Pierin

Compiuti gli studi al Teatro alla Scala di Milano e perfezionatosi al Bol’šoj di Mosca, a diciotto anni entra nella compagnia scaligera, della quale diventa nel 1981 primo ballerino. Ospite assiduo di importanti compagnie internazionali (Australian Ballet, Scottish Ballet, National Ballet of Canada, Les Ballets de Monte-Carlo, Balletto Nazionale di Marsiglia), si esibisce sia nei tradizionali ruoli di danseur noble sia nel repertorio neoclassico e contemporaneo, mettendo in evidenza la sua incisiva presenza scenica e il suo stile virile ed elegante. Partner abituale di Luciana Savignano, danza con lei in balletti di Béjart ( Les Vainqueurs ), Bortoluzzi ( Butterfly ), Wayne ( After Eden ). Ritiratosi dalle scene è maître de ballet in varie compagnie internazionali, tra le quali il Balletto dell’Opera di Dresda.

Pasello

È sorella di Silvia P. Diplomata in pittura all’Accademia di belle arti di Bologna, si forma come attrice nel 1981 all’interno del progetto di ricerca teatrale “L’eresia del Teatro Stanislavskij” presso il CSRT di Pontedera, con Jerzy Stuhr e Ryzard Cieslak. Con la Compagnia Laboratorio di Pontedera collabora a: Era (1987-88), Fratelli dei cani (1991-92), Il cielo per terra (1993). Lavora, tra gli altri, con Ryzard Cieslak in Aleph (1982), con Thierry Salmon ne Il passaggio (1985) e in A. da Agata (1986 e 1994), con François Khan in Quentin (1987) e con la Compagnia Santagata e Morganti in Pas Oubliè (1988-89) . Parallelamente al lavoro di attrice inizia, nel 1990, un’attività pedagogica e di formazione. Cura la regia di Tre…sorelle (1995), con M. Grazia Mandruzzato, Magda Siti, Anne Zenour . È del 1997 la sua partecipazione a Killing Maria, di Celina Sodrè e del 1998 a Justine (Cronache da Sade) di Paolo Billi e Dario Marconcini e a Dialoghi tra verità e silenzi di Paolo Billi.

Pagnani

L’affermazione in un concorso filodrammatico di Bologna, all’indomani del matrimonio con l’ufficiale di aviazione di cui assunse il cognome anche in arte, procurò ad Andreina Pagnani una scrittura come primadonna nella Pilotto-Pescatori-Picasso, con i quali interpretò Goldoni, Maugham, Sardou, Praga. Fu poi a fianco di R. Ruggeri prima di concedersi una pausa distensiva nella mitica Za-Bum, riportando un successo lusinghiero in Famiglia reale di Kaufman e Ferber. Insistette nel genere brillante con Almirante-Besozzi, ritirandosi per un paio d’anni dalle scene dopo la morte del marito in un incidente di volo e riservandosi soltanto la partecipazione a spettacoli d’eccezione come Santa Uliva con la regia di Copeau al Maggio fiorentino (1933) e Il mercante di Venezia al primo Festival internazionale della Biennale con la regìa di M. Reinhardt. Di nuovo a fianco di Ruggeri (1935) e poi di L. Cimara e R. Cialente, si cimentò in un repertorio che svariava da G. Giacosa e Pirandello a A. Guitry, P. Ferrari, S. Benelli, riscuotendo pari successo in testi di Shakespeare, Goldoni, Cechov, D’Annunzio, Wilde, Shaw. Per un trentennio fu una delle protagoniste della scena italiana interpretando trecentottanta pièces, dai classici alla commedia sofisticata, dal vaudeville parigino al `neo-boulevard’ americano, di volta in volta a fianco di G. Stival, F. Scelzo, R. Ricci, S. Ruffini, G. Cervi, S. Tofano, G. De Lullo, E. Calindri, O. Lionello. Considerata una delle ultime `sovrane della scena’ nel senso ottocentesco del termine, fu per contro una delle attrici più moderne della sua generazione, anche se aliena da tentazioni sperimentalistiche. Alla bellezza delicata e all’eleganza proverbiale, accoppiava una sicurezza scenica che faceva sembrare naturale e scontata la situazione più vischiosa e la battuta più improbabile. Riuscì a imporsi come Clitennestra e Giocasta, come Aminta e Francesca da Rimini, ma anche come goldoniana Mirandolina e `Moglie saggia’, spaziando da De Musset a O’Neill, da Mauriac a Girardoux, da Rattigan a Roussin, concedendosi il capriccio di interpretare con E. Calindri la commedia musicale La padrona del raggio di luna di Garinei e Giovannini (1956). La sua ultima apparizione in scena avvenne con Ogni mercoledì a fianco del prediletto G. Cervi, con il quale aveva condiviso lo straordinario successo popolare dei televisivi coniugi Maigret.

Piper

Dopo gli studi artistici John Egerton Christmas Piper si dedica con successo alla pittura (anche come illustratore ed autore di decorazioni musive), seguendo le fascinazioni di Braque e Picasso, dell’astrattismo, del neo-romanticismo. Si occupa di teatro soltanto in seguito, esordendo con Trial of judge di S. Spender (regia di R. Doone, Londra, Unity Group Theatre, 1938). Nel 1947 fonda l’English Opera Group con il compositore B. Britten, diventandone uno dei suoi più fedeli interpreti ( Billy Budd , regia di B. Coleman, Londra, Covent Garden, 1951; Il giro di vite , regia di B. Coleman, Festival di Venezia, 1953; Albert Herring , regia di C. Graham, Londra, 1962). Giobbe di N. de Valois (Londra, Sadler’s Wells Ballet, 1948) è il primo grande successo, con costumi di cupa intensità e ambientazioni surreali che si ispirano efficacemente alle illustrazioni di W. Blake per il Libro di Giobbe da cui il balletto è tratto: il suo stile in effetti sfrutta proficuamente l’influenza della pittura (i costumi per Il combattimento di Tancredi e Clorinda di Monteverdi, coreografia di W. Gore, Hammersmith, Lyric Theatre, 1951, sono irreali e fantasiosi, quasi astratti; quelli per Arlecchino in Aprile di Cranko, Londra, Sadler’s Wells Theatre Ballet, 1951, si accendono su un fondale scuro come allegri collages). Fortunati anche gli allestimenti per Don Giovanni di Mozart (regia di C. Ebert, Glyndeburne Festival, 1951), Buonanotte signora Puffin di A. Lovegrove (regia di A. Dove, Londra, 1961) ed il più recente Billy Budd di Britten ( regia di Anderson, San Francisco Opera, 1979). Negli ultimi anni è tornato alla pittura con grande vivacità creativa, partecipando ad esposizioni di rilievo internazionale.

Popescu

Diplomato alla Scuola di ballo dell’Opera di Bucarest, debutta nel 1951 nell’omonima compagnia; in seguito è primo ballerino nel Balletto dell’Opera di Zurigo dal 1965 al 1975. Ritiratosi dalle scene, si dedica all’insegnamento lavorando come maître de ballet in compagnie come il Balletto della Scala e lo Stuttgarter Ballet e come maestro personale di ballerine quali Carla Fracci o Marçia Haydèe.

Purcarete

Silviu Purcarete studia regia all’Accademia d’arte drammatica di Bucarest diplomandosi nel 1974. Inizialmente lavora con il gruppo teatrale sperimentale Youth Teatre di Piatra Neamt: Romeo e Giulietta è proprio del 1974, invece più tardi mette in scena uno straordinario Campiello (1986) di Goldoni che vince il premio nazionale per il teatro. Dal 1978 collabora con il Teatrul Mic (Piccolo Teatro) e insegna all’Accademia dove si era diplomato; di questo anno è La folle di Chaillot di Giraudoux. Lavora con il Teatro di Craiova dal 1991 e nel 1992 viene nominato direttore artistico del Teatro Bulandra di Bucarest, senza interrompere la sua collaborazione con quello di Craiova. Con quest’ultimo e la sua compagnia, Purcarete crea quattro spettacoli di altissimo livello che sono stati osannati dal pubblico e dalla critica internazionale: Lo gnomo di un giardino d’estate di D.R. Popescu (1989), Ubu re con scene da Macbeth da A. Jarry e Shakespeare (1990), Titus Andronicus e Fedra da Seneca e Euripide (1992 e 1993 rispettivamente). Questi spettacoli oltre a essere stati premiati e ospitati dai più importanti festival del mondo, come quello di Edimburgo, del Quebec e di Montreal, hanno mostrato l’incredibile originalità e forza esressiva di adattamenti e accostamenti stilisticamente arditi e intensi. Con la compagnia del Teatro di Craiova P. è stato invitato anche in importatntissimi teatri come il Theatre Globe di Tokyo e il Theater der Welt di Monaco, che ne hanno consacrato il successo. Si ricordano inoltre fra gli altri spettacoli La leggenda degli Atridi (1978) , Ecuba di Euripide (1982), Decameron 645 da Boccaccio (1993), La Celestina di F. de Rojas, al Piccolo Teatro di Milano (1994).

Piccardi

L’esordio a teatro di Silvano Piccardi è del 1956 con Madre natura di Luigi Cimara. Segue un’intensa attività con le maggiori compagnie italiane: Calindri-Solari-Zoppelli, I giovani (De Lullo, Falk, Guarnieri-Valli). Lavora per oltre tre anni con Dario Fo, anche autonomamente, con regia e testi propri, e col Gruppo della Rocca. Nel 1979 inizia la collaborazione con il milanese Teatro Filodrammatici, dove interpreta Romeo e Giulietta , Il ladro di casa di Svevo (1983-84), Terzetto , una raccolta di atti unici di Pirandello con la regia del fratello Alvaro. Nel 1991 allestisce per il Festival di Spoleto Dialoghi con nessuno , e l’anno successivo dirige per il Festival di Asti, P. Zappa Mulas e P. Nuti in Parole al buio di Paolo Puppa. Nel 1993 allestisce al Carcano la ripresa di Tre sull’altalena di Lunari con G. Pambieri, L. Tanzi ed E. Beruschi che arriverà anche in tv. Tra le sue tante regie ricordiamo La principessa dei sogni (la guerra in Jugoslavia) di Rocco D’Onghia, andato in scena al teatro Verdi di Milano. Tra il 1986 e l”88, su richiesta del carcere di San Vittore e del Sindacato attori italiano, conduce un laboratorio di drammaturgia con un gruppo di detenuti per reati di terrorismo che porterà al testo Labirinto , presentato in forma di spettacolo nell’88 al Salone Pier Lombardo con la partecipazione di F. Parenti e L.Morlacchi.

Poli

Inizia la sua attività nel 1970 col teatro per ragazzi (nel 1973 cura una messinscena per le scuole delle Metamorfosi di Ovidio che ritroveremo in molti lavori degli anni successivi). Poi la tv e la radio. Ma il suo talento si manifesta soprattutto in palcoscenico, dove, agli inizi affianca il famoso fratello Paolo (v.) giocando anche un ambivalente scambio di ruoli ( Femminilità , 1972). Ma la collaborazione col fratello l’avrebbe limitata a partecipazioni secondarie. Così, a metà degli anni ’70, si mette in proprio, come capocomica; si scrive spesso i testi, e firma i suoi a solo, ritagliandosi un personalissimo modo di fare teatro, con spettacoli e recital di implicazione sociale e femminista, animati da un gusto paradossale e da una verve comica, ironica e satirica sempre raffinata. Tra i molti titoli ricordiamo Liquidi (1976), Per Dorothy Parker , omaggio alla scrittrice americana, Passi falsi (1979), C’era una volta (1980), Donne in bianco e nero (1994), Sorelle d’Italia (1995). Nel 1997-1998 interpreta Deliziosi veleni e Antologia in attesa della catastrofe di Stefano Benni. Nel cinema, ricordiamo la pungente caratterizzazione in Albergo Roma (1996) di Ugo Chiti.

Popolare di Roma,

Il Teatro Popolare di Roma fu fondato nel 1975 da Scaparro e un gruppo di attori tra cui P. Nuti, A. Innocenti, P. Micol, F. Pannullo. Nei primi anni di attività, la compagnia si segnala per spettacoli di notevole rilevanza ( Riccardo II, di Shakesperare, 1975; Lunga notte di Medea , di C. Alvaro, 1976; Cirano di Bergerac , di E. Rostand, 1977 e Giulio Cesare, di Shakespeare, 1978). Una seconda fase di vita si apre con il passaggio alla direzione della compagnia di Piero Nuti, chiamato a sostituire Scaparro, nel frattempo divenuto direttore della sezione Teatro della Biennale di Venezia (1979). Il Teatro Popolare di Roma si caratterizza come fucina di giovani talenti e come nucleo stabile al quale collaborano artisti dalla caratteristiche diverse: da Giovanni Testori (che vi esordì come regista con Erodiade e Oreste ), a Memè Perlini (regia di Ifigenia in Aulide ), Roberto Guicciardini, Orazio Costa, F. Crivelli, G. Gaslini, I. Papas, E. Zareschi, C. Pani, P. Villoresi, R. Giovampietro, L. Negroni, F. Branciaroli, M. Dapporto, P. Barra, A. Giordana, P. Milani, R. De Carmine, ecc. Tra gli allestimenti – numerosi dei quali al Teatro Olimpico di Vicenza – si ricordano Andria di Machiavelli, La Cortigiana dell’Aretino, Agamennone (regia di A. Innocenti), La fiaccola sotto il moggio di D’Annunzio (regia di P. Maccarinelli), Lazzaro (regia di M. Perlini), I Lai (di G. Testori al Festival di Spoleto).

Peragallo

Figlia del compositore Mario Peragallo, Perla Peragallo ha frequentato la scuola di Alessandro Fersen ma ancor di più ha contato nella sua formazione artistica la cultura musicale di tradizione familiare. A metà degli anni ’60, dopo alcune esperienze deludenti, avviene l’incontro decisivo con Leo De Berardinis, con cui per un quindicennio formerà una coppia di arte e di vita. Nel 1967 debutta il loro primo spettacolo, La faticosa messinscena dell’Amleto di William Shakespeare , seguito da un’altra rilettura shakespeariana, Sir and Lady Macbeth, in cui lo sperimentalismo cinematografico si mescola a una partitura scenica di stampo jazzistico. Dopo una fugace collaborazione con Carmelo Bene, con cui realizzano nel 1968 un Don Chisciotte, e la realizzazione del film A Charlie Parker , agli inizi degli anni 1970 i due attori si trasferiscono a Marigliano, nell’entroterra napoletano, dove insieme a un gruppo di attori improvvisati e a musicisti di paese, innestano il loro teatro sulla tradizione della sceneggiata napoletana, come rivelano i titoli contaminati degli spettacoli che realizzano in quel periodo, da `O zappatore (1972) a King lacreme Lear napulitane (1973) fino allo struggente Sudd (1974) che sigla la fine di quell’esperienza.

È, per Peragallo soprattutto, l’incontro con una cultura popolare meridionale, in bilico fra tradizione e sottosviluppo, che si porteranno dietro quando Leo e Perla, come ormai sono unanimemente chiamati, faranno ritorno a Roma. Il decennio ’70 segna per l’attrice la progressiva acquisizione di una personale intensità drammatica, con esiti di grande rilievo in lavori come Assoli (1977) e Avita murì (1978), all’interno di una scena teatrale sempre più informale e degradata, dove i due attori lasciano sempre più spazio all’improvvisazione. Fino ad andare in scena con i loro nomi in De Berardinis-Peragall o (1979), dove però l’attrice si misura significativamente con il personaggio eduardiano di Filumena Marturano in un ideale omaggio a Titina De Filippo. Matura contemporaneamente un progressivo distacco da Leo De Berardinis che dopo l’ultimo spettacolo insieme, Annabel Lee (1981), conduce alla rottura del sodalizio artistico e all’abbandono definitivo della scena. P. ha successivamente dato vita a una scuola per attori intitolata Il Mulino di Fiora.

Perego

Anche se è il nome della P., nata a Venezia, ad aver acquisito notorietà in quanto intitolazione della compagnia, un contributo sostanziale, soprattutto per la creatività, va riconosciuto al marito, Federico Caldura, mentre alla P. va riconosciuta una grande abilità nella costruzione dei pupazzi e nella loro manipolazione. La P. e Federico Caldura iniziano la loro attività nel teatro di animazione, prima a Roma, nel 1949, presso l’Associazione artistica e poi a Venezia con spettacoli alla Sala Napoleonica. Ma il grande successo viene a quando, trasferitisi a Milano, avviano una continuativa collaborazione con la tv, nei programmi per ragazzi. Per questi programmi viene creato quello che ancor oggi rimane, pur dopo tanti anni di assenza, il personaggio più fortunato e ricordato del nostro nuovo teatro di animazione: Topo Gigio, creato nel 1958. La straordinaria popolarità di Topo Gigio fu certo dovuta in gran parte alla televisione, ma anche alle sue proprie qualità comunicative che operano in un felicissimo equilibrio fra innovazione e conservazione di tratti tradizionali. Gli spettacoli di Topo Gigio erano realizzati utilizzando specificità televisive che consentivano di rendere invisibili gli operatori (completamente vestiti di tute nere) che muovevano direttamente, con le mani i pupazzi, costruiti in gommapiuma.

Presini

Lavora con i burattini fin dall’età di nove anni assieme allo zio: il celebre burattinaio bolognese Mandrioli. Nel 1976 sposta il proprio teatro da Porta D’Azeglio a Porta Nettuno, dove il comune di Bologna gli mette a disposizione l’ex sede di una banca. In tale teatro denominato Teatrejn de buratein, lavora con la moglie e il figlio Sergio.

passerella

Secondo la testimonianza di Macario, venne la passerella importata da Parigi, nel 1928, dalla soubrette Isa Bluette, in ditta all’epoca con Nuto Navarrini. Si trattava di una pedana che, scavalcando il `golfo mistico’ dove si trovava l’orchestra, correva parallela alla ribalta, sporgendosi fin quasi a sfiorare la prima fila di poltrone. Serviva a ospitare il comico che, nel sottofinale, illuminato da un `occhio di bue’ (riflettore con cono di luce mobile), raccontava storielle e barzellette, intrattenendo il pubblico per dar tempo ai macchinisti di allestire la scena, solitamente sontuosa, del quadro conclusivo dello spettacolo. Ma la passerella serviva soprattutto per i ringraziamenti finali. Veniva percorsa a passo svelto, sul ritmo di un `galoppo’, da tutta la compagnia, secondo un rigido ordine gerarchico, lo stesso che veniva riportato in locandina in base alla grandezza dei caratteri tipografici con cui venivano riportati i nomi del cast. Apriva la sfilata il balletto; poi toccava, nell’ordine, alle soubrettine, agli attori caratteristi, all’attrazione ospite; quindi, in coppia, al comico e alla soubrette, che si fermavano al centro della passerella, indugiandovi per ringraziare e raccogliere più applausi. Non appena la compagnia si era riallineata in palcoscenico, cominciava, lentamente, a chiudersi il sipario, i cui lembi erano accompagnati da due soubrettine (le `sipariste’) sempre pressoché svestite.

passerella

Il rito si ripeteva sette-otto volte per sera e stabiliva anche quantitativamente il successo dello spettacolo. Ma il momento della passerella segnava anche, tra gli spettatori, la rivincita del giovane povero sull’anziano ricco. Perché il giovane povero, che aveva assistito a tutta la rappresentazione nel settore `posti in piedi’, in fondo alla platea, al momento del finale, poteva accorrere fin sotto la passerella, rubando un po’ di visuale all’anziano ricco, assiso nelle prime file di `poltronissime’. Un rito così descritto da Orio Vergani (“Corriere d’Informazione”, 19 febbraio 1947): «I gagliardi giovani avanzano per i corridoi delle poltrone, avanzano con il loro cuore caldo e con i loro occhi ardenti, vengono come una mandria all’abbeverata di quella che dovrebbe essere la fontana della bellezza e della giovinezza. Le attrici, le soubrettine, le girls avanzano a passi cadenzati sul ponte; la cipria, la felicità, il rossetto e anche qualche ombelico graziosamente intagliato, passano a un metro dagli occhi dei più lesti a farsi avanti. Comincia la mezzora degli assetati, si aprono le porte del paradiso degli entusiasti della coscia tornita, del seno velato, dell’occhio bistrato… Otto, dieci, dodici volte la sfilata si ripete…». Occorreva una tecnica collaudata per percorrere la passerella: posizione di tre quarti, con busto e viso rivolti alla platea, gambe `a forbice’ per procedere, in senso orario, su una pedana non più larga di novanta centimetri. E bisognava procedere svelti, senza guardare per terra, per rivolgere sorrisi al pubblico. Numerosi gli episodi legati alla passerella Citiamone almeno due.

Nella rivista L’adorabile Giulio di Garinei e Giovannini con C. Dapporto protagonista, il primattore giovane e canterino era Teddy Reno, che con il suo stile confidenziale cantava “Dillo con le rose”. Un successo, che Teddy Reno, trentuno anni all’epoca, si coccolava, avanzando disinvolto in passerella e ritagliandosi così un `primo piano’ teatrale non previsto dagli autori-registi della rivista. I quali, informati dal direttore di scena Dante Bisio di tale inaudita libertà che Reno, soprattutto in tournée, si prendeva, corsero ai ripari. Dissero a Bisio: “Se lo fa ancora, spegnetegli le luci”. E così fu fatto. Il palcoscenico piombò nel buio totale e Teddy Reno riguadagnò a tentoni il palcoscenico, dopo aver rischiato di `finire in buca’. Chi davvero finì in buca, fu Wanda Osiris, nella rivista La granduchessa e i camerieri , sempre di Garinei e Giovannini. Alle 23;26 del 26 settembre 1955, a Milano, due sere dopo la `prima’, la Wandissima, che indossa un abito di seta a strass, rosso fiamme, con le balze pesanti otto chili, ed è inerpicata su zatteroni di sughero altissimi, – lei che ha un piedino taglia 34 e mezzo – incespica nell’orlo del vestito e precipita nella buca dell’orchestra, rovinando addosso al vibrafono del maestro Cipolla; il martelletto dello strumento la colpì in fronte facendola sanguinare. Spettacolo interrotto, urla e gemiti anche in platea, l’autoambulanza che corre al Policlinico di via Dezza, dove la soubrette viene ricoverata (stanza 136, terzo piano). Notizia a sei colonne in prima pagina sul “Corriere Lombardo”, titolo: «È caduta dalla passerella come una regina dal trono». Il giorno dopo, sempre in prima pagina, il “Corriere d’Informazione” sparava un rassicurante «L’Osiris fuori pericolo».. Furono sempre Garinei e Giovannini ad `ammazzare’ la passerella: al finale di Rinaldo in campo (1961), Modugno, Delia Scala, Panelli, Franchi e Ingrassia, si presentarono alla ribalta tenendosi per mano e ringraziando per gli applausi nello stile di una compagnia di prosa.

Polacci

Alfredo Polacci ha scritto copioni per l’avanspettacolo e per la rivista, testi per caroselli; fu attore con Petrolini (prima scrittura nel 1926, ruolo `generico utilité’, paga venticinque lire al giorno), pianista jazz su navi da crociera, scrittore (oltre a testi sul varietà, tra cui Il teatro di rivista: tutto quello che gli altri non sanno ; un romanzo, Gli occhi del buio , edito nel 1917). L’ultimo successo fu Risata in salotto , stagione 1976-77, con C. Dapporto e R. Pavone. Per Dapporto scrisse anche le scenette per il dentifricio Durban’s, Diario di un viveur . Autore di quaranta riviste, inventò per R. Rascel il personaggio del `Corazziere’ per Rascel scrisse Ma non è successo niente , 1949, con M. Landi e K. Urbani; l’anno successivo, Il cielo è tornato sereno , con T. De Mola Successi importanti: Com’era verde la nostra valle (1946-47), per N. Taranto, e Forse che Sud forse che Nord (stagione 1950-51) con F. Sportelli, B. Maggio e la comica toscana P. Renzi. Sua l’idea di mettere insieme due comici complementari, R. Billi e M. Riva, in Settecolli , con il famoso sketch Riva-Rossellini e Billi-Anna Magnani (1947-48), e Centocittà . Affrontò il genere rivista-cabaret nella stagione 1955-56 con Scale ; nel cast, G. Durano, P. Renzi, L. Gazzolo (la voce del vecchietto del West) e F. May. A Parigi incontrò Maurice Chevalier, scrisse per lui alcune canzoni e il divo francese gli regalò, come ricordo, il suo baule personale, che per i teatranti è un surrogato di casa viaggiante. Musicista oltre che paroliere, per T. De Mola, in Il cielo è tornato sereno , scrisse “Veleno”, canzone famosa, con versi che l’autore spiega: «Veleno, se mi baci ti do il mio veleno – o una rosa scarlatta sul seno…». Che c’entra la rosa scarlatta? «È una pugnalata. Nella rivista, la De Mola impersonava Lucrezia Borgia, che non si limitava ad avvelenare le pietanze». È tornato alla ribalta, nel 1993, con Tangentopoli: ammiratore del giudice Di Pietro, protagonista dell’inchiesta sulla corruzione, scrive in versi un commento ironico sullo scandalo: «La tangente? È potenza divina / di metallo / sonante è sottile manfrina / che arricchisce all’istante» E poi: «È arrivato Di Pietro / che sotto tiro tiene / qual giusto giustiziere / e a romper ora viene / le uova nel paniere!».

Priestley

John Boyton Priestley si arruola nel 1914 e nel 1919 riceve dall’esercito una borsa di studio con la quale si iscrive al Trinity Hall a Cambridge. Svolge un’intensa attività critica e saggistica e, dopo aver rifiutato diverse offerte nell’ambiente accademico, nel 1922 si trasferisce a Londra, dove ottiene un notevole riconoscimento come studioso e scrittore e l’attenzione internazionale con i romanzi I buoni compagni (The Good Companions, 1929) e La via dell’angelo (Angel Pavement, 1930). Negli anni ’30 e ’40 acquista una notevole fama grazie alla prolifica quanto eterogenea produzione teatrale (i drammi sono in tutto quarantanove), che va dalla commedia leggera a sfondo sociale, alla farsa politica in chiave metaforica, fino al dialogo filosofico.

Comunemente indicati con l’etichetta `Time Plays’ (tra gli altri si ricordano La svolta pericolosa, Dangerous Corner, 1932, la più rappresentata; Il tempo e la famiglia Conway, Time and the Conways, 1937; Un ispettore in casa Birling , An Inspector Call, 1946), la maggior parte dei suoi drammi cela sotto le convenzioni di un naturalismo ormai ben accetto al pubblico, il ribaltamento dei suoi presupposti al fine di muovere verso un aperto simbolismo. La particolare passione di Priestley per il problema del tempo si alimenta delle speculazioni del mistico P.D. Ouspensky e del matematico J.W. Dunne. Il primo propone la coesistenza di un numero quasi infinito di sequenze alternate di tempo; il secondo sostiene che ci sia un piano temporale su cui passato, futuro e l’ora di ogni dato momento siano simultaneamente presenti. La sperimentazione drammaturgica di P. tende a confrontarsi con diversi modelli stilistici alternativi, prendendo spunto, di volta in volta, da T. Wilder, E. Rice e dall’espressionismo tedesco ( Music At Night , 1938; Johnson Over Jordan , 1939; Ever Since Paradise , scritto nel 1939 e rappresentato nel 1947).

Parassole

Inizia nel 1986 con il teatro-cabaret dopo essersi diplomato in drammaturgia alla scuola `P. Grassi’: Trigomiri (1990), Vita da cani (1993) e Il peggio di me (1994). La sua attività teatrale si snoda a fianco alle sue apparizioni in tv. Nel 1998 è uno degli artisti dello “Zelig Show. Il cabaret a teatro” e, nello stesso anno partecipa come attore al film Animali felici di Angelo Ruta.

Palmarini

All’inizio del secolo comincia a lavorare con diverse compagnie, fino a quando nel 1919 ne costituisce una propria, Palmarini-Campa, che oltre a un repertorio commerciale – Nido altrui di Benavente (1918) e Lorenzino di Forzano (1921) – si segnala per alcuni interessanti allestimenti: Zio Vania di Cechov, che è rappresentato per la prima volta in Italia dal P. nel 1922, con il titolo Zio Giovanni ; Topaze di Pagnol (1929, riscuote un grande successo); Acque torbide (La Brouille) di Vildrac (1931).

Philipe

Attore mito, prediletto da intere generazioni di spettatori, a vent’anni Gérard Philipe debutta al teatro di Nizza, prima tappa di una vocazione e di una carriera troppo breve. Da quel momento la vita del teatro diventa la sua vita: si trasferisce a Parigi dove studia al Conservatorio. Ma quasi subito si impone sulle scene della capitale interpretando con un successo clamoroso il ruolo dell’Angelo in Sodoma e Gomorra di Giraudoux accanto a Edwige Feullière (1943). Nello stesso anno debutta anche al cinema in Les Petites du quai aux fleures di Marc Allegret. Da questo momento Philipe si alternerà fra teatro e cinema. Nel 1944 con l’attore Michel Auclair partecipa alla liberazione di Parigi, prima testimonianza di un impegno politico che rimarrà costante. Malgrado abbia interpretato Caligola di Camus, è con il ruolo cinematografico del giovane studente ne Il diavolo in corpo di Autant Lara, accanto a Micheline Presle, che si impone definitivamente come figura-simbolo di un’intera generazione.

L’incontro chiave della sua carriera teatrale è quello con Jean Vilar, il regista animatore del Théâtre National Populaire di Chaillot. Con lui, infatti, Philipe sarà un indimenticabile Cid di Corneille e un memorabile Principe di Homburg di Kleist, e un sorprendente Lorenzaccio di De Musset. Bello, tenero, con una voce quasi disincarnata; antieroe, e nel contempo, insultante seduttore, Philipe sembra compendiare l’immagine di «mille anime riassunte in un solo corpo» come dice Albert Camus. L’unico insuccesso che conosce è quello in Till Eulenspiegel (1956) di cui è, allo stesso tempo, regista e interprete principale. Nel 1955, per la terza volta, è il protagonista di un film di René Clair, Grandi manovre: un successo internazionale, che ne conferma e accresce il fascino e la forza carismatica. Nel 1958, sempre al Teatro di Chaillot, interpreta i suoi ultimi ruoli I capricci di Marianna e Non si scherza con l’amore di De Musset e viene diretto da Buñuel nel suo ultimo film L’isola che scotta.

Il nove novembre, improvvisamente, viene ricoverato in clinica. Senza conoscere la gravità del suo male prende accordi con Peter Brook per un Amleto che purtroppo non è riuscito a fare. Leggendo Don Giovanni di Molière annota accanto al ruolo di Sganarello, poco profeticamente, «per me fra vent’anni». Pochi giorni dopo, il venticinque novembre, invece, muore di un cancro fulminante al fegato a soli trentasette anni. La sua tomba a Ramatuelle, nelle colline che sovrastano Saint Tropez, è meta ancora oggi di un ininterrotto pellegrinaggio.

Palucca

Formatasi a Dresda con Ernst Kroller, Gret Palucca a diciotto anni ha frequentato lo studio di Mary Wigman e nel 1923 ne è diventata danzatrice per lasciarlo l’anno successivo e dedicarsi a recital solistici. Nel 1925 ha aperto a Dresda una sua scuola che, dopo la chiusura imposta dai nazisti nel 1939, si è imposta dal 1945 come uno dei maggiori centri coreografici sovvenzionati dal governo dell’ex Germania Est. A fianco dell’attività didattica, ha proseguito fino al 1950 la sua carriera di danzatrice, esibendosi in Germania e in tournée internazionali, sia con spettacoli solistici che insieme a gruppi di suoi allievi. Accanto a Mary Wigman è stata una delle personalità più eminenti dell’ `Ausdruckstanz’ tedesca. Considerata una delle più liriche e affascinanti danzatrici moderne, si è tuttavia distinta da quella caposcuola per aver creato un proprio stile lirico e appassionato nel quale ha trasmesso le sue doti di ballerina.

Polidori

Allievo di Guttuso, orienta ben presto la prima impostazione realista verso l’espressione non figurativa, che successivamente caratterizza la sua esperienza teatrale, iniziata con il Woyzeck di Büchner (regia di E. Gaipa, Roma, 1946). Il suo stile concepisce un ordine geometrico che fa confluire l’oggettività scenica in una realtà parallela, allusiva e significante. Dopo alcune esperienze cinematografiche di rilievo ( Bellissima di Visconti, 1951; Il cappotto di Lattuada, 1952; Le amiche di M. Antonioni, 1955), dal 1954 inizia una proficua collaborazione con L. Squarzina ( È mezzanotte dottor Schweitzer! , di Cesbron, San Miniato, 1954; Il potere e la gloria di G. Greene, San Miniato, 1958), che si allarga tuttavia anche ad altri registi: Visconti ( Morte di un commesso viaggiatore di Miller, 1951), Gassman ( Oreste di Alfieri, 1951; I Persiani di Eschilo, 1954), De Lullo (celebre lo spaccato del casamento per Il diario di Anna Frank ), Sbragia ( Ricorda con rabbia di J. Osborne, La cortigiana di P. Aretino). Più di recente lavora con Battistoni per Minnie la candida di M. Bontempelli (Milano, Piccolo Teatro, 1980) e Una bella domenica di settembre di U. Betti (Milano, Teatro Filodrammatici, 1982). Impegnato a Bologna come docente di Elementi di scenografia all’Università (dal 1970 al 1986), torna a San Miniato per elaborare una nuova versione de Il potere e la gloria da G. Greene (regia di G. Sbragia, 1992).

Provincetown Players

Provincetown Players è un gruppo statunitense fondato nel 1915 da George Cram Cook, un appassionato estimatore del teatro greco, e costituito da una compagnia di dilettanti che allestiva i suoi spettacoli per lo più a Provincetown. Di lì a poco Eugene O’Neill entra a far parte della compagnia per la quale scrive, tra l’altro, Confini orientali per Cardiff e L’imperatore Jones . Grazie anche al suo appoggio, Cook decide, l’anno seguente, di trasferire il gruppo a New YorK, dove inizialmente mette in scena soprattutto atti unici di O’Neill e di Susan Glaspell. Nonostante il successo procurato al gruppo da questi testi e nonostante la stima dichiarata per il talento di O’Neill, Cook, che pur nutriva personali ambizioni letterarie, non può fare a meno di invidiare la crescente notorietà dell’altro. Così, nel 1922 lascia New York, assieme alla moglie Susan Glaspell, alla volta della Grecia, dove muore due anni più tardi. Dopo questa scissione il gruppo è guidato prima da una sorta di triumvirato composto da O’Neill, Kenneth Macgowan e Robert Edmond Jones a cui succede poi, in veste registica, Edmond Jones. La compagnia si scioglie definitivamente nel 1929 anche in conseguenza del crollo finanziario e della Depressione.

psicodramma

Lo psicodramma è una sperimentazione psicoterapeutica di matrice teatrale, che inaugura il settore della `teatroterapia’. È stata coniata dallo psichiatra J.L. Moreno, già fondatore, nella Vienna dei primi anni ’20, del Teatro della spontaneità. Lo psicodramma nasce successivamente, dopo il 1925, anno in cui Moreno si stabilisce in America, a Beacon Hill (New York), dove fonderà il Beacon Institute, primo istituto psicodrammatico (1936). L’obiettivo dello p. consiste nell’utilizzare i paradigmi teatrali (attore, regia, palcoscenico, drammaturgia, musica, luci, pubblico) come strumenti per una terapia espressiva attiva ( active psychotherapy ) che si distingua dalla `terapia passiva’ freudiana, allora ancora agli albori. Ciò significa che, mentre Freud – `dimenticando’ il corpo – faceva sdraiare il paziente sul lettino, instaurando un rapporto strettamente duale (terapeuta-paziente), Moreno invece – rigettando la triade psicoanalitica di Es, Io e Super Io – lascia che il paziente, previo riscaldamento ( warm up ), co-agisca su un palcoscenico circolare costruito su più livelli, corrispondenti simbolicamente alla molteplice espressione delle emozioni. Il regista è lo psicodrammatista che, con domande strategicamente mirate, favorisce l’emersione del problema che affligge (talvolta inconsciamente) il soggetto. È lui che decide se e quando introdurre brani musicali per facilitare l’immedesimazione del soggetto; lo stesso vale per le luci, abbinate a diversi stati d’animo. Gli spettatori non partecipano liberamente all’azione inscenata: alcuni di loro fungono da `Io ausiliari’, che entrano in scena solo quando le esigenze dell’attore principale lo richiedono.

Non esiste drammaturgia scritta: il testo non è altro che un episodio del paziente/attore realmente accaduto e ora rivissuto, partendo dal presupposto che la catarsi può scattare solo se il soggetto, rimettendo in scena il proprio vissuto spesso traumatico (pathos), lo rielabora prendendone coscienza. Si rimette in circolo il meccanismo drammatico delle tragedie greche, strutturate sulla ciclicità di tre elementi: capovolgimento dell’iniziale situazione positiva (peripetheia), trauma (pathos), liberazione catartica (catharsis). E, come le tragedie avevano sovente per oggetto i drammi intrafamiliari (le ambientazioni nella reggia di famiglie allora regnanti), così Moreno individua nella casa privata, sede anche di tensioni estreme, il locus nascendi del teatro terapeutico.

Lo psicodramma è stato ed è tuttora applicato in molteplici contesti prevalentemente non artistici, soprattutto nelle realtà del disagio (Moreno inizia a sperimentare con piccoli gruppi di ragazzi `difficili’ e di prostitute nei sobborghi di Vienna). Suoi elementi caratterizzanti sono: la spontaneità e la creatività (fattore S-C) come binomio motore dell’azione; l’assenza del copione; l’irripetibilità dell’evento inscenato: tutto accade una volta sola, nell’ hic et nunc dell’azione; l’espressione psico-somatica del problema (superando la tecnica soltanto verbale di Freud); i giochi di ruolo (role-play) tra attore principale e gruppo; il `tele’ (modalità di interazione affettiva) positivo, negativo o neutro; il rifiuto dell’ipnosi come terapia. Tra i limiti dello psicodramma: l’eccessiva attenzione spostata sul soggetto/attore a scapito del gruppo, il ricorso incompleto al corpo, la conduzione talvolta troppo direttiva. A metà secolo lo p. si diffonde in Europa e America, soprattutto in Francia ad opera di Basquin, Bour, Lebovici, Schützenberger.

Distinguendosi dallo psicodramma `classico’ (seguito dalla moglie Zerka Moreno, da L. Yablonsky e G. Boria), lo psicodramma `analitico post-moreniano‘ si può suddividere in tre indirizzi: freudiano (O. Rosati), teso a enucleare i rapporti inconsci tra desideri interni ed espressioni esterne – aspetto non sempre approfondito da Moreno; lacaniano (Anzieu, i coniugi Lemoine), caratterizzato da: teoria del desiderio di Lacan – che addita il ritrovamento del piacere in un segno che significhi l’assenza di qualcuno o qualcosa a noi caro , giochi di identificazione transferale, proibizione del contatto fisico per valorizzare l’importanza dello sguardo (pulsione scopica), interesse per un’utenza infantile e adolescenziale, aumento di terapeuti per sessione (generalmente un uomo e una donna, simboliche figure paterna e materna); junghiano (M. Gasseau, G. Gasca), che privilegia il lavoro sui sogni e sui simboli ad essi annessi, in un costante bilanciamento tra doppio e ombra, tra ruolo e archetipo collettivo.

 

 

 

 

 

Porcaro

Dal ’74 in poi prosegue da solo: la svolta nel cabaret è con La tappezzeria di Enzo Jannacci e Beppe Viola (1977). Prosegue con numerose apparizioni al cinema e in tv.

Paoli

Esordì nel 1898 nella Stabile di Napoli, inserendosi poi nella compagnia di Eleonora Duse. Si affermò come attrice in seno alla Compagnia Stabile Romana in La fiaccola sotto il moggio nel 1906, con G. Pezzana e F. Garavaglia, distinguendosi soprattutto nel 1908 come interprete nella Nave . Il suo repertorio spaziava dal genere comico al drammatico ( La signora dalle camelie , i drammi a tesi di Brieux e Butti, i testi di Flers e Caillavet). Uno dei suoi ultimi spettacoli teatrali di successo fu La Gorgona di S. Benelli nel 1913, portata in tournée nell’anno successivo. Per problemi di salute dovette lasciare il teatro, tornandovi solo sporadicamente con partecipazioni straordinarie. Continuò invece l’attività cinematografica, iniziata nel 1915 con Silvio Pellico, il martire dello Spielberg , cui seguirono Re burlone del 1935, Dora Nelson del 1939, Perdizione e Noi vivi del 1942.

Petrolini

Figlio di un fabbro e nipote di un falegname, era stato destinato dalla famiglia alla pialla o al mantice. Invece, fin da ragazzo, Ettore Petrolini improvvisava per sé scenette e monologhi, sia lavorando nella bottega del nonno, sia per strada, seguendo un funerale con un’aria così afflitta che lo faceva apparire per un parente del morto, oppure trasformandosi in turista, con la giacca rivoltata, un libro utilizzato come baedeker e inventandosi una lingua astrusa. Anticipava così il carattere derisorio e empio di un’arte che non sarebbe esplosa subito, ma avrebbe avuto la sua incubazione nel café chantant e nelle più sgangherate compagnie di prosa romane. Scuola dura in quei locali pieni di fumo, sorvegliati dalla polizia e con un pubblico sguaiato ma esigentissimo, difficile da domare. Recitando e `guitteggiando’, Petrolini cominciava a uscire dalla convenzionalità della vecchia macchietta; cavava, soprattutto dal varietà minore napoletano, gli spunti per i primi numeri del suo repertorio: Canzone guappa, La caccavella, Fortunello e soprattutto Il bell’Arturo, parodia buffonesca del decadente dannunziano dal quale sarebbe nato Gastone.

A Roma l’attore imparò a domare il pubblico, a Milano conquistò la critica. Tuttavia la vera scoperta di Petrolini avvenne all’estero, nella tournée del 1907 in Uruguay, Argentina, Brasile. Tornato in Italia, era un idolo. Tutta la critica si occupava di lui, ma lui, pur solido nella sua posizione, non smetteva di lavorare al repertorio, approfondiva i numeri ( Fortunello , I salamini ). Allo scoppio della guerra (1915) si sentì maturo per lo spettacolo organico, basato su un copione. Costituì una compagnia che debuttò al Teatro Cines (l’attuale Eliseo) con la rivista Venite a sentire . Ma la rivista non gli bastava, né era congeniale al suo talento. Arrivarono i primi bozzetti (47, morto che parla ; Nerone ; Amori di notte ); i più acclamati autori del momento (A. Testoni, L. Chiarelli, R. Simoni) scrissero per lui; ma fu con le proprie commedie che P. mostrò di essere un grande attore: Gastone, Benedetto fra le donne e soprattutto Chicchignola, il suo capolavoro, nel quale si avverte l’influsso del Berretto a sonagli .

Pirandello e Petrolini: è curioso che l’uno non abbia mai scritto per l’altro, e che l’altro non lo abbia mai interpretato. Furono i due più importanti artisti fra le due guerre, entrambi specchio di una `sgradevolezza’ e di una `crisi’ che non sempre venivano ben tollerate. P. fece un adattamento di Lumie di Sicilia, a cui cambiò il titolo (Agro di limone) e le caratteristiche del personaggio, facendolo arrivare non dalla Sicilia, ma dell’Abruzzo. Ma furono gli unici contatti. L’ultima fase della carriera fu segnata dalle trionfali tournée a Londra e a Parigi. Alla Comédie Francaise portò uno dei suoi capolavori interpretativi, Il medico per forza di Molière: pur violentando il testo, conquistò il pubblico. Da tempo Petrolini aveva trasformato la violenza, la derisione e l’assurdità in stile. Con la sua andatura dinoccolata, il naso che spioveva a becco sulla bocca, la voce in falsetto, era diventato il `disconsacratore’ (A. Cecchi), i futuristi lo avevano aggregato al teatro `meccanico e motorico’ e P. Pancrazi era diventato l’esegeta della sua `scemenza’ («ha avuto il coraggio di essere idiota»). P. era minato dal male. L’angina pectoris gli consumava le forze. Dopo avere `salaminizzato’ l’Italia, ci lasciò alcuni documenti filmati della sua arte, fra cui Nerone (1930) con i numeri più celebri del suo repertorio. Preziosi i due volumi della sua autobiografia: Modestia a parte e Un po’ per celia e un po’ per non morire.

Petit

Estraneo ai mercati del circo o del teatro di strada, P. conduce dagli anni ’70 un’originale ricerca artistica di tipo concettuale sull’arte del funambolo. Le sue installazioni aeree, inizialmente clandestine e notturne, coprono spazi simbolici di grandi capitali: le torri di Notre Dame a Parigi o quelle del World Trade Center a New York, l’interno della cattedrale di New York e l’esterno di quella di Francoforte. Nel 1975 a New Orleans copre sul filo una distanza di quattrocentottanta metri. Sebbene le traversate aeree di P. siano di notevole difficoltà e rischio e costituiscano primati ineguagliati in tale campo, l’artista è interessato a coinvolgere il pubblico con il valore emotivo e simbolico delle proprie imprese piuttosto che con il virtuosismo.

popolare,

Il termine popolare è applicato a una serie grandissima di avvenimenti, manifestazioni e comportamenti che coinvolgono livelli sociali, culturali ed economici molto differenti. Ciò discende in primo luogo della genericità storica della stessa definizione di popolo, parola che nel tempo ha avuto riferimenti diversi e spesso fra loro contrastanti. Mentre in inglese esistono due termini, folk e popular , in italiano la parola popolare viene applicata, ingenerando ovviamente confusione ed equivoco, tanto alle manifestazioni che appartengono alla tradizione popolare vera e propria, che a manifestazioni proprie della cultura di massa. Così, vengono definiti oggi musica popolare, con una evidente intenzione nobilitante, anche i prodotti della musica di consumo e della musica di massa. Nell’ambito dello spettacolo l’utilizzazione del termine teatro popolare è assai più vecchio e così abbiamo l’indicazione di teatro popolare già dal secolo scorso per definire gli spettacoli non destinati ad un pubblico elevato e non ospitati nei teatri di un certo prestigio, pur non connessi alle pratiche effettivamente popolari/tradizionali. In quella che è stata definita la `fascia folkloristica’, cioè il mondo contadino (in senso lato) sono state presenti (e in parte sono sopravvissute) varie forme, anche assai complesse e articolate, di teatro che possiamo considerare propriamente popolare, per lo più connesse e pratiche rituali, ormai più o meno riconosciute consapevolmente come tali. Non è possibile citare tutte queste manifestazioni, ma è sufficiente ricordare le principali scadenze calendariali nelle quali il teatro popolare si è manifestato e in parte ancora, in modi più o meno modificati, si manifesta. Abbiamo così vari cicli legati al calendario, con realizzazioni spettacolari ora manifestamente religiose e ora invece manifestamente laiche.

Non va dimenticato che anche la maggior parte degli spettacoli popolari che si realizzano con intenzioni e forme religiose/cattoliche hanno radici antecedenti alla cristianizzazione e di queste radici, in modo più o meno scoperto, i segni. Di carattere propriamente laico sono gli spettacoli legati a quattro periodi dell’anno, il capodanno (doppio laico del Natale), la mezza quaresima, il carnevale e la fine dell’inverno e l’inizio della primavera (i maggi e i bruscelli). In termini di spettacolo in questi periodi troviamo sia veri e propri avvenimenti teatrali, sia pratiche di questua con musiche, canti, comportamenti formalizzati, talora costumi, sempre percorsi rituali. La cristianizzazione ha svorapposto a pratiche rituali preesistenti e legate al ciclo della produzione agraria le sue scadenze calendariali, assorbendo in un ambito religioso comportamenti spettacolari già esistenti. Avvenimenti teatrali di evidenza religiosa sono quelli connessi al ciclo natalizio e al ciclo della Settimana santa, con vere e proprie realizzazioni teatrali, ad esempio le sacre rappresentazioni e molte processioni che sono veri e propri spettacoli. Di notevole interesse culturale e sociologico sono, nella fascia del teatro popolare, le processioni, spettacoli senza spettatori in quanto anche chi assiste al passaggio del corteo processionale è attore dell’avvenimento. Affermando che queste manifestazioni teatrali o spettacolari sono da assumere come effettivamente popolari non si vuol certo disconoscere le relazioni di dipendenza che molte fra esse (per esempio il maggio drammatico o le sacre rappresentazioni) hanno con il teatro e lo spettacolo delle egemonie culturali ed economiche del passato.

Pasello

Silvia Pasello è sorella di Luisa Pasello. Inizia la propria formazione nel 1978 all’interno del Teatro Nucleo di Ferrara. Nel 1980 fa parte del progetto di ricerca biennale `L’eresia del Teatro: Stanislavskij’, organizzato dal Csrt di Pontedera, dove incontra docenti e maestri di diverse tradizioni teatrali come Jerzy Stuhr, Marisa Fabbri, Ingemar Lindh, Ryszard Cieslak. Silvia segue in modo particolare il lavoro di Ingemar Lindh sull’autopedagogia dell’attore. Partecipa, tra gli altri, ai seguenti spettacoli: Mucciana City (1984) di Alfonso Santagata; A. da Agatha (1986 e 1994) e Temiscira 3, le vostre madri sono state più solerti (1997) di Thierry Salmon; The Said Eyes of Karlheinz Ohl (1991) di Gerald Thomas; Don Giovanni (1992) di Raul Ruiz; Nostos (1996) di Roberto Bacci; Macbeth Horror Suite (1996) di e con Carmelo Bene. Cura la regia di alcuni suoi personali lavori: La Mite (1990) e Krotkaja (1993) e dirige Senza diritto d’autore (1997). Nel 1998 lavora con la Societas Raffaello Sanzio in Buchettino.

pantomima circense

La pantomima circense è una forma drammaturgica visiva, propria del circo, in cui una parte o la totalità dei numeri in programma sono legati stilisticamente da un filo conduttore e da azioni mimiche-acrobatiche di transizione, su un tema predefinito. Parte stessa della genesi del circo ottocentesco, con Franconi e Renz, la pantomima circense ha fortuna relativamente minore nel corso del Novecento (col fissarsi dell’unità artistica e commerciale del concetto di `numero’) ma continua a determinare la funzione architettonica dei principali edifici circensi dotati di macchinari teatrali per la messinscena di pantomime. Le pantomima circense riempivano generalmente la seconda parte del programma e molto spesso si servivano della pista trasformata in piscina, dispositivo presente in quasi tutti i circhi stabili. I temi erano celebri battaglie o episodi storici (per giustificare l’uso dei cavalli), figurazioni orientali (con elefanti e animali esotici) o parodie farsesche per valorizzare celebri clown. Nella prima metà del secolo il circo Busch a Berlino si distinse per la sontuosità dei mezzi delle pantomima circense, il Medrano a Parigi per la creatività teatrale e l’accento sui talenti comici. Negli Stati Uniti la pantomima circense è sostituita dallo `spec’, grande figurazione a tema che chiude la prima parte integrando quattro o cinque numeri. In Europa, pantomima circense celebri sono La perle du Bengale del circo Bouglione (spesso ripresa negli anni ’50 e ’60), quelle acquatiche del Tower di Blackpool in Gran Bretagna e soprattutto Il circo delle mille e una notte (1973) dei fratelli Orfei, con regia di G. Landi e costumi di D. Donati. Dagli anni ’70, specialista della pantomima circense diviene la scuola russa, grazie anche alla tecnologia scenica all’avanguardia del circo sovietico, con memorabili creazioni come la pantomima circense equestre Leggenda del Caucaso di Tamerlan Nougzarov (1979), quella aerea Prometeo dei Voljanski (1977) e l’imponente Spartacus di Mstislav Zapachny (1992). Negli anni ’80 e ’90 eredi della pantomima circense sono gli spettacoli a tema, con un tipo di teatralizzazione della produzione circense diffusa soprattutto dal circo francese Gruss e dallo statunitense Big Apple.

Platel

A quarant’anni Alain Platel è già uno dei nuovi maestri della scena europea ed è tra i pochissimi a aver assorbito la lezione di Pina Bausch ma per reinventarla in un teatrodanza che lui stesso definisce `postrealista’. Vi si rintracciano e elaborano sentimenti e presenze nella ricca Europa di fine secolo, con un interesse particolare e talvolta impertinente, per quanto, e quanti, ne stanno ai margini. La sua formazione è assai curiosa: prima di ottenere la laurea in pedagogia, segue corsi di mimo e arte circense e lavora con adolescenti difficili e abbandonati. Quindi incontra la coreografa Barbara Pearce che, a Parigi, lo ingaggia come danzatore non professionista in una compagnia di danza moderna di cui diviene la mascotte. Sembra dunque destinato a abbandonare la missione pedagogica, invece, tornato in Belgio, dà corso a un’attività di teatro amatoriale con un gruppo di amici in cui comincia a applicare metodi pedagogici. Nasce una sorta di `teatro d’appartamento’ che, tuttavia, già nel 1984 (con la pièce Stabat Mater ) viene giudicato sufficientemente professionale per entrare in un piccolo circuito di festival locali.

Ma il 1984 è anche l’anno ufficiale di nascita dei Ballets C. de la B. (Balletti contemporanei del Belgio: un nome ironico che richiama le compagnie storiche del Novecento, come i Ballets Russes). È il gruppo di artisti- dilettanti (ma anche registi come Hans Van de Broeck o Christine De Smedt) che per molti anni si identifica in Platel, anche se egli non ama esserne considerato il coreografo e tanto meno il direttore artistico. Fedele al principio che sulla scena non vi debba essere alcun tipo di interpretazione, ma piuttosto la vita di persone che vogliono raccontare liberamente, senza sottomettersi ai dettati di un regista o di un coreografo, la loro storia, P. si afferma comunque, come metteur en scène della sua compagnia, con lo spettacolo Emma (1988). Ma sono Bonjour Madame (1993) e La tristeza complice (1995) a sbalzarlo, con Les Ballets C. de la B., sulla scena internazionale. Interessato a lavorare anche in strutture diverse, allestisce, assieme al drammaturgo Arne Sierens, Moeder en Kind (1995) e Bernadetje (1996): quest’ultima originale e visionaria rievocazione della Santa di Lourdes che si materializza in una vera pista di autoscontro ben si addice ai giovani attori, danzatori e non professionisti del gruppo belga `Victoria’. Con Hildegard De Vuyst, sua abituale drammaturga-regista, firma, ancora per Les Ballets C.de la B, Iets op Bach (1998) in cui stigmatizza, nel confronto con la musica perfetta di Bach, un mondo in cui la miseria spirituale e culturale è ancor più devastante che la povertà materiale. Il suo teatrodanza non nasce da progetti predeterminati a tavolino, ma dalla scelta delle persone selezionate per dar corpo ai suoi spettacoli: si tratta in genere di personalità molto forti, diverse per esperienza e preparazione nell’ambito della danza, per cultura ed età (spesso sono bambini anche di pochi anni). L’obiettivo è creare un mondo di differenze dal quale lievitino desideri, pensieri, frustazioni, nostalgie: il pedagodo-coreografo-regista ne è il suscitatore e in fine diviene organizzatore `bruitista’ del caos.

Popov

Lavora prima come attore al Teatro d’Arte e al I Studio (1912-1918) con parti di rilievo (Vasilij ne Il pensiero di L. Andreev, Apollon ne La provinciale di Turgenev). Dal 1918 al 1923 dirige una compagnia di ricerca a Kostroma, riprendendo molti spettacoli di cui è stato interprete al Teatro d’Arte. Nel 1923 torna a Mosca e diventa regista (1923-1930) al 3 Studio del Teatro d’Arte (che nello stesso anno prende il nome dal suo fondatore, il regista E. Vachtangov, morto l’anno precedente), dove dedica particolare attenzione al repertorio sovietico. Dal 1930 al 1935 dirige il Teatro della Rivoluzione: ottiene enorme successo con tre testi di N. Pogodin ( Poema della scure 1931, Il mio amico 1932, Dopo il ballo 1934) e una vitalissima edizione di Romeo e Giulietta di Shakespeare. Dal 1935 fino alla morte dirige il Teatro Centrale dell’Armata Rossa: di solida fede comunista, imposta il suo lavoro di regista su canoni realistici che gli permettono di superare con grandi encomi la difficile era staliniana. Da segnalare, tra gli spettacoli più riusciti, oltre a testi celebrativi come C’era una volta di F. Gladkov (1942), Quelli di Stalingrado di Ju. Cepurin (1944), buone edizioni di classici come La bisbetica domata di Shakespeare (1937) e Il revisore di Gogol’ (1951).

Piccardi

Alvaro Piccardi debutta in teatro a soli 13 anni con la compagnia di Ernesto Calindri e continua a lavorare in grandi compagnie, mentre anche la tv lo scopre (L’isola del tesoro) e ne fa il protagonista di numerosi sceneggiati di successo. Dal 1969 al 1980 diventa socio del Gruppo della Rocca e partecipa a numerosi spettacoli con la regia di Roberto Guicciardini ed Egisto Marcucci. Nel 1979 debutta nella regia con Il concerto di Renzo Rosso. Nel 1981 firma l’ Otello di Shakespeare con Vittorio Gassman. Nel 1987 l’esordio nella regia lirica per il Teatro Sperimentale di Spoleto con Mahagonny di Brecht-Weill e Il telefono di Giancarlo Menotti. Nel 1994 dirige La bella verità al Comunale di Firenze, nel 1996 Il barbiere di Siviglia a Todi. È anche docente di molte attività didattiche. Nel 1998 diventa direttore della Scuola di teatro classico `Giusto Monaco’ dell’Inda (Istituto nazionale del dramma antico).

Pla

Formatasi con i fratelli Alonso, Alexandra Fedorova, Mary Skeaping e Anna Ivanova, debutta nel 1953 nella compagnia di Alicia Alonso, per diventare prima ballerina del Balletto Nazionale di Cuba, nel 1962. Medaglia d’argento al Concorso internazionale di Varna nel 1964 e nel 1966, primeggia in ruoli del repertorio romantico ( Giselle ) nei quali ha possibilità di mostrare il suo stile levigato e poetico. Ritiratasi dalle scene, è oggi maître de ballet della compagnia cubana.

Prokovsky

Allievo della Egorova e di Zvereff, dopo aver debuttato alla Comédie-Française, fu nella compagnia di J. Charrat. Poi con R. Petit e quindi con il London’s Festival Ballet. I più brillanti risultati come danzatore li otterrà tuttavia con la compagnia De Cuevas (1960-1962) e con il New York City Ballet, protagonista di importanti balletti moderni. Nel 1972, con Galina Samsova, allora sua moglie, fondò una sua compagnia, poi diventata il New London Ballet. Per essa firmerà una serie di interessanti coreografie tra le quali Scarlatti and friends , Bagatelles opus 126 , Elégie , Commedia , Anna Karenina , The Storm e Verdi Variations .

Preobrazenskaja

Terminato l’Istituto coreografico di Pietroburgo, nel 1889 è entrata nel Corpo di ballo del teatro Marijnskij, dal 1896 è solista e dal 1900 prima ballerina. Già professionista ha continuato a studiare con Cecchetti con la Beretta. Ha saputo conservare la purezza della tradizione della danza classica. Perfetta per i ruoli lirici e da commedia è stata inteprete di La schiaccianoci , La bella addormentata , Raimonda , Aci e Galatea , Coppelia , La fille mal gardée, Paquita, La fata della bambole. Michail Fokin ha creato per lei le parti del preludio in Chopiniana e di Cleopatra nelle Notti egiziane. Nel 1895 ha compiuto una lunga tournée nell’Europa occidentale e in America del Sud. Dal 1917 al 1920 ha affiancato l’attività di insegnante a quella di ballerina. Nel 1920 lascia la danza, e a partire dal 1921 insegna in numerose città europee, prima di stabilirsi definitivamente a Parigi nel 1923. Dalla sua scuola passano i più importanti danzatori sino al 1960, quando lascia l’attività.

Penzi

Entrata alla Scuola di Ballo della Scala nel 1927, la lascia nel 1935 per seguire Jia Ruskaja, con la quale collabora nell’insegnamento alla scuola di danza fondata a Roma nel 1940; contemporaneamente prosegue la carriera di ballerina, coprendo ruoli da protagonista in vari balletti come La bottega fantastica di A. Milloss all’Opera di Roma (1940) e Visioni, sempre di Milloss, alla Scala (1948). Istituita l’Accademia nazionale di danza (1948), si dedica totalmente all’insegnamento, succedendo alla Ruskaja in qualità di direttrice nel 1970. Qui, fino al suo ritiro (1990), si attiva anche come coreografa, curando saggi e spettacoli. È autrice dell’autobiografia Giuliana, dai capelli di fuoco.

Paolantoni

Iniziano come duo comico nel 1986, provenendo entrambi dal teatro. Il debutto è allo Zelig di Milano con Fame… – saranno nessuno . Vincono il Festival di cabaret di Grottammare, dove sono già abbozzati i vari personaggi che interpretano, tra cui il `De Lollis’ di P. In seguito il palcoscenico della loro comicità si trasferisce in televisione: li ricordiamo in note trasmissioni satiriche come Indietro tutta , Fate il vostro gioco , Tiramisù . Nel 1995 il duo si scioglie; P. prosegue in tv con Mai dire gol e in teatro con The school of the art of De Lollis ; S. come autore, firmando trasmissioni quali Macao e Scirocco .

Pressburger

Giunto in Italia nel 1956, a seguito dei fatti d’Ungheria, Giorgio Pressburger si diploma in regia all’Accademia d’arte drammatica di Roma. Il suo esordio come regista avviene nel 1962, con Antonello capobrigante calabrese , cui fanno seguito Esecuzione (su suo testo, 1963) e Zizim di B. Joppolo. Tra i tanti lavori allestiti, testi di Goldoni ( La guerra , 1970; Il teatro comico , 1974; L’adulatore , 1986), Pasolini ( Calderon , 1980, anche regia cinematografica nel 1981) Eschilo ( Le coefore , 1996). Particolarmente attento alla cultura mitteleuropea, P. mette in scena anche B. Hrabal ( Una solitudine troppo rumorosa , 1992, anche drammaturgia), P. Handke ( L’ora in cui non sapevamo nulla l’uno dell’altro , 1994), C. Magris ( Danubio , 1997). Intensa la sua attività per la radio e la televisione: dalla elaborazione di orginali (da Il mattatoio , 1967, a Gli ebrei , 1976, a Il formaggio e i vermi , 1979), alle regie radiofoniche (negli anni ’60 e ’70) e televisive (ad esempio Woyzeck , di Büchner, 1983; All’uscita , di Pirandello, 1985). Nella lirica si ricordano regie quali La donna senz’ombra di Strauss (debutto, Teatro La Fenice,1977), Il castello di Barbablù di Bartók (Scala di Milano, 1978 e 1995), Macbeth di Verdi (Opera di Roma, 1987) Elektra di R. Strauss (Taormina, 1992) Carmen di Bizet (Spoleto, 1993). Scrittore prolifico (da ultimo i romanzi I due gemelli , 1996 e La neve e la colpa , 1998), docente di regia all’Accademia di Roma dal 1968 al 1976, P. dirige, dal 1991, il Mittelfest di Cividale del Friuli e dal 1998 è Direttore dell’Istituto Italiano di Cutura di Budapest.

Poli

Vicentino di nascita ma veneziano di elezione, attivo fin dall’immediato dopoguerra ( ntigone di Anouilh alla Fenice, 1946), Giovanni Poli fu il fondatore, e per una dozzina di anni il regista stabile, del Teatro Universitario di Ca’ Foscari che, accanto a testi del meno frequentato teatro moderno, si dedicò in particolare al recupero del teatro dell’arte, a partire dalla Commedia degli Zanni, portata in ogni parte del mondo e coronata dal premio parigino del Théàtre des Nations. Dopo aver allestito testi di Plauto, A. Calmo, C. Goldoni, G. Della Porta per vari teatri stabili, assunse la direzione artistica del milanese Teatro di Palazzo Durini (1964), alternandola a una mezza dozzina di regie liriche. Ma la sua ambizione maggiore fu la fondazione, nella sua Venezia, del Teatro dell’Avogaria, votato alle fonti della drammaturgia e caratterizzato dal privilegio di offrire soltanto spettacoli a inviti. Nel suo feudo veneziano, a fianco della moglie C. Picozzi, costumista raffinata e poi continuatrice della sua opera, proseguì puntigliosamente il discorso filologico e mimico-espressivo iniziato con le antiche maschere bergamasche progenitrici di Arlecchino e Brighella.

Parise

Cresciuto come romanziere nel solco del tardo neorealismo (Il ragazzo morto e le comete, 1951; Il prete bello, 1954), una volta scoperta la portata delle teorie darwiniste e freudiane, Goffredo Parise si situa in zone letterariamente ben diverse (Il padrone, 1965; Il crematorio di Vienna, 1969; Sillabario I e Sillabario II, 1972 e 1982) Rare sono state le sue esperienze teatrali: La moglie a cavallo (atto unico, Milano, Teatro Gerolamo 1960), La donna è realtà (Roma, Teatro delle Muse 1964), L’assoluto naturale (Prato, Teatro Metastasio 1968, con Valeria Moriconi e Renzo Montagnani e regia di Franco Enriquez). Quest’ultimo lavoro è certamente il più denso di significati. Si tratta di un dialogo tra uomo e donna, in cui sentimenti, pulsioni, interessi di coppia sono notomizzati alla luce raziocinante della scienza, che li sottrae all’impressionistico dominio delle sensazioni, tanto soggettive quanto poco esplicative. Non sempre adeguatamente calibrata, l’opera – recentemente ripresa a Milano – non ha sempre incontrato il gradimento del pubblico, proprio per l’originalità della sua impostazione.

Primavera

Nel 1917, il cantante-comico-fantasista Guido Riccioli fonda la sua compagnia `di riviste, operette e varietà’. L’anno successivo scrittura una primadonna bella e brava, Nanda Primavera, le offre il nome in ditta e la sposa. La compagnia Riccioli-Primavera diventa la più famosa formazione italiana nel genere operetta. Allestimenti sontuosi, un repertorio ampio (si cambiava cartellone tutte le sere), un successo incontrastato. Fino agli anni ’30, poi la Riccioli-P. passerà alla rivista, mettendo in scena anche testi di Galdieri. Nella stagione 1936-1937, va in scena a Napoli (e poi in tournée nel sud), Gran Bazar di Carbone-Cetera, e Riccioli figura in locandina anche come coautore. Si cambia spettacolo a Roma: Ho l’impressione che tu esageri! di Fiorita, con un quadro di «esercitazioni militaresche-musicali di belle ragazze, che fanno invidia ai legionari di Badoglio entrati vittoriosi ad Addis Abeba». Nella stagione 1938-39, la compagnia mette in scena Ma in campagna è un’altra… rosa , in sintonia con la rivalutazione autarchica della campagna voluta dal regime fascista, che sul tema fece comporre anche molte canzonette di successo ( O campagnola bella ). In compagnia, inappuntabile in frac, Alberto Sordi. E, per amore della bellissima soubrette, in frac e cilindro bianchi, un `boy’ di bella presenza: Indro Montanelli. Tra i vari quadri, le parodie di “Francesca da Rimini” e di “Marechiaro”;. gran successo al Mercadante di Napoli. Alla fine degli anni ’30, la compagnia Riccioli-P. diventa `stabile’ (cosa inconsueta per i tempi) e gestisce il teatro Modernissimo di Firenze. Guido Riccioli tornerà al teatro nel 1959 nella compagnia di Peppino De Filippo. La Primavera torna accanto a Sordi nei film: Gastone , 1959; Il vedovo, 1960; Il medico della mutua , 1967.

Pagano

Figlia di un bravo mandolinista, Guglielmo, Angela Pagano comincia a otto anni come cantante, accompagnando il trio di posteggiatori costituito dal padre. Da grande, deve adattarsi a lavorare in un negozio di guanti. Per caso conosce Maria Consiglio, la costumista di Eduardo De Filippo: e il resto viene di conseguenza. Debutta nel 1958 in La fortuna con l’Effe maiuscola di De Filippo e resta con lui per cinque anni, interpretando ruoli brillanti via via più importanti e impegnativi. Poi, l’occasione decisiva: Patroni Griffi la vede recitare un testo di Franca Valeri, Le catacombe (1962-63) e nel 1967 la chiama per Napoli: notte e giorno lo spettacolo che segna la riscoperta di Viviani. La P. si trova al fianco di alcuni dei più grandi attori napoletani, a cominciare da Pupella Maggio. E rimane con Patroni Griffi anche per il secondo spettacolo del progetto su Viviani, Napoli: chi resta e chi parte . Seguono, fra l’altro, il ruolo di Bernardina in Masaniello di Porta e Pugliese, quello di Zenobia in Circo equestre Sgueglia di Viviani (ancora con la regia di Armando Pugliese) e interpretazioni altrettanto rilevanti in La donna è mobile (il primo spettacolo da capocomico allestito da Luca De Filippo) e Le religiose alla moda e Lo Bazariota diretti da Roberto De Simone. Infine, a riprova della versatilità della P., valga il memorabile ritratto di Yvette Poitiers da lei disegnato in Madre Coraggio di Brecht, per la regia di Antonio Calenda.

Poli

Allieva della Scala, debuttò giovanissima nel teatro milanese e nel 1938 fu protagonista della prima edizione italiana di Schiaccianoci di Froman-Cajkovskij. L’anno successivo fu nominata direttrice del corpo di ballo, per il quale ideò la formula dei `balletti sinfonici’ avvalendosi di una forte preparazione musicale che la porterà, negli ultimi anni di carriera, a dedicarsi alla musica antica in veste di strumentista. Nel 1940 approntò alla Scala una nuova versione de La bella addormentata e l’anno successivo coreografò L’uccello di fuoco di Stravinskij, sempre riservandosi i ruoli di protagonista. Trasferitasi a Firenze dal 1937, ha iniziato a collaborare con il Maggio musicale fiorentino, dove ha lavorato nel dopoguerra dapprima come coreografa e poi come suonatrice di liuto nel complesso del marito, Rolf Rapp.

Pitoëff

Figlio di Georges e Ludmilla, dimostra un interesse spiccato per l’arte: suona il piano, ama disegnare, segue i corsi di arte drammatica di Jouvet all’Athénée. In L’ennemi du people di Ibsen (1939), Sacha recita accanto al padre, che muore quello stesso anno. Dal 1945 si stabilisce definitivamente a Parigi, dove mette in scena diversi spettacoli: Les Boucher inutiles di Simone de Beauvoir (1945); L’Épouse injustement soupçonnée di Cocteau (1949) ; Bassifondi di Gorky (1956); Questa sera si recita a soggetto (1959); Enrico IV (1967); Sei personaggi in cerca d’autore (1977) di Pirandello; Zio Vanja (1952); Le tre sorelle (1955); Il gabbiano (1962, con Romy Schneider); Ivanov (1963); Il giardino dei ciliegi (1965) di Cechov.

Paolini

Collegato alla corrente dell’Arte Povera, movimento emerso in Italia a fine anni ’60 e caratterizzato da opere costituite prevalentemente da materiali poveri e di rifiuto, Giulio Paolini cominciò a interrogarsi sul concetto di doppio e di copia sin dai primi anni ’70, per poi approdare a un discorso sul barocco e l’arte del Quattrocento. Da sempre interessato alla messa in scena e alla rappresentazione, ebbe una fruttuosa collaborazione con il regista Carlo Quartucci, con il quale realizzò Manfred di Robert Schumann (Auditorium di Torino, 1970), Don Chisciotte , adattato da Roberto Lerici e trasmesso dalla Rai il 10 aprile 1970, Opera (Genova, 1980), dove P. fu anche autore, e per il quale realizzò le scene e i costumi insieme a Jannis Kounellis, Platea (1981), Scene di conversazione (Parigi 1982) e Primo amore di Samuel Beckett (Teatro Ateneo di Roma, 1986). Da ricordare inoltre Il trasloco di Vittorio Gassmann (Torino 1973), La mandragola di Machiavelli (Vercelli 1983) in collaborazione con Mario Missiroli, e Il combattimento di Tancredi e Clorinda (1984), basato su alcuni canti della Gerusalemme liberata di Tasso. Interessante citare infine, per il vasto numero di membri della comunità artistica coinvolti, Pentesilea (Teatro Olimpico di Roma, 1986), basato su un’idea di Rudi Fuchs, con i costumi di Luciano Fabro e con scene dell’artista, di Enzo Cucchi, Mario Merz, David Salle, Markus Lupertz e Lawrence Weiner.

Polivka

Il naufrago , il suo primo spettacolo rappresentato in Italia (1977), suscita subito grande interesse per la capacità di mescolare il tragico e il comico nella quotidianità con un uso esemplare della gestualità, che ripropone con successo ne Il ristorante (1980) e ne Il buffone e la regina (1982). Dal 1982 collabora stabilmente con la compagnia italiana Filarmonica Clown per cui ha scritto e diretto alcuni spettacoli esilaranti, pieni di una comicità surreale che smaschera sempre il gioco teatrale ( Arrivi e/o partenze , 1982; Chicago Snakes , 1984; Don Chisciotte , 1989). È stato tra l’altro attore per Jakubisko ( Sono seduto su un ramo e mi sento bene , 1988).

Polverigi, Festival di

rappresenta uno dei momenti più significativi nel panorama dei festival europei. L’incontro fra Roberto Cimetta e Velia Papa con l’allora sindaco di P. Domenico Mancia, rappresenta nel 1975 l’inizio di un’avventura culturale destinata a rigenerare e trasformare il territorio del piccolo comune, attraverso la valorizzazione delle potenzialità creative della comunità. All’origine uno spettacolo: l’ Isola Purpurea di Bulgakov, realizzato insieme agli abitanti di Polverigi a Villa Nappi, destinata a diventare punto nevralgico della futura manifestazione. La prima edizione del Festival (1977) è riservata ai gruppi operanti nelle Marche, ma sin dall’edizione successiva si afferma la necessità di aprirsi al confronto internazionale. L’idea fondativa è quella di un teatro capace di abitare la comunità, un teatro inteso come luogo, o per meglio dire contaminazione di luoghi e di linguaggi: ogni anno in luglio lo spazio urbano di P. si trasforma in scena, lo spazio del teatro e quello della comunità si confondono sovrapponendosi, all’insegna della più assoluta libertà espressiva. Cortili, botteghe, piazze e cantine si animano di musica, danza e teatro, spesso in iperboliche contaminazioni di generi. Nel tentativo di favorire lo sviluppo di nuove elaborazioni linguistiche attraverso l’incontro-confronto fra tradizione e innovazione, il Festival ha ospitato alcuni dei gruppi più significativi che operano nell’ambito della sperimentazione espressiva (dal Teatro della Valdoca a Leo de Bernardinis, alla Raffaello Sanzio, fra gli altri, per la scena italiana). Nel corso degli anni l’appuntamento di P. si è arricchito di una serie di iniziative che ne testimoniano la fecondità culturale: nel 1981 è stato creato l’Informal European Theatre Meeting (IETM oggi con sede a Bruxelles) nodo di collegamento che raccoglie oltre quattrocento operatori teatrali di tutto il mondo; nel 1985 si è costituito il Centro di produzione, successivamente trasformatosi nel Teatro Stabile delle Marche; nel 1985, 1986 e 1987 il Festival ha prodotto Expò Teatro Italia, destinata a promuovere all’estero il teatro italiano e a favorire la cooproduzione europea; nel 1990 è stato creato l’Archivio del Teatro di Villa Nappi, una sorta di centro stabile di memoria teatrale; e al fine di attivare una rete internazionale di collegamenti a fini formativi è stato istituito il Fondo Internazionale Roberto Cimetta.

Posani

È tra gli autori degli spettacoli televisivi Drive in , Emilio , Vicini di casa , Su la testa , Scherzi a parte , oltre a essere stato autore dei testi degli spettacoli di Gene Gnocchi. Nel 1990 scrive per Marco Dalla Noce La bambagia e il cilicio , e nel 1993 firma con Paolo Rossi lo spettacolo Pop e rebelot ; nel 1996 è autore, in coppia con Zuzzurro, dello spettacolo In tre sull’arca di Noè . Collabora in seguito a Quelli che il calcio e Anima mia .

Poli

Dopo essersi laureato in letteratura francese con una tesi su Henry Beque, Paolo Poli insegna e lavora per la radio, oltre che recitare in compagnie vernacolari. Nel 1959 entra a far parte de La Borsa di Arlecchino, il piccolo teatro d’avanguardia che nasce a Genova grazie a A. Trionfo. Ma suo primo vero spettacolo è nel 1961, Il Novellino , che va in scena alla Cometa di Roma. A cui fanno seguito una serie di spettacoli divertentissimi, costituiti in gran parte da montaggi di testi letterari commisti ad altre fonti di varia cultura o di cronaca popolare; è un vero e proprio teatro da camera, che rimarrà la cifra distintiva del suo modo di fare spettacolo. Ed è l’inizio di una dirompente carriera: Il diavolo , 1964; Rita da Cascia , 1967 – con cui scandalizza: la rappresentazione viene sospesa a Milano per oltraggio alla religione e verrà riproposta molti anni dopo); La rappresentazione di Giovanni e Paolo , 1969; Carolina Invernizio , 1969; La vispa Teresa , 1970; L’uomo nero , 1971; Giallo , 1972. A testi più suoi, come i suddetti, alterna classici ( Il mondo d’acqua di A. Nicolajs, Il suggeritore nudo di F.T. Marinetti) e parodie di commedie celebri, come l’esilarante sua interpretazione, nel ruolo della protagonista, de La nemica di D. Niccodemi (1969). In questo periodo gli si affianca come fedele collaboratrice Ida Omboni, e, agli inizi degli anni ’70, per un breve periodo, si unisce a lui, la sorella Lucia, come coautrice e attrice ( Apocalisse , 1973; Femminilità , 1975). Questa personalissima strada di rivisitazione di testi letterari, montati in scena con siparietti comici da avanspettacolo trova un valido sostegno in divertenti colonne sonore: brani musicali e canzonette d’epoca da lui cantate in falsetto (altra valida collaboratrice per queste ricerche musicale è Jacqueline Perrotin). Altri spettacoli: Mezzacoda (1979), curioso itinerario di mezzo secolo di cultura kitsch attraverso i salotti buoni di Gozzano e altri luoghi; Paradosso (1980), proposto a Venezia, per il Carnevale della Ragione, uno spettacolo ispirato a Diderot. Negli anni ’90 il bricolage parodistico-letterario dei suoi spettacoli si accentua, e inizia la grande saga dei miti. Il coturno e la ciabatta (1990), tratto da Alberto Savinio e scritto da Ida Omboni, con le scene di Luzzati. Poi la divertente rilettura de L’asino d’oro di Apuleio (1996).

Nel 1997-98 da vita ai mitici Viaggi di Gulliver, da Swift, ancora con le scene di Luzzati, tenendo sempre alta la propria abilità di artigiano teatrale. Se scarse sono le sue esperienze cinematografiche, notevoli sono invece quelle televisive, da “Tutto da rifare pover’uomo” con Laura Betti (1960) a una ricordata “Canzonissima” (1961), dalle produzioni per ragazzi alla riduzione de “I tre moschettieri” (1976), dal programma “Tra i libri dei nonni” a “Viaggio a Goldonia” di Gregoretti (1982). Legato alla cultura grande e piccola dell’Italia fine secolo e di quella del Novecento tra le due guerre, la cultura cioè dei nonni e dei padri – e anche della madre che era maestra – arricchita da una raffinata educazione letteraria, soprattutto francese, P. esercita i suoi bersagli affabilmente ma puntualmente satirici contro la retorica e l’ipocrisia di una società ancora connotata sostanzialmente da mentalità piccolo-borghesi; ma lo fa a modo suo, coniugando alla satira di costume, la parodia e il funambolismo, la malinconia e il guizzo farsesco, il travestismo e il divertissement cabarettistico. Le generazioni cambiano, ma P. mantiene i suoi spettatori, affascinati dalla sua grazia; variando appena i materiali di partenza. Il che non è un limite, ma il segno di un’originalità e unicità di fare spettacolo abbastanza atipica in Italia.

Pozzi

Anticonformista ed esibizionista figlia di un’affermata famiglia borghese, Moana Pozzi prende giovanissima la via di Roma per tentare di imporsi come attrice cinematografica. Partecipa a film d’autore come Borotalco (1981) e Ginger e Fred (1986) ma è smaniosa di emergere e lascia in fretta Cinecittà per approdare da protagonista alla produzione erotica. Viene notata dal regista e talent-scout del settore pornografico Riccardo Schicchi, che ha già sotto contratto molte attrici come Ilona Staller, con il quale allaccia una breve relazione affettiva e professionale. Sotto la sua guida viene indirizzata e lanciata come pornodiva internazionale in esibizioni dal vivo, tournée, servizi fotografici per la stampa specializzata e pellicole hard-core. In totale è la star di una trentina di film riproposti spesso con montaggi e titoli differenti. Quando partecipa alla trasmissione televisiva Jeans (1987) è già una porno-star tanto famosa che la sua comparsa sul teleschermo è fonte di infinite controversie nonostante si limiti ad alcuni sketch di comicità assurda. In questa veste ironica e paradossale viene concepito per lei l’`angolo della vergogna’ nel programma di Antonio Ricci Matrjoska (1988), in cui compare completamente spogliata, ma lo scandalo annunciato ha proporzioni tali che la trasmissione viene bloccata prima di andare in onda. In toni più dimessi partecipa a Lupo Solitario (1988) dello stesso Ricci e a numerose serate del Maurizio Costanzo Show dove ha modo di conquistare l’affetto e la stima degli spettatori con interventi intelligenti e irriverenti, sempre spiritosi e ricchi di buon senso. Tra il 1990 e il 1992 compare sugli schermi televisivi anche nel ruolo di scanzonata conduttrice di programmi di telepromozioni per prodotti afrodisiaci, durante i quali ha modo di esibirsi come apprezzabile cantante. Nel 1992 segue l’esempio di Ilona Staller, all’epoca parlamentare del Partito Radicale, e tenta senza troppa fortuna la carriera politica candidandosi alla Camera per il Partito dell’Amore. I ricordi della sua vita sono fissati nell’autobiografia. Alla sua morte, causata da un’infezione contratta in Asia, lascia un’accesa contesa tra le altre porno-dive che si scatenano per ereditarne il titolo di personaggio `scandaloso’ più amato dagli italiani.