Mei

Figura principale dell’opera cinese nella prima metà del Novecento, celebre nei ruoli dan (femminili). Assieme allo studioso Qi Rushan, introdusse nell’Opera di Pechino notevoli cambiamenti, con la creazione di nuove opere e il recupero di danze, costumi e testi tradizionali. Fece conoscere il teatro cinese al di fuori della Cina, dapprima in Giappone, nel 1919 e nel 1924, poi negli Usa, nel 1930, e in Unione Sovietica (1935), dove incontrò Stanislavskij, Mejerchol’d, Ejsenstejn e Brecht, rimasti fra i suoi ammiratori e che da M. furono variamente influenzati, come testimoniano loro scritti, fra cui celebri quelli di Brecht e Ejzenstejn.

Milano Oltre

Milano Oltre è un festival internazionale di arti dello spettacolo e associazione che lo promuove e lo gestisce. Nato nell’autunno del 1986 – per iniziativa del Teatro dell’Elfo e del Teatro di Porta Romana – si presenta come una proposta alternativa ai circuiti usuali delle arti e dello spettacolo di Milano; questo progetto ha messo in risalto le componenti di novità, di approfondimento e di evoluzione delle varie forme di espressione, nel campo della prosa, della musica, della danza e delle arti. Alla manifestazione hanno partecipato artisti, registi, musicisti, compositori e compagnie teatrali provenienti da tutto il mondo come: Jean Claude Gallotta, Wim Mertens, Peter Gordon, Epigonen D.Z.W., Café La Mama, La Fura dels Baus e molti altri grandi nomi della scena internazionale. Il festival inoltre si distingue anche per il recupero allo spettacolo di spazi nuovi, dal padiglione 16 dell’Ansaldo, alla stazione ferroviaria di Porta Romana, a Villa Clerici ai quartieri dove hanno trovato postazione delle tensostrutture.

Minnelli

Figlia della grande cantante Judy Garland e del regista Vincente Minnelli. A due anni e mezzo Liza Minnelli fa la sua prima apparizione cinematografica: In The Good Old Summertime (è la bambina figlia di Garland e di Van Johnson nel finale). Quando ha cinque anni i suoi genitori si separano e lei vive un po’ con l’uno e un po’ con l’altra. A sette anni partecipa a un concerto della madre al Palace di New York. Nel 1962, a sedici anni, manifesta i primi veri interessi per lo spettacolo e lavora in due revival: Take Me Along e The Flower Drum Song . Nel 1963, per un altro revival, Best Foot Forward , vince un premio. È nelle compagnie di giro di Carnival , The Pajama Game e The Fantasticks . Nel 1964 appare accanto alla madre al London Palladium, il concerto è registrato su disco ed è un grande successo, il primo disco di canzoni cantate da M. che vende, in quell’anno 500.000 copie. 1965: Flora and The Red Menace , di Kander and Ebb; Liza è premiata con Tony Award ma lo show resta in scena per sole 87 repliche. 1966: debutto nel night-club del Plaza Hotel con successo a dir poco entusiastico. Tre film tra il 1967 e il ’70, per The Sterile Cuckoo ottiene una nomination all’Oscar. Nel 1972, con la sua interpretazione del film Cabaret , Liza M. diventa una superstar, ottiene l’Oscar e le copertine contemporaneamente di Time e Newsweek. Quello stesso anno ottiene un Emmy Award per il suo special televisivo, a cura di Bob Fosse, Liza With A Z e nel ’73 uno Special Tony Award per lo spettacolo Liza at the Winter Garden . Continua a incidere dischi e ad apparire nei night-club ma privilegia la carriera cinematografica con una serie di delusioni finché, nel 1977, New York, New York è un meritato trionfo. Gli autori di questa celeberrima canzone, Kander e Ebb, sono anche gli autori di The Act (1977) che dopo molti tormentati spostamenti tra Chicago, San Francisco e Los Angeles, debutta a New York il 29 ottobre 1977: Tony Award per Liza, critica discorde, pubblico indispettito dalle continue assenze della protagonista, poco più di 250 repliche. Pochi film e molti problemi (alcool e droghe) seguono, fino a una nuova apparizione a Broadway, febbraio 1984, in The Rink , ancora di Kander e Ebb, accanto alla grande Chita Rivera, ma la M. non regge e lascia lo show per una seria cura disintossicante. Torna in concerto al London Palladium nel 1986 con immenso successo. Gira un paio di film nell’88, ma, soprattutto, intraprende una specie di giro del mondo di concerti con Frank Sinatra e Sammy Davis. Nel 1991 debutta a New York e prosegue poi in una lunga tournée con un suo `one woman show’ Liza Minnelli: Stepping Out at Radio City e gira un film musicale, tratto da uno spettacolo londinese intitolato Stepping Out .

Mezzadri

Mina Mezzadri lavora per la Compagnia della Loggetta di cui è uno dei fondatori, poi diventata Centro Teatrale Bresciano, e vi allestisce, nel decennio 1960-70, numerosi testi classici, destrutturizzandoli, attualizzandoli e arricchendoli di notizie sull’autore: Eschilo, Molière, Büchner a fianco di molti altri contemporanei, Beckett, (Finale di partita ), Genet: (Le serve ), Svevo (La rigenerazione ; 1966, prima rappresentazione italiana). Allestisce significativi spettacoli nel genere del teatro-documento: Una proposta di Don Milani , Lettere a un sindaco (1968) – un testo di Renzo Bresciani, satirico verso il potere comunale e basato su documenti tratti dal Municipio – e L’obbedienza non è più una virtù (1969). Lavora allo Stabile di Genova come insegnante e regista. Fonda poi la cooperativa teatrale Teatro Tre (1975-76), con cui realizza Il pellicano di Strindberg con Enrico Job (1975) e Luci di Bohème di Valle-Inclan (1976). Seguono Il padre di Strindberg con Virginio Gazzolo, Rosmersholm di Ibsen con Paolo Ferrari e Ileana Ghione (1977) e Sogno di un tramonto di autunno di D’Annunzio (1981-82). A Brescia cura la regia di Adelchi di Manzoni nei luoghi dove Ermengarda trascorse gli ultimi anni (1993-94). L’anno dopo realizza La colonna infame da Manzoni, sempre con Gazzolo. Infine per il Ctb realizza Don Perlinplin di García Lorca (1998).

massa,

Il teatro di massa è una forma di spettacolo di tipo festivo-rituale realizzata all’aperto con la partecipazione attiva di masse di soldati, operari e talvolta contadini, che si sviluppa durante la Rivoluzione bolscevica in Unione Sovietica a fine celebrativi. Con riferimenti sia ai grandi misteri medioevali sia alle feste laiche della Rivoluzione francese, il teatro di massa illustra con semplicità didascalica, grandi effetti scenografici e intensa partecipazione emotiva attraverso il linguaggio delle azioni e dei movimenti (scarsi i dialoghi) i grandi momenti della storia rivoluzionaria: Il rovesciamento dell’autocrazia (1919), Mistero del lavoro liberato dalla schiavitù (1920), La presa del Palazzo d’Inverno (1920). Realizzati con la collaborazione di registi quali Evreinov, gli `Inscenirovki’ durarono sino agli anni ’30. Nello stesso periodo si svilupparono forme analoghe in Germania ( Thomas Münzer , 1925). Unico tentativo italiano di teatro con partecipazione di masse è 18 BL di Alessandro Blasetti, realizzato a Firenze con partecipazione di camion, cannoni, soldati, Ballila su un fronte di trecento metri e un boccascena di venti. A un teatro per le masse appartengono invece sia il paternalismo fascista degli itineranti Carri di Tespi, sia l’esperienze francesi dei Comédiens routiers (1929-39) di Léon Chancerel e, nel secondo dopoguerra, del Théâtre National Populaire di Jean Vilar, che sulle suggestioni primonovecentesche di Romain Rolland e Firmin Gémier, promuovono un teatro di destinazione popolare, festivo e rituale.

Martini

Cresciuto nella cerchia dei giovani romani che faceva capo a Corazzini, dal quale fu influenzato nella stesura dei suoi primi versi, Fausto Maria Martini partecipò alla prima guerra mondiale, restando gravemente ferito. Dalla sua produzione teatrale emerge un intimismo vicino alla poetica crepuscolare, con venature di inquietudine. I personaggi che creò furono spesso senza caratteri accentuati e le trame delle sue opere prive di forte struttura drammatica, tanto che egli stesso le definì «drammi dell’insignificante», così come recita anche il titolo di una raccolta di scritti per la scena pubblicata nel 1928. Tali caratteristiche si ritrovano anche nella sua produzione letteraria e poetica. Tra le sue opere vanno ricordati Il giglio (1914), Ridi, pagliaccio! (1919), Il fiore sotto gli occhi (1921), Altra Nanetta (1923), La facciata (1924), La sera (1926). Scrisse anche per il cinema: nel 1915 realizzò il soggetto di Rapsodia satanica , film musicale influenzato dal movimento futurista, che venne diretto da Oxilia e che si avvalse dell’interpretazione di Lyda Borelli.

Muni

Weisenfreund; Lemberg, poi Lwow in Polonia, 1895 – Hollywood 1967), attore statunitense. Nato in Polonia, emigrò negli Usa con i genitori che recitavano nei teatri yiddish, e in yiddish debuttò anche lui, dodicenne, affermandosi presto in ruoli di vecchi. Nel 1926 passò alle scene di lingua inglese, imponendosi nel 1931 nel dramma L’avvocato di E. Rice. Fece poi una brillante carriera a Hollywood ( Scarface , 1929; Io sono un evaso , 1932; La vita del dottor Pasteur , 1936, premio Oscar) ma tornò occasionalmente a Broadway, facendosi apprezzare per la sua capacità di costruire personaggi a tutto tondo, in Key Largo di M. Anderson, in Erede il vento di Lawrence e Lee e soprattutto, a Londra, in Morte di un commesso viaggiatore di A. Miller.

Madsen

Egon Madsen studia danza classica e pantomima con Thea Jolles e Edite Frandsen e giovanissimo entra nel Pantomime Teatret di Tivoli a Copenaghen. Dopo aver danzato con il Balletto scandinavo nel 1959-60, nel 1961 entra nel Balletto di toccarda, diventandone primo ballerino nel 1963. Di incisiva personalità teatrale si impone come uno degli interpreti favoriti di John Cranko, che per lui crea i ruoli di Mercuzio in Romeo e Giulietta (1963), Lensky in Onegin e il Joker in Jeu de Cartes (1965), Prudenzio in La bisbetica domata (1969), Don Jose in Carmen (1971) mettendone in evidenza l’ampia e varia gamma interpretativa; partecipa inoltre alle creazioni di Song of the Earth di Kenneth MacMillan (1965), Daphins et Chloé di Glen Tetley (1975) e Die Kameliendame di John Neumeier (1978). Ritiratosi dalle scene ha assunto la direzione del Balletto di Francoforte (1981-83), Balletto Reale Svedese (1984-86), Balletto del Maggio musicale fiorentino (1986-88). In seguito è rientrato al Balletto di Stoccarda come maître de ballet e maestro nella omonima scuola.

Merola

Mario Merola è l’indiscusso e indiscutibile re della sceneggiata. Dopo aver lavorato nel porto di Napoli, comincia a esibirsi nelle feste di piazza e ai matrimoni, ben presto imponendosi come l’ultimo dei cantanti `di giacca’: ossia dei cantanti specializzati in brani a tinte forti, d’impianto drammatico, per la cui esecuzione è d’uopo adottare un abbigliamento adeguato. A partire, appunto, dalla giacca. Più tardi, nell’agosto dell’84, Merola festeggerà i venticinque anni di carriera nel segno del più grande fra gli autori di quel genere di canzoni, Libero Bovio. Gli dedicherà un intero spettacolo, adottando come titolo il primo verso, Felicissima sera , della famosa “Zappatore”, su cui si basa l’omonima sceneggiata che costituisce, da sempre, l’autentico cavallo di battaglia e una sorta di `marchio di fabbrica’ di Merola. E della sceneggiata, appunto, Merola fa addirittura un atto di fede e una missione, tentando di accreditarla anche presso pubblici acculturati. Così, per il Natale del ’78, porta al cinema-teatro Delle Palme, nell’elegantissima ed esclusiva via dei Mille, una versione aggiornata di Lacreme napulitane , ancora di Bovio, dandole il titolo in lingua L’emigrante . Del resto, non era stato lui ad aprire, nel ’76, il primo e unico Festival della sceneggiata, avendo al fianco – in uno spettacolo intitolato inequivocabilmente Mammà – colleghi del calibro di Mirna Doris e, specialmente, Nunzia Fumo, erede di quella Cafiero-Fumo che fu, appunto, la più celebre compagnia di sceneggiate?

MCHAT

MCHAT (Moskovskij Chudozestvennyj Akademiceskij Teatr, Teatro Accademico d’Arte) è il teatro fondato a Mosca nel 1898 da Stanislavskij e Nemirovic-Dancenko, tuttora esistente. Dopo uno storico incontro, avvenuto il 21 giugno 1897, il drammaturgo e pedagogo Vladimir Nemirovic-Dancenko e l’attore e regista Konstantin Stanislavskij decidono di fondare insieme un nuovo teatro su basi completamente diverse da quelle consolidate nei teatri del tempo: il Teatro d’Arte è uno dei primi tentativi di rinnovamento delle strutture in senso moderno nella storia del teatro europeo. Stanislavskij e Nemirovic-Dancenko decidono di rivoluzionare non solo la routine della messinscena (introducono lunghi periodi di prove, scene e costumi appositamente preparati per ogni singolo spettacolo, collaborazione costante con scenografi, sarti, tecnici, trovarobe, con la ferma volontà di creare un collettivo affiatato e duraturo, aboliscono la distinzione tra attori di maggior o minor importanza, le serate d’onore, le musiche d’intrattenimento all’inizio e negli intervalli, i ringraziamenti ad ogni atto), ma di dare un ruolo determinante a due figure fino allora sottovalutate: il regista (che assume fin dall’inizio un peso determinante nella preparazione dello spettacolo, grazie anche alla decisione di Stanislavskij di preparare indicazioni di regia scritte per ogni battuta del testo, in modo da evitare ogni approssimazione) e il direttore del repertorio (Nemirovic-Dancenko, scrittore e amico di scrittori, imposta il repertorio su autori contemporanei di forte presa sul pubblico, come Cechov e Gor’kij). Vorrebbero anche fare un teatro `popolare’, ossia aprirlo a un pubblico il più ampio possibile ma questo viene loro vietato dalle autorità, che temono un indirizzo politico troppo liberale. La compagnia è composta da allievi della scuola teatrale dove insegna Nemirovic-Dancenko e da colleghi della compagnia in cui già lavora Stanislavskij; come sede viene scelto il vecchio edificio del teatro Ermitaz (solo nel 1902, con l’aiuto finanziario del mecenate Mamontov, verrà costruita dal famoso architetto Sechtel’ una nuova sede, dotata di attrezzature all’avanguardia per quei tempi e tuttora in funzione).

Lo spettacolo inaugurale è Lo zar Fedor Ioannovic di Tolstoj (14 ottobre 1898), che suscita grande interesse per la forza dell’interpretazione, la ricchezza di scene e costumi, la precisione naturalistica dell’insieme. Pochi mesi dopo la drammaturgia contemporanea trionfa con Il gabbiano di Cechov: il pubblico scopre un nuovo modo di recitare, interiore, intenso, che lo coinvolge e lo stimola. Fino al 1905 il Teatro d’Arte diventa un punto di ritrovo dell’intelligencija progressista, che si riconosce nelle scelte di repertorio e nell’impostazione degli spettacoli: diventano autentici eventi non solo i nuovi testi di Cechov (Zio Vanja , 1899; Tre sorelle , 1901; Il giardino dei ciliegi , 1904), ma gli aggressivi drammi del giovane Gor’kij, scoperto e incoraggiato da Nemirovic-Dancenko (Piccoli borghesi e Bassifondi , entrambi del 1902, I figli del sole 1905) e del vecchio ma ancora battagliero Tolstoj (La potenza delle tenebre 1902). Accanto ai compatrioti, due contemporanei ormai consacrati: Hauptmann (La campana sommersa , 1898; Il carrettiere Henschel e Anime solitarie , 1899; Michael Kramer 1901) e Ibsen (Hedda Gabler 1899, Quando noi morti ci destiamo e Un nemico del popolo , 1900; L’anitra selvatica , 1901; Le colonne della società , 1903; Spettri , 1905; Brand in occasione della morte dell’autore nel 1906). A partire dal 1905 Gor’kij si allontana per contrasti ideologici e il teatro si apre allo stile `convenzionale’ e alla drammaturgia simbolista (Maeterlinck con I ciechi , 1904, L’uccellino azzurro , 1908; Hamsun con Il dramma della vita , 1907; Andreev con La vita dell’uomo , 1907; Anatema , 1909; Ekaterina Ivanova , 1912; Il pensiero 1914) e a un regista lontano dalla tradizione realista come Gordon Craig (Amleto di Shakespeare nel 1910, regia in collaborazione con Stanislavskij). Ma ben presto i due direttori si rendono conto che la vera vocazione del teatro sta nella ricerca approfondita di un rigoroso realismo psicologico: lo conferma il ritorno ai classici, con alcuni spettacoli riuscitissimi (Boris Godunov di Puškin, 1907; Un mese in campagna , 1909, e Pane altrui , 1912, di Turgenev, I fratelli Karamazov , 1910; Nikolaj Stavrogin (I demoni) , 1913, e Il villaggio di Stepancikovo , 1917, da Dostoevskij, Anche il più saggio ci casca di Ostrovskij, 1910; Il malato immaginario di Molière, 1913; La locandiera di Goldoni, 1914).

Tuttavia Stanislavskij, sempre in cerca di verifiche e di nuove prospettive, apre nel 1912 il 1 Studio (a cui pochi anni dopo si aggiungeranno il 2 e il 3 ), dove con giovani collaboratori e attori, sperimenta tecniche registiche diverse da quelle ormai consolidate nel teatro. La rivoluzione d’Ottobre coglie di sorpresa il teatro, considerato sino al 1917 una tra le più riuscite istituzioni della borghesia progressista: Stanislavskij e Nemirovic-Dancenko accettano il nuovo regime ma non riescono ad adattare alla nuova situazione politica e culturale il repertorio. Per alcuni anni il teatro attraversa un periodo di crisi: attaccato dalla critica militante, deriso dalle avanguardie, continua senza mutamenti con il suo tradizionale repertorio. Nel 1922-24, dopo due nuove regie di scarso successo (Caino di Byron, 1920 e Il revisore di Gogol’, 1921) Stanislavskij compie, con parte della compagnia, una trionfale tournée in Europa e America portando i maggiori successi prerivoluzionari ma aumentando il prestigio del teatro. Al ritorno, con cautela (non firma gli spettacoli, li fa dirigere da giovani registi con la sua supervisione), Stanislavskij si apre al repertorio sovietico con uno spettacolo che ottiene grande successo e viene definito « Il gabbiano della nuova era»: I giorni dei Turbin di Bulgakov (1926). Seguono Il treno blindato 14-69 di Visnevskij (1927), I dissipatori e La quadratura del cerchio di Kataev (1928), Untilovsk di Leonov (1928), Il blocco di V. Ivanov (1929), La paura di Afinogenov (1931), Il pane di Kirson (1931), Ljubov’ Jarovaja di Trenev (1936), La terra di Virta (1937). Contemporaneamente continuano le messinscene di classici, certamente più riuscite rispetto a quelle degli autori sovietici: Il matrimonio di Figaro di Beaumarchais (1927), Anime morte da Gogol (1932), che sono le due ultime grandi regie di Stanislavskij, L’uragano di Ostrovskij (1934), Tra la gente (1933), Egor Bulycov e altri (1934) e Nemici (1935) di Gor’kij, riavvicinatosi al teatro dopo molti anni grazie agli sforzi di Nemirovic-Dancenko, Resurrezione (1930) e Anna Karenina (1937) da Tolstoj, Che disgrazia l’ingegno di Griboedov (1938) e Tre sorelle di Cechov (1940), tutte regie esemplari di Nemirovic-Dancenko, che rimane, dopo la scomparsa di Stanislavskij nel 1938, a capo del teatro fino alla morte nel 1943.

Durante la guerra il teatro viene evacuato a Saratov, dove continua l’attività mettendo in scena opere di carattere propagandistico ( Il fronte di Kornejcuk, 1942; Gente russa di Simonov, 1943; Gli ufficiali della flotta di Kron, 1945). Nel dopoguerra il teatro attraversa un periodo di crisi dovuto alla scomparsa dei due direttori e alla difficoltà, nel periodo più duro della dittatura staliniana, di operare valide scelte di repertorio. Tra gli allievi di Stanislavskij e Nemirovic-Dancenko, si distinguono I. Sudakov, N. Gorcakov, M. Kedrov, V. Stanicyn, B. Livanov, V. Bogomolov, che collaborano sia alle regie sia alla direzione artistica. Nei grigi anni ’50 continuano sia le messinscene di autori sovietici ( Giorni e notti di Simonov, 1947) sia le riprese di classici ( Zio Vanja di Cechov, 1947 e I frutti dell’istruzione di Tolstoj, 1951, due interessanti regie di Kedrov). Dopo la morte di Stalin, nel periodo del cosiddetto `disgelo’, c’è qualche segno di maggior coraggio nelle scelte di nuovi testi (La carrozza d’oro di Leonov, 1957; Fiori vivi di Pogodin, 1961; Gli amici e gli anni di Zorin, 1963). Si torna ai classici con entusiasmo (Maria Stuarda di Schiller, 1957; Racconto d’inverno di Shakespeare, 1958; I fratelli Karamazov , 1960). Nel 1970 diventa direttore del teatro Oleg Efremov, attore e regista, fondatore nel 1956 del Teatro Sovremennik, il più innovatore tra i teatri moscoviti poststaliniani. Negli anni ’70 e ’80 il repertorio del teatro si apre ad autori occidentali finora mai rappresentati in Urss (Shaw, Ionesco, Anouilh, Miller, Kilty) oltre a proseguire stimolanti riprese di classici (Cechov, Gor’kij, con qualche ricostruzione `storica’ di spettacoli dell’inizio secolo come L’uccellino azzurro di Maeterlinck) e interessanti proposte di autori russi delle ultime generazioni (A. Galin, L.S. Petruševskaja, M.M. Rošcin). A metà degli anni ’80 viene costruita una nuova grande sala dedicata a Gor’kij: così, a partire dal 1987, il teatro ha due sedi, quella storica dedicata a Cechov (di cui resta direttore Efremov) e la nuova (affidata all’attrice Tat’jana Doronina).

Mauri

Conosce il successo di pubblico e di critica con F. Brusati, insieme al quale scrive nel 1959 Il benessere . Successivamente compone una serie di drammi storici. Il suo testo più celebre, quello che mette in evidenza il suo stile multiforme, è Lezione d’inglese , del 1977. Altri titoli: La Giovanna di Dio (1964), L’isola (1966), Che cosa è il fascismo (1971).

Maksimova

Nel 1958, terminato l’Istituto coreografico di Mosca, entra al Teatro Bol’šoj dove resta sino al 1988. Ancora allieva dell’Istituto interpreta la parte di Maša in Schiaccianoci , nella versione di V. Vajnonen. Al Bol’šoj è la prima interprete di Schiaccianoci (1966), Spartaco (1968), La bella addormentata (1973) tutti nella coreografia di J. Grigorovic. Affronta inoltre gran parte del repertorio russo e sovietico: Il fiore di pietra , Le fiamme di Parigi , Paganini , La fontana di Bachcisaraj , La notte di Valpurga , Cenerentola , Petruška , Don Chisciotte , Giulietta e Romeo , Anjuta (coreografia di Vladimir Vassil’ev, 1986). Protagonista di molti film di danza realizzati per la televisione ( Galatea , Vecchio Tango , Anjuta ), col marito Vasil’ev è interprete delle danze in Traviata , il film di Zeffirelli, su coreografia di Alberto Testa. Ballerina brillante e di grande femminilità, cresciuta secondo le migliori tradizioni del balletto classico, è dotata di leggerezza nel salto, di ottima tecnica virtuosistica, di grazia naturale e morbidezza delle linee. Apprende i ruoli più drammatici (per esempio Giselle ) alla scuola di Galina Ulanova. Per decenni costituisce coppia fissa in palcoscenico con il marito Vasil’ev. Insieme, negli anni ’60 e ’70 impersonano i danzatori modello sovietici, da contrapporre ai `traditori’ Nureyev e Barišnikov che avevano abbandonato il Paese.

Mastroianni

Marcello Mastroianni inizia giovanissimo con comparsate in film negli anni ’40. Più tardi, iscritto alla facoltà di economia e commercio, calca le scene con i gruppi del Centro universitario. Luchino Visconti lo nota subito per la sua «entusiastica inesperienza» e gli affida i primi ruoli di rilievo, già in Rosalinda o come vi piace (1948) e in Troilo e Cressida di Shakespeare e Oreste di Alfieri (1949); seguono poi ruoli importanti in Un tram che si chiama desiderio (1949) di Williams, Morte di un commesso viaggiatore (1951) di Miller, La locandiera (1952) di Goldoni, Le tre sorelle (1952) e Zio Vanja (1956) di Cechov. Nel frattempo il cinema a cui dedicherà gran parte della sua attività e le sue più belle interpretazioni, anche in ruoli comici, gli darà risonanza internazionale sia come simpatia, capacità e varietà interpretativa sia come simbolo italiano di sex-appeal. E M. saprà portare con molto garbo e ironia il peso e il ruolo di questa sua `leggenda di attore’, Fellini farà di Marcello il suo interprete ideale (La dolce vita, 1960; 8 e mezzo, 1963; La città delle donne, 1979; Ginger e Fred, 1986), una sorta di alter-ego cui affidare figurativamente proiezione autobiografica e idealizzazione fantastica.

Mastroianni torna in teatro nel 1966 nel personaggio di Rodolfo Valentino, Ciao Rudy, la commedia musicale di Garinei e Giovannini; e nel 1984 in un duetto indimenticabile con Natasha Parry per la regia di Peter Brook in Cin Cin al Teatro di Montparnasse a Parigi. Grandissima è la sua interpretazione, nel 1987, in Partitura incompiuta per pianola meccanica, quando viene diretto dal regista russo Nikita Michalchov che già aveva diretto il film omonimo (1976), sempre ispirato al Platonov cecoviano; ma è nel palcoscenico che recupera la lezione giovanile di Visconti filtrandola con il suo innato umorismo. Umorismo che, maturato e venato di consapevolezza esistenziale, trasferirà con toni sottili e melanconici nell’ultima sua interpretazione, quella dell’anziano pensionato che chiude con la vita in Le ultime lune di Furio Bordon, recitato dal 1994 fino a pochi mesi prima di morire.

Monte

Formatasi con Agnes De Mille e Martha Graham, nella cui compagnia è solista per otto anni, danza anche con Lubovitch, Pilobolus e altri. La sua prima creazione è Treading (1979), inserito poi nel repertorio della compagnia di Ailey (1982) che le commissiona Pigs and Fishes . Nel 1981 fonda con David Brown un suo gruppo per cui crea, fra l’altro: Feu Follet , Dreamtime , New York Moonglow , The World Upside Down , Labess , Volkmann Suite . La sua cifra di autrice è dinamica, energica nonché attenta, nei contenuti, alle tematiche delle minoranze e dei diversi.

Mollica

Inizia in compagnie di repertorio. Dopo circa dieci anni di attività nel 1965 fonda la Compagnia stabile di prosa di Messina. Seguono allestimenti di classici come I Viceré di De Roberto, alcuni spettacoli tratti dalle commedie di Plauto e testi del repertorio contemporaneo: soprattutto Pirandello e Ionesco.

Martinelli

Marco Martinelli è fondatore insieme alla moglie Ermanna Montanari, Luigi Dadina e Marcella Nonni del Teatro delle Albe. La sua attività ha inizio nel 1977 quando insieme a Montanari avvia il suo apprendistato teatrale lavorando in diversi gruppi e allestendo testi di Beckett, Büchner, Campanile. La sua drammaturgia è caratterizzata da una forte narratività che attinge dai registri del comico e del tragico per riscrivere la realtà quotidiana e calarla in personaggi autentici. I suoi testi infatti sono spesso scritti quasi su misura degli attori. Autore di notevole sensibilità artistica, M. è caratterizzato da una scrittura di una levità quasi ingenua ma al contempo incisiva e di grande forza espressiva. Tra i lavori più significativi Ruh. Romagna più Africa uguale (1988), Siamo asini o pedanti? (1990), I refrattari (1992) e I ventidue infortuni di Mor Arlecchino (1993), rielaborazione goldoniana che ha avuto molta risonanza in Italia e in Europa e tradotta in diverse lingue, centrata sulla singolare figura di un Arlecchino africano. Operazione significativa, voluta da Martinelli, è stata l’acquisizione nella compagnia delle Albe di attori senegalesi e la collaborazione con altre realtà teatrali quali il Kismet Opera di Bari e Tam Teatromusica di Padova con cui ha realizzato All’Inferno (1996), un affresco da Aristofane, splendido esempio di meticcio teatrale nel quale musiche, lingue e dialetto si sposano in una sintesi di alto valore artistico-comunicativo. Con instancabile vitalità espressiva, Martinelli ha partecipato a numerosi progetti e convegni internazionali di teatro, a Lisbona, Copenaghen, Stoccolma, Cambridge. Nel 1991 è stato nominato direttore di Ravenna Teatro, centro per la ricerca teatrale attivo al Teatro Rasi di Ravenna, in cui opera stabilmente il Teatro delle Albe, insieme alla Compagnia Drammatico Vegetale. Nel 1995 vince il premio Drammaturgia In/Finita, promosso dall’università di Urbino, con il testo Incantati , una parabola sul gioco del calcio nella periferia romagnola. Nel 1996, in qualità di direttore artistico, ritira per Ravenna Teatro il premio Ubu per l’impegno e la ricerca linguistica, mentre nel 1997 vince il premio Ubu per la drammaturgia di All’Inferno . Il suo ultimo lavoro, Perhinderion , di cui è coautore insieme al poeta Nevio Spadoni, ha debuttato nel luglio 1998 al Teatro Rasi di Ravenna. Sospeso tra il libero esercizio del fantastico e la cruda realtà della terra di Romagna, il testo di M. ha per tema principale l’ossessivo rapporto tra madre e figlio. Sacralità e senso del profano per questa ultima operazione di M. nata sotto l’ala di Alfred Jarry a cui si è ispirato (Les jours e les nuits e L’amour absol) e nei continui rimandi al dialetto, che rendono mirabilmente il nucleo emotivo dei luoghi in cui è ambientato. Spettacolo onirico in cui il triplice omicidio `officiato’ sulla scena dai figli, amanti sacrileghi, di madri-Madonne, riconduce al bisogno iterativo di ogni uomo di liberarsi dai retaggi infantili e al contempo prende le distanze dall’assunto teologico cristiano.

Massimini

Sandro Massimini è stato un personaggio dello spettacolo `pronto a tutto’, soprattutto a una gran baraonda di idee, nel periodo del boom, compreso il momento clou della moda show di cui l’attore fu il primo ideatore-promotore. Nato a Milano, ma lombardo veneto per la madre veneziana, fu un attore-ragazzo per bene e raffinato. Figlio e nipote affettuoso, nonostante venticinque traslochi di casa e città, ha avuto una carriera divisa in tre tempi, trionfando alla fine nell’operetta, di cui ha svecchiato la struttura e con cui ha festeggiato le nozze d’argento in un allestimento del Paese dei campanelli , record d’incasso. I cromosomi del nipote d’arte gli vengono dal bisavolo, l’attore di chiara fama Ernesto Rossi. «Il teatro è stato il mio colpo di fulmine, debuttai a diciassette anni con Esperia Sperani e Pupella Maggio, per incoscienza di Maner Lualdi che me lo propose» raccontava nelle interviste, tornando agli inizi, quando, complice la rivoluzione del ’68, il cabaret fece un salto di qualità e quantità, specie a Milano. Il giovane Massimini ebbe la prima scrittura da Elvio Calderoni, re dell’operetta di allora (in cartellone Madama di Tebe e La danza delle libellule ), ma si trattò di un episodio casuale. Il suo mondo era quello del Derby Club, di Vaime, Cobelli, Bajini, Franceschi, Nebbia e gravitava intorno al teatro bomboniera Gerolamo, i cui spettacoli erano scritti dal meglio dell’intellighenzia dell’epoca, Flajano, Mauri, Bompiani, Carpi, Eco. Un bellissimo mondo teatral letterario, dove Massimini debuttò nel 1964-65 con Tanto di cappello , regia di Filippo Crivelli, con la giovanissima Mariangela Melato, testo in cui Eco faceva appunto l’elogio della sua barba a spolvero. Massimini si afferma con Più crudele di Venere di Vaime, indi scrive e interpreta, sdoppiandosi en travesti , uno sketch di successo radical chic, l’epistolario tra due scrittori `off’, Domenico Campana e Sibilla Aleramo; poi, nel secondo tempo, c’era Carmelo Bene che recitava Majakovskij. Tra le altre novità porta il teatro sotto il tendone del circo Medini, imitando il Gassman dell’ Adelchi , ma vi recita Il salto morale . Quattro mesi di esauriti, cui si aggiunge l’anno dopo, con altri testi di Marchesi, Terzoli e Vaime, Il doppio salto morale . Intanto, il secondo tempo, va dal ’65 al ’75: deluso dal teatro, gira mezzo mondo, Tokyo, Parigi, Roma, New York, allestendo le sfilate di moda come dei veri e propri show, pieni di luci, coreografie, trovate da rivista; quando lascia la partita è solo per saturazione dell’ambiente. Con lui nacque la moda show, in anticipo su stilisti e top model. Il terzo atto della carriera inizia quando, nel ’70, Vito Molinari e Fulvio Gilleri lo scritturarono proprio nel Paese dei campanelli e proprio nel regno incantato del genere, il mitteleuropeo festival di Trieste. Massimini conquistò i primi successi facendo La Gaffe nel testo di Lombardo e Ranzato e Sigismondo in Al cavallino bianco di Benatzky-Stolz.

Massimini decise di riabilitare l’operetta, di farne un genere da `modernariato’ rispettando ogni professionalità, soprattutto vocale. Passò così sedici anni a Trieste e otto in compagnia da capocomico, garantendo le sue qualità di attore gentile, discreto, di sicuro effetto. Partì dalla Principessa della Czarda , poi allestì molti titoli classici ma anche scoperte, cercando di far uscire quel teatro dal museo generazionale delle buone cose di pessimo gusto come la cipria e il rosolio. Nel ripassare i testi eliminò le zone morte, le battute superate e quel po’ di volgarità coatta, avvicinandosi al musical. Diventa così il nuovo `re’ dell’operetta, cui un pubblico fedele e non giovanissimo (ma c’è un ricambio anche di gusti e di età) perdona le basi registrate, quando l’orchestra dal vivo comincia a costare troppo. Negli ultimi anni allestì anche due musical in grande stile, My Fair Lady (1992-93) e la riduzione del film di Edwards Victor Victoria (1993-94), ma l’ultimo spettacolo che lo vede in scena, mentre una grave malattia minava il suo entusiasmo, è ancora e sempre Il paese dei campanelli , recitato con un po’ di karaoke in platea, impegnata nel refrain collettivo “Luna tu”. Negli anni di capocomicato, Massimini alterna il repertorio di Abraham (Vittoria e il suo ussaro, Il fiore di Hawaii, Ball al Savoy), Kálmán (La duchessa di Chicago), Lehár (La vedova allegra , da sempre un best seller); ma affronta anche testi meno consueti e italiani, come quelli di Pietri Acqua cheta e La donna perduta , ben coadiuvato da cast in cui si distinse la bella voce di soprano di Daniela Mazzuccato, che fu a lungo sua partner.

Makaresko

Impegnato nel campo del cabaret come attore (lo ricordiamo sul piccolo schermo con Massimo Troisi ed Enrico Beruschi nel 1978 in Non Stop ) e come autore, M. ha firmato i testi di molti attori come Gigi e Andrea, Massimo Boldi, Gianfranco D’Angelo, e Mario Zucca. Ha scritto inoltre diversi libri, l’ultimo, del 1998, è Quriamo l’itigando .

Maillot

Jean Cristophe Maillot studia danza e pianoforte al conservatorio di Tours e successivamente all’Ecole Internationale di Cannes. Laureato al Prix Lausanne nel 1977, l’anno successivo viene scritturato da Neumaier al Balletto di Amburgo dove diventa solista. Nel 1983 è chiamato a dirigere il Balletto di Tours, che nel 1989 diventa Centre Chorégraphique National; per questa giovane compagnia realizza una ventina di balletti, tra i quali Cliché e un Juliette et Roméo che presenta a Parigi (1986) al Théâtre de la Ville e che sarà più volte ripreso. Firma anche lavori per la Jeune Ballet de France, la Ballet du Rhin, il Balletto dell’Opera di Roma, il Nederlands Dans Theater e altri complessi. Dal 1993 è alla guida dei Ballets de Monte-Carlo e crea una serie di coreografie neoclassiche che arricchiscono ulteriormente il suo raffinato cammino artistico. Tra queste, Home Sweet Home e Vers un pays sage (1994), Dov’è la luna (1995) in cui declina le sue impressioni di viaggiatore immaginario. Non meno raffinata, Concert d’anges (1996).

Mezzera

Nel 1970 Franco Mezzera è al Piccolo Teatro di Milano dove recita in Santa Giovanna dei macelli di Brecht; seguono La vita è sogno di Calderón; nel 1982 L’anima buona di Sezuan di Brecht, con la regia di Strehler e ancora al Piccolo Il precettore di Jakob M. R. Lenz, per la regia di E. D’Amato. Nel 1986 è allo Stabile di Bolzano in Provaci ancora Sam di W. Allen, regia di A. Salines. Nello stesso anno approda nella compagnia diretta da Ronconi con cui lavora in La serva amorosa di Goldoni (1986) e in Tre sorelle di Cechov (1989). Altri lavori a cui ha partecipato: La passione di Cleopatra di Ahmad Shawqi con la regia di Chérif (1989), La sposa di Messina di F. Schiller (1990), presentato alle Orestiadi di Gibellina. Nel ’91 torna con Ronconi, facendo parte del nutrito cast della Pazza di Chaillot di J. Girardoux. Più recentemente ha lavorato in La moglie saggia di Goldoni, regia di G. Patroni Griffi (1994).

Mamet

David Mamet fu nella sua generazione l’autore che seppe meglio adattare il proprio talento alle esigenze delle scene commerciali, riuscendo spesso a farsi apprezzare sia dalla critica sia dal pubblico. Esordì nel 1971 nella natia Chicago e nel giro di pochi anni vide rappresentare i suoi testi prima nei teatrini off-off, poi off-Broadway, infine a Broadway. Erano testi minimalisti, i cui meriti maggiori consistevano nella capacità di creare personaggi attendibili, di riprodurre il lessico e i ritmi del linguaggio contemporaneo, oscenità comprese, di svolgere esili trame in scene brevi e compatte che finivano per renderle singolarmente suggestive. Il suo mondo di piccoli uomini senza spessore, visti nella loro solitudine disperata e nella loro impotenza che cercavano di esorcizzare atteggiandosi da duri, trovò la prima espressione importante in Perversione sessuale a Chicago (Sexual Perversity in Chicago, 1974), una serie di variazioni a quattro personaggi sul tema del sesso, più discusso che praticato. Vennero poi i successi di American Buffalo (1977), il primo dei suoi drammi approdato a Broadway, nel quale tre criminali di mezza tacca progettavano, del tutto a vuoto, un furto importante; di A Life in the Theatre (1977), composto di incontri e scontri in scena e fuori di due attori, l’uno vecchio e in declino, l’altro giovane e in ascesa; di Glengarry Glen Ross (1983), sulle inquietudini e le frustrazioni di un gruppo di impiegati in un’azienda che progettava una riduzione del personale; di Speed the Plow (1988); di Oleanna (1992) e di Il crittogramma (The Cryptogram, 1994), dove un ragazzo di undici anni non riusciva a distinguere il mondo dei suoi sogni dalla realtà della sua vita. Dai tardi anni ’80, Mamet alternò all’attività di drammaturgo quella di sceneggiatore e occasionalmente regista cinematografico ( La casa dei giochi, 1987; Homicide, 1991).

Montet

Bernardo Montet ha trascorso in Africa parte dei suoi giovanissimi anni cosa che lo influenzerà molto. Nel 1979 è al Mudra di Bruxelles. Qui lega con Catherina Diverrés con la quale nel 1982 si reca in Giappone alla Scuola di Kazuo Ohno. Di ritorno in Francia nel 1983 creano lo studio DM realizzando vari lavori nei quali mettono a frutto le loro varie esperienze e una concezione alquanto personale della danza. Tra i suoi titoli Le rêve d’Hélène Keller (1984), una serie di `a solo’ tra i quali Indigo (1986), La chute de la maison de carton (1986), Pene de singe (1987), Au crépuscule (1993). Ancora Issé Timossé (titolo in lingua Ibo nigeriana), lavoro vagamente ispirato alla figura di Sant’Antonio nel deserto. Del 1995 è Marguerite (de l’oubli) e del 1996 Cirque . Dirige, dal 1995 il Centre Choréographique National de Rennes et Bretagne insieme a C. Diverrés.

Marijinskij, Teatro

Nasce a San Pietroburgo (1783) come sede della compagnia d’opera e di balletto della città. Nel 1860 il teatro viene ricostruito e inaugurato con il nome di M.; il primo balletto è stato presentato nel 1880, l’attività regolare è cominciata nel 1889. Dopo la rivoluzione d’Ottobre il suo nome è divenuto Gatob (abbreviazione di Teatro Accademico di Stato d’Opera e Balletto) e dopo l’assassinio del capo del partito comunista S.M. Kirov è stato intitolato a suo nome. Il massimo splendore della compagnia si è avuto durante il periodo zarista, quando M. Petipa è diventato prima primo ballerino e poi direttore. Qui sono nate le straordinarie coreografie di La bella addormentata , Schiaccianoci , Il lago dei cigni e Raymonda , nate dalla collaborazone di Petipa con Cajkovskij e Glazunov, e qui si sono formati gli straordinari ballerini russi che hanno dominato la scena mondiale tra Ottocento e Novecento: P. Gerdt, O. Preobrajenska, M. Kšesinskaja, V. Trefilova, A. Pavlova e V. Nijinskij. Furono proprio questi danzatori che, da soli o nella compagnia dei Ballets Russes di Diaghilev, stupirono l’Occidente. A questi nomi seguirono altri grandissimi del balletto, da Fokinea Balanchine, da Nureyev a Barišnikov.

Mahdaviani

Invitata da Balanchine a far parte del New York City Ballet, vi danza ruoli principali per tredici anni nei titoli di repertorio e in creazioni come The Newcomers (1988), Dance Preludes e Untitled (1991), Images (1992), Urban Dances (1997). Collabora con il Jacob’s Pillow Festival e con la School of American Ballet, dove insegna. Vincitrice dell’American Choreographer’s Award, debutta in Europa con Images , rimontato per il MaggioDanza fiorentino (1994). Nelle sue creazioni, utilizza di preferenza lo stile classico-moderno secondo la tradizione del balletto concertante balanchiniano.

Mrozek

Debutta come giornalista nel 1950, nel 1957 pubblica la raccolta di racconti L’elefante (Slon), nel 1958 esordisce in teatro con La polizia (Policja), un apologo ambientato nell’Ottocento sotto cui non è difficile scorgere una pesante satira del mito marxista dell’`estinzione dello stato’ a seguito del raggiungimento del comunismo. A La polizia seguono Il martirio di Piotr Ohey (Meczenstwo Piotra Oheya, 1959), Il tacchino (Indyk, 1960), feroce satira della società polacca della `piccola stabilizzazione’ e allo stesso tempo denuncia dell’inadeguatezza e del corrompersi dei luoghi comuni del `romanticismo nazionale’, la trilogia di atti unici In alto mare (Na pelnym morzu), Strip-tease e Karol (1961), dove con l’aiuto di situazioni parodistiche M. riproduce sulla scena i processi di mitologizzazione e mistificazione della quotidianità elaborati per mascherare l’aggressività, l’intolleranza, il conformismo. La festa (Zabawa, 1961) contamina l’attesa metafisica di Aspettando Godot , con una ripresa ironica di tematiche sviluppate dal drammaturgo modernista Stanislaw Wyspianski in Le nozze (Wesele). La prima fase della produzione scenica di M. prosegue con Moniza Clavier (1963), Morte di un colonnello (Smierc porucznika, 1963), dove viene nuovamente posto ad analisi critica il mito romantico dell’eroismo obbligatorio, ed è coronata da Tango (1968), dramma satirico composto in Italia, amaramente irridente gli inevitabili esiti terroristici e autoritari dei movimenti di protesta giovanile. Analogo scetticismo nei confronti della rivolta dei giovani occidentali è espresso in Il sarto (Krawiec, scritto nel 1964, pubblicato nel 1977), dove la cultura viene paragonata alle mode nell’abbigliamento, e in Un caso fortunato (Szczesliwe wydarzenie, 1973). Il radiodramma Il macello (Rzeznia, 1973) testimonia un nuovo stile, un teatro delle crudeltà in cui non mancano i riferimenti alle opere di Stanislaw Ignacy Witkiewicz. M. testimonia qui il suo rifiuto di ogni scelta estremista e irreversibile in cui le contraddizioni dell’esistere siano ridotte a falsi dilemmi, tra natura e cultura, arte e vita, convenzione e invenzione, ordine e ribellione. In Gli emigranti (Emigranci, 1974) M. ricostruisce il dramma personalmente sperimentato (è esule, dapprima in Italia, poi in Francia) di chi è lontano dalla propria terra, riuscendo a evitare il vittimismo emigré nella sottolineatura dell’`uso masochistico’ che del libero arbitrio fanno gli esiliati polacchi, «abitatori senza speranza e dignità dei sottoscala delle metropoli opulente» (L. Gambacorta). Con Il gobbo (Garbus, 1975) M. ritorna alla satira delle velleità sovversive dell’ intelligencja europea fin de siécle , vezzeggiate e coltivate da una borghesia e un’aristocrazia inconsapevoli della catastrofe imminente. Momentaneamente accantonato il teatro (eccezion fatta per Vatzlav , una commedia del 1979 sull’utopistica ricerca di valori fondamentali in una situazione di assoluto relativismo morale e gnoseologico) a favore della stesura di sceneggiature cinematografiche da lui stesso trasferite su pellicola ( L’isola delle rose , Wyspa roz, 1975; Amor , 1979) e di brevi scritti critici ( Piccole lettere , Male listy, 1982), M. ritorna al dramma sotto la spinta dei drammatici eventi del 1981 (lo scioglimento di Solidarnosc e l’introduzione della legge marziale da parte del generale Jaruzelski) con la pièce a chiave Alfa (1984), nel cui protagonista è facile identificare Lech Walesa, e con Il ritratto (Portret, 1987), dove per la prima volta il drammaturgo evoca apertamente sulla scena il fantasma di Stalin, in una resa dei conti con la propria giovanile adesione all’ideologia totalitaria. Tra gli ultimi lavori sono da menzionare Le vedove (Wdowy , 1992), rappresentato per la prima volta in Italia, a Siena, e Un amore in Crimea (Milosc na Krymie, 1993).

Murphy

Negli anni ’60 insieme a Friel, Kilroy e Leonard viene considerato il rappresentante della nuova generazione che possiede un po’ dell’antica energia e della forza d’impegno del teatro irlandese. Sempre in quegli anni si trasferisce a Londra ma già nel ’70 torna (come Leonard e molti altri) per stabilirsi a Dublino, in seguito al Currency Act: decreto emanato dal ministro C. J. Haughey grazie al quale gli scrittori godevano di particolari condizioni fiscali. A Whistle in the Dark (1961) è il primo dei suoi lavori, in cui combina la tradizione gaelica dello `storytelling’, con la pietà cattolica e il paganesimo del folklore, il tutto nel rigoroso rispetto dell’unità aristotelica e con l’intento di proporre lo scontro tra le forze senza tempo della storia e della tradizione con quelle del contemporaneo all’interno della realtà irlandese. Seguono tra gli altri: Famine (1968) dramma epico a carattere nazionale; The Gigli Concert (1983) dove l’Irlanda degli anni ’80 è posta a confronto con ideali ormai svaniti; Bailegangaire prodotto dalla Druid Theatre Company con la regia di Garry Hynes nel 1985, vincitore di premi come il Harvey’s Best Play e il Sunday Tribune Theatre e riproposto al Royal Court nel 1997; A Thief of a Christmas , (1985) che deve moltissimo in termini formali alla passione operistica dell’autore; The Patriot Game (1991) che tratta della questione dell’Irlanda del Nord e che è apparso in occasione del 75 anniversario del Massacro di Pasqua nonostante si fosse deciso quell’anno di non tenere alcuna celebrazione pubblica.

McGuinness

Nasce in un territorio di tradizione nazionalista e ciò nonostante dimostra nella sua scrittura una particolare quanto rara abilità camaleontica che gli permette di cambiare punto di vista sia che si tratti di politica che di questioni di genere: Factory Girls , il suo primo dramma, sebbene ambientato nel territorio d’origine, non tocca il tema del nazionalismo ma si concentra su le donne, il potere, la solidarietà. Tuttavia la sua tematica rimane legata alla questione dell’Irlanda del nord, più o meno palesemente affrontata. Ottiene un grande successo e diversi premi della critica nell’85 con Observe the Sons of Ulster Marching Towards the Somme : dramma storico raccontato dal punto di vista unionista, che mostra l’ambivalenza inerente al processo stesso di auto-identificazione nazionale. Tra gli altri suoi lavori: Innocence (1986); Carthaginians (1988); Someone Who’ll Watch Over Me (1992) e il più recente Mutabilitie (commissionato e messo in scena al National Theatre per la regia di T. Nunn, 1997) dove viene esplorato il rapporto tra irlandesi e inglesi, tra vittima e carnefice, tra due diverse culture a confronto-scontro alla fine del XVI secolo.

Morganti

Intorno alla metà degli anni ’70 frequenta la scuola del Teatro stabile di Genova dove incontra Carlo Cecchi e decide di seguirlo abbandonando la scuola e partecipando agli allestimenti del Borghese gentiluomo e del Don Giovanni di Molière sotto l’egida della compagnia Granteatro. I maestri a cui in questo periodo di formazione fa riferimento sono, oltre a Cecchi, l’unico con cui ha lavorato, Leo De Berardinis, da cui mutua i concetti di interazione consapevole e attiva del gesto teatrale con il pubblico e dell’irripetibilità dell’accadimento teatrale, e Carmelo Bene, che per M. realizza il modello perfetto di attore, soprattutto nella funzione sacerdotale e quasi sciamanica che lo eleva a intermediario irrinunciabile e originale dei testi e in particolare dei classici visitati senza soggezione, con estrema libertà `ri-creativa’. Echi di Artaud e di Peter Brook confluiscono nella sua concezione di teatro che, attraverso Cecchi, può confrontarsi con autori come Pinter, Majakovskij, Büchner, Pirandello, ma anche Petito e Shakespeare. Alla ridefinizione del senso e della funzione del fare teatro, emergenza molto acuta alla fine degli anni ’70, M. partecipa con l’avventura di Katzenmacher (1980), cruda ed emozionante opera prima che darà il nome alla compagnia fondata con Alfonso Santagata. Il sodalizio durerà fino alla stagione 1993-94, con quattordici allestimenti, tra cui Il calapranzi (grande successo di pubblico che debutta nel 1984, anno in cui ottiene il premio Ubu e quello della critica) e Il guardiano (1992), entrambi di Harold Pinter, Finale di partita di Samuel Beckett (1990), e testi tratti dall’opera di Büchner ( Büchner, mon amour ), Cervantes ( Saavedra ), Dostoesvkij ( Omsk) . Ispirati a un’idea di teatro non rassicurante, gli spettacoli della coppia (che Nanni Moretti vorrà nel cast del suo Palombella rossa e che, nel 1987, è protagonista di uno dei più significativi esperimenti di teatro in carcere: Andata e ritorno , allestito con i detenuti della casa circondariale di Lodi) attraversano con coraggio e viscerale partecipazione poetica le inquetudini dei nostri giorni. Ma l’intensità e l’essenzialità di quella esperienza prosegue, dal ’94 in poi, nel percorso individuale di Morganti col Progetto ShakespeareStudio per Riccardo III , Riccardo Vs (Versus) Amleto , III Riccardo III , La scena del Consiglio -, il Progetto Alfred Jarry , Tempeste – Spettacolo d’arte varia , Tre atti per contrabbasso (1998), fino alle recenti `letture’ shakespeariane come La morte di Giulio Cesare (Santarcangelo ’98).

marionetta

La differenza fra la marionetta e il burattino non è soltanto morfologica. Il teatro con le marionette e il teatro dei burattini, pur con elementi in comune, non soltanto appartengono a due tradizioni differenti, ma esprimono due modi talora antitetici di `far teatro’. Per la sua struttura a figura intera e i sistemi, anche complessi, che la pongono in movimento, la marionette ha possibilità `realistiche’ infinitamente superiori a quelle del burattino. Di conseguenza anche il repertorio dei due generi è sempre stato molto differenziato, con una vicenda aristocratica (fin da XVIII secolo) e poi borghese il teatro con le marionette, con una vicenda popolare e di piazza quello dei burattini. Il teatro con le marionette ha subito cercato, fin dall’inizio della sua storia, di replicare il più possibile il teatro `maggiore’, sia quello in prosa che quello con musica, con realizzazioni complesse per scene ed effetti, ricche di costumi ed attrezzeria, non in piazza ma presso le famiglie aristocratiche prima, e teatri stabili poi. L’ambizione delle compagnie marionettistiche maggiori è sempre stata quella di ripresentare gli spettacoli offerti al momento dai teatri `veri’, innanzi ad un pubblico tutt’altro che popolare. Le marionette si presentano così quali oggetti raffinati e ben costruiti, con abiti ben curati e, se necessario, sontuosi, in più d’un caso realmente preziosi. Nel corso dell’Ottocento, allorché si manifesta una prima crisi di questo genere presso il pubblico urbano e borghese, alcune compagnie si dedicano a giri in provincia e nei paesi, con spettacoli certo più popolari. Ma l’iniziativa non salva le marionette dalla crisi definitiva. All’indomani della seconda guerra mondiale non sopravvivono in Italia che due compagnie, i Colla a Milano, i Lupi a Torino. I Colla vengono espulsi dalla loro sede storica e potranno riprendere la loro attività dopo parecchi anni, sotto la guida di Eugenio Monti; i Lupi vedono cadere in fiamme il loro teatro per i bombardamenti e riusciranno a sopravvivere fino a noi attraverso molte traversia e difficoltà.

Mazzamauro

Interprete comica e brillante, dopo una serie di esperienze teatrali Anna Mazzamauro raggiunge il successo nel cinema, nella parte della signorina Silvani, in Fantozzi (1975) e seguiti. Negli anni ’70 lavora con Oreste Lionello e Lino Banfi nel cabaret e crea il personaggio della Signorina Tina. Parallelamente ha un’intensa attività teatrale, alternando cabaret e teatro comico, portando in scena la galleria dei suoi personaggi presi anche dalla cronaca. Di questo genere degno di nota è Brutta e cattiva (1983), una galleria di donne impetuose e bizzarre. Importante la sua interpretazione in Annie dei vagabondi di James Prideaux, a cui segue La parigina di Henry Becque (1996). Interessante ed efficace è la sua interpretazione di Raccontare Nannarella , per la regia di Aldo Trionfo e Franco Però, in cui presenta, anche attraverso scritti autobiografici, la vita di Anna Magnani.

Mastelloni

Il debutto di Leopoldo Mastelloni è stato televisivo, nel 1977, nel varietà Bambole non c’è una lira , in cui interpretava la parte di un cantante di avanspettacolo. L’attività televisiva si interruppe bruscamente nel 1984, con Blitz , a causa di una `bestemmia’ sfuggitagli in diretta. In teatro, M. si è costruito un ruolo di bizzarro e estroso fantasista `en travesti’, interprete caustico e satirico di personaggi maschili e femminili, in preda a nevrosi e ossessioni, alternando a brani musicali monologhi di cui è anche l’autore. Si ricordano, tra gli altri: Ottavia ovvero indifferentemente (1985), con la regia di D. Mele e la partecipazione di Angela Pagano; Macabé (1987), insieme a Ursula von Baechler; Senza impegno (1988) con Franco Acampora; Cuore ingrato (1989); Passerotto (1996); Sorelle, madri, spose… (1997). Infine non si possono dimenticare i ruoli drammatici nella trilogia pirandelliana del `teatro nel teatro’ diretta da G. Patroni Griffi (Sampognetta e Hinkfuss).

MacLaine

Sorella maggiore di Warren Beatty, Shirley MacLaine ha una madre ex attrice e ballerina che la incoraggia verso la danza fin dalla più tenera infanzia. Durante gli studi Shirley si esibisce in spettacoli amatoriali con gruppi locali, ma dall’età di sedici anni passa le vacanze a New York frequentando tutte le audizioni. A diciannove anni è scritturata per un musical di Rodgers e Hammerstein, ultimo nome del cast: Me and Juliet resta in scena 358 repliche. L’anno seguente viene scritturata, sempre ultimo nome, per The Pajama Game , ma questa volta è la sostituta di Carol Haney e, come in un film hollywoodiano, la sostituisce quando Haney si frattura una gamba: viene immediatamente notata da un produttore, Hal Wallis, e altrettanto immediatamente messa sotto contratto. La MacLaine lascia il teatro (ci tornerà solo nel 1976) per una splendida carriera cinematografica che dura ancora, con molti film di successo tra i quali due musical: Can-Can di Cole Porter, con Frank Sinatra e Maurice Chevalier nel 1960 e Sweet Charity di Bob Fosse nel 1968-69. La tempestosa quanto generosa personalità della MacLaine si è espressa in molte direzioni: attività politica per il partito democratico, attività umanitaria, viaggiando per il mondo; nel ’73 ha fatto un lungo viaggio in Cina, che ha raccontato in un libro, dal quale ha anche tratto un documentario, A China Memoir (1975) che è stato candidato all’Oscar.

Ha girato sei special tv di canto, danza e intrattenimento, ciascuno premiato con Emmy Award. Ha scritto sei libri, tra il saggio e l’autobiografia, tutti best seller, più un settimo, che è il più profondo e il più interessante My Lucky Star . Da uno dei suoi libri, Out on a Limb , è stata tratta una miniserie televisiva di cui lei stessa è stata protagonista nel 1986. Profonda conoscitrice di filosofia orientale è una convinta assertrice della teoria della reincarnazione, alla quale ha dedicato studi assai approfonditi. Nel 1989, ha registrato una videocassetta (di successo) Shirley MacLaine’s Inner Workout in cui divulga le sue teorie. In teatro è tornata una prima volta nel 1976 con A Gypsy in My Soul , uno sfrenato one woman show di canto e danza, accompagnata da quattro ballerini. Nel 1984 un nuovo show, Shirley MacLaine On Broadway , e ancora, nel ’90, con la solita combinazione di due ballerinoni e due ballerine, Out There Tonight : debutto a Londra, giro negli Usa, Giappone e Australia. L’indomita signora ha ripreso nel ’95 la strada delle tournée in tutto il mondo, tutta sola, con un altro spettacolo, soprattutto di intrattenimento, ma canta anche molte canzoni e accenna un numero di danza: Shirley MacLaine Live! . Non vanno dimenticate le sue apparizioni a fianco di Frank Sinatra in concerti al Radio City Music Hall di New York e al Greek Theatre di Los Angeles.

Musil

Laureatosi in ingegneria a Brno e successivamente in filosofia e psicologia a Berlino, Robert Musil rinuncia sia alla carriera scientifica sia alla carriera di funzionario per dedicarsi all’attività letteraria. Tali scelte, che rimandano alla sua sostanziale contestazione dei valori familiari e borghesi del `probo servitore dello stato’, gli procurarono però costanti preoccupazioni economiche: fino alla morte è costretto a vivere degli scarsi proventi del suo lavoro di scrittore e pubblicista, e soprattutto dell’aiuto di amici e estimatori. Le sue opere maggiori sono i romanzi I turbamenti del giovane Törless (Die Verwirrungen des Zöglings Törless, 1906) e L’uomo senza qualità (Der Mann ohne Eigenschaften). Per il teatro scrisse un dramma e una farsa. Il dramma I fanatici (Die Schwaulmrmer), i cui personaggi costituiscono per la maggior parte un’anticipazione delle figure di L’uomo senza qualità , viene pubblicato nel 1921 e riceve nel 1923, grazie ad Alfred Döblin, il premio Kleist. Ma a una positiva accoglienza dei critici letterari corrispose una totale indifferenza del mondo teatrale. Venne infatti rappresentato soltanto nel 1929 a Berlino con numerosi tagli, per iniziativa di un giovane regista. A determinare questo insuccesso vi sono sicuramente il venir meno di due elementi determinanti per la cultura dell’epoca: l’assenza di una tensione drammatica – i motivi che spingono i personaggi all’azione vengono esposti sin dal principio, i protagonisti recitano una tragedia interiore che si esteriorizza in poche azioni , e la scomparsa di uno dei personaggi principali, Anselm, alla fine del secondo atto. Migliore fortuna teatrale ebbe la farsa Vinzenz e l’amica di uomini importanti (Vinzenz und die Freundin bedeutender Maulmnner) rappresentata a Berlino nel 1923, nuovamente a Berlino nel 1924 (con tournée a Praga) e poi sulle scene a Vienna. Un elemento importante che contraddistingue queste due opere, e che segna una svolta nell’attività letteraria di Musil, è la rappresentazione satirica della realtà. Agli `uomini importanti’, strettamente legati alle `qualità’ che hanno fatto il loro successo, che si integrano senza disagio nel mondo delle convenzioni, i non-visionari su cui Musil riversa la sua satira, egli contrappone `l’uomo della possibilità’, che non si adatta a vivere nella realtà e ha in sé il germe di un altro ordine.

Mauri

Nel 1949 Glauco Mauri entra all’Accademia d’arte drammatica `Silvio D’Amico’. Debutta da professionista nel 1952 nel Macbeth di Shakespeare per la regia di O. Costa. Grande affermazione nel ruolo di Smerdjakov ne I fratelli Karamazov di Dostoevskij nel 1954, regia di A. Barsacq. Nel 1957 lavora con Renzo Ricci ne La lunga giornata verso la notte di O’Neill. Dopo alcuni anni con la Compagnia Proclemer Albertazzi, nel 1961 fonda con Valeria Moriconi, Franco Enriquez, Emanuele Luzzati (e in seguito Mario Scaccia) la Compagnia dei Quattro che rappresenterà Il rinoceronte di Ionesco, testi inediti di Beckett, Pasolini e Max Frisch e poi Marlowe – Brecht, Lorca, Del Buono, Codignola e una famosa edizione de La bisbetica domata di Shakespeare portata poi in tournée in varie città europee. Ha lavorato con i maggiori registi italiani ed è stato protagonista nei maggiori Teatri stabili. Con Luca Ronconi al Bitef di Belgrado, alla Sorbona di Parigi e alla Biennale di Venezia, è stato protagonista nell’ Orestea di Eschilo (1972). Ha interpretato ventiquattro ruoli scespiriani. Nel 1974 scrive, dirige e interpreta I quaderni di conversazione di Ludwig Van Beethoven. Nel 1981, assieme a Roberto Sturno, forma la sua compagnia con un repertorio che comprende sia autori classici che contemporanei. Sue le regie di Edipo re , Edipo a Colono , Filottete di Sofocle; Philoktet di Müller; Re Lear e Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare; Faust di Goethe; Don Giovanni di Molière; Dal silenzio al silenzio , spettacolo di atti unici di Beckett; Il canto dell’usignolo , collage shakespiriano. In ambito cinematografico ha interpretato cinque film tra i quali La Cina è vicina di Bellocchio. In televisione sono da ricordare I Buddenbrook di T. Mann e I demoni di Dostoevskij. Nel 1983 è Ivan in Ivan il terribile di Prokof’ev diretto da Jurij Ahronovitch. Nel 1991 firma la regia del Riccardo II di Shakespeare e nel 1993 quella de L’idiota di Dostoevskij entrambi con il Teatro stabile del Friuli-Venezia Giulia e la sua Compagnia. Nel 1994 cura la regia dello spettacolo Egmont di Goethe con musiche di Beethoven. Nello stesso anno è Martino Lori in Tutto per bene di Pirandello con la regia di Guido De Monticelli, ed è regista ed interprete dell’Edipo (Edipo reEdipo a Colono) di Sofocle. Nel 1996 inaugura la stagione lirica del Teatro comunale di Treviso come regista del Macbeth di Verdi con la direzione di Donato Renzetti. Nel 1997 mette in scena La tempesta di Shakespeare, e nella stagione 1997-98 interpreta Enrico IV di Pirandello con la regia di Scaparro. Nel mese di novembre 1997 è stato nominato direttore artistico del Teatro Olimpico di Vicenza per la 51a stagione di spettacoli classici del festival d’Autunno.

Modica

Ha lavorato con Strehler al Piccolo Teatro per i più importanti allestimenti degli ultimi anni: da Faust, frammenti 1 e 2 (collaborando con J. Svoboda) alla ripresa de I giganti della montagna , e delle Baruffe chiozzotte , da L’isola degli schiavi a Così fan tutte .

Menegatti

Uscito dall’Accademia nazionale d’arte drammatica Beppe Menegatti è aiutoregista di Luchino Visconti nel 1954-56. Lavora poi con Vittorio De Sica, Eduardo De Filippo, Luigi Squarzina e in proprio come regista sia nel campo della prosa che in quello della lirica. Già dai primi anni ’60 si occupa del teatro di danza (Il balletto del festival dei Due Mondi , 1962): interesse che diventa primario grazie al matrimonio con Carla Fracci. Per esaltarne la versatilità interpretativa si dedica all’ideazione di balletti drammatici, trovando spunti sia nella letteratura teatrale (The Macbeths , 1969; Il gabbiano , 1970; Mirandolina , 1983, Il lutto si addice ad Elettra , 1995), sia in quella operistica ( Il vespro siciliano , 1992) sia in biografie di personaggi storici che riadatta in drammaturgie ( Nijinskij memorie di giovinezza , 1989; Alma Mahler G. W. , 1994; Zelda, riservami un valzer , 1998). Ha coadiuvato Carla Fracci nella direzione del corpo di ballo dell’Arena di Verona nel 1996-97 In prosa ha diretto per il Teatro Stabile di Firenze (1963) Nozze di sangue di Lorca, Gioco e Tutti quelli che cadono di Beckett con un gruppo di attori fra i quali P. Borboni, F. Benedetti, L. Alfonsi, B. Galvan V. Gazzolo.

Markova

Allieva dell’Astafieva a Londra, Alicia Markova è entrata nei Ballets Russes di Diaghilev all’età di quattordici anni, creando il ruolo principale nel Rossignol di Balanchine nel 1926 e danzando diversi altri ruoli. Ha studiato anche con Cecchetti e, dopo la morte di Diaghilev nel 1929, è tornata in Inghilterra dove è entrata nel Ballet Rambert, creando ruoli centrali in balletti di Ashton, Tudor e De Valois. Ha danzato anche per la Camargo Society e poi col Vic-Wells Ballet, diventandone prima ballerina. Fra le creazioni di quegli anni (1933-1935), Les Rendezvous di Ashton, The Haunted Ballroom e The Rake’s Progress di De Valois. È la prima ballerina inglese a interpretare i ruoli di Giselle e Odette-Odile. Nel 1935 ha fondato con Anton Dolin (che sarà a lungo suo partner) un complesso che porta i loro nomi. Entrata nel Ballet-Russe De Monte-Carlo (1938), ha creato ruoli in diversi balletti di Massine. Col Ballet Theatre americano (1941-45) ha interpretato i grandi ruoli classici, creando fra l’altro il ruolo principale femminile nel Romeo e Giulietta di Tudor. Tornata in Inghilterra (dove resterà fino al 1952), ha fondato nel 1952 con Dolin la compagnia che diventerà il London Festival Ballet. Continua a essere ospite nei teatri di tutto il mondo. Nota per l’eccezionale leggerezza e per l’impeccabile stile romantico, è stata virtuosa dalla tecnica forte e precisa: viene riconosciuta come la prima grande ballerina inglese del secolo e la sua Giselle è ormai leggendaria. Negli anni ’90 ha ancora fatto parte di giurie ed è una presenza importante agli Yorkshire Seminars.

Mishima

Discendente di una famiglia aristocratica, Yukio Mishima decide di dedicarsi completamente alla scrittura dopo la pubblicazione del suo primo romanzo (Confessioni di una maschera, 1949), a seguito della quale gli vennero tributati riconoscimenti in campo nazionale che lo resero ben presto il più noto scrittore nipponico del secondo dopoguerra. Noto soprattutto come romanziere, a partire dagli anni Sessanta scrive anche diversi drammi, prevalentemente ispirati alla tradizione del teatro no e del kabuki, che egli tenta di rinnovare profondamente, nel rispetto degli antichi valori della tradizione giapponese. La sua opera è di difficile classificazione: le sue storie sono spesso violente, popolate di personaggi dalla psicologia complessa e tormentata e affrontano temi difficili, quali l’omosessualità e l’ambivalenza dei rapporti umani. Il suo rappresenta uno dei tentativi più riusciti nella letteratura giapponese di resistere al processo di occidentalizzazione post-bellico, ricuperando i valori dell’antica tradizione Samurai (onore, attaccamento alle proprie radici). In aperta polemica con la politica giapponese, accusata di debolezza nei confronti dell’Occidente, M. si suicidò pubblicamente compiendo hara-kiri. Fra le sue opere per il teatro ricordiamo: Cinque no moderni (1956) che riprendono la tradizione classica giapponese, Madame de Sade (1965), recentemente allestita a Milano da Ferdinando Bruni (stagione teatrale 1996-97) e Il mio amico Hitler (1983) interpretazione inquietante e impossibile da condividere del criminale dittatore.

Mariemma

Mariemma inizia gli studi a Parigi, frequentando corsi di danza classica e prendendo le prime lezioni di danza spagnola con Francisco Miralles. Rientrata in Spagna nel 1934, si perfeziona con Estampío e inizia la sua carriera di danzatrice esibendosi in concerti di danza incentrati su suoi assolo (Danza de la Pastora, Bolero clasico, Danzas vascas ) e presentati al pubblico internazionale. Memorabile nel 1953 la sua esibizione con Antonio nel Cappello a tre punte di Falla al Teatro alla Scala, dove torna due anni dopo come coreografa di España per Luciana Novaro. Considerata una delle più illustri eredi di Antonia Mercè, ha imposto la figura di una danzatrice elegante, femminile e padrona della tecnica, brillando in brani caratterizzati dall’agile e virtuosistico suono delle sue nacchere.

Murru

Studia alla scuola del Teatro alla Scala di Milano, entrando a far parte del suo Corpo di Ballo nel 1990. Ancora nelle file della compagnia, ricopre ruoli solistici e da protagonista fino a che nel 1994 viene nominato primo ballerino. Dotato di elegante presenza, romantico temperamento e solida tecnica accademica, interpreta i ruoli di danseur noble del repertorio ottocentesco accanto a étoiles internazionali ( Giselle con Alessandra Ferri, 1996), nonché balletti contemporanei di autori come Glen Tetley, Paul Taylor, Mats Ek, Roland Petit, che lo sceglie per le creazioni Chéri (con Carla Fracci, 1996), Bolèro (con Lucia Lacarra,1996) e Il lago dei cigni (con Altinai Asylmouratova, 1998).

Manen

Hans van Manen studia danza classica con Sonia Gaskell e nel 1951 entra a far parte del Ballet Recital, dal quale nel 1952 passa al Nederlands Opera Ballet e nel 1959 nella compagnia di Roland Petit. Nel 1960 è tra i membri fondatori del Nederlands Dans Theater* che dirige dal 1961 al 1971 e per il quale firma numerose importanti coreografie. Dal 1973 al 1988 è coreografo principale e regisseur dell’Het Nationale Ballet*, successivamente ritorna al Nederlands Dans Theater come coreografo residente. È autore di oltre sessanta balletti, per la maggior parte creati per il Nederlands Dans Theater e l’Het Nationale Ballet e riproposti da molte compagnie internazionali (in Italia il Balletto del Teatro alla Scala* e il Balletto di Toscana*), tra i quali si ricordano Symphony in Three Movements (1963), Metaphors (1965), Mutations (in collaborazione con Glen Tetley, 1970), il suo capolavoro Grosse Fuge (musica di Beethoven, 1971), Songs without words (1977), Twilight (1972), Adagio Hammerklavier (1973), Four Schumann Pieces (Royal Ballet, Londra 1975), 5 Tangos (1977), Korps (1987) Andante (1990), Compositie (1994), Deja Vu (1995) Kleines Requiem (1997). Considerato uno dei capiscuola del balletto contemporaneo europeo, ha saputo rinnovare il vocabolario della danza accademica come linguaggio asciutto, energico e autosignificante e ha ideato lavori apparentemente astratti in cui i movimenti sono sviluppati con grande rigore formale secondo dinamiche geometriche e morbide plasticità, ma dai quali traspare sempre un vibrante erotismo e l’acuto, lieve e ironico commento sull’eterna conflittualità tra i sessi.

Monnier

Nel corso degli anni ’90 Mathilde Monnier appare fra gli elementi di spicco della `nouvelle danse’ francese. Formatasi principalmente con V. Farber, dopo aver lavorato con F. Verret e A. Rigoult (con il quale crea Cru nel 1985, coreografia premiata a Bagnolet) per alcuni anni vive un intenso rapporto di collaborazione con J.F. Duroure. Staccatasi poi dallo stesso, prosegue in un itinerario personale e interessante rivelando multiformi interessi e con creatività inesauribile. Lavora sulle danze tradizionali collaborando con ballerini africani e si spinge verso la più stretta contemporaneità, sperimenta l’uso di spazi particolari e si ispira a momenti della vita quotidiana, sempre però mantenendo uno stile espressivo di grande energia e originalità. Tra le sue coreografie, Chinoiserie , Face Nord , Pour Antigone , Nuit (festival di Montpellier 1995) e Qui voyz-vous? (1997, in collaborazione con C. Brahem, creatrice di straordinarie `macchine sonore’ che sono anche autentica scenografia). Dal 1994, è alla testa del Centre Choréographique National de Montpellier Languedoc-Roussillon. Di particolare interesse la sua ricerca di danzaterapia con un gruppo di handicappati dell’ospedale di Montpellier.

Medini

Il successo giunse a  Flora Medini a Milano nel 1952, con la commedia musicale di Garinei e Giovannini Attanasio cavallo vanesio , sostituendo Lauretta Masiero. Il cast era prestigioso: oltre a Rascel, le straripanti Peter Sisters (tre nere di grande brio, musicale e coreografico), il cantante Corrado Lojacono e in una piccola parte Sandra Mondaini. La Medini proprio insieme alla Masiero era stata soubrettina in Le educande di San Babila , rivista di Amendola (stagione 1947-48), protagonista Macario professorino innamorato di una collegiale (Isa Barzizza), con le tre sorelle Nava infernali monelle. Partecipa a La bisbetica sognata (1949-50) del commediografo Enrico Bassano con Macario che doma la mogliettina riottosa in un West di fantasia: con la ballerina Pamela Palma, altre ventitré donne tutte svestitissime. Nella stagione 1950-51, entra nella formazione di Garinei e Giovannini per Il diavolo custode con Wanda Osiris, Enrico Viarisio, Gianni Agus e le Bluebell. Nella stagione seguente, 1951-52, entra nella scuderia Errepì per Alta tensione di Marchesi e Metz, la prima grande rivista di Billi e Riva. Squadra vincente non si cambia: dopo Attanasio , Garinei e Giovannini, sempre su misura per Rascel, scrivono la stagione successiva (1953-54) Alvaro piuttosto corsaro e il `piccoletto’ Rascel, con le Peter Sisters, Corrado Lojacono e Tina De Mola bissano il successo. In scena, al posto del cavallo, uno scimpanzé: la tradizione di un animale vero nel cast sarà sempre rispettata negli spettacoli `G&G’. E con Tobia la candida spia, nella stagione 1954-55, si conclude la `trilogia’ in rima di Garinei e Giovannini per Rascel: con la Medini, ormai `caratterista’, si dividono il ruolo di soubrette assoluta la ballerina Alba Arnova e la sosia di Marylin, Rosalina Neri, che avrebbe poi trovato successo più artistico al Piccolo Teatro di Milano diretta da Giorgio Strehler.

Monteverde

Inizia come attore nel teatro di sperimentazione, contemporaneamente studiando danza moderna e contemporanea. La sua prima coreografia è Bagni acerbi (1985) per la sua compagnia Baltica, per la quale crea anche Barmoon (1987), La Boule de Neige (1987), Casa Messner (1988), Blanche (1992). Importante è la collaborazione con il Balletto di Toscana, per il quale firma, oltre a Era Eterna (1988), e Pinocchio (1991), la trilogia shakespeariana composta da Giulietta e Romeo (1989), Otello (1994), La tempesta (1996); collabora anche con altre compagnie italiane come MaggioDanza ( Herr Salieri , 1991), Balletto della Scala ( Reliquie d’amanti , 1992), Opera di Roma ( Lo schiaccianoci , 1995), Teatro Regio ( Il fantasma di Canterville , 1996), Aterballetto ( Six Memos , 1997). Nel 1989 debutta come regista teatrale con Tre sorelle di Cechov e nel 1997 nella lirica con Otello di Verdi. Coreografo `drammaturgo’ predilige balletti narrativi di solido impianto teatrale, caratterizzati da una surreale visionarietà e da una danza che rilegge lo stile neoclassico arricchendolo di accesi tocchi espressivi.

Moricone

Dopo le prime esperienze d’attore, studia danza contemporanea e classica a Roma, al Mudra di Béjart e con Rosella Hightower, entrando poi a far parte dell’Aterballetto (1982) e della Compagnia Vittorio Biagi (1983-84). Nel 1983 fonda con Patrizia Natoli la compagnia Teatrokoros, per la quale crea molti lavori tra cui Jeannot (1986), Nacht und Sonne (1987), L’acqua del sangue (1990), Lamento d’Arianna (1994), Itself (1997). Ospite di altre compagnie firma Trois en Quatre (Balletto di Toscana, 1987), La figlia di Iorio (Arena di Verona, 1988), Dido and Aeneas (Opera di Roma 1990), Romeo and Juliet (Northern Ballet Thetre, 1991), Hor che’l ciel (Aterballetto, 1993), Canti del Capricorno (Balletto della Scala, 1994), Tre pezzi per Fellini (MaggioDanza, 1995). Coreografo eclettico, ha fatto prova di una notevole versatilità stilistica affrontando sia il balletto neoclassico che il teatrodanza, sempre con compiuti risultati artistici.

Morucchio

Laureato in lettere, ha svolto per alcuni anni l’attività di insegnante liceale. Si dedicò al teatro dal 1922, quando ottenne il suo primo successo con Il re de le mascare , di ambientazione cinquecentesca. La sua puntuale denuncia dei costumi, seppure manifestata con uno stile comico, nasce dall’analisi di un mondo dove l’opportunismo ha la meglio sull’onestà. M. ha riscosso un buon successo anche all’estero. Alcuni titoli: Lo scandalo Fregonard (1949), Serafino Lemmi applicato (1953).

Marini

Diplomata al conservatorio di Santa Cecilia con B. Di Ponio, si perfeziona con A. Segovia e A. Diaz. Nel 1963 Giovanna Marini entra a far parte del Nuovo Canzoniere Italiano, partecipando agli spettacoli Bella ciao (festival di Spoleto) e Ci ragiono e canto (regia di D. Fo). Dopo due anni trascorsi negli Usa compone la sua prima ballata, Vi parlo dell’America , e nei successivi otto anni ne scrive altre dodici. Dal 1967 compone musica per il cinema (Maselli, Loy, Cobelli, Breccia) e il teatro (Quartucci, Salmon, Théofilides, Rheiner, Boita). Nel 1976 fonda il Quartetto vocale, con il quale inizia una lunga ricerca etnomusicale. Nel 1983 scrive Il regalo dell’imperatore , in scena per un mese a Les Bouffes du Nord, il teatro di P. Brook, e un anno dopo il festival d’Autunno le commissiona il libretto per dodici liriche di Pasolini, del quale musica nel 1995 I Turcs tal Friul , messo in scena da E. De Capitani. Tra le sue collaborazioni più importanti c’è lo straordinario lavoro realizzato con T. Salmon per Le Troiane – allestite come una partitura vocale riscoprendo la musicalità del greco antico – che ha debuttato a Gibellina nel 1988. Per il Teatro di Avignone compone nel 1996 Vita Nuova e nel 1997, per il Teatro Reale di Bruxelles, le musiche dell’ Orestiade . Insegna alla `Scuola Popolare di Musica di Testaccio’ a Roma e all’Università di Saint Denis. I suoi due ultimi spettacolo sono La vita sopra e sotto i mille metri dedicato alle comunità `nascosta’ dai mass-media e un omaggio a Pasolini.

Mulè

Figlio di Giuseppe, all’epoca direttore dell’Accademia di Santa Cecilia, frequenta l’Accademia d’arte drammatica e inizia presto a calcare le scene, con Processo a Gesù di Fabbri (1956), al fianco di Renzo Ricci ed Elsa Merlini. Talento comico, si rivela nella rivista Senza Rete con Paolo Panelli. Lavora quindi in una serie di commedie brillanti come Non ti conosco più , Cara delinquente , Dobbiamo uccidere Tony . Con Renato Rascel lavora in un insolito spettacolo brillante firmato da Zeffirelli nel 1969, Venti zecchini d’oro .

Magopovero,

Magopovero Teatro è una compagnia teatrale nata nel 1971 che svolge attività professionale dal 1978 e che attualmente ha preso la denominazione Teatro degli Alfieri. Fondatori sono: Maurizio Agostinetto, Luciano Mattino, Lorenza Zambon e Antonio Catalano. Dal 1994 si sono stabiliti nel Cuore del Monferrato nella Cascina degli Alfieri e si occupano del festival Asti Teatro.

March

Si affermò negli anni ’20, in coppia con la moglie Florence Eldridge (1901 – 1988), recitando Shaw e Molnár per la Theatre Guild. Poi si dedicò prevalentemente al cinema ( I migliori anni della nostra vita , 1946; Morte di un commesso viaggiatore , 1951; Ore disperate , 1955; I sequestrati di Altona , 1962; Sette giorni a maggio , 1964) conquistando una vasta popolarità che mise a frutto quando tornò alle scene e interpretò, fra l’altro, sempre con la moglie, La famiglia Antropus di Wilder (1946), Un nemico del popolo di Ibsen (1951) nell’adattamento di A. Miller e soprattutto Lunga giornata verso la notte di O’Neill (1954) che la critica statunitense giudicò una delle più alte prove d’attore del suo tempo.