Fortunato

Valentina Fortunato debutta nel 1948 al Quirino di Roma come Olivia nella Dodicesima notte di Shakespeare, con la compagnia di F. Piccoli (poi divenuta Stabile di Bolzano); dal 1952, al Piccolo Teatro di Genova, recita Goldoni, Gor’kij, Mauriac ed è la Celestina di de Rojas. Quest’ultima interpretazione fa sì che l’anno successivo venga scritturata al Piccolo di Milano, dove diventerà primattrice; dopo La famiglia dell’antiquario , Piccoli borghesi e Il fuoco sulla terra , è Giacinta nella Trilogia della villeggiatura di Goldoni (1954), Varja nel Giardino dei ciliegi di Cechov e Martirio ne La casa di Bernarda Alba di García Lorca (entrambi del 1955), e viene diretta da Strehler in L’anima buona di Sezuan (1958). La dirigono inoltre O. Costa e V. Puecher. I primi successi televisivi arrivano con gli sceneggiati (non farà mai cinema e «senza rimpianto», nonostante l’invito di Pontecorvo per Kapò); partecipa a tournée all’estero (in Sudamerica con Benassi) e a grandi spettacoli all’aperto, tra cui Saul di Alfieri, Tartufo di Molière e Casa di bambola di Ibsen. Negli anni ’60, sposato l’attore S. Fantoni, è diretta da Ronconi e Visconti (tra i titoli: I lunatici , 1966; La monaca di Monza , 1967) e poi si unisce alla Compagnia degli Associati (con Fantoni, Garrani, Vannucchi, Sbragia), portando in scena Don Carlos e Strano interludio , con la regia di G. Sbragia. Gli anni ’80 vedono il ritorno al Piccolo Teatro nel Temporale di Strindberg con la regia di Strehler e in Spettri di Ibsen, in cui F. è diretta sia da Lavia sia da Branciaroli. Una recente tournée in Canada l’ha vista in grandi ruoli femminili. Attrice di grande intensità e riservatezza, ha fatto della timidezza e della pigrizia che la contraddistinguono (per sua stessa ammissione) motivo di orgoglio e insieme costante miglioramento della propria arte.

Feiffer

Famoso soprattutto per le sue graffianti vignette sul mal di vivere della middle class statunitense, diede alle scene alcuni dei pochi esempi di satira sociale degli anni della presidenza Nixon. Il più tipico fu il primo, Piccoli omicidi (Little Murders, 1967) dove un mondo dominato da varie forme di violenza veniva presentato in termini di commedia, spesso esilarante ma attraversata da brividi d’inquietudine. Non fu un successo, come non lo furono le successive Salute! (God Bless, 1968) e Il delitto della Casa Bianca (The White House Murder Case, 1970).

Forsythe

Considerato il più autentico erede di George Balanchine, William Forsythe è il coreografo formalista di fine millennio: impegnato in una minuziosa opera di decostruzione e ricostruzione della tecnica del balletto, ha davvero dimostrato che non sono i linguaggi del corpo – anche i più abusati e antichi, come appunto il balletto – a invecchiare, bensì il loro uso. Nelle sue opere più riuscite, come In the Middle, Somewhat Elevated (1987), Enemy in the Figure (1989) o Quintett (1993), la danza evoca paesaggi interiori o mentali, diviene atmosfera e racconto drammatico di puri corpi in movimento. E lo spazio scenico, in genere imbandito di pochi, studiati elementi è compartecipe suggestivo e teatrale di una coreografia totale che ha il suo punto di forza nel corpo, con un imput diametralmente opposto a quello del teatrodanza deflagrato e verbale di Pina Bausch. Al pari della coreografa di Wuppertal, anche l’americano F. è però un artista che ha messo radici nella vecchia Europa. Dopo aver terminato gli studi di danza alla Joffrey Ballet School e all’American Ballet Theatre School (1967-1973) ed essere entrato a far parte del Joffrey Ballet I e II (1970-73), accetta l’invito di John Cranko a Stoccarda e diviene ballerino della sua compagnia, esibendovisi dal 1973 all’ ’80.

Ma Cranko, che aveva scommesso su di lui come interprete, non fa in tempo ad avvedersi del suo talento coreografico. Muore tre anni prima del debutto di Urlicht , passo a due su musiche di Mahler, presentato nel 1976 dalla Noverre Society insieme alle opere di altri due allora solo promettenti coreografi, Jirí Kylián e John Neumeier. Seguono Daphne, Bach Violin Concerto in A Minor e Flore Subsimplici , su musica di H&aulm;ndel, che gli valgono la nomina, nel ’77, a coreografo indipendente del Ballett Stuttgart. L’anno successivo crea due balletti su musica di Ligeti ( From the Most Distant Time ) e Penderecki ( Dream of Galilei ) , ma debutta anche in Italia, al Festival di Montepulciano, in Folia , su musica di Hans Werner Henze. Per lo stesso festival toscano allestirà, nel 1980, Tis Pity She’s a Whore (musica Thomas Jahn), un balletto che lascia una profonda impressione negli spettatori ma non anticipa il suo ritorno in Italia prima del 1984, data d’incontro con la compagnia Aterballetto per la quale rimonta l’effervescente e agrodolce Love Songs (1979): una serie di scottanti passi a due su canzoni di successo in cui l’amore di coppia si tramuta in una ossessiva rivalsa tra i sessi. Se il 1984 è l’anno di svolta nella sua carriera di free-lance – accetta infatti l’incarico di direttore del Balletto di Francoforte – non meno importanti sono le sue precedenti stagioni teatrali che da Stoccarda (Time Cycle , 1979; Whisper Moon e Tancredi and Clorinda, 1981) lo sbalzano a Berlino (Die Nacht aus Blei , 1981), Parigi (France/Dance, del 1983, è uno scorcio balanchiniano farcito di latrati di cani e spezzato da improvvise e inattese calate del sipario di ferro) e Vienna, dove ancora suscita scandali e polemiche per aver allestito un film (Berg Ab), nei sotterranei della Wiener Staatsopern anzichè un balletto dal vivo su musiche di Alban Berg. Artifact (1984) è il primo allestimento a Francoforte; come G&aulm;nge 1 – ein Stück über Ballett , nato per il Nederland Dans Theater e il successivo G&aulm;nge (1983) è un’opera di genere `semiotico’, in cui viene annunciata la necessità di trovare un nuovo ordine coreutico e un nuovo respiro per la danza classica, che il coreografo intende liberare da costrizioni e sovrastrutture letterarie e psicologiche. Proprio in Artifact (riallestito dal Ballett Frankfurt al Théâtre du Chatelet di Parigi nel ’95) egli inaugura una gioiosa `matematica spaziale’ composta di fughe, variazioni a canone e contrappunto. Sono gli stessi principi musicali indagati da George Balanchine, di cui si avvale in seguito, con rinnovato estro e inesauribile fantasia, in altre opere di chiaro impianto ballettistico come Behind the China Dogs , creato per il New York City Ballet nel 1988, Hermann Schmerman (1994) o The Vertiginous Thrill of Exactitude (1996).

Al ‘manifesto’ Artifact , si affiancano però, verso la fine degli anni Ottanta, creazioni eccitate: coreografie-scheggia dall’atmosfera pregnante di misteri come In the Middle, Somewhat Elevated (1987) o Enemy in the Figure , sul quale incombe una suspence da thriller folle e urbano, senza che nessuna delle sue componenti si conceda a alcun appiglio narrativo. Da queste opere brevi e intense nascono ulteriori spettacoli di serata, come l’affresco postmoderno in cinque parti Impressing the Czar del 1988 (la sua seconda parte è appunto In the Middle, Somewhat Elevated ) o Limb’s Theorem (1990), severa estensione in bianco e nero di Enemy in the Figure in cui si inaugura una liaison intellettuale con l’architetto Daniel Libeskind. L’unità del corpo danzante, assunto di partenza del balletto storico, la sua linearità ordinata e razionale, si dimostrano ingannevoli e illusorie: F. ha ereditato dal teorico della danza libera Rudolf von Laban l’idea di movimento come `archiettura vivente’ ma ha reso esplosivo il modello della cosiddetta cinesfera labaniana, assicurandoci che la fonte del movimento non è più rintracciabile in un unico punto del corpo, ma nelle sue zone più insospettabili: il tallone, il gomito, un orecchio, l’alluce del piede. Nel Cd Rom Improvisation Technologies -Self Meant to Govern (1994) divulga le tecniche di analisi del movimento adottate dai suoi ballerini e mostra una propensione teorica e didattica, non comune ai coreografi della sua generazione. L’allestimento di spettacoli di impegno per quanto concerne l’apparato scenico e tecnologico ( LDC , 1985; The Loss of Small Detail I e II , 1987-1991; Slingerland I,II, III e IV, 1989- 90) conferma la vicinanza a demiurghi della scena americana come Robert Wilson, ma la sua centralità operativa (Forsythe firma spesso luci, scene e persino la musica dei suoi balletti) è sostenuta da una fedele cerchia di collaboratori. Al musicista Thom Willems, che dal 1985 ha firmato buona parte dei suoi balletti, si affiancano, con crescente insistenza, gli interpreti della sua compagnia, diventati assistenti, costumisti ma soprattutto creatori (come Dana Caspersen, Anthony Rizzi e Jacopo Godani) e spesso coautori delle sue coreografie. È il caso di Sleeper Guts , opera collettiva del 1996, in cui riaffiorano interrogativi sul destino dell’arte nell’era tecnologica o dell’intenso Hyphotethical Stream 2 (1997), elaborato quasi scientificamente a partire dai gruppi e dalle figure di un quadro del Tiepolo. In queste ed altre coreografie della fine degli anni Novanta emerge una danza assai più morbida e complessa rispetto a quello dello stile puntuto, pericoloso e `arrogante’ degli anni Ottanta. È un segno disossato, quasi cadente per quanto i ballerini sono attirati al suolo, ben in sintonia con la crisi del postmoderno che attraversa tutte le arti, e che insinua nella `coreografia del corpo-architettura vivente’ di William Forsythe l’idea di una sopraggiunta spossatezza esistenziale da fine millennio.

Il viaggio agli Inferi di Eidos: Telos (1995), in cui si assiste allo sfogo furente e fiammeggiante di una Persefone a seno nudo, ma anche al dramma dei ballerini che vivono con apatia il rapporto con la loro ‘armatura corporea’, la struggente malinconia del precedente Quintett sul canto di un clochard raccolto nelle vie di Londra (Jesus Blood Never Failed Me Yet , partitura di Gavin Bryars) sono le tappe più eclatanti di un periodo compositivo che si arricchisce con la creazione di installazioni e videocoreografie ( Solo , 1995; From a classical position , 1997) e allestimenti per compagnie diverse da quella di Francoforte. Al Teatro alla Scala, che acquisisce nel suo repertorio In the Middle, Somewhat Elevated e Approximate Sonata (1996), Forsythe crea Quartett (1998) per Alessandra Ferri (ma la sua étoile d’elezione resta la francese Sylvie Guillem, adatta al suo stile e alle difficoltà tecniche della sua danza comunque neoclassica). Al debutto la coreografia è ancora un bozzetto, d’altra parte l’atto della creazione per questo coreografo – sempre richiesto dalle maggiori compagnie di balletto internazionali, prima tra tutte quella dell’Opéra di Parigi – non si esaurisce certo nell’andata in scena di uno spettacolo, ma si identifica con il processo di lavoro, in una sperimentazione continua sul movimento che tiene conto della rivoluzione copernicana introdotta da Merce Cunningham. Con Op.31 (musica di Schönberg, Variazioni per Orchestra op.31) del ’98 il coreografo che da sovrintendente del Ballett Frankfurt (incarico assunto già nel 1989) ha acquisito anche la gestione artistica del Theater am Turm di Francoforte, torna ad avvicinarsi ai grandi compositori contemporanei (tra i quali predilige Luciano Berio e conferma che la coreografia non si esaurisce affatto con l’invenzione di singoli passi; è piuttosto l’organizzazione di strutture e forme `significanti’ nello spazio.

Fabrizi

Dopo averla notata nella rivista Campione senza valore (1956) per la voce gradevole e intonata, ma soprattutto per le sue rilevanti doti fisiche, Garinei e Giovannini le offrono un primo ruolo di spicco in Carlo non farlo (1956) e la scritturano ancora per il successivo L’adorabile Giulio (1957). Nel frattempo partecipa come candidata al concorso di miss Universo 1957. È la soubrette dello spettacolo musicale Una storia in blue-jeans (1959), prima di diventare la primadonna della compagnia di Macario. Nel 1964 si sposa con Tata Giacobetti, elemento di punta e autore del Quartetto Cetra. Con il Quartetto e con il marito interpreta gli episodi Il Dottor Jekyll e Mr. Hyde e Storia di Rossella O’Hara della Biblioteca di Studio Uno (1964) e il musical televisivo Non cantare, spara (1968) che le apre definitivamente le porte del piccolo schermo. Vanta una carriera cinematografica di una trentina di film (in molti è la protagonista) tra i quali Adua e le compagne (1960) e Finché dura la tempesta (1963). Ha all’attivo alcune incisioni discografiche come cantante per la Emi. In memoria del marito, morto nel 1988, cura per la radio insieme con la figlia Giorgia Giacobetti Chi erano i Cetra (1992), una documentata ricostruzione della storia del celebre quartetto.

Fava

Giovanissimo Giuseppe Fava si trasferì a Catania, che divenne la sua città di adozione, dove intraprese l’attività di giornalista nel quotidiano “Espresso sera”, con la carica di capocronista e di redattore capo, che mantenne fino al 1980. A questo periodo risalgono le prime inchieste sulla Sicilia e sui siciliani che avrebbe successivamente raccolto in due volumi: Processo alla Sicilia e I siciliani. Nel 1966, col premio Vallecorsi, inizia la sua attività di autore teatrale: scrisse Cronaca di un uomo (1966) e La violenza (premio Idi, 1970), la cui struttura è quella di un processo per delitti e fatti di mafia. I personaggi somigliano molto a quelli che ritroviamo nelle cronache giudiziarie, ovvero imputati, testimoni, vittime reticenti nei grandi e piccoli processi alla criminalità organizzata. F. predilesse, in alcune sue commedie, la formula del `teatro documento’, mentre in altre quella della dimensione onirica. Altri suoi testi sono: Il proboviro (1972); Bello, bellissimo (1974), Opera buffa (1979), Sinfonia d’amore (1980), Foemina ridens (1982), L’ultima violenza (1983). Quest’ultima divenne il suo testamento spirituale, dato che un anno dopo, davanti al Teatro Verga di Catania, F. fu ucciso in un agguato mafioso. Emblematicamente l’ Ultima violenza è il documento di ciò che può accadere in una società stravolta dalla violenza mafiosa, col suo palazzo di giustizia stretto in un assedio mortale. Il suo linguaggio attinge a una forma di `dialettalità’ che non è dialetto ed è espressione di una originale partecipazione degli esclusi alle vicende della storia.

Flach

Dopo aver studiato alla Scuola d’Arte drammatica di Parigi, nel 1948 viene chiamata da Etienne Decroux, di cui diviene allieva e interprete dei suoi spettacoli. Nel 1952 segue Decroux a Milano in qualità di sua assistente alla creazione della Scuola di mimo del Piccolo Teatro. Come coreografa dei movimenti mimici ha partecipato a molti spettacoli di Strehler, tra gli altri: L’anima buona di Sezuan e Vita di Galilei di Brecht, I giganti della montagna di Pirandello e Faust, frammenti 1 e 2 da Goethe. Sempre al Piccolo ha lavorato nel Marat-Sade di Weiss. Importante è il sodalizio con Angelo Corti, divenuto suo marito, con il quale ha realizzato Recital di mimo e Il mimo e noi per il quale, nel 1963, hanno ricevuto il Premio Internazionale Hondas.

Frassica

Nino Frassica raggiunge la popolarità con Renzo Arbore e la fortunata trasmissione televisiva Quelli della notte (1985) e poi con Indietro tutta (1986-87). Inventore di un linguaggio strampalato che sovverte ogni minima regola grammaticale e deforma le parole creando un linguaggio parallelo pubblica Sani Gesualdi , Terzesimo Libro Sani Gesualdi , Il manovale del bravo presentatore , e Come diventare maghi in 15 minuti . Sporadiche le apparizioni in teatro ( L’aria del continente 1987 diretto da Calenda e Le 23.20 per la regia di Quartucci a Taormina Arte), mentre sul fronte cinematografico si ricorda un adattamento di L’aria del continente (1993).

Forti

Simona Forti inizia tardivamente gli studi di danza con Ann Halprin, Robert Dunn e, per breve tempo, con Martha Graham e Cunningham. Si esibisce in luoghi alternativi insieme al marito Robert Morris, ballerino e pittore, proponendo performance e improvvisazioni strutturate con l’intento di esplorare ogni genere di movimento organico naturale: umano, animale, vegetale. Tra i suoi lavori più significativi: See-Saw (1960), duo su un cavalletto da falegname; Rollers , con i danzatori dentro scatole montate su ruote e con la libera partecipazione del pubblico; Cloth (1968), `opera underground’; Sleepwalkers , ispirato ai fenicotteri; Big room (1975), con l’impiego di tubi di plastica rotanti e sibilanti; Planet , per quaranta persone intente a muoversi come animali allo zoo. Esponente di primo piano del movimento postmoderno, attraverso le sue danze sviluppa la teoria dell’arte come gioco di astrazione, a partire da elementi semplici e quotidiani.

Fokine

Studiò presso l’Accademia imperiale di Pietroburgo con diploma nel 1898, divenendo danzatore principale (solista) nel 1904 con debutto di coreografo nel 1905 e con uno spettacolo di allievi (il balletto Aci e Galatea ). Nel 1907 creava per Anna Pavlova un assolo che doveva diventare famoso: La morte del cigno , ripreso poi nel corso del secolo da molte altre grandi stelle con immenso favore. La sua prima grande coreografia, per il complesso dei Ballets Russes, è stata Le pavillon d’Armide (musica di Cerepnin, 1909). Nella stessa occasione del debutto a Parigi della compagnia di Diaghilev, F. metteva in scena Les Sylphides (musica di Chopin), nuova versione di Chopiniana . Ballerino dotato di ottima tecnica, il contributo creativo maggiore lo ha dato nella coreografia, addirittura come riformatore alla stregua di innovatore della qualità e dell’importanza di un Noverre o di un Viganò. Sono noti i cinque punti dettati al “Times” di Londra nel 1914, nei quali si precisavano le regole da adottare per la realizzazione di una composizione coreografica secondo canoni riguardanti una completa armonia teatrale, stilistica e registica, all’interno della costruzione di un balletto, oltre all’imprescindibile integrazione – per quei tempi – tra il libretto, la musica e la scenografia. Proprio con Diaghilev, e nella sua compagnia, riuscì a realizzare le sue idee innovatrici. Ottenevano molto successo con i succitati balletti: Le danze polovesiane (dall’opera Il principe Igor di Borodine), Carnaval , L’uccello di fuoco , Le spectre de la rose , Petruška , Daphinis et Chloé , Il gallo d’oro , che offrivano al grande Nijinskij l’estro per indimenticabili interpretazioni. Interrompeva la collaborazione con Diaghilev, quindi con i Ballets Russes, proprio quando Diaghilev manifestò l’intento di affidare a Nijinskij il compito della coreografia. F. si faceva ballerino free-lance, tranne nel periodo (1936) in cui fu coreografo dei Ballets Russes di Monte-Carlo di René Blum e ospite della Scala, con coreografie per Samson et Dalila di Saint-Saëns e L’amore delle tre melarance di Prokof’ev. Orientava in seguito i suoi viaggi e i suoi interessi verso gli Usa per stabilirsi poi definitivamente a New York, dove creava le sue ultime opere: Barbablù (musica di Offenbach-Dorati, 1941) e Il soldato russo (musica di Prokof’ev, 1942). La sua opera comprende sessanta titoli, tra i quali sono conosciuti anche quelli del periodo con i Ballets Russes di Monte-Carlo, che portò al Maggio musicale fiorentino nel 1938: Don Juan di Gluck e L’épreuve d’amour ; ma tutta la forza della sua eccezionale creatività, in relazione anche al tempo in cui la esplicò, sta nella prima parte della sua carriera, quando lavorò per Diaghilev e diede i lavori-cardine della sua opera. Un elenco completo dei suoi balletti si trova in “Les saisons de la danse” del febbraio 1973.

Farber

Studia con Cunningham, Craske e Corvino. Dal 1952 danza con Cunningham, di cui è interprete prediletta, e poi con Taylor e Katherine Litz. Direttrice del Centre national de danse contemporaine di Angers (1981) e del Sarah Lawrence College di Bronxville (1988), il suo ruolo di docente di tecnica Cunningham è stato fondamentale nella formazione di molti danzatori e coreografi della `nouvelle danse’ francese.

Forte

Dieter Forte è stato reso famoso dal dramma-documento M. L. & T. M. ovvero l’introduzione della contabilità (Martin Luther & Thomas Münzer oder Die Einführung der Buchhaltung, 1970), in cui, in una cornice storica molto precisa, si confrontano quattro giovani: Lutero, Münzer, Carlostadio e Melantone. Questi riformatori non solo religiosi ma anche politici vengono messi in relazione con il banchiere Fugger, a rappresentare il capitalismo nascente che si apprestava ad asservire la Riforma. Altri drammi analoghi sono Jean Henry Dunant ovvero l’introduzione della civiltà (J.H.D. oder Die Einführung der Zivilization, 1978 ) , e La morte di Kaspar Hausers (Kaspar Hausers Tod, 1979 ) , Il labirinto dei sogni ovvero come si separa la testa dal corpo (Das Labyrint der Traume oder Wie man den Kopf vom Körper trennt, 1983), mette a confronto sulla scena un pluriomicida che è stato decapitato e Adolf Hitler.

Fonteyn

Da ragazzina ha studiato a Shanghai con Goncharov, poi con Vera Volkova; a Londra è stata allieva della scuola del Sadler’s Wells (ora Royal Ballet) ed è entrata nella compagnia nel 1934. Nello stesso anno ha creato un ruolo importante nel balletto The Haunted Ballroom di Ninette De Valois. Dopo la partenza della Markova nel 1935 ha rilevato molti suoi ruoli e lavorato soprattutto con Frederick Ashton, creando nel 1935 il ruolo della Fidanzata nella sua versione del Baiser de la fée . Inizialmente irritato dall’immaturità di F. rispetto alla Markova, Ashton ne farà poi la sua `musa’. Il primo ruolo creato per lei (e che F. ha continuato a interpretare per molti anni) è stato quello della Donna vestita per il ballo in Apparitions del 1936. Accanto alle creazioni, F. ha danzato per la prima volta, nel 1937, i ruoli di Giselle e di Odette-Odile. Tra le creazioni ashtoniane più importanti in quegli anni, è d’obbligo ricordare la Giovane Donna in Horoscope (1938) e la Figlia della luce in Dante Sonata (1940), danzato a piedi nudi. Nel 1942 ha creato il ruolo di Ofelia nell’ Amleto di Helpmann, a quell’epoca suo partner abituale. Dopo il trasferimento del Sadler’s Wells Ballet al Covent Garden, ha danzato con Michael Somes in Symphonic Variations di Ashton, per tre coppie. L’anno seguente ha danzato con Lèonide Massine nel Il cappello a tre punte e ha creato nel 1948 il ruolo centrale in un altro balletto importante di Ashton, Scenes de ballet . A Parigi ha creato il ruolo della donna-gatta Agathe in Demoiselles de la nuit di Roland Petit, esperienza che l’ha segnata notevolmente. Pur non potendo creare il ruolo della Cenerentola nella Cinderella di Ashton – perché infortunata – l’ha interpretato più tardi con grande successo. Nel 1951 ha creato, sempre per Ashton, uno dei suoi ruoli più memorabili, quello di Chloé nel Daphinis et Chloé , sempre accanto a Somes. L’ultimo grande ruolo creato per lei da Ashton è stato quello di Ondine nel balletto omonimo in tre atti: come il `suo’ coreografo, F. amava molto l’acqua. Alla fine del 1961 la su vita è stata cambiata dall’arrivo a Londra dell’allora giovanissimo Nureyev. La prima Giselle realizzata nel 1963 col ballerino sovietico al Covent Garden ha fatto storia. Ringiovanita dalla presenza del nuovo partner, F. ha interpretato con lui molti ruoli per oltre dieci anni, in patria e all’estero. Costretta a continuare a lavorare per pagare le cure del marito paralitico, è morta in condizioni di disagio a Panama. Di linea perfetta, dotata di un equilibrio e di una musicalità eccezionale nonché di grande lirismo ed espressività, è ricordata in particolare per l’Aurora dolce e radiosa nella La bella addormentata e in molti ruoli ashtoniani.

Fonda

Sulle scene dal 1925, Henry Fonda s’impose a Broadway in Il contadino prende moglie (The Farmer Takes a Wife, 1934) di Elser e Connelly, prima di dedicarsi al cinema con risultati di grande rilievo. Il personaggio tipico che incarnò sullo schermo, l’uomo forte e probo che sa affrontare con lucidità le sofferenze e i pericoli, era riconoscibile anche nelle commedie con le quali tornò occasionalmente al teatro, facendosi applaudire, fra l’altro, in Mister Roberts (1948) di Heggen e Logan, nell’ Ammutinamento del Caine (1954) di H. Wouk, in Due sull’altalena (1958) di W. Gibson e in Generation (1965) di W. Goodhart.

Ferrero

Diplomatosi in regia all’Accademia d’arte drammatica di Roma (con La guerra di Troia non si farà di Giraudoux, 1950), Mario Ferrero è assistente di O. Costa dal 1948 al ’53. Esordisce con l’allestimento di Cocktail party di Eliot (1950; prima nazionale all’Odeon di Milano, con Renzo Ricci), per poi dirigere numerosi spettacoli. Molto attento alla drammaturgia, lavora su Anouilh (Allodola , 1953; Becket e il suo re, 1960), Shakespeare (Il mercante di Venezia con M. Benassi, 1955; Giulio Cesare, 1960; Le allegre comari di Windsor, 1968), Eliot (Assassinio nella cattedrale, 1955; Riunione di famiglia , 1964), Cechov, Pirandello, Goldoni e autori contemporanei ( Le lacrime amare di Petra von Kant di Fassbinder, 1979; Porta sbagliata e Paese di mare di N. Ginzburg, 1991-92). Dal 1979 torna all’Accademia come insegnante di recitazione; ha diretto diversi saggi, tra cui Venti personaggi in cerca d’autore , da Pirandello (1986), Perché all’amore non si risponde con l’amore , da Cechov (1993), Shakespeare delle ambiguità (1994). Intensa la sua attività di regista per la radio e la televisione, dove ha firmato alcuni adattamenti di classici: da Il matrimonio di Gogol’ (1954) e Il costruttore Solness di Ibsen (1960) agli sceneggiati La vita di Giuseppe Verdi (1963) e Le sorelle Materassi (1972). Tra le regie liriche si segnalano quelle realizzate per il Maggio musicale fiorentino ( Orlando di H&aulm;ndel, 1959; Festa monteverdiana , 1967; Boccaccio di Suppé, 1970)

Fo

Jacopo Fo inizia giovanissimo l’attività di disegnatore di fumetti (con lo pseudonimo di Giovanni Karen) di cui va innanzitutto ricordata l’edizione illustrata del ’75 del Poer nano del padre Dario con il quale da tempo collabora alla stesura dei testi. Nel ’76 pubblica il suo primo libro-saggio Testimoni di stato , cui seguirà una lunghissima lista di altri libri-saggio scritti con intento di controinformazione ( La vera storia del mondo ) e manuali comici: Come fare il comunismo senza farsi male , Come diventare dio in dieci mosse , Parlare l’inglese come toro seduto. Lo zen e l’arte di scopare gli offrirà lo spunto per iniziare nell’86 l’attività di conferenziere. Nel ’94 firma con la madre Franca Rame il testo di Sesso? Grazie, tanto per gradir , uno spettacolo che l’attrice porta in tournée con successo per alcune stagioni. In questi anni inizia anche la collaborazione in qualità di co-autore con Paolo Rossi ( Rabelais , 1996). Nel ’96 è attore, autore e interprete di un monologo teatrale tratto sempre da Lo zen e l’arte di scopare (ripreso e mandato in onda anche da Palcoscenico su Raidue). Nell’81 ha fondato vicino Gubbio l’Università di Alcatraz, un’associazione che organizza corsi e laboratori in svariati campi. Ricordiamo inoltre il suo libro Dio c’è e vi saluta tutti.

Farani

La sua passione per il costume e la sua storia ha origine nella fanciullezza, come aiuto alla realizzazione di abiti per burattini per una nota famiglia di burattinai, i `Preti di Fidenza’. Negli anni ’50 si trasferì a Roma ed entrò come dipendente nella nota sartoria Annamode, dove si realizzavano costumi per lo spettacolo e abiti d’alta moda. Nel 1962 F. aprì una propria sartoria a Roma. All’epoca si sentiva l’esigenza di una bottega intesa come luogo di sperimentazione (di forme e materiali). Una sartoria non troppo legata agli schemi classici del teatro, ma alla ricerca di innovazioni. Si realizzarono in questo laboratorio i primi spettacoli di varietà televisivi oggi storici come Studio Uno e Canzonissima , con bozzetti di Coltellacci e Folco. Uno dei primi clienti di F. fu Danilo Donati, per il quale il costume non si ferma al bozzetto ma è in continua evoluzione (famosi i costumi qui realizzati per i film di Pasolini). Proprio in questo laboratorio si sperimentano tecniche e nuovi metodi di tintura delle stoffe, si creano tessuti, con stoffe sovrapposte e intrecciate con speciali telai, si inventano macchine per la plisettatura, si realizzano costumi, per appagare la fantasia e l’estro artistico dei numerosissimi costumisti (S. Calì, L. Luzzati, O. Nicoletti ecc.) con cui la sartoria F. continua a collaborare. Dal 1997 la tradizione della sartoria continua ad opera di Giunti Piccolo.

funambolismo

Il termine funambolismo deriva dal latino ‘funis ambulare’, cioè camminare sulle funi. Nel ‘900 è in realtà sottostimata rispetto ai due secoli precedenti che avevano visto artisti del calibro di Madame Saqui e Blondin suscitare un vasto interesse. La prima si esibiva nel celebre Theatre de Funamboles e il secondo effettuò memorabili traversate a grande altezza (fra le quali quella delle cascate Niagara). Nel nostro secolo il f. viene praticato comunque in circhi, teatri di varietà e manifestazioni all’aperto ed esprime tre principali tipologie: il `filferrista’, specializzato in evoluzioni su funi assai tese e sistemate a un’altezza dai due ai cinque metri; il funambolo a grande altezza, dedito a pericolose figure composte da più persone e a grandi traversate all’aperto; l’artista al filo mollo, che esegue evoluzioni su di una fune non del tutto tesa ma oscillante a un’altezza di solito inferiore ai tre metri, spesso in chiave comica. Nel `filferrismo’ d’inizio secolo si distinguono artisti poliedrici come i Reverhos, capaci di eseguire sulla fune esercizi di verticalismo e giocoleria con memorabile grazia, ma è soprattutto l’australiano Con Colleano negli anni ’20 e ’30 ad apportare alla disciplina nuove tecniche e nuovo approccio creativo con uno stile basato sull’eleganza e la velocità. Nonostante il buon livello raggiunto da alcuni artisti degli anni ’90 – tra i quali Joseph Bouglione – dopo Colleano la disciplina non ha conosciuto notevoli variazioni, salvo per la versione femminile della ballerina sul filo, tutta grazia ed eleganza, anziché ritmo e temperamento. Interessante lo sviluppo avuto invece dal funambolismo a grande altezza, passato dalle spericolate piramidi delle grandi troupe degli anni ’50, soprattutto i Wallenda, al genere misto delle troupe sudamericane degli anni ’90, come i Quiros, le quali, ad altezze considerevoli, eseguono anche passaggi normalmente riservati ai `filferristi’. Rimarchevole infine la creatività delle grandi troupe russe che, nel rispetto della tradizione estetica del loro Paese, presentano vere e proprie pantomime aeree a volte anche troppo sofisticate (Troupe Abakarowa, Aishada e soprattutto Valjanski con La leggenda di Prometeo). La specialità del filo mollo resta frequentata soprattutto da giocolieri e da artisti orientali, i quali riescono ad apportare notevoli migliorie sul piano del virtuosismo tecnico. Nonostante l’età d’oro del funambolismo sia da collocare fra Settecento e Ottocento, anche nel nostro secolo intellettuali e uomini di cultura vi si appassionano. Fra questi Jean Genet, autore fra l’altro di Le funambule, dedicato a un suo amante algerino votato a tale disciplina.

Fenoglio

Dopo essersi diplomato all’Accademia nazionale d’arte drammatica, Edmo Fenoglio esordisce nel 1955 con la regia di Morti senza tomba di Sartre al Teatro Stabile di Genova; la sua attività registica continua con la messa in scena di testi di Sofocle, Buzzati, Terron, Pinter, Miller e con la realizzazione per lo Stabile di Catania de Il villaggio di Stepancikovo e i suoi abitanti da Dostoevskij (1964) e Zio Vania – di Cechov (1965). La sua regia più brillante per la capacità di stilizzazione e la lieve ironia riguarda il testo di I. Svevo La rigenerazione (1973). A teatro la sua attività continua con spettacoli come Un nemico del popolo di H. Ibsen e di Morte di un commesso viaggiatore di A. Miller. Negli ultimi anni sono da ricordare le regie di L’avventura di Maria di Italo Svevo (1979) presentata a Roma al Teatro Ghione; L’uomo che incontrò se stesso (1991) con Domenico Modugno alla sala Unione di Roma; e Molto rumore per nulla (1991) presentato a Roma, sempre al Teatro Ghione.

Fortuny

Figlio del noto pittore omonimo, si dedicò in particolare alla scenotecnica e illuminotecnica teatrale. Famosa è la creazione della cupola Fortuny elemento innovativo nella messinscena (ideata per dare l’illusione ottica della volta celeste). A Parigi nel 1902 venne costruito il primo modello allestita poi nel 1906 al Théâtre de l’Avenue Bosquet. In seguito venne perfezionata mediante un sistema pieghevole pneumatico (Berlino, Krolloper 1907). Alla Scala di Milano la cupola fu introdotta nel 1922. F. ideò una cupola smontabile per gli spettacoli del Carro di Tespi. Di F. si ricordano i progetti per edifici teatrali, sale da concerto ed un edificio teatrale all’aperto simile all’Olimpico di Vicenza. Durante la sua attività si dedicò alla decorazione di stoffe, applicando inediti sistemi di tintura di stamperia e di plissettatura di tessuti, aprendo a Venezia nel 1919 una fabbrica. Della sua attività di scenografo ricordiamo le scene per La vida breve di Falla (Scala 1934) e I maestri cantori di Wagner (Roma, Teatro dell’Opera 1931), concepiti con una concezione scenografica verista e una suggestiva ricerca luministica.

Fabbri

Diplomatasi alla Scuola di recitazione di Firenze, inizia la sua attività al Teatro universitario del capoluogo toscano. Fa le sue prime prove importanti allo Stabile di Trieste. Negli anni ’60, entra nella Compagnia degli Associati, con la quale interpreta I lunatici di Middleton (1965) rivelando un sobrio talento drammatico. Interprete di forte presenza scenica, lega il suo nome a quello dei maggiori registi italiani del dopoguerra: Giorgio Strehler, Aldo Trionfo e Luca Ronconi. Con il primo recita nei I giganti della montagna di Pirandello (1966) e nella Cantata del fantoccio lusitano di P. Weiss (1968), dove appare stilisticamente impeccabile. Diretta da Trionfo interpreta Dialoghi con Leucò da C. Pavese (1964), Vincenz e l’amica degli uomini importanti di R. Musil (1964) e Elettra di Sofocle (1974). Ma è con Ronconi che la Fabbri offre il più ampio arco d’impegno, cominciato con I lunatici e proseguito, in modo abbastanza sistematico, a partire dal 1973, con l’ Orestea di Eschilo, portata al festival d’Automne di Parigi, a Belgrado, alla Biennale di Venezia, al festival di Spoleto, con cui propone un modello interpretativo acusticamente nuovo. Ma la vera `rivoluzione’ arriva nel ’78 con Le baccanti di Euripide per il Teatro regionale toscano. L’attrice offre una prova superba, «riflettente dell’autore e dello spettatore», ossia attenta alle ragioni del testo e alle esigenze della spettacolarità. Altra grande interpretazione nel 1986 con Ignorabimus di A. Holtz, in cui interpreta con ingenuo candore un personaggio maschile, l’occultista Ludwig. Seguono I dialoghi delle Carmelitane di G. Bernanos, Le tre sorelle di Cechov, riceve nel 1990 il premio Ubu per l’interpretazione nell’ Uomo difficile di H. von Hofmannsthal. Ancora nel ’90 è fra gli interpreti di Gli ultimi giorni dell’umanità di K. Kraus. Intensa la sua attività di monologante, con cui prende forma il suo accanito e mutevole lavoro sulla parola. Da ricordare il recital Dall’opaco con testi di I. Calvino. Non secondaria, anche se ridotta, la sua attività cinematografica in Sacco e Vanzetti di G. Montaldo (1970), Quattro mosche di velluto grigio di D. Argento (1971), Diario di un maestro di V. De Seta (1972) e Milarepa di L. Cavani (1974).

Foreman

Dopo esperienze nel teatro tradizionale e nel movimento del New American Cinema, Richard Foreman fondò nel 1968 a New York l’Ontological-Hysteric Theatre che, nei suoi dieci anni di attività continuativa presentò una quarantina di spettacoli. Di ognuno egli scrisse il testo, o più esattamente il canovaccio, e fu quasi sempre il regista e lo scenografo. L’obiettivo che inizialmente si poneva era di “mettere un oggetto sulla scena e trovare differenti modi di guardarlo”. Gli attori, di solito non professionisti, erano addestrati a essere se stessi, non a interpretare dei personaggi, astraendosi però dalle proprie emozioni. Si servivano di dialoghi sconnessi, in parte registrati, e parlavano senza alcuna inflessione. L’accento era posto soprattutto sugli aspetti visivi e spaziali. In sale che potevano accogliere non più di una settantina di spettatori, Foreman, appollaiato su un alto sgabello, guidava gli attori come un direttore d’orchestra, interrompendone spesso l’azione per evitare qualsiasi tipo di concatenazione logica e di illusione teatrale. Gli oggetti, non realistici, potevano essere spostati a vista dai macchinisti o penzolare dal soffitto. Questo fin verso la metà degli anni Settanta, dopo che il successo di Total Recall (1970) aveva imposto il suo nome, accanto a quello di Wilson, come maestro di un teatro che rinunciava completamente all’intreccio e ai personaggi, e quindi a qualsiasi forma di comunicazione razionale, e dava importanza determinante all’eloquenza delle immagini, delle luci e dei suoni nell’intento di «portare la gente a un differente livello di consapevolezza». Nella fase successiva creò invece spettacoli più dinamici, generalmente imperniati su una figura femminile, Rhoda (impersonata da Kate Manheim), arrivando (in Le livre des splendeurs , realizzato a Parigi nel 1976) a tradurre in termini teatrali i processi mentali dell’autore durante la stesura del copione. Nel 1976 pubblicò una raccolta di Plays and Manifestoes e nel 1979 allestì al Teatro di Roma, con la Manheim e attori italiani, Luogo + Bersaglio . Da allora, oltre che con il proprio gruppo, F. lavorò anche in altre sedi, dove continuò a presentare testi propri e fu anche regista di opere di Molière, Büchner, Havel e Gertrude Stein. Nel 1991 assunse a New York la gestione della chiesa sconsacrata di San Marco che era già da tempo una delle più note sale teatrali di Off-Off Broadway.

Fiorentini

Inizia la sua carriera come autore e attore radiofonico. Nel 1954 debutta nella rivista di M. Marchesi e V. Metz Tutto fa Broadway . Nel 1965 reciterà ne La manfrina di Ghigo De Chiara sui sonetti del Belli diretto da Enriquez, avviando la sua attività teatrale di spettacoli legati alla cultura romana, in collaborazione con De Chiara. Tra i più significativi: Petrolini, biografia di un mito , Morto un papa… Ripropone nel cabaret la comicità di Petrolini con Gastone (1969) e nel 1980 fonda a Roma il Centro Studi Ettore Petrolini. Lavora con Mario Scaccia in un progetto di teatro in lingua. Nel 1989, interpreta con grande successo, sempre assieme a Scaccia, Rappaport di Herb Gardner, un testo dolceamaro sulla condizione della terza età, o come viene chiamata `età della saggezza’. Ha svolto anche attività cinematografica ( Teresa la ladra , Il monaco di Monza con Totò, La Tosca di L. Magni).

Farrell

Formata alla School of American Ballet, entra a far parte del New York City Ballet (1961-1969), interpretando subito ruoli principali in Movements for Piano and Orchestra (1963), Meditation (1964), Don Chisciotte (1965), Variations (1966), Jewels (1967), Metastaseis & Pithoprakta e Slaughter on Tenth Avenue (1968). Dopo il matrimonio con Paul Mejia, passa al Ballet du XXème siècle di Béjart, che crea ruoli principali per lei in Sonate (1970), Les fleurs du mal (1971), Nijinskij, clown de Dieu (1971), Ah, vous dirais-je Maman (1972), Golestan (1973), Farah (1973) e I trionfi . Rientrata al New York City Ballet (1975-1990), è protagonista di Piano Concerto in G di Robbins (1975) e Tzigane (1975), Union Jack (1976), Vienna Waltzes (1977), Davidsbündlert&aulm;nze (1980), Mozartiana (1981) di Balanchine. La sua bellezza e freschezza, la fine sensibilità musicale e la tecnica limpida, le sue linee allungate, l’energia e la velocità ne hanno fatto una stella amata e apprezzata sia negli Usa sia in Europa.

Feijóo

Ha studiato alla scuola del Ballet Nacional de Cuba entrando a far parte della relativa compagnia dove è divenuta successivamente prima ballerina. Si è imposta subito come straordinaria interprete di grandi ruoli classici come Giselle, Odette-Odile ( Il lago dei cigni ), Kitri ( Don Chisciotte ). Ha partecipato alle tournée mondiali della compagnia e ha riscosso un notevole successo di pubblico e di critica al Festival internazionale del Balletto di Cuba (1996) nel passo a due di Amore e psiche con Toni Candeloro e nella Cenerentola creata da Pedro Consegrua sull’insolita musica di J. Strauss. Nella stagione 1997-98 è étoile del Balletto dell’Opera di Zurigo diretto da Heinz Spoerli.

Ferilli

La sua prima apparizione nel cinema è in Caramelle da uno sconosciuto (1986), dopodiché compare in una trentina di film e in molte produzioni televisive. Qui interpreta, tra l’altro, alcuni episodi delle serie Valentina (1989) e Stelle in fiamme (1989). Diventa presto una beniamina del pubblico televisivo. Nel 1994 Pietro Garinei la fa esordire sulla scena al Sistina nella riedizione della commedia musicale Alleluja, brava gente al fianco di Massimo Ghini. Il successo è tale che diventa ben presto la star dei nuovi allestimenti di spettacoli famosi realizzati nel passato dalla coppia Garinei & Giovannini. In Un paio d’ali (1996) canta il celebre motivo “Domenica è sempre Domenica” di Kramer mentre in Rugantino (1998) le spetta intonare l’evergreeen di Trovajoli “Roma, nun fa’ la stupida stasera”.

Forzano

Laureato in legge, fu collaboratore de “La Stampa” e del “Corriere della Sera”. Raggiunse la notorietà con alcuni libretti d’opera, fra i quali quelli per Gianni Schicchi di Puccini e Lodoletta di Mascagni. Dopo aver pubblicato anche romanzi storici e popolari, si dedicò al teatro, scrivendo commedie borghesi ( Gli amanti sposi , 1924 e Il dono del mattino , 1925), a sfondo storico ( Il conte di Bréchard , 1924; Danton , 1929; Campo di maggio , 1930; Cesare , in collaborazione con Mussolini, 1937) e di esaltazione della nazione ( Racconti d’autunno, d’inverno e di primavera , 1937). Come regista va ricordata la sua messinscena de La figlia di Iorio di D’Annunzio, nel 1927 al Vittoriale. Nel 1929 fu l’ideatore dei Carri di Tespi di prosa.

Federici

Il sostrato del teatro di Mario Federici è fatto di impegno civile e morale, che contrasta con i temi leggeri della commedia brillante sua contemporanea. L’ambientazione delle sue commedie è quella della provincia e lo stile con cui sono composte è vicino al verismo, con tratti tipici dell’espressionismo. Federici nelle sue opere si occupa anche di emigrazione e degrado sociale. La pièce I parenti poveri (1931) è stata considerata una delle più significative anticipazioni del neorealismo. Tra gli altri titoli: Chilometri bianchi (1939), Marta la madre (1953), La ballata dei poveri gabbati (1962).

Foottit & Chocolat

Sono considerati i fondatori della tipologia del duo clownesco in cui uno maltratta l’altro attraverso sketch di tipo acrobatico o musicale. Di considerevole popolarità al principio del Novecento, negli anni ’10 F. & C. sono le vedette del Nouveau Cirque di Parigi e attorno alla coppia vengono costruiti elaborati spettacoli a tema. Alcuni eredi F. lavorano ancora in vari circhi. A F. & C. è dedicato un episodio del film I clowns di Fellini.

Frigerio

Ezio Frigerio studia architettura al Politecnico di Milano e inizia la collaborazione con il Piccolo Teatro nel 1955 come costumista per alcuni spettacoli di G. Strehler, tra cui La casa di Bernarda Alba di F. García Lorca e L’Opera da tre soldi di Brecht (1956). Dopo un breve periodo in cui lavora nel cinema, diviene dal 1956 collaboratore stabile di G. Strehler realizzando le scene di moltissimi spettacoli memorabili. Ne sono un esempio I giganti della montagna (1966), Santa Giovanna dei macelli di Brecht (1970), Re Lear (1972), il Temporale di Strindberg (scene 1980), La grande magia di E. De Filippo (scene 1985), Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni (scene sia nel 1973 che nel 1987), tutti allestiti al Piccolo Teatro; per il Teatro d’Europa cura le scene dell’ Illusion Comique di Corneille (Parigi, Tèatre Odéon, 1984). Nelle sue realizzazioni Frigerio propone spazi articolati con grande genialità teatrale che si sviluppano (come nel Temporale ) su vari piani, usando nel contempo materiali nuovi come la plastica specchiantetrasparente e il perspex, raggiungendo inediti contrasti drammatici. Nel teatro di prosa svolge la sua intensa attività partecipando a produzioni di grande rilievo con i registi W. Pagliaro, V. Puecher, N. Espert per La casa di Bernarda Alba (Londra 1987), Planchon per L’avaro di Molière (Parigi 1988), M. Sciaccaluga per I Fisici di Dürrenmatt (Teatro di Genova, 1990). Particolarmente importanti sono le sue creazioni per il teatro d’opera per il quale collabora con istituzioni e registi di fama internazionale, tra cui ancora una volta G. Strehler per Simon Boccanegra (1975) e Falstaff (1980) di Verdi, Lohengrin di Wagner (1981), dove vi è una visione geometrica dello spazio scenico gestito attraverso imponenti colonne che danno forza e spinta verticale all’immagine visiva, Don Giovanni (1987) e, sempre alla Scala, un magico Nozze di Figaro (1981) di Mozart. Qui ricostruisce l’idea di un mondo settecentesco – di un teatrino – dove la luce che penetra dalle grandi finestre disegna e delimita uno spazio ovattato e suggerisce le atmosfere soffici dell’azione.

I materiali scenici lievemente patinati con colori pastello, danno insieme ai costumi la sensazione di una società in liquidazione. Inoltre con L. Cavani all’Opera di Parigi cura la messinscena di Medea di Cherubini (1986), e al Teatro alla Scala di Milano per L. Ronconi Ernani di Verdi (1982), con N. Espert Elektra di Strauss (Teatro de La Monnaie Bruxelles, 1987). Nel campo ballettistico collabora con R. Petit, B. Menegatti, Grigorovic e con R. Nureyev porta in scena Romeo e Giulietta di Prokof’ev (Teatro alla Scala Milano, 1979). Con Così fan tutte di Mozart, ultimo spettacolo firmato da G. Strehler, Frigerio termina una lunga e fertile collaborazione che ha dato una importante impronta alla sua carriera (Nuovo Piccolo Teatro, 1998). Scenografo eclettico lavora anche per il cinema, dove ottiene la nomination per l’Oscar 1991 con Cyrano de Bergerac. Grande professionista, egli interpreta lo spazio teatrale attraverso raffinatezze compositive e ricostruzioni geometriche realizzate usando elementi architettonici (colonne che diventano per un periodo la sua cifra stilistica e sintesi decorativa barocca) e inganni prospettici. Si documenta attraverso la ricerca figurativa nell’arte, sapendo poi proporre con abilità spazi, colori e atmosfere di magica bellezza.

Ferravilla

Figlio naturale d’un nobile, Filippo Villani, e di una raffinata cantante, Maria Luisa Ferrari (ma le origini non sono certe), straordinario ed originale inventore di caratteri, Edoardo Ferravilla è considerato uno dei più limpidi spiriti schiettamente meneghini, anima genuina d’una Milano che non esiste più. Tipi, macchiette e caricature non furono soltanto un grossolano pretesto di risata, ma durevoli maschere di un teatro che trascendeva la stessa milanesità, pur essendone simbolo ed amorosa testimonianza. Alcune figure caratteristiche, create ed interpretate da Ferravilla per ‘scene familiari’, ‘scherzi comici in un atto’, ‘farse in un atto’, pièce e pochade tipo Belle Epoque, fanno ormai parte della storia del teatro, anche se, al di fuori delle sue originali interpretazioni, molte macchiette rimangono svuotate di significato: Gervasin e Parapetti (Barchett de Boffalora), Pedrin Bustelli (Nodar e Perucchee), Sindegh Finocchi (La statoa del sur Incioda), Tecoppa (I duu ors ), Massinelli (La class de asen, Massinelli in vacanza), el sur Panera (El duel del sur Panera , Martin e Zibetta), Maester Pastizza (L’opera del maester Pastizza), el sur Camola (Bagolamento-fotoscultura), el sur Pirotta (L’amis del papà), Don Polibi (I tribuleri del sur Spella), Gigione e il Conte di Luna (Minestron), Pistagna (El sposalizi del sur Pistagna), Bertold (El sindegh Bertold). Dopo Ferravilla è rimasto un modo di recitare, tipico del teatro comico milanese, fatto di allusioni, silenzi, sapienti e scontrose sottolineature.

France

Si cimenta anche nel teatro adattando per le scene i suoi romanzi: Il giglio rosso (Le Lys rouge, 1899) – la vicenda dell’amore tra una contessa e uno scultore, troncato dalla gelosia dell’uomo – e Il manichino di vimini ( Le mannequin d’osier, 1904) – il tradimento della moglie spinge un uomo a riconsiderare la sua vita – che però non hanno successo. Ha miglior fortuna un’altra riduzione teatrale: L’affaire Crainquebille (1903), interpretata da Lucien Guitry. Un fruttivendolo, ingiustamente accusato di aver offeso una guardia, in seguito a questo fatto, seppure completamente scagionato, è ridotto in miseria. Allora Crainquebille ingiuria una guardia, sperando in questo modo di ottenere un pasto in prigione, ma non ne ricava che una severa reprimenda.

Fassbinder

Abbandonata la scuola poco prima dell’esame di maturità, Rainer Werner Fassbinder lavora come comparsa ai Kammerspiel di Monaco e studia recitazione privatamente; frequentando lo Schauspielstudio Leonhard conosce Hanna Schygulla che diverrà poi una delle attrici più importanti nella sua opera creativa. Nel 1967 entra a far parte del Münchner Aktionstheater. Vi debutta come regista con una sua rielaborazione di Leonce e Lena di Büchner, cui segue, nell’aprile del 1968, la regia di Katzelmacher, un suo testo, da cui trarrà un film nel 1969 (come in seguito anche da altri suoi testi teatrali). Nel maggio del 1968 l’Aktionstheater cessa l’attività. Dieci membri di quella compagnia, tra cui H. Schygulla, P. Raben e K. Raab, fondano, per iniziativa di Rainer Werner Fassbinder, il Münchner Antitheater, collettivo di attori animato da spirito antiautoritario e vicino all’opposizione extraparlamentare. Ispirandosi al Living Theatre e al teatro della crudeltà di Artaud il gruppo oppone una nuova estetica a quella del teatro borghese e con l’impeto dell’impegno politico reagisce direttamente ai fatti dell’attualità.

Attraverso l’uso dello straniamento e della stilizzazione, di forme di montaggio e collage, gli spettacoli assumono la caratteristica di un linguagggio teatrale in rapporto diretto con quello filmico. Ciò si evidenzia in modo particolare nella messa in scena che Rainer Werner Fassbinder dirige di Ifigenia in Tauride di Goethe, che ricorda un ambiente hollywoodiano e dove Oreste e Pilade appaiono come due giovani omosessuali, con riferimenti ai fumetti, al Living Theatre e montaggi di testi di Mao e di Paul McCartney. Con l’Antitheater, sino al 1971, Rainer Werner Fassbinder realizza la quasi totalità del suo lavoro teatrale, con otto pièces e otto adattamenti. Il suo tentativo di assumere la direzione dell’importante Theater am Turm di Francoforte fallisce dopo la stagione del 1974, quando la sua ultima e controversa opera teatrale I rifiuti, la città e la morte (Der Müll, die Stadt und der Tod) viene ritirata. Da allora in poi lavora soprattutto per il cinema. Rainer Werner Fassbindernel suo teatro fa a pezzi l’eredità culturale di autori come Sofocle, Lope de Vega o Goethe, spingendosi all’eccesso e con un uso della fantasia che ha qualcosa di violento. Ne sono esempio l’adattamento da La bottega del caffè (Das Kaffehaus, 1969) di Goldoni, o quello da Lope de Vega, Il villaggio in fiamme (Das brennende Dorf), rappresentato a Brema con la regia di P. Raben (1970). Altri modelli come Gay, Jarry o Fleisser vengono da lui rielaborati con effetti meno dirompenti.

Nel complesso le caratteristiche del suo linguaggio teatrale, le già citate tecniche di straniamento come, per esempio, il rallentamento nei ritmi della recitazione, tendono a una verità che non è quella del naturalismo. Per quanto riguarda la politica, cita volentieri l’anarchismo, non senza sottometterlo a un trattamento critico che può condurre alla farsa come in Anarchia in Baviera (Anarchie in Bayern, 1969). L’ordinaria crudeltà dei rapporti interumani, i comportamenti che, nella società dei consumi, portano i più deboli a essere divorati (come i lavoratori stranieri in Katzelmacher ), viene svelata in modo quasi metodico e la violenza viene vista circolare sordidamente nei gruppi maggioritari, non tanto come evento drammatico ma in modo quasi meccanico. In opere come Preparadise sorry now , del 1970, o Sangue sulla gola del gatto (Blut am Hals der Katze, 1972), carnefici e vittime si scambiano i ruoli in una società massificata. Le lacrime amare di Petra von Kant (Die bitteren Traulmnen der Petra von Kant, 1971), uno dei suoi testi più noti e rappresentati, da cui nel 1972 trae un film interpretato da Margit Carstensen, mostra come la protagonista riproduce, nella sua relazione omosessuale, i rapporti di prevaricazione da cui ha voluto prendere le distanze nel suo rifiuto della società patriarcale. Diversamente, e in maniera provocatoria, l’assassina di Libertà a Brema (Bremer Freiheit), sempre del 1971, che avvelena genitori, figli, marito e amanti, è giustificata come un’eroina della lotta delle donne. In ultima analisi, con la sua volontà di mettere alla prova la validità dei sentimenti umani, Rainer Werner Fassbinder ci si presenta come un moralista che propone il coraggio di formulare l’angoscia come prima apertura verso un nuovo modo di vivere.

Ferro

Iniziò la sua attività, come attor giovane, nella compagnia Anselmi-Abbruzzo. Alcuni anni dopo (1953), con Ida Carrara, tenta la via del capocomicato, mettendo in scena: Il berretto a sonagli (che diventerà un suo cavallo di battaglia fino agli anni ’90), Lumie di Sicilia e La bella addormentata di Rosso di San Secondo. Nel 1957 costituisce l’Ente Teatro di Sicilia, diretto da Mario Giusti, che diventerà il Teatro stabile di Catania (1958). Il suo repertorio ebbe come punto di riferimento la drammaturgia siciliana, da Capuana a Martoglio, da Pirandello a Rosso, a Joppolo, a Brancati, a Sciascia, a Fava. Nel 1962 fu chiamato da Squarzina per La grande speranza di Rietmann e Ciascuno a suo modo di Pirandello. Nel ’62 interpreta anche I carabinieri di Joppolo (festival di Spoleto, regia di Rossellini). Nel 1966 è il mago Cotrone nella memorabile messinscena di Strehler dei Giganti della montagna . Segue il sodalizio con Lamberto Puggelli, che lo dirige nei Malavoglia , in L’ultima violenza di Fava, Il gallo di Brancati e nel Berretto a sonagli , che verrà presentato al pubblico parigino. Nel 1987, con la regia di Calenda, è protagonista di Il sindaco del rione Sanità di Eduardo De Filippo. Negli anni ’90 è diretto dal figlio Guglielmo nel Malato immaginario (1990), in Servo di scena di Harwood (1993), nel Consiglio d’Egitto di Sciascia (1995). Con Armando Pugliese realizza I vicerè da De Roberto (1995); con Antonio Calenda Il visitatore di Schmitt (1996). Le sue ultime interpretazioni sono: Il gattopardo da Tomasi di Lampedusa, regia di Puggelli (1996); La tempesta di Shakespeare, sempre con la regia del figlio Guglielmo (1997).

Fura dels baus,

Il collettivo La Fura dels baus è nato come cooperativa rurale nel 1979. Si sono rivelati nel 1983 al festival di Sitges con Azioni (Accions), un insieme di momenti scenici isolati che formavano uno spettacolo-collage. La struttura si ripeterà anche negli spettacoli successivi caratterizzati dall’assenza del linguaggio verbale e di una chiara e coerente linea drammaturgica (sostituita da frammentazione, giustapposizione, ripetizione), dalla ricerca di un forte impatto visivo e sensoriale, dall’uso di materiali concreti e attrezzatura tecnica, da una grande energia fisica, che spesso sfiora la violenza. Lo spazio scenico molteplice e che lo spettatore non può controllare nella sua totalità, trovandosi spesso in una situazione di insicurezza, costituisce l’asse portante delle loro costruzioni sceniche. In Suz-O-Suz (1986) è la musica il filo conduttore, mentre in Tier Mon (1988) sono la violenza e la guerra in un mondo orwelliano a costituire la cifra dello spettacolo. Noun (1990), nonostante il grande spiegamento di mezzi tecnici, batterie di televisori, luci e suoni assordanti, riusciva a trasmettere allo spettatore solo una angosciante sensazione di caos. Più riuscito lo spettacolo seguente, MTM (1994), nel quale emerge più chiaramente il nucleo tematico originario ispirato alla teoria della catastrofe di René Thom. MTM è il primo lavoro in cui viene incorporata la parola, con esito poco felice, secondo la maggioranza dei critici. Nella stessa linea è Hubris, presentato ad Almeria nel 1996.

Ferrieri

Ancor giovane, a soli venticinque anni, Enzo Ferrieri diede vita a Milano a un Centro di incontri con letterati e artisti italiani e stranieri di rinomanza nazionale, presto affiancato da una rivista, “Il Convegno”, che durò fino al 1940. A queste iniziative nel 1924 si aggiunse la nascita di un piccolo ma estremamente alacre teatro d’arte (Teatro del Convegno) di carattere preminentemente sperimentale, al quale peraltro si dovette la conoscenza di innumerevoli testi di qualità italiani e stranieri, di autori contemporanei o del passato. L’esperienza teatrale nella sala di via Carducci fu di breve durata, ma Ferrieri proseguì nel suo impegno di proporre lavori sconosciuti attraverso letture registiche antispettacolari. Due titoli importanti per tutti: L’uragano di Ostrovskij e Esuli di Joyce. Conclusa la fervida avventura del teatro del Convegno, Ferrieri continuò a dedicarsi al teatro curando regie per varie compagnie, poi, nel 1955, fondando la Compagnia delle Novità. Nel 1956, in altra sede e per cinque stagioni, diede vita al Nuovo Teatro del Convegno dove presentò fra l’altro Amleto di Bacchelli. Fu anche regista radiofonico e attraverso l’etere fece conoscere centinaia di lavori teatrali. Durante la sua innovativa parabola artistica, esercitò anche ampio esercizio critico. Molte delle sue recensioni vennero raccolte in Novità di teatro (1941). La sua esperienza di regista è riflessa invece nel volume Regia teatrale (1956). Si avvicinò anche alla televisione, presentando lavori di Saroyan e Géraldy. Fu tra i primi a far conoscere in Italia H. Pinter (Una notte fuori , Milano, 1959, protagonista P. Borboni).

Fleisser

Studia scienze teatrali e germanistica a Monaco e nello stesso tempo compone le sue prime opere letterarie. Conosce Feuchtwanger e Brecht, il quale nel 1926 la incoraggia a far rappresentare Purgatorio ad Ingolstadt (Fegefeuer in Ingolstadt), opera teatrale sulla repressione e le coercizioni nella provincia, in cui i personaggi parlano una lingua che è espressione delle loro deformazioni psichiche. Il 1928 è l’anno di Pionieri ad Ingolstadt , che fa scandalo a Berlino. Durante il nazismo subisce forti limitazioni nel suo lavoro di scrittrice. Si sposa con un grossista di tabacchi e si rifugia in una vita ritirata che in parte ripercorre nel suo libro di racconti Avanguardia (1963). Nel dopoguerra opere come Karl Stuart (1946) o La forte schiatta (Der starke Stamm, 1950) non hanno molto successo. Tra il 1968 e il 1971 viene riscoperta per merito di Fassbinder, Kroetz e Sperr, che vedono nei suoi lavori l’anticipazione del loro stesso modo critico di fare teatro per cambiare la società. Oltre alle opere teatrali ha scritto numerosi saggi, romanzi e racconti. Alfred Kerr ha detto di F.: «Tutto in lei è serrato come in un pugno».

Foschi

Interprete versatile, dopo il diploma alla ‘Silvio D’Amico’, e il debutto allo Stabile di Torino (1962), Massimo Foschi dà vita nel corso della sua carriera ad alcuni personaggi chiave del teatro con una forza interpretativa intensa e una notevole autorità scenica, spaziando in un repertorio classico con registi importanti, anche dell’area della ricerca. Con Orazio Costa è Don Giovanni . È Orlando ne l’Orlando furioso di L. Ronconi (1969), con cui recita nell’ Orestiade nel ruolo di Oreste e Agamennone. Dal 1972 è con G. Lavia Otello , e il padre di Strindberg nell’opera omonima (1976), Giove in Anfitrione (1979) e il Grande Elettore ne Il principe di Homburg di Kleist (1982). Memorabile è il suo Calibano ne La tempesta con la regia Strehler (1978-79). Dall’80 è al Teatro di Roma, diretto da Squarzina in Misura per misura e Casa cuorinfranto di Shaw. È un Edipo re con la regia di O. Costa. Ha una assidua collaborazione con L. Puggelli che lo dirige nel 1981 in Andromaca di Racine (nella parte di Pirro), Pilade di Pasolini (1983), All’uscita di Pirandello, e ne Il libro di Ipazia di Luzi. È diretto anche da Brokhaus, G. Cobelli e Sequi. Lavora anche con G. Vasilicò, G. Salvatores, è protagonista di Pazzo d’amore di Shepard (1985), con la regia di Chérif (1985). Nella sua carriera c’è anche del cinema sia in veste di attore (Petri, Giordana, Zeffirelli) che di doppiatore.

Field Day Theatre Company

Fondata dal drammaturgo Brian Friel e dall’attore Stephen Rea nel 1980, a cui più tardi si associano i poeti Seamus Heaney e Tom Paulin, il critico e professore universitario Seamus Deane, con base nella contea di Derry, la compagnia Field Day Theatre Company è per lo più itinerante, priva di un teatro permanente e sostenuta da fondi provenienti dall’Arts Council del Nord e del Sud dell’Irlanda. Sebbene non dichiaratamente politica, la compagnia intende contribuire alla ridefinizione della libertà irlandese e alla risoluzione della crisi politica del Nord, creando un pubblico comune a cui offrire una versione culturale unitaria contro il nazionalismo di fazione. Motivo non ultimo del gruppo è colmare un vuoto nella regione di Derry creando una situazione teatrale che sia all’altezza di quelle esistenti a Belfast e a Dublino. L’attività della compagnia comprende un’intensa produzione di pubblicazioni: brevi trattati su linguaggio, mito, legge e sulla relazione tra letteratura e colonialismo sempre con riferimento alla questione anglo-irlandese; tre volumi antologici Field Day anthology of Irish writing (1991) a cui in seguito è stato aggiunto un quarto volume sulla drammaturgia irlandese al femminile; un volume di saggi Revising the rising e un lavoro di Heaney, Sweeney Astray (1983). Dodici le produzioni realizzate, a partire dal testo di Friel Traduzioni (Translations, 1980), attraverso adattamenti (dall’ Antigone di Sofocle, The riot act di Paulin; High Time di Mahon tratto da La scuola dei mariti di Molière) e testi originali come Pentecost (1987) di Steward Parker e il conclusivo Il teatro itinerante di Madame MacAdam (The Madame MacAdam Travelling Theatre, 1991) di Thomas Kilroy anch’egli parte del gruppo dal 1986. Negli anni ’90 il gruppo si è trovato di fronte ad una quasi naturale dissoluzione quando le carriere dei singoli sono intervenute aggravando un equilibrio (sia interno che esterno) ormai instabile.

Flauto

Comico dotato di straripante comunicativa, a suo agio in qualsiasi contesto (dall’avanspettacolo alla rivista), presentatore tuttofare (dallo stip-tease al concerto dei Beatles a Milano nel 1965), F., dopo un lungo apprendistato nell’avanspettacolo, approda alla ribalta maggiore come protagonista, al Nuovo di Milano nella stagione 1961-62 con Il ragazzo con la valigia di Corbucci e Grimaldi. Con lui c’è una vedette creola, Fortunia, la stessa che nella stagione precedente aveva sostituito, al fianco di F., la soubrette Lisetta Nava, che abbandonò la rivista L’Astoria dei balordi perché il suo nome, sui manifesti, era preceduto da quello di F.. L’esordio in serie A di F. non fu fortunato: scritturato da Corbucci e Grimaldi, recita in Doppio rosa al sex (1957-58), con una Wanda Osiris «ormai diventata – notò un critico dell’epoca – la più grande imitatrice di Wanda Osiris», con Riccardo Billi (ormai separato da Mario Riva, stella televisiva) in debito di risate con le sue battute grevi, spettacolo che nell’aprile 1959 dovette persino concludere anticipatamente le repliche per il sequestro del materiale scenico ottenuto dai creditori. Malinconico congedo della Wandissima, mentre F. rimedia la stagione tornando all’avanspettacolo, ma niente meno che accanto a Joséphine Baker: allo Smeraldo di Milano, la ex `venere nera’ canta “J’ai deux amours”, uno dei quali è Parigi e sullo schermo, tra una recita e l’altra, proiettano, guarda caso, I misteri di Parigi . In coppia con F. c’è Elio Crovetto, in sketch e siparietti svelti e spassosi. Valida concorrenza sulla piazza milanese: Tino Scotti, Nino Lembo, Giorgio Bixio `il piccolo Govi’, Alberto Sorrentino `il morto di fame’; persino Maria Luisa Garoppo, la tabaccaia `miss globuli rossi’, centotré centimetri di circonferenza seno, già vincitrice a Lascia o raddoppia? con Mike Bongiorno. Nel 1960-61, è protagonista al Nuovo di Milano in Piazza pulita di Dumesnil-Simonetta; scrivono di lui: «Gaiezze e spogliarelli con un comico di domani già piacevole oggi». Con lui, Maria Pia Arcangeli e Edmea Lari. Nella stagione successiva riprende uno spettacolo di Alfredo Bracchi già interpretato da Bramieri: Le dannate vacanze della famiglia Tibiletti ; seguirà nella stessa stagione il già ricordato Ragazzo con la valigia . A Napoli (1962-63) presenta Rita Pavone in Non è facile avere diciotto anni , al pianoforte Stelvio Cipriani. Negli anni successivi, archiviata la rivista (se ne celebra ormai la memoria con Felicibumta di Garinei e Giovannini), F. lavora in tv e in locali di strip-tease, ma negli anni ’80 incontra uno straordinario successo popolare presentando ad Antenna 3 Lombardia (tv regionale fondata da Enzo Tortora e Renzo Villa) una trasmissione di dilettanti allo sbaraglio, Il pomofiore : la giuria era composta dal pubblico, che scagliava sui concorrenti pomodori o fiori (di plastica), in segno di dissenso o consenso.

Ferrati

Diplomata all’Accademia dei Fidenti di Firenze, debutta nel 1928 come attrice giovane nella compagnia di Luigi Carini e in quella di Wanda Capodaglio e Uberto Palmarini. È Elena nel Sogno di una notte di mezza estate che Max Reinhardt mette in scena a Boboli nel 1934. Avrà per la prima volta il `nome in ditta’ con Nino Besozzi nel 1938 con il quale interpreta La moglie ideale di Praga, Carte in tavola di W. Somerset Maugham, Lulù di Carlo Bertolazzi, Una donna senza importanza di Oscar Wilde. Nel 1943 fa parte della Compagnia Stabile del Teatro Eliseo di Roma con due grandissime interpretazioni: La professione della signora Warren di G. B. Shaw ripresa anche nel 1976, regia di Ettore Giannini e Hedda Gabler di Ibsen con la regia di Orazio Costa. Partecipa nel 1947 anche alla Compagnia del Teatro Quirino di Roma dove interpreta diretta da Orazio Costa Sei personaggi di Pirandello e Il giardino dei ciliegi di Cechov e Il voto di Di Giacomo regia di Ettore Giannini. Fra il 1952 e il 1953 da attrice ormai convertita al lavoro di ensemble che la trionfante affermazione della regia in Italia suggerisce, con Luchino Visconti è la strepitosa protagonista di Medea di Euripide e un’insuperata Masha in Tre sorelle di Cechov. Dal 1953 è prima attrice al Piccolo Teatro con alcune interpretazioni memorabili. È Liuba in Il giardino dei ciliegi del 1954 ma lascia il segno della sua classe, fra l’altro, anche in La folle di Chaillot (1953), La moglie ideale di Praga (1954), La casa di Bernarda Alba (1955), Platonov di Cechov nel 1958 e l’indimenticabile La visita della vecchia signora di Dürrenmatt nel 1959, sempre diretta da Strehler. Rotto il sodalizio con il grande regista sarà la prima interprete italiana di Chi ha paura di Virgina Woolf? di Albee, diretta da Franco Zeffirelli nel 1964. Attrice fra le maggiori della scena italiana, talento straordinario, ironica, intelligente, spesso nel corso degli ultimi anni della sua carriera la F. si lascia tentare da personaggi facili che non rendono giustizia al suo grande carisma. Il suo addio alle scene avviene nel 1978 con Gallina vecchia di Novelli, testo quasi vernacolare nobilitato dalla sua interpretazione maiuscola. Fra la sue interpretazioni televisive da ricordare Le sorelle Materassi (1972) accanto a Rina Morelli: un `duello’ magistrale fra due gigantesse.

Fosse

Bob Fosse è stato una delle maggiori figure nel campo dello spettacolo americano. Ballerino, coreografo, poi regista-coreografo e regista tout court, il suo apporto al mondo del musical, e del balletto al musical connesso, è fondamentale per invenzione coreografica, per aver scoperto, formato e valorizzato grandi talenti, per un percorso artistico di continuo perfezionamento in un torrenziale flusso di idee. F. non ha mai avuto una formazione classica: la sua scuola è stata il vaudeville che, come una scuola regolare, ha cominciato a frequentare all’età di sei anni, suo padre era un entertainer di night-club, sicché a tredici si esibiva con un compagno (Charles Grass) in un numero chiamato `The Riff Brothers’. A diciassette anni è riuscito, bene o male, a fare gli studi e tenta di arruolarsi in Marina (la Seconda guerra mondiale sta finendo). A vent’anni, nel 1947, sposa Mary Ann Niles, ballerina, e con lei si esibisce sempre nel circuito dei night-club. Insieme hanno partecipato a due spettacoli musicali, nella compagnia di giro, Call Me Mister e Make Mine Manhattan (entrambi 1948). Nel 1950, sempre con Mary Ann, è a Broadway, nella chorus line di Dance Me A Song. La star è Joan McCracken, che sarà nel 1951 la seconda moglie di F. Nel 1952 è sostituto di Harold Lang per una ripresa di Pal Joey ; ne sarà il protagonista in tournée. Nel 1953 è a Hollywood, dove gira tre film in un anno con ruoli sempre più piccoli: Give A Girl A Break (regia di Stanley Donen), The Affair of Tobie Gillis e infine Kiss Me Kate (di Cole Porter, regia di George Sidney); in questo film, per la prima volta, F. si misura con una coreografia (per lui e Carlon Haney, durata 48 secondi) e scopre definitivamente la sua vocazione. La prima coreografia a Hollywood è My Sister Eileen (1953), la prima coreografia a Broadway è The Pajam Game (1954) ed è premiata con Tony Award; nel 1957 ne curerà la coreografia cinematografica. 1955: coreografia di Damn Yankees a Broadway (versione per il cinema nel 1958) che segna il fondamentale incontro con Gwen Verdon, ballerina insigne e poi terza moglie di Fosse. A Broadway, coreografie di Bells Are Ringing (1956) e New Girl in Town (1957). Nel 1959, per la prima volta regia e coreografia di Little Me . Il 1965 fa registrare a F. l’unico vero fiasco della sua carriera: Pleasures and Palaces di Frank Loesser chiude prima di arrivare a Broadway. L’anno seguente, 1966, Sweet Charity , tratto da Le notti di Cabiria di Federico Fellini, è un trionfo con due anni di repliche (Fosse è regista e coreografo), mentre la riduzione cinematografica (1969), da lui diretta, non convince anche se il film diventerà più tardi un `cult’.

Cabaret (1972) è il film più celebre di Fosse e il suo massimo successo; nonché ‘il film’ di Liza Minnelli; con lei Fosse, sempre regista e coreografo, creerà uno special televisivo Liza with a Z , sempre nel ’72 e, nello stesso anno, mette in scena a Broadway, Pippin : 1.944 repliche. Il progetto seguente di Fosse è un film non musicale, Lenny , dedicato a Lenny Bruce, con uno strepitoso Dustin Hoffmann che uscirà trionfalmente nel ’74. Nel 1975 arriva a Broadway Chicago (regia, coreografia, e co-librettista): più di tre anni di repliche. In effetti è ancora presente quando a Broadway debutta il mirabile, fantastico Dancin’ , un continuum di numeri di danza non collegati da un libretto: 1.774 repliche. Nel 1979 F. celebra la sua apoteosi e il suo prematuro quanto spettacolare funerale in un film che risultò difficile alla prima visione, ma guadagna ad essere rivisto: All That Jazz . Il film contiene la coreografia capolavoro di F. per il cinema: il numero Airotica . Ancora un film nella biografia di F.: il cupo Star 80 (1982), film non musicale, e poi il suo ultimo intervento a Broadway. Big Deal , spettacolo straordinario piaciuto a pochissimi (settanta repliche!) che va in scena a Broadway il 10 aprile 1987. Nel 1985 c’è stato un revival di Sweet Charity con Debbie Allen nel ruolo del titolo; per il tour nazionale il ruolo fu ripreso da Donna McKechnie, che lo interpretava a Washington il giorno in cui Fosse morì di infarto.

Funari

Esordisce nel 1967, partecipando agli spettacoli di cabaret di O. Lionello. In seguito, trasferitosi a Milano, lavora per quasi sei anni al Derby, dove mette a fuoco la sua comicità centrata su monologhi di satira di costume. Poi arriva la televisione; nel 1980 è a Telemontecarlo in Torti in faccia a cui seguirà Abbocaperta (1984) che sarà il suo trampolino di lancio per una delle più incredibili rinascite artistiche italiane, fino a portarlo alle trasmissioni di politica in cui F. si erge come profeta e paladino degli indifesi.

Fulchignoni

Dopo la laurea in medicina Enrico Fulchignoni è dapprima libero docente di Psicologia generale all’università di Roma, poi si dedica al teatro fondando e dirigendo nel 1937 il Teatro sperimentale di Messina. Nel 1939 passò al Teatro sperimentale di Firenze, dove curò la messa in scena di Dentro di noi di Siro Angeli. Per primo realizzò Piccola città di T. Wilder (1939) e fu assistente di Renato Simoni per Il campiello e Il ventaglio di Goldoni e per Aminta di Tasso e Adelchi di Manzoni. Insegnò recitazione al Centro sperimentale di cinematografia (1941-42) e dal 1940 curò anche alcune regie liriche. Nel cinema esordì collaborando con F. Cerchio al documentario Ragazze sotto la tenda (1941) e nel 1942 diresse il suo primo lungometraggio: I due Foscari . È stato direttore della Film section dell’Unesco a Parigi dal 1949, redattore e collaboratore di alcune riviste (“Fiera Letteraria”, “Dramma”, “Scenario”, “Rivista italiana del dramma”), curatore di numerose pubblicazioni e scrittore di alcuni atti unici (Il digiunatore, A ognuno la sua croce, Matteo Falcone, Les Grenouilles ).

Ferzetti

Giovanissimo Gabriele Ferzetti esordisce nel cinema come comparsa in Via delle cinque lune di L. Chiarini (1942); nel 1947 si iscrive all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’ che frequenta per soli due anni e poi abbandona per il Cut, il teatrino dell’università. In seguito si unisce alla compagnia del Teatro Nazionale di Salvini, con la quale debutta nel 1949 con gli spettacoli Anna Bolena e Detective Story. Negli anni immediatamente successivi interpreta alcune piccole parti in vari film, e in seguito emerge e si impone, come protagonista assoluto, in film di grande popolarità, ricevendo numerosi premi e intervallando l’attività teatrale con quella cinematografica. Nel 1948 prende parte a Rosalinda o come vi piace di Shakespeare, per la regia di Luchino Visconti. Nel 1951 avviene l’esordio come protagonista in Sogno ad occhi aperti di Rice, con la compagnia di Vivi Gioi. Nel ’56, diretto da Luigi Squarzina, interpreta Ma non è una cosa seria. Nel ’58 seguono: La professione della signora Warren di Shaw, per la regia di Ferrero, La gatta sul tetto che scotta di Williams, per la regia di Rouleau, Patata di Achard con la regia di Gino Cervi. Nel ’64 seguono due spettacoli diretti da Celi: L’occhio privato e L’amante e Vestire gli ignudi di Pirandello con A. Asti, regista G.P. Griffi allo Stabile di Roma (1965).

Nel ’70, accanto ad Anna Proclemer, interpreta Quattro giochi in una stanza , per la regia di Albertazzi. Dal ’76 all’82 si susseguono una serie di spettacoli tutti diretti da Missiroli: Vestire gli ignudi , Musik , Delitto e castigo . Nella stagione 1983-84, per lo Stabile di Genova, interpreta Terra sconosciuta , regia di O. Krejka. Tornato stabilmente al teatro, nella stagione 1985-86 è stato, in coppia con Anna Proclemer, protagonista di Chi ha paura di Virginia Woolf? di Edward Albee. Si susseguono poi spettacoli come Conversazione galante di Franco Brusati (1987), Lungo viaggio verso la notte di O’Neill (1988), Le rose del lago (1991), Danza di morte di A. Strindberg (1992) e L’avventura di Maria di Svevo (1995), per la regia di N. Garelle, La governante (1995) di Brancati per la regia di G. Albertazzi. Contemporaneamente proseguono le sue partecipazioni sia in ambito cinematografico che televisivo.

Fugate

Formata alla School of American Ballet con Alexandra Danilova, entra nel New York City Ballet dove diventa solista (1979) e prima ballerina (1986). Danza ruoli principali in Apollo , Chaconne Concerto Barocco , Symphony in C , Brahms-Schoenberg Quartet , Union Jack , Who Cares? e Ivesiana di Balanchine, Fancy Free , The Goldberg Variations , Gershwin Concerto , Dances at a Gathering , I’m Old Fashioned di Robbins. Per la sue sue doti tecniche e stilistiche, è anche protagonista dei grandi balletti di repertorio come Giselle , Cinderella , Coppélia , The Sleeping Beauty , nelle coreografie di Martins (1991).

Fini

La sua pittura è caratterizzata da una visione onirica tinta di erotismo, in cui paesaggi fantastici sono popolati di vegetazione e animali immaginari derivanti dalla mitologia fiabesca. Oltre alla pittura si è dedicata all’illustrazione di libri e al teatro, soprattutto al balleto. Fra i vari lavori teatrali ha realizzato la scenografia e i costumi per Les palais de cristal , rappresentato dal Balletto di Balanchine all’Opéra di Parigi nel 1945; Les demoiselle del la nuit , balletto di Jean Anouilh con coreografie di Roland Petit (Londra, Covent Garden e Parigi, Teatro Marigny, 1949); La vedova scaltra di Carlo Goldoni, per la regia di Giorgio Strehler (Milano, Piccolo Teatro e Venezia, La Fenice, 1953); Il piacere dell’onestà di Pirandello (Teatro Saint Georges, Parigi, 1954); Bérénice di Racine (Parigi, Teatro Marigny, 1955); L’importanza di chiamarsi Ernesto di Wilde (Parigi, Champs-Eljsées, 1955); Le mal court di Audiberti (Parigi, Théatre de la Bruyére, 1956); La petite femme de Loth di Tristan Bernard (idem, 1959); La parigina di Becque (Parigi, Comédie Française, 1960); Les bonnes di Genet (Parigi, Odéon, 1961); Il candeliere di Musset, con musiche di Jacques Ibert (Parigi, Comédie Française, 1966); Le balcon di Genet (Marsiglia, Théatre de Sud-Est, 1969).

Fusco

Dopo i primi studi alla Rambert School di Londra si perfeziona nella tecnica classico-accademica sotto la guida di Natalia Dudinskaia all’Accademia Vaganova di Leningrado, dove si diploma in Pedagogia della Danza. Ballerina del corpo di ballo del Kirov di Leningrado, al suo rientro in Italia si dedica all’insegnamento della danza accademica nella sua Accademia napoletana di danza, ben presto imponendosi come una delle più autorevoli didatte del metodo Vaganova. Dal 1977 inoltre con l’attuale Balletto di Napoli si impegna nella proposta di classici ( La fille mal gardèe ) e novità ( Marco Polo di Luciano Cannito).

Frejka

Dopo l’esordio in alcuni teatri praghesi, F. fonda, insieme ad altri letterati dell’avanguardia céca, il Teatro Liberato (Osvobozené Divadlo), nel contesto dell’attività dell’associazione Devetsil, da cui nel 1927 si distacca col Teatrino Dada. Negli anni successivi diresse i più importanti teatri praghesi, mettendo in scena testi di Nerval, Cocteau, Salda, Shakespeare, Lope de Vega. Figura tra le più importanti dell’avanguardia praghese e del movimento Devetsil, F. si oppose fin dalle prime regie all’illusionismo scenografico in nome della concretezza oggettiva. Diversamente da Burian e Honzl, si tenne sempre distante da un impegno politico esplicito, temendo il rischio dell’asservimento del teatro. Le sue regie sono contraddistinte da una notevole inventiva e da trovate geniali, ispirate al principio del massimo dinamismo delle scene. Fra tutte sono da ricordare Le donne alla festa di Thesmoforie da Aristofane (1926), per il Teatro Liberato e Il revisore di Gogol’ (1936).

Faggi

Il suo teatro si caratterizza per un forte valore civile, morale e politico, sostenuto da una scrittura drammatica che si ispira a fatti della storia recente. F. ha collaborato al Teatro stabile di Genova con Luigi Squarzina, realizzando i significativi lavori come Il processo di Savona (1965) e Cinque giorni al porto (1969). Tra gli altri titoli rappresentati, sempre coerenti a un’idea di teatro impegnato sono: Ifigenia non deve morire (1963), In nome della società (1965), Emancipazione (1967), Minima theatralia (1969), Rosa Luxemburg (1976) e Il disertore (1984).

Foreman

Studia con Martha Graham e ne interpreta il repertorio, in ruoli principali, per quindici anni. Danza per l’Eliot Feld Ballet e collabora con il National Dance Institute di Jacques d’Amboise. Appare al Teatro alla Scala nel 1993 dove interpreta, accanto alla Fracci, il ruolo di Cristoforo Colombo nell’omonimo balletto di Mendez-Menegatti. Nel 1994 forma con Jacquelyn Buglisi il gruppo Threshold Dance Project, per cui è anche coreografo. Autore del libro Out of Martha’s House (1992), è figura di riferimento nel panorama della danza moderna maschile americana.