Momix Dance Theatre

La Momix Dance Theatre viene fondata nel 1980 da Moses Pendleton e Alison Chase, entrambi già componenti del gruppo Pilobolus. Deve il suo nome, derivante da Moses e mixture o da quello di un alimento per vitelli, a un a solo chapliniano con il bastone creato da Pendleton, campione di sci di fondo, in occasione dei Giochi Olimpici di Lake Placid (1980). Amatissimi in Italia, i Momix con le loro successive formazioni e le loro numerose coreografie, dello stesso Pendleton, di Cynthia Quinn, o spesso di gruppo, sono regolarmente presenti nei nostri cartelloni teatrali. Tra i loro brani più noti, brevi e fulminanti, ci sono E.C. (1982), teatrino d’ombre, Skiva (1984), con volteggi sugli sci, Medusa e Circle Walker (1985) con acrobazie in una struttura rotante, Kiss of Spider Woman , Preface to Previews e Venus Envy (1986), Stabat Mater sui trampoli, Elva (1987) su musica di Elvis Presley, White Widow (1990). Seguono poi alcuni titoli a serata intera: Passion (1991), ventuno rapidi quadri su musica di Peter Gabriel, Baseball (1996), una girandola di vignette simili a cartoni animati dedicate allo sport nazionale americano, e l’antologia Supermomix. Illusionisti del corpo, praticano uno stile di danza ginnico-atletico, basato sui giochi plastici, per cui traggono volentieri ispirazione dalla natura con le sue forme fantastiche e mutevoli, e prediligono i toni ironici, mirando anzitutto all’evasione e al divertimento intelligente. Sono i portabandiera della formula eclettica dello `sport teatrale’, pieno di ritmo e di trovate sorprendenti.

Monti

Dopo aver esordito nel 1953 come cantante di blues e spirituals, Maria Monti debuttò nel 1955 come attrice con la compagnia di Elsa Grado allo Smeraldo di Milano, nell’avanspettacolo Quando spunta la luna all’Idroscalo , che la segnalò all’attenzione dei comici di rivista. La stagione seguente passò con la compagnia Tognazzi-Masiero, interpretando Uno scandalo per Lilli , parodia di una ragazza tifosa del jazz di New Orleans. Dopo la partecipazione allo spettacolo del Teatro stabile di Napoli La dolce guerra (regia di G. Di Martino), dove confermò la sua originalità di cantante-interprete dalla voce sensuale e dalla dizione incisiva, prende parte con G. Cobelli, al Teatro Arlecchino di Roma, a Can can degli italiani (1963), un’aspra parodia sull’attualità che le offrì l’occasione di esibire quella parte di sé fino allora celata al pubblico. Nelle stagioni del 1964-66 si presenta con P. Poli in Il candelaio e Il diavolo . Intensa anche l’attività nel cabaret con Giorgio Gaber e Nanni Svampa. Nel 1973 recita in Ambleto di Testori accanto a Franco Parenti e nel 1980 interpreta la principessa Himalaj in Operetta di W. Gombrowicz (regia di Antonio Calenda). Perfettamente a suo agio nel teatro leggero, nel 1984 affianca Gino Bramieri in Pardon monsieur Molière e nel 1987 è interprete de L’angelo azzurro di Aldo Trionfo e Alessandro Giupponi, dal romanzo omonimo di Heinrich Mann. E nel 1991 interpreta Maria d’amore, scritto personalmente con Patrick Rossi Gastaldi. Nel 1993 partecipa a Milanon Milanin con Paolo Rossi. Tra i film a cui ha preso parte vanno citati almeno Giù la testa di Sergio Leone (1971), Novecento di Bernardo Bertolucci (1976) e Oh Serafina! di Alberto Lattuada (1977).

Milo

Formatosi nel centro napoletano di Mara Fusco, Bruno Milo a diciassette anni entra nel corpo di ballo del Teatro San Carlo, dove interpreta ruoli solistici nel repertorio ( Giselle ). Dopo aver danzato anche nelle compagnie dell’Arena di Verona e del Balletto reale svedese, dal 1988 danza con il corpo di ballo del Maggio musicale fiorentino, interpretando con forte personalità scenica ruoli principali in balletti dell’Ottocento ( La bella addormentata ), del Novecento storico ( Apollo , The Moor’s Pavane ) e di autori contemporanei ( The Rite of Spring di Paul Taylor).

Mainardi

Renato Mainardi si afferma tra gli anni ’60 e ’70 come una delle voci più interessanti della drammaturgia dell’epoca. In realtà aveva iniziato appena ventenne, nel 1951, trasferendosi nella capitale. Tra il 1951 e il 1972 scrive otto commedie, cinque delle quali vengono rappresentate. Nel 1990 viene rappresentato, postumo, un suo testo inedito, Per non morire, a Montegrotto Terme. Il suo è un teatro di parola, di impronta fondamentalmente realistica, che affronta grandi tematiche esistenziali. L’intellettuale a letto, sua opera prima, viene rappresentato per la prima volta a Milano al Teatro del Convegno nel 1959. Nel 1972 Arnoldo Foà mette in scena Per una giovanetta che nessuno piange a Viterbo. Alla Cooperativa Teatrale Attori Riuniti si deve invece Amore mio nemico, regia di Nello Rossati (1973). Del 1975 è lo spettacolo Antonio von Elba, a Lecco, di cui Pier Luigi Pizzi cura scene e costumi. La compagnia stabile del Teatro Filodrammatici mette in scena Giardino d’inferno con Paola Borboni a Milano (1976). Da ricordare, tra le altre pièce, Il vero Silvestri, dal romanzo di Soldati, che viene allestito dallo stesso autore sempre ai Filodrammatici (1977), e Una strana quiete, recitato da Eva Magni, Franca Nuti e Riccardo Pradella nel 1979.

Maselli

Dopo essersi occupata con successo di pittura, trasferitasi a Parigi nel 1970 Titina Maselli si interessa di teatro collaborando con J.P. Vincent e J. Jourdheuil ( La tragedia ottimista di V. Vichnevski,Marsiglia, 1974), poi con B. Sobel ( Non io di Beckett, Avignone, 1980; La madre di Brecht da M. Gor’kij, Genneviliers, 1991; L’affare Makropoulos di Janacek, Strasburgo, 1994). Confermando uno stile fortemente simbolico, collabora con C. Cecchi (felicissimi Claus Peymann compra un paio di pantaloni e viene a mangiare da me di T. Bernhard, Roma, Teatro Ateneo, 1990, risolto con personaggi-manichini che si aggirano tra teche trasparenti e fluttuanti; e Leonce e Lena di G. Büchner, Milano, Salone di via Dini, 1993, in cui pochi elementi sono isolati in una scena giallo zafferano). Il premio Ubu 1995 per la regia va al Finale di partita di S. Beckett (Roma, Teatro Valle, 1995), che deve il suo successo anche all’ambientazione `cancellata’ come con una mano di carboncino, mentre il recente Amleto al Teatro Garibaldi di Shakespeare con la regia di Carlo Cecchi (Palermo, Teatro Garibaldi, 1996) presenta l’interessante recupero del diroccato teatro ottocentesco eretto in onore dell’eroe dei Due Mondi, nel cui scheletro la scenografa integra alcuni segni significativi, come le impronte di ruote sul pavimento di legno della platea e la tribunetta per gli spettatori, e i costumi contemporanei, giocati, nelle scene di rito, con lo svolazzare di impermeabili e mantelli.

Molé

Fondò il Teatro della Ringhiera a Roma, diventandone regista, direttore artistico e, talvolta, interprete. Con i suoi testi ha cercato di sondare ogni funzione che la scrittura drammaturgica potesse esprimere e si è spinto dalla ricerca sperimentale ( Molte voci intorno ad Oreste del 1969) all’adattamento di romanzi famosi rivisitati in chiave del tutto originale ( Le smanie, i capricci… del 1972, tratto da D.H. Lawrence), passando per il teatro impegnato ( Maschio educato del 1973) e di suggestioni e immagini ( Strafottenza carnale del 1986). Poco convincente Prima della lunga notte (L’ebreo fascista) del 1980.

Mielziner

Dopo aver fatto per breve tempo l’attore, firmò il suo primo spettacolo nel 1924 e collaborò nei decenni successivi agli allestimenti di molti dei più importanti drammi rappresentati a Broadway, da Strano interludio di O’Neill a Un tram chiamato desiderio di Williams, a Morte di un commesso viaggiatore di Miller. Si parlò, a proposito delle sue scene, di `realismo poetico’, per la loro capacità di passare fluidamente dalla realtà esteriore alle atmosfere suggerite dal sogno o dalla memoria con l’uso creativo delle luci e col frequente impiego di trasparenti su immagini dipinte.

Macario

Interprete di una comicità dal candore surreale, Eminio Macario fu la maschera italiana che più si avvicinò all’ingenuità e ai modi di Charlot ma dotata, per il palcoscenico, della parola funambolica dei fratelli Marx. In realtà ogni definizione risulta riduttiva ed incompleta, sebbene lusinghiera, per l’uomo la cui testa, a detta di Petrolini, valeva un milione; e tanto valeva quella testa con il famoso ricciolino sulla fronte, da far erigere in onore di Macario quel monumento in vita che furono le vignette a lui ispirate pubblicate dal “Corriere dei piccoli”. Cominciò a recitare fin da bambino nella filodrammatica della scuola e a diciotto anni entrò a far parte della prima compagnia di `scavalcamontagne’ (così erano chiamate le formazioni di paese che recitavano drammi e farse nei giorni di fiera). A ventidue anni venne scritturato nella compagnia di `balli e pantomime’ di Giovanni Molasso col ruolo di secondo comico e debuttò al Teatro Romano di Torino con le riviste Sei solo stasera e Senza complimenti. Dal settembre 1924 fu a Milano con Il pupo giallo e Vengo con questa mia di Piero Mazzuccato, Tam-Tam di Carlo Rota e Arcobaleno di Mazzuccato e Veneziani. Nel 1925 compie il primo grande salto entrando nella compagnia di Isa Bluette col ruolo di comico grottesco debuttando a Torino con la rivista Valigia delle Indie di Ripp e Bel-Ami.

Macario rimase con la Bluette per quattro anni acquistando via via sempre maggior notorietà finché, ottenuto il nome in ditta, e avendo firmato nel 1929 la prima rivista come autore ( Paese che vai , in collaborazione con Chiappo), il comico torinese formò una sua compagnia di avanspettacolo con cui girò l’Italia dal 1930 al ’35. Nel 1937 scritturò Wanda Osiris e mise in scena una delle prime commedie musicali italiane, Piroscafo giallo , di Bel-Ami, Macario e Ripp, debuttando al Teatro Valle di Roma. A partire da questa data si ripresentò ogni anno con una nuova rivista dai cui palcoscenici fece conoscere i volti e le qualità di molte attrici brillanti tra cui Lily Granado, Marisa Maresca, Isa Barzizza, Lauretta Masiero, Dorian Gray e Sandra Mondaini. Parallelamente, ad una prima e sfortunata esperienza cinematografica con Aria di paese (1933), fece seguito nel 1939 il grande successo di Imputato alzatevi! per la regia di Mario Mattoli, recante nella sceneggiatura le firme della redazione del “Marc’Aurelio”, il bisettimanale umoristico che schierava nomi dal futuro luminoso quali Maccari, Mosca, Metz, Steno, Marchesi e Guareschi. Con questo film per la prima volta nella storia del cinema italiano si può parlare di comicità surreale.

«Mi dicono – dichiarò a tal proposito l’attore nel 1974 – che io facevo Ionesco quando Ionesco quasi non era nato, e d’altronde io lo so… sono sempre stato un po’ lunare». Seguirono poi in un’ideale trilogia dei tempi di tirannide: Lo vedi come sei… lo vedi come sei? (1939), Il pirata sono io (1940) e Non me lo dire! (1940). Ma la sua formula spettacolare, al di là del successo sul grande schermo che continuò ad arridergli con nuovi picchi, come nel campione d’incassi Come persi la guerra (1946), fu sempre più adatta al teatro di rivista e alla commedia musicale, là dove le prepotenze della sua spalla Carlo Rizzo esaltavano la sua candida genialità, e là dove il contrasto fra l’innocenza della propria maschera e il sottinteso erotico delle sue famose `donnine’, mostrava tutta la propria efficacia. Si ricordano fra le altre Amleto, che ne dici? (1944) di Amendola e Macario, Oklabama (1949) di Maccari e Amendola, La bisbetica sognata (1950) di Bassano con musiche di Frustaci, Made in Italy (1954) di Garinei e Giovannini, Non sparate alla cicogna (1957) di Maccari e Amendola, Chiamate Arturo 777 – (1958) di Corbucci e Grimaldi. Macario ha incarnato la maschera di una comicità innocente quanto lieve, poeticamente sospesa fra le pause, lo sbarrarsi stupito degli occhi e la salacità dissimulata delle battute, un caso pressoché irripetibile, per ragioni storico-geografiche, di humour piemontese assurto con meritato clamore a dimensioni nazionali.

Marchesi

Marcello Marchesi (Milano 1912 – Oristano 1978) e Vittorio Metz (Roma 1904 – ivi 1984) furono una coppia di autori di riviste teatrali tra i più affermati, divertenti e prolifici. Umoristi di razza, cominciarono entrambi collaborando a giornali umoristici (“Il Bertoldo”, “Marc’Aurelio”, quest’ultimo fondato da V.M. e Giovanni Mosca). M. M. ha lasciato volumi (Diario futile, Essere o benessere, Il sadico del villaggio, Il malloppo) dai quali varie generazioni di cabarettisti vanno attingendo senza limiti e senza pudore. Autore di aforismi («Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano» sarà scelto da Gino e Michele a titolo di diffuse antologie di battute), di slogan per Carosello («Non è vero che tutto fa brodo», «Con quella bocca può dire ciò che vuole», «Il signore sì che se ne intende»), di trasmissioni radiofoniche e televisive di successo, per altri (Quelli della domenica con Villaggio, per la prima volta Franz e Fracchia) e per sé (Il signore di mezz’età ), ha scritto da protagonista, per almeno trent’anni, la storia del varietà radiofonico e televisivo. Con V.M. ha scritto le sceneggiature di numerosi film per Macario (Imputato alzatevi , 1939) e Totò (I due orfanelli , 1947; Totò al Giro d’Italia , 1948; Totò cerca casa , 1949; Siamo uomini o caporali? , 1955, e altri). V.M. cominciò occupandosi di teatro per ragazzi, collaborando al “Corriere dei Piccoli”; per il cinema, firmò come regista e sceneggiatore una cinquantina di film per Totò, Sordi, Tognazzi, Walter Chiari. Inventore di massime e aforismi: «Chi va con lo zoppo impara il twist», «Chi tardi arriva male parcheggia», e via scherzando. In coppia con M.M., dal 1954, firmò numerose trasmissioni televisive di successo: La piazzetta , Lui e lei , ecc. M.M. esordisce nella rivista nel 1932 come autore di C’è una commedia musicale , e continua a produrre titoli di successo per anni: Trenta donne e un cameriere (1937), Sulle onde della radio (1938), Attenti al martellone scritto con V.M. (1939), Non c’è niente di male (1941), Ritorna Za Bum (1942), Sai che ti dico? con Olga Villi (1943). M. M. nel 1945, guidò a Milano una compagnie di ragazzine, `Biancaneve’, che imitavano Wanda Osiris; «erano bambine che non crescevano mai», tra cui Wilma De Angelis e il nano Lino Robi (avrebbe fatto buona carriera, in prosa e rivista). Sempre nell’immediato dopoguerra, M.M. firma Viva le donne , con il giovane e volenterosoTognazzi impegnato in imitazioni. Poi vengono: Sono le dieci e tutto va bene con Garinei e Giovannini (1946) e Che male ti fo? (1947).

Nel 1946-47 M.M. scrive per Carlo Dapporto, per la prima volta solista, Riviera Follies , memorabile perché per la prima volta in Italia vi comparve uno strip-tease. Nella stessa stagione, e in quella 1949-50, determina il successo di Walter Chiari (in coppia con Marisa Maresca bomba sexy) nelle riviste Allegro e quindi Burlesco . Sempre nel 1949-50, M. e M. `inventano’ per il frenetico Tino Scotti il personaggio del `cavaliere’ meneghino nella rivista Ghe pensi mi . M. M. da solo firma, nel 1966-67, L’assilllo – con tre l – infantile , giudicato il migliore tra gli spettacoli che si richiamano al giovanilismo, interpretato da Bramieri, la Del Frate (che rinuncia per la prima volta allo strip) e i balletti di don Lurio sul contrasto cappelloni-matusa. A M. M. e V. M. si deve la promozione nella serie A della rivista, della coppia Billi-Riva con Alta tensione (1951-52), spettacolo Errepì con sia pure blandi riferimenti politici e di costume. Nella stagione 1952-53, firmano I fanatici ancora con Billi e Riva e un’esordiente, bellissima, Franca Rame `miss Cuneo’. Nella stessa stagione, Tutto fa Broadway , con Walter Chiari che imitava tutti i comici in una inedita storia del varietà raccontata da Carlo Campanini, `povero boy italiano’, e Lucy D’Albert `femmina della notte’. Poi Controcorrente (1953-54), che abolì boys , passerella, scene e costumi per un intrattenimento stile cabaret, con Chiari impegnato in monologhi e scenette (qui affiancato da due brave attrici, Marina Bonfigli e Bice Valori) e con le canzoni salentine-siciliane di Domenico Modugno. Nella stagione 1955-56, i due firmano Valentina , destinata a versatili attori di prosa (Isa Pola, Enrico Viarisio, Franco Scandurra e quel Renzo Giovampietro che avrebbe poi affrontato con successo classici greci e latini), con una soubrette atipica come Isa Barzizza, comici radiofonici come Alberto Talegalli e cantanti come Emilio Pericoli. S’avvertono, nel copione, sagaci segni premonitori dell’imminente miracolo economico. Nella stagione 1956-57, firmano con Dino Verde il copione di Gli italiani son fatti così , con Billi e Riva impegnati in un giro turistico tra i difetti degli italiani: azzeccata satira di costume, con un cast che contava su Paolo Ferrari, Nino Manfredi (`lo psicanalista’), Gianni Bonagura, Alba Arnova. Seguono: Sayonara Butterfly (1958) per Dapporto, Walter Chiari, Raimondo Vianello, Un juke-box per Dracula (1959), Tre per tre… Nava (1966), Cielo,mio marito! (1972) per Gino Bramieri. Quando, negli anni 1960-70, la rivista cede il passo alle commedie musicali di Garinei e Giovannini, la coppia Marchesi-Metz si dedica con più assidua frequenza alla tv, portando a domicilio il divertimento intriso di ironia e satira. Negli anni ’70 M. M. si cimenta col cabaret salendo lui stesso sul palcoscenico al Derby club di Milano. M. M. è stato, con Petrolini e Totò, uno dei più geniali umoristi della scena italiana.

Montagnani

Laureato in farmacia, scoperto da Macario Renzo Montagnani esordisce in teatro come spalla di Carlo Dapporto, ma è nel cinema che ha successo come interprete di Metello , dal romanzo di V. Pratolini diretto da M. Bolognini (1970). Per ironia della sorte, questo fortunato exploit gli porta solo proposte per film erotici all’italiana, dove raramente ha potuto dimostrare il suo valore. Attore ambivalente, continua a frequentare il teatro, oltre che il cinema, interpretando La coscienza di Zeno di Svevo, diretto da Giraldi per lo Stabile di Trieste (1978), L’incidente di Luigi Lunari, messo in scena da Luciano Salce ed è al Teatro Quirino di Roma in Il senatore Fox di Lunari con la regia di Augusto Zucchi (entrambi del 1986), segue l’ Anfitrione di Kleist (1987) e nell’88 offre una grande prova recitando da protagonista al Teatro Duse di Genova in Arden di Feversham per la regia di Mario Sciaccaluga. Sempre al Duse lavora ne I fisici (1989) di Friedrich Dürrenmatt. Nel 1991 insieme alla sua compagnia recita in Pigmalione di G.B. Shaw (regia di Silverio Blasi) a cui seguono Sarto per signora (1992) di Georges Feydeau e L’aide-mémoire (1994) di Jean-Claude Carrière. Oltre alla partecipazione cinematografica in Amici miei (atto II e atto III) di Monicelli, la vera popolarità di M. è dovuta comunque all’improbabile parroco don Fumino da lui impersonato in una serie televisiva e all’incredibile quantità di film comico-erotici che puntualmente le reti televisive a notte fonda ripropongono.

Maresca

«Et voilà, son qua, sono il Maliardo!» esclamava Carlo Dapporto, che poi ricordava: «Aprendo il mantello sul frac, indicavo la fodera e sillabavo “Se-ta!”. Dal loggione scandivano in coro: “Rayon!”. Poi suonavano le sirene d’allarme e addio risate. 1944, una breve stagione. Avevo una splendida soubrette, Marisa Maresca, che dopo me formò binomio con Walter Chiari…». Era definita la `bomba del sesso’, fece un’imitazione di Joséphine Baker con perizoma e reggiseni di banane, ed estimatori dallo sguardo appuntito sentenziarono che la copia aveva superato, in avvenenza, l’originale. Nata da famiglia di famosi artisti di varietà, madre soubrette, padre Achille impresario, zio Luigi star di operette, a quindici anni divenne una delle `donnine’ di Macario, passò in piccole riviste d’avanspettacolo allestite dal padre. Titoli espliciti: Donne in tutte le salse , Chi vuole una donna? e, il più noto, Se parlasse questa penna , con i fratelli De Rege e Fausto Tommei. Divenne primadonna alla fine della guerra. Dopo Dapporto, fu ininterrottamente con Walter Chiari fino al 1950: a ventisette anni si ritirò per sposare il conte-industriale Agusta. Quando, nel 1945, `saltò’ il reggipetto frantumandosi in due coppette, corolle, stelline, piumini (la polizia dettò le misure minime: dieci centimetri di base per dieci di altezza: ma chi andava a misurare?), la M. superava tutte le altre concorrenti «con i suoi liberi seni esibiti torpidamente». Nel 1945, nota un cronista, «Marisa Maresca si prodiga con tutta la sua graziosa vivacità» in Simpatia di Marcello Marchesi, con Walter Chiari `instancabile’, Alda Mangini `gustosa’ e Vittorio Caprioli senza alcun aggettivo. Nella stagione successiva, a Napoli, Teatro delle Palme, andò in scena Se vi bacia Lola di Bracchi e Danzi, un `sontuoso’ spettacolo con la `conturbante’ M., attrice e ballerina `d’eccezione’ e con Walter Chiari «vivacissimo ma sempre docilissimo nel farsi baciare». Torna come autore l’inesauribile Marchesi con Allegro (1947-48, Teatro Mediolanum) e la M. «vi spicca per la sua eleganza». Chiari «per la sua comicità»; c’è anche Pamela Palma: anche lei, l’anno dopo, in gonnellino e reggiseno di banane. D’altronde, la Baker in persona si esibiva in avanspettacolo in altro teatro milanese. «La nudità della Maresca, strega professionista, era nudità esangue» si scrisse. Ma lei, in un’occasione epica, sfilò in passerella con indosso solo tre teste di volpe nera, piazzate nei punti più opportuni.

Mazzucco

I testi di Roberto Mazzucco, molti dei quali rappresentati anche all’estero, sono incentrati su satira politica e di costume e il suo impegno civile si sviluppa in testi vicini nello stile al teatro dell’assurdo. Lo testimoniano, ad esempio, gli atti unici: Come si dice (1966), dove i personaggi parlano attraverso le loro didascalie; Lei dice, lui dice (1974); Dieci giorni senza far niente (1979); e la commedia La formidabile rivolta (1982), nel quale immagina che tutte le malattie si incontrino per complottare contro l’uomo. M. ha lavorato trasversalmente in tutti i generi della scrittura drammatica. Con L’avventura del cabaret , pubblicato nel 1976, ha scritto una vivace intelligente storia di un genere da lui amato.

Metastasio,

Il Teatro Metastasio fu costruito a Prato per volontà dell’amministrazione granducale (1828-30), su progetto di L. De Cambray Digny. Conosce la propria rinascita artistica a metà degli anni ’60. Inaugurato il 12 ottobre 1964 con il Trovatore di Verdi, sotto la direzione di Montalvo Casini, il teatro ospita nel corso degli anni Settanta esponenti di rilievo del panorama teatrale nazionale e internazionale: da Strehler a Ronconi, da Lindsay Kemp al Living Theatre, con un’attenzione particolare inoltre per i grandi della musica jazz da Duke Ellingon, Ella Fitzgerald e Gerry Mulligan a Ray Charles e Sarah Vaughan. Nel 1974 per l’ Orestea di L. Ronconi viene utilizzata per la prima volta come spazio scenico il Fabbricone, ex magazzino dell’area industriale. Lo spazio, alternativo al classico teatro all’italiana, viene affiancato al Metastasio, e diventa scenario di allestimenti storici quali Ignorabimus di Ronconi, e la trilogia dantesca curata da I Magazzini (La commedia dell’Inferno , Il Purgatorio , Il Paradiso 1989), e ospitando parallelamente i più significativi maestri della ricerca internazionale (P. Brook, A. Wajda, T. Kantor, O. Krejca, A. Vassiliev, T. Salmon). Dal 1995, con la direzione artistica di Massimo Castri, il Metastasio rappresenta il polo produttivo per la prosa della regione Toscana.

Moravia

Alberto Moravia ottenne il successo, di critica e di pubblico, giovanissimo, con il romanzo che molti considerano il suo capolavoro Gli indifferenti, nel 1929; cui ha fatto seguito per mezzo secolo una copiosa e continua produzione di narrativa (Agostino , 1944; La romana , 1947; Il disprezzo , 1954; La noia , 1960), tradotta in tutto il mondo e spesso trasposta in cinema. E se la scrittura teatrale è sicuramente marginale nell’opera di Moravia, tuttavia la `teatralità’ è un elemento costitutivo della sua narrativa: le sue pièce nascono dunque da abitudini collaudate. Il primo lavoro è La mascherata ( 1955) – rappresentato al Piccolo di Milano con regia di Strehler – ispirata all’omonimo romanzo (pubblicato nel 1941), in cui si mettevano alla berlina gli aspetti più corrivi del fascismo. Eccettuata Beatrice Cenci (regia di Franco Enriquez, 1955), il clima in cui è nato M. drammaturgo è quello (siamo alla metà degli anni ’60) del `teatro della parola’ contrapposto al `teatro della chiacchiera’, in sintonia con le scelte di intellettuali quali Siciliano, la Maraini – con cui crea la Compagnia del Porcospino -, la Ginzburg e, soprattutto, Pasolini. Protagonisti delle pièce elaborate a partire da questi anni sono la vita e i costumi della società stanca e pervertita, che M. analizza scendendo nelle psicologia dei personaggi, soprattutto di quelli femminili. Tra le opere, menzioniamo Il mondo è quello che è (Teatro La Fenice, Venezia, 1969, regia di Gianfranco De Bosio), Il dio Kurt (Teatro Comunale dell’Aquila, 1969, regia di Antonio Calenda), esperimento di `teatro nel teatro’ in cui affronta il tema del nazismo, recuperando le suggestioni della grecità, La vita è gioco (Teatro Valle di Roma, 1970, regia di Dacia Maraini) e le successive Voltati, parlami (un monologo risultante dall’adattamento del racconto La vergine e la droga curato da Enzo Siciliano, 1984), L’angelo dell’informazione (regia di Giorgio Albertazzi, 1985), La cintura (regia di Roberto Guicciardini, 1986), Omaggio a James Joyce ovvero il colpo di stato (allestito a Venezia, Ca’ Foscari, nel 1971, con la regia di Beppe Zambonini). Nel 1981 lo stesso M., insieme a Luigi Squarzina, ha riproposto la riduzione de Gli indifferenti (già messa in scena al Teatro Quirino di Roma nel 1948), allestita con la regia di Dino Lombardi. Nel 1985 Annibale Ruccello ha proposto l’adattamento della Ciociara .

Motte

Allieva a Parigi dell’Opéra (ha studiato con la Zambelli e Lifar), Claire Motte diventò prima ballerina a diciotto anni nello stesso teatro e venne promossa étoile a ventidue. Fu la brillante interprete dei grandi ruoli del balletto classico, ma ebbe a cimentarsi superbamente in lavori moderni di Lifar, Balanchine, Béjart e altri. Dotata di tecnica eccellente, per lunghi anni, nel momento del tramonto della Chauviré, rappresentò, anche attraverso tournée internazionali, la grande classe e la tradizione della danza francese.

Mendes

Sam Mendes si distingue a soli vent’anni mentre lavora per diversi teatri del circuito Fringe, e già nel 1989 si guadagna il Critic Cirle Award come regista del Minerva Studio di Chichester. Nello stesso anno approda nel West End londinese guidando Judi Dench ne Il giardino dei ciliegi di Cechov. A un elevato grado di competenza tecnica, M. affianca grande precisione e un talento naturale che lo porta in una carriera lampo a Stratford-Upon-Avon dove nel ’90 per la Royal Shakespeare Company cura la messa in scena di Troilo e Cressida con Simon Russel Beale, ottenendo un incredibile successo di critica. Nel ’91 cura la regia di L’aratro e le stelle (The Plough and the Stars) di Sean O’Casey al Young Vic e Il mare (The Sea) di Edward Bond al National Theatre. Nel ’92 celebra la riapertura del Donmar Warehouse di cui è direttore artistico e allo stesso tempo mette in scena Riccardo III per la Rsc. Nel ’93 nella gestione del programma del Donmar include la visita della compagnia di Athol Fugard, e una sua eccelente rivisitazione di Traduzioni (Translations) di Brian Friel. Nel ’98 mette in scena Otello per la Royal National Theatre Company con David Harewood, Simon Russell Beale e Claire Skinner; nello stesso tempo Natasha Richardson e Alan Cumming vincono il Tony Award a Broadway come migliori interpreti nel musical di sua produzione Cabaret.

Martin Du Gard

Nel 1937 premio Nobel per la letteratura. Celebre per Jean Barois e il romanzo `fiume’ Les Thibault , storia di una famiglia attraverso più generazioni, nutrì una costante passione per il teatro, confermata dall’impianto dialogico di Jean Barois , romanzo di cui è stata più volta rilevata la natura `teatrale’. Sostenitore di Coupeau e del teatro del Vieux-Colombier (di cui sua moglie dirigeva la sartoria), M. du G. seguì per lunghi anni la vita della compagnia, sentendosene parte attiva. Per la scena scrisse due farse e un dramma psicologico: Il testamento di padre Leleu (Le testament du père Leleu, Vieux-Colombier, 1914), una bouffonnerie dialettale «un po’ macabra e un po’ volgare», che fu il quinto successo in ordine di importanza del teatro di Coupeau con 104 repliche. Nel 1922 M. du G. interrompe la stesura della sua saga famigliare per scrivere un’altra farsa, Le Gonfle , destinata alla lettura e non alla messa in scena. La carriera di M. du G. drammaturgo si conclude con Un taciturne , dramma psicologico sul tema della rivelazione dell’omosessualità, messo in scena da Jouvet nel 1931.

Morosi

Diplomato all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’ nel ’66, inizia la sua carriera nella compagnia De Lullo-Falk-Valli-Albani partecipando alla Calandria del cardinal Bibiena al festival di Venezia. Partecipa a spettacoli storici di Visconti come l’ Egmont a Firenze e La monaca di Monza di Testori. Dal 1979 è allo Stabile di Genova, dove interpreta, tra l’altro, L’orologio americano di Miller, regia di Petri, e Glengarry Glen Ross di Mamet. Nel 1985 è Dino Campana nel monologo di Giorgio Gallione Dino Campana, la febbre del vivere . Con l’anonimo elisabettiano Arden di Feversham vince nel 1988 il Premio Sciacca come miglior attore non protagonista. Tra le interpretazioni importanti degli ultimi anni va segnalato L’affare Makropulos di C’apek con la regia di Ronconi.

Mnouchkine

Mentre studia psicologia all’università fonda un’Associazione teatrale degli studenti di Parigi con i quali, nel 1961, mette in scena il suo primo spettacolo Gengis Khan . Segue i corsi di Jacques Lecoq e viaggia in America Latina, India e Giappone, Paesi dove tornerà di frequente dai quali ricaverà molte idee per gli spettacoli futuri. Nel 1964 fonda il Théâtre du Soleil con un gruppo di attori e di tecnici con cui mette in scena Les petites bourgeois di Gor’kij, su adattamento di Adamov e, l’anno dopo, un Capitan Fracassa dal romanzo di Gautier. Il successo internazionale arriva nel 1965 con La cucina di Arnold Wesker, dove il microcosmo anche etnico della cucina di un grande ristorante viene evocato con grande intensità. Seguiranno poi Sogno di una notte di mezza estate (1968) primo Shakespeare firmato dalla regista cui seguiranno spettacoli nati, al contrario, dall’improvvisazione degli attori. Si comincia con I clowns (1969) dove sono proprio gli interpreti a sperimentare sulla propria pelle le radici della commedia dell’arte. Con I clowns si chiarifica una delle direttrici della sua ricerca che – accanto ai classici, comunque rivisitati, da Shakespeare a Eschilo – concentra l’attenzione su di un teatro d’attore e d’improvvisazione. Fra i risultati più importanti e poeticamente riusciti di questo filone ricerca c’è, senza dubbio, 1789, la révolution doit s’arreter à la perfection du bonheur , dedicato alla Rivoluzione francese, presentato, in prima mondiale, su invito di Paolo Grassi, al Palazzetto dello Sport di Milano nel 1970; e nato, come dichiarerà la stessa M., dalla suggestione dell’ Orlando ronconiano, nel suo distribuirsi itinerante a stazioni. Nel 1975 è la volta del magico L’age d’or dove la tradizione della commedia dell’arte serve per raccontare vita, patimenti, asservimento e morte, nei cantieri francesi, di un Arlecchino algerino che si chiama Abdallah. Se la seconda puntata dedicata alla storia patria 1793, La cité révolutionnaire est de ce monde non convince del tutto, M. non si lascia certo sfuggire l’incontro con l’amatissimo Molière, assunto a icona di un teatro alla ricerca di una nuova identità. E Molière appunto si intitola il lavoro che a lui si ispira. Si tratta di un film, stavolta, girato nel 1978 per la televisione che trova in Philippe Chaubert il suo interprete d’elezione. Poi la svolta, l’incontro con la storia con Mephisto (1979), ispirato al romanzo che Klaus Mann (1979) scrisse sulla resistibile ascesa di Henrik Höfgen nel quale rappresentava in realtà il grandissimo Gustav Gründgens, il Mefistofele per eccellenza, alla ricerca del rapporto fra arte e potere. L’oriente con i suoi richiami segna profondamente il lavoro teatrale di M. negli anni ’80. Ecco infatti le `regie orientali’: testi scespiriani come Riccardo II (1984) e La notte dei re (Avignone, 1984) dove gli stilemi del teatro giapponese e indiano si sposano a una corporeità rituale molto forte. Ed ecco, quasi a ribadire l’esigenza del confronto con i classici, sia pure affrontati con grande libertà, che M. incontra per la prima volta il mondo greco con Gli Atridi una personale rilettura dell’ Ifigenia in Aulide di Euripide e dell’ Orestea di Eschilo. Gli anni che stiamo vivendo vedono la M. sempre fedele a se stessa e confrontarsi con uno dei capolavori di Molière, Tartufo (1995), rappresentato come un fondamentalista islamico, annunciato a ogni suo apparire dalle urla della folla. Mentre con la collaborazione di Helen Cixous mette in scena addirittura lo `scandalo Tibet’ con la stessa pervicacia con cui ha denunciato lo scandalo del sangue infetto. Lo spettacolo E all’improvviso delle notti di veglia (1998), racconta l’incontro fra una delegazione tibetana, un gruppo di attori e il loro pubblico, la pacifica occupazione del teatro per denunciare all’opinione pubblica francese un fatto realmente accaduto: la vendita, con l’avvallo del governo, di aeroplani da guerra ai cinesi e il modo in cui il Lama e i suoi seguaci trovano l’appoggio dell’opinione pubblica. In uno spazio arredato con semplici tende e cuscini, fra canti e danze e dialoghi che sembrano rubati alla vita, M. racconta magistralmente, politicamente, una pagina di storia quotidiana e l’eroismo di un popolo.

Massironi

Dopo aver frequentato un corso di recitazione in provincia (scuola ‘L. Pirandello’ a Busto Arsizio, 1982) Marina Massironi inizia a calcare le tavole del palcoscenico in lavori come Proibito di Williams, Questa sera si recita a soggetto di Pirandello, Il conte di Carmagnola di Manzoni, allestiti da compagnie amatoriali (1983-85). Dall’incontro con Giacomo Poretti (che poi sposerà) emerge la sua vocazione comica, tanto che i due formano la coppia Hansel & Strudel, nome col quale gireranno locali e cabaret presentando recital e sketch dal 1985 al 1987, anno in cui approdano allo Zelig con Quando la coppia scoppia . Dal 1988 Hansel & Strudel si dividono e Giacomo entra a far parte del trio Aldo Giovanni e Giacomo. La Massironi inizia a collaborare con il nuovo trio in Lampi d’estate (1992), Ritorno al gerundio e Aria di tempesta (entrambi del 1993). Nel 1994 è interprete con Ruggero Cara e Flavio Bonacci di Lei, commedia in tre episodi scritta da Gianfranco Manfredi, Laura Grimaldi e Gino & Michele, in scena al Teatro Litta di Milano con la regia di Marco Guzzardi. Segue, nel 1995, la collaborazione con Marco Pagani, con il quale scrive e interpreta Aria viziata . L’attrice raggiunge il grande pubblico nella stagione 1995-96 al fianco di Aldo Giovanni e Giacomo, nello spettacolo I corti diretto da Arturo Brachetti; in televisione è ospite fissa nella trasmissione su Italia Uno Mai dire gol .

Masiero

Interprete eclettica, dotata di grande verve, Lauretta Masiero è passata con disinvoltura dalla rivista al teatro leggero a più impegnative prove nel teatro classico, in particolare Goldoni. Dopo una dura gavetta (sedicenne, fu ballerina di fila negli spettacoli della Osiris, poi, nel 1951, `seconda donna’ con Macario), il primo vero successo lo colse accanto a Rascel, che l’aveva scritturata in Attanasio cavallo vanesio (1954). Da allora riuscì a imporsi come una delle più applaudite soubrette in commedie musicali di largo successo quali La padrona di raggio di luna (1956), con Andreina Pagnani che le fu maestra in brio e simpatia), Carlo non farlo , con Carlo Dapporto, e Uno scandalo per Lill , con Ugo Tognazzi. Nel bel mezzo di questa parentesi di rivista, Carlo Ludovici le propose di recitare nelle goldoniane Le baruffe chiozzotte (1954) in un allestimento veneziano (Fondazione Cini, Isola di San Giorgio). Quel momento vide il suo ingresso nel teatro ufficiale, destinato ad avvicinarla anche a Pirandello ( La signora Morli una e due , Ma non è una cosa seria ). In quegli anni, popolare anche grazie alla televisione, formò una sua compagnia, prima con Volpi e Zoppelli (1954-1955), poi con Lionello-Pagnani (1958-1959), Lionello-Volonghi (1959-1960) e Arnoldo Foà (1962). Tra i grandi successi di quel periodo, La pappa reale di F. Marceau. Più rare le sue presenze sulla scena negli anni ’70, mentre negli ’80 e ’90 porterà al successo soprattutto autori anglosassoni, ivi compreso N. Simon, del quale interpreterà California Suite e Uscirò dalla tua vita in taxi . Accanto a M. Columbro sarà sempre brillantissima in Twist di Clive Exton; tra i suoi ultimi successi, il remake di Non ti conosco più (1966) di A. De Benedetti.

Mannoni

Dopo il diploma all’Accademia d’arte drammatica di Roma Paola Mannoni lavora nei primi anni della sua carriera al Teatro stabile di Genova sotto la direzione artistica di Ivo Chiesa e Luigi Squarzina, con la regia del quale ha partecipato a numerosi spettacoli tra cui I due gemelli veneziani di Goldoni con Alberto Lionello, Il diavolo e il buon Dio di Jean-Paul Sartre, Troilo e Cressida di Shakespeare e La coscienza di Zeno di Svevo. Tra le grandi figure femminili la M. ha interpretato Lady Macbeth nella tragedia scespiriana insieme a Tino Buazzelli e Giocasta nell’ Edipo re di Sofocle diretto da Virginio Puecher con Giancarlo Sbragia. Fin dalla sua fondazione ha fatto parte della Cooperativa teatrale Gli Associati partecipando a numerosi allestimenti tra cui un ulteriore edizione dell’ Edipo re e Il vizio assurdo di Lajolo-Fabbri con Luigi Vannucchi per la regia di Giancarlo Sbragia. Nell’ambito della collaborazione tra Gli Associati ed Emilia Romagna Teatro, cominciata nel 1977, ha lavorato in spettacoli come La potenza delle tenebre di Tolstoj, regia di Paolo Giurianna, Il commedione di Diego Fabbri (regia di Sbragia) e La tragedia della fanciulla con la regia di Aldo Trionfo. Recentemente per l’Ater/Emilia Romagna Teatro ha recitato in Le Trachinie di Sofocle e in Dialoghi delle Carmelitane di Bernanos. Le sue collaborazioni sono diventate molto intense soprattutto con due registi italiani come Ronconi e Castri: con il primo possiamo ricordare lo splendido allestimento della Fedra di Racine (1984) e con il secondo Il piccolo Eyolf di Ibsen (1985) e Le serve di Genet (1990). Altre partecipazioni: La favola del figlio cambiato (1987) di Pirandello (regia di Tino Schirinzi), Faust di Goethe (1988) diretto da G. Sbragia al Teatro Antico di Taormina e Il padre di A. Strindberg (1992), lavoro inserito all’interno di uno spettacolo composto di tre studi di drammaturgia a cura di Walter Pagliaro e Pierfranco Militerni.

Mey

Formatasi al Mudra, debutta come danzatrice con Anne Theresa De Keersmaeker, della quale interpreta Fase, Rosas danst Rosas , Elena’s Aria , Ottone Ottone. Negli stessi anni avvia la sua ricerca, mettendo a punto uno stile nel quale la meticolosa e geometrica costruzione coreografica, di evidente influenza postmoderna, si unisce a una appassionata teatralità di ascendenza espressionista, in lavori spesso basati su importanti pagine musicali, come Sinfonia Eroica (musica di Beethoven, 1990), Sonatas 555 (musica di Scarlatti, 1992), Pulcinella (musica di Stravinskij, 1993), Cahier (musica di Ravel, 1995), Katemenia (musica di Schubert, 1997).

Maglietta

Dotata di intensa carica interpretativa, Licia Maglietta ha svolto diversi ruoli nel teatro, nella danza e nel cinema. Dopo la laurea in architettura nel 1981 entra a far parte del gruppo Falso Movimento prima (Tango glaciale, 1982; Febbre gialla, 1984, di cui ha curato anche la regia; Ritorno ad Alphaville, 1986) e poi di Teatri Uniti (Seconda generazione, 1988; L’uomo dal fiore in bocca, 1990; Rasoi, 1991; Insulti al pubblico, 1991, coregia insieme ad Andrea Renzi; Riccardo II, 1993). Dopo una lunga parentesi con Carlo Cecchi, che l’ha diretta in La locandiera (1993) e Leonce e Lena (1994), ritorna al teatro con uno spettacolo tutto suo, Delirio amoroso (drammaturgia, regia e interpretazione; 1995-96), nato dall’incontro fulminante con la poetessa Alda Merini. Lo spettacolo, monologo sulla vita della Merini, donna marchiata dall’esperienza manicomiale, è una delle prove più significative dell’attrice napoletana. La sua ultima interpretazione in teatro è in Caligola (1997) con la regia di Elio De Capitani. Anche il cinema l’ha vista felice interprete di ruoli carismatici: Nella città barocca (1995), Morte di un matematico napoletano (1992), Rasoi (1993), L’amore molesto (1995) con la regia di Mario Martone, Rdf di Claudio Camarca (1996) e Le acrobate di Silvio Soldini (1997).

Mudra

Il termine è di derivazione indiana. Secondo quanto ha lasciato scritto il lama Aerogarika nei suoi Fondamenti del misticismo tibetano , M. sta a significare «il gesto fisico, specialmente quello delle mani, che pone l’accento sull’atto rituale e sulla parola mantrica». Il nome ufficiale di questa école-atelier era Centro europeo per la perfezione e la ricerca per gli artisti che prendono parte agli spettacoli. Fucina di tanti giovani danzatori provenienti da ogni parte del mondo, dall’Europa come dagli Usa, dal Canada, dal Giappone e dall’Australia, M. ha permesso l’insegnamento di varie discipline tutte legate al mondo dello spettacolo (danza, teatro, musica, canto, ecc.) per far sì che, secondo lo spirito di Béjart, i giovani allievi «diventassero veri interpreti». M., su espresso desiderio del presidente senegalese Senghor, ha avuto anche una sua appendice a Dakar: un M., in questo caso, tutto basato sulla cultura africana. La scuola si è chiusa contemporaneamente allo scioglimento del Ballet du XXème siècle nel 1986. Dalle sue ceneri a Losanna è successivamente (1992) l’école-atelier denominata Rudra. Termine in questo caso che evoca lo spirito di combattimento e che è uno dei nomi del dio indiano Shiva.

Majocchi

Allieva della Scala, Gilda Majocchi divenne prima ballerina alla riapertura del teatro nel dopoguerra. Tra le sue interpretazioni sulle scene milanesi Vita dell’uomo di Wallmann-Savinio (1951), Il principe di legno di Milloss-Bartók, Il fiume innamorato di Wallmann-Bianchi; numerose anche le riprese di ruoli protagonistici creati da stelle straniere come A. Markova, T. Toumanova e M. Fonteyn. Tra le sue ultime apparizioni di interprete due balletti di Stravinskij, L’uccello di fuoco e Petruska , alla Scala nel 1958; nel medesimo teatro fu poi maître de ballet e insegnante della Scuola.

Majakovskij

Nel 1911 Vladimir Vladimirovic Majakovskij si iscrive all’Istituto di pittura, scultura e architettura di Mosca, dove incontra il poeta David Burljuk: insieme a lui e a Velemir Chlebnikov nel 1912 fonda il futurismo russo e ne firma il manifesto ( Schiaffo al gusto corrente ), dichiarando guerra a tutta la tradizione e la letteratura precedente, al linguaggio vecchio e inespressivo dei contemporanei, alle loro forme artistiche desuete e fiacche. Il movimento acquista subito grande popolarità per le posizioni scandalistiche tipiche dei suoi aderenti: processioni per le strade cittadine in stravaganti acconciature (famosa la blusa gialla di Majakovskij), tournée nel sud della Russia per propagandare i principi della nuova arte. Accanto ai primi versi (la raccolta s’intitola Io stesso , Ja sam, 1912) Majakovskij è subito attirato dal teatro, dove si dimostra, come in poesia, dissacratore di regole e convenzioni: Vladimir Majakovskij – Tragedija – (1913) è, insieme a Vittoria sul sole (Pobeda nad solncem) di Krucenych, il testo che apre la prima serata di teatro futurista pietroburghese, tra fischi, insulti della maggior parte del pubblico e grandi applausi dei pochi sostenitori. Nella tragedia, che lo vede protagonista tra una serie di strani personaggi, deformi e grotteschi, il giovane poeta si confronta con il mondo che lo circonda, grida la sua insofferenza per ogni vecchiume e insieme lascia affiorare la sua dilagante angoscia per il grande dolore che accompagna ogni esistenza.

La Rivoluzione d’Ottobre lo trova tra i più accesi sostenitori: si schiera subito tra gli artisti pronti a collaborare con il nuovo regime e per celebrarne il primo anniversario scrive Mistero-Buffo (1918), dove viene sbeffeggiata la borghesia opulenta, presuntuosa, arrogante, mentre trionfano operai e contadini, che dopo una lunga odissea attraverso inferno e purgatorio raggiungono il vero paradiso, non quello monotono e noioso di san Pietro ma quello vitale e dinamico delle macchine, in cui scompare ogni sopruso, è bandito ogni sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Messo in scena dal regista Mejerchol’d, con le scene di Malevic, lo spettacolo apre la grande stagione del teatro rivoluzionario: l’autore ne fa successivamente varie versioni, di cui una destinata al circo. Majakovskij nei primi anni postrivoluzionari è infaticabile, partecipa al rinnovamento di tutti i settori della vita artistica, scrivendo versi e poemi sulle vittorie socialiste, su Lenin, dipingendo le cosiddette `finestre della ROSTA’ (sorta di cartelloni propagandistici con slogan o couplets satirici, destinati a riempire le vetrine dei negozi vuote di prodotti dopo il disastro economico seguito alla guerra civile), scrivendo brevi `agit-p’esy’ (commedie di propaganda, 1920-21), sceneggiature cinematografiche (vi partecipa anche come attore), scene per trasmissioni radiofoniche, fondando riviste (LEF e Novyj LEF), intervenendo con irruenza in tutti i dibattiti, in tutte le controversie letterarie, schierandosi sempre dalla parte degli innovatori.

Dopo una lunga pausa dedicata soprattutto alla poesia e al lavoro di divulgazione dei principi letterari rivoluzionari, Majakovskij torna al teatro negli ultimi anni della sua vita: del 1929 è La cimice, violenta satira del filisteismo piccolo-borghese rispuntato dopo la rivoluzione e insieme del mondo del futuro, che sarà dominato secondo l’autore da una tecnologia insopportabilmente fredda, asettica. Il protagonista, congelato nel 1929 a seguito di un incendio scoppiato durante un grottesco banchetto di nozze in cui sta per impalmare la figlia di una ricca parrucchiera, viene ritrovato cinquant’anni dopo e rinchiuso in laboratorio per studiarne le strane caratteristiche: sua compagna, testimone di un’esistenza ormai cancellata di sporcizia, una cimice. L’anno dopo, pochi mesi prima del suicidio che chiuderà tragicamente una vita vissuta sempre in prima linea, senza compromessi, scrive Il bagno, dove viene messo in berlina lo strapotere della burocrazia sovietica, che si sta dimostrando non meno ottusa e arrogante di quella zarista e sta minacciando, con esiti funesti, la libertà espressiva per cui tanto si è battuto l’autore. Entrambi i testi vengono messi in scena, con graffiante intelligenza e senso dell’attualità, sempre da Mejerchol’d, che ne sottolinea l’inattesa forza eversiva, denunciando con forza l’involuzione verso cui sta lentamente avviandosi il nuovo regime e che di lì a poco travolgerà anche lui. Il teatro di Majakovskij non ha perso con il passare degli anni la forza corrosiva e la lucida satira che lo ha reso popolarissimo alla fine degli anni ’20: ogni epoca ritrova nella Cimice come nel Bagno materiale attualissimo per deridere l’arrogante strapotere della propria borghesia e della propria burocrazia.

Maugham

Laureatosi in medicina, preferì la carriera letteraria, diventando un autore di grande successo. Per il teatro scrisse soprattutto commedie brillanti e di costume secondo la forma del `society play’: Lady Friederick (1907) ebbe 442 repliche al Royal Court. Seguirono Jack Staw e Mrs Dot (1908) e Il decimo uomo ( The Tenth Men , 1910). Con l’avvicinarsi della guerra M. introdusse variazioni nelle situazioni come nella Terra promessa ( The Land of Promise , 1914), che non si svolge più all’interno di un salotto londinese ma dove l’eroina segue un colonizzatore in Canada. Le opere più rappresentate sono Il circolo ( The Circle , 1921), La moglie fedele ( The Constant Wife , 1926), nelle quali il lieto fine coincide con la dissoluzione del matrimonio. Nell’atto unico Colui che guadagna il pane ( The Breadwinner , 1930) il padre, stufo di mantenere la famiglia, provoca volontariamente la sua bancarotta. M. ebbe minor successo quando optò per opere più impegnate come La moglie di Cesare ( The Ceasar’s Wife , 1918), Sadie Thomson (1928), Per servizi resi ( For Services Rendered , 1932), quadro di amarezze postbelliche, e Shappey (1933).

Marenco

Scoperto da Boncompagni e Arbore nel 1965 come ospite del programma L’altra radio, nel 1970 Mario Marenco è entrato nella banda di Alto gradimento, in questo popolarissimo programma elaborò i personaggi del colonnello Buttiglione, del poeta surreale Marius Marencus e dell’insopportabile ragazzaccia da marito Sgarrambona. Nel 1976 apporda in tv sempre con Arbore, inventando telecronache improbabili nei panni di Mister Ramengo. Tutti i suoi personaggi arrivarono in teatro nel 1978 ma non ebbero fortuna. Il successo continuò invece in tv con il goffo Riccardino di Indietro tutta (1987-1988).

Molnár

Ferenc Molnár venne avviato dalla famiglia agli studi giuridici, ai quali tuttavia preferì la carriera di giornalista. Durante la prima guerra mondiale fu corrispondente di guerra. Essendo di origine ebrea, alla vigilia della seconda guerra mondiale si trasferì negli Usa, da cui non fece più ritorno in Europa. La sua prima opera teatrale, Il diavolo (1907), ottenne un notevole successo, duplicato nel 1909 con un altro dramma, Liliom (di cui è da ricordare la versione video prodotta e trasmessa dalla Rai nel 1968), da considerarsi il suo capolavoro. Ambientata nei bassifondi di Budapest, Liliom è la storia di un uomo rude e manesco, incapace di manifestare i propri sentimenti e la propria bontà con delicatezza, anche alla propria moglie e alla propria figlia. Durante una rapina muore per sfuggire alla cattura e viene inviato a scontare sedici anni all’inferno, al termine dei quali dovrà tornare sulla terra per compiere una buona azione. Anche in questa estrema circostanza, tuttavia, egli non saprà dimostrare alla moglie e alla figlia il proprio affetto se non alzando una mano contro di loro. In questo testo, come in altri suoi, M. rappresenta situazioni di vita reale con uno stile lieve, intrecciando realismo e fantasia, poesia e rivelazione degli aspetti più dolorosi della condizione umana. La sua vena poetica è caratterizzata da un romanticismo d’evasione, in cui l’intento primario è divertire con trovate sceniche originali. Fra gli altri drammi ricordiamo i due atti unici La guardia del corpo (1907) e Giochi al castello (1927) e le commedie Il lupo (1912), Carnevale (1917), Il cigno (1925), La pantofola di vetro (1925).

Mihura

Direttore e fondatore di riviste umoristiche nel primo dopoguerra, Miguel Mihura è un anticipatore del teatro dell’assurdo con la sua prima e più famosa commedia Tre cappelli a cilindro (Tres sombreros de copa), scritta nel 1932, andata in scena solo nel 1952. Questo testo rompeva gli schemi del teatro comico tradizionale, introducendo una comicità più sofisticata che giocava con lo spostamento semantico, la rottura della logica, l’assurdità del linguaggio. In seguito, per favorire i gusti del pubblico, attenuò coscientemente gli aspetti più innovativi, in favore di quelli più sentimentali e convenzionali. Tra i suoi testi più noti e più rappresentati In penombra tutti e tre (A media luz los tres, 1953; Maribel e la strana familia (Maribel y la extraña familia, 1959 e Ninette e un signore della Murcia (Ninette y un señor de Murcia, 1964.

Matteuzzi

Dopo aver militato al Teatro La Soffitta diretto da Bolchi Andrea Matteuzzi è al Piccolo Teatro negli anni ’50 poi allo Stabile di Bologna al Piccolo dove subentra a Lanzarini nel ruolo di Bolanzone che terrà fino alla morte. Nel 1981 partecipa all’allestimento dell’ Avaro di Molière, con Paolo Stoppa e la regia di G. Patroni Griffi e due anni più tardi lavora nello sceneggiato televisivo “Bebawi-Il delitto di via Lazio”, basato su un processo del 1965 contro i coniugi egiziani Jussef e Claire Bebawi. Nel 1984 è con la compagnia di G. Mauri nell’ Edipo re di Sofocle e lo stesso anno recita ne La Venexiana con la regia di Scaparro. Insieme a T. Carraro partecipa al Festival Taormina Arte del 1986 con Pericle principe di Tiro di Shakespeare con la regia di A. Serpieri, spettacolo replicato al Teatro Romano di Ostia Antica e l’anno dopo è tra gli interpreti di Pulcinella , testo inedito di R. Rossellini da un canovaccio di A. G. Bragaglia, con M. Ranieri e per la regia di M. Scaparro. Altre partecipazioni: Uomo e superuomo (1988) di G.B. Shaw e Galileo (1988) di Brecht.

McKerrow

Formata alla Washington Ballet School con Mary Day, vincitrice della medaglia d’oro al concorso di Mosca (1981), entra all’American Ballet Theatre (1982), dove diventa solista (1983) e prima ballerina (1987). Si afferma come protagonista in un vasto repertorio classico, tra cui La Bayadère , Coppelia , Giselle , Manon , Romeo e Giulietta , La bella addormentata , Il lago dei cigni (anche a Nervi, 1995), danzando a fianco di partner come Patrick Bissel, Kevin McKenzie, Bocca, Barishnikov. Ballerina con spiccata sensibilità per i grandi classici, si distingue per la sua eleganza stilistica.

Maggio

Praticamente, Giustina Maggio sulle tavole del palcoscenico ci nasce: infatti, il nome d’arte di Pupella le viene quando, a un anno d’età e adagiata in una cesta, la portano alla ribalta accanto al padre, il grande don Mimì, che interpreta al Teatro Orfeo La pupa movibile di Eduardo Scarpetta. E da questo momento non c’è soluzione di continuità. Giungono prima l’impegno nel varietà e nella sceneggiata (con il conseguente lancio di non poche canzoni di successo) e poi l’approdo, nel ’59, alla compagnia di Eduardo, in occasione del debutto di Sabato, domenica e lunedì : si trattò, nella circostanza, della rivelazione – consacrata dal premio San Genesio per il 1960 – delle incomparabili qualità drammatiche di un’attrice ormai matura e consapevole. Ma ecco il primo `scarto’. Nello stesso anno 1960, Pupella lascia l’incrollabile `bene-rifugio’ costituito per l’appunto dalla posizione di prestigio raggiunta in seno alla compagnia di Eduardo e va a interpretare addirittura L’Arialda di Giovanni Testori, insistendo, tre anni più tardi, con In memoria di una signora amica di Giuseppe Patroni Griffi, accanto a Lilla Brignone e per la regia di Francesco Rosi. E certo, dopo torna con Eduardo: però non è finita, perché agli inizi degli anni ’70 Pupella parte per una nuova e ancora più sconvolgente avventura, il ruolo di Violante in Persone naturali e strafottenti dello stesso Patroni Griffi. E nel ’75 la troviamo impegnata nientemeno che sul versante dell’avanguardia, insieme con Maria Luisa e Mario Santella in un non dimenticato allestimento della Monaca fauza di Trinchera. Insomma, tutti ricordano la Concetta di Natale in casa Cupiello , che entra nella stanza da letto con in mano una fumante tazza di caffè e scandisce il suo monotono: «Lucarie’, Lucarie’… scètate, songh’ `e nnove». Ma l’autentica grandezza dell’attrice non sta tanto nell’aver (sia pure inarrivabilmente) trasferito in scena le stimmate profonde della donna (e, in particolare, della madre) napoletana, quanto nell’aver esteso le radici di quell’archetipo specifico sul piano di un simbolismo universale. È per questo che, sul finire degli anni ’70, Pupella riuscì a realizzare l’ennesima sua sfida alle convenzioni: interpretando, addirittura, La madre di Brecht. Anche sui suoi ricordi è scritta `Na sera `e… Maggio che Antonio Calenda nel 1982 ha dedicato alla vita artistica sua, di Beniamino e di Rosalia.

Martal

Uscito dalla scuola di Marika Biesobrasova a Montecarlo, è stato solista nei balletti della `J. M. F.’ di Parigi. Successivamente ha danzato nelle più prestigiose compagnie francesi come quella di Janine Charrat. A Lione è stato primo ballerino nella compagnia diretta da Vittorio Biagi, con la quale ha ottenuto rilevanti successi. Fisico aitante, di nobile portamento, a partire dagli anni ’70, si è esibito quasi esclusivamente in Italia, partner di Carla Fracci ( Romeo e Giulietta , La bella addormentata ) e di Liliana Cosi. È in seguito seguito passato con la compagnia di danza Teatro Nuovo (poi Città di Torino) diretta da Loredana Furno di cui è stato l’abituale partner. Fra i maggiori successi Werther di Miskovitc su musica di Pugnani.

Montalvo

Dopo aver studiato arti plastiche, José Montalvo si dedica alla danza seguendo corsi con J. Andrews, al quale, in seguito, dedicherà una delle sue coreografie ( La Gloire de Jérôme A. , 1996). La sua formazione però, deve molto agli incontri con la celebre coppia di didatti D. e F. Dupuy, così come all’influenza della Carlson, della Child e di Cunningham. Dall’incontro con la danzatrice D. Hervieu, che diventerà sua assistente e collaboratrice, nasce uno dei lavori destinati a metterlo in luce: La demoiselle de Saint-Lô . Negli anni ’80 conduce le sue esperienze coreografiche in un centro psichiatrico parigino, l’Institute Marcel Rivière. Successivamente tornerà nel circuito normale presentando lavori ricchi di dinamismo e sovente percorsi da una vena umoristica. Particolare successo riscuotono Hollala-Hollaka (1994), dove fra gli interpreti figurano anche bambini, e Pilhaou-Tibaou (1996). Fortemente immaginativo è anche Paradis (Lione 1997), lavoro che miscelando musiche di Vivaldi all’hip-hop, canta la gioia di vivere e si presenta come un vero manifesto d’integrazione fra razze e culture diverse.

Mutoid Waste Gang

Mutazione e mobilità: sono questi i cardini della filosofia della `Off-Beat Band’ inglese. Con base nei dintorni di Londra, ma prettamente nomadi, i quattro automezzi dei M. partono regolarmente alla ricerca di luoghi abbandonati da riqualificare temporaneamente grazie alle loro esibizioni, che spaziano dalla musica alla realizzazione di `sculture dub’ con materiali di riciclo, passando per performances teatrali e `mutazioni’ dal vivo. Assidui frequentatori di festival e manifestazioni legate alla musica e all’arte visiva, i M. possono ricordare, per il loro spirito comunitario (il gruppo è composto in media da dieci persone) i vecchi hippies, ma al contrario di quest’ultimi danno grande importanza al lavoro (quando non recitano commerciano in rottami) e non concepiscono il loro stile di vita come risposta ai mali del mondo industriale. I M., grazie alla loro capacità di trasformare uno spazio fatiscente in un set di film futuristi, hanno collaborato, nella realizzazione di eventi multimediali, con artisti come J. M. Jarre, E. Clapton, N. Hagen e Frankie goes to Hollywood, oltre che per la Bbc, Mtv e la Virgin.

Miranda

Carmen Miranda nasce in Portogallo pochi giorni prima dell’emigrazione della poverissima famiglia verso il Brasile. Fin da bambina è affiancata nelle aspirazioni artistiche dalla sorella minore Aurora che ne seguirà fedelmente la carriera. A venticinque anni è già una stella del teatro leggero, della radio e della canzone popolare con decine di migliaia di dischi venduti. Lee Schubert, il grande impresario di Broadway, viene folgorato da una sua esibizione a Rio de Janeiro e la mette sotto contratto la sera stessa trasformandola nell’attrazione esotica dei suoi spettacoli sulla 42a strada. Da New York a Hollywood il passo è breve ( Notti argentine , 1940; Una notte a Rio e Tre settimane d’amore , 1941) e la stravaganza del suo personaggio conquista subito il pubblico nordamericano. Parla un inglese fantasioso, calza alte zeppe, indossa abiti coloratissimi e incredibili copricapo fatti di frutti tropicali di cui è autrice in prima persona (da giovane era stata modista). Per l’americano medio diventa in breve il simbolo di una generica America Latina, senza distinzione tra Paesi di lingua portoghese o spagnola. In tal senso è funzionale alla propaganda politica Usa che durante il conflitto mondiale utilizza la sua immagine per sottolineare l’importanza delle alleanze e delle neutralità dei Paesi sudamericani. Durante gli anni di guerra gira per la Fox i suoi film più importanti In montagna sarò tua (1942), Banana split (1943), Samba d’amore (1944) fino a diventare nel 1945 l’artista più pagata del Paese. Ma già dal 1946 inizia la crisi, Copacabana viene girato in bianco e nero, il matrimonio celebrato con rito cattolico si rivela un inferno, entra in depressione. Non le è di giovamento il breve ritorno di qualche mese in Brasile dove viene accolta quasi alla stregua di una traditrice. Anche il rientro a teatro a New York risulta difficile. Sempre più in ombra nel cinema e sulla scena partecipa a numerosi show alla radio e alla tv, al termine di uno dei quali viene stroncata da un infarto.

Marconi

Saverio Marconi è, con Michele Renzullo e Tommaso Paolucci, l’anima della Compagnia della Rancia che, con sede a Tolentino, in Umbria, ha rilanciato dal 1983 in poi il musical sui nostri palcoscenici, allevando, come una vera e propria factory a ciclo continuo, una nuova generazione di attori, cantanti e ballerini. A lui e al suo gruppo si deve la popolarità, presso il pubblico giovanile, di un genere di spettacolo che ha conosciuto così un nuovo slancio negli anni ’90, con l’allestimento, per la prima volta in Italia, dei leggendari successi di Broadway. Se al musicale deve la sua affermazione come regista, talent scout e imprenditore, Marconi ha iniziato come classico attore di prosa, dal ’66 in poi, recitando accanto a esperti colleghi Machiavelli e Aretino, lavorando sui canovacci della Commedia dell’Arte a partire da Arlecchino e partecipando a spettacoli di Enriquez (Macbeth con Moriconi e Mauri), Trionfo (Nerone è morto? con la Osiris, Gesù di Dryer con Branciaroli e Vita e morte di re Giovanni ), Lucchesini (La mandragola ), Lavia (Otello) e altri. Nei primi anni ’80 inizia la produzione di spettacoli con Post scriptum il tuo gatto è di James Kirkwood e Happy end con Lombardo Radice, mentre come regista mette in scena testi di Campanile, Anouilh e Schwartz e firma il testo di Arlecchino innamorato.

Ma il successo lo attende dietro l’angolo del musical. Il primo spettacolo si chiama La piccola bottega degli orrori, di Ashman e Menkel, viene da un successo off-Broadway horror satirico che ha avuto due fortunate versioni al cinema. Adoperandosi a tutto tondo, anche nella richiesta dei diritti, nella ricerca dei coreografi, nella traduzione delle canzoni, nelle audizioni, nella riduzione e traduzione dei testi, nel ’90 la Rancia parte alla grande con il musical più celebrato della nuova Broadway, A chorus line di Michael Bennett, James Kirkwood e Nicholas Dante, in un allestimento assai lodato e più volte ripreso negli anni, mutando e migliorando sempre il cast (l’ultima edizione è del 1998-99), in collaborazione con la coreografa Bayork Lee. E se un tempo era difficile trovare materiale umano e ginnico per questo genere, dagli anni ’90 in poi, sempre migliorando, la nuova generazione di ballerini e cantanti attori, del tutto assimilabili a quelli americani, frequenterà i varietà tv e i nostri palcoscenici, partendo dall’esperienza positiva e dalla costanza della Rancia. Il gruppo di Marconi, che diventa il regista stabile e il nuovo profeta della commedia musicale (ma talvolta si concede ancora il lusso di fare l’attore), mette poi in scena altri successi americani. E se riceve una mezza (e ingiustificata) delusione commerciale nel 1991 da un fastoso e spiritoso allestimento della Cage aux folles di Herman e Fierstein (tratto dal Vizietto , celebre commedia e celebre film) con Carlo Reali e Gianfranco Mari nei ruoli che furono di Tognazzi e Serrault e di Dorelli e Villaggio, nel ’93 trionfa con Cabaret di Masteroff, ispirato a Van Druten e a Isherwood. Al posto di Liza Minnelli, Oscar per il ruolo sullo schermo diretta da Bob Fosse, si mette in luce con determinata bravura Maria Laura Baccarini, star di un ottimo e variegato cast che comprende Gennaro Cannavacciuolo, Reali, la Fusco. Tra gli altri titoli messi in scena, un remake sentimental coniugale di Garinei e Giovannini anni ’60, Il giorno della tartaruga , in cui la Baccarini e Fabio Ferrari recitano nei ruoli `storici’ di Delia Scala e Rascel (1992); Dolci vizi al foro di Sondheim, Shevelove e Gelbart, Fregoli con Arturo Brachetti nel ruolo trasformista a lui più congeniale (1995), mentre l’anno dopo sarà il prototipo cinematografico nell’antologico Brachetti in technicolor , scritto con lo stesso Marconi Ma soprattutto la Rancia prosegue il lavoro sui best seller made in Usa allestendo, con sfruttamenti biennali, e ipotizzando una sede stabile milanese in cui i titoli si possano alternare a lunga tenitura, come nelle grandi capitali teatrali.

È la volta nel 1995 di West side story, il celebre e rivoluzionario spettacolo neo realista di Robbins, Bernstein e Sondheim, che fu leggendario film di Wise nel ’60 e che può contare un cast giovane, acrobatico, affiatato, che comprende Leandro Amato, Annalena Lombardi, Michele Canfora, Elisa Santarossa, Pierluigi Gallo. Nel ’96 un altro grande successo accoglie la prima versione italiana del mitico Cantando sotto la pioggia di Comden e Green, Brown e Freed, segue un riuscito, trionfale allestimento di Sette spose per sette fratelli (1998-99). È soprattutto in questa occasione che risulta evidente il grado di professionalità del nuovo corpo di ballo. Marconi mette anche in scena a Parigi, alle nuove Foliès Bergère, nel 1997, una applaudita edizione di Nine , il musical di Yeston e Kopitt tratto dal capolavoro Otto e mezzo di Fellini, allestito in Usa da Bob Fosse e recitato molto bene in Francia da Jerome Pradon. E sempre al maestro Fellini si ispira Marconi per una riduzione in musical delle Notti di Cabiria (1998), diversa da quella di Bob Fosse e la MacLaine, Sweet charity , con un’indovinata coppia protagonista: Chiara Noschese e Gennaro Cannavacciuolo, nel ruolo, ora determinante e molto felliniano, dell’Illusionista. Ma il successo kolossal di Marconi, col gruppo Musical Italia, è l’allestimento di Grease di Jacobs e Casey, 1996-97, titolo di culto che passa di generazione in generazione anche grazie alla popolarità del film di Randal Kleiser con Travolta e la Newton John. Nello spettacolo, primo long runner italiano che batte tutti gli incassi con teniture record a Milano e a Roma, debutta con fortuna Lorella Cuccarini, star tv che passa con gentile determinazione, e in un ruolo kitsch a lei congeniale, al musical. Ma nel cast ci sono altri bravi protagonisti, dal sempre più affermato e disinvolto Giampiero Ingrassia, figlio d’arte, a Renata Fusco, mentre indovinate partecipazioni straordinarie sono offerte da Mal, angelica apparizione nel ruolo di se stesso, e Mal, che gioca a fare il d.j. tra il tripudio del pubblico teen ager per la prima volta conquistato a un musicale teatrale.

Montherlant

Di origine aristocratica, M. ha cominciato la sua carriera come romanziere. Considerato uno dei più brillanti esponenti della nuova letteratura, uno dei giovani maestri del romanzo tra le due guerre, con I gladiatori (Les Bestiaires;1926), Gli scapoli – (Les célibataires, 1936), Le fanciulle (Les jeunes filles; 1939), Le lebbrose (Les Lépreuses, 1939), ottenne notevole successo e notorietà. Tuttavia dal 1942, data del debutto felicissimo de La regina morta (La reine morte) la sua prima opera teatrale rappresentata, M. decide di centrare la sua attività artistica essenzialmente sul teatro. Contattato da J.L. Vaudoyer, allora ammministratore della Comédie che desiderava avere un suo lavoro in scena, l’autore decise di prendere spunto da un dramma spagnolo e di proporre la storia di Ines de Castro, protagonista appunto de La regina morta . L’opera ebbe un ottimo esito, tanto da raggiungere le cento repliche già nel 1943: un successo che ebbe a condizionare la successiva produzione di M. Le sue opere teatrali più significative sono Il gran maestro di Santiago (Le maître de Santiago, 1947), Malatesta (1950), La ville dont le prince est un enfant (1951), Port Royal (1954), Don Juan (1958), Le cardinal d’Espagne (1960) e La guerre civile (1964), dove si intessono temi storici e una sottile analisi psicologica. La formula drammatica di M. oscilla tra l’obbedienza alla rigida struttura della tragedia classica francese e il richiamo a forme più libere del dramma romantico (rievocazione storica, costumi riccamente ricostruiti, atmosfere accese). Dal punto di vista tematico tutto il suo universo teatrale ruota attorno a un assunto fondamentale: alla mediocrità del mondo e del consorzio umano si oppone l’eroismo di un uomo solo, diviso tra il desiderio dell’azione e il dubbio rispetto alla sua stessa utilità. Questo stesso tema, ripetuto ossessivamente nei suoi testi teatrali, aveva anche costituito l’oggetto di un saggio pubblicato nel 1935 dal titolo Servizio inutile . Dal punto di vista stilistico, M. si contraddistingue per la grande limpidezza ed eleganza formale che ne fanno uno dei maestri riconosciuti della prosa francese.

Magni

Tutti ricordano Gianni Magni affettuosamente come il fantastico `cantamimo’ dei Gufi, la compagnia di cabaret che dal 1964 al 1969 dominò la scena milanese con personaggi come Lino Patruno, Nanni Svampa e Roberto Brivio. Con la sua inseparabile calzamaglia nera e la sua irresistibile maschera facciale, l’attore si è guadagnato un posto di rilievo sul palcoscenico del cabaret. In seguito allo scioglimento della compagnia, affiancò alla sua attività primaria, alcune esperienze cinematografiche. È al fianco di C. Spaack ne Il marito è mio e l’ammazzo quando mi pare di Festa Campanile e con S. Loren e A. Celentano in Bianco, rosso, e. .. di A. Lattuada.

Mancinelli

Lydia Mancinelli debutta nel 1964 nell’ Amleto di Shakespeare messo in scena da Carmelo Bene. Lo spettacolo rappresenta l’avvio del lungo sodalizio artistico con l’attore pugliese. In qualità di attrice, oltre che di impresario e collaboratrice, partecipa a quasi tutti gli spettacoli dell’artista. Si ricordano, fra gli altri, La storia di Sawneyh Benan (Roma, Teatro delle Arti, 1964), Manon da Prévost (Roma, Teatro Arlecchino, 1965), Faust e Margherita (Roma, Teatro dei Satiri, 1966), Il rosa e il nero (Roma, Teatro delle Muse, 1966), Nostra Signora dei Turchi (Roma, Teatro Beat ’72, 1966), Arden of Ferverham (Roma, Teatro Carmelo Bene, 1968), Romeo & Giulietta (Storia di Shakespeare) secondo Carmelo Bene (Prato, Teatro Metastasio, 1976), Riccardo III (da Shakespeare) secondo Carmelo Bene (Cesena, Teatro Bonci, 1977) e Otello o la deficienza della donna (Roma, Teatro Quirino, 1979). Protagonista dei principali film di Bene, ha affiancato l’esperienza cinematografica alla scena teatrale: Nostra Signora dei Turchi (1968), Don Giovanni (1970), Salom è (1972), e Un Amleto di meno (1973). Per il Teatro alla Scala ha interpretato nel 1981 Manfred di Byron-Schumann e nel 1982 Pinocchio . Per il Conservatorio Verdi ha messo in scena, con le musiche di Bizet, L’Arlésienne di Daudet, curandone traduzione, adattamento e regia (Milano 1987).

Macchia

Le benemerenze teatrali dello studioso e docente di letteratura francese Giovanni Macchia sono numerose. A lui si deve, tra l’altro, l’introduzione dell’insegnamento di Storia del teatro nell’università italiana, con la conseguente istituzione di molte cattedre. È autore di numerosissimi saggi, tutti contraddistinti da una prosa limpida, elegante e narrativa, oltre che dalla profondità e ricchezza degli argomenti trattati. Che riguardano naturalmente la letteratura francese ( Baudelaire e la poetica della malinconia , 1946; Il paradiso della ragione, 1960; L’angelo della notte , 1979; Le rovine di Parigi , 1985) e quella italiana ( Saggi italiani , 1983), mentre altri saggi coinvolgono una comparazione culturale più vasta, come I fantasmi dell’opera (1971) incentrato intorno a un celebre quadro di Watteau o Il principe di Palagonia (1978) sui mostri mitici di villa Bagheria. Per quanto riguarda il teatro, fondamentali sono i suoi apporti critici, tra cui mirabili quelli su Pirandello ( Pirandello o la stanza della tortura , 1981) e su Molière ( Vita, avventure e morte di Don Giovanni , 1966; Il silenzio di Molière , 1975). A quest’ultimo è ispirata una sua pièce teatrale, Mademoiselle Molière , rappresentata nel 1992 al Festival di Spoleto, per la regia di E. Siciliano, le scene di Giosetta Fioroni e l’interpretazione di Anna Maria Guarnieri. La pièce è stata poi rappresentata anche all’estero: in Francia, a Parigi, e poi in Canada. Nel 1993 a M. è stato assegnato il premio Balzan per la sua attività di critico e di studioso.

Malyj,

Fondato nel 1944 a San Pietroburgo, allora Leningrado, nei pressi della prospettiva Nevskij, Malyj Teatr è diventato subito uno dei centri teatrali più importanti dell’Unione Sovietica, con una produzione che alternava, nella sua bella sala di non più di cinquecento posti, testi stranieri e russi, di grande interesse nonostante le limitazione della censura comunista. Ma è soltanto a partire dagli anni ’70 che il Malyj Teatr consolida e accresce la sua importanza, quando divenne direttore artistico Yefim Padne, che seppe coltivare una schiera di valenti e giovani attori e registi, tra cui Lev Dodin. Ed è a Dodin, il quale nel 1983 sostituì Padne alla direzione artistica, che si deve la fama e il riverbero internazionale del Malyj Teatr. Il regista, che era anche insegnante dell’Istituto di teatro di San Pietroburgo, stabilì un forte legame tra scuola e teatro, tra elaborazione collettiva scolastica e messa in scena successiva. Nascono così gli straordinari esiti di Stelle nel cielo mattutino di Aleksandr Galin, nel 1984, di Fratelli e sorelle da Fédor Abramov, nel 1985, e di Claustrophobia (1992) su testi di autori russi contemporanei, tutte raappresentate anche all’estero con enorme successo.

Marotta

Autore di romanzi e di racconti di grande successo anche popolare (L’oro di Napoli, 1947; A Milano non fa freddo, 1949; Gli alunni del tempo, 1960), critico cinematografico sui generis, Giuseppe Marotta si è dedicato saltuariamente anche al teatro. La rappresentazione dei caratteri, la ricostruzione degli ambienti, l’umorismo spesso intriso di disincanto, la forza del sentimento sono i cardini attorno a cui ruota la scrittura teatrale di M. Il vero protagonista delle sue opere è comunque il tipo napoletano, l’uomo che, come il califfo Esposito, compendia pregi e virtù della sua città, dall’arte di arrangiarsi alla prorompente vitalità. M. scrisse le sue opere per il teatro avvalendosi della collaborazione di Belisario Randone. Su tutte spicca, come segnalato, Il califfo Esposito , storia delle complicazioni sentimentali di `un guappo’ di quartiere, unito alle sue donne-moglie e amanti-con «viti , bulloni e fiamma ossidrica». Tra gli altri testi si ricordino Il contratto , Bello di papà, Veronica e gli ospiti, Il malato per tutti, Vado per vedove, che hanno incontrato, tra gli anni ’50 e ’60, una discreta risposta di pubblico.

Miller

Cresciuto negli anni della Depressione e permanentemente segnato da queste esperienze, Arthur Miller cominciò a scrivere drammi (soprattutto per la radio) quando ancora frequentava l’università; debuttò a Broadway nel 1944 con il testo L’uomo che aveva tutte le fortune (The Man Who Had All the Luck), che non ebbe alcun successo ma che già conteneva alcuni dei temi fondamentali dell’intera sua opera: la difficile difesa della dignità dell’uomo di fronte alle domande che gli pongono il lavoro e la famiglia, il senso di colpa e le conseguenze individuali e collettive dell’economia capitalistica. Il successivo Tutti miei figli (All My Sons, 1947) segnò l’inizio del suo periodo migliore. Mostrava, in una struttura di tipo ibseniano, una famiglia della classe media turbata e poi sconvolta dalla scoperta che il padre industriale, per accrescere i suoi profitti, aveva venduto parti d’aereo difettose all’aeronautica militare. Seguì, nel 1949, l’opera più famosa, Morte di un commesso viaggiatore (Death of a Salesman), una sorta di melodramma sociale fra il realistico e l’espressionistico (ma con evidenti ambizioni tragiche) di un altro padre, vittima inconsapevole di una società fondata sul mito del successo e della propria incapacità di raggiungerlo. Poi, dopo aver presentato un proprio adattamento di Un nemico del popolo di Ibsen (1951), abbandonò apparentemente l’America contemporanea per evocare in Il crogiuolo (The Crucible, 1953) il famoso processo celebrato alla fine del Seicento contro le streghe di Salem, alludendo chiaramente alla cosiddetta caccia alle streghe del maccartismo, ma raccontando soprattutto la storia di un uomo combattuto fra le proprie convinzioni morali e ciò che richiedeva da lui la società. Un tema analogo era al centro di Uno sguardo dal ponte (A View from the Bridge, nato come atto unico nel 1955 e sviluppato in due atti l’anno dopo), dove uno scaricatore siciliano pagava con la vita il rifiuto di sottostare alla legge dell’omertà che dominava il suo ambiente. Erano al centro di queste opere, con le preoccupazioni di ordine sociale, i personali sensi di colpa, spesso legati al sesso, che contribuirono a farne testimonianze significative del malessere di un’intera classe, anche se inficiate da risvolti melodrammatici e non sorrette da una particolare eccellenza di scrittura. I testi successivi non aggiunsero molto alla sua fama. Furono, fra questi: Dopo la caduta (After the Fall, 1964, successo di scandalo perché vi si lesse una sorta di cronaca del tempestoso matrimonio dell’autore con Marilyn Monroe); Incidente a Vichy (Incident at Vichy, 1964); Il prezzo (The Price, 1968); L’orologio americano (The American Clock, 1980) e Vetri infranti (Broken Glass, 1994). Per il cinema ha sceneggiato Gli spostati di Huston, di cui era interprete anche M. Monroe (e fu il suo ultimo film, come di Clark Gable). Ha scritto inoltre saggi sulla natura della tragedia moderna raccolti in volume nel 1971 e una bellissima autobiografia, Svolte, La mia vita (1991).

Mercer

David Mercer esordì in televisione prima che in teatro: Generazioni (Generations: three television plays , 1964) trilogia che esamina i conflitti della working-class nel passaggio a middle-class, Un uomo da curare (The brued Man, 1962), In due menti (In two Minds , 1967), Uccidiamo Vivaldi (Let’s murder Vivaldi , 1968). Per il teatro ha messo in scena La signora del governatore (The Governor’s Lady , 1965), Cavalca un cavallo a dondolo (Ride a cock Horse, 1965), Il caso Belcher (Belcher’s Luck, 1965), Sangue sul tavolo (Blood on the table, 1971), Cugino Vladimir (Cousin Vladimir, 1978). M. crea con grande acume una galleria di caratteri, spesso sull’orlo della disperazione e pervasi dal sentimento di totale impotenza, che si dibattono nel mezzo delle contraddizioni spesso causa della loro pazzia. Dominano nell’opera l’opposizione alla repressione politica e psicologica, l’ideologia marxista e l’interesse psicopatologico che porta M. a esaminare l’origine, lo sviluppo e la manifestazione della malattia mentale. Nelle prime pièce M. si attiene a uno stile realistico, che successivamente abbandona per tecniche più ardite, che meglio si adattano al suo pessimismo molto vicino a quello di Beckett, che coinvolge tutto: nascita, morte e ricerca dei significati; come nel film Providence (1977) scritto per A. Resnais, commedia surreale in cui il protagonista compie un viaggio nella vita della mente.

M’ahesa

Si è esibita, come solista, in tutta Europa nel periodo precedente la Prima guerra mondiale e fino agli anni Venti, con una spiccata predilezione per le danze di gusto esotico. Tra le sue creazioni Danza del Tempio Egiziano, Danza dei Beduini, Danza Assira , Danza di una Divinit Siamese, Danza Araba, Danza con cembali, Danza dello Spirito di Belsazar . La sua ricerca plastica, tesa a riprodurre le figurazioni arcaicizzanti a cui amava ispirarsi, l’ha imposta come interprete estatica, dotata di un’energia quasi maschile nel forte dinamismo e nel disegno rigoroso delle linee.

Milani

Patrizia Milani studia all’accademia milanese del Teatro Filodrammatici. Inizia la sua carriera al fianco di grandi nomi: Lilla Brignone, Olga Villi. Nel 1977, dopo aver interpretato il pirandelliano Sei personaggi in cerca d’autore regista Giulio Bosetti, lascia le scene per qualche tempo. È lo stesso Bosetti a riportarla in teatro con un Pigmalione di Shaw. Nel 1989 viene chiamata da Marco Bernardi allo Stabile di Bolzano per un ruolo nel Barbiere di Siviglia di Beaumarchais e ci resta come attrice (diventando anche la compagna del regista). Dal sodalizio nascono moltissimi spettacoli: Anni di piombo di Margaret von Trotta sul tema del terrorismo, Libertà a Brema di Fassbinder, La rigenerazione di Svevo, Il maggiore Barbara di George B. Shaw.

Marchese

Bob Marchese inizia alla Scuola cooperativa spettatori del Piemonte diretta da Franco Pastore, nei primi anni ’50. Dal 1956 fino al ’64 lavora allo Stabile di Torino. Passa poi al Piccolo Teatro di Milano, dove rimane fino al 1967 interpretando Il gioco dei potenti da Shakespeare con la regia di Strehler, La lanzichenecca di De Mattia per la regia di Puecher. Nel frattempo lavora con Dario Fo in due tournée, quelle del 1961 (Aveva due pistole con gli occhi bianchi e neri ) e del 1967 (La colpa è sempre del diavolo). Nel 1970 torna a Torino, entra nel Gruppo della Rocca dove cura anche la regia di Il re muore di Ionesco. Dal 1976 al 1980 è al Salone PierLombardo, co-protagonista dell’ Arialda di Testori e di La palla al piede di Feydeau. Nel 1980 ricomincia a lavorare con il Gruppo della Rocca e partecipa alle produzioni del Teatro Biondo di Palermo. Nel 1997 interpreta Le furberie di Scapino di Molière. È inoltre animatore di molte attività seminariali a Firenze, al festival internazionale dell’attore, all’Università di Siena e al Teatro Biondo.