha scarsa dimestichezza con le donne, conserva un candore di fondo». Negli anni ’70, quando ormai considera giunto il momento della pensione, viene richiamato alla ribalta a Torino, in una compagnia stabile (al Teatro Carignano) di commedie un po’ in lingua un po’ in piemontese, scritte su misura per Macario da Amendola e Corbucci. Ma Macario aveva improvvisamente deciso di riaffrontare le tournée nazionali, accanto a Rita Pavone (in Due sul pianerottolo ), la compagnia era rimasta senza primattore e Carlo Campanini, sino al 1980-81, continuò a far divertire il ‘suo’ pubblico.

Avogadro

Mauro Avogadro frequenta l’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’ negli anni 1971-74. Dal 1974 al 1976 lavora nella compagnia Valli-De Lullo ( Il malato immaginario di Molière, Tutto per bene di Pirandello, Terra di nessuno di Pinter). Parallelamente inizia a collaborare con L. Ronconi, partecipando all’allestimento di molti dei suoi spettacoli (tra cui Utopia da Aristofane, Spettri di Ibsen, La commedia della seduzione di Schnitzler, La torre di Hofmannsthal e Calderòn di Pasolini al Laboratorio di Prato; Tre sorelle di Cechov e, per il Teatro stabile di Torino, Gli ultimi giorni dell’umanità di Kraus, L’uomo difficile di Hofmannsthal, Misura per misura di Shakespeare, Venezia salva di Simone Weil). Nel 1987 inizia la sua attività di regista allestendo con la sua compagnia, l’Associazione Culturale Isola, L’histoire du soldat di Stravinskij, Sogno di un tramonto d’autunno di D’Annunzio-Malipiero, Fuochi freddi da Lunaria di Vincenzo Consolo. Con la stessa associazione, per il festival di Borgio Verezzi, nel luglio del 1994, ha curato la regia della commedia Il cavaliere e la dama di Goldoni, con Annamaria Guarnieri e, nell’aprile del 1994, ha messo in scena lo spettacolo I ciechi di Maeterlinck. Ha curato inoltre la regia degli spettacoli Pasiphae di H. de Montherlant, Il viaggiatore di Amiel , Alcassino e Nicoletta di Bruno Cerchio e Piero Ferrero, Pasolini , viaggio in Grecia di F. De Melis e Battaglia di dame di Scribe. Si è cimentato nell’opera lirica curando la regia dell’ Arlesiana di Bizet (1994) per l’Opera di Roma, Le convenienze e le inconvenienze teatrali di Donizetti (1995), Il corsaro di Verdi (1996). Per il Teatro stabile di Torino ha messo in scena lo spettacolo L’onorevole Ercole Malladri di Giacosa (1995), Nella tua breve esistenza di Ada e Piero Gobetti e Pelléas e Mélisande di Maeterlinck (1996). Dal 1996 è direttore artistico del festival di Chieri. Dal 1991 insegna recitazione alla scuola del Teatro stabile di Torino e dal 1997 ne è direttore didattico.

Trifirò

Dopo gli studi alla Scuola d’arte drammatica `P. Grassi’ Roberto Trifirò ha subito l’opportunità di partecipare a lavori come Civil wars di Bob Wilson (1983) e la Fedra vista da Ronconi (1984). Abile in ogni tipo di ruolo, ha al suo attivo moltissimi titoli, tra i quali ricordiamo un Re Lear sempre con Ronconi (1995) e Nella giungla delle città di Brecht, regia di Tiezzi, del 1997. Sempre con i Magazzini nel 1998 interpreta Scene di Amleto, libera rivisitazione dell’opera shakespeariana, al Fabbricone di Prato.

Rubini

Sergio Rubini si diploma all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’. Nel 1983 è con la Compagnia Ultimo Atelier in American Buffalo di D. Mamet con la regia di Franco Però, spettacolo in cui si trasponeva l’azione, originalmente ambientata nel Bronx, in una città del nord Italia. In seguito, recita in La stazione (1987) di U. Marino a fianco di M. Buy e E. Fantastichini, stesso cast che lo stesso Rubini utilizzerà per portare lo spettacolo al cinema, nell’omonimo film del 1990. La pellicola consentirà a Rubini, che comunque aveva già fatto un’importante apparizione ne L’intervista (1987) di F. Fellini, di cominciare una brillante carriera cinematografica che comprende quattro regie (la più recente è Il viaggio della sposa , 1997) e più di venti interpretazioni tra le quali: Una pura formalità (1994) di G. Tornatore, Nirvana di G. Salvatores (1996) e il recente L’albero delle pere (1998) di F. Archibugi.

Macario

Interprete di una comicità dal candore surreale, Eminio Macario fu la maschera italiana che più si avvicinò all’ingenuità e ai modi di Charlot ma dotata, per il palcoscenico, della parola funambolica dei fratelli Marx. In realtà ogni definizione risulta riduttiva ed incompleta, sebbene lusinghiera, per l’uomo la cui testa, a detta di Petrolini, valeva un milione; e tanto valeva quella testa con il famoso ricciolino sulla fronte, da far erigere in onore di Macario quel monumento in vita che furono le vignette a lui ispirate pubblicate dal “Corriere dei piccoli”. Cominciò a recitare fin da bambino nella filodrammatica della scuola e a diciotto anni entrò a far parte della prima compagnia di `scavalcamontagne’ (così erano chiamate le formazioni di paese che recitavano drammi e farse nei giorni di fiera). A ventidue anni venne scritturato nella compagnia di `balli e pantomime’ di Giovanni Molasso col ruolo di secondo comico e debuttò al Teatro Romano di Torino con le riviste Sei solo stasera e Senza complimenti. Dal settembre 1924 fu a Milano con Il pupo giallo e Vengo con questa mia di Piero Mazzuccato, Tam-Tam di Carlo Rota e Arcobaleno di Mazzuccato e Veneziani. Nel 1925 compie il primo grande salto entrando nella compagnia di Isa Bluette col ruolo di comico grottesco debuttando a Torino con la rivista Valigia delle Indie di Ripp e Bel-Ami.

Macario rimase con la Bluette per quattro anni acquistando via via sempre maggior notorietà finché, ottenuto il nome in ditta, e avendo firmato nel 1929 la prima rivista come autore ( Paese che vai , in collaborazione con Chiappo), il comico torinese formò una sua compagnia di avanspettacolo con cui girò l’Italia dal 1930 al ’35. Nel 1937 scritturò Wanda Osiris e mise in scena una delle prime commedie musicali italiane, Piroscafo giallo , di Bel-Ami, Macario e Ripp, debuttando al Teatro Valle di Roma. A partire da questa data si ripresentò ogni anno con una nuova rivista dai cui palcoscenici fece conoscere i volti e le qualità di molte attrici brillanti tra cui Lily Granado, Marisa Maresca, Isa Barzizza, Lauretta Masiero, Dorian Gray e Sandra Mondaini. Parallelamente, ad una prima e sfortunata esperienza cinematografica con Aria di paese (1933), fece seguito nel 1939 il grande successo di Imputato alzatevi! per la regia di Mario Mattoli, recante nella sceneggiatura le firme della redazione del “Marc’Aurelio”, il bisettimanale umoristico che schierava nomi dal futuro luminoso quali Maccari, Mosca, Metz, Steno, Marchesi e Guareschi. Con questo film per la prima volta nella storia del cinema italiano si può parlare di comicità surreale.

«Mi dicono – dichiarò a tal proposito l’attore nel 1974 – che io facevo Ionesco quando Ionesco quasi non era nato, e d’altronde io lo so… sono sempre stato un po’ lunare». Seguirono poi in un’ideale trilogia dei tempi di tirannide: Lo vedi come sei… lo vedi come sei? (1939), Il pirata sono io (1940) e Non me lo dire! (1940). Ma la sua formula spettacolare, al di là del successo sul grande schermo che continuò ad arridergli con nuovi picchi, come nel campione d’incassi Come persi la guerra (1946), fu sempre più adatta al teatro di rivista e alla commedia musicale, là dove le prepotenze della sua spalla Carlo Rizzo esaltavano la sua candida genialità, e là dove il contrasto fra l’innocenza della propria maschera e il sottinteso erotico delle sue famose `donnine’, mostrava tutta la propria efficacia. Si ricordano fra le altre Amleto, che ne dici? (1944) di Amendola e Macario, Oklabama (1949) di Maccari e Amendola, La bisbetica sognata (1950) di Bassano con musiche di Frustaci, Made in Italy (1954) di Garinei e Giovannini, Non sparate alla cicogna (1957) di Maccari e Amendola, Chiamate Arturo 777 – (1958) di Corbucci e Grimaldi. Macario ha incarnato la maschera di una comicità innocente quanto lieve, poeticamente sospesa fra le pause, lo sbarrarsi stupito degli occhi e la salacità dissimulata delle battute, un caso pressoché irripetibile, per ragioni storico-geografiche, di humour piemontese assurto con meritato clamore a dimensioni nazionali.

Zernitz

Interprete con una lunga carriera iniziata negli anni ’50 a Venezia nell’ambito del teatro sperimentale, che si è arricchita nel tempo di esperienze nell’ambito del teatro drammatico e in quello leggero e brillante, fino all’operetta, Virgilio Zernitz ha debuttato allo Stabile di Torino (1960-63) lavorando con G. De Bosio, L. Squarzina e F. Parenti, dove rimane tre anni. Dopo alcune esperienze approda al Piccolo Teatro dove recita in Patatine di contorno di A.Wesker (1967), La moscheta di Ruzzante con G. De Bosio (1971). In seguito lavora in molti spettacoli di L. Ronconi dal primo Riccardo III (1971), Gli ultimi giorni dell’umanità di K. Krauss, La Pazza di Chaillot di J. Giraudoux (1989, 1990). È al Teatro Stabile dell’Aquila con A. Calenda e G. Proietti, in Shakespeare e Eschilo. E con G. Proietti recita in spettacoli brillanti: Il gatto in tasca e Sistema Ribadier di Feydeau, Cyrano di Bergerac. È impegnato inoltre con A. Fersen, R. Guicciardini e L. Puggelli.

De Marchi

Laureato in lettere, Michele De Marchi nel 1973 debutta all’Odéon di Parigi con La pierre philosophale . Negli anni successivi interpreta: Il parlamento e Bilboa (anche regia; Biennale di Venezia, 1976); Fool , rielaborazioni di testi shakespeariani di Luca Fontana (Genova 1979); Bas-Tong, ovvero la notte delle sirene (per cui scrive le musiche e il libretto). Nel corso degli anni ha lavorato allo Stabile di Genova (Il cerchio di gesso del Caucaso di Brecht, regia di Squarzina), con Carlo Cecchi (Il borghese gentiluomo e Don Giovanni di Molière), con la regista A.R. Shammah (La vita è un canyon di A. Bianchi Rizzi e Ondine di Giraudoux, 1994) e allo Stabile di Parma (Enrico IV e Molto rumore per nulla, 1994, di Shakespeare); è stato voce recitante di Doktor Faustus di G. Manzoni alla Scala (regia di B. Wilson, 1989). Inoltre ha composto la musica di scena di diversi spettacoli, tra cui Zio Vanja di Cechov (regia di P. Stein), premiato al Festival di Edimburgo nel 1996.

Gaber

Giorgio Gaber (Gaberscik) inizia a esercitarsi con la chitarra a quindici anni per curare il braccio sinistro colpito da una paralisi. Studia economia e commercio alla Università Bocconi, pagandosi gli studi con le esibizioni al Santa Tecla di Milano, locale in cui nascono le sue prime canzoni e dove incontra amici e complici come Jannacci. In questo locale viene notato da Mogol che gli procura un’audizione per la Ricordi, a cui farà seguito un primo disco. Nello stesso periodo (fine anni ’50) intraprende la carriera nel gruppo rock’n roll dei Rocky Mountains; in seguito si esibisce in coppia con Maria Monti al Teatro Gerolamo di Milano con lo spettacolo Il Giorgio e la Maria . Dopo queste prime esperienze, negli anni ’60 si afferma con una vena più delicata e nostalgica, recuperando brani del repertorio popolare milanese. Passa poi a una dimensione decisamente più umoristica impegnandosi (dalla fine degli anni ’60) in un repertorio maggiormente attento all’attualità sociale e politica del Paese (forte è l’influenza di J. Brel). Appare in tv come conduttore in Canzoniere minimo (1963), Milano cantata (1964) e Le nostre serate (1965) oltre a numerosi altri spettacoli di varietà.

Nel 1965 sposa O. Colli. A Canzonissima (1969) presenta “Come è bella la città”, una tra le prime canzoni in cui traspare la sua sensibilità sociale. Nel 1970 il Piccolo Teatro di Milano gli offre la possibilità di allestire uno spettacolo: nasce così Il Signor G. (che resterà il suo soprannome), in cui le canzoni sfumano in monologhi dal gusto amaro e ironico, che trasportano lo spettatore in un’atmosfera vagamente surreale, in cui si mescolano sociale e politica, amore e speranza. A partire dagli anni ’70 l’unico riferimento artistico di G. è il teatro; egli si avvale della collaborazione di S. Luporini, pittore di Viareggio e suo grande amico, con il quale firma tutti i suoi spettacoli. G. diventa così cantante-attore-autore, o `cantattore’, con gli spettacoli Dialogo fra un impiegato e un non so (1972), Far finta di essere sani (1973), Anche per oggi non si vola (1974), Libertà obbligatoria (1976), Polli d’allevamento (1978), tutti prodotti con il Piccolo Teatro di Milano. Le sue storie sono quelle di un uomo qualunque, di un uomo del nostro tempo, con le speranze, le delusioni, i drammi e i problemi tipici dell’esistenza quotidiana. Tutti i suoi recital vengono ripresi in incisioni dal vivo. Nel 1980 scrive Io, se fossi Dio , atto d’accusa ispirato ai tragici avvenimenti del rapimento Moro. L’anno seguente, sulla scorta del successo degli americani Blues Brothers, forma con E. Jannacci il duo Ja-Ga Brothers rinnovando l’antica collaborazione degli esordi.

Nel 1981 ripropone in tv i suoi spettacoli teatrali più importanti nella trasmissione Retrospettiva ed è in teatro con lo spettacolo Anni affollati . Negli anni ’80 Gaber si sposta in direzione della prosa con gli spettacoli Il caso di Alessandro e Maria (1982) con M. Melato, sul rapporto uomo-donna, Parlami d’amore Mariù (1986), in cui G. descrive quella strana invenzione che è l’amore e Il grigio (1988), metafora di una spietata analisi introspettiva. Con gli anni ’90 Gaber riprende la forma di teatro musicale che gli è congeniale con Il Teatro Canzone (1991), spettacolo retrospettivo; Il Dio bambino , sull’incapacità dell’uomo di uscire dall’infanzia e di evolversi; E pensare che c’era il pensiero (1994), sull’assenza di senso collettivo e sull’isolamento umano; Gaber 96/97 , in cui sostanzialmente riprende il precedente spettacolo; Un’idiozia conquistata a fatica (1997-98), spettacolo di intervento sul contingente, legato all’isteria dei fanatismi politici e del mercato.

 

Crippa

Interprete che alterna disinvoltamente ruoli brillanti a ruoli drammatici, recitando testi classici, anche sul versante leggero. Giovanni Crippa debutta allo Stabile di Genova in Equus (1975-76) nella parte di Alan Strang, con la regia di M. Sciaccaluga; è quindi con G. De Lullo ne La dodicesima notte di Shakespeare e Tre sorelle di Cechov. Ha un importante ruolo da protagonista ne I promessi sposi alla prova di G. Testori con la regia di A.R. Shammah (1984), con la quale lavora in altri spettacoli. È un intenso Cid di Corneille, diretto da G. Albertazzi. Nel 1985 inizia a lavorare, nella parte di Astrov in Zio Vanja , con G. Patroni Griffi, con cui recita in tre testi di Pirandello per lo Stabile di Trieste (1987-89) e in alcuni testi brillanti, da Le false confidenze di Marivaux a Fior di pisello di Bourdet. Cura la regia di L’Angel di F. Loi (Spoleto 1993). Dal 1995 è al Teatro di Roma con L. Ronconi ( Quer pasticciaccio brutto de via Merulana , Davila Roa , I fratelli Karamazov , Questa sera si recita a soggetto ) e in Tieste di Seneca con la regia di R. Cappuccio. Ha partecipato a diversi sceneggiati televisivi, tra cui Manon di S. Bolchi.

Buazzelli

Diplomato all’Accademia d’arte drammatica ‘S. D’Amico’ nel 1947 insieme a Marina Bonfigli, Nino Manfredi e Giancarlo Sbragia, Tino Buazzelli debutta in teatro con la compagnia Maltagliati-Gassman ed è subito con i suoi venticinque anni un padre ‘perfetto’ in Tutti miei figli di Miller e passa poi al Piccolo Teatro della città di Roma (1948-1952) dove, diretto da Orazio Costa, emerge in una serie di interpretazioni corpose da Sei personaggi in cerca d’autore (il Padre) e Così è (se vi pare) (il Prefetto) di Pirandello a I giorni della vita di Saroyan, Don Giovanni di Molière (Sganarello) a fianco di Crast e della Falk, Oreste di Alfieri (Egisto), Giovanna di Lorena di Anderson, Lotta fino all’alba e Spiritismo nell’antica casa di Betti, Venezia salva di Bontempelli, Invito al castello di Anouihl, Le colonne della società di Ibsen. Strehler lo chiama al Piccolo dove interpreta N. N. di Leopoldo Trieste diretto da Guerrieri, Elisabetta d’Inghilterra di Bruckner, Sacrilegio massimo di Stefano Landi Pirandello e ancora il Padre nei Sei personaggi accanto a Lilla Brignone. Con la Falk, De Lullo, Valli e la Albani (è il duca Alessandro nel Lorenzaccio di De Musset diretto da Luigi Squarzina), recita, poi in Una donna dal cuore troppo piccolo di Crommelynck e nella riproposta di Spiritismo nell’ antica casa.

Nel ’55 è con la Ricci-Magni-Proclemer-Albertazzi in Sud America nella Beatrice Cenci di Moravia e in Corruzione a Palazzo di Giustizia di Betti. Partecipa, a San Miniato (1956), a Veglia d’armi di Diego Fabbri, ancora diretto da Orazio Costa, ma fra le due direzioni, quella storico-spirituale di Costa e quella inventiva di Strehler, Buazzelli aderisce di più alla seconda ed eccolo tornare al Piccolo per sette anni in una serie di interpretazioni magistrali a cominciare da Peachum nella ripresa dell’ Opera da tre soldi (1958), a Platonov e altri di Cechov, alla Visita della vecchia signora di Dürrenmatt, a Ricordo di due lunedì di Miller, ai Brecht di Shweyck nella seconda guerra mondiale e Vita di Galileo nei quali conferisce una consistenza umana indimenticabile. Nel 1965 è allo Stabile di Genova per Arriva l’uomo del ghiaccio di O’Neill diretto da Squarzina, poi è Willie Loman di Morte di un commesso viaggiatore di Miller con Evi Maltagliati (ripreso nel ’75 con Gabriella Giacobbe) e affronta con grande successo, Il guardiano di Pinter («Buazzelli è sicuramente unico – scrive il critico del “Guardian” per le recite londinesi – una tale fusione di fisica e istrionica assurdità è irripetibile»); in polemica contro i registi demiurghi firma un rigoroso allestimento del Macbeth (da lui ridotto insieme ad Arnaldo Bagnasco) con le scene di Joseph Svoboda, dove interpreta, con la sua voce registrata anche le streghe. Segue Gnocchi una sua tragicommedia sulle vicissitudini di un arbitro, da lui scritte e interpretate. Sono anni, sulla scia della consacrazione milanese galileiana, ricchi di traguardi e proposte: I vecchi di San Gennaro di Viviani, diretto da Fenoglio (1966), Bouvard e Pécuchet , di Kezich da Flaubert con Glauco Mauri (1968), Mercadet, l’affarista di Terron da Balzac (1969) e Tutto per bene di Pirandello. Altra polemica (questa volta contro i critici), per La seconda parte della storia di Enrico IV con le piacevoli facezie di sir John Falstaff (1970, al Teatro romano di Verona), nella quale si dirige nella vigorosa descrizione scenica del grande personaggio shakespeariano.

Dal ’71 al ’73 è allo Stabile di Torino dove infonde cinismo e vigoria sorprendenti al Signor Puntila e il suo servo Matti di Brecht in coppia con Corrado Pani, in una edizione libera, rispetto al dettato brechtiano, firmata da Aldo Trionfo con un occhio al cabaret di Karl Valentin e alla rivista degli Schwarz. Sempre a Torino firma con Svoboda (che si dissocia all’ultimo momento) una dubbia edizione dei Sei personaggi ambientata in uno studio televisivo e riprende, diretto da Fritz Bennewitz Vita di Galileo. Fra le ultime interpretazioni (muore in una casa di cura a Roma di un male incurabile) Un nemico del popolo di Ibsen (regia Fenoglio, 1975), Mephistowalzer di Bajini (1977) e La bottega del caffè di Goldoni; ma un’interpretazione straordinaria, per misura, ironia e grazia surreale, l’aveva offerta nel ’73 con La rigenerazione di Svevo. Per la tv da ricordare il pirandelliano personaggio di Marsina stretta e la serie del detective Nero Wolfe.

Montagnani

Laureato in farmacia, scoperto da Macario Renzo Montagnani esordisce in teatro come spalla di Carlo Dapporto, ma è nel cinema che ha successo come interprete di Metello , dal romanzo di V. Pratolini diretto da M. Bolognini (1970). Per ironia della sorte, questo fortunato exploit gli porta solo proposte per film erotici all’italiana, dove raramente ha potuto dimostrare il suo valore. Attore ambivalente, continua a frequentare il teatro, oltre che il cinema, interpretando La coscienza di Zeno di Svevo, diretto da Giraldi per lo Stabile di Trieste (1978), L’incidente di Luigi Lunari, messo in scena da Luciano Salce ed è al Teatro Quirino di Roma in Il senatore Fox di Lunari con la regia di Augusto Zucchi (entrambi del 1986), segue l’ Anfitrione di Kleist (1987) e nell’88 offre una grande prova recitando da protagonista al Teatro Duse di Genova in Arden di Feversham per la regia di Mario Sciaccaluga. Sempre al Duse lavora ne I fisici (1989) di Friedrich Dürrenmatt. Nel 1991 insieme alla sua compagnia recita in Pigmalione di G.B. Shaw (regia di Silverio Blasi) a cui seguono Sarto per signora (1992) di Georges Feydeau e L’aide-mémoire (1994) di Jean-Claude Carrière. Oltre alla partecipazione cinematografica in Amici miei (atto II e atto III) di Monicelli, la vera popolarità di M. è dovuta comunque all’improbabile parroco don Fumino da lui impersonato in una serie televisiva e all’incredibile quantità di film comico-erotici che puntualmente le reti televisive a notte fonda ripropongono.

Albanese

Dotato di grandi capacità mimiche ed espressive, Antonio Albanese ottiene successi sia in teatro che in cinema e televisione. Si forma alla Scuola d’arte drammatica ‘P. Grassi’ al fianco di registi teatrali appartenenti all’area della sperimentazione e della cultura meno tradizionale come Dario Manfredini, Gabriele Vacis, Jesus Carlos Martín, Santagata e Morganti e Giampiero Solari. Dopo una breve ma folgorante stagione al cabaret Zelig di Milano, A. raggiunge il grande pubblico televisivo grazie a Su la testa di Paolo Rossi (1993) nei panni dei suoi famosissimi personaggi Alex Drastico (il meridionale spocchioso) e Epifanio (il suo poetico e insicuro contraltare, eredità di un suo precedente studio teatrale), due tipi che si inseriranno ben presto per i modi di dire e di muoversi nel linguaggio comune. Anche a teatro i suoi personaggi ottengono grandi consensi di critica e di pubblico e il suo spettacolo Uomo (1992), che lo vede unico interprete in scena, verrà ripreso nel 1994 registrando il tutto esaurito in ogni piazza per ben due stagioni. Continua a alternare televisione (Mai dire gol) e palcoscenico: nel 1994 interpreta la commedia di Francesco Freyrie Salone meraviglia con Vito e Tita Ruggeri, diretto da Daniele Sala. Nel 1997, dopo essere stato protagonista del film Vesna va’ veloce di Carlo Mazzacurati, affronta al cinema nella doppia veste di regista e interprete Uomo d’acqua dolce e inizia una fortunata tournée con il nuovo spettacolo teatrale Giù al nord di cui firma, assieme a Michele Serra ed Enzo Santin, la drammaturgia, mentre la regia è di Giampiero Solari. A. è anche autore del libro Patapim e Patapam che raccoglie alcuni suoi monologhi.

Cobelli

Personaggio eclettico e bouleversantGiancarlo Cobelli attraversa gli ultimi cinquant’anni dello spettacolo italiano affiancando all’esperienza teatrale quella televisiva e segnalandosi al pubblico e alla critica per il suo gusto graffiante e parodistico, sovrapponendo la smorfia al sorriso disincantato e talvolta grottesco. Formatosi dal punto di vista artistico alla scuola del Piccolo Teatro di Milano, a partire dal 1952, secondo l’insegnamento di Strehler e Decroux rispettivamente per la recitazione e per il mimo, ancora studente lascia un segno significativo in La pazza di Chaillot di Giraudoux, nel Revisore di Gogol’ e in Il dito nell’occhio (1953), allestito dalla compagnia Parenti-Fo-Durano. Nel 1957 il suo nervoso talento è protagonista dell’Histoire du soldat di Stravinskij, messo in scena per la regia di Strehler alla Piccola Scala. Pressoché contemporaneo è il debutto televisivo, con la partecipazione a numerosi programmi della tv dei ragazzi, che, con la creazione del personaggio di Pippotto, garantisce al carattere funambolesco dell’attore grande popolarità.

La gestualità beffarda dell’artista, cifra espressiva di una fisicità amplificata dai toni spesso irriverenti, esplode tuttavia nel 1959 in Cabaret ’59, presentato al teatro Gerolamo di Milano. Lo spettacolo, del quale Giancarlo Cobelli è unico interprete, preparato in collaborazione con Giancarlo Fusco, sancisce il debutto ufficiale dell’attore, che espone se stesso in un ‘recital anti-recital’, in cui la vigorosa inventiva comica, senza mai cadere nello stereotipo, evoca esplicitamente la lezione dello `Chat noir’. Il successo dello spettacolo è replicato nel dicembre dello stesso anno in Cabaret 1960 : la forma del cabaret diviene spazio privilegiato per annullare il diaframma fra sperimentazione e spettacolo, campo di battaglia nel quale il regista riesce a far esplodere le tensioni maudites della sua arte. La versatilità dell’artista è sottolineata a metà degli anni ’60 dal continuo passaggio dalla scena alla regia e alla scrittura, e dalla sovrapposizione di generi e forme: dal cabaret Cabaret n. 3 di C., Fusco, Arbasino e Mauri (1963) alla commedia musicale: Un cannone per Mariù di G. Fusco e F. Carpi (1961) e soprattutto La caserma delle fate (1964) di cui, oltre a essere protagonista e regista, fu anche autore in collaborazione con Badessi. La fine degli anni ’60 e gli anni ’70 sono dominati dalla regia attraverso la quale Giancarlo Cobelli, in un continuo processo di costruzione e decostruzione rompendo ogni possibile struttura narrativa, svolge da uno spettacolo all’altro quella che per lui è l’utopia del teatro: Gli uccelli di Aristofane (1968), Woyzec k di Büchner (1969), Antonio e Cleopatra di Shakespeare (nelle due versioni del 1972 e 1974), La pazza di Chaillot di Giraudoux (1972), La figlia di I orio di D’Annunzio (1973), L’impresario delle Smirne di Goldoni (1974), L’Aminta di Tasso, nell’elaborazione dello stesso C. e di Giancarlo Palermo (1974), e il collage Soprannaturale, potere, violenza, erotismo in Shakespeare (1975) rappresentano le tappe più significative di tale itinerario.

Bruciato ogni naturalismo, il mimo Woyzeck urla nell’agonia del corpo la fine di ogni apparenza e nota patetica, così come i personaggi shakespeariani, transitando da un testo all’altro in un’unica messa in scena, sanciscono la perenne e incontrollabile transitorietà del tempo: demistificante «pessimismo che sfocia nell’utopia» (Groppali). I classici reinventati attraverso citazioni spesso contaminate offrono così la possibilità di una ‘ribellione travestita’ al mero estetismo dell’ufficialità. Un percorso quello di Giancarlo Cobelli proseguito su registri analoghi nel corso degli anni successivi, sino ad arrivare a Un patriota per me di J. Osborne (Roma, Teatro dell’Angelo 1991), mai rappresentato in Italia e ulteriore segno della spinta trasgressiva sottesa alla linea registica e drammaturgica dell’artista. Nello stesso anno realizza Il dialogo nella palude di M. Yourcenar e, per i due spettacoli, ottiene il premio Ubu per la migliore regia 1991. Fra gli spettacoli successivi da ricordare almeno l’aspro, spoglio, feroce Troilo e Cressida di Shakespeare e per la Scala, Iphigénie en Tauride di Gluck (1992), L’angelo di fuoco di Prokof’ev (1994, ripreso nel 1999) e Il Turco in Italia di Rossini (1997).

Giancarlo Cobelli si spegne il 16 marzo 2012, all’età di 82 anni. 

Vilar

Diplomato alla Scuola del Piccolo di Milano, Bruno Vilar lavora con Strehler nel Gioco dei potenti da Shakespeare in un piccolo ruolo e come mimo in molte opere liriche (Cavalleria rusticana alla Scala). La sua carriera prosegue in tono minore fino all’incontro con Paola Borboni, avvenuto nel 1970. Tra i titoli: Camerata Franco collage di De Santis sulla Guerra civile spagnola; due episodi da La fame e la sete di Ionesco, Don Gil dalle calze verdi; Vita e morte di Re Giovanni di Shakespeare e Lady Edoardo da Edoardo II Marlowe diretti da A. Trionfo. Il matrimonio del giovane con l’attrice già settantenne desta scalpore, così come il tragico incidente in macchina che gli costa la vita lasciando illesa la moglie. Tra le sue opere poetiche ricordiamo L’estate brucia la malinconia, Solo nella sera e Vuoto d’attesa.

Salerno

Mini Salerno inizia come cabarettista con i Gatti di Vicolo Miracoli (v.). Sciolto il gruppo nel 1986, Salerno abbandona il cabaret e inizia una nuova carriera come regista di fiction per la televisione, (tra l’altro la serie de “I ragazzi del muretto”, 1990). Sul grande schermo interpreta una parte ne Il testimone dello sposo , per la regia di Pupi Avati e, nel 1998 è attore teatrale nella commedia brillante Terapia d’urto di W. Lupo.

Quaglio

José Quaglio visse in Francia dall’età di due anni e fino al 1964. Oltralpe recitò con registi famosi, come Vilar, Dasté, Mercure, Meyer. Debuttò nel 1940 con il gruppo La Saison Nouvelle. La prima regia la firmò nel 1953, mettendo in scena Velca di T. Pinelli. Raggiunse il successo nel 1959 allestendo, prima in Francia e poi, nel 1962, in Italia Sicario senza paga di Ionesco. Trasferitosi in Italia, diresse lavori di Brusati (La fastidiosa, 1963), Ionesco (Il re muore, 1963), Eliot (Il ministro a riposo, 1964), Moretti (Processo a Giordano Bruno, 1970), Neveux (Querela contro ignoto, 1968), Suffran (Savonarola, 1970), Bolt (Un uomo per tutte le stagioni, 1974), Mrozek (Gli emigranti, 1975) e Pirandello, di cui curò la regia di un celebre Enrico IV (1964), grazie alla grande prova di S. Randone e alla valorizzazione dei personaggi minori. Del 1973 è La papessa Giovanna una commedia di grande successo con Andrea Giordana e Paola Quattrini. Tra le sue interpretazioni cinematografiche va annoverata quella nel film Il terrorista (1963) di G. De Bosio, nel quale diede vita a Piero, partigiano comunista veneziano. Q. è stato anche un prezioso diffusore della cultura teatrale italiana in Francia.

Besozzi

Dopo aver debuttato appena diciottenne, Nino Besozzi fu in importanti compagnie accanto a V. Vergani, L. Cimara, L. Almirante, A. Pagnani, e ancora con Melnati e De Sica. Partecipò anche (1924) alla bella avventura milanese del Teatro del Convegno diretto da E. Ferrieri. Il successo gli arrise presto interpretando ruoli sia drammatici sia brillanti. Quanto ai primi, si distinse particolarmente in Lulù di Bertolazzi e – forse la sua prova più impegnativa – in Il magnifico cornuto di Crommelynk. Fu tuttavia nel genere brillante che si impose a partire dal 1938, tenendo per alcuni anni il monopolio delle simpatie popolari (questo anche al cinema, che a lungo lo legò a sé): una comicità caratterizzata da un che di flemmatico, e che giocava volentieri con la voce (gustosi certi suoi effetti nasali). Oltre alla prosa avvicinò la rivista, proponendosi anche come autore (Lo zio di Milano , in collaborazione con Delio Siesto) senza però ottenere risultati di rilievo. Nel corso della sua carriera tentò anche di riportare sulle scene il repertorio del grand-guignol. Negli ultimi anni fece fugaci apparizioni in televisione.

Matteuzzi

Dopo aver militato al Teatro La Soffitta diretto da Bolchi Andrea Matteuzzi è al Piccolo Teatro negli anni ’50 poi allo Stabile di Bologna al Piccolo dove subentra a Lanzarini nel ruolo di Bolanzone che terrà fino alla morte. Nel 1981 partecipa all’allestimento dell’ Avaro di Molière, con Paolo Stoppa e la regia di G. Patroni Griffi e due anni più tardi lavora nello sceneggiato televisivo “Bebawi-Il delitto di via Lazio”, basato su un processo del 1965 contro i coniugi egiziani Jussef e Claire Bebawi. Nel 1984 è con la compagnia di G. Mauri nell’ Edipo re di Sofocle e lo stesso anno recita ne La Venexiana con la regia di Scaparro. Insieme a T. Carraro partecipa al Festival Taormina Arte del 1986 con Pericle principe di Tiro di Shakespeare con la regia di A. Serpieri, spettacolo replicato al Teatro Romano di Ostia Antica e l’anno dopo è tra gli interpreti di Pulcinella , testo inedito di R. Rossellini da un canovaccio di A. G. Bragaglia, con M. Ranieri e per la regia di M. Scaparro. Altre partecipazioni: Uomo e superuomo (1988) di G.B. Shaw e Galileo (1988) di Brecht.

Piccardi

L’esordio a teatro di Silvano Piccardi è del 1956 con Madre natura di Luigi Cimara. Segue un’intensa attività con le maggiori compagnie italiane: Calindri-Solari-Zoppelli, I giovani (De Lullo, Falk, Guarnieri-Valli). Lavora per oltre tre anni con Dario Fo, anche autonomamente, con regia e testi propri, e col Gruppo della Rocca. Nel 1979 inizia la collaborazione con il milanese Teatro Filodrammatici, dove interpreta Romeo e Giulietta , Il ladro di casa di Svevo (1983-84), Terzetto , una raccolta di atti unici di Pirandello con la regia del fratello Alvaro. Nel 1991 allestisce per il Festival di Spoleto Dialoghi con nessuno , e l’anno successivo dirige per il Festival di Asti, P. Zappa Mulas e P. Nuti in Parole al buio di Paolo Puppa. Nel 1993 allestisce al Carcano la ripresa di Tre sull’altalena di Lunari con G. Pambieri, L. Tanzi ed E. Beruschi che arriverà anche in tv. Tra le sue tante regie ricordiamo La principessa dei sogni (la guerra in Jugoslavia) di Rocco D’Onghia, andato in scena al teatro Verdi di Milano. Tra il 1986 e l”88, su richiesta del carcere di San Vittore e del Sindacato attori italiano, conduce un laboratorio di drammaturgia con un gruppo di detenuti per reati di terrorismo che porterà al testo Labirinto , presentato in forma di spettacolo nell’88 al Salone Pier Lombardo con la partecipazione di F. Parenti e L.Morlacchi.

Cronyn

Buon caratterista nel teatro e nel cinema, Hume Cronyn si trasferì negli Usa dove sposò, nel 1942, l’attrice inglese Jessica Tandy (19091994), con la quale formò una delle coppie più apprezzate dei palcoscenici americani per il garbo, la tecnica e il senso dell’umorismo. Recitarono insieme, spesso con la regia di Cronyn, testi come Letto matrimoniale di De Hartog, I fisici di Dürrenmatt, Un equilibrio delicato di Albee. Furono anche fra i primi ad alternare le recite a Broadway con quelle nei teatri regionali, dove potevano affrontare un repertorio impegnativo con adeguati tempi di preparazione. Senza il marito, la Tandy fu Ofelia accanto a Gielgud e, con particolare successo, la prima Blanche Dubois di Un tram chiamato desiderio .

Campton

Scrittore prolifico, David Campton ha scritto per il teatro, la radio e la televisione. I suoi `short plays’ sono raccolti in: L’eccentrico punto di vista (The Lunatic View, 1957); Notti femminili (Ladies Nights: Four Plays For Women, 1967); Riso e paura (Laughter and Fear: Nine One-Act Plays, 1969); Ancora sul palcoscenico (On Stage Again, 1969), che comprende quattordici sketch e due monologhi. Negli anni ’80 ha scritto Chi è l’eroe, allora (Who’s the Hero, Then, 1981) e Carte, tazze e palla di cristallo (Card, Cups and Crystall Ball, 1986). La misura breve è la più congeniale a C., quella che gli permette di offrirci una vasta gamma di ben delineati caratteri umani. Lo stile e i contenuti lo avvicinano al teatro dell’assurdo di Pinter, ma con una forte coscienza sociale e un esplicito interesse alla problematica politica.

Binasco

Nel 1987 Valerio Binasco si diploma presso la scuola dello Stabile di Genova. Negli anni immediatamene seguenti lavora per il Teatro di Genova con le regie di Anna Laura Messeri (Il furfantello dell’Ovest , di J. M. Synge, 1987) e Marco Sciaccaluga (La putta onorata e La buona moglie di Goldoni, 1987-88; Inverni di C. Repetti da S. D’Arzo, 1988; Arden di Feversham, 1988-89). Nel 1989 lavora con Mario Jorio in Gelopea di Chiabrera e con Carlo Cecchi in Amleto. Quindi, nel 1991, è nuovamente con lo Stabile di Genova per il Re Cervo di Gozzi con la regia di Marco Sciaccaluga e inizia la sua attività come insegnante presso la scuola di recitazione dello Stabile. Dal 1991-92 lavora con il Teatro degli Incamminati con le regie di Franco Branciaroli (Antigone di Sofocle, Re Lear di Shakespeare, L’ispettore generale di Gogol), G. De Bosio (I due gemelli veneziani di Goldoni), M. Sciaccaluga (Cirano di E. Rostand, La bisbetica domata di Shakespeare). Nel 1994 inizia la duratura collaborazione con C. Cecchi, inizialmente come assistente alla regia per la messa in scena di Nunzio di Spiro Scimone, poi come attore in Finale di partita di Beckett (1995), La serra di H. Pinter (1997), Sogno di una notte di mezza estate e Misura per misura di Shakespeare (1998). Dal 1995, anno in cui ha diretto e interpretato Re Cervo di Gozzi con il gruppo Durandarte, si dedica anche alla regia teatrale. Ha firmato le regie di Bar di Spiro Scimone per il festival di Taormina nel 1997, di Family Voices di H. Pinter nel 1997, di La bella di Leenane di M. Mc Donagh per lo Stabile di Genova nel 1998.

Bene

Carmelo Bene esordisce nel 1959 al Teatro delle Arti di Roma nel Caligola di Camus diretto da Alberto Ruggiero, ma già l’anno successivo offre un lavoro creativo autonomo con Spettacolo Majakovskij , arricchito dalle musiche di S. Bussotti. Gli anni ’60 rivelano la novità dirompente dell’arte di B. Nascono spettacoli di inattesa forza eversiva e di oltraggiosa provocazione: Pinocchio da Collodi (1961), Amleto da Shakespeare (1961), Edoardo II da Marlowe (1963), Salomè da O. Wilde (1964), Manon da Prévost (1964), Nostra Signora dei Turchi (1966), Amleto o le conseguenze della pietà filiale da Shakespeare e Laforgue (1967), Arden of Feversham (1968), Don Chisciotte in collaborazione con Leo De Berardinis (1968). Il decennio, fra i più fecondi nella carriera di Carmelo Bene, consegna a un pubblico spesso scandalizzato spettacoli inattesi, creazioni che l’attore tornerà a rielaborare con accanimento, ricercando un punto prospettico sempre variato e conturbante. In quel decennio Carmelo Bene, oltre a costituire una propria compagnia in sodalizio con Lydia Mancinelli, partecipa all’attività del Beat ’72; sperimenta il cinema, realizzando il lungometraggio Nostra Signora dei Turchi (1968), che segue i mediometraggi Ventriloquio (1967) e Hermitage (1968); aderisce al `Manifesto per un nuovo teatro’ firmato a Ivrea nel 1967 dalle schiere più avanzate della cultura e della ricerca teatrale. Carmelo Bene è ormai il simbolo di un’arte antagonistica, opposta al teatro ufficiale. Per la prima volta, con lui, prende corpo una nuova nozione di attore, che non è soltanto un dissacratore di regole, di repertori e di autori, ma molto di più e di diverso: è l’attore filosofico, l’attore ideologico, l’attore saggista, che si pone «al di qua della rappresentazione e al di là del teatro» (M. Grande). Invece delle superstiti sicurezze dei cosiddetti grandi attori, dà al pubblico dubbi, polivalenze e ambiguità di significati, sottili intarsi culturali, la degradazione parodistica. Nel Romeo e Giulietta (1976), per esempio, si assume la parte di un Mercuzio che non muore a metà della tragedia, ma continua nelle parole di Romeo, da lui plagiato e fagocitato, ridotto a un mimo animato soltanto dal suo padrone e partner, la cui voce gli è trasmessa attraverso il play-back. È un caos doloroso e beffardo, il crollo di ogni illusione interpretativa.

È il cosiddetto teatro della sottrazione o dell’amputazione: Carmelo Bene elimina dai testi il dato ideologico immobile e vi sostituisce una potente forza distruttiva, con cui cancella il rapporto attore-personaggio, autore-regista e, di conseguenza, la rappresentazione convenzionale. Nascono da qui S.A.D.E. (1977), Lorenzaccio (1986), La cena delle beffe e Pentesilea (1989), dove l’elemento negativo sembra travolgere la nozione stessa di teatro. Nasce ancora da qui la rissosa e sfortunata direzione della Biennale Teatro nel 1989, in cui B. promette uno strenuo esercizio di ricerca teorica il cui scopo è il teatro senza spettatori. Pensiero negativo. Ma Carmelo Bene esce dalla negatività per affermare l’unica presenza per lui possibile, quella dell’attore; l’attore che non si nasconde dietro il personaggio, rifiuta di morire con Mercuzio, ma ripropone continuamente se stesso come realtà esistenziale in cui il poeta e la sua visione fantastica si fondono e finiscono con lo scomparire. L’attore, cioè il diverso: con la sua nevrosi, i suoi eccessi e mancamenti, la sua ambiguità sessuale, il suo autobiografismo ostentato, la distruzione di se stesso in pubblico, nell’onda di grandi musiche che enfatizzano i sentimenti caduti. Così, fra l’altalena del dubbio e lo schiocco dell’oltraggio, Carmelo Bene mette in discussione non solo il teatro nella sua accezione storicamente accertata, ma anche lo spettatore, invitato a riconoscere come unica realtà la sofferenza, la nausea, il narcisismo spudorato e malinconico, l’impotenza, la protervia e la mortale consapevolezza dell’attore, che ora ha perduto ogni connotato psicologico ed è diventato una macchina attoriale, arrivando a raccontare se stesso col nastro del play-back, in quinta, e avendo per interlocutori dei manichini. L’elemento vivo della macchina attoriale è la voce, che con Bene diventa phoné: uno strumento duttile, ricco di ombreggiature e di colori, di timbri, di sonorità e di cupezze, messi al servizio non solo dei personaggi anchilosati e collassati, ma anche del verso poetico, che egli esplora non nella cantabilità, ma nella profondità emotiva e concettuale, restituendolo a platee anche immense (Dante dalla Torre degli Asinelli a Bologna nel 1981) con l’uso del microfono, che con lui non è più una protesi, ma è la voce che vince il suo stesso corpo. Ed ecco le letture di Majakovskij e dei Canti orfici di Dino Campana, ecco Leopardi, ecco i concerti per voce recitante, come Manfred di Byron (1979, musica di Schumann), Hyperion di Maderna (1980) ed Egmont da Goethe con musiche di Beethoven (1983); ecco Hamlet Suite (1994), in cui l’opera di Laforgue ha le musiche di B. È l’apoteosi dell’attore-creatore che si è specchiato in G. Deleuze e in Nietzsche, si è sovrapposto ai grandi scrittori della scena reinventandoli in un’assoluta originalità ed è arrivato al grado massimo di narcisismo con l’autobiografia Sono apparso alla Madonna (1983), inserita nell’opera omnia pubblicata nel 1995.

Greggio

Come molti personaggi televisivi, Ezio Greggio ha cominciato con esibizioni dal vivo in locali e cabaret. È giunto alla popolarità prima come presentatore di Drive in e poi come mezzo busto satirico in Striscia la notizia, programma firmato da Antonio Ricci in onda dal 1988 con invariato successo. Il debutto in televisione è nel 1978 in La sberla , su Raiuno, poi il suo passaggio nel 1983 alla Fininvest con Drive in a cui seguono molti altri programmi tra cui Odiens e Paperissima, con presenza fissa (che terminerà nel febbraio 1999) in Striscia la notizia . Ha interpretato inoltre una quindicina di film per la regia di Vanzina, Castellano e Pipolo, Oldoni tra cui The silence of the hams , del 1993 e Killer per caso (1996), di cui è anche regista. Per la regia di Mel Brooks interpreta nel 1995 Dracula dead and loving it , sempre insieme a Brooks sarà protagonista di Svitati film attualmente in produzione e in uscita nel 1998.

Orlando

Orazio Orlando inizia la sua carriera molto giovane: a diciotto anni è in palcoscenico con la compagnia Ricci-Magni-Proclemer-Albertazzi. La sua prima partecipazione importante è nel Re Lear di Shakespeare. Nella sua carriera ha collezionato numerosi ruoli, passando con disinvoltura dal repertorio classico a quello moderno; ha partecipato anche ad alcune riviste. La sua morte è avvenuta in scena, al Teatro Flaiano di Roma, durante le prove di Ad Eva aggiungi Eva . Intensa anche la sua carriera televisiva, dove spesso si è calato nella parte del duro e senza scrupoli. Tra queste spicca quella del ricattatore in La donna di fiori (1965); la notorietà gli giunge con il poliziotto Solmi, bonario protagonista della serie Qui squadra mobile (1973). Nel 1977 conduce anche un varietà televisivo e, nel 1990, partecipa alla Piovra 5 . Numerose le sue apparizioni cinematografiche, soprattutto con personaggi drammatici, tra cui ricordiamo Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970), in cui interpretava l’aiuto poliziotto di Volontè, e La proprietà non è più un furto (1973), entrambi di Elio Petri.

Cirino

Diplomatosi all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’, Bruno Cirino si forma come attore, dopo alcune partecipazioni in spettacoli di Zeffirelli (Romeo e Giulietta), De Lullo (Il giuoco delle parti) e Patroni Griffi (Napoli notte e giorno), sotto la guida di Eduardo De Filippo (Il contratto, 1967), dimostrandosi dotato di ottima tecnica. Negli anni ’70 fonda la cooperativa teatrale Teatroggi con la quale mette in scena, nella borgata romana di Centocelle, due testi agit-prop di Dacia Maraini, Gli anni del fascismo (1971) e Viva l’Italia (1972), curando anche la regia. La sua successiva carriera si muove in bilico tra l’impegno, con lavori come Marat-Sade di P. Weiss o Il diavolo e il buon Dio di Sartre per la regia di A. Trionfo, e la rivisitazione dei classici della tradizione (Georges Dandin di Molière, 1979) e del Novecento (La lezione e Le sedie di Ionesco).

La sua migliore interpretazione resta l’Idiota diretto da Aldo Trionfo (1977), che stempera la sua vena mattatoriale con un alone di crudo sarcasmo. Altri lavori di rilievo: I confessori di V. Di Mattia (1978), Uscita d’emergenza di M. Santanelli, allestito con la cooperativa teatrale `Gli ipocriti’ (1980), e Liolà di Pirandello (1981). In campo cinematografico sono da segnalare le sue partecipazioni a Allonsanfan di P. e V. Taviani (1974) e Libera, amore mio di M. Bolognini (1975). Ha svolto parallelamente un’intensa attività televisiva, prestando la sua profonda carica di umanità a sceneggiati come Dedicato a un bambino (1970), Dedicato a un medico (1973), Il diario di un maestro (1973).

Fazio

Fabio Fazio comincia la sua carriera esibendosi nei cabaret liguri con sketch giovanilistici e come abilissimo imitatore, ma subito tenta la via della televisione partecipando a un concorso Rai per nuovi volti. Comincia con la Carrà (Pronto Raffaella?, 1983) e poi passa di trasmissione in trasmissione mettendo a frutto le sue doti parodistiche e il suo umorismo leggero (Banane, su Telemontecarlo, 1990-91). Conquista la notorietà soprattutto grazie a Quelli che il calcio, programma in onda dal 1994 che segue attentamente (sdrammatizzandole) le domeniche sportive degli italiani Anima mia (1997). Conduttore discreto e ironico rappresenta in televisione un volto simpatico e intelligente. Nel 1994 esce il suo primo libro Qui una volta era tutta campagna , seguono: Il giorno più bello della vita , Guida al matrimonio (1995) e Anima Tour (1997). Infine, siamo nel 1996, lo vediamo come attore protagonista in Pole Pole di Massimo Martelli, fuori concorso al Festival di Venezia, e ancora come attore protagonista nel film-tv per la Rai Un giorno fortunato (1997).

Ljubimov

Jurij Petrovic Ljubimov frequenta la scuola del teatro Vachtangov, dove insegna fra l’altro il grande attore Scukin. Durante e dopo la guerra interpreta molti ruoli sia al Teatro Vachtangov sia al cinema (Cyrano 1951, Tjatin in Egor Bulycov e altri di Gor’kij per cui riceve il premio Stalin nel 1951, Treplev in Il gabbiano di Cechov, 1954; Romeo, 1956). A partire dal 1959 insegna alla scuola del Teatro Vachtangov (chiamata Istituto Scukin in onore dell’attore scomparso): nel 1963 con gli allievi mette in scena L’anima buona di Sezuan di Brecht, che suscita scalpore per la forza del discorso politico che sottende lo spettacolo. Nel 1964 viene nominato direttore del Teatro Taganka: riprende il testo di Brecht con gli allievi della scuola che formano la nuova compagnia, a cui si unisce alla fine dell’anno Vladimir Vysockij, noto cantautore non allineato che diventa popolarissimo, grazie ad alcune interpretazioni di straordinaria intensità (Galileo nell’omonimo testo di Brecht, Amleto, Lopachin ne Il giardino dei ciliegi ecc;). Ljubimov inaugura un nuovo genere di spettacolo: il montaggio di testi di poesia o di prosa, mescolati a canzoni spesso composte dagli attori stessi, soprattutto Vysockij, di autori classici o contemporanei, sempre comunque con precisi e polemici riferimenti all’attualità difficile, opprimente (va ricordato che nell’ottobre del 1964, Chrusciov viene destituito e inizia la plumbea era di Breznev: non a caso nel 1964 c’è il processo e la condanna del poeta Brodskij e nel 1965 l’altrettanto scandaloso processo agli scrittori Sinjavskij e Daniel).

Ogni nuovo spettacolo è per il pubblico moscovita un evento: coinvolto direttamente nel lavoro degli attori, aderisce con entusiasmo al tono anticonformista, alla libertà di lettura, al coraggio nel parlare apertamente del male di vivere di quegli anni. Fondamentale resta in tutti questi anni la collaborazione con lo scenografo D. Borovskij, che con pochi elementi crea scenografie di straordinario interesse (il sipario di luce utilizzato in molti spettacoli, la grande rete di corda per Amleto ecc.). Esempi dei montaggi sono: Un eroe del nostro tempo da testi di Lermontov (1964), Gli antimondi da Voznessenskij (1965), I dieci giorni che sconvolsero il mondo testi sulla Rivoluzione d’ottobre sulla base del volume omonimo di J. Reed (1965), Ascoltate! Majakovskij , montaggio di versi majakovskiani (1967), Pugacev da Esenin (1967), Che fare da Cernysevskij (1970), Credi, compagno… montaggio di testi puskiniani (1973), I cavalli di legno da una serie di racconti di F. Abramov sulla dura realtà contadina (1974), Lo scambio da un racconto di J.Trifonov sulla difficoltà di trovare alloggio a Mosca (1976), Delitto e castigo da Dostoevskij (1979), Il maestro e Margherita da Bulgakov (preparato nel 1977, autorizzato solo nel 1980), La casa sul lungofiume da Ju.Trifonov sulle purghe staliniane (1980). Accanto ai montaggi, alcuni spettacoli di grande richiamo, anch’essi in aperta polemica con la tradizione e con la linea di partito: Vita di Galilei di Brecht (1966), Tartufo di Molière (1968), Amleto di Shakespeare (1971), Tre sorelle di Cechov (1981). Nel periodo brezneviano la persecuzione politica di L. è incessante: vengono vietati spettacoli come Caligola di Camus, Marat/Sade di Weiss, Il suicida di Erdman, un montaggio di cronache shakespeariane (da Enrico V , Riccardo II e Riccardo III ), una riduzione dei Demoni di Dostoevskij, alcuni montaggi poetici fra cui quello in memoria di Vysockij. Non solo: molto delle tournée all’estero della compagnia, su invito dei maggiori festival europei, non vengono autorizzate; altri inviti personali a Ljubimov per regie o partecipazioni a congressi gli vengono negate. La situazione è talmente insopportabile che L. è costretto a rivolgersi direttamente a Breznev per chiedere quale futuro è previsto per il teatro e per lui personalmente. Nel 1975 viene autorizzato a recarsi a Milano per la regia di Al gran sole carico d’amore di Ljubimov Nono alla Scala.

Nel 1977 finalmente il teatro va in tournée a Parigi, nell’ambito del festival d’Automne e Ljubimov riceve il premio per la miglior regia (Amleto). Sempre alla Scala di Milano dirige Boris Godunov (1979), Chovanscina (1981), al Maggio musicale fiorentino Rigoletto (1984). Nel 1984, essendo ancor peggiorati i rapporti con il potere sovietico, Ljubimov  viene sostituito senza preavviso alla direzione della Taganka (gli subentra A. Efros) e poco dopo gli viene tolta la nazionalità sovietica. Il suo nome viene cancellato dalle locandine del teatro. Inizia il periodo di esilio (1984-1988), durante il quale L. lavora in vari paesi europei, fra cui l’Italia ( Delitto e castigo da Dostoevskij all’ATER di Bologna 1984; La passione secondo Matteo di Bach alla chiesa di S. Marco a Milano per la Scala 1985; Le piccole tragedie di Puškin all’ATER di Bologna 1985; I demoni da Dostoevskij a Karlsruhe1986; Jenufa di Janacek all’Opera di Zurigo 1986). Nel 1988, con Gorbacev a capo del governo, Ljubimov ritorna a Mosca, a capo della Taganka, dove riprende le prove di Boris Godunov di Puškin e dello spettacolo dedicato a Vysockij, che cinque anni prima erano stati vietati. Ma il ritorno non è senza problemi: troppa attività all’estero (Ljubimov è nominato regista stabile all’Opera di Bonn), richiesta di pieni poteri nel caso di privatizzazione del teatro; parte degli attori, con a capo il direttore degli anni precedenti N. Gubenko, si dichiara insoddisfatto delle posizioni assunte da L. e chiede di gestire autonomamente una delle sale di cui dispone il teatro. Ljubimov accetta la divisione e continua l’attività con una sua compagnia con cui mette in scena I fratelli Karamazov (1997).

Gora

Claudio Gora si forma al Cine-Guf di Genova dove sarà fondatore e direttore del Teatro sperimentale Luigi Pirandello. Laureatosi in giurisprudenza, nel 1937 debutta in teatro a Genova nella pièce Primavera di G. Paolucci e due anni dopo esordisce sugli schermi cinematografici con Trappola d’amore di R. Matarazzo, dove ottiene un notevole successo. Nella sua carriera alterna, così, l’attività teatrale a quella cinematografica e televisiva. In teatro lavora allo Stabile di Genova nel Troilo e Cressida di Shakespeare e nella Maria Stuarda di Schiller, entrambi diretti da Squarzina. Nel 1955 è primo attore nella compagnia del Teatro regionale emiliano (La moglie ideale di Praga; Vestire gli ignudi di Pirandello, La regina e gli insorti di Betti). Al Piccolo Teatro di Milano interpreta Alonso re di Napoli ne La tempesta di Shakespeare diretta da Strehler (1978-79). Negli anni ’80 lavora ancora per lo Stabile di Genova dove recita in: La bocca del lupo di R. Zena, regia di Sciaccaluga (1980); L’orologio americano da Tempi duri di S. Terkel, regia E. Petri (1981); Rosmersholm di Ibsen, regia di Sciaccaluga (1984). Della sua attività cinematografica ricordiamo Un maledetto imbroglio di Germi (1959); Una vita difficile di D. Risi (1961); Il medico della mutua di Zampa (1968). Come regista si è affermato con i film Il cielo è rosso (1950) e Febbre di vivere (1953), per il quale riceve il Nastro d’argento.

Barbareschi

Dopo aver studiato allo Studio Fersen di Roma, ai corsi di Lee Strasberg, Nicholas Ray e Stella Adler a New York, Luca Barbareschi debutta al Teatro di Verona con Enrico V di Shakespeare per la regia di Virginio Puecher. È impegnato come attore nel cinema, in televisione e in teatro (è stato uno degli interpreti di Sogno di una notte d’estate , il musical di Gabriele Salvatores). Tra i numerosi lavori che lo hanno visto regista ed interprete si ricordano American Buffalo (1984), Sexual Perversity in Chicago (1985), Mercanti di bugie (1989) e Oleanna (1993) tutti testi di David Mamet, autore che per primo ha portato in Italia. Provocatore ed irriverente, B. nel 1995 mette in scena il violento Piantando chiodi nel pavimento con la fronte di Eric Bogosian, adattandolo alla realtà italiana. Nel febbraio 1990 fonda la Casanova Entertainment, che si occupa di produzioni cinematografiche e teatrali. Nel marzo 1998 entra a far parte del Consiglio d’Amministrazione del Piccolo Teatro di Milano.

Sanipoli

Dotato di gran prestanza fisica e di ottime doti tecniche, Vittorio Sanipoli, durante la carriera, ha saputo passare con grande disinvoltura da ruoli drammatici a ruoli brillanti se non comici. Dopo l’esordio, avvenuto nel 1939, recita con la Compagnia degli Spettacoli Gialli diretta da R. Calò (Broadway di Dunning e Abbott, 1941), in cui si distingue per la sua verve e il suo piglio energico. Dopo la guerra lavora con Ruggeri, e Ricci e nel 1950-51 entra nella compagnia del Teatro Nazionale diretta da G. Salvini, in cui recitavano anche V. Gassman e M. Girotti. Nella stagione 1954-55 è tra i protagonisti del gruppo del Nuovo Teatro ETI diretto da G. De Bosio (Corte marziale per l’ammutinamento del Caine di H. Wouk, Il sacro esperimento di F. Hochwaulmlder) e, sempre con De Bosio, nel 1957-58 è al Teatro Stabile di Torino dove fornisce una delle sue migliori prove con Bertoldo a corte (1957) di M. Dursi. In seguito lavora con la Compagnia del Teatro Popolare diretta da L. Squarzina in Romagnola (1959) dello stesso Squarzina e in Il benessere (1959) di F. Brusati e F. Mauri. Ricordiamo anche Don Gil dalle calze verdi (1960) di T. da Molina, regia di Salvini al Teatro Floridiana di Napoli e Storia di Pablo (1961) di S. Velitti da Pavese, con la regia di V. Puecher. Al cinema, tra i molti film interpretati, sono da ricordare: Napoletani a Milano (1940) di E. De Filippo, La domenica della buona gente (1954) di A. G. Majano e Grisbì (1954) di J. Becker.

Magni

Tutti ricordano Gianni Magni affettuosamente come il fantastico `cantamimo’ dei Gufi, la compagnia di cabaret che dal 1964 al 1969 dominò la scena milanese con personaggi come Lino Patruno, Nanni Svampa e Roberto Brivio. Con la sua inseparabile calzamaglia nera e la sua irresistibile maschera facciale, l’attore si è guadagnato un posto di rilievo sul palcoscenico del cabaret. In seguito allo scioglimento della compagnia, affiancò alla sua attività primaria, alcune esperienze cinematografiche. È al fianco di C. Spaack ne Il marito è mio e l’ammazzo quando mi pare di Festa Campanile e con S. Loren e A. Celentano in Bianco, rosso, e. .. di A. Lattuada.

Durante

Checco Durante si avvicina al teatro recitando in alcune compagnie filodrammatiche, ma interrompe l’attività per partecipare alla prima guerra mondiale. Nel 1918 segue per sei mesi una formazione che ha in repertorio commedie dialettali e, al termine della tournée, trova un impiego fisso. Fondamentale per la carriera di D. è l’incontro con Petrolini, che lo convince ad abbandonare il lavoro e a dedicarsi al teatro da professionista. Dal 1920 è scritturato dall’attore romano, diventando suo stretto collaboratore e scrivendo con lui Cento di questi giorni (1921), un atto unico in dialetto romanesco. Nel 1928 lascia Petrolini e cerca di fondare un teatro stabile romanesco, ma le difficoltà in cui versa la compagnia dal 1930 lo costringono ad accettare l’interpretazione di ruoli nelle produzioni di avanspettacolo, ottenendo grandissimo successo e riconoscimenti da parte di pubblico e critica. Nel 1933 mette in scena commedie dialettali, soprattutto romanesche o adattate da altri dialetti, mosso dall’idea di un teatro che offra svago e divertimento al pubblico, e durante gli intervalli degli spettacoli recita poesie da lui composte (raccolte poi nel volume Aquarelli ). Dal 1950 la sua compagnia ha sede stabile in una saletta del Teatro Rossini di Roma. Per il teatro scrive alcuni monologhi e la commedia Bernardina, nun fà la scema… (1940). Alterna all’attività teatrale numerose partecipazioni a programmi radiofonici e interpreta nel cinema parti minori, sia comiche sia drammatiche. Amatissimo dal pubblico, è apprezzato come attore di semplice e umana comicità che, attraverso una recitazione sottile e ragionata, crea sulle scene caratteristiche figure di maturi popolani e piccolo-borghesi.

De Vico

Figlio d’arte, Roberto De Vico debuttò a sei anni nella compagnia di Vincenzino Scarpetta nel ruolo di Peppiniello in Miseria e nobiltà di Eduardo Scarpetta. Fu un debutto infelice poiché il bambino, nella scena che chiude il primo atto e nella quale i personaggi mangiano voluttuosamente un enorme piatto di pastasciutta, ingoiò una delle stringhe che veniva usata invece degli spaghetti: il padre Adolfo, dunque, preferì rinviare di qualche tempo il suo ingresso definitivo nell’arte. Meno che ventenne, De Vico prese posto nella compagnia paterna accanto ai fratelli Antonio e Mario, con i quali formò poi una delle compagnie più ricche e fortunate dell’avanspettacolo degli anni ’30, la compagnia De Vico, di cui faceva parte anche Anna Campori, a sua volta figlia d’arte. Ex cantante d’operetta e moglie di Pietro, fu l’unica a inseguire in avanspettacolo, con grande successo, la vena esotica che caratterizzava la più ricca rivista dell’epoca: il manifesto che annunciava la compagnia mostrava i tre fratelli a petto nudo nascosti da un grande ventaglio di piume di struzzo. E non tutti, fra i possibili spettatori, capirono l’ironia. Attore dalle straordinarie capacità comiche, De V. ebbe molto successo come balbuziente e mamo, sulla falsariga di Ciccio De Rege (con il quale lavorò alla fine degli anni ’30), e riportò in auge uno dei cavalli di battaglia di Nicola Maldacea, la macchietta del `Balbuziente’ appunto, scritta da Trilussa. Ma la popolarità maggiore gli venne da una serie televisiva per ragazzi, La nonna del corsaro nero, con Anna Campori e Giulio Marchetti, vera e propria trasmissione di culto tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60. Nella prosa, infine, ha avuto la massima fortuna nella terza età, grazie anche al sodalizio con il regista Antonio Calenda che lo ha voluto in molti spettacoli di successo, dal fortunato Cinecittà (1985) a un memorabile Aspettando Godot di Beckett (1990), nel quale De Vico si ritagliava uno spazio di personalissima follia nel piccolo ruolo del ragazzo.

Bramieri

Con la sua aria di buon lombardo, con il suo sorriso a cinemascope, con la sua straripante voglia di divertire sempre e comunque, Gino Bramieri è stato l’ultimo paladino della risata liberatoria senza doppio fondo, l’ultima gloria del vecchio mondo del varietà e della rivista. Talento multimediale in anticipo sui tempi (teatro, radio, tv, rivista, prosa, quindici dischi e ventiquattro film di consumo comico usa e getta), Gino Bramieri nacque in via Madonnina e visse a Porta Garibaldi, nella Milano di ringhiera col naso all’insù verso il Teatro Fossati, tempio dell’avanspettacolo e della operetta. Incominciò con l’entusiasmo del dilettante e del dottor Jeckyll: impiegato di banca di giorno, intrattenitore alla sera, fin da subito portato per la barzelletta, dettaglio non secondario dell’arte di intrattenere il pubblico. Tempi eroici, anche perché Gino Bramieri, che ai tempi della guerra fu deportato in Austria, si salvò vestendosi da donna, proprio come in uno sketch che poi avrebbe ripetuto all’infinito e con sottile bravura, forse anche per affetto all’insolito destino. Una carriera iniziata dunque davanti ai volti truci delle SS e continuata poi a Milano, dove inizia a calcare l’avanspettacolo che è il 1945. Le compagnie erano quelle classiche: Tognazzi, Maldacea, Scotti, Di Napoli, Inglese. Nell’autunno del 1948, a parte il precoce matrimonio, il salto di qualità avviene con la scrittura per la compagnia di Macario, che l’aveva visto e preso, sua unica scoperta maschile: Votate per Venere ha grande successo in Italia e l’anno dopo, nella stagione 1949-50, fa una tournée di sette mesi a Parigi. È il via a una lunga carriera brillante che da allora non avrà più soste. Gino Bramieri si raffinerà nei tempi e nella tecnica, ma non conoscerà mai cali di popolarità, conquistando ogni pubblico disponibile al gran successo d’ilarità.

«In cinquanta anni di carriera’» disse il comico «ho contato trentadue combinazioni per far ridere, sempre quelle: basta metterle insieme in un certo modo». Al milanesone classico danno fiducia le romanissime sorelle Nava che nel ’50 lo scritturarono in Davanti a lui Tre Nava tutta Roma con un pool di giovani attori dotati e fra loro complementari: Pelitti, Conti, Cajafa, Pisu, Bonagura e lui, il Gino Bramieri extra large, costretto ad alcuni tempismi e sketch obbligatori, distinguendosi per la circonferenza: ma il peso non gli negò mai, miracoli della forza di gravità del palcoscenico, la grazia del suo famoso saltino da libellula. Una lista infinita di spettacoli di sicuro impatto: nel 1952-53 sta con Walter Chiari in una buona rivista da camera, Controcorrente ; nel 1954-55 è con Tognazzi e Dorian Gray in Passo doppio, cui segue l’ingresso nella ditta di Garinei e Giovannini con cui resterà legato per oltre vent’anni, dopo altre esperienze, in esclusiva. Il primo spettacolo è un’operetta musicale con Osiris-Billi-Riva, La granduchessa e i camerieri , in cui Gino Bramieri ha il classico ruolo del `cumenda’ lombardo che deve comprare una proprietà. Resta con la Wanda anche nelle stagioni seguenti, le meno fortunate della grande soubrette che rappresentava comunque un mito, formando un trio comico ben assortito con Vianello e Durano: Okay fortuna (1956-57) e I fuoriserie (1958-59), spettacoli non privi di alcune vicissitudini economiche. Forma poi un altro trio giovane con Vianello e la Mondaini (frattanto sposi) in un musical fortunato come Sayonara Butterfly (1958-59), seguito dal meno riuscito Un juke box per Dracula, rivista in cui un’innocente strofetta anti fanfaniana fece stare una notte sotto scorta i tre nomi `in ditta’: censura d’allora.

Attore anche di prosa comica, Gino Bramieri si allea poi con la Volonghi e Grazia Maria Spina in Un marito in collegio di Guareschi (1960). Seguì il primo boom di popolarità vera, nel sodalizio televisivo con la Del Frate e Pisu per il varietà di culto L’amico del giaguaro. In scena, dal 1964, il nuovo trio – struttura comica che si ripete e si rinnova nel tempo, adatta alla singolarità anche fisica del B. prima della dieta – porta in scena con allegria, in tournée capillari, con orchestra dal vivo, alcune riviste tradizionali: Italiani si nasce di Faele (1964-65), Hobbyamente (1964-65), L’assilllo infantile di Marchesi (1966-67) e La sveglia al collo (1967-68), prototipo del varietà con piccola satira politica e imitazioni incorporate. Gino Bramieri è irresistibile nella caricatura di Edith Piaf, alla fine della quale faceva volare in sala una parrucca: finì che una sera, una signora, partorì in teatro per il gran ridere. Nel 1969-70-71, accanto a Milva, col musical Angeli in bandiera , in cui è un divertente pappone, rientra con Garinei e Giovannini per vent’anni di esauriti in rivista e prosa: ed è subito un bel successo personale, uno strano binomio con Milva, un utilizzo diverso e più discreto della sua vis comica. Intanto Gino Bramieri dimagrisce di quaranta chili (e lo racconta in un libro), passa a interpretare non solo sketch con epicentro la Lombardia, ma anche traduzione di famose farse e commedie brillanti americane, cui aggiunge sempre un tocco della sua personalità: Lo sai che non ti sento mentre l’acqua scorre di Anderson, nel 1968; nel 1972 Povera Italia! di Bobrick e Clark, odissea di un padre piccolo borghese che si scopre un figlio gay. Ma tra i grandi successi che stanno in equilibrio tra la prosa e la rivista vanno citati Cielo, mio marito! , conferenza sull’adulterio di Marchesi e Costanzo (1973) con la Colli; Anche i bancari hanno un’anima , gustosa pochade inter-coniugale di Terzoli e Vaime, con la Tedesco e una brava Valeria Valeri (1977-79).

Ma lo spettacolo migliore della sua carriera, replicato ovunque con delirio di folla dal 1975 al 1977, è Felicibumta (felicità con un colpo di tamburo, come recitavano in coro alla fine le compagnie di avanspettacolo), sempre di Terzoli e Vaime, diretto, con la perfezione delle occasioni migliori, da Garinei e Giovannini. Si tratta di un amarcord dei tempi della rivista attraverso la confessione in flash back di un attore di varietà che fa rivivere i vecchi tempi e ringiovanisce per un attimo le sei soubrette della sua vita, ora attempate: in queste vesti nostalgiche ma complete di barzellette in passerella finale, Gino Bramieri è bravissimo e svolge un compito antologico comico e teatrale ad altri impossibile. Nel 1982-83, sempre con i fedeli Terzoli e Vaime, recita La vita comincia ogni mattina , cui segue un ambizioso, sfarzoso, curioso, ma poco gradito tentativo di musical settecentesco ispirato al Borghese gentiluomo: Pardon, Monsieur Molière , di cui Garinei lamenta oggi l’eccessivo scrupolo di fedeltà. Dal 1985 al 1987 è l’attore in crisi protagonista di Sono momentaneamente a Broadway , indi mette in scena Una zingara m’ha detto (1987-89), spesso testi interscambiabili, variazioni sul tema Bramieri. L’ultimo capitolo della sua carriera, sei anni di successo, sono dedicati alla coppia con il giovane entertainer e fantasista siciliano Gianfranco Jannuzzo, e per questo fortunato alunno l’ormai maestro B. mette in scena lo spiritoso Gli attori lo fanno sempre di Terzoli e Vaime, seguito dal mediocre Foto di gruppo con gatto e da Se un bel giorno all’improvviso (buona satira della tv che entra nel privato), due titoli in cui si inserisce la verve verace di Marisa Merlini. L’ultimissimo show di Bramieri, allestito sulle sue misure comiche e sul suo desiderio di comunicare ancora col pubblico dopo una lunga malattia, ma recitato solo in poche piazze prima della sua scomparsa, porta un titolo beneaugurante, Riuscite a farvi ridere . Garinei scrive per il suo attore preferito, per l’amico e fratello di scena, e per Enzo, il vero fratello, una `summa’ del teatro di varietà e dei numeri famosi di Gino, che ancora una volta, l’ultima, si veste da donna.

Bramieri ha alternato i generi e in prosa ha recitato anche la leggendaria farsa della Zia di Carlo, I dent dell’eremita di Terron, mentre in tv lavorò con Albertazzi, Calindri e la Toccafondi in Addio giovinezza, seguito da Una ragazza indiavolata , Esami di maturità con la Lazzarini, Ti conosco mascherina, Il signore delle cinque, Lieto fine, I tre Maurizii . Ma sul piccolo schermo interpreta nel 1971 anche versioni tv di celebri successi teatrali come Un mandarino per Teo e Mai di sabato, signora Lisistrata , entrambi accanto a Milva, che dava profondità di campo sonoro alle musiche di Kramer. Un record storico del varietà tv sono poi le settantadue puntate dell’Amico del giaguaro, le tre edizioni della Biblioteca di Studio Uno, le innumerevoli partecipazioni a serate, Batto quattro , che si replica alla radio per undici anni; e infine il mitico varietà `one man show’ G.B. Show , gioco di iniziali, in onda dal 1982 al 1988 sotto l’egida di Garinei, mentre nel ’92 partecipa anche al Festival di Sanremo . B. recupera le origini e le tradizioni culturali del teatro leggero con le sue belle retoriche di polvere di stelle (caffelatte e pailettes, come dice un refrain di una sua rivista). La sua specialità era il tu per tu col pubblico, quando il suo talento sfocia nel piccolo capolavoro dialettico che è il racconto delle barzellette. B. era un uomo felice solo quando arrivava l’ora dell’ingresso in scena: l’ultimo ad avere nel suo codice genetico i doni del Gran Varietà, l’eco di una risata senza tempo.

Salaroli

Dopo la laurea in lettere Alarico Salaroli debutta al Teatro Uomo, dove rimane dal 1974 al 1978; lavora con la regia di L. Puggelli (che ha rifondato la sala di via Gulli a Milano) in La Ninetta del Verzee , Fede, speranza e carità , Lo stordito di Molière. Dopo questa esperienza approda al Piccolo Teatro, rimanendovi fino al 1984: debutta in El nost Milan (nell’edizione con Mariangela Melato e Franco Graziosi) e, successivamente, partecipa ad altri spettacoli strehleriani (L’anima buona di Sezuan, La tempesta). Nel 1980 inizia la sua esperienza con Massimo Castri, con il quale recita in tutti gli allestimenti, alternando parti ironiche e drammatiche: inizia con il ruolo di Tesman in Hedda Gabler (con la Moriconi) e John Gabriel Borkmann di Ibsen, cui seguono due testi di Pirandello, Così è (se vi pare) e Il berretto a sonagli (con Tino Schirinzi); tra le sue interpretazioni anche il padre in Amoretto di Schnitzler, Il gabbiano di Cechov, Il gioco dell’amore e del caso di Marivaux. Partecipa al progetto sulla tragedia per l’Atelier della Costa Ovest con Oreste , nel ruolo di Menelao; infine, è Paolino e Fulgenzio nella Trilogia della villeggiatura di Goldoni (1995-96).

Caruso

Entrato nel 1957 in qualità di direttore di scena al Piccolo Teatro di Palermo, Pino Caruso comincia pian piano a fare piccoli ruoli (da Il giuoco delle parti a Il burbero benefico , spettacolo del 1961 in cui viene promosso `attor giovane’) e nel 1962 entra nella compagnia di Emma Gramatica (tournée dei Sei personaggi in cerca d’autore ) per passare poi allo Stabile di Catania (1963-65) dove scopre la sua vena comica. L’anno dopo, infatti, viene scritturato dal Bagaglino di Roma, dove rimane per due anni come autore e protagonista della ‘Terza parte della serata’, recitando tutte le sere e contribuendo alla fortuna del locale. Con la tournée teatrale nel 1997 di Pane al pane e Pino al Pino si fa notare e si impone come comico popolare; le porte della tv si aprono grazie a Castellano e Pipolo che lo chiamano a Che domenica amici (1968), primo di una lunga serie di programmi che lo rendono noto al grande pubblico. L’esperienza televisiva continua negli anni (vanno citati almeno Dove sta Zazà , 1973 e Due come noi in coppia con Ornella Vanoni, nel 1978-79), alternata al teatro, in tutte le sue forme: dall’operetta con La vedova allegra (1970 e 1986) e Il paese dei campanelli (1972) alla prosa. È protagonista di Don Giovanni involontario di Brancati (Stabile di Catania, 1970), La lezione e Delirio a due di Ionesco (Stabile di Palermo, 1980). Sfruttando una vena di autore che mescola satira di costume e autoironia, ha scritto e interpretato due monologhi sull’Italia degli anni ’90, Conversazione di un uomo comune (ha debuttato nel 1991, per poi essere ripreso e attualizzato dal 1994 al ’98 con la regia di Franca Valeri) e La questione settentrionale (1992-93). Del 1998 è lo spettacolo Retablo di Vincenzo Consolo, interpretato assieme a Lina Sastri con la regia di Maurizio Scaparro. Numerose le partecipazioni cinematografiche: da Gli infermieri della mutua , accanto a Peppino (1969) a Malizia (1973), da La donna della domenica di Luigi Comencini (1975) a Sedotto e abbandonato , scritto, diretto e interpretato da C. stesso (1977).

Polacci

Alfredo Polacci ha scritto copioni per l’avanspettacolo e per la rivista, testi per caroselli; fu attore con Petrolini (prima scrittura nel 1926, ruolo `generico utilité’, paga venticinque lire al giorno), pianista jazz su navi da crociera, scrittore (oltre a testi sul varietà, tra cui Il teatro di rivista: tutto quello che gli altri non sanno ; un romanzo, Gli occhi del buio , edito nel 1917). L’ultimo successo fu Risata in salotto , stagione 1976-77, con C. Dapporto e R. Pavone. Per Dapporto scrisse anche le scenette per il dentifricio Durban’s, Diario di un viveur . Autore di quaranta riviste, inventò per R. Rascel il personaggio del `Corazziere’ per Rascel scrisse Ma non è successo niente , 1949, con M. Landi e K. Urbani; l’anno successivo, Il cielo è tornato sereno , con T. De Mola Successi importanti: Com’era verde la nostra valle (1946-47), per N. Taranto, e Forse che Sud forse che Nord (stagione 1950-51) con F. Sportelli, B. Maggio e la comica toscana P. Renzi. Sua l’idea di mettere insieme due comici complementari, R. Billi e M. Riva, in Settecolli , con il famoso sketch Riva-Rossellini e Billi-Anna Magnani (1947-48), e Centocittà . Affrontò il genere rivista-cabaret nella stagione 1955-56 con Scale ; nel cast, G. Durano, P. Renzi, L. Gazzolo (la voce del vecchietto del West) e F. May. A Parigi incontrò Maurice Chevalier, scrisse per lui alcune canzoni e il divo francese gli regalò, come ricordo, il suo baule personale, che per i teatranti è un surrogato di casa viaggiante. Musicista oltre che paroliere, per T. De Mola, in Il cielo è tornato sereno , scrisse “Veleno”, canzone famosa, con versi che l’autore spiega: «Veleno, se mi baci ti do il mio veleno – o una rosa scarlatta sul seno…». Che c’entra la rosa scarlatta? «È una pugnalata. Nella rivista, la De Mola impersonava Lucrezia Borgia, che non si limitava ad avvelenare le pietanze». È tornato alla ribalta, nel 1993, con Tangentopoli: ammiratore del giudice Di Pietro, protagonista dell’inchiesta sulla corruzione, scrive in versi un commento ironico sullo scandalo: «La tangente? È potenza divina / di metallo / sonante è sottile manfrina / che arricchisce all’istante» E poi: «È arrivato Di Pietro / che sotto tiro tiene / qual giusto giustiziere / e a romper ora viene / le uova nel paniere!».

Ninchi

Carlo Ninchi iniziò la carriera artistica nella compagnia del fratello Annibale, impersonando Pilade nell’Oreste di Alfieri, realizzato per la stagione 1920-21. Nel corso della sua carriera recitò nelle migliori compagnie, con i registi più affermati, interpretando parti prestigiose in produzioni di alto livello. Fu spesso chiamato dall’Inda per prendere parte ad allestimenti di classici greci. La popolarità conquistata in teatro, soprattutto dalla fine degli anni ’30 ai tempi della sua presenza nella compagnia del Teatro Eliseo e della Maltagliati-Cimara-N., venne accresciuta dalle sue numerose interpretazioni cinematografiche. Si confrontò anche con il teatro comico e con la rivista. Nel dopoguerra fu uno dei protagonisti del processo di rinnovamento della scena italiana. Fisico possente, voce dal timbro inconfondibile, movimenti e toni sapientemente dosati, hanno fatto di N., nelle sue interpretazioni migliori, un attore nuovo e moderno nella sua essenzialità.

Helpmann

Iniziato alla danza da bambino, Robert Helpmann ha studiato con Laurent Novikoff nel complesso di Anna Pavlova in tournée in Australia. Arrivato a Londra nel 1933, è entrato, dopo brevi studi nella scuola, nel Vic-Wells Ballet, del quale è diventato primo ballerino e partner di Margot Fonteyn in molti balletti fino al 1950. L’eccezionale versatilità e la forte presenza scenica gli hanno permesso di alternare i ruoli di danseur noble a quelli drammatici o comici. Sono memorabili le sue interpretazioni, da un lato, nel ruolo di Albrecht e, dall’altro, in quelli del libertino in The Rake’s Progress di De Valois e della sorellastra più cattiva nella Cinderella di Ashton. Notevole anche il suo Don Chisciotte , nel film dal balletto omonimo nella versione di Nureyev. I suoi balletti, per i quali ha creato il principale ruolo maschile, sono ormai scomparsi dal repertorio del Royal Ballet, ma hanno avuto successo sia Hamlet (1942, musica di Ciaikovskij), sia Miracle in the Gorbals (1944, musica di Arthur Bliss); al Covent Garden, invece, ha creato l’ambizioso ma meno riuscito Adam Zero (1946). Si è esibito sul grande schermo in Scarpette rosse (Red Shoes, 1948) e I racconti di Hoffmann (The Tales of Hoffmann, 1951). Ha inoltre interpretato in teatro numerosi ruoli shakespeariani. Tornato in Australia nel 1964, è divenuto l’anno seguente direttore artistico (con Peggy van Praagh) dell’Australian Ballet, che ha diretto da solo nel 1975-76. È tornato più volte a Londra come artista ospite e nel 1970 ha presentato al Covent Garden la grande serata di gala per Ashton.

Borioli

Edoardo Borioli debutta nel 1956 con la compagnia Volonghi-Corti-Lionello, ne Il maggiore Barbara di G.B. Shaw. Negli anni seguenti lavora con la compagnia Calindri, con la compagnia Bramieri-Volonghi (commedia musicale Il marito in collegio ), per il Teatro stabile di Torino, con Esperia Sperani e Nino Besozzi (allestimento di drammi gialli), con la compagnia Ricci-Magni (1960-61, Il Cardinale di Spagna di de Montherlant). Dal 1963 al 1973 recita per Paolo Poli ed è per due anni socio della Cooperativa Teatro Insieme (I tre Moschettieri da A. Dumas, regia di Roger Planchon). In seguito lavora a lungo con il regista Filippo Crivelli, con la compagnia di Salvo Randone e con il regista Lamberto Puggelli. Recita in diverse commedie televisive e programmi radiofonici con i registi Mario Ferrero, Vito Molinari e Mario Morini. Da alcuni anni partecipa a spettacoli di opera e operetta con i maggiori teatri lirici italiani.